VerdEtà 83 - Febbraio 2022

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PANTERE GRIGIE PIETRO ROMANO L’AGEISMO COLPISCE SEMPRE PRIMA

Papa Francesco qualche domenica fa ha lanciato la seconda Giornata mondiale dei nonni e degli anziani. Si terrà domenica 24 luglio e avrà per tema il passo biblico “Nella vecchiaia daranno ancora frutti”. Un nuovo evento per festeggiare l’età avanzata, che si aggiunge ad altre iniziative del genere, tipo la Festa dei nonni, proliferate negli ultimi anni. Per carità, meglio abbondare, quanto ai risultati concreti, però, qualche dubbio lo nutrirei. La categoria di nonni e anziani si va allargando con il passare dei decenni, grazie a un allungamento della vita costante, sia pure “limato” negli anni della pandemia. Di certo, nemmeno la pandemia ha ridotto lo smistamento di risorse (economiche) dai più anziani ai più giovani. Anzi, è riuscita a incrementarlo: gli anziani non sono praticamente usciti da casa e, scusatemi la brutalità, sono stati gli anziani a morire in più larga misura e di conseguenza a lasciare eredità più o meno cospicue. Quanto al resto – l’esperienza etc etc - lasciatemi passare la cattiveria, solo pochi giovani sembrano averne bisogno. Il racconto delle esperienze, ad esempio, è sempre più limitato. E questo spiega anche una diffusa ignoranza della nostra storia tra le giovani generazioni. La gran parte dei più giovani sembra ritenere, con lo scrittore Oscar Wilde, che l’esperienza abbia lo stesso valore di un pettine per un calvo. La moltiplicazione dei festeggiamenti non sembra arrestare un fenomeno di cui in Italia si parla ipocritamente poco ma del quale invece si dibatte sui principali giornali di altri Paesi, dalla Francia al Regno Unito: l’ageismo. Vale a dire quella forma di pregiudizio e di svalorizzazione verso le persone anziane che per la prima volta alla fine degli anni sessanta lo psichiatra e geriatra statunitense Robert Butler definì sulla falsariga di razzismo e sessismo. Il dramma è che – come ha scritto il medico e saggista Isabelle Marin sul quotidiano francese “Le Monde” – nell’immaginario collettivo dal pregiudizio si sta via via passando al disinteresse, alla emarginazione, addirittura in casi estremi all’accettazione dell’abbandono, se non della violenza. Parole forti, confortate però da una lunga inchiesta del quotidiano progressista parigino sullo scandalo delle residenze per anziani, che ha coinvolto strutture pubbliche e private. Un argomento sul quale si sta riflettendo perché non mancavano i segnali di questo stato di degrado. Ma sono stati sottovalutati, accantonati. Come se i vecchi non avessero diritto a strutture dignitose per vivere, o solo sopravvivere. Negli stessi giorni il britannico “Financial Times”, il quotidiano economico più importante d’Europa, ha condotto un’inchiesta sulla nascita dell’ageismo. Scoprendo che questo fenomeno è addirittura presente già nel mondo del lavoro e in particolare tra quanti hanno oltre cinquant’anni e ancora lavorano a tempo pieno. In Italia circa il 60 per cento dei lavoratori vive questa condizione, ma in altri Paesi tale percentuale è ancora più alta: arriva all’80 per cento in Giappone, al 75 in Germania, quasi al 70 negli Usa e nel Regno Unito. Nonostante l’incidenza di lavoratori ultra50enni, che fa dipendere sempre più da loro l’economia (perlomeno nei Paesi maggiormente sviluppati), una statistica internazionale ha rivelato che dopo i cinquant’anni ai lavoratori viene proposta molto più di rado la formazione, praticamente non vengono più concesse promozioni e la domanda che si sentono più frequentemente porta dai responsabili del personale è: quando andrai in pensione? Attenzione, quindi, la linea dell’ageismo sta sempre più calando d’età.

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