SGUARDI PENULTIMI

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sguardi penultimi dialoghetti

claudio canal


Ho fatto scalo qui, da te. Presso il tuo sguardo amichevole e beffardo. Non c’è prosopopea che tenga. Non c’è scampo. E’ così implacabile e morbido che mi viene da raccontarti una ad una le mie magagne. Fino ai bordi della notte che è in me. A cominciare da questo furto di identità che ho perpetrato, come sempre si dice, a fin di bene. Un po’ così mi guardava mia madre. A me, maschio recalcitrante. Diceva, in volgar lingua, mostrandomi la mano sagomata giusta, quat dii pi bas [quattro dita più giù]. Denudandomi quanto basta per il resto della vita.


Una selva di occhi che stanno sulla frontiera tra il mondo dei vivi e quello dei morti. Ombre degli uni e degli altri. Ombre di ombre. Ontologicamente instabili, direbbero i filosofi d’università. Sguardi muti e significanti che abitano quei recinti che chiamiamo cimiteri dove si celebra la fine del mondo. Popolazione enigmatica e silente. Ci guardano e non ci vedono. Occhi sconosciuti che cercano altri occhi da indagare per essere indagati. Sguardi spericolati e temerari. Sostano lì nello stesso modo in cui Vaghe stelle dell’Orsa, io non credea… sta in attesa dell’anima da scrutare e sobillare o l’ottavo Preludio del Clavicembalo ben temperato sta in agguato per rovistare fra incognite pieghe interiori o altre beatitudini sempre pronte a scandagliarci. Occhi in cerca di occhi in lapidi piene di noia.


La Perfezione è seria, non triste. Mettermi in pari con te con lo stesso infinito negli occhi impeccabili. Difficili da sostenere. Sei irraggiungibile e inimitabile. Allo specchio ho riso di me. Così dovrei [avrei dovuto] guardare il mondo. Emanare padronanza e non batticuore. Perché invece sussurri sbadati? Essere più trigonometrici. Compiuti, come tu ci insegni. Traguardo per i pochi che sanno praticare la secessione dal mondo. Estetica funeraria? No Antropologia della morte e dei suoi rituali? No La compresenza dei morti e dei viventi, Aldo Capitini? No Tutte le società sagge hanno prescritto e codificato l’esteriorizzazione del lutto. Malessere della nostra, per via del fatto che essa nega il lutto [Roland Barthes, Journal de deuil – 24 VI 1978]. Lavoro sul lutto? No Semiotica evolutiva delle foto mortuarie? No Sociologia della post morte? No Autoetnografia? Sì. Forse.


Vorrei mettere a confronto la tua voce trasognata con la mia, con le voci amate che mi fanno eco, con il sound system che scalcia dentro di me e non ha tecnici del suono a regolarlo. Voci umane di cui ignaro ho registrato le tracce e che affiorano nei sogni, che faticano nella memoria. In certi momenti cantano a squarciagola. Arruffate come i tuoi capelli, ma più vive di me. Un concerto per soli e coro a inondare l’universo. Di cui io sono la eco sorda. Un opulento silenzio, donna serena.

L’enciclopedia universale dello sguardo. Lo sguardo non è universale. Ogni sguardo è solo quello sguardo. O My songs, Why do you look so eagerly and so curiously into people’s faces, Will you find your lost dead among them? O mie canzoni, Perché guardate così desideranti e curiose nei volti delle persone, Credete di trovare tra loro i vostri morti? Ezra Pound


A sgranare gli occhi si impara. Palpebre che si alzano sull’incanto del mondo e si chiudono sul crudo realismo della realtà. I tuoi grandi occhi - caro ragazzo ritratto su mummia a Fayum nell’Egitto romano tra il 100 e 120 d.C e ora al British Museum – i tuoi grandi occhi mi osservano e io non so neppure descriverla la mia faccia. La memoria è un sogno e io sono un sognatore incallito, perduto nel mio vago immaginar, come i legni spinti dai torrenti. Tu vieni da un lontano stabilimento della ricordanza dove il guardarsi forse non seguiva la traiettoria della rimembranza acerba. Che ne so io? Ti guardo.

Qualcuno di noi chiese al nostro cieco se sarebbe stato contento di avere gli occhi: se non fosse per la curiosità –rispose- mi piacerebbe altrettanto avere delle braccia lunghissime: mi sembra che le mie mani mi insegnerebbero ciò che accade sulla luna meglio dei vostri occhi o dei vostri telescopi; e poi è più facile che gli occhi cessino di vedere, piuttosto che le mani smettano di toccare. Quindi il perfezionamento dell’organo che ho già equivarrebbe al dono di quello che mi manca. Denis Diderot, Lettera sui ciechi per l’utilità dei vedenti – Lettre sur les aveugles à l’usage de ceux qui voient, 1749, pag. 25, Palermo, 2016


La vita è indifferente, mi dicono i tuoi occhi. Sguazza da par sua nelle nostre desolazioni e felicità, virtù e turpitudini. Non fa distinguo. Ma noi indifferenti non siamo. Farcene una ragione, comanda il tuo sguardo. Me ne sono fatta una provvista, ma il conto è sempre aperto. Mi è più facile approvare il mondo che disapprovare me stesso. Con te ho una confidenza spiritistica, che mi deriva non so da che cosa. Uno sguardo di famiglia? Stai così lontana nel passato che sei già nel futuro. dialectique de mêmeté et ipseité, idem et ipse, identité narrative, plans de vie… Paul Ricoeur, Soi-même comme un autre, Paris, 1990. I piani di vita sono piani inclinati. Al fondo sono un’accozzaglia di vita.


The piano has been drinking, not me canta Tom Waits. E’ il piano che si è ubriacato, non sono io. E’ questo che ho pensato al primo irriverente sguardo. La morte non è un concerto né un concetto. E’ una ubriacatura universale e non è un lieto fine, mio caro reverendo. Insorgere contro la morte si dovrebbe. Come me, non sei un simbolo, un Tipo, un ruolo, una categoria. Come me, sei un’apparizione effimera. Come me, sei un in-di-vi-duo, che non sa niente di sé. Se non che, per ora, sono qui a pensarti.

… Doch, ihr Schlafenden, wacht am Herzen mir, in verwandter Seele ruhet von euch mir das entfliehende Bild. Und lebendiger lebt ihr dort, wo des göttliche Geistes Freude die Alternden all, alle die Toten verjüngt … Ma, voi dormenti, mi vegliate nel cuore, nella fraterna Anima mia riposa la vostra fuggitiva immagine. Ed è proprio lì che siete più vivi dove dello spirito divino La gioia ringiovanisce tutti quelli che invecchiano, tutti i morti. Friedrich Hölderlin, Die Entschlafenen – I defunti Traduz. (ritoccata) di Giorgio Vigolo


Nigra sum sed formosa. Come sarebbe: sono nera ma bella? Sono nera e bella, come recita l’originale ebraico del Cantico dei cantici. Perché questo sfoggio biblico? Perché io sono bianco ma brutto. Il tuo sguardo severissimo mi ha spinto a dottorarmi in antropologia di me stesso. E soppesare la mia bianchitudine. Ripercorrere il compiacimento che mi ha procurato. Alcune volte l’imbarazzo o la cecità sul mondo. Una bianchitudine che io non mi vedo addosso. Ma forse eri “solo” meridionale precipitata nel profondo Nord. E meridionali non si nasce, si diventa.


Cronaca del mercato della fotoceramica funeraria e della relativa destituzione: - Fotoceramica funeraria e porcellana personalizzata per lapidi e tombe - Fotoceramiche Funerarie 41,30€ | Con 30% di Sconto - Lapidi e placche funerarie per animali - Abbandona in discarica abusiva lapidi cimiteriali con scritte e foto: identificato e denunciato - A seguito della segnalazione di alcuni cittadini sul rinvenimento in una discarica abusiva di alcune parti di tombe e lapidi con fotografie ed iscrizioni dei defunti sono intervenuti gli agenti della Polizia Municipale. Al momento dell’invio in discarica le tombe, considerate rifiuti speciali, dovrebbero subire un processo di decontaminazione igienica e l’asportazione delle effigi e dei nominativi. Il responsabile, un cinquantenne italiano, è stato ascoltato dagli inquirenti e denunciato per “vilipendio alla pietà dei defunti”. - Crolli, infiltrazioni e bare a vista, il tour nel degrado dei cimiteri genovesi


L’essere-per-la-morte dei filosofi insulsi ha fatto il suo tempo. La morte è un’app abusivamente installata e nessuno sa come funzioni. Come se la morte, anche la tua, potesse essere pensata, inumana com’è. Posso solo pensare che cosa ha perso la mia vita con la tua morte, cara sconosciuta sorridente. Io non ti ho inventata e tu non hai inventato me. In qualche modo l’essere-per-la-vita ci ha legati, bionda sorella, a nostra insaputa. Ci ha inseminati tutti Nostra Signora dell’Umanità. Un rebus.

Ma io sarò poi vero, e veramente Arriverà la morte? Osip Mandel’štam Poesie, Milano, 1972, pag. 24


Il tuo volto non è la tua faccia. La tua faccia è quella che è. Il tuo volto è la socialità che hai costruito, l’interiorità che hai manifestato, le relazioni in cui hai creduto. Anche la mia è quello che è. Solo in certi momenti è un muso, un mero viso e nient’altro. Guardandomi tu vedresti la politica del volto che ho edificato poco alla volta. Destinata non a me, ma agli altri. Solo nel sonno il volto torna ad essere faccia. Per questo è, oso dire, una baggianata quella che il grande Roland Barthes affermava, l’essenza della foto essere la morte, l’istante imbalsamato. L’essenza della foto è la vita, perduta forse, ma pulsante nel mio sguardo che ti guarda.

non si può immaginare la vertigine nella vita e nella memoria che il vuoto senza immagine di un congiunto scomparso rappresenterebbe


Robert Castel, in Pierre Bourdieau et al. Un’arte media. Saggio sugli usi sociali della fotografia, trad. di Milly Buonanno, Meltemi, Milano, 2018 (1965), pag 322


Per chi avesse l’intenzione di dare un seguito a questi esercizi spirituali profani, espongo alcune delle letture che nello specifico mi hanno accompagnato. Annabella Rossi, l’antropologo e la fotografia, in Photo 13, II, 7/8 1971, eminente collaboratrice di Ernesto De Martino David Zeitlyn, Representation/Self-representation: A Tale of Two Portraits; or, Portraits and Social Science Representations, in Visual Anthropology, Volume 23, 2010 - Issue 5 My most general suggestion is that anthropological representation may be conceived of as a form of portraiture, and that it is an exercise in ekphrasis (a verbal account or evocation of a typically non-present image or object). Portraits need social conventions (such as a name in the caption) to be taken as such; representation is a three-part relationship between object, image and society. Mi sono sbizzarrito alcuni anni fa con gli album di famiglia qui. Sguardo dritto è il titolo. Gllian Rose, Doing Family Photography - the Domestic, the Public and the Politics of Sentiment, Ashgate, 2010. Nel trattare le foto dei defunti tiene conto solo di quelle che diventano pubbliche in conseguenza di una catastrofe, qui in particolare si concentra sull’attentato ai trasporti di Londra del 7 luglio 2005 che fece 56 morti.

Sui volti di Fayum: Jean-Christophe Bailly, L’apostrophe muette. Essai sur les portraits de Fayoum, Hazan, Paris, 1997 [c’è una traduzione italiana presso


Quodlibet, 1998] e Susan Walker, Morris Brierbrier, Fayum. Misteriosi volti dall’Egitto, ed. italiana a cura di Carla Marchini, Leonardo Arte, Roma, 1997

Sull’autoetnologia e/o autoantropologia si possono sfogliare con un relativo profitto: Elizabeth Mackinlay, Critical Writing for Embodied Approach. Autoethnography, Feminism and Decoloniality, Palgrave, 2019. Accosta materiali diversi con l’intento di uscire dalle rigidità accademiche. Non sempre ci riesce. Tony E. Adams, Stacy Holman Jones, Carolyn Ellis, Autoethnography, Oxford Univ. Press, 2015. Manuale classico. Ordinato, esauriente. Non fa sognare. Ritenevo che ci fosse scarsa letteratura sull’argomento, invece mi sono imbattuto in un consistente numero di contributi che, incuriosito, ho leggiucchiato. Niente di più. In italiano, per mia ignoranza, ho letto solo: Charlie Barnao, Autoetnografia e interazionismo simbolico: un modo di essere e di vedere il mondo , in Sociologia italiana, ottobre 2017


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