Delatre - Numero 8

Page 1

Delatre L a r i v i s t a d e l P i c c o l o Te a t r o d e l l a Ve r s i l i a .

N째

1

APRILE - GIUGNO 2008


DELATRE N° 1

EDITORIALE

Numero 1 Il Numero 1 ha in sé già qualcosa di speciale: numero uno. Sa di partenza. Ed in effetti ci sono i propositi per considerarlo tale. 20 pagine: abbiamo deciso che fosse il momento di rischiare e così, in questo primo numero trimestrale (prima “Delatre” era bimestrale) sono state aggiunte 4 pagine. Perché? Perché stiamo cercando un’identità ad una rivista che sembra ancora appena nata: a Corato (Ba), durante il seminario/gemellaggio, io, Serena, Francesco Martinelli ed Elisa (allieva della sua scuola) abbiamo fatto una riunione volendo cercar di capire dove questa rivista stesse andando e fornendo consigli per la nascita di una forma analoga “coratina”. Ne è nata una domanda che ancora non cessa di girarmi per la testa: ma non è che questa rivista è troppo? Troppo per che e troppo per chi non so. Ma so che su questo sto e stiamo riflettendo e soprattutto stiamo ascoltando ogni suggerimento, critica o proposta: stavolta ci sono gli attori del PTV che scrivono (e questo lo voleva Andrea, sfondone degli artisti compreso), c’è lo spazio ragazzi ampliato e reso (speriamo) leggibile per loro (e lo volevano i bimbi e i ragazzi), ci sono articoli sui lavori del PTV (Pinocchio, seminario Panichi, seminario Corato...), ci sono articoli di approfondimento sul teatro e non solo (come chiedeva Alessandro, che fra l’altro ha scritto di teatro e pittura, pag.19), Vanessa si era data disponibile, ed eccola per voi a parlare di donne e teatro a pag.17, siamo andati a ricercare un ragazzo ex allievo della scuola, adesso attore professionista, che ci ha parlato del PTV, della sua esperienza teatrale e altro (pag.14-15). Insomma, voi chiedete e noi vi ascolteremo. Federico ci ha parlato di alcune lettere in cui si citava l’editoriale scorso dove c’erano parole non troppo morbide: questo è un bellissimo segnale, e si allaccia subito ad un grande suggerimento fornitoci da Francesco: perché non far diventare ciascun numero spunto di discussione evitando che si chiuda su una lettura individuale prima di addormentarsi? Organizziamo incontri in cui parlare, ma non nel senso che parliamo se la rivista ci è piaciuta o meno, ma in cui si discute sui contenuti. Per esempio, l’articolo di Serena su Strehler (pag.16), lei per scriverlo ha visto video e letto gli scritti del famoso regista: siete d’accordo con lei? Cosa vi ritrovate di ciò che viene fatto al PTV? E delle parole sempre provocatorie di Francesco (pag.4) e di quelle insieme autunnali e primaverili di Federico (pag.3), che ve ne pare? Parliamone. Facciamo teatro in un luogo in cui si parla continuamente di aggregazione...beh, aggreghiamoci! Parliamo, discutiamo, confrontiamoci: oggigiorno lo si fa spesso nei forum di discus- Per chi fosse interessato ai numeri arretrati, sono ancora dispobili i numeri: sione su internet. La rivista è un modo per farlo potendoci guardare negli occhi e un modo -3 Aprile 2007 / -2 Giugno 2007 / -1 per evitare che siano solo le regie di Federico a portarci sullo stesso palco. Luglio 2007 / 0 Ottobre 2007 / Claudia 0Bis Gennaio 2008

Volete intervenire anche voi? Scriveteci a info@piccoloteatroversilia.it

Per richiederli: info@piccoloteatroversilia.it

Rivista - Dicembre 2006

Il Primo numero della

Nel dicembre 2006, da un’idea di due allieve della scuola, Claudia Sodini e Viola Giannelli, nasce “Delatre”1, rivista del Piccolo Teatro della Versilia. L’intento è di fornire uno spazio dando voce agli allievi (adulti, bambini, ragazzi, disabili) e descrivere il mondo del teatro sia attraverso il contributo di grandi pedagoghi e persone di spettacolo sia attraverso lo studio delle maggiori personalità teatrali del passato e del presente. La rivista è parte di un disegno più ampio che rientra nella politica del PTV: la scuola di recitazione segue infatti un modo di procedere per cui l’evento teatrale, spesso visto come semplice occasione di divertimento e di evasione dalla quotidianità, diventa strumento di educazione nell’interesse della comunità (come accadeva nella polis greca). Lo sviluppo di una rivista, di uno spettacolo, dell’incontro congiunto sul palco di adulti, bambini, disabili divengono strumento per accomunare differenti linguaggi nell’universo del teatro e quindi della cultura e dell’arte. Ecco la necessità di far maturare un’esperienza critica del Teatro sia per chi è attivo all’interno della scuola sia per il pubblico stesso. Fare teatro infatti non si esaurisce nell’andare in scena, ma comprende anche una capacità di riflettere sul teatro stesso, sull’educazione teatrale, sulla rappresentazione, sulla ricezione da parte del pubblico e sul rapporto del teatro con la società. La rivista, nel 2007, ha ottenuto il finanziamento da parte della Provincia di Lucca e della Fondazione Banca del Monte di Lucca grazie alla vincita del bando “Uno spazio per le idee 2007”.

STORIA DEL DELATRE

1

Il nome deriva dal Teatro “Delatre” sede della scuola, sito in via Delatre a Seravezza

2


DELATRE N° 1

L’ANGOLO DI FEDERICO...

It’s only rock’n’roll... (e mi piace) Foto di C. Sodini: Federico Barsanti di fronte al “Theatre des Bouffes du Nord” a Parigi, teatro diretto dal 1974 da Peter Brook.

di Federico Barsanti, direttore artistico del PTV

Prendendo spunto dal caro Andrea Del Giudice, il quale propone “l’angolo dello sfondone dell’artista”, prendo il piattello al volo e rilancio. Lo stato creativo dell’individuo si manifesta nel momento del silenzio che sta tra un attimo e l’altro della nostra quotidianità: attraverso questi attimi di estasi, che si determinano in una concatenazione senza fine, ognuno di noi sorvola il proprio genio senza riuscire a fermarlo nel tempo. La genialità è uno spostamento improvviso del campo di luce. Esso permette di vedere ciò che altri non vedono. Tutto già esiste ed è in attesa della luce giusta. La genialità di un individuo consiste nel dar vita alle proprie “geniali” idee. Noi tutti siamo geni: ognuno a suo modo e a propria insaputa ogni giorno produce idee grandiose, intuitive, estrose, originali che non vedranno mai la luce. In questo istante il bambino che ho visto di sfuggita nel pomeriggio a Palazzo Ducale in Lucca sta producendo una quantità abnorme di genialità che il mondo riuscirà a vedere in infinitesima parte e solo se il ragazzetto sarà capace di acciuffare il silenzio che sta tra un momento e l’altro. Dal silenzio nasce la vita. Nel silenzio ritorna la vita. E così nel Teatro, come nello sport e in tutte le altre arti, tutto parte dal silenzio. Ma quali sono le idee geniali? Sono quelle idee che aprono il cuore alla

gente e che portano l’essere umano un passetto avanti ogni volta. I piccoli passi sono quelli che determinano le grandi distanze. Ognuno di noi è capace di compierli, ma pochi sanno in quali direzioni dirigerli. Il genio non si sbaglia mai. Continuando su questo sfondamento dell’artista, proseguiamo la nostra camminata e spostiamoci sul centro del giardino: da qui possiamo ammirare, di là da quelle fronde maestose, le cime dei monti che paiono al vento sì esser fugaci; spostandoci di pochi metri si apre, dai picchi altissimi, una distesa di scaglie di mare. È proprio da quel punto che non possiamo più tirarci indietro. Una Scuola di Teatro. La Nostra. Questa scuola che naviga per acque incerte, dove gli spazi diventano sempre più grandi, dove ogni iniziativa, ogni concorso, ogni festival, ogni scuola si chiamano “Europee”, “Internazionali” e via dicendo. Certe volte queste cose mi lasciano divertito, altre volte mi spaventano, mi fanno sentire fuori posto se penso alla realtà in cui vive questa scuola di teatro. Desidererei tanto che gli Assessori alla Cultura e alla Pubblica Istruzione e al Sociale notassero di più la presenza di questa scuola per il valore ch’essa aggiunge al territorio e alla cittadinanza. Se penso a ciò che scrivete nelle vostre lettere mi emoziono e mi sembra impossibile che questa scuola e quella di Francesco a Corato, in Puglia, riescano a vivere grazie proprio all’incrementarsi della nostra necessità di esserci e al numero di presenze. Giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno, il Piccolo Teatro della Versilia compie i propri piccoli passi verso una direzione, talvolta nebulosa e piena di ostacoli, che punta alla coltivazione di una cultura, non soltanto teatrale, basata sulla disciplina e sul bisogno di allargare le

conoscenze. Alla festa di conclusione della tournée di “Esisto Ancora” (anche se fisicamente quella sera stavo malissimo), sono rimasto impressionato da quante persone fossimo! Il Teatro Delatre esplodeva di genialità. Noi, piccoli, grandi geni compresi ed incompresi, lottatori di e per una vita fatta di troppe cose per poter essere compresa. Le redattrici di questa perla mi avevano chiesto in origine di scrivere La storia del Piccolo Teatro della Versilia! “Come fare?” -mi sono chiesto- non saprei proprio da che parte cominciare e manco ci voglio provare, per il momento. A questo punto dello “sfondone”, rileggendo ciò che ho scritto, mi chiedo se davvero sia riuscito ad esaudire il desiderio di Andrea (peraltro un’idea davvero geniale!) o se avessi potuto spingermi oltre… non ci sono molti sfondoni, in effetti… Allora diamoci dentro finché si è in tempo! Perché la notte per un lembo è attaccata al giorno. Ogni parrocchia ha il suo prete. Il vero pericolo è sempre in agguato. Divenendo corpo l’anima si sporca. Il fiume porta con sé gli anni dell’ultima era. Di questo passo finiremo imbottigliati nell’eremo della stupidità. Pinocchio non si è arreso. Ha sbagliato il genio di Collodi quando ha dato retta alla vox popoli: non era nel silenzio tra uno spazio e l’altro. Il genio non sbaglia mai. Con queste ultime parole vi mando una manciata di silenzio dantesco, inebriato dalle genialità di Arlecchino, sorretto dallo studio delle proprietà intrinseche delle psicologie tra i personaggi teatrali e…incendiando il tutto dal nuovo spettacolo di Frydyryc Iager in concert. Vi aspetto per i seminari dei prossimi mesi. Un bacio geniale. Un abbraccio da sfondone.

3


DELATRE N° 1

D

IM

RO O L E, DI SÈ, DI

V VE O ,

...E DI FRANCESCO

RO IL PROB LEM AD ID

AMIA NO di

Francesco Martinelli

Damiano e Fernanda, due colleghi di lavoro, viaggiano insieme su un treno. Parlano dell’amore. Prima di scendere dal vagone, Fernanda dice: “E se ora ti chiedessi di darmi un bacio sulla bocca?”, e Damiano subito: “Te lo darei”. “Allora dammelo”. Damiano la bacia così come sa fare. Fernanda innervosita si allontana urlando: “Non in questo modo! Non dovevi. Non hai rispetto per me”. Rapida scende dal treno mentre Damiano la segue scrutando in silenzio dal finestrino. Oggi, in uno stato di convivenza tra esseri umani fondato esclusivamente sull’individualismo, sul principio di autosufficienza esasperato dalla presunzione che ciascuno tutto sa e tutto può, è davvero difficile comprendere l’essenzialità dell’Arte che a mio parere deve raggiungere la somma astrazione dell’umanità. I miei comportamenti da maestro e da artista sono spesso valutati in funzione del rispetto della persona, infatti, mi si richiede spesso di stare attento a ciò che non so, né conosco, come per esempio la vita quotidiana delle persone: professione, culto e parrocchia frequentata, bar in cui si prende il caffè, numero di tessera sanitaria, paternità, fraternità, dichiarazione dei redditi, preferenze di voto con relativo numero di sezione elettorale…. ecc. Nella mia Scuola c’è un regolamento che termina con l’annotazione: “Il Teatro è Arte della Comunicazione basata sul rispetto dei maestri, dei colleghi e del pubblico.” Da sempre sottolineo che nell’elenco ho volutamente omesso il rispetto delle persone. La parola “persona” individua un essere umano senza conferirgli alcuna identità se non la propria: il ME. Se usiamo la parola cittadino sappiamo a cosa ci riferiamo, così per fedele, lavoratore… ma con la persona cosa intendiamo? Questa parola nasce da un principio di autodifesa che rivendica il rispetto per l’individualismo e non l’individualità. A volte mi si rimprovera che come maestro non ho alcun rispetto per la persona. Viene eccepita questa mia mancanza nei momenti in cui l’individuo allievo si confronta

Il PTV e la Scuola delle Arti della Comunicazione di Corato sono gemellate dal 2002. Due volte l’anno avviene lo scambio tra le scuole gemellate: a marzo Federico Barsanti va in Puglia assieme ai propri allievi e tiene un seminario nella scuola di Corato mentre a ottobre Francesco Martinelli viene in Toscana assieme ai propri ragazzi e tiene un seminario a Seravezza nella scuola del Piccolo Teatro della Versilia. Lo scambio include uno spettacolo portato dagli allievi “ospiti” che, con le entrate della serata, va a contribuire alla trasferta dell’anno successivo dei ragazzi “ospitanti”.

Schegge

di

Compito del seminario: lasciar scivolare in secondo piano la personalità dando vita ad uno spazio interiore chiamato “creatività”: da qui ci si avvicina all’abbozzo di un personaggio.

18 allievi. 3 da Seravezza (io sono stata uditrice) e 15 di Corato. Titolo inziale: “L’improvvisazione teatrale”. Trasformatosi in: “Relazioni tra i personaggi” (“spiazzare”, come mi spiega Federico, è una delle regole base della sua pedagogia). 1°-2°giorno- vengono dati dei testi: Ibsen, Cechov, Shakespeare, Pirandello. 3°giorno- viene chiesto di portare delle calzature per il personaggio. 4° giorno- viene fatto aggiungere un oggetto. Cesare: Tu hai parlato di una lineatura della scena, questi criteri chi li detta? Il regista? O sono criteri universali? Federico: un attore formato propone al regista e il lavoro si svolge insieme. Il livello di scambio è alto. Stessa cosa accade anche con gli allievi solo che il livello è più basso. Regista-attore: insieme. Carlo: I testi che tu ci hai dato fanno parte per lo più di un teatro naturalista. Questo metodo lavora solo su queste tipologie di teatro o no? Federico: No, l’approccio è universale e versatile. Forse per un teatro classico e greco nascerebbero altre cose poiché si parla di coro, di coreografia, cose ancora più complicate. Leonardo: Tu hai detto che non si dovrebbe usare l’istinto, cosa intendevi? Federico: Io non ho detto di non usare l’istinto, ho parlato di personalità. La creatività comincia solo quando inizia lo sforzo, prima è istintività. Abbiamo tutti idee geniali, il problema è metterle in pratica. Se c’è solo l’istinto è un casino. Servono anche tecniche da mettere insieme all’istinto. La personalità tira dei freni, con essa diviene tutto e solo una vomitata di cose. Claudia: Che può fare l’attore quando sente che il pubblico se ne va? Federico: Due sono le cose che può fare: ci prova o non ci prova. Due sono i risultati che l’attore può ottenere: ci riesce o non ci riesce.

4


IL NOSTRO LAVORO

con altri senza rispettare le regole del confronto. Si pretende che l’individuo sia rispettato nel suo individualismo. Il personale è deleterio soprattutto quando ci esprimiamo artisticamente poiché limitiamo le nostre capacità sensoriali decodificando tutto quello che percepiamo rispetto ad un atteggiamento quotidiano e banale. Discorso differente è il SÈ. Un principio a cui credo fermamente è: noi siamo quello che siamo. Pur nella capacità di essere uno, nessuno e centomila queste differenti dimensioni ed evoluzioni psicologiche rientrano in un contesto: il nostro. Quale immensa ricchezza è il nostro sé! L’essere italiano, meridionale, l’essere nato con precise caratteristiche fisiche, l’aver vissuto particolari esperienze; questo consente di sviluppare un particolare linguaggio artistico le cui attitudini nessuno conosce, se pur a tutti sono visibili. Il fascino di una individuale educazione ai sensi e al pensiero appassiona l’essere umano, lo rende partecipe a qualsiasi evento. Io riesco ad essere Arte solo utilizzando il mio sé. La possibilità di confronto aumenta tra i “sé”; quanto più al sé ci avviciniamo, tanto più dal “me” ci allontaniamo. In ogni testo, in ogni personaggio, in ogni spazio e in ogni tempo c’è del “sé” ed è proprio questo che dobbiamo esprimere nell’Arte dopo averlo sufficientemente conosciuto. Ogni artista deve avere un proprio sistema del sé per potersi mostrare agli altri. Fondamentale nel Teatro è il rapporto con il pubblico, un rapporto di sudditanza emotiva, poiché forte è il desiderio di rendere partecipi gli altri al nostro sé divenuto Arte. Il confronto con il pubblico non si può sviluppare sul piano intellettuale, ma esclusivamente su quello emotivo. La comunicazione e l’espressione dell’individuo presuppongono un reagente. Chi è seduto in platea non vuole che si parli di lui, ma di LORO. Solo qualche imbecille autorità, da spettatore, per sfuggire al linciaggio teatrale, ride commentando ad alta voce: ”Questo istrione sta parlando proprio di me! Bravo, molto divertente”. L’essenzialità dell’Arte è nell’esplorazione della somma astrazione dell’umanità. Bisogna tendere ad una sintesi dell’astrazione dell’umanità e la componente più astratta dell’essere umano è proprio l’individualità, sostanza del sé. Damiano si accerta subito al cellulare dell’arrabbiatura di Fernanda: “Ti sei arrabbiata? Forse ho capito cosa ti ha dato fastidio. Ti ho baciata con la lingua. Scusa, ma credimi, non sapevo che un bacio in bocca tra un uomo e una donna si potesse dare senza la lingua”. Lei dopo un breve brusio che esprime tutta la malizia femminile, interrompe la comunicazione dicendo: “Non ti preoccupare” e sorridendo aggiunge “Tanto lo sapevo che sei un porco, lo dicono tutti in ufficio. Comunque non fa niente ti voglio bene lo stesso. Ci vediamo, ciao Damià”. Damiano è rabbioso perché sa che oramai niente può convincere Fernanda che lui non è un porco e che l’ha baciata semplicemente come sapeva.

un seminario a Corato Che cos’è il teatro? Simona: Qualcosa che non si può fare fuori. Carlo: Una liturgia del culto della verità. Cesare: Il fluire della vita. Beniamino: Come allievo: riscoperta dei sensi. Come spettatore: un’emozione, un evento Valentina: È un gioco in cui ci si confronta. Alessandra: Un misto tra analisi e immaginazione. Roberto Panichi: Pausa tra un’azione e un pensiero adesso. Roberto di Corato: Un’avventura. Non so ben dirlo. Alessandro: Un cantiere. Danilo: Prima reale forma di comunicazione. Leonardo: Vivere con passione delle vite diverse.

tenuto il

da

Fe d Ba e r i c rs o an ti

di

DELATRE N° 1

6-12 Marzo 2008 •Partire dal silenzio. •Prendere coscienza dello spazio. •Considerare lo spazio come qualcosa di solido. •Lasciare da parte inizialmente il testo. •Dare importanza alla respirazione. •Prendere coscienza del gesto teatrale. •Sfruttare lo sguardo. •Lavorare sulle calzature. •Porsi delle urgenze. •Lavorare su oggetti e ritmi associati agli oggetti. •Ascoltare la musica e lavorare sulla pausa.

Federico: Quello che vi ho proposto in questo seminario sono degli elementi che riassumono il lavoro dell’attore in scena. Non speravo di ottenere questi risultati e me ne felicito: ho trovato gli allievi dello scorso anno migliorati e gli altri, del primo anno, molto incuriositi. Sono soddisfatto del materiale che vi lascio e che insieme abbiamo affrontato. Tutto sta a vedere se e come voi vorrete portarlo avanti. La cosa fatta alla fine, una piccola vostra regia, è stata una cosa che non era in programma (almeno fino al penultimo giorno) e ancora prematura per soli cinque giorni di lavoro, ma avete sfoderato la vostra fantasia dando prova anche di discreta capacità di sintesi. È chiaro che, se vi aspettavate di poter mettere subito in pratica ciò che vi ho proposto in questi giorni, sareste stati degli sprovveduti…ci vuole un po’ di tempo per metabolizzare. Ho trovato un gruppo molto vario sia per il talento sia per l’attenzione e proprio su quest’ultima vi faccio una critica negativa. Una lezione per un allievo deve essere anche faticosa, stancante. In teatro si deve essere sempre pronti, come ci si rilassa si perde una quantità enorme di cose: sia quando l’insegnante parla sia quando i colleghi provano. La disciplina teatrale è il basamento. So bene di avervi dato da gestire moltissime cose contemporaneamente. Che cosa è il teatro per me? Il teatro è l’amplificazione (o “una” amplificazione) della realtà. Inoltre per me il teatro è stato ed è Rivoluzione, ribellione poetica. Claudia Sodini 5


DELATRE N° 1

Alla fine di febbraio Raffaella Panichi ha tenuto due seminari presso il Piccolo Teatro della Versilia su “La psicologia dei personaggi” e su “La Dizione Poetica”. Raffaella è attrice formatasi all’Accademia Silvio d’Amico di Roma ed ha lavorato nel corso della sua carriera con grandi attori e registi sia nel campo del teatro che del cinema (fra gli altri Aldo Giuffrè, Alessandro Haber, Ferzan Ozpetek, Giancarlo Giannini). Ma soprattutto, Raffaella è la FONDATRICE del Piccolo Teatro della Versilia (1982) ed è stata l’insegnate di Federico Barsanti a cui ha lasciato la scuola nel 1995. A conclusione del seminario per il corso avanzato Raffaella ha parlato dei tre giorni trascorsi insieme: il tutto è stato filmato...e così è nata l’idea di trascrivere semplicemente le sue parole e lasciare che fosse lei stessa a parlare...

Le conclusioni di Raffaella Panichi Se penso al seminario che si è svolto in questi giorni al teatro Delatre su “La psicologia del personaggio”, mi viene da dire che avremmo potuto dare molto di più se foste stati meglio preparati dal punto di vista della memoria. Avremmo potuto andare avanti e sviscerare un po’ di più soprattutto per quel che riguardava la prossemica; abbiamo potuto ottenere poco perché vedo che con la gestualità legata alla parola c’è qualcuno di voi che è veramente molto indietro e quindi c’è ancora tanto da pulire. La prima sera ero molto preoccupata perché ho visto una rigidità così forte che non riguardava soltanto la memoria. Sentivo proprio come se voi foste dei

6

pulcini che non avevano mai recitato in vita loro e ho pensato anche che poteste credere che il testo non fosse adatto (Non si sa come di Luigi Pirandello), ed invece, come avete visto, il testo era molto adatto a quello che volevamo ottenere. È un testo difficilissimo. C’è qualcuno di voi che mi ha ricordato la Giulia Lazzarini, e mi sono detta: “Ma tu guarda, abbiamo trovato un’attrice dello Stabile del Piccolo di Milano”, quindi ci sono stati anche dei momenti molto buoni. Dovete essere molto più sciolti e pensare che un attore è un attore in tutto il corpo, anche nel mignolino del piede destro e sinistro; bisogna capire che ogni gesto all’interno di una scena ha un suo valore. Non si può fare un passetto se non è calcolato che quel passo debba esser fatto. Vi state arricchendo dall’anca in su, ma dall’anca in giù ancora siete un po’ “pochini”. Quando si va in scena si irrigidiscono certi arti. Mi ricordo che c’era un attore, un bravo attore, che aveva il problema di tenere, quando parlava, il pollice rigido (stile autostop), e lui, che era già un attore bravo e riconosciuto, aveva deciso che quando andava in scena se lo incollava con lo scotch! Era una cosa inconscia

IL NOSTRO LAVORO

che gli veniva di fare, mi diceva “chissà perché c’ho questo”, lo chiamava “cazzo ritto”! Una posizione rigida in un arto irrigidisce anche tutto il resto. Vi siete mai chiesti come mai c’è un pavimento di legno in teatro? Perché deve vibrare: l’attore deve sentire che vibra, che la sua voce rimbalza, che il suo passare, il suo camminare vibra e questo vibrare è una carica che ha all’interno di sé, di energia che ha l’attore stesso e che il legno gli rispedisce. Capite? Dopo che avete fatto gli esercizi di respirazione e raggiunto la tranquillità, è fondamentale caricare in sé quell’energia necessaria che serve per entrare con sicurezza dentro la scena. Il momento delicatissimo dello spettacolo, dell’apertura del sipario, è che l’attore il pubblico lo deve “beccare subito”, prima che s’addormenti o prima che dica “oddio cosa sono venuto a vedere”. Infatti si sente immediatamente l’attore che non ha saputo gestire la propria adrenalina, il proprio stress: dal punto di vista vocale gli manca la voce e dopo circa mezzo minuto si sente un “Glop” e la voce non esce fuori. L’ attore deve arrivare a riconoscere che i propri arti spargono energia, che si muove in uno spazio e che questa energia che gli rimbalza deve ritornare su. Per questo io dico di fare attenzione alle vostri parti inferiori; quelle superiori in qualche modo si possono anche saper controllare, modulare con attenzione, con eleganza a seconda del personag-


DELATRE N° 1

IL NOSTRO LAVORO

gio; ma la parte inferiore diventa una specie di piombo, un freno per l’attore se non la sa gestire, se non sa capire che la sua energia deve arrivare fino al calcagno e deve rimbalzare con il pavimento di legno del palcoscenico. Poi non sapete per esempio che ci sono degli attori che amano andare in certi teatri perché quel pavimento non è mai stato rimosso per secoli e allora lì c’è un vibrare incredibile. Quando si rifanno delle pavimentazioni bisogna stare attenti a quale legno si usa, questa non è una barzelletta, è così! Come del resto anche per la sonorità di un teatro: quando si mette uno stucco in più gli si toglie una sonorità, un rimbalzo di voce. Il teatro più bello dove io sono stata è il Regio di Parma. Non solo hanno impiegato anni a rifarlo, ma sono andati a ricercare quei legni particolari di cui era in passato composto il palcoscenico. Niente è stato fatto nei restauri che non lo rendesse esattamente come era fatto prima. È un teatro grandissimo, un teatro lirico, tu stai nel centro del palcoscenico e se parli sottovoce ti sentono al loggione. Io sono rimasta sconvolta. Un teatro vibra perché è un “sancta sanctorum”, come quando si entra in certe basiliche: è talmente forte la vibrazione della preghiera che c’è, che c’è stata nei secoli dei secoli che tu rimani preso, senti che lì dentro c’è della santità, la stessa cosa quando tu entri dentro un teatro, senti che lì c’hanno vibrato voci. Non è una “fola” questa, è una realtà. E quindi sentitevi parte di questo mestiere che è anche qualche cosa di più alto, un vibrare. A parte il fatto che un attore quando dà qualcosa di sé stesso dona agli altri veramente un pezzettino di ciccia propria. La dà agli altri. È proprio uno svenarsi. Quando un attore porge nella maniera giusta un testo, insegna un pezzettino di vita agli altri: l’attore dà… se non altro un po’ di polmoni!

Il Piccolo Teatro della Versilia presenta la sua nuova produzione: “Le Disavventure di Pinocchio”, regia di Federico Barsanti, con gli allievi del corso di Formazione Attoriale, Valentina Gianni, Roberto Panichi, Camilla Santini e Claudia Sodini. Lo spettacolo è stato già presentato con successo presso la Scuola delle Arti della Comunicazione di Corato (Ba) e presso le scuole elementari di Andria (Ba) nel corso del gemellaggio tra il PTV e la scuola diretta da Francesco Martinelli (a Corato era presente, nel ruolo di Pinocchio, Serena Guardone, altra allieva del corso, che però, al ritorno, ha dovuto interrompere per motivi personali e nella nuova versione sarà sostituita da Camilla). Di seguito trovate un resoconto tragicomico delle disavventure del burattino e dei suoi compagni nella trasferta pugliese del PTV.

Quando si è parlato, io e Serena, di ciò che avremmo voluto mettere nella rivista, di sicuro abbiamo parlato di Pinocchio. Non di quel burattino sgangherato che sgambetta nelle favole dei bambini, ma del burattino di legno scuro, che inizia la sua vita vestito di un bianco candido per poi uscir di scena a quattro zampe con le orecchie da asino e con i calci nel sedere dati da un uomo che lo vuole tramutar in tamburo. Dal titolo della nuova produzione di Federico Barsanti, “Le Disavventure di Pinocchio”, è chiaro che l’intento sia di mettere in scena, con i ragazzi del corso di formazione attoriale del PTV, la vita travagliata di Pinocchio: e come poteva iniziare questo spettacolo se non in maniera travagliata? Le grandi premesse e promesse dei primi tempi hanno prima portato Valentina a letto con una micidiale influenza (evviva la medicina amara della fata cattiva) poi Camilla a star non meglio, Serena con lo stomaco di un uccellino appena nato e con l’Università a reclamarla, Roberto a piangere di lutto e Federico sotto le coperte con un classico mal di stagione. Io? Non gufiamo grazie. Insomma, alla fine siamo arrivati ad una settimana dalla partenza per Corato, dovendo tenere laggiù 4 repliche1, con soli 3 giorni possibili di prova, non avendo mai lavorato tutti assieme, o meglio, non avendo mai provato, perché gli occhi del nostro regista - mentre alle prove in 3 o in 4 ripetevamo “Qui ci sarà Camilla”, “Questo suono lo farà Valentina” ecc... - avevano poco di artistico e decisamente molto del rabbioso e malinconico Mangiafuoco. E allora viene ora da chiedersi: si può montare uno spettacolo in un solo week-end? Certamente sì, se questo viene detto dopo che si è riusciti a realizzarlo, a portarlo in scena con tanto di sipario, pubblico ed applausi… Ma prima che questo accadesse, la risposta era decisamente NO! No, quando abbiamo dovuto fare a meno di Camilla perché troppo debilitata per venire con noi in Puglia. No, quando con Camilla abbiamo perso narratore, fata, suonatrice di flauto traverso, xilofono e produttore di rumori vari (vedere lo spettacolo per capire e credere). No, quando nelle prove Valentina suonava lo xilofono che avrebbe dovuto suonare Camilla con una mano e con l’altra grat1

Tutte organizzate da Francesco Martinelli

7

Foto di Federico Barsanti - Rappresentazione ad Andria (Ba)

Le Disavventure di Pinocchio e non solo...


DELATRE N° 1

IL NOSTRO LAVORO

tava una forchetta su un pezzetto di legno tenuto stretto con le ginocchia (non avendo altre mani per tenerlo fermo). Ecc., ecc., ecc. E invece il no è divenuto sì. Perché tutto è stato fatto. Pinocchio è nato, ha vissuto, è cresciuto, rimanendo forse sempre un burattino, ma non morendo come avrebbe potuto fare se qualcuno di noi avesse ceduto (leggi soprattutto Federico). Abbiamo portato in Puglia un colossal. Una favola il cui libro è il libro più venduto dopo la Bibbia. Non eravamo nel nostro mondo fatato: siamo andati là senza che nessuno ci conoscesse e sapevamo che non avremmo incontrato giudizi basati sulla “simpatia”. E così il “no” è divenuto uno splendido “sì” quando abbiamo messo in scena “Le Disavventure di Pinocchio” al Teatro delle Molliche di Corato in un serale da tutto esaurito e con persone mai viste che si sono congratulate con noi al termine. Hanno applaudito le disavventure del burattino senza sapere delle disavventure di questi “sgangherattori” del corso di formazione… E Pinocchio in Puglia non si è certo fermato al Teatro di Francesco Martinelli: la “prima nazionale” sapete dove l’abbiamo fatta? Ci siamo ritrovati a recitare nella palestra di una scuola elementare di Andria (Ba), di quelle con il fondo in gomma, un’acustica orribile a far compagnia e delle splendide vetrate a darci tanta, tanta luce, annullando qualsiasi possibilità di poter creare una benché minima atmosfera. Nonostante queste grosse difficoltà è stata un’esperienza entusiasmante oltreché formativa e grandemente faticosa (2 repliche quella prima mattina). E che dire dell’ultima performance presso un’altra scuola elementare di Andria, una “scuola di frontiera” come l’ha chiamata il maestro Martinelli? In una sala con impalcature e nylon per terra (per lavori in corso che chissà se mai termineranno), abbiamo dovuto pulire (o almeno provarci) la moquette azzurra del piccolo palco, anch’esso completamente azzurro, con l’attenzione rivolta più a toccare il meno possibile, causa infezioni, che ad altro. Ma che bello è stato! E il povero Pinocchio, con tutti i suoi mal di stomaco ha sgambettato comunque e con forza (poi al ritorno si è scoperto la causa... neonata), è scappato di casa e poi tornato, è stato soffocato dalle parole di tutte le costrizioni sociali dalle sembianze semi umane di Geppetto, del Grillo Parlante, della Fata Turchina, del Gatto e della Volpe e di tutti coloro che con una mano hanno provato ad accarezzarlo, ma avendo poi dietro la schiena l’altra pronta con il bastone. Di questo parla lo spettacolo, che al momento in cui scrivo è ancora troppo intrecciato alle disavventure di noi attori, e così fatico a trovare le parole per un’analisi più teatrale e critica di una messa in scena che attendiamo ancora di perfezionare e che comparirà al Teatro “Delatre” a partire dai primi di aprile. Aggiungo che la versione che tutti vedrete sarà rinnovata nel suo personaggio principale: Pinocchio lo farà Camilla (e non più Serena) che nel giro di un pomeriggio è passata da essere semplice spettatrice a protagonista di un tour de force di prove nel week end di Pasqua. Sgangherattori appunto. Sicuramente non si tratta di una Favola. E lo spettacolo Federico lo sta elaborando dandogli due diversi tagli: adattamento per bambini e per adulti. Quindi, date un’occhiata alle date che trovate sul retro della rivista e venite a vederci! Claudia NOTE TECNICHE DELLO SPETTACOLO: “LE DISAVVENTURE DI PINOCCHIO” A cura di Federico Barsanti

Pinocchio il rivoluzionario, il ribelle, Pinocchio lo scoraggiato, il trucidato dalla società. Questo burattino disadattato, spaurito, coraggioso e ardito, questo ragazzino incosciente, sincero, si dimena, cerca di sopperire ai propri sensi di colpa, non demorde fino in fondo, fino al lieto fine che lo porterà alla fine certa. La lettura che Federico Barsanti e i suoi attori del Piccolo Teatro della Versilia fanno di questa opera monumentale è quasi una riscrittura, anche se il testo del Lorenzini rimane inalterato, pur subendo, per ovvie ragioni di tempo, dei tagli. Una riscrittura che parte dai bisogni interiori del burattino, dalle problematiche e dai grandi limiti di cui la società occidentale è portatrice. Lo spettacolo è privo di scenografie: quattro attori interpretano la vita di Pinocchio e dei suoi compagni conosciuti e non voluti, odiati ed amati. Sulla scena gli attori si trasformano senza tregua in musicisti (oltre a veri strumenti musicali sono impiegati oggetti di qualsiasi genere per produrre suoni, rumori, atmosfere), in narratori, in personaggi, tutto a vista e tutto dal vivo. “Le Disavventure di Pinocchio” narrano una vita di eccessi, di privazioni, di fughe e gioie incontenibili, di povertà e di affetti mancati, di ladrocinii e scorribande. Uno spettacolo struggente, spigoloso, ma anche divertente, uno spettacolo in cerca di cibo, quel cibo che, chissà, forse anche Pinocchio ancora oggi sta cercando con tanta veemenza.

8


DELATRE N° 1

IL TEATRO DEI RAGAZZI

M

Una cosa importante nel teaLa prima parola sul te atro RO! tro? T A I TE D STEFANO: I ritmi. e E ecitar ON ente R g l GABRIELE: Recitare. L o v n i Co CO LAURA: L’allegria. ES i Petrolin NICOL: Superare la vergogna. SOFIA: Bisogna molto recitare e mol Giocare e to divertirsi. Gaston MATTIA: Recitare e parlare bene. ne tonazio n I ALFREDO: Molte cose sono importanti: movie Cantar e mento, coordinazione. Recitar o c i n Perché ti piace fare teatro?: Mah, per la vita futura… Palcosce in generale… soprattutto per la vita futura… può essermi utile…

o s or zi C gaz a 08 R /20 07

20

MATTEO: Perché ti piace il teatro? Perché posso inventare tante scenette, e poi essere un po’ il protagonista e così facendolo mi diverto e non sto a casa a giocare sempre a fare lo scemo coi miei cuginetti; e poi perché è divertente e simpatico e quelli che lo fanno sono molto simpatici anche loro. NICOLA: Che cos’è per te il teatro? Per me è una specie di lavoro, anche per diventare famosi e per esercitarci nel parlare bene. CLAUDIA: Dimmi qualcosa sul teatro A me… mi piace molto e sono felice di venirci. Cosa provi prima di venire a teatro? Sono felice ed emozionata.

ANNA: Che cosa è per te il teatro? Intanto, oltre ad imparare a recitare, si può stare insieme, imparare a muoversi nello spazio, a parlare e poi è un modo per conoscerci meglio, non soltanto per recitare e fare teatro: la lezione serve anche per stare insieme.

P T V

LEONARDO: Come sono Luca e Mirtilla? Sono molto bravi perché insegnano molto bene e li voglio ringraziare per avermi insegnato così bene in questi anni.

TOMMASO: Qual è l’esercizio che ti piace di più a teatro? Tutti! Come sono Luca e Mirtilla? Sono bravi! Che cosa è per te il teatro? È una cosa bella che fa imparare, fa divertire e fa imparare tante altre cose.

MARGHERITA: Che cosa ti piace del teatro? I giochi che facciamo assieme agli altri compagni e poi anche le scene d’improvvisazione Nelle scene d’improvvisazione che cosa ti piace di più proporre? Ci sono tante cose… ma quando faccio una scena mi piace interpretare qualcuno d’importante oppure di simpatico.

ALESSIO: Qual è la cosa che ti piace di più in teatro? Recitare, stare insieme. Qual è una cosa importante nel teatro? La serietà nel recitare, cioè nel comportarsi.

a cura di Serena Guardone

Per informazioni sui corsi ragazzi: 3290685985 / 3387716795 www.piccoloteatroversilia.it

9


DELATRE N° 1

IL TEATRO DEI RAGAZZI

Disegni di Elena Buono

In questo nuovo spazio per i bambini ci proponiamo di farli parlare della loro esperienza teatrale e raccontare in che consistono alcuni degli esercizi principali di una lezione. Inseriremo qua e là commenti, sia da parte degli stessi piccoli grandi attori della Scuola, sia da parte di uno strano personaggio, Ermete, figurino a forma di S, tipo molto saggio e curioso, appassionato di teatro, luogo nel quale, però, combina solo disastri. Esercizio numero uno: LO SCERIFFO. Gli allievi si dispongono tutti in cerchio e il maestro si mette nel centro: da qui, volta a volta, finge di sparare ad un allievo, il quale deve prontamente abbassarsi, di modo che i due compagni che aveva a fianco (uno a destra, l’altro a sinistra) devono spararsi tra di loro. Serve prontezza di riflessi, perché, appena uno sbaglia, esce dal cerchio (mentre tutti, ovviamente, lo applaudono). Alla fine, quando rimane l’ultima coppia di abilissimi pistoleri, si passa al duello finale: i due si danno le spalle, il maestro elenca una serie di cose (ad es. i nomi dei bambini presenti nella sala, oppure delle regioni d’Italia) e, ad ogni parola, i duellanti fanno un passo: alla prima parola estranea, essi si voltano e sparano. Il più lesto, vince!

Tutti dentro il pentolone (eccetto Arlecchino) Quinta puntata

Stefano e Andrea del Giudice, allievi del corso ragazzi del PTV ci hanno spedito la quinta puntata! Un piccolo riassunto: Arlecchino, scampato all’ira del patron, decide con le 5 maschere (personaggi dello spettacolo “La vita è una Pacchia”) di andare a Roma in bicicletta. Nel bosco incontrano Piadino Gianduiotto e Arlecchino, a causa dei suoi debiti, gli vende due maschere, e per scappare alla pioggia si nasconde con le altre tre maschere in una catapecchia. Le regole per la prossima puntata? Ricordatevi del narratore, e poi: dovrete trovare una bella conclusione per questa avventura che ormai è giunta al termine: il primo testo teatrale scritto dal PTV al completo!! Chissà che non venga messa in scena... proprio dal corso ragazzi magari! L’autrice degli splendidi disegni è Elena Buono, anche la vostra storia sarà disegnata da lei... quindi FORZA!!!! Personaggi: Narratore: con un cilindro in testa e dei guanti bianchi, gira sempre con un grande bastone nero. Spazzolino: la simpatica maschera con le dita da drago. / Niurinuu: la dolce maschera rossa con i fiori in spalla. Swindolè: la maschera che fa più paura di tutte. / Oppà: la ranocchietta rosa dalle gambe verdi. Sciua: il pinguino arancione con il frac. / Arlecchino: una maschera divertente e stravagante, che ne combina di tutti i colori. Beccuccio: un uomo anziano, con un solo occhio, padrone di Arlecchino. Piadino Gianduiotto: uomo di una quarantina d’anni, amico di scherzi di Arlecchino, venditore di maschere al mercato nero. Arlecchino e le tre maschere entrano nella catapecchia e vedono che è disabitata. Nella casupola c’è solo una stanza con al centro un tavolino di legno e sopra un grande libro di filastrocche. Arlecchino prende dal tavolo il libro polveroso e, dopo aver dato l’ordine alle maschere di sedersi in semicerchio(e loro lo eseguono), inizia a leggere la prima filastrocca, quella di Pulcinella. Arlecchino “Io mi chiamo Pulcinella / Sono proprio molto bella / Tutti baciano il gattino / Che è di sotto al tavolino. / Siam contenti tutti quanti. / Voglio stare in mezzo ai santi / Che mi fanno divertire / Ogni giorno a tutte l’ore...” Spazzolino si mette a ridere

10


DELATRE N° 1

IL TEATRO DEI RAGAZZI

Arlecchino: Allora Spazzolino“te” garba la filastrocca, mattacchione! Spazzolino: Aoui, Alè , Spazzolino ?!? Arlecchino: E voi altre due invece (riferito alle altre due maschere) avete “du’ vise lunghe, bianche e sere come un cencio!” Swindolè: Arlecchì, no nursery rhyme1, ma il mi pancia vuol magnà!!! Oppà: Anch’io h’er lo stomago voto er le filastrocche er non mi piacciono! Spazzolino: Spazzolino?!? Swindolè: Archedul, piantala di di’ sempre “Spezzolino”!!! Oppà inizia a ridere a squarciagola Oppà: Ah,ah,ah Swindolè!!! Non si chiama mica “Spezzolino” ma “Spatolino”!!! Spazzolino: Spazzolinooooooooooooo!!! Arlecchino: Smettetela, mi avete stufato con “cotesti discorse” ed urlerie tutti ingarbugliati! Io non mangerò anche se sono più affamato di voi, “purché me son proprio un gran messere”. Poi non vi procurerò da mangiare, perché vi comportate male, né vi posso continuare a leggere queste canzoncine, perché sono fonte “de” litigio!!! Arlecchino ripone velocemente il libro sul tavolo e le maschere rimangono ammutolite dalle sue parole rabbiose di Arlecchino. Poco dopo, a suon di musica classica, le maschere e Arlecchino si addormentano di un sonno profondo. La mattina seguente il cielo è sereno (escono dalla scena le maschere), e quando Arlecchino si sveglia rimane pietrificato, perché esse non sono più con lui. Arlecchino: Ma che fine hanno fatto le “mi’” maschere?!!! Se ne saranno di certo andate via da “mi” perché non mi volevano più!!! (con tono disperato) Non possono essere andate lontane!!! (piangente) Devo ritrovarle immediatamente, sono la “mi’ fonta” di divertimento!!! (piangendo ed urlando) Arlecchino esce dalla baracca, prende la bicicletta e inizia a pedalare attraverso i sentieri del bosco cantando tra se e se “La vita è una pacchia pè–rè–ppè-pè”. Ad un certo punto entra Piadino Gianduiotto. Arlecchino lo incontra per la via e smette di canticchiare. Arlecchino: “Guarde che se rivede”(tra sé e sé)… ancora qui a girovagà per la selva? Ma dove son le “mi” belle maschere che ti ho consegnato ieri sera nel “Bosco della Morte Felice”? Piadino gianduiotto: “Me son propr’io, un gran venditor”. Esse l’ho vendute ier sera ad un prezzo molto elevato in una locanda qua vicino a “du’” omini. Uno era il “veccio patron” Beccuccio della Casata Veneziana “Dei Palesi”, l’altro era vestito in giacca e cravatta, e si chiamava, “Non poì sapè”, proprio come te, ed era come te un semplice servo veneziano. Arlecchino: Anch’essi ancora qui?!? (tra sé e sé, con tono di meraviglia) Allora tu hai venduto proprio a loro le maschere che io t’ ho dato. Piadino Gianduiotto: Certo!!! Arlecchino: Comunque nei dintorni hai per caso visto le “mi” tre maschere? “Me” son scappate, ed io devo “retrovarle”. Piadino Gianduiotto: Certo che sì, mio compare e amico di vagabondaggio! “Mè henno ghiesto” proprio qui, dove siam “mò”, stamane all’alba, delle informazioni su dove potevano mangiare ed io “glie ho consegliato” la piccola locanda denominata “La Pentolaccia”, proprio quella “dov’io” ho incontrato casualmente quei due signori così fessi di cui t’ho narrato poco prima. Questa piccola bettola2 si affaccia sul lago “Pacchia”. I proprietari di essa son le tre maschere veneziane “Pentolone De Vita, Cosmio De Brocca e Mezzettino Dei Custodi Minori”; e la maschera calabrese, bugiarda e paurosa, dal naso deforme e con voce stridula, è chiamata “Giangurgolo”. Arlecchino: Queste bautte3 non le ricordo, ma le considero già mie amiche… o compare, le mie tre maschere si troveranno sempre lì? Piadino Gianduiotto: Certo, certo che sì, la locanda apre a quest’ora, e dista poco tempo da qui. Arlecchino: Il luogo lo “cognosco”, ci son passato ieri, credendo che fosse Roma, però da qui non “mè rivegno”. Mi potresti spiegar il modo per arrivare. Piadino Gianduiotto: Non importa, “te ce porto mè” al lago Pacchia; “cognoscio” un mezzo spiccio4 che ci porterà lì in un battibaleno, ma lascia qui la “tu’ bici”, andando a piedi è molto più semplice arrivare. Arlecchino: Va bene, nessun problema, farò come tu mi hai appena consigliato. Arlecchino appoggia a un tronco di un albero la bici e insieme a Piadino Gianduiotto si avvia lungo il sentiero, al suon di una musica celtica. … Continuatela voi!!

1 2 3 4

Nursery Rhyme: parola inglese che significa”Filastrocca” Bettola: sinonimo di “Locanda” Bautte: sinonimo di “Maschere” Mezzo Spiccio: sinonimo di “Scorciatoia”

Stefano e Andrea del Giudice.

11


DELATRE N° 1

IL TEATRO DEI RAGAZZI

Commento al “Delatre” di Andrea Del Giudice Ho letto tutti i numeri del giornalino del Piccolo Teatro della Versilia: il numero zero bis mi piace, ci sono stati due articoli molto interessanti di Federico Barsanti e di Francesco Martinelli, uno sullo spettacolo di Neri Marcorè, ci sono le interviste a Giovanni Fusetti, ad Enrico Bonavera, c’è un articolo sulla rappresentazione de “Le Bravure del Capitan Spaccamazza” e uno sulla “Lectura Dantis”. Insomma in questo numero ci sono tante cose, ma forse ce ne dovrebbero essere di più: sono mancati il continuo della Favola, gli articoli dei bambini e dei ragazzi (a dir la verità ce ne sono stati pochi fino ad ora), articoli scritti dagli attori adulti di qualunque corso. In questo numero insomma sono mancati gli

Attori del Piccolo Teatro

Della Versilia, la parte fondamentale per questa rivista. Senza di loro, il “Delatre” non esisterebbe. Nessun attore del PTV ha scritto niente in questo numero, ma a me piacerebbe molto che qualcuno scrivesse sul teatro, sulle sue esperienze personali di vita, su come mai si è avvicinato al teatro, su uno spettacolo o un concerto musicale che ha visto e che lo ha emozionato. Per questa mancanza il numero zero bis è stato uno dei “meno belli e invoglianti alla lettura”, assieme anche al numero zero, perché non mi è piaciuto il fatto che siano state riempite tre pagine con la biografia di Marcel Marceau e la terza scena del terzo atto da “Il Teatro Comico” di Goldoni, che non c’entrano niente col nostro Piccolo Teatro. Queste tre pagine dovevano essere riempite con articoli inerenti all’attività della scuola. Parlando di Goldoni e di Marceau, figure importantissime per il Teatro, si perde completamente il concetto di “Delatre” generalizzandoci sul concetto di “Teatro” in termine assoluto. Tra tutte le riviste quella che mi ha emozionato ed appassionato di più è stata la -3, e il mio consiglio è di rifarvi per i prossimi numeri a quel modello. Cosa mi piacerebbe trovare nel prossimo numero? Uno spazio (intitolato “Lo Sfondone degli Artisti), in cui tutti gli attori del teatro facciano un commento (una frase, due ciascuno…) su una determinata domanda. La domanda cui vorrei che tutti noi si rispondesse e “Che cos’è per voi il Teatro?”. Spero che questa mia idea venga accolta. Andrea del Giudice. 17 anni - Allievo del Corso Ragazzi del PTV da 9 anni.

Caro Federico... Caro Federico, la traccia su cui deve essere improntata questa lettera è troppo vaga perché ne esca qualcosa di perfettamente sensato. Chiedere ad una persona di scrivere di sé apre la porta a troppe possibilità di uscita dei flussi di pensiero. Inoltre c’è l’inconveniente del poter sfociare nell’assolutamente banale o addirittura nell’assurdo. È difficile risolvermi in un’unica soluzione a parlare di me poiché sono estremamente mutevole. Tutto è mutevole: le persone, la vita, la realtà stessa, ma in me questa mutevolezza è particolarmente accentuata. È una continua agonia inconscia e prevede un fitto scambio di sensazioni che prevalgono continuamente le una sulle altre e mi portano ad indossare quella molteplicità di maschere che formano la mia complessità. Non pensare che siano maschere apparenti e ingannevoli indirizzate a capire o esaltare determinati lati del carattere sotto un’apparenza borghese. Non metto maschere per falsificare me stessa, ma semplicemente sono ognuna di quelle maschere. Maschere che lavorano inconsciamente a creare una determinata presenza nella fitta rete di rapporti umani di cui è ricca l’esistenza di una persona. Come vedi, parlare di me è praticamente impossibile: bisognerebbe amalgamare questa mutevolezza e questa molteplicità in un tutto cercando di trovare un’unità. Ma questo porterebbe probabilmente su un piano di irrealtà che dilaterebbe ogni schema logico e razionale… Questo pensiero mi riduce a credere che forse esista un punto dello spirito da cui la vita e la morte, il reale e l’immaginario, il passato e il futuro, il comunicabile e l’incomunicabile, l’alto e il basso cessino di essere percepiti come contraddittori. Idea impossibile per un materialista razionale, ma motivo di ricerca affascinante per un sognatore surrealista che non ha altro movente che non sia la speranza di determinare questo punto. Nel teatro colgo, percepisco questo punto in una provocazione di contraddizioni, nella concretezza del sogno, nella comunicazione dell’arte, nella rivoluzione culturale. Della concretezza del reale percepisco solamente l’odore delle tavole del palcoscenico che esalta il mio estro nell’eccitazione che è propria dell’amore. Salvator Dalì probabilmente lo avrebbe definito: “bello come l’incontro casuale di un ombrello e una macchina da cucire su un tavolo anatomico”. Con affetto e stima Rebecca Guerra 17 anni. - Allieva del Corso Ragazzi del PTV da 6 anni

12


DELATRE N° 1

IL TEATRO DEI RAGAZZI / CRONACHE DALL’ESTERNO

Un Pensiero su “Esisto Ancora... per non dimenticare” da parte di uno degli studenti che l’ha visto nel matinée del 14 febbraio al Teatro Comunale, Pietrasanta. In concordanza col programma di storia e letteratura, la classe IIIA, la mattina del 14 Febbraio si è recato al Cinema Comunale per vedere lo spettacolo organizzato dal Piccolo Teatro della Versilia intitolato ‘Esisto ancora... per non dimentiare’. La rappresentazione, composta da testimonianze inerenti lo sterminio e la deportazione degli Ebrei, degli zingari e degli omosessuali, è stata veramente toccante. Infatti lo sfondo nero introduceva un’atmosfera cupa e tenebrosa, che, rafforzata da una colonna sonora alquanto malinconica, trasformava il teatro e pareva davvero di trovarsi nelle sconfinate pianure nordiche, avvolti dal freddo e dalla disperazione dei deportati. Intanto, accanto ad una voce fuori campo che recitava con cruda fermezza i racconti di alcuni detenuti, nella scena si muovevano i prigionieri. Essi, con le loro urla spaventose, con le loro invocazioni, coi loro pianti, con i loro volti appena illuminati da luci tremolanti e precarie come la vita, facevano comprendere l’atrocità delle macchine di sterminio quali il calore dei forni crematori, il crepitare dei mitra e la cruda staticità dei fili spinati, ma anche la più spietata di queste: l’uomo, che spinto da assurde ideologie, diventa un automa. Le grida feroci dei nazisti sembravano spezzare un silenzioso equilibrio fatto di terrore, interrotto da qualche straziante urlo, che nel momento della morte esprimeva la pura sincerità dell’animo umano. Poi gli attori sono scesi in mezzo al pubblico e le loro espressioni affannate, i loro corpi attaccati alla vita, suscitavano un indescrivibile senso di ansia mista a sorpresa, di pietà insieme a disagio. Al termine della rappresentazione, quando ormai la tensione interiore tormentava lo spettatore, tale carica emotiva veniva rotta dalla frase “Esisto ancora... per non dimenticare”, ripetuta più volte dall’intera compagnia teatrale. Allora appare chiaro il senso di questa tribolazione, perché ricordare è doloroso, ma ripetere tragedie simili lo è di più. Tiziano Diodati IIIA - Scuola media Stagio Stagi, Pietrasanta.

Nel mese di marzo, lo spettacolo “Le Bravure del Capitan Spaccamazza”, regia di Federico Barsanti, con Gabriele Guarino e Laura Pece (della Compagnia Balagàn, Roma), è stato presentato a Roma alla I° Rassegna Artigiani del Teatro (Teatro Agorà) e alla Rassegna Teatro Ragazzi di Lamezia Terme (Catanzaro). Al termine di questa serie di repliche, Gabriele fa il punto della situazione fornendoci una particolare recensione dello spettacolo di cui è protagonista.

FORME DEFORMI E DIFFORMI IN FORMAZIONE di Gabriele Guarino (Compagnia Balagàn - Roma - www.compagniabalagan.it )

Le Bravure sono in piena navigazione. Lo stesso Colombo, nella sua avventura, si è trovato perso; ma poi, aggrappandosi al suo credo, è arrivato a una destinazione diversa da quella prevista, dalla quale poi ripartire; la Terra è rotonda… una forma interessante, in costante movimento, in costante formazione. La prima di Ronciglione (VT) ha chiarito i punti deboli dello spettacolo, e quindi il lavoro da fare. Il pubblico ha reagito in maniera diversa: chi mostrava un cauto gradimento, chi non pareva convinto dell’operazione, chi addirittura ne è rimasto infastidito, ma anche chi ne è restato esaltato! Questo spettacolo ha creato sin dall’inizio difformità di vedute. Abbiamo quindi ripreso il lavoro, senza Federico presente, ma sulla base di un confronto sincero con lui, per stabilire insieme nuove direzioni ed eventuali modifiche. Cerchiamo tutt’ora un costante punto di sintesi tra ciò che sentiamo di esprimere e il gradimento del pubblico, consci del fatto che, da un lato non si può essere schiavi dell’approvazione dello spettatore, e dall’altro che fare arte implica necessariamente il chiedersi cosa arrivi ad esso e come. Con questo spirito ci siamo rimessi a provare: erano passati un po’ di giorni da Ronciglione e, fatalmente, i nostri personaggi erano pervasi da un fuoco nuovo, inspiegabile, che nelle due repliche successive, al Teatro Agorà di Roma, ardeva ancora forte. E in scena si è visto, pur non eliminando la difformità di opinioni. Cos’era cambiato? Eravamo Deformi. Deforme nel senso di extra-quotidiano, sorprendente, vero, specifico, dettagliato. Siamo così partiti per Lamezia Terme (CZ), dubbiosi nel proporre lo spettacolo alle scuole. I ragazzini però, come spesso accade, hanno delle reazioni completamente imprevedibili. Allora la difformità esplode e ti salva dal rischio di lavorare meccanicamente, perché quando Trappola presenta pubblicamente il Capitano, e i ragazzi lo acclamano a gran voce, contrariamente a quanto il Capitano si aspetti dalla storia, nella quale l’immobilismo del pubblico giustifica la sua solitudine, tu attore devi trovare immediatamente altre soluzioni credibili. E devi cercare di non tradire la tua deformità, ma al contrario di penetrarla ancora più a fondo e trovare in essa degli appigli per continuare a vivere come personaggio, rischiando di arrivare magari in America, credendo di arrivare nelle Indie!

13


DELATRE N° 1

CRONACHE DALL’ESTERNO

Intervista a Jonathan Bertolai Jonathan Bertolai è stato allievo del Piccolo Teatro della Versilia dal 1999 al 2003. Dal 2006 fa parte della Compagnia del Carretto di Lucca e con lo spettacolo “Pinocchio” è stato recentemente in tournée a New York presso “La Mama Theatre”. In questa intervista ci racconta la sua esperienza, dal PTV all’America.

Qual è stato il tuo percorso di formazione attoriale? Sono entrato nel PTV quando avevo 15 anni e sono rimasto per 4 anni. Dopo un’esperienza al Teatro Verdi di Pisa con Ugo Biagiotti, sono poi stato fermo e mi sono avvicinato al cinema facendo qualche corto. Nell’agosto 2006 ho fatto il provino al Teatro del Carretto di Lucca: ho portato un pezzo di un’improvvisazione che avevo preparato qui al PTV e che parlava del nascondino; una scena un po’ noir presentata anche al saggio che si faceva a fine anno alla scuola. Hai fatto anche altro: studio, lavoro? E quali sono i tuoi progetti per il futuro?

Come ti sei trovato a lavorare con la compagnia? Dovrei fare un secondo allestimento per dire veramente qualcosa, perché ho impiegato molto tempo a capire cosa chiedevano e cosa volevano. Mi dicevano Voglio che mi fai un bel mancamento, non da burattino ma nemmeno naturale… Questi “mancamenti” sono dei cedimenti, degli svenimenti e servivano a cercare la sostanza dei personaggi: all’inizio è stato molto difficile… poi ci entri dentro e ti diverti un po’ di più, ma all’inizio vai anche in crisi… La vostra messinscena di Pinocchio è uno spettacolo di maschere, molto improntato sul corpo. Parlacene un po’! Fa malissimo alle ginocchia! Sono uscito con le ginocchia distrutte. Questi “svenimenti”, “mancamenti” di cui dicevo poco fa si basano su un lavoro specifico sulle articolazioni – spalle, ginocchia, collo - ed è molto difficile perché devi trovare movimenti continui e non troppo schematizzati. Dello spettacolo direi che starci dentro è molto interessante: hai un collegamento molto forte con i suoni, con gli altri… siamo un piccolo orologio. Bisogna essere molto sincronizzati, aiutarci gli uni con gli altri, avere molto occhio: tutto è matematico, precisissimo. In sé lo spettacolo è un po’ crudele: sarebbe anche comico, ma non emerge molto.

Come funziona la Compagnia del Carretto?

Chi sei nello spettacolo?

La compagnia esiste dall’83. Hanno realizzato molti allestimenti: La bella e la bestia, Biancaneve, Pinocchio, Romeo e Giulietta, Sogno di una notte di mezza estate, Iliade e Odissea. Non è una compagnia stabile. La regista è Maria Grazia Cipriani, lo scenografo Graziano Gregari. Ogni allestimento comporta: provino, laboratorio per la selezione degli elementi e messa in piedi dello spettacolo. Tutti i ruoli sono divisi: ciascuno fa il suo lavoro, attore, regista, macchinista, elettricista, scenografo. Lo spettacolo parte da un’idea chiave della regista che scrive una drammaturgia - tipo canovaccio - selezionando le scene che

Il coniglio bianco, un assistente della fata, Elsa Bossi (diplomata allo Stabile di Genova) che è bravissima e che mi insegna tantissimo, poiché si lavora sulle piccole cose. Poi sono un co-

14

Fonte Internet

Ho frequentato Ragioneria e tutt’ora sono iscritto al DAMS di Firenze che, con calma, intendo finire. Ogni tanto lavoro come cameriere. Entrare in una scuola sarebbe un po’ costoso, anche perché ora sono in un giro che mi permette di lavorare e non posso mancare quando per es. ci sono le tournée.

preferisce sottolineare. A quel punto, senza nemmeno i testi in mano, sapendo più o meno cosa ciascuno deve dire all’altro, si lavora sull’improvvisazione. In questa fase c’è collaborazione dall’esterno: ti dicono Questo va bene, questo va male… prova a fare così. Per l’allestimento di Pinocchio sono occorsi quattro mesi, tutti i giorni dalle 15 alle 22. Il 20 settembre sono iniziati i lavori e il debutto è avvenuto il 22 dicembre.


DELATRE N° 1

CRONACHE DALL’ESTERNO

niglio nero del funerale, la volpe, un carcerato e un bambino del Paese dei Balocchi.

Replicare tante volte lo stesso spettacolo: ripetizione e\o invenzione?

Come si sta nel Paese dei Balocchi?

Beh… quando ti trovi in Sardegna a Liscia di Vacca, in un teatro brutto come pochi, vecchissimo e dove ci sono novanta persone a vederti è difficile tirare fuori un po’ d’energia… però, a quel punto lì giochi e tiri fuori cose strane e allora arriva qualcosa, anche se poi lo spettacolo è precisissimo, matematico e sono concesse poche variazioni per rispettare una partitura molto dettagliata.

È tremendo, osceno, è pornografico: c’è quest’omino di burro con le mutandine rosa e l’accappatoio rosso che sta in mezzo a noi bambini e ci accarezza tutti, mentre noi lo guardiamo, presi, innamorati… tremendo. Come nel testo: ha la faccia di burro, tutto dolce, tiene le ruote del carro fasciate di stoffa per non farsi sentire e morde un orecchio ad un asinello… terribile, terribile… Siete da poco tornati da una tournée a New York. Cosa ti ha colpito di più dell’America, a livello teatrale? Sono stato abbastanza contento di scoprire che col teatro non sono messi meglio di noi. Ho avuto la fortuna di vedere uno spettacolo del Living Theatre al Living Theatre con Judit Malina: lei ha più di 80 anni, recita ancora, lo spettacolo non era poi così sperimentale. Ci hanno raccontato che hanno fatto fortuna negli anni ‘70 e si sono comprati un po’ di case che adesso affittano e se la giocano così, ma a vedere lo spettacolo eravamo noi del Carretto, 15 persone, più altre 5 o 6. Questo era l’Off Off Broadway, ossia la prosa un po’ più sperimentale. Noi stavamo al La Mama Theatre e nemmeno quello se la cava tanto bene. Tutto è molto “business”: un musical è ok, altrimenti no. È un’industria. Non ho apprezzato nemmeno come le compagnie lavorano: laggiù fanno tutto tutti. Il problema è che i teatri danno molto meno come stipendio e quindi chi vuole fare teatro se la deve cavare così: Sono l’attore ma faccio anche l’elettricista, io faccio il macchinista ma ballo. E in generale, la tua esperienza dell’America? Siamo stati 3 settimane. Ero nella foresteria sopra il teatro, nell’East Side. La città ti mangia, non ci vivrei mai: è grande, rumorosa, non trovi mai il silenzio, a nessuna ora, in nessuno posto: devi farti quaranta minuti di metropolitana, arrivare a Coney Island, andare sul molo, però, ci sono gli elicotteri! La gente non sta tanto bene: c’è il rischio della solitudine. Però ci sono anche molti stimoli: ero nella zona universitaria, negozi vintage, tanta musica dal vivo, sono stato anche al Metropolithan Opera, bellissimo, gigantesco, solo a vedere il sipario aprirsi mi sono venuti i brividi: ho visto Il Barbiere di Siviglia. Il vostro spettacolo com’è andato? Abbiamo fatto 12 repliche di Pinocchio e 6 di Biancaneve, spettacolo coi burattini costruiti a mano dallo scenografo Graziano Gregari che gira dall’83 ed è stato quasi in tutto il mondo, Sud America, Nord America, Giappone, il Cairo, l’Europa tutta… manca l’Oceania; a New York ha sempre fatto sold out perchè funziona anche coi bambini - Pinocchio meno.

Cosa ne pensi delle grandi scuole di formazione attoriale (tipo Stabile, Accademia Silvio d’Amico, etc.)? Pinocchio, Giandomenico Cupaiolo, ha fatto l’Accademia Silvio d’Amico, ha 28 anni e si è già fermato, è protagonista in due o tre spettacoli, ha un paio di registi che lo apprezzano così com’è e quindi ha un po’ fermato la sua formazione. Diversamente Elsa Bossi, diplomata allo Stabile di Genova, è in continua formazione. Quindi, direi che le scuole sono utilissime, ti danno una base, un metodo, ma poi dipende dal singolo attore. Quale scuola sia migliore io non lo so. Ciascuno parla male della propria… Una parola per il teatro. Io quello che sapevo prima di entrare nel Teatro del Carretto lo sapevo grazie a Federico, grazie a questa scuola. Il ricordo più bello sono i primi anni, il primo anno: eravamo a Viareggio, alle scuole medie Viani… mi ricordo che uscivo di lì proprio contento, cantavo in motorino con la gioia nel cuore. Il primo esercizio? Ballare. L’esercizio più difficile? Improvvisazione: ero sempre l’ultimo ad andare e c’era quella che andava e quella che no. Mi capita così anche adesso, lavorando col Carretto: parti e magari dopo due minuti vedi che non vai da nessuna parte e ti fermi. Quando non vai da nessuna parte è giusto fermarsi, secondo me… invece Federico è un po’ più sadico (ride): “Vai avanti!” –“Ma no, Federico…”- “Vai avanti!”-“ Ma no, dai…non va”- “Vai avanti!” Un po’ più sadico.(ride) a cura di Serena Guardone e Claudia Sodini

15


DELATRE N° 1

PENSIERI E TEATRO: UN PO’ DI TEORIA

Giorgio Strehler (14 agosto 1921- 25 dicembre 1997) Giorgio Strheler, in primo luogo, scrittore: nel sito del Piccolo di Milano sono archiviati più di un centinaio di suoi scritti, fra discorsi pubblici, appunti di regia e lettere agli artisti1. Poi, uomo di teatro: attore, regista e direttore artistico, allievo di Coupeu, Jouvet e Brecht, di cui fu grande amico; cittadino d’Europa fin dai suoi natali in una famiglia dalle tante origini in una Trieste dalle molte culture intrecciate; uomo socialista, impegnato nella politica, anche da senatore a vita, pulpito dal quale ripeté più volte le stesse parole inascoltate sull’articolo 9 della Costituzione italiana ancora troppo disatteso. Questo per dirlo in poche battute. Quello che colpisce di più nella vicenda di Strehler è la forza con cui in lui si sono trovati uniti numerosi tragitti troppo separati –teatro, politica, musica- all’interno di un progetto che può essere definito di grande e profondo umanesimo e che vede nel teatro un fatto della, e per la collettività. “Mi dà fastidio la parola IO, io dico NOI”. Caratteristica di S. è l’ impegno sociale e civile, una conoscenza del mondo in cui il teatro viene fatto, un atteggiamento contrario ad ogni forma di chiusura estetica: la bellezza come chiarezza di espressione e come coscienza del circostante. “Noi giovani, usciti dalla Resistenza, sentivamo l’immenso bisogno di chiarezza e onestà, di affidare, la nostra vita ad un’opera che non fosse un avvenimento privato o provvisorio, ma a qualcosa che si protraesse nel tempo”. Con questa premessa nasce il Piccolo Teatro di Milano, con la “scelta di fare un teatro ancorato alle istituzioni, pubblico, legato alla collettività, che metta in moto idee e sentimenti”. Ma nel ’68 S. sceglie di lasciare via Rovello (sede del Piccolo) dopo 25 anni di direzione artistica, per “stimolare il teatro di gestione pubblica a riformarsi”, e dà vita al Teatro Azione, una compagnia autonoma che, dopo pochi anni, abbandona per seguire l’ancora più grande sogno del progetto del Teatro d’Europa a Parigi: “Si illudono coloro che pensano all’Europa come solo ad un mercato più grande da conquistare e spero che il patrimonio ideale dell’Europa non sarà sommerso da un mare di schiuma di detersivi e da una valanga di beni consumo, compresi quelli culturali”. S. era nato a Trieste, da madre slava, padre viennese, nonna francese e in casa sua, diceva, “l’Europa era già fatta”, credeva in un Europa degli uomini, in una comunità democratica di eguali che si confrontano: mi spingo a dire che sarebbe stato colpito dal nostro gemellaggio Seravezza-Corato, ma che avrebbe chiesto a ciascuno di noi maggiore partecipazione, maggiore comprensione delle differenze, maggiore responsabilità nel confrontarsi. “Il teatro serve a far stare insieme la gente perché possa dividersi, discutere su se stessa e sui problemi della società e del mondo”. “Il regista è un attore che ha deciso di uscire dal coro degli attori e aiuta gli altri a capire il fatto a cui si riferiscono”, “non mi vedo come uno strumentista che deve da solo creare il suo mondo, per me il fatto creativo è collettivo nell’atto stesso in cui si fa e si pensa”, “fra attore e regista deve esistere un rapporto dialettico e talvolta ci si scontra. Certo, al giorno d’oggi il compito del regista consiste anche nel dover dare chiarimenti all’attore. Ma in un lavoro collettivo deve succedere che anche l’attore spieghi al regista quello che, a suo parere, il regista non ha capito”; S. concepisce l’attore come qualcuno in grado di sintetizzare una “capacità di essere tutto sulla scena in un abbandono di sé” con“la presenza di un’umana e lucida razionalità, un pensiero vivo e critico, operante”. “Sono spesso accusato di perfezionismo: non capiscono che l’arte ha a che fare con la scienza, cerca sempre di arrivare più in là, non è mai contenta, l’arte non si ferma mai.” Scrive allo scenografo Fabrizio Clerici, che già aveva ultimato tutte le scene per la Vedova Scaltra, più volte approvate dal regista: “In questi ultimi giorni sono giunto ad alcune conclusioni che mi portano ad una totale revisione dello spettacolo. Posso io dirti: rimettiamoci al lavoro con calma, sulla nuova strada e rifacciamo tutto da capo?”. Oltre a Goldoni (e le numerose edizioni del Servitore di due padroni sono un altro esempio concreto dell’incontentabile ricerca artistica del regista), S. ha regiato Shakespeare, Brecht, Chekov e alcune opere liriche all’insegna del grande sodalizio affettivo e artistico con Riccardo Nuti (collaborazione innovativa nella tradizionale prassi italiana per cui regia d’orchestra e di teatro lavoravano separatamente): “Mozart mi ha sempre aiutato nella mia vita, di uomo e di artista, mi ha insegnato la capacità di essere felice e di essere estremamente infelice e quello che mi può ancora insegnare adesso, e che non ho ancora imparato bene, è la rassegnazione”. Verso la fine della sua vita, S. fa ritorno all’alveo dei “bambini”, gli attori, e alla direzione del Piccolo, dove dà vita all’ultima sua regia; una vita, la sua, senza rassegnazione, di continua e appassionata rinascita. “Io non so come dirigo. Il gesto che talvolta le fotografie rubano alle prove, mi sorprende, come appartenesse ad un altro…Lassù sulla scena, ogni giorno, si svolge una misteriosa e sconvolgente opera d’amore, un esercizio spirituale e fisico al tempo stesso. Non è facile riconoscersi in quest’azione così violenta e travolgente. Il lavoro del teatro è fatto da ognuno di noi, senza specchi che riflettano una nostra immagine. Ecco perché non so come dirigo. Si può forse sapere ‘come’ si respira, come si esiste?” Serena Guardone

1 Le citazioni contenute nell’articolo sono state tratte da documenti presenti in questo stesso archivio (www.strehler.org/page/index. php?sez=2) e dai filmati andati in onda durante la puntata speciale del 25 dicembre 2007 di Palcoscenico su RAITRE. 16


DELATRE N° 1

PENSIERI E TEATRO: UN PO’ DI TEORIA

“Una stanza tutta per sé, la donna, il teatro e altre farneticazioni” di Vanessa Tonarelli, allieva del Corso di “Educazione al Teatro” del PTV da 4 anni.

Un piccolo spazio fuori dal tempo, un margine immacolato dove inventarsi e reinventarsi, un luogo ameno che si stacchi dalla realtà. “Una stanza tutta per sé”, come la chiamava la grande scrittrice inglese del secolo scorso Virginia Woolf. Fino alla Prima Guerra Mondiale, in Europa le donne erano considerate intellettualmente inferiori agli uomini e di conseguenza esenti dalla possibilità di studiare e di lavorare, destinate ad un unico ed avverabile ruolo, quello di angeli del focolare. Sulla base di questo scioccante concetto, la Woolf proprio nel saggio “Una stanza tutta per sé” (nato nel 1929 dall’esperienza di due conferenze da lei tenute sul tema “donne e romanzo”) denuncia questo atto di prevaricazione maschile ed esorta tutte le donne ad emanciparsi a livello intellettuale ed economico, a trovare, appunto, una stanza tutta per loro dove potersi esprimere liberamente attraverso l’arte, ma non solo. “Le donne hanno avuto meno libertà intellettuale degli schiavi ateniesi. Le donne, dunque, non hanno avuto la minima opportunità di scrivere poesia. Ecco perché ho dato così tanta importanza al denaro e ad una stanza ‘tutta per sé’ […] In un modo o nell’altro, spero che sarete in possesso di denaro sufficiente per viaggiare e per oziare, per meditare sul futuro o sul passato del mondo, per sognare sui libri e vagabondare per le strade e lasciare che la lenza del pensiero scenda fino in fondo al fiume.”1 Se questo assurdo atteggiamento ha tarpato nei secoli le ali a chissà quante aspiranti scrittrici, che cosa potremmo dire delle donne ed il teatro? L’iter è pressoché identico, rimane un vuoto inquantificabile, una storia con un gigantesco punto interrogativo sopra: come possiamo, infatti, parlare di un qualcosa che non è stato, o che è stato solo in parte, ma non sicuramente come avrebbe potuto essere? Volendo fornire un breve quadro della storia che vede protagonista la donna nel teatro, ci sorprende costatare che: • Prima del Cinquecento, quasi nessuna traccia di autrici per il teatro: solo nei conventi, isolate dal resto del mondo, alcune religiose mettono in scena drammi e commedie. Roswita von Gandersheim ne è un felice e raro esempio. • Stesso scenario, ma ubicazione diversa, nel Rinascimento. Palcoscenico: la corte. • Finalmente con la Commedia dell’Arte (1500 circa) le donne hanno ruoli rilevanti nelle compagnie, diventano protagoniste sulla scena, scrivono il “canovaccio” e sono persino capocomiche!!! • Dopo questo colpo basso per il genere maschile, per altri duecento anni le donne ritornano nell’indifferenza e nel silenzio. • Al suono di: liberté, égalité, fraternité, le rappresentanti del gentil sesso riescono ad unirsi al coro e ad ottenere ruoli di prim’ordine nel teatro. • Di nuovo troppa “emancipazione” femminile non piace e per più di un secolo e mezzo la censura e le “buone maniere” tornano a far da padrone. • Solo dal 1970, con il movimento femminista cessa quest’ inammissibile modo di vivere la realtà. Si tratta di un momento d’estrema partecipazione del mondo femminile per il femminile, quello che poi getterà le basi delle future battaglie (ancora in atto) per i diritti negati. Alla luce di questi sconcertanti fatti storici, sarebbe bello terminare quest’articolo con toni più rosei, parlando della donna simbolo per eccellenza di tutte le artiste messe a tacere nei secoli: Judith Shakespeare. Essa è un personaggio inventato proprio da Virginia Woolf nel suddetto saggio. Si tratta dell’ipotetica sorella del grande drammaturgo William Shakespeare, allegoria di tutte le donne che non hanno potuto vivere la propria arte, costrette alla rassegnazione, alla fuga e al suicidio da una società non disposta al compromesso. Come lei miliardi di miliardi di donne sono state accecate, interrotte, mutilate nell’anima dalla prepotenza umana, e tutt’ora in troppi paesi del mondo continua quest’ intollerabile sopraffazione. Proprio per quelle donne sono le parole risolutive del saggio della Woolf, come augurio che, prima o poi, anche loro possano crearsi “una stanza tutta per sé”: “Se affrontiamo il fatto, poiché è un fatto, che non c’è nessun braccio a cui aggrapparsi, ma procediamo da sole e il nostro rapporto è con il mondo della realtà e non solo con il mondo degli uomini e delle donne, allora questa opportunità si presenterà, e la poetessa morta, sorella di Shakespeare, rianimerà quel corpo che ha così spesso abbandonato. [...] Quanto alla sua venuta senza quella preparazione, senza quello sforzo, senza quella determinazione da parte nostra che, una volta rinata, le permetterà di vivere e di scrivere la sua poesia, questo non possiamo aspettarcelo, perché sarebbe impossibile. Ma io sostengo che ella verrà se lavoriamo per lei, e che lavorare così, pur nell’oscurità e nella povertà, vale la pena.”

1

V. Woolf, Una stanza tutta per sé, edizione Guaraldi, u. ed.,p.XX

17


DELATRE N° 1

PENSIERI E TEATRO: UN PO’ DI TEORIA

ANALOGIE ARTISTICHE

di Alessandro Romboni allievo del Corso di “Educazione al Teatro” del PTV da 3 anni.

usa ” d i C ar a “Med

590 ,1 io

vag g

enz f i z i. ( ca., Fir e, Uf Fon t

Una mia vecchia passione per l’arte (forse meglio dire innata), mi ha spinto nel corso degli anni ad assidue visite in musei e via dicendo; e forse è anche quella stessa passione che mi ha portato a vivere e frequentare la realtà teatrale. Sta di fatto che tra l’arte visiva, cioè la pittura, la scultura e in parte anche l’architettura, esistono analogie e chiavi di lettura che accomunano e fondono insieme questi mondi all’apparenza così distanti e diversi. A questo punto potrei capire lo stupore di qualche lettore che si domanderà: ma cosa c’entra l’arte visiva con il teatro? Cosa sta dicendo questo Alessandraccio? L’idea, o meglio la visione, nasce da una profonda conoscenza delle opere d’arte: queste opere, estrapolate dal loro contesto storico-culturale, sono pura matrice di espressività. Infatti, davanti ad alcune opere quali “La Deposizione” di Rosso Fiorentino (pittore manierista fiorentino della prima metà del ‘500) ci sembra di assistere ad una scena teatrale bloccata nel tempo e posta in una cornice che ne delinea lo spazio d’azione, o per meglio dire lo spazio scenico, e così per altre opere; basti pensare all’enorme espressività spinta all’eccesso dello scudo rappresentante la “Medusa” o “Gorgone” di Caravaggio. Le analogie tra arte visiva e teatro non intercorrono solo nella rappresentazione compositiva e nell’espressività, ma anche nell’uso della luce, delle ombre, dei colori e via dicendo. In fondo una messinscena teatrale non è altro che un enorme quadro in movimento che prende vita all’improvviso con un impeto quasi magico all’interno di uno spazio che ne delinea i contorni, come una cornice architettonica che limita e amplifica il soggetto rappresentato, dove all’ interno della quale attori e attrici si divincolano come statue che hanno perso di colpo la loro antica staticità monumentale e solenne divenendo arte viva, arte in movimento. In conclusione, ritengo l’arte visiva sorella dell’arte teatrale. Due facce in apparenza diverse, eppure così vicine nella loro natura espressiva-rappresentativa, l’una statica e solenne, l’altra in movimento e travolgente: facce opposte, verissimo!!!... ma di un’unica medaglia. n e t) nter eI

“Deposizione dalla Croce”, Rosso Fiorentino 1521, Volterra, Pinacoteca e Museo Civico (Fonte Internet)

0 0 1

ANNA MAGNANI

100 anni fa nasceva Anna Magnani (7 marzo 1908), una delle più grandi attrici cinematografiche e teatrali della nostra epoca, prima donna italiana a ricevere il premio Oscar come miglior attrice protagonista (il 21 marzo 1956 per il film “La Rosa Tatuata” di Daniel Mann, con Burt Lancaster, tratto dal romanzo di Tennessee Williams). Antidiva per eccellenza, Anna Magnani è divenuta icona della popolana passionale e sfacciata. La sua formazione inizia nel 1927 quando frequenta con Paolo Stoppa la scuola di recitazione Eleonora Duse diretta da Silvio D’Amico, trasformatasi nel 1935 in Accademia Nazionale d’Arte Drammatica. Nel 1934 passa alla rivista e diviene uno dei nomi più richiesti del teatro leggero italiano. Lavora, fra gli altri, con Vittorio De Sica e con Totò. La consacrazione arriva con il film neorealista “Roma città aperta” (1945) di Roberto Rossellini. Nella sua carriera ha lavorato con registi del calibro di Monicelli, Cukor, Pasolini, fino ad arrivare alla sua ultima apparizione cinematografica in “Roma” (1972) di Fellini: ultima interpretazione di una carriera indimenticabile che si concluse il 26 settembre del 1973 dopo la scoperta di un tumore al pancreas. La sua città, Roma, ha celebrato a marzo la sua “Nannarella” con diverse iniziative, dalle proiezioni di film come “Bellissima” (1951) di Luchino Visconti, con il quale vinse il suo secondo Nastro d’Argento, e “Mamma Roma” (1962) di Pierpaolo Pasolini, fino all’emissione di una speciale moneta in argento da 5 euro realizzata in collaborazione con l’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato.

18

Nella foto: Totò e Anna Magnani: Totò rende omaggio ad Anna Magnani baciandole delicatamente un piede. “Per una donna così estrosa e anticonformista il baciamano sarebbe banale” spiega. “Per lei come minimo ci vuole il baciapiede”. Fonte: Internet.


DELATRE N° 1

Cosa è stato...

COSA È STATO E COSA SARÁ

L’ANGOLO DELLA POESIA Ferito Tremante

• Domenica 20 gennaio “Le Bravure del Capitan Spaccamazza” regia di Federico

Barsanti, con Gabriele Guarino e Laura Pece (della Compagnia Balagàn), Teatro Delatre - Seravezza (Lu). • Tra gennaio e febbraio, nell’ambito delle manifestazioni per il giorno della memoria, “Esisto Ancora...per non dimenticare”, regia di F. Barsanti è stato presentato con successo in diversi teatri della Toscana (Teatro Studio - Scandicci (Fi), Teatro Jenco - Viareggio (Lu), Teatro Comunale - Pietrasanta (Lu), Teatro del Giglio - Lucca, Teatro Guglielmi - Massa). • Domenica 10 febbraio 2008 “Ser Durante”, regia di F. Barsanti, con F. Barsanti e Prof. P. Conti, Teatro dei Rassicurati di Montecarlo (Lu). • Ven 22, Sab 23 e Dom 24 febbraio RAFFAELLA PANICHI ha tenuto due seminari presso il PTV: “La Lettura e la Dizione”, seminario riservato al Corso di Educazione al Teatro.“La Psicologia del Personaggio”, seminario riservato al Corso di Formazione attoriale e al Corso Avanzato. • Tra il 6 e il 12 marzo 2008 “Pinocchio” regia di F. Barsanti con gli allievi del Corso di Formazione Attoriale del PTV, scuole elementari di Andria (Ba) e Teatro delle Molliche di Corato (Ba). • Tra il 6 e il 12 marzo Federico Barsanti ha tenuto, nell’ambito del gemellaggio con il Teatro delle Molliche di Corato (Ba), un seminario presso la Scuola delle Arti della Comunicazione dal titolo: “Le Relazioni tra i Personaggi”.

...e cosa sarà...

Arrivo Bendato Cantando Dormiente Errori Fatali Gelati Heeeeeeee Istante Lapidario Mannaro Negato Oppresso Perdente Quassss Ripongo Stendardo Trovato Umiliato Vetrato Zebrato Assediato Bacillo Celato Datato Estasiato Feroce Graziato Finito

Seminari: FEDERICO BARSANTI terrà i seguenti seminari presso il PTV, Teatro Delatre: • Ven 18, Sab 19 e Dom 20 aprile “Dizione poetica: la pietà e l’amore” dal V° Canto Andrea Del Giudice dell’inferno. Poesia scritta il 19 Gennaio 2008 • Mer 7, Gio 8 e Ven 9 maggio “Arlecchino e i suoi dilemmi: la mimica e la voce della maschera”. • Ven 30, Sab 31 maggio e Dom 1 giugno “Le relazioni tra i personaggi: la pausa e lo sguardo dell’anima” , testi di Luigi Pirandello e Carlo Goldoni. • Ven 20, Sab 21 e Dom 22 giugno “La Marionetta”. • Gio 10, Ven 11, Sab 12 e Dom 13 luglio “Il corpo e la dizione poetica: V° Canto” con messa in scena finale. Spettacoli: Presso Teatro Delatre: vedi quarta di copertina Mercoledì 7 maggio Ore 9 “Petrolineide” - regia di Luca Barsottelli e Mirtilla Pedrini, con gli allievi del Corso bambini del PTV (spettacolo vincitore alla Rassegna Regionale di Teatro per le scuole), RASSEGNA NAZIONALE DI TEATRO DELLA SCUOLA SERRA S. QUIRICO - Ancona. Sabato 24 maggio Ore 12 “Perque no?” - regia di Luca Barsottelli e Mirtilla Pedrini, con gli allievi del Corso ragazzi del PTV, RASSEGNA NAZIONALE “PINOCCHIO IN VIAGGIO” Migliarino (FE). Numero 1 - DELATRE Autorizzazione del Tribunale di Lucca N.875 Registro Periodici del 25/01/08 Proprietario: Claudia Sodini Direttore Responsabile: Aronne Angelici Grafica e impaginazione: Claudia Sodini Collaborazione: Serena Guardone Disegni: Elena Buono Fotografie: Gianni Di Gaddo Per Informazioni Tel 3281447868 - info@piccoloteatroversilia.it- www.piccoloteatroversilia.it

19


DELATRE

www.piccoloteatroversilia.it

IN SCENA AL TEATRO DELATRE

“Le Disavventure di Pinocchio” regia di Federico Barsanti con Valentina Gianni, Roberto Panichi, Camilla Santini e Claudia Sodini Giovedì 3 Aprile 2008 Ore 18 Venerdì 4 Aprile Ore 21 Lunedì 7 Aprile Ore 21 Domenica 13 Aprile Ore 16 e in replica Ore 18

Via del Greco Seravezza (Lu)

“Lo Spazio della Quiete” di e con Sandro Verdecchia Sabato 12 Aprile 2008 Ore 21

“Affabulazione allucinata intorno ad un pezzo di legno” regia di Alessandro Gigli con Alessandro Gigli Sabato 10 Maggio 2008 Ore 21

“Sogno di un Apprendista Rivoluzionario” di Matteo Destro, con Alay Arzelus Makazaga, Boris Ruge, Matteo Destro maschere Matteo Destro musiche Boris Ruge Sabato 24 Maggio 2008 Ore 21

DELATRE

www.piccoloteatroversilia.it

IL PTSV IN TEATRO “...ESISTO ANCORA..per non dimenticare”, regia di Federico Barsanti, Vincitore del ROMATEATROFESTIVAL 2007, Manifestazione Internazionale rivolta alle Accademie e Scuole Professionali dello Spettacolo: Giovedì 17 Gennaio 2008 al Teatro Studio - Scandicci (Fi) (Mattinèe per le scuole)

Sabato 26 Gennaio 2008 al Teatro Jenco - Viareggio (Lu) (Mattinèe per le scuole)

Domenica 27 Gennaio 2008 al Teatro Comunale - Pietrasanta (Lu) (serale Ore 21) Martedì 29 Gennaio 2008 al Teatro del Giglio - Lucca (Mattinèe per le scuole) Mercoledì 30 Gennaio 2008 al Teatro Guglielmi - Massa (serale Ore 21)

Giovedì 14 Febbraio 2008 al Teatro Comunale - Pietrasanta (Mattinèe per le scuole)

“La Vita è una Pacchia”, regia di Federico Barsanti presentato a MERCANTIA 2007:

Domenica 10 Febbraio 2008 al Teatro dei Rassicurati di Montecarlo (Lu) “Pinocchio” regia di Federico Barsanti

Marzo 2008 presso il Teatro delle Molliche di Corato (Ba)

“Le Bravure del Capitan Spaccamazza” regia di Federico Barsanti, con Gabriele Guarino e Laura Pece (della Compagnia Balagàn)

“Frydyryc Iager in concerto” di e con Federico Barsanti Lunedì 2 Giugno 2008 Ore 21 Martedì 3 Giugno 2008 Ore 21

Domenica 20 Gennaio 2008 al Carnevale di Ronciglione (Viterbo) Martedì 11 e Mercoledì 12 Marzo alla Rassegna Teatro Ragazzi di Lamezia Terme (Catanzaro)

Per Informazioni: 3394336687 - info@piccoloteatroversilia.it

0 in attesa di registrazione

GENNAIO - MARZO 2008

1

APRILE - GIUGNO 2008


Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.