Paspartu: Intervista a Federico Barsanti

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Federico Barsanti: quando il viaggio sprigiona arte

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A volte un’intervista è formata da un mero susseguirsi di domande e risposte. Altre volte diventa una piacevole chiacchierata, specie quando l’interlocutore si lascia andare ed interagisce con chi intervista. Confesso che stavolta, incontrando Federico Barsanti, è successo qualcosa di insolito, per certi versi bizzarro, per altri emozionante: l’intervistato si è seduto di fronte a me e, da subito, si è messo a nudo da solo, senza bisogno di stimoli, delle famigerate domande. E lui, attore che prepara attori, non ha finto neanche per un istante. Una persona libera, sensibile, emotiva e sincera. Io l’ho ascoltato in silenzio cercando di interrompere il meno possibile il fiume in piena dei propri ricordi, delle proprie emozioni. Che forse trasuderanno anche dalle righe che seguono. Dove e quando sei nato Sono nato a Viareggio il 23 novembre 1966, da papà viareggino e madre del Forte. E dove hai vissuto A Forte dei Marmi, dalla nascita fino ai 20 anni. Dunque sei un fortemarmino No. Mi sento un cittadino del mondo, anche perché dai 20 anni in poi ho girato parecchio. Dove sei stato? Ho vissuto a Londra, Berlino, Los Angeles... Cosa ti ha spinto a girare così tanto Un giovane, terminata la scuola, si trova a compiere delle scelte. E’ la società che ti obbliga. Ed è così anche oggi, lo vedo con i miei allievi. A quel punto si è disorientati, si è costretti a decidere in fretta, e spesso si sbaglia strada. Nel futuro, poi, si pagherà un duro prezzo per quelle scelte. Così io, dopo periodi a Londra e Berlino, a 24 anni scelsi l’America. Raccontaci Vendetti la mia Renault5 per fare questo viaggio di sola andata e mi promisi che non sarei tornato finché non avessi deciso cosa fare nella vita. Fu una scelta difficile ma ponderata, i miei amici pensarono che fossi diventato matto, ma ne avevo bisogno. E dove atterrasti? A Los Angeles, lavorai in diversi ristoranti per mettermi da parte ciò che ancora mancava per fare il solo viaggiatore. Così dopo un po’ di tempo partii per “il viaggio” vero e proprio: sul mitico Greyhound Bus che attraversa tutti gli stati del sud degli States girai e girai per diversi mesi, con molta fatica e con momenti in cui non stavo bene, finché non scoccò la scintilla... Cosa successe Fu di notte, sul pullman, tutti dormivano: decisi che il mio futuro sarebbe stata l’arte. Quale tipo di arte? Al tempo pensai alla scrittura, da sempre la mia passione. Però in quegli anni, inconsciamente, assorbivo anche altre forme d’arte, come la musica e lo spettacolo in genere. E soprattutto le arti sceni-

che, che sarebbero poi diventate il mio futuro, le assorbivo senza accorgermi che sarei andato in quella direzione. A quel punto tornasti in Italia? Certo. Andai ad abitare in una piccola casetta per essere indipendente, anche lì per starmene solo. Mi ospitò una famiglia emiliana che mi concesse la propria dimora delle vacanze in Versilia senza pretendere denaro, solo in cambio della manutenzione nei lunghi mesi in cui loro non la abitavano. E poi iniziai a frequentare l’università, ma senza iscrivermi. E cioè? Seguivo solo le lezioni ed i corsi che mi interessavano, soprattutto alla facoltà di lettere: con molta attenzione, prendevo appunti e mi documentavo. E parallelamente seguivo lezioni private legate alla letteratura. Ma non mi volevo iscrivere all’università, questo perché ho sempre avuto repulsione per la scuola come istituzione, a partire dalle esperienze traumatiche avute al tempo dei miei 5 anni quando andavo a scuola dalle suore. E quindi sei partito con la scrittura Già, cominciai a partecipare a concorsi di racconti e di poesia. Proprio con le mie poesie vinsi il concorso nazionale “Ferdinando Moriconi”. Nel ‘94 arrivò il mio primo libro dal titolo “Noi sventratori d’organi”, un omaggio allo scempio che noi esseri umani compiamo nei confronti della natura. Ebbe un discreto successo tanto che venne anche presentato alla Fiera di Francoforte. Ma quando iniziasti a intraprendere la via della recitazione? Nel ‘91, oltre a partecipare a stage e seminari, mi iscrissi alla scuola di recitazione del Piccolo Teatro della Versilia: a quel tempo era diretta da Raffaella Panichi e, pensa, oggi sono io a dirigerla. Raffaella mi ha onorato lasciando a me, un suo allievo, la direzione. E, ad oggi, visto che hai formato molti attori, ci sono alcuni tuoi allievi che hanno fatto strada? Molti. Lavorano nei più importanti teatri di Roma, Genova e Milano. Tu lavori con i giovani, parlaci di

loro Affascinanti. Ma sono spaventati, sbandati. Avrebbero bisogno di più comprensione da parte degli adulti. Voglio bene ai giovani. Si fa poco per loro. E se sono arroganti è perché noi contribuiamo a farli essere arroganti. Per me i giovani sono incazzati. E hanno ragione. Quale il trucco per essere un buon attore Il trucco è che non ci deve essere trucco, l’arte recitativa si basa su una onestà di fondo: quanto più l’attore è onesto e tanto più si può confrontare con questa arte. Non deve mentire con se stesso per non mentire col pubblico. E il pubblico questo lo sente. E quali caratteristiche si devono possedere Grande determinazione. Ed una disposizione culturale ad essere un migrante, uno zingaro, un nomade. Poi, ovviamente, il talento. Cos’è, per te, il talento E’ la voglia e l’estremo coraggio di mettersi in discussione continuamente. Come si fa a vincere l’ansia e l’emozione da palco Senza emozione non c’è teatro. Se ce n’è troppa ci sono tecniche di respirazione che aiutano. In Versilia si fa buon teatro? C’è una buona offerta culturale? In generale si può assistere a buoni spettacoli così come a cose mediocri... E l’offerta dovrebbe tener maggiormente conto degli artisti locali. Il tuo autore teatrale preferito Peter Brook. L’attore che vorresti dirigere Ti rispondo con un paradosso: vorrei essere diretto io da Eduardo. Quale il teatro del futuro Il teatro della gente, delle persone. Per gli attori c’è il teatro istituzionale, il teatro innocuo. Cosa, secondo te, ti ha forgiato il carattere e portato verso la tua professione La mia vita. Le esperienze che ho vissuto sono state determinanti. Tipo? Parto dai grandi cambiamenti cui ho potuto assistere in prima persona durante i miei viaggi: facevo

un viaggio e mi trovavo di fronte a fenomeni pazzeschi come, ad esempio, la caduta del muro di Berlino. Io ero a lavorare là quando successe. Poi ero negli USA quando scoppiò la Guerra del Golfo ed ero a Londra nell’87 quando si scatenò il memorabile tornado. E lo scorso dicembre, durante il mio soggiorno in Israele e Palestina, proprio al mio arrivo ci fu un terribile inasprimento dei conflitti a Gaza con più di 1500 morti. Viaggi illuminanti, specie quest’ultimo, anche per la mia professione. In che senso Ho capito che l’essere umano è molto critico verso gli altri e poco verso se stesso. Per dare anche un piccolissimo contributo al miglioramento dell’umanità occorre lavorare su noi stessi, anche nella quotidianità. Così il ruolo della mia professione non sarà solo quello di insegnare arti sceniche, ma anche quello di contribuire al cambiamento, seppur piccolo, di noi stessi. Ma, un altro elemento che ha inciso sulla mia personalità è il rapporto ravvicinato con la morte che poi, alla fin fine, è anch’essa un viaggio. Parlacene Ho avuto un contatto continuo con la morte, e in diverse forme. A 10 anni ho perso il padre: per un bambino una cosa travolgente, un vero spartiacque che ha cambiato la mia vita. Anni fa ho subito un trapianto di cornea, vedo il mondo con gli occhi di un altra persona che non c’è più. E poi sono stato per due volte in coma: a 14 anni dopo un incidente in motorino per ben tre giorni. Era un venerdì santo, un venerdì 17 alle ore 17 quando vi entrai. La domenica di pasqua ne uscii, una sorta di resurrezione. La seconda volta fu 7 anni fa, a causa di una stufa malfunzionante, entrai in stato comatoso per intossicazione. Questa vicinanza con la morte mi ha insegnato molto. Perché? A noi occidentali spaventa, ma a me ha fatto riflettere per l’enorme legame che c’è con il mio lavoro. Pensa che quando un attore monta

sul palco ed ha di fronte il pubblico compie un atto molto simile al morire perché lascia il suo mondo quotidiano per andare verso qualcosa di ignoto, entra in un’altra dimensione dove non si sa cosa potrà accadere... Federico, cosa vuoi fare da grande Sicuramente il viaggiatore.

Gianluca Domenici

CHI E’…

Regista, attore e direttore della Scuola di Recitazione “Piccolo Teatro della Versilia” dove tiene corsi per adulti, bambini e persone diversamente abili. Tiene corsi di teatro nelle scuole pubbliche e seminari in tutta Italia. In passato ha studiato e collaborato con numerosi artisti di fama nazionale, con il Centro di ricerca di Neuroriabilitazione cognitiva Prof.Perfetti e con l’Università di Pisa; ha studiato scherma teatrale, danza classica e contemporanea, fonetica. Specializzato nella maschera di Arlecchino e nello studio della fonetica ne “La Divina Commedia” di Dante. Ha recitato in opere di Goldoni, Ionesco, Shakespeare, Pirandello, Cecco Angiolieri, Dante, Ariosto, Brecht, Pea e Carducci. Ha interpretato testi da lui scritti e recitato presso la Scuola Normale di Pisa poesie di W.Szymborska (Premio Nobel alla poesia 1996) di fronte all’autrice. Molte le regìe: da Goldoni a Shakespeare, da Pirandello al “Ti à piaciato?” di Petrolini con cui ha partecipato a Telethon 2003. Vince nel 2003 al Roma Teatro Festival il premio ‘Migliori Scene’ e quello speciale della critica ‘Stile in scena’ mentre nell’edizione 2007 si aggiudica il premio ‘miglior regìa’ ed il premio ‘miglior spettacolo’. E’ stato coreografo al Festival Pucciniano di Torre del Lago.


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