E invece fr*gna!

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E invece fr*gna! di Fabrizio Delprete con Sara “Moje” Tarantino © Fabrizio Delprete © 2025, Burno per questa edizione Tutti i diritti riservati. Collana Narrativa, 3

Progetto grafco e impaginazione: Ruslan Viviano

Cover design: Sebastiano Barcaroli Correzione bozze: a cura della redazione Stampato presso Rotomail Italia S.p.A. Vignate (MI) - aprile 2025

Burno

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FABRIZIO DELPRETE

CON SARA “MOJE” TARANTINO

E INVECE FR * GNA!

E INVECE FREGNA!

Ci sono momenti in cui tutto sembra già determinato, già scritto ed inciso a futura memoria di coloro che hanno osato sfidare il costituito.

Sembra, insomma, che non ci sia spazio per il sogno, per il non preventivato, per la sorpresa, per il colpo di scena.

Ha un odore strano, particolare, quella sensazione pungente che dalle narici permea e passa e viaggiando leggera colpisce, assopisce e rassegna l’anima.

È l’odore stantio del già visto, il fumo di brace dell’ineluttabile, il morso del tempo che conosce una sola direzione di scorrimento; è l’esperienza che infingarda ti sussurra, ti parla, e si fa sentenza.

È il potere che schiaccia e che vince; lo sbruffone che parla e s’impone con le parole più sul campo della boria che su quello della Storia e della Vita; è lo sghignazzare di chi sente il destino giusto nel proprio bagaglio – diritto dovuto e acquisito per chissà quale discendenza di ineluttabile trionfo: chi urla più forte, si prende il piatto. E festeggia ingordo, provocatorio, sulle misere briciole.

Alla fine il mondo funziona così, o almeno così ci hanno detto.

E poi.

E poi, però, succede.

Succede qualche volta, ma succede, sì che succede.

Succede che una piccola pietra di karma e di fato irriverente si materializza – improvvisa e giocosa come frammento di rena che si tatua in memoria di sole e di gioia negli interstizi di un costume scollato – in quegli ingranaggi all’apparenza tremendi e perfetti.

Succede. Succede che quella pietrina d’incanto e d’inciampo rompa quel meccanismo.

Ed è allora, proprio allora che succede.

Bam. Bam–bam. Bam–bam–bam.

Un rumore impercettibile, almeno nei suoi primi vagiti. Un rumore impercettibile che poi s’amplifica e cresce come mais di bambino che si trasforma in delizia fino a romper lo schema, il presente e il futuro.

Il rumore della prima scintilla di fuoco scappata per astuzia – e per sacrificio d’amore incondizionato, non dovuto e puro –dalle mani degli Dei.

Il rumore della zattera che tocca finalmente la sponda, dopo punizione inflitta d’Olimpo. Il rumore di un’idea, che trasforma e ti cambia.

Bam. Bam–bam. Bam–bam–bam.

È quello, il rumore. Il rumore di qualcosa di inaspettato, di assurdo, di impensabile. Il rumore di qualcosa che non doveva succedere e invece succede.

Anzi. È successo.

Il rumore che si forma e che sforma quel segno forte che è il punto alla fine della frase già pensata “sarebbe potuta andare in maniera diversa, e invece.”

E invece quel punto esplode, per lasciare spazio al continuo. Quel punto si inchina e si scosta, per lasciare respiro.

“E invece” non termina, ma prende rincorsa con slancio.

“E invece…”

E invece fregna.

FREGNA

“Fregna” è una parola strana. È una parola un po’ sboccata, diretta, forte, intensa, saporita, piena, determinata e coinvolgente.

Fregna è fessura; è entrata ed uscita; è taglio di Fontana che disvela dal bianco intonso la quinta parete dell’esistenza.

Fregna è una parola che affascina e spaventa; Fregna è il coraggio e la paura; Fregna è il confine e le sue colonne; Fregna è l’insuccesso, o la goduria.

Fregna è donna. Donna ammaliatrice e testarda; donna solitaria e temeraria; donna intraprendente e decisiva; donna pretendente, donna decidente.

Fregna è, semplicemente, l’origine del Mondo.

Fregna è una parola che per secoli è stata ridotta a un significato solo. E pure volgare.

Come se un significato unico, senza altre sfumature e spoglio d’armature, possa comprimere l’Universo intero che invece ogni lemma sprigiona da sé anche solo da un labbro appena accennato.

Solo, non è così. Peccato (e neanche troppo peccato) non sia così.

No. Non è così manco per niente. Non è così. Per fortuna, e nemmeno purtroppo.

Perché le parole non sono simulacri imbiancati dalla ruggine del tempo, no. Le parole non sono mausolei pagani in cui ci si reca in pellegrinaggio votandosi all’idea che la loro stessa essenza, come quella del presente e del futuro, sia immutabile.

Le parole – incredibili coincidenze di lettere combinate e allineate sapientemente dal viver quotidiano – sono vive.

Quelle parole pulsano, respirano ed espirano – spugne di vita che diffondono spore sempre diverse. Quelle parole si muovono, camminano, abitano, traslocano, si mimetizzano, si travestono e cambiano forma per poi restare fedeli a se stesse.

Le parole prendono quel pertugio di Fregna e ci entrano, eccome se ci entrano.

Ci entrano. E poi.

E poi vanno e vengono, quelle parole.

Ogni tanto si fermano, ma per poco.

Però quando si fermano sono nere come il corvo. E sembrano guardarti con malocchio.

Certe volte sono bianche e pure, e corrono, prendendo forme inaspettate. Ma questo, in fin dei conti, lo vedono meglio i bambini che giocano a ricomporle per tanti fogli.

(Ti chiedo scusa, Faber!)

Ma soprattutto le parole quando da quel pertugio escono vengono riprese, vengono strappate al loro destino. E trasformate in qualcos’altro.

E così, adesso, “Fregna” non è più solo uno scheletro del passato intriso di stigma e di vergogna, no. È diventato qualcos’altro.

Fregna adesso è una sorpresa.

Fregna adesso è un colpo di scena. Fregna è esclamazione di meraviglia.

Fregna è sovversione.

Fregna è consapevolezza, compensazione e accettazione.

Sì, anche accettazione pragmatica e pacifica dell’impossibilità nel cambiare sempre le sorti del destino.

“Non te l’aspettavi, eh, che vincessi io? E invece fregna.”

È eclatante e stupendo, sì. È sconvolgente e dirompente, sì.

Ma non sempre è così, purtroppo e molto poco per fortuna. E se non succede l’imprevisto, l’agognato così sperato, “invece fregna” vale lo stesso, anche di più. Perché da quella fessura, da quel taglio su tela bianca, di sicuro uscirà un’altra opportunità per cambiare di quel lemma, di quell’espressione, significato.

Perché “invece fregna” – prima d’esser sentenza – è soluzione quotidiana per affrontare al meglio gli scalini di ogni vita.

“E invece fregna” è un inno al riscatto, ma anche alla dignità di chi ci prova e non molla.

COME NASCE “E INVECE FREGNA”

Come (quasi) sempre – almeno per le cose belle – è iniziato tutto per gioco. Una vittoria inaspettata, un commento sportivo e una frase – di mio stretto uso comune, quasi introiettata per osmosi insieme all’aria di Roma, ar traffico, ar color piscio der Tevere – buttata lì, quasi per caso, in un post social.

Lì, alla fine di quel post di riscatto, di stupore e di rivalsa (che francamente neanche ricordo più quale fosse, quantomeno il primo, anche perché scrivo tante de quelle fregnacce ogni giorno che mi servirebbe il server di Meta per ricordarne la metà)… “E invece fregna” ce stava proprio bene, s’è visto subito.

Quell’espressione, in quel contesto, si è accomodata dolce come i gatti (almeno i miei) nell’incavo del braccio per abbandonarsi completamente e iniziare a ronfare, pronti al bisogno a scattare.

Quell’espressione si è letteralmente incastonata come madreperla lucente d’arcobaleno, pronta a riflettere ed amplificare ogni altro e più alto significato.

Da lì, quell’espressione ha preso ancor più vita, abbandonando lo stretto porto natio suo per farsi ambasciatrice orgogliosa dei sentimenti e delle emozioni altrui.

Da lì, “E invece fregna” sì è espansa a macchia d’olio, facendosi motto di una comunità gentile e sempre più grande fatta

da persone eterogenee, di ogni estrazione sociale, di ogni provenienza regionale; ha varcato, insolente e dirompente, i confini del Lazio diventando quasi metafora d’Esperanto (e de speranza) in ogni angolo dello Stivale. Fatta l’Italia, insomma, facciamo i fregniani.

Molti, dopo averla conosciuta, l’hanno fatta propria.

Perché tutti, in fondo, almeno una volta nella vita si sono trovati in una situazione in cui le cose non dovevano funzionare, e invece hanno funzionato. In cui nessuno credeva in loro e invece hanno sfondato. In cui la realtà sembrava già scritta e invece l’hanno ribaltata.

Oppure si sono trovati in situazioni in cui erano lì lì dal farcela, a pochi millimetri da quella che Agassi chiama la forza magnetica del traguardo (e che può essere attrattiva o respingente) e poi sono rimasti bloccati, fregati, illusi e disillusi, cercando disperatamente – senza trovarla – con la lingua una parola di leggerezza che desse sollievo e spinta al domani.

Ecco, “E invece fregna” è quella cosa che forse mancava. Per gioire, per sottolineare, per rivincita ed orgoglio. O per lenire, per superare, per metabolizzare, per alleggerire, per sorridere nella delusione e per ripartire.

Anche perché, a guardar bene, la Storia è piena di “E invece fregna”, solo che bisogna guardare oltre la fessura, per farci bene caso.

Non sono solo episodi sportivi, politici o culturali. Sono storie di vita, storie di tutti i giorni. Sono le battaglie vinte contro ogni previsione. Sono la rivincita della sostanza sulla fuffa, della testa sulla presunzione, della dedizione sulla tracotanza. E sono anche il sorriso di chi non è riuscito pur spaccandosi la schiena, e allora la schiena se la spacca più forte per tornare ancora ed ancora, pronto – finalmente – a superare quel millimetro che prima aveva mancato.

O almeno a provarci.

“E invece fregna” è il ragazzo che arranca, arranca mentre vede gli altri – bolidi più potenti e più determinati – superarlo alle prime curve della vita, mentre lui si barcamena fra tanti, troppi lavoretti cercando di capire come si ingrana la marcia ancor prima della strada da percorrere.

Ma quando poi ingrana – e il gas ribolle nel motore – riesce a parcheggiare bene, e prima d’altri; è la ragazzina che fra i banchi si spremeva d’amore ignorato e indecente per un cuore arido d’alterigia e strafottente che – dopo anni – la rincontra e ne rimane folgorato, senza speranza; è una famiglia che non conosce lussi, neanche quelli del riposo, e nonostante tutto stenta. Ma al caldo degli affetti, pur con poco, sorride e grato abbraccia; è tutto quello che non ti aspetti e che invece succede; o quel che speri e non succede, ma non importa.

Però c’è un’altra cosa, molto importante, da ricordare sempre: “E invece fregna!” non è per tutti. No, manco per niente.

Perché a qualcuno quel motto, quel modo di affrontare quotidiano e avversità je brucia. A qualcuno, state sicuri, ’a fregna je rode. E pure tanto.

Perché chi ha sempre avuto la strada spianata, chi si è sempre sentito il padrone de sto gran casco, chi crede che il mondo sia fatto per i furbi e i figli di papà non può accettare che qualcuno arrivi dal nulla e si prenda la scena.

E allora – sì, proprio allora – che li vedete fumar dagli occhi e dal cervello come ciminiere antiche d’odio e rabbia, senza saper trovare ristoro nella normalità della leggerezza: minimizzano, denigrano, dicono che è un caso, che è fortuna, che tanto non durerà.

E invece dura.

CHI VINCE DAVVERO

“E invece fregna” – in fin dei conti – è la vittoria di chi lavora mentre gli altri parlano. Di chi non fa “er fenomeno” a tutti i costi, di chi non si pavoneggia, di chi non si atteggia a “grande” e poi crolla al primo soffio di vento.

È la vittoria dell’underdog, di quello che nessuno aveva considerato, di quello che nessuno dava per vincente. È la vittoria della gente vera.

Quella che perde anche, ma con decenza. Con dignità. Con speranza.

Perché il mondo è pieno di spacconi che si prendono la scena, ma poi alla fine crollano.

Sono quelli a cui tutto sembra dovuto, i geni senza troppo cervello, quelli che spingono a tavoletta, ma poi a volte sbattono.

Sono i Re Sole senza testa e senza trono; sono i galli con poca cresta; sono quelli che incontriamo ogni giorno, in ogni angolo del nostro abitare; quelli che se sentono sempre e comunque stocazzo. E invece…

E invece a vincere alla fine – anche quando perde – è un altro tipo di persona.

È chi suda, chi si sbatte, chi non si lamenta ma fa. Chi si prende a pugni con la vita e non molla mai. Quello è l’unico che alla fine può dire, in ogni caso: “E invece fregna”.

QUESTO LIBRO

Questo libro vuole essere un piccolo, grande viaggio in tutto questo. Un viaggio per me, ma soprattutto un viaggio per tutte le donne e gli uomini che, nell’ultimo anno e mezzo, hanno iniziato ad abitare una comunità virtuale fatta di gentilezza, ironia, emozioni, pensieri profondi, sport e vita quotidiana. Sono loro che hanno adottato e moltiplicato questo concetto ribaltante e rivoluzionario: lo hanno accudito, lo hanno fatto proprio, lo hanno nutrito, lo hanno accompagnato per mano, lo hanno reso vero e vivo, lo hanno applicato, lo hanno guidato.

E allora questo libro vuole render tributo a loro e a quel “E invece fregna!” collettivo, innalzandolo ed esprimendolo appieno in tutte le sue sfaccettature possibili e imponderabili.

Questo è un libro di storie vere, di ribaltoni, di gente e situazioni che hanno spaccato quando nessuno ci credeva. E di gente che ha continuato a credere anche quando ha fallito, rimanendo con il viso sul selciato.

Alcune di queste storie vengono dalla Storia con la S maiuscola, altre vengono dalla vita di tutti i giorni. Alcune fanno ridere, altre fanno incazzare, altre ancora fanno venire voglia di alzarsi in piedi e applaudire. Ma tutte hanno una cosa in comune: sono fregne.

E no, non vuole essere una raccolta di cazzate motivazionali o un “manuale” da guru imbonitore (lo so, excusatio non petita ma, pe quanto me riguarda, invece fregna) che dice di crederci, tanto tutto andrà bene. No, corcazzo va sempre tutto bene, manco pe gnente. Potemo pure recita’ sto mantra da mattina a sera, cambia poco. La vita spesso è amara, tosta, dura e pure stronza. La vita è ’n’altalena. È ’na giostra der calcinculo. E quasi sempre er culo è quello nostro. L’importante però, fra ’n calcio e ’n antro, è darsi la spinta per continuare a girare. Perché la vita sarà pure stronza, ma è proprio bella.

E allora preparatevi, perché la giostra inizia il suo giro. E invece fregna.

Dello stesso autore:

Caro Jannik, ti scrivo, di Fabrizio Delprete

Altri volumi pubblicati da Burno:

Mille pugili, di Marco Nicolini

Il giro del mondo in ottant’anni, di Bud Spencer

La mia routine, di Daniele Ciniglio

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Storie feline di gatti famosi, di Sebastiano Barcaroli e Marco Bonatti

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I nobili piaceri del gentiluomo, di Douglas Mortimer

Il Piccolo Principe delle Tenebre, di Nicola Pesce

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