Caro Jannik ti scrivo

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Caro Jannik ti scrivo di Fabrizio Delprete

Art direction e grafica: Sebastiano Barcaroli

Foto di copertina © Frank Molter - Alamy Stock Photo Prima edizione: dicembre 2024 © 2024, Solone srl Tutti i diritti riservati Collana Sport, 2

Ordini e informazioni: info@burno.it burno.it

Stampato in Slovenia nel mese di DICEMBRE 2024.

La casa editrice e gli autori con questa opera intendono assolvere a una funzione di informazione. A tal riguardo ogni illustrazione originale assolve al compito di omaggio all’importanza del personaggio o dell’oggetto ritratti.

Caro ti scrivo FABRIZIO DELPRETE JANNIK

A mia madre, a mio padre, a mio fratello, porti sicuri in cui rifugiarsi quando l’anima è in tempesta.

A Sara, la spina dorsale del mio cuore e faro che illumina ogni mio giorno.

A zio Nino, “fratello” maggiore, presenza, forza ed esempio.

A Patrizia ed Elena, loro sanno perché.

A tutte e tutti quelli che ogni giorno mi seguono, mi stimolano e mi spronano in quella piccola grande comunità che abbiamo creato sui social, insieme, e senza la quale questo libro non avrebbe visto la luce.

A Jannik e, perché no, anche un po’ a me.

Prefazione

(29 OTTOBRE – un giorno alla consegna).

Sono state giornate lunghe e nottate dense, queste ultime passate.

Ore - oltre al lavoro - passate a leggermi, rileggermi, limare, rileggermi ancora, riscrivere.

Ore passate a sistemare gli ultimi pezzi di questo folle puzzle in modo che tutti i lati dei tasselli collimassero, in un modo o in un altro.

Sono state ore di tagli, di qualche aggiunta, ore di puntellatura affinché non cadesse tutto su se stesso.

Sono state ore importanti, come quelle in cui - credo - una parte di noi ci lascia (che sia un figlio o una figlia, un testo, un claim o una canzone) e tu devi solo assicurarti che sappia respirare e che sappia muoversi, per prender vita e viaggiare oltre te. Indipendentemente da te.

Mi sono rivisto, in tutte queste righe del 2024.

Ho rivisto Sinner, ho rivisto me, ho rivisto la vita che scorre.

Mi sono arrabbiato con me stesso, in queste righe del 2024, per quello che avrei voluto - e potuto - essere altrimenti.

E mi sono commosso e ho riso come uno scemo, in quelle stesse righe.

Ero titubante, all’inizio. Raccogliere tutti questi pensieri, fra l’italiano e un romanaccio a volte approssimativo mi sembrava, per dirla con un eufemismo, un azzardo.

Non credevo – e in fondo non credo tutt’ora – di aver scritto qualcosa di veramente degno e interessante se non la mia passione per lo sport, per gli angoli di luce e d’ombra della vita e il mio amore (non ricambiato!) per il Tennis, per Jannik Sinner e per tutti gli straordinari atleti che vivono il circuito ATP.

Alla fine, con ogni evidenza, ho cambiato idea.

Leggere e scrivere è la mia vita e il mio ossigeno, da quando mia madre (avevo 5 anni) mi regalò Favole Italiane di Italo Calvino.

Da quel momento, da quel preciso momento ho saputo cosa avrei voluto fare nella vita, sopra ogni sogno e ogni cosa: scrivere. Un po’ come, credo, Sinner con il Tennis. Il ragazzo e la penna, insomma, che incontra il ragazzo e la pallina.

Sono trascorsi 37 anni, da quel momento, quasi 38. Nel frattempo ho imparato tanti altri mestieri e ho fatto tanti altri lavori, fino ad arrivare a guadagnarmi da vivere scrivendo come coprywriter pubblicitario.

Però, dentro di me, il sogno di pubblicare un libro ha continuato a bruciare, vivo e possente come allora, anche se non avrei mai pensato di scrivere, come primo, proprio questa raccolta. Ma le traiettorie della vita sono imprevedibili come quelle del Tennis, non sai mai dove cadrà la pallina – o se si fermerà proprio lì, sul nastro, prima di tornarti indietro.

E alla fine, eccomi qua. Domani l’editore avrà il prodotto completo, per finalizzare gli ultimi passaggi e andare in stampa.

Perciò, per quanto mi riguarda, Caro Jannik ti scrivo ha già visto la luce. Adesso, negli ultimi dieci mesi e negli ultimi 42 anni.

E allora vada come wada.

Così è, se vi pare.

(N.d.a. Tutto ciò che è raccontato in questo “diario” è, naturalmente, accaduto. Dai fatti – pochi – di cronaca a quelli personali, fino a ogni singolo match vissuto e descritto, quasi fosse l’annuario dell’anno zero del Tennis italiano, quello in cui il nuovo Messia ha iniziato a brillare accecante.

Lo stile, di rimando, non è propriamente giornalistico o tennistico – Clerici, ti chiedo perdono – ma popolare e a tratti sboccato e “volgare”, altre volte aulico.

Ho scelto di scrivere così con determinazione. Volevo, nel mio piccolo, alleggerire il Tennis portandolo a tutti. Perché in fin dei conti il Tennis è la più grande e bella metafora di vita e, proprio come la vita, è fatto anche di passione, di amore, di odio, di sangue e di bestemmie.

I nomignoli dati a tutti questi straordinari atleti ne sono un esempio. È il mio modo di celebrarli, mentre provo a leggerne l’anima più vera dallo specchio del campo. Nessuno di quei nomi vuole essere offensivo, anzi. È il mio modo per segnarli, è il mio modo per amarli.

Perché in fin dei conti, umile spettatore tifoso, io li amo tutti, da Sinner a Djokovic passando per Cerundolo).

24 GENNAIO

Australian Open - Quarti di finaleSinner-Rublev 6-4 7-6 6-3

00:32

Negli ultimi mesi del 2023 hai ridisegnato le traiettorie e le prospettive del Tennis, riportando (fra le altre cose) l’Insalatiera in Italia piegando al tuo volere anche i mostri più sacri e, adesso, di quelle imprese porti il peso sulle spalle, novello Atlante delle invidie e delle frustrazioni altrui.

Occhi bramosi d’incompetenza e astio ti guardano, gufando un tuo qualsiasi passo falso, proprio mentre ti accingi a ricominciare.

Anche se hai solo 22 anni non si respira pietà intorno a te.

Riprendi la racchetta così, sotto questo peso e sotto questi riflettori, proprio su uno dei prosceni più grandi.

Fai rimbalzare critiche e destino con tenacia e classe, un match alla volta, collezionando 3-0 come fossero noccioline da masticare davanti alla PlayStation.

Vai avanti così, fino ai quarti con Rublev.

Un percorso troppo netto, troppo perfetto.

Li vedi quasi, augurarsi lo sgambetto del destino proprio lì, alle porte dell’Olimpo.

E quello sgambetto arriva, infimo e strisciante.

Sopra di un set, un morso addominale. Il terrore negli occhi, la sicurezza che cede il passo.

Al tie break del secondo set la porta girevole del destino che ti si sbarra davanti. 1-5 per Rublev. L’Everest che ti si staglia davanti mentre sei a piedi nudi; le colonne d’Ercole mentre arranchi nuotando.

Un colpo sotto la cintura tremendo, da atterrare e indirizzare verso il tappeto.

Però.

Però forse hai deciso di riscrivere i manuali del possibile, dopo aver schiantatoprimo di sempre e di mai - tre match point a Djokovic.

Però forse vuoi mostrarci che la vita ha in serbo sempre il riscatto, anche quando c’è solo una molecola d’ossigeno a darti respiro.

Basta volerlo.

Basta saperlo volere.

Ed è allora, proprio allora, che compi in un baleno l’impossibile.

5-1; 5-2; 5-3; 5-4; 5-5; 5-6; 5-7.

Non sei più umano, non sei più atleta: sei la traiettoria dell’infinito sempre diversa e perfetta.

Con la racchetta respingi ogni illazione, ogni pensiero, ogni insidia, ogni accusa. Schianti la palla a terra come inappellabile sentenza.

Cambi il corso del tempo e delle cose.

3-0 anche a Rublev.

Semifinali a Melbourne senza perdere un set come solo Dio Federer, Nadal, Nole, Murray e Berdych dal 2000 ad oggi.

Guardate questi pochi secondi di perfezione. Questi secondi di tenacia, di determinazione, di passione.

Guardateli e riguardateli, perché in questi pochi secondi c’è tutta la grandezza di chi non si arrende, perché deve ancora riscrivere la Storia.

Go, Jannik, Go.

E continua a insegnarci a sognare.

28 GENNAIO

17:15

“Daniil, ogni volta che ti incontro mi rendi un giocatore migliore, imparo sempre qualcosa in più.

E ti auguro di vincere presto questo torneo”.

Jannik Sinner. L’Uomo, prima del Fuoriclasse.

(Le parole di Sinner dopo la finale).

17:44

Australian Open – Finale – Sinner vs Medvedev 3-6 3-6 6-4 6-4 6-3

Ci sono momenti particolari, quasi unici, in cui gli astri si allineano in una simmetria perfetta e lo Sport si eleva a segno indelebile di vita, di speranza, di passione, di indirizzo futuro.

Sono eventi indelebili che ti segnano il cervello lasciandoti dentro una polaroid dell’attimo: chi eri in quel momento, con chi eri, cosa stavi facendo.

Sono attimi assurdi che trascendono la singolarità e diventano collettivo: sguardo d’insieme, cuori che battono all’unisono.

Sono minuti, ore di sofferenza e attesa che diventano racconti da tramandare per sempre a chi ancora non c’era.

Sono identificazione e riscatto; sono ribaltamento del destino; sono fiducia; sono consapevolezza che rinasce.

Ci sono momenti particolari che non tutti hanno la fortuna di vivere almeno una volta.

Sono gemme che restano a brillare e riscaldano il futuro.

Il gol di Grosso alla Germania, proprio all’ultimo respiro.

La parabola di Alex che gira fino a lambire il palo, prima di insaccarsi in rete.

Sono la bracciata di Federica che schianta l’esistente e lo riscrive.

Sono le gambe di Pantani che diventano motrice. O le curve di Valentino che disegnano l’assurdo.

Sono momenti che si cristallizzano e si cicatrizzano nell’anima collettiva, dandole nuova linfa e vigore.

Momenti che insegnano il rispetto, la disciplina, la forza del lavoro.

Ci sono momenti particolari, quasi unici, in cui gli astri si allineano in una simmetria perfetta e lo Sport si eleva a segno indelebile di vita, di speranza, di passione, di indirizzo futuro.

Momenti come metafora di vita.

Sei sull’orlo del precipizio, due set a zero, ma trovi la forza per aggrapparti con le dita, e piano piano risalire.

Ci sono momenti che segnano una svolta, scrivendo la Storia.

Momenti come quello in cui un ragazzo di 22 anni ha deciso di salire sul tetto del Mondo. Portando tutti noi lassù, con lui.

20:04

“Per il momento sono contento, ma devo rimettermi al lavoro per migliorare ancora”.

Jannik Sinner.

In questa frase c’è tutto, ma proprio tutto, quello che dovremmo fare sempre, qualunque sia il nostro obiettivo.

23:01

“Non so cantare, non so ballare. Devo solo giocare a tennis, io”. Queste le parole con cui Sinner ha detto no a Sanremo. Ecco. Rileggetele.

Perché sono parole di una banalità disarmante se solo non fossimo in Italia, dove tutti pretendono di fare (e sapere) tutto.

Eppure sarebbe così bello, se tutti imparassimo da Jannik.

2 FEBBRAIO

19:43

Metro A.

Lunghi capelli ricci lui, lisci sulle spalle lei. Le mani si stringono tenaci sulle spalle, componendo una mutevole ma continua catena d’amore.

Braccia su braccia, collo su collo.

Parole sussurrate, inframezzate da onomatopee d’intimità.

Occhi che si mostrano brillanti, quando escono fugacemente dallo specchiarsi gli uni negli altri.

Neanche quarant’anni in due, simbiosi di stelle che si infrangono in luce annullando ogni presenza esterna.

Sono lì, ancora stretti come se tutto fosse sul punto d’esplodere e fosse il loro ultimo atto, mentre scendo dal vagone della metro.

Buona vita, ragazzi. Avete dato bellezza a chi ha saputo guardarvi.

3 FEBBRAIO

22:18

Abbiate cura della persona che, dopo quasi dieci anni di vita assieme, vi fa ancora ridere, discutere, riflettere e anche litigare.

Abbiate cura, tantissima cura, di quella persona con cui quotidianamente progettate il presente e il futuro, con cui vi sentite caldi e al sicuro; quella con cui l’anima si moltiplica in noi ché basta anche solo un cenno - o uno sguardo - per intendere il tutto.

Abbiate cura, amorevole cura, di quella persona che - a distanza di quasi dieci anni - è come se vedeste ogni giorno per la prima, incredibile volta.

Abbiate cura, immensa cura, di quella persona che vi smuove l’universo dentro anche solo con un respiro, reiterando per sempre l’eruzione della passione.

Abbiatene cura, infinita cura. Perché incontrare una persona così è una fortuna indecente.

6 FEBBRAIO

20:17 – Penny Market

In coda al supermercato, un ragazzo e una ragazza dietro di me.

Lui attacca bottone con fare guascone.

Parlano per un paio di minuti del più e del meno: la spesa, Roma, il caos.

Sembrano intendersi, mentre la fila stenta a procedere.

Sembrano intendersi, finché lui non dice: “Certo se aprirebbero un’altra cassa è meglio”.

Mi sono girato, mentre morivo dentro, e ho visto lei di ghiaccio.

Non gli ha più rivolto la parola, neanche per un secondo.

Ragazzi, l’italiano. Almeno per scopare.

Almeno per quello.

14 FEBBRAIO

13:06 – Pausa pranzo viale Angelico

Viale Angelico.

Un signore, avrà - penso - oltre 70 anni, spinge una carrozzella con sopra una donna.

Anche lei avrà più di 70 anni: è minuta, lunghi capelli argentati, lo sguardo tenero.

Si fermano al semaforo pedonale.

Lui le aggiusta lo scialle, si abbassa e la bacia dolcemente sulla guancia. Ecco, per me San Valentino è precisamente questo.

17 FEBBRAIO

21:07 – Jannik

Lì, dove nessun tennista italiano mai si era spinto.

Lì, dove nessun tennista italiano aveva mai neanche sognato spingersi.

Signori e signore, Jannik Sinner, numero 3 del Mondo.

E siamo solo all’inizio.

21:11 – Pantoufle pija foco

19 FEBBRAIO

“Amo’, vedi che c’è puzza di bruciato”.

“Boh, non c’è niente che va a fuoco”.

(“Grazie al cazzo amo’, me ne sarei accorto”, penso).

“Sì, (dico), ma pare c’avemo fatto er barbecue de cinghiale. Non se po’ sta’”.

“Dai è tutto spento”.

“E la stufa, amo?”

“No ma figurati se gli animali si avvicinano. E poi ci sto io”.

(“GLI ANIMALI NO, PANTOUFLE È UN COGLIONE”, penso.)

E INFATTI.

Infatti Pantoufle ha deciso de fa il brasato coi peli suoi, mortacci sua.

(EDIT: sta bene. Puzza solo)

23 FEBBRAIO

21:48

Moje continua a dirmi che andrà tutto bene e che non morirò, NONOSTANTE

IO ABBIA IL RAFFREDDORE E 37,1 DI FEBBRE.

Nessuno può capire quanto sto soffrendo, NESSUNO.

Neanche Taffo.

5 MARZO

17:45 – Consapevolezze

Un’ora di Meta Down.

Finalmente ho conosciuto i colleghi con cui lavoro da 5 anni.

8 MARZO

21:45

Promemoria per compulsivi celebranti della festa della donna, per analfabeti af-

fettivi ed emozionali, per i machi del terzo millennio e - perché no - per le donne che odiano le donne.

Perché una cosa è oggi, una cosa è il quotidiano.

E il quotidiano è ancora troppo abitato da robe simili:

- se una donna “non te la dà” NON è una t*oia;

- se una donna “te la dà” la prima sera NON è una t*oia;

- se una donna “te la dà” con continuità, comunque NON diventa una tua proprietà;

- se una donna si mette la gonna corta ed i tacchi NON è una t*oia, così come se veste in maniera casta NON è una suora;

- NON sei tu a decidere come debba vestirsi una donna. Quella è una SUA libertà;

- se una donna ti sorride per strada NON è una t*oia e non necessariamente ci sta provando con te;

- se una tua collega ottiene una promozione NON è perché ha fatto la t*oia;

- se il tuo capo è donna, NON è una t*oia;

- le donne hanno gli stessi identici tuoi istinti sessuali e scelgono come meglio divertirsi. Quindi NON per questo sono t*oie, ma da secoli stanno cercando di liberarsi di questo appellativo per colpa di quelli come te;

- con una donna si sta INSIEME, non è tua;

- una donna NON diventa tua madre o la tua colf nemmeno dopo anni che state INSIEME. E se ti manda affanculo perché la tratti in quel modo NON è una t*oia;

- se una donna viene violentata NON E’ MAI colpa sua. MAI;

- se una donna viene picchiata o uccisa NON È MAI colpa sua. MAI. Perché la violenza inizia dalle parole.

E non da quelle lanciate a vuoto l’8 di Marzo.

10 MARZO

00:18

È diventato virale un colloquio di “lavoro” fra una ragazza di 24 anni e un ristoratore romano che offre 50 euro al giorno - naturalmente a nero - per sei turni settimanali da cameriera dalle 7:30 del mattino fino all’1 di notte. Cameriera che però deve anche scaricare la merce, fare “semplici preparazioni” in cucina e pulire i bagni.

Bene.

Bene sia diventato virale questo schiaffo in faccia alla dignità, come se fosse un unicum.

Bene l’indignazione, per carità, come se fosse un caso limite.

Peccato solo che la realtà sia ben diversa.

Perché questa storia non è un’eccezione, ma la quotidianità che si ripete sempre uguale da almeno due decenni.

Un quotidiano fatto di sottili e miserabili ricatti (“come te ne trovo cento, ce sta ‘a fila fuori”), sozze e infime promesse (“oh coso, qua è n’ambiente carino, sai quanto alzi de mance? Me devi solo da ringrazia’”), famelica ingordigia travestita da disperazione (“er Covid m’ha ammazzato/‘e tasse me strozzeno già tanto che faccio campa’ l’altri, me devi solo da ringrazia’”) e colma e feroce ignoranza che si crede sociologia (“qua non je va de fa gniente a sti regazzini, ai tempi miei annavo pure a lavora’ gratis pe’ impará mortacci vostra”).

Ne parlo perché la conosco bene, questa terra de mezzo (e demmerda) inquinata da tanti, troppi (non sono tutti così, per carità) auto-proclamatisi “imprenditori” che in realtà di imprenditoria non capiscono la ceppa di un cazzo e sono buoni solo - come bulimici vampiri - a succhiarti l’anima.

Ne ho conosciuti un bel po’, di simil stronzi, quando lavoravo come cameriere e barman.

Titolari che ti guardano con disprezzo e sufficienza, neanche fossi un piatto malconcio da buttare al cesso, perché si sentono la tua vita in mano.

“Persone” che come lupi che annusano il sangue si lanciano al collo per azzannarti, finché non molli. E alle loro condizioni.

Ho ricevuto “proposte” indegne e indecenti nella mia vita, proprio come è successo a questa ragazza. E anche peggio.

Turni impossibili, mansioni altalenanti e ridicole, page infime.

Quasi sempre mi sono girato e me ne sono andato, qualche volta per disperazione ho accettato.

Ne ricordo due, in particolare.

La prima, all’alba dei diciotto anni.

Una cornetteria notturna. 15 ore di lavoro per 30mila lire.

La seconda a Piramide. Tre giorni di prova al bancone “per la gloria” e se andava bene 30 euro per 12 ore continuative, senza stacco. E guai a parlare perché “il titolare ha mal di testa”.

Quasi sempre me ne sono andato, ma non è sempre così, perché nella terra di

mezzo troppi sono i disperati che accettano silenti il ghigno bastardo di insulsi che piangono miseria e fottono, e ancora fottono e piangono.

L’ho rivisto due volte, il video di quel colloquio, perché l’ho sentito come lama sulla pelle, anche a distanza di lustri.

Perché nel frattempo ho costruito una carriera e una professione felice, liberandomi del tutto da certe catene, e mentre lo facevo pregavo che anche la società - quel settore - crescesse e si evolvesse con me.

E invece no. Nulla di tutto questo.

Passano gli anni, esordiscono nuove tecnologie, ma in Italia rimaniamo tutti i soliti ragazzini ricattabili dal primo idiota infame di turno che si crede un mecenate solo perché ha due tavoli e una cucina.

E allora vi auguro solo di fallire una volta per tutte, omuncoli che vi credete imprenditori martiri illuminati.

Vi auguro solo di fallire, perché lo meritate.

13 MARZO

20:57

“Un episodio che in tanti non hanno visto, ma che la dice lunga su Jannik.

Sinner protesta con eleganza disarmante, piovono applausi a Indian Wells: ‘Puniscimi ma non è giusto’.

Jannik Sinner è speciale, anche nelle proteste. Lo ha dimostrato in occasione della partita degli ottavi di Indian Wells vinta contro Shelton. Il tennista italiano è stato infatti richiamato dall’arbitro per aver perso tempo prima di un turno di battuta nel tie-break decisivo del primo set. Una situazione legata alla necessità di cambiare una pallina che a detta di Jannik era diversa dalle altre. E l’azzurro pur convinto di avere ragione, ha sfoderato un’eleganza disarmante. Lo stesso giudice di sedia è rimasto quasi sorpreso.

Sinner si stava accingendo a battere nel tie-break del primo set, sul punteggio di 2-0. Solita routine per l’azzurro che però, dopo aver fatto rimbalzare la pallina a terra, si è fermato e ha deciso di rispedire la stessa al raccattapalle, facendosene passare un’altra. L’arbitro con il quale lo stesso Sinner si era scusato precedentemente con un cenno della mano, lo ha a quel punto richiamato per time-violation, ovvero per aver superato il tempo dei 25 secondi concessi da regolamento per battere dal momento in cui la palla esce dal gioco fino all’inizio del punto successivo.

Jannik è apparso leggermente infastidito dalla situazione, e ha deciso di farsi restituire dal raccattapalle la palla rifiutata in precedenza, portandola all’arbitro per sottoporla alla sua attenzione. Il motivo del suo ritardo nella battuta è legato proprio alla sfera che a suo dire avrebbe avuto un rimbalzo falso. E infatti si può notare come prima di fermarsi lo stesso Jannik abbia provato a far rimbalzare la pallina in modo più forte.

Quando si è recato dal giudice di sedia, quest’ultimo era già pronto a “difendere” la sua scelta visto che solitamente questo tipo di chiamate (spesso gli arbitri chiudono gli occhi in caso di sforamento) possono infastidire i tennisti. E invece Sinner lo ha subito interrotto dicendogli che a lui non interessava del “warning”, ma solo di spiegare le sue ragioni e sottolineare come la palla non andasse bene. Insomma ha voluto chiarire la sua posizione con classe, ed educazione. L’arbitro gli ha detto: “C‘è qualcosa che non va con la pallina? Dillo a me, non darla al raccattapalle”. Sinner senza fare una piega ha sottolineato: “A me non piace come rimbalza questa, per me sono palle diverse”. Mentre l’ufficiale ha proseguito sulla sua linea (“sì, ma vieni e dillo a me”), ecco la chiosa di Sinner che con freddezza ha evidenziato come a lui non interessasse più di tanto continuare a discutere ma solo ribadire il suo punto di vista sull’accaduto: “È tutto ok, dammi la time violation ma non è giusto”. Come è andata a finire? Con un ace”.

(Contenuto di Marco Beltrami, giornalista sportivo e amico che stimo tanto. Ci saranno altri camei suoi, in questa raccolta).

14 MARZO

ATP Indian Wells – Lehecka vs Sinner 3-6 3-6

20:41

Implacabile.

Mostruoso, mentalmente.

Di ghiaccio.

Cinico, formidabile e concreto.

Una striscia di vittorie che pesano sulle spalle come macigni, in un quarto di finale in cui parte da strafavorito.

Tutto, proprio tutto, può far crollare il castello da un momento all’altro. Come nel primo set.

4-3, sul suo turno di battuta.

30-40, per l’avversario che mostra muscoli e denti.

Ed è lì, proprio lì, che è scattata la scintilla. L’ennesima scintilla. Quella che ti tiene in vita quando hai solo un respiro da dare e un’unghia a cui attaccarti prima di sprofondare.

Proprio come quando ha sfregiato e annullato sua maestà Novak, cancellandogli in faccia tre match point - cosa MAI! successa - in una semifinale di Davis.

Proprio come quando dice basta e alza il livello al cielo lì dove solo le aquile sanno volare.

Erano 30-40. E una partita che poteva cambiare.

Ma se in Jannik scatta la scintilla - e quella scintilla scatta, sì che scatta - la direzione non cambia.

6-3 6-3

In un’ora e ventotto minuti.

Jannik è tutto questo. E molto di più.

19 vittorie consecutive.

Vamos verso Alcaraz.

Vamos verso l’infinito e oltre.

15 MARZO

22:16

Tutto qui. Tutto immensamente qui.

“Il talento per me non esiste, bisogna guadagnarselo. Puoi avere capacità leggermente migliori, ma solamente se lavori andrai più in alto. Io esco dal campo distrutto, ma carico a mille e orgoglioso grazie alle lezioni che ho imparato dai maestri. Ho un senso del dovere molto forte, che mi hanno insegnato i genitori.

Mamma cameriera e papà cuoco in un rifugio, entrambi hanno fondato il loro mestiere sulla disciplina ferrea e mi hanno educato a portare a termine con impegno e onestà ciò che inizio. Costi quel che costi”.

Jannik Sinner

16 MARZO

ATP Indian Wells – Semifinale – Sinner vs Alcaraz 6-1 3-6 2-6

22.27

Indian Wells.

Semifinale interrotta per pioggia.

Jannik Sinner si intrattiene con una raccattapalle tenendo l’ombrello per ripararla dalla pioggia.

L’immensità di un ragazzo che è un Uomo, ben prima di essere un Campione.

Un ragazzo da cui dovrebbero imparare tutti, anche e soprattutto quelli che si vantano di avere decine di Slam in bacheca, per poi mostrarsi nudi nella loro nullità di persone.

In uno scatto solo, la grandezza dei numeri primi.

17 MARZO

00:55

Io a mezzanotte e mezza:

“Vabbè Sinner te vojo bene ma mica posso aspetta’ che a Indian Wells spiova, eh”.

Sempre io adesso, con il TV a palla.

01:07

Se potete, correte a vedere Sinner-Alcaraz.

È una roba epica.

È uno spettacolo assoluto.

02:30

La china nel tennis, a saperla leggere, disvela subito il finale.

E risalire quella china già scritta, quasi sempre, è missione impossibile.

Si stanno affrontando, proprio in questi minuti, due ragazzi che segneranno il prossimo decennio di questo sport.

Sinner, molto probabilmente (spero di esser smentito, ma non credo) dopo un primo set in cui ha rasentato la perfezione perderà al terzo per mano di un altro

campione immenso.

È un epilogo amaro, specialmente dopo aver fatto le ore piccole per godere di questo spettacolo.

Però, in fondo, è un epilogo dolce.

Perché non si può vincere sempre.

Perché se non c’è rivalità ad armi pari non c’è epica, né tantomeno goduria.

Perché stasera Jannik, dopo aver dominato il primo set (e forse proprio per quello) per una volta ha mostrato il suo lato umano, meno perfetto e glaciale.

Perché, soprattutto, Jannik ha il talento piu grande fra tutti: sorridere alle sconfitte, per farne lezione e tesoro.

E allora complimenti Alcaraz, campione totale che ha saputo ribaltare una partita aggrappandosi con le dita alla vita.

E allora viva Jannik. Perché sei un alieno piombato nel nostro Paese per farci sognare e, di certo, ci farai sognare ancora.

E cento, mille, di queste partite.

18 MARZO

23:17

Di andate e di ritorni.

Succede che, a un certo punto della vita, decidi di lasciare la terra in cui sei nato e cresciuto, il sole ed il mare, per darti una possibilità di crescita e di riscatto.

Perché cerchi un posto nel mondo, perché quel posto lo meriti, perché ti sei sempre dato da fare e non hai paura di lavorare, per riuscire.

Succede che allora parti, destinazione Milano ché, si sa, è la città delle opportunità.

E ti rimbocchi le maniche, eccome se te le rimbocchi.

E in quella città ci passi anni, pensando che la svolta sia proprio lì, dietro l’angolo, a portata di mano.

Però. Però passano gli anni e lo stipendio è sempre lo stesso ché “signora mia c’è la crisi già tanto che sfamo qualcuno”.

Però. Però la coperta è sempre più corta, ché a meno di 800 euro (spese escluse) un monolocale mica si trova (“è il mercato bellezza”) e gli spiccioli che restano bastano appena per l’abbonamento e un boccone. E guai ad ammalarsi, ché allora son guai.

E allora rifletti. Ti chiedi cosa ci fai lì, spatriato nella nebbia, senza orizzonti e prospettive.

Perché, come mi ha raccontato questa persona, “in questi tempi non puoi neanche permetterti di essere single, perché costa troppo”.

E allora decidi di tornare giù, da dove sei partito.

Decidi di chiudere i sogni nel cassetto, ché qualche spiccio a nero giù vale più di uno stipendio del nord.

Ecco, questa storia mi ha sconvolto e colpito parecchio, per tanti motivi.

Perché è una storia simile a quella di migliaia e migliaia di persone.

Perché è il fallimento di un Paese intero. Un Paese arretrato, egoista e ingiusto che schiaccia sempre e solo i più fragili.

Perché fino a un certo punto è anche la mia storia, con un finale per fortuna diverso.

Diversa perché ho avuto tenacia, pazienza, talento e soprattutto la fortuna (e anche la possibilità) di crescere e crederci. E perché non sono solo, che di questi tempi forse è veramente un lusso che non possiamo permetterci.

19 MARZO

20:53 Festa del papà

A te che sei arrivato in punta di piedi, e hai deciso di restare.

A te che ti sei fatto abbraccio e faro, anche se non eri per forza tenuto.

A te, che mi hai preso per mano per le strade del mondo, indicandomi la via ma lasciandomi scegliere la mia.

A te che sei presenza ed essenza proprio dove e quando qualcun altro si è fatto assenza.

A te che mi hai insegnato con l’esempio che papà non si diventa procreando, ma amando.

21 MARZO

20:07 – odissea Roma Roma, ore 07:49

Prendo la Metro a San Giovanni, devo andare a Piazza Malatesta per una commissione, ma alle 9:30 devo essere in Agenzia a Piazza Mazzini.

Ore 08:20

Esco su Piazza Malatesta.

Ore 08:44.

Aspetto il treno per tornare a San Giovanni e prendere la metro A.

Ore 08:59.

Ho aspettato la corsa della metro C “solo” 5 minuti, sono a San Giovanni. O meglio, sono a nove miliardi di metri sottoterra. Devo correre in superficie.

Ore 09:02.

Sono ai tornelli della metro A.

Davanti a me un muro di persone incazzate come le iene.

Chiedo cosa succede.

Mi risponde, sorridente, un addetto Atac:

“Signo’ ‘a metro l’avemo chiusa per un po’ perché ce stava troppa gente”.

“Un po’ quanto, scusi?”

“Ah, boh, un po’”.

Ore 09:04

Finisco di elencare in ordine alfabetico tutti i santi e tutti limortaccichevannomannatoagestilatac (che minchia chiudete METTETE PIÙ CORSE), esco da

San Giovanni e corro verso Re di Roma.

(Sperando non ci sia “troppa gente” pure lì).

Ore 09:07.

Dopo aver battuto i record di Bolt, Tortu e Jacobs sono a Re di Roma.

Grondo sudore che Fontana de Trevi levati proprio, mentre ripasso mentalmente tutti i santi e tutti limortaccichevannomannatoagestilatac.

Ore 09:11.

Salgo sul vagone, infilandomi con stile sotto le ascelle degli sconosciuti.

Ore 09:13.

Siamo a San Giovanni. Non sale nessuno, mi sa che “ce sta ancora troppa gente sopra”.

Ore 09:19.

Siamo a Vittorio Emanuele.

Trambusto all’entrata del vagone.

Due donne iniziano a insultarsi e a menarsi di santa ragione.

Pugni in faccia a ripetizione, la gente urla.

Il treno rimane fermo per cinque minuti senza che si palesi nessuno di quelli che dovrebbero garantire ordine e sicurezza.

Ore 09:24.

Il treno riparte con le sue lottatrici sopra.

Una voce automatica ripete “occhio alle borseggiatrici”, senza dire “OCCHIO

CHE QUA SE MENANO PURE”.

Ore 09:28.

Lottatrice numero 1 abbandona il ring e scende. Lottatrice numero 2 si siede, gronda sangue dal naso sfondato.

Ore 09:34.

Spagna. Si sente dal vagone vicino “Daje Roma alè alè alè FORZA ROMA ALÈ”.

Er matto che urla e prova a fa tifa tutti, saltando da una corsa all’altra, c’è anche oggi.

“Signo’ me compro 6 ova de Pasqua de ‘a Roma che tanto li sordi nun so’ un problema io so’ come Totti”, il refrain di oggi.

Ore 9:40.

Sono a Lepanto. “Vabbè oggi prendo il 30 che sono in ritardo”.

Se, lallero, 19 minuti alla prossima corsa.

Ore 09:53.

Entro in Agenzia. Puzzo come un cammello.

Grido Roma Ale Ale.

Svengo.

Mortacci tua, Roma. Sei bellicissima.

EDIT: sto arrivando a casa adesso. A piedi. A PIEDI.

24 MARZO

ATP Miami – Sedicesimi di finale –Sinner vs Griekspoor 5-7 7-5 6-1

23:15

In bilico, ancora una volta.

Un primo set irriconoscibile.

Un pezzo importante di partita non al suo livello.

E gli avversari che ormai - contro di lui - vendono l’anima al diavolo pur di batterlo.

E poi.

E poi la capacità di cambiare tutto, ma proprio tutto.

La capacità di salire. La capacità di resettare in corsa.

Chi ha visto solo il terzo set avrà immaginato il solito Sinner schiacciasassi.

No.

Perché Sinner è partito umano, schiacciasassi è tornato con pazienza, testa, dedizione e - forse - con l’aiuto della pioggia.

Ma alla fine è giusto così.

Perché non si è Campioni assoluti per caso, ma per lavoro e preparazione.

Ecco. Se volete per definire Sinner c’è una parola, una parola abusata e che non amo tanto, ma che su di lui calza a pennello: resilienza.

Lui è così. Resiliente.

E devastante.

26 MARZO

ATP Miami, ottavi di finale, Sinner vs O’Connell 6-4 6-3

22:06

Ti voglio bene, O’Connell.

Ti voglio bene assai.

Perché stasera ti sei giocato il tutto per tutto e lo sapevi.

Sapevi che questo sarebbe stato il treno della vita e allora ci hai provato, con tutto te stesso, a salirci sopra.

Nei primi game del primo set hai dato fondo alla perfezione che avevi in corpo, pur di scalare l’impossibile: non sembravi neanche tu.

Se partito forte, fortissimo.

Però.

Però davanti hai avuto uno che è un po’ un alieno. Uno che quando decide che fino a quel momento ha scherzato beh, poi non guarda in faccia nessuno.

L’hai fatto un po’ tremare, Sinner nostro. È vero. Ma poi se Sinner trema troppo si scatena. E ti prende a palle che sembrano razzi missile.

Perché no, Sinner non è “normale”.

È straordinario.

Straordinario come quando qualcuno fra il pubblico si sente male e il primo a cercare di fare qualcosa è proprio lui.

Teniamocelo stretto questo ragazzo.

Stretto assai.

Altri volumi pubblicati da Burno:

Mille pugili, di Marco Nicolini

Il giro del mondo in ottant’anni, di Bud Spencer

La mia routine, di Daniele Ciniglio

Storie a passeggio di cani famosi, di Sebastiano Barcaroli e Marco Bonatti

Storie feline di gatti famosi, di Sebastiano Barcaroli e Marco Bonatti

Manuale di Eleganza Classica Maschile, di Douglas Mortimer

I nobili piaceri del gentiluomo, di Douglas Mortimer

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