Edel abstract n 4

Page 1

edel

STR ACT

SEMESTRALEDI PRATICACRISTALLINA

I

ANNO 3 OTTOBRE 2015

in collaborazione con

Biennale Disegno Rimini

PAESAGGI | LANDSCAPES MASSIMO PULINI

PAESAGGIO CON FIGURE Paesaggio è un termine che viene dal mondo e dalla pratica della pittura, il dizionario etimologico lo fa risalire a Tiziano in persona e il Branca, nella propria Miscellanea, cita una sua frase che contiene per la prima volta questa parola. I pittori del Cinquecento usavano infatti il verbo paesare per intendere la creazione di un’immagine, realistica o visionaria, che restituiva uno scorcio di territorio in cui sovente appariva un paese in lontananza. La stessa parola paese viene dal latino pagus: villaggio (ma valido anche per cippo di confine), a sua volta derivato da pangere che significa conficcare. Quel che noi ora intendiamo come luogo di natura, come visione aperta sulle forme e le linee di un territorio, non è che il dialogo e la relazione che noi stessi abbiamo instaurato con un lembo di mondo, compreso ciò che noi umani abbiamo conficcato in quella parte di terra. Fu Annibale Carracci, nel suo soggiorno romano, a codificare il canone del paesaggio moderno, inserendo, nei declivi naturali e tra le chiome di alberi che si alternano alle radure, la visione di un castello o il profilo di un borgo arroccato. Non mancava mai un corso d’acqua in quei dipinti di primo Seicento e nemmeno la presenza vitale di figure operose quali barcaioli o pescatori. Il paesaggio prodotto dagli uomini è dunque indissolubilmente fuso con quello naturale, non diversamente da come, in un quadro, la figura si relaziona allo spazio che gli sta attorno.

Si può dire che noi stessi siamo un paesaggio di pensieri e di cose che si incastonano nel nostro corpo o che si disseminano nell’ambiente che abitiamo. Quelle cose costruite e quei luoghi parlano dei nostri pensieri e delle nostre azioni talvolta più di quanto non facciano le nostre parole. Le recenti mappe satellitari ci hanno restituito una nuova percezione del territorio, mostrandoci tutto il tappeto di colture e di infrastrutture, di città e segni tracciati dall’uomo nel corso dei secoli. Abbiamo chiamato antropizzazione quel che spesso assume le sembianze di un’invasione predatoria del globo. Ma questo impressionante tappeto di appezzamenti cartesiani e di rughe d’espressione imposte alla Terra dai nostri bisogni e dalla nostra voracità, ci deve far comprendere che ogni nostro atto trasforma il mondo. [...]

di mappe che risalgono a circa 4000 anni fa nel territorio dei Camuni rappresentano un’indubbia acquisizione del concetto di paesaggio. La “naturale bellezza del mondo”, come la definisce Petrarca, spinge l’uomo a muoversi e a raffigurare l’ambiente che lo circonda solo per puro godimento estetico. Così il “Viaggio in Italia” di Goethe rappresenta un percorso di ricerca nel paesaggio culturale della penisola; per Alexander von Humboldt, impegnato nel suo “viaggio equinoziale” intorno al mondo, il paesaggio è l’idea della “totalità del territorio”. Con i viaggi d’esplorazione diventa indispensabile riprodurre il paesaggio dei nuovi mondi appena scoperti; ecco allora l’apporto dei pittori vedutisti che fin dal ‘600 restituiscono sulla tela vere e proprie rappresentazioni topografiche con un

STEFANO MAZZOTTI

DAL VEDUTISMO AL TELERILEVAMENTO: UNA LETTURA SCIENTIFICA DEL PAESAGGIO

elevato grado di risoluzione nella figurazione del territorio. Sarà però necessario attendere l’avvento del ventesimo secolo perchè il concetto di paesaggio entri a tutti gli effetti a far parte delle discipline di studio della scienza con la nascita dell’ecologia del paesaggio (landscape ecology). Da questo momento l’ecologia comincia a fon-

Nella pittura, nella letteratura, e persino nella musica, il paesaggio è uno dei temi principali in tutte le epoche. Da almeno trentamila anni fa l’uomo cominciò a riprodurre gli animali che lo circondavano spinto dalla necessità di documentare la propria vita. Nascevano straordinarie “cattedrali della preistoria” come testimoniano le pareti delle grotte di Niaux, di Lascaux o di Chauvet in Francia dove l’arte rupestre raggiunge il suo apice rappresentativo. Anche le raffigurazioni

dare i suoi modelli concettuali, a definire la composizione delle unità di paesaggio (patches) da analizzare e connettere come tessere di quello che potremmo definire il “puzzle del paesaggio”. Nasce così il paradigma del concetto di paesaggio riconosciuto come una entità fisica (geografica) e culturale, generato da una nuova disciplina connotabile come scienza gestaltica. [...]

NUMERO 4

AB

2ª edizione aprile/luglio 2016


Io posso passeggiare e sentire il fascino del paesaggio. Mi posso rallegrare della mitezza dell’aria, della freschezza dei prati, della varietà e dell’allegria dei colori, del fragrante profumo dei fiori. Ma poi sento che avviene un improvviso mutamento nel mio spirito. Da questo momento vedo il paesaggio con occhio d’artista, comincio a farne un quadro. Sono entrato in un nuovo regno, non più quello delle cose esistenti, ma quello delle “forme viventi”. Così Ernst Cassirer, nel suo Saggio sull’uomo, immagina in che modo può realizzarsi il legame fra l’essere ‘pensante’ (l’uomo) e l’oggetto ‘pensato’ (il paesaggio). Si tratta di un legame estetico: l’essere sente l’oggetto, il quale non cade nel mero esistente, ma diventa forma vivente. Secondo una retorica dell’ineffabile, in cui il sentimento della natura, intesa nel suo durare, fuori dall’incompiutezza e provvisorietà dell’orizzonte percepibile della storia umana, incontra la bellezza del visibile e davanti al paesaggio si perde nell’“estasi”, che letteralmente significa stare fuori di sé, onde pervenire al sublime – ebbene, in base a tali parametri sarà facile pensare che il discorso sul paesaggio si muova a un livello propriamente estetico, nel senso che riguarda la capacità di ‘sentire’ dello spettatore, che si commuove di fronte agli elementi eccezionali della natura, come (per andare a una celebre pagina di Kant, nella Critica del giudizio, § 28) «le rocce che sporgono audaci in alto quasi minacciose, le nuvole del temporale che si addensano in cielo e si rincorrono tra lampi e tuoni, i vulcani che scatenano tutta la loro potenza distruttrice, e gli uragani che si lasciano dietro la devastazione, l’immenso oceano sconvolto dalla tempesta, la cataratta di un grande fiume ecc.»: di fronte alla «potenza» di tali elementi, scopriamo – osserva il filosofo tedesco – la «piccolezza insignificante» del nostro essere, e proviamo il «sublime» allorché possiamo ammirare, in posti sicuri, la spettacolare «onnipotenza della natura», ed elevare la nostra anima «al di sopra della mediocrità ordinaria». Ma il paesaggio non è solo natura. È possibile immaginare la natura fuori della cornice della presenza umana, cioè svincolata dalla storia? La natura, addomesticata o respinta fuori dalle aree metropolitane, o seppellita nelle viscere della terra, o inabissata nei fondali, non fa parte anch’essa dello stadio di civiltà degli uomini? Una riflessione in tal senso mi sembra di particolare importanza

SALVATORE RITROVATO

‘RESPONSABILITÀ’ DEL PAESAGGIO oggi che i temi ecologici sono all’ordine del giorno, ed entrano, giustamente, anche nelle preoccupazioni teologiche e filosofiche del Pontefice. Le radici in cui alligna questo senso etico del paesaggio, che io definirei davvero come un senso di ‘responsabilità’, sono però ottocentesche, e si affacciano nelle pagine di grandi scrittori come Leopardi, il quale, di fronte alla natura, parla di desiderio, come di un sentimento nel quale la coscienza del proprio essere effimero si proietta sull’incertezza di un piacere appagante: in parte perché siamo noi, nella nostra contingenza e instabilità emotiva, a non riuscire a contenere la bellezza della visione, in parte perché quel che si presenta come natura è soggetta alle minacce della storia. A riprova, quanto più il pianeta appare dominato dalla macchina, e quindi dalle forme di economia e di sfruttamento delle risorse naturali, tanto più la natura rivela un suo carattere irriducibile e perfino insondabile per gli strumenti altamente specializzati a nostra disposizione. [...]

ROBERTA BERTOZZI

GEOGRAFIA COME BIOGRAFIA

No, tu non mi hai mai tradito, [paesaggio] su te ho riversato tutto ciò che tu infinito assente, infinito accoglimento non puoi avere: (…)

I versi che ho citato in apertura di questo intervento stanno in incipit a una delle poesie che compongono il trittico Ligonàs di Andrea Zanzotto. Si tratta di una serie di testi in cui egli conduce ai suoi esiti estremi (e quel termine paesaggio, così tragicamente barrato, ne è la sentinella) il nostro rapporto con la natura. Raccogliendo un paradigma che abbiamo ere-

ditato dal Romanticismo, ed esplorandone le molteplici istanze, nell’alternarsi di ordine e disordine, bello e sublime, identità e alterità, Zanzotto elenca ogni variabile della nostra liaison col paesaggio, insistendo a più riprese su quel movimento binario, quel double bind di estraneità e vicinanza, di alienazione e fusione, che ci lega ad esso. Tentando una sintesi di questo paradigma, il paesaggio verrebbe a configurarsi come la somma di tante espressioni sensoriali, tangibili ed affettive, il più delle volte in contrasto tra loro: spazio fraterno per eccellenza, in cui ciascuno di noi può riversare ad libitum i suoi stati d’animo, la sua materia emotiva; luogo incerto e mutevole di percezione, da cui spesso ha origine quel fenomeno singolare che prende il nome di sinestesia; sfondo ostile e perturbante, davanti al quale sperimentiamo integralmente l’essenza dell’alterità; zona d’inferenza o crocevia, in cui convergono esaltandosi le nostre proiezioni intellettuali, le nostre idealità (in riguardo a quest’ultimo aspetto emblematica è l’immagine che ci viene consegnata da un altro campione della letteratura nostrana, Giacomo Leopardi, quando nel carme L’infinito individua in un elemento circoscritto del paesaggio – la siepe – quella funzione d’ostacolo capace di innescare l’esercizio immaginativo (“io nel pensier mi fingo”) e lo spalancarsi di una diversa, equinoziale prospettiva). In altre parole, con l’avvento della modernità, il rapporto con lo spazio circostante si significa all’interno di una dinamica spiccatamente contraddittoria: cornice ferma e allo stesso tempo inquieta, scenario fatto di “quinte/silenzi indifferenti” ma anche di “infinite autoconciliazioni”, il paesaggio si presenta come un luogo ambiguo e interstiziale, nel quale possiamo trovare, sì, riparo, ma anche esserne tragicamente esclusi, respinti. [...]

L’unica costante che sembra fondare lo scambio tra l’ambiente e il soggetto si basa sulla potenzialità del prodursi di una impressione.


PABLO GEORGIEFF SUL RUOLO DELLA RICOGNIZIONE NELLA LOTTA PER L’OCCUPAZIONE DEL SUOLO METROPOLITANO La missione EROS – Escadrille de Reconnaisance d’Observation Sensible (Squadriglia di Ricognizione d’Osservazione Sensibile) - nasce nell’ambito della residenza di COLOCO presso la Tenuta Dipartimentale di Chamarande, centro d’arte contemporanea e del paesaggio. Fondato nel 1999, il nostro collettivo di paesaggisti opera attraverso i luoghi della cultura, del giardinaggio e della pianificazione del territorio; per un approfondimento sul nostro percorso invitiamo a visitare il sito www.coloco.org. Durante alcuni mesi di residenza in questa imponente dimora del XVII secolo situata a 40km a sud dal centro di Parigi, un progetto inedito comincia a prendere forma: una visione geopoetica della lotta per l’occupazione del suolo alle frontiere del Grand Paris. All’inizio incontriamo Fernand Personne, che COLOCO accompagnerà per oltre

DANIELE TORCELLINI

SPORT UTILITY VEHICLES, O DEI RESIDUI DI PAESAGGIO NATURALE Questo intervento ha l’obiettivo di suggerire uno spunto di riflessione sul modo in cui ci rapportiamo, nel nostro vivere quotidiano, con il paesaggio urbano e quello naturale. Lo sviluppo sociale degli ultimi duecento anni ha conosciuto un processo di urbanizzazione crescente che poco spazio ha lasciato al paesaggio naturale come contesto di vita del genere umano. Ci limitiamo a qualche gita fuori porta o a vacanze turisticamente massificate in luoghi più o meno ameni, esotici, incontaminati, o almeno presunti tali, in cui cerchiamo di ristabilire un contatto con la natura. Fiumi, laghi, mari, montagne, colline. Ma anche qui stiamo spingendo in avanti i limiti dell’urbanizzazione. Frequentiamo

1200km nel territorio periurbano dell’ Essonne, un biker “ecologico-onirico”, che solca le terre circostanti a bordo di un moto-battello di sua invenzione, il Navigare Necesse. La genesi di questo improbabile ibrido è un mistero, ma è chiaro come la metafora della libertà sia qui presente all’ennesima potenza: nave moltiplicata per motocicletta con forcella fuori misura. Scopriamo poi che la costruzione del veicolo è di per sé un’avventura: su e-bay, Jean Lafargue vende un gommone pieghevole di cui è l’inventore - muratore dell’Essonne in pensione da tempo, vende il suo canotto incompiuto per sgomberare il garage, sotto insistenza della moglie. Poco dopo Fernand riesce a coinvolgere Christophe Goutes, complice di lunga data dai molteplici talenti, e lo persuade a garantire il ruolo di capo-costruttore. In un cantiere, Christophe incontra Kevin Houley, giovane studente di Arte e mago nelle saldature; i segreti del mestiere gli furono tramessi a undici anni dal padre artigiano del ferro e ad allora risale la sua passione di personalizzare biciclette. La stravagante Daginsky farà una delle sue apparizioni inattese, come una madrina invitata a un battesimo per offrire grafica benedizione alla neonata nave terrestre. Il risultato, di una fedeltà straordinaria in rapporto agli schizzi iniziali abbozzati da Fernand nei suoi deliri insonni, è stupefacente; un osservatore attento avrebbe

potuto vederlo versare qualche lacrima al primo giro di pedale. Un nuovo veicolo è una nuova maniera di vedere il mondo. Ad ogni sua uscita gli incontri si moltiplicano: Francisco, giardiniere portoghese incaricato del diserbo dei parcheggi degli ipermercati; Jean Paul, originario della Creuse e guidatore di rullo-compressore; Emilio, proprietario siciliano di una rottamazione di RollsRoyce; Erik, direttore generale dei servizi tecnici di un grande comprensorio. Tutti impegnati a fabbricare il paesaggio della nostra metropoli, ognuno a proprio modo. Ma questo excursus ludico-critico risulterebbe patetico senza il pappagallo meccanico di Fernand, un drone chiamato Tucchito Segundo. Taluni dicono che sia guidato da un pilota che risponde al nome di guerra di Fouby, stato civile Foubert Christophe, ma nessuno l’ha mai visto e potrebbe essere una leggenda. Facendo eco a quello del suo mentore di terra, l’errare aereo di questo volatile registra delle immagini sorprendenti della metropoli come mai ci è dato vederla nella nostra condizione di Homo urbanus. Fra corsie di autostrade, parcheggi e strade asfaltate, noi, ordinari cittadini, ci avventuriamo raramente fuori dai sentieri segnalati. La nostra esperienza fisica del territorio è povera e tutto quanto non sia impeccabilmente ordinato ispira in noi diffidenza. [...]

stabilimenti balneari che si strutturano urbanisticamente. Edifici di accesso alla spiaggia, circondati da marciapiedi che si inoltrano verso la battigia, permettono l’arrivo all’ambita coppia lettino più ombrellone, avendo il minimo contatto possibile con la sabbia. Non è forse un caso che godano di successo quelle forme di vacanza in cui ci si rilassa immergendosi tra i lavori della campagna contadina, svolti personalmente o fatti svolgere ad altri, per poter gustare verdure piene di sapore e a chilometro zero, o per permettere ai più piccoli, nelle fattorie didattiche, di scoprire come declina una collina vera verso il fiume, come si muovono le galline e come si accoppiano i conigli. Lungi dalle nostre riflessioni il considerare il paesaggio che ci circonda come incontaminato, non vi è dubbio che esso sia per lo più frutto dell’intervento umano, sia dove prevale il costruito cittadino, sia dove a prevalere è la natura. L’allevamento, l’agricoltura, lo sfruttamento di aree boschive, l’estrazione di risorse dal sottosuolo, la costruzione di città ben collegate da una fitta rete di strade, ponti e gallerie. È una ben nota inclinazione dell’uomo quella di piegare alle sue

volontà il contesto ambientale in cui si trova, salvo poi averne in cambio alcune ritorsioni di tanto in tanto. Sulla scia delle più recenti teorie messe in campo dagli studi di ecologia, definiamo il paesaggio cognitivo come quel paesaggio che viene percepito e interpretato dai processi mentali di ognuno di noi e dentro cui ognuno di noi si muove, pensa e agisce nel nobile tentativo di dare senso alla propria vita o, più realisticamente, di soddisfare i propri bisogni, siano essi collocati sui diversi gradini della scala evolutiva: procacciarsi del cibo, trovare un riparo per dormire e un rifugio per proteggersi, ma anche nutrire il proprio spirito, ampliare la propria sfera culturale, esprimersi e rapportarsi socialmente ad altri. Il paesaggio entro cui più comunemente, oggi, tutto ciò si svolge è quello urbano. Città in cui la componente naturale ha visto drasticamente, nel corso dei secoli, perdere posizioni. Certo, la città, di per sé, nasce per distinguersi dalla natura – per separarsi da essa – costruire solide abitazioni che proteggano dalle intemperie, pavimentare le strade per renderle più facilmente percorribili, recintare con mura per segnalare cosa è dentro e cosa è fuori. [...]


SANDRO PASCUCCI

S/PAESAGGI: “COME LE BRICIOLE DI POLLICINO” Non si desidera mai, ad esempio, una donna, ma si desidera sempre il paesaggio che è avvolto in questa donna Gilles Deleuze, Abecedario

Intraprendere un discorso sul paesaggio non può non riportarmi alla metafora del viaggio per i molti aspetti che possono ri/guardare (visione del paesaggio) e ri/ suonare (ascolto del paesaggio) attraverso l’interpretazione dello stesso paesaggio come esperienza estetica – nella sua originaria natura sensibile e nella sua moderna rappresentazione kantiana – luogo e logos di conoscenza e cultura, di relazione etica e comunitaria, di emozione e passione. Il paesaggio sta all’inizio e alla fine del nostro viaggio perché è esso stesso viaggio: punto di partenza e al contempo meta transfigurata attraverso il suo vitale transito fisiologico ed ermeneutico. “E gli uomini vanno ad ammirare le vette dei manti e gli enormi flutti del mare, le vaste correnti dei fiumi e il giro dell’oceano e le rotazioni degli astri, e non si curano di se stessi”: al termine di una fa-

ticosa ascesa al Monte Ventoso (Provenza), Francesco Petrarca distoglie il suo sguardo dal panorama per riflettere sui versi tratti dalle “Confessioni” di Agostino. Siamo nel 1336, ma tanti illustri pensatori e storici dell’arte hanno fatto nascere in quella data l’idea di paesaggio in quanto tale: esso nasce da questa separazione (spaltung) dell’uomo da quanto lo circonda, dal ripiegamento su di sé e sull’interiorità umana rispetto alla cosiddetta “natura”. La nascita del paesaggio, o per meglio dire, la “concettualizzazione” della natura in quanto “paesaggio” coincide con la nascita del soggetto moderno. Niente di “naturale” e “bucolico” quanto un artificio speculativo e riflettente dell’interiorità, un inquadramento del “naturale” nella prospettiva, che nasce proprio in quell’epoca. E proprio “L’Artefice” è il titolo emblematico del racconto di Borges dove un uomo che si propone di disegnare il mondo, completandolo : “. ..poco prima di morire, scopre che quel paziente labirinto di linee traccia l’immagine del suo volto”. Ma che ne è del paesaggio se lo sguardo di quella soggettività dominante e prospettica ha smarrito irreversibilmente ogni presunta titolarità e centralità? Se parlare di paesaggio significa parlare del soggetto che lo guarda, se il paesaggio non è una cosa, ma piuttosto un modo di vedere le cose, non è a partire dal paesaggio come “cosa da tutelare” che si interrompe o inverte il processo di reificazione, che precede e legittima ogni sfruttamento della natura e dell’uomo

Se parlare di paesaggio significa parlare del soggetto che lo guarda, se il paesaggio non è una cosa, ma piuttosto un modo di vedere le cose, non è a partire dal paesaggio come “cosa da tutelare” che si interrompe o inverte il processo di reificazione, che precede e legittima ogni sfruttamento della natura e dell’uomo in quanto essere vivente. in quanto essere vivente. Così le diverse istanze emerse in difesa del paesaggio e della sua conservazione rischiano di essere il rovescio speculare del medesimo processo cosificante: “...ciò che torna appare estatico, inoffensivo, rassicurante, depurato di tensione e drammaticità... la stessa ossessione identitaria che attraversa tanta parte del discorso paesaggista è acquietante e riconducibile ad un conciliante, colto e compassato senso comune”. [...]

Questo numero nasce in collaborazione con

Edel è il bollettino di

Biennale Disegno Rimini

Calligraphie

2ª edizione | aprile/luglio 2016

arti e letterature contemporanee www.calligraphie.it calligraphie@calligraphie.it

S E M E S T R A L E D I P R AT I C A C R I S T A L L I N A

Hanno collaborato alla realizzazione

ANNO 3 I OTTOBRE 2015

Francesco Bocchini, Benedetta Calisesi,

Claudio Ballestracci, Roberta Bertozzi, Pablo Georgieff, Stefano Mazzotti, Sandro Pascucci, Massimo Proli,

NUMERO 4

PA E S AG G I LANDSCAPES

© Tutti i diritti riservati

di questo numero Si ringrazia Ferramenta Moreno & Co. – Gambettola

Massimo Pulini, Salvatore Ritrovato,

Progetto grafico e impaginazione

Daniele Torcellini

LampeStudio – Cesena lampestudio@calligraphie.it

L’opera manifesto è di Paolo Buzzi

Stampa

Della stessa opera sono state realizzate per

Sicograf – Cesenatico

Edel 10 carte a tecnica mista, numerate e ISSN 2385-0094

firmate dall’artista

Euro 5,00


Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.