Charta Sporca - Numero 29

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Ed ecco c’è qualcosa di meraviglioso nell’abitare la casa di qualcuno quando dorme ed io medito di cambiare di posto i quadri, rubare un paio di calzini, riempire di sale le tasche dei cappotti, farmi un uovo fritto, ma mi risolvo poi infine ad urinare violentemente nell’acquaio della cucina, ad urinare su un naufragio di piatti sporchi e un servizio da tè in porcellana azzurra ma mi sorprende dall’altra stanza un grido strozzato, che è un ululare in sordina, tutto di naso e poi frana in singulti, io aspetto nel buio per vedere e capire cos’è e da dove viene e se magari poi cessa ma sento anche delle cose che cadono e un bicchiere si rompe e percepisco distintamente che l’uomo mi chiama per nome ma non ci eravamo presentati non gli avevo detto il mio nome. Ed ecco che mi sta davanti a petto nudo magrissimo, una carne che è fatta di cera, un tatuaggio sbiadito sul petto che a guardarlo bene è una bandiera sandinista e l’uomo si è rovesciato addosso del superalcolico scuro, sta in piedi di fronte a me e trema e mi punta addosso una pistola giocattolo, è una pistola giocattolo gli dico, allora come stupito la guarda poi ride, la guarda a lungo e ride di un riso agghiacciante, animale e carnivoro, affilato e isterico, come di mustelide o diavolo, ride e cerca qualcosa sul tavolino, la lampada cade a terra, lui trova a tastoni un tagliacarte, mi guarda di nuovo, ride e si apre la gola. Ed io ho un solo pensiero, devo prendermi i libri, corro la casa e accendo tutte le luci, quest’uomo ha aspettato di tagliarsi la gola quando ci fossi io, ha aspettato di avere un testimone ed il minimo che io possa fare, investito di questa valenza testimoniale a dire il vero forzatami un po’ addosso un po’ indebitamente, il minimo che io possa fare è rubargli i libri, in uno stanzino trovo una vecchia valigia e la prendo a riempire Bachmann Celan Trakl Döblin Mann Benn Broch Musil Bernhard Walser Dürrenmatt Schnitzler Novalis Schlegel Hoffmann Goethe Herder Wieland Lessing Kleist e mentre giro per casa trascinandomi dietro la valigia che pesa sempre di più, tanto che non riesco più a sollevarla e penso che i manici si

scuciranno da un momento all’altro e trascinandola dietro e spingendola con i piedi mi accorgo che la casa si sta riempiendo di gente, sono tutti personaggi dimessi un po’ arruffati che vanno a sedere o stanno in piedi in cucina e parlano a bassa voce, come per non svegliare nessuno e affollano la cucina con la loro aria arruffata e un po’ triste ma dignitosa e gli occhi d’acqua, sorseggiando un caffè che sa di guarnizione bruciata. Qualcuno deve aver spostato l’uomo da dove è caduto, qualcuno lo ha messo sul letto e lo ha coperto con un tappeto ed anche il pavimento è stato lavato alla meglio e della scura e grande pozza di sangue restano solo i contorni, frastagliati come golfi e arancioni come ruggine, io mi asciugo il sudore dalla fronte e penso che dovrei proprio riposarmi un po’ prima di andarmene coi libri, che qui non c’è l’ascensore e la valigia è piena di libri preziosissimi che io devo portarmi via ad ogni costo, allora vado in cucina dove sono i personaggi dimessi arruffati vestiti di nero, che paiono già portare il lutto con rapidità sorprendente, visto che è passato solo il tempo che mi ci è voluto per riempire la valigia, anzi sono stati portati anche dei grassi crisantemi che s’ingobbiscono leggermente sulle loro pesanti corolle, come questi personaggi piegati dagli anni e dal dolore e dal lutto e una donna che ha pianto mi viene vicino, mi porge una tazza di caffè ed io ci guardo dentro. La superficie tesa e oleosa riflette a spasmi la lampada a soffitto, pare una lama di metallo, che si ossida ora a chiazze, per poi tornare lucida e chiara, farsi blu e nuvolosa. Quindi la donna mi dice, giovanotto, che cosa te ne farai mai di tutti questi libri, se non sai il tedesco?

Nicola Pacor


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