CAPITOLO 3 L’imprenditorialità appare centrale per la ricchezza e la competitività di una nazione. Tuttavia, nonostante la sua riconosciuta centralità nel processo economico, l’imprenditorialità è un fenomeno elusivo, un concetto molto difficile da definire con chiarezza. Questa stessa incertezza e confusione si ritrova nella comunità accademica, al punto che l’economista Baumol scrive: “L’imprenditore è il più intrigante e il più elusivo dei personaggi che costituiscono il soggetto dell’analisi economica”. Nel periodo a cavallo fra il XIX e XX secolo si sviluppò un clima intellettuale, il quale sottolineava il ruolo della cultura nella spiegazione dell’attività imprenditoriale. Si pensi a figure di enorme importanza come Max Weber, il quale descrive l’imprenditore come portatore di una “razionalità strumentale” che lo rende capace di mettere in relazione il perseguimento del profitto con i mezzi più adatti a raggiungerlo oppure Sombart, il quale sottolinea le caratteristiche elitarie dell’imprenditore, che con la sua energia vitale e la sua creatività dà vita a fattori economici, quali il lavoro e il capitale, che altrimenti potrebbero essere considerati inerti. Per questi individui la ricchezza non è il fine; al contrario, essi aspirano all’ascesa sociale e sono sostenuti dalla gioia della creazione, dal piacere della vittoria contro i loro concorrenti e dalla consapevolezza del loro ruolo quali capi di imperi economici. In ogni caso nessuno più di Schumpeter ha posto l’imprenditore al centro del sistema economico, considerandolo il motore della crescita. Primo Schumpeter (fino agli anni ’30 in Europa): l’imprenditore è innovatore (non necessariamente inventore). Gli imprenditori creano nuovi prodotti, nuovi metodi di produzione, nuovi mercati, nuove fonti di materie prime o una nuova forma organizzativa. L’innovazione, che giustifica il profitto imprenditoriale, non si adatta alla domanda corrente, ma impone il suo prodotto sul mercato. Innovazione significa cambiamento, squilibrio, “distruzione creatrice”; essa non coincide con l’invenzione, ma è la realizzazione di questa a livello economico. In tale visione, l’imprenditore è una sorta di “traduttore” che compie ogni sforzo per trarre vantaggio dalle onde lunghe della tecnologia delineate da Kondratieff: dal 1786 al 1842 l’onda caratterizzata dai grappoli d’innovazioni nei settori tessile e metallurgico; dal 1843 al 1897 le innovazioni concentrate nel settore delle ferrovie; dal 1897 allo scoppio della seconda guerra mondiale, quando i settori elettrico, chimico e automobilistico nacquero e iniziarono un periodo crescente di espansione. L’innovazione tecnologica risulta cruciale per l’eroe schumpeteriano il quale era soprattutto un uomo impegnato nella produzione, non necessariamente colui che assumeva il rischio d’impresa (e non necessariamente un proprietario). Secondo Schumpeter (dal 1933 in USA): non c’è più spazio per l’imprenditorialità individuale. Vi è solo un’imprenditorialità trustificata all’interno delle grandi imprese. In ogni modo, il primo Schumpeter si contrappone in modo rilevate alla visione classica e neoclassica dell’imprenditore. Infatti egli osserva che, se leggiamo The Wealth of Nations di 10