Biblioè

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La cultura sembra vista dalla Costituzione come un quid mai compiuto, ma sempre in divenire e da accrescere. Paesaggio e patrimonio storico e artistico sembrano invece visti nella loro prospettiva statica; vanno tutelati quasi a farne un museo (all’aperto o al chiuso non importa). Eppure cultura e ricerca, paesaggio, patrimonio storico e artistico, non sono scollegati all’interno di quel trittico, perché la cultura stessa non esiste senza la valorizzazione del nostro passato e della memoria, i quali formano la nostra identità; ed è perciò anche il patrimonio paesaggistico, storico e artistico a formare questa memoria. Quindi è seriamente pensabile che il patrimonio paesaggistico, storico e artistico possa essere efficacemente tutelato senza cultura e senza ricerca? Il trittico originale di valori e di compiti della Repubblica disegnato dall’articolo 9 della Costituzione nel quadro dei principi fondamentali – insieme alla democrazia, all’eguaglianza, alla solidarietà, alla laicità intesa non come mero rapporto Stato-Chiesa ma come più alto concetto di rispetto reciproco, ed agli altri principi che segnano la nostra convivenza – è profondamente attuale, concreto. Ma richiede numerosi e incisivi interventi di restauro. È sufficiente pensare alla povertà della cultura; alle difficoltà e ostacoli della ricerca; al degrado dell’ambiente e del patrimonio storico e artistico. Tutto ciò in un contesto che sembra ispirato più ad una maldestra e solo apparentemente efficientistica prospettiva di economia di cultura; anziché ad una ragionevole ed organizzata prospettiva di economia della cultura, per valorizzare e utilizzare al meglio le risorse disponibili. Queste ultime non sono poche, ma sono spesso mal gestite o trascurate; o sono al più viste troppo spesso in una logica soltanto di sfruttamento e di profitto. La cultura è condizione di esistenza di ogni società, soprattutto se composta da grandi numeri, come è stato detto (Gustavo Zagrebelsky). È condizione per «riconoscersi senza conoscersi personalmente». È premessa per creare un senso di appartenenza, anzi di partecipazione. È espressione di una «costituzione culturale» indipendente dalla «costituzione economica» (finalizzata ad assicurare i beni materiali) e da quella politica (finalizzata ad assicurare ordine e sicurezza). Non può e non deve essere asservita o strumentalizzata ad esse o al conformismo. Infatti, nell’età «liquido-moderna» attuale (così Zygmunt Bauman) la cultura «è conformata in maniera tale da corrispondere alla libertà individuale di scelta e alla responsabilità individuale di quella scelta»; ha la funzione «di assicurare che la scelta sia e rimanga sempre una necessità e un dovere inderogabile di vita…» Proprio per questo è essenziale il superamento di una sorta di disattenzione che vi è stata sin dall’origine verso il primo comma dell’articolo 9 della Costituzione, dedicato alla cultura e alla ricerca. Era considerato – si

diceva – una “pseudodisposizione infelice” priva di valore normativo, perché indeterminata e destinata a trovare spiegazione e concretezza nei successivi articoli 33 (libertà di arte e scienza e del loro insegnamento) e 34 (accesso di tutti alle scuole). Perciò era trascurato a favore dell’indagine sul secondo comma, dedicato al paesaggio e al patrimonio storico e artistico della Nazione. La peculiarità e la novità dell’articolo 9 nella sua unità stanno invece nella stretta connessione tra le due componenti del primo e del secondo comma: una connessione da riscoprire e da valorizzare. Essa condiziona l’interpretazione di ciascuna delle due componenti e dell’insieme della norma; rende superata e non più attuale la pretesa di una loro trattazione separata. Il trittico e i differenti compiti assegnati alla Repubblica e allo Stato sembrano dunque ricomporsi. Sul piano dei rapporti etico-sociali della Parte I della Costituzione il faro è offerto dall’articolo 33. Quest’ultimo – nel sancire la libertà dell’arte e della scienza – non si limita ad assegnare valore di intangibilità ad un diritto per chiunque; ma finisce per “qualificare” contenutisticamente tanto l’arte che la scienza come materie “in sé” libere, quindi non “limitabili” da parte dello Stato. Ma è altrettanto evidente come la cultura di cui lo Stato deve promuovere lo sviluppo non sia avulsa dal contesto di valori in cui il costituente l’ha iscritta. Da ciò la conseguenza che il suo sviluppo dovrebbe rappresentare una progressione verso il conseguimento di quei valori, dando risalto alla storia che ha accompagnato un simile progresso verso il bene comune.

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3.2. La cultura come bene comune Senza memoria non può esistere identità e il passato è destinato a ripetersi. Come osserva Primo Levi, «è avvenuto, quindi può succedere di nuovo»; come è scritto all’ingresso del campo di concentramento di Dachau, «chi dimentica il passato è condannato a ripeterlo». La cultura del territorio e della memoria è il primo ed essenziale valore per uscire dalla crisi che stiamo vivendo: una crisi non solo finanziaria, ma soprattutto di cultura. La cultura come condivisione di esperienze tra istituzioni e società civile, tra popolazioni, tra individui. Oltre alla lingua parlata e scritta, sono componenti essenziali della cultura la lingua del paesaggio, quella delle pietre, la lingua dell’arte, quella della musica, quella delle tradizioni: rivolte a tutti e comprensibili da tutti. Infatti nell’articolo 9 della Costituzione la cultura insieme alla ricerca è evocata come la premessa – di cui promuovere lo sviluppo – della tutela del paesag-


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