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Food rules DIRITTO ALIMENTARE

L’ossido di etilene negli alimenti

Ethylene oxide in food

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The withdrawal and sometimes the recall of raw materials and many primary and secondary processing products due to ethylene oxide (Eto) has been going on for about a year. Ethylene oxide, which had already been permitted in Europe only to be most recently classified as a biocide, was finally banned in 2011. However, until then it was used on a massive scale and perhaps its withdrawal required by law was so rapid that some packaging, not to be used but to be disposed of, may still be in some warehouses. The author outlines the regulations on ethylene oxide tolerances, highlighting random elements that need to be further investigated by legislation. di Giuseppe Maria Durazzo

Avvocato esperto in diritto dell’alimentazione

OSSERVAZIONI GIURIDICHE IN MERITO ALLA CRISI IN ATTO DA MESI SUL TEMA LEGAL OBSERVATIONS ON THE CRISIS THAT HAS BEEN GOING ON FOR MONTHS

Il ritiro e, talvolta, il richiamo di materie prime e di molti prodotti di prima trasformazione (sfarinati, gomme, oli ecc.) e specialmente di seconda trasformazione (spezie, girasole, sesamo, guar, cipolla, caffè, tè, carruba, spirulina, psillio, bambù, frutta secca, prodotti ortofrutticoli, prodotti a base di semi vegetali, verdura disidratata ecc.) in ragione dell’ossido di etilene (Eto) continua da circa un anno. Il tema è stato al centro, il 9 ottobre 2020, di una ormai “famosa” riunione del comitato di crisi per gli alimenti e i mangimi della Commissione, per quello che all’epoca risultava essere il problema, vale a dire la contaminazione di semi di sesamo in arrivo dall’India. In quel frangente venne deciso il richiamo di ogni seme di sesamo nei quali si eccedesse il limite di 0,05 mg/kg di Eto, soglia che corrisponde a quello di quantificazione analitica (Mrl). E sempre allora si auspicò che si arrivasse a un metodo di analisi ufficiale con il piano di lavoro per il 2021.

Una questione aperta

L’ossido di etilene, già ammesso anche in Europa, da ultimo classificato, come biocida,

venne bandito definitivamente nel 2011, ma fino a quel momento tale sostanza fu massicciamente impiegata e forse il suo abbandono imposto della legge risultò talmente rapido che talune confezioni, da non utilizzare, ma da smaltire, potrebbero essere ancora presenti in qualche magazzino. Normativamente, il Reg. (Ue) 2015/868 determina le attuali tolleranze di ossido di etilene con effetto dal 30 dicembre 2015. Nel 2014 un’interrogazione del Parlamento europeo che segnalava l’opportunità di reintrodurre l’autorizzazione al trattamento di decontaminazione alimentare con ossido di etilene, se non altro perché in altre parti del mondo è ammesso (come stiamo constatando da mesi!) provocando “una distorsione della concorrenza”, ottenne la seguente risposta: “L’autorizzazione dell’ossido di etilene è soggetta alla procedura di autorizzazione definita all’articolo 3, paragrafo 2, del Reg. (Ce) 853/2004. Per il momento non è pervenuta alcuna richiesta di autorizzazione di tale sostanza”. In questo contesto, mentre la cronaca delle allerte si arricchisce di nuovi elementi, l’aspetto giuridico appare poco studiato. Tenuto conto che, sulla base dei pareri scientifici e della normativa, nell’Ue è vietato l’utilizzo dell’Eto, molte domande restano, comunque, giuridicamente aperte.

Regolamenti e pratica

Fermo restando che il prodotto contaminato non deve essere introdotto nell’Ue e non deve circolare, il tema giuridico della diluizione appare centrale nell’attuale crisi visto che, sovente, l’ingrediente contaminato entra nella miscela di prodotti complessi nei quali l’analisi non rileva l’Eto, ed è proprio il prodotto trasformato a essere bloccato. Se la diluizione è operazione certamente vietata, occorre comprendere cosa si intenda con tale termine, se cioè l’elemento soggettivo nelle sue componenti della volontà di diluire e di farlo sapendo della non conformità della sostanza, debbano essere entrambe condizioni soggettivamente e contemporaneamente esistenti al momento dell’operazione, oppure sia vietato l’atto intenzionale

OCCORRE CAPIRE COSA SI INTENDE CON IL TERMINE “DILUZIONE”

della miscelazione senza riguardo all’atteggiamento soggettivo dell’operatore. La lettura del Reg. (Ce) 396/2005, articolo 19 dalla rubrica “Divieto concernente i prodotti trasformati e/o compositi”, dispone che “È vietato trasformare e/o miscelare a fini di diluizione con i medesimi o con altri prodotti, i prodotti di cui all’allegato I che non siano conformi all’articolo 18, paragrafo 1, o all’articolo 20, allo scopo di immetterli in commercio come alimenti o mangimi o somministrarli ad animali”. Mentre la vulgata è nel senso che non interessino le circostanze di chi, come e per quale ragione abbia compiuto la diluizione, il Legislatore vieta la trasformazione, la miscelazione quali mezzi che abbiano il fine della diluizione. Quindi, interdice l’azione cosciente e intenzionale di chi intenda diluire il prodotto non conforme, del quale evidentemente conosce il difetto, con altro conforme allo scopo di mettere in commercio il risultato di quell’operazione. Nella pratica, conosciuta anche attraverso il sistema delle allerte Rasff, quasi sempre le misure sono state adottate non sul prodotto non conforme, ma su prodotti trasformati nei quali operatori normalmente diversi dagli importatori avevano

impiegato l’ingrediente irregolare o ipotizzato tale. Tralasciando gli aspetti pratici e processuali (che personalmente trovo molto interessanti per gli operatori alimentari), ma restando all’inquadramento essenziale del tema qui allo studio, appare chiaro che la miscelazione, con effetto di diluizione, operata a valle da un operatore alimentare che utilizzi molti ingredienti e che incappi anche in uno non conforme per l’ossido di etilene, non sia eseguita per mascherare la non conformità dell’ingrediente, ma normalmente sull’erronea informazione della conformità di tutti gli ingredienti. In buona sostanza, un utilizzatore a conoscenza che un ingrediente non è regolare, lo sostituisce per minimizzare i danni che vengono comunque posti a carico del fornitore dell’ingrediente e non produce un alimento (o un mangime) trasformato di valore economico significativamente maggiore del singolo ingrediente con il rischio di dover bloccare e ritirare il tutto.

Le interpretazioni

A questo punto, non appare sostenibile che le misure giuridiche adottate nei confronti di operatori alimentari incappati in forniture non conformi siano giustificabili sulla base dell’ipotesi di violazione del divieto di diluizione di cui sopra, perché tale violazione sussiste solo qualora vi sia l’intenzionalità di porre in essere la miscelazione al fine di mettere in commercio un prodotto altrimenti non conforme, ipotesi decisamente remota e comunque da provare. Anche l’errore di fatto è elemento che giuridicamente rende fragile la costruzione di una responsabilità per cosciente diluizione visto che annulla l’intenzionalità di nascondere il difetto. La pressione, talvolta frenetica, di agire nell’ambito dell’attuale crisi dell’Eto non ha certo favorito un’analisi giuridica serena e corretta. Dunque, se nella “costruzione” del prodotto pluringrediente si utilizza in buona fede un ingrediente non conforme, l’adozione di misure sanitarie non necessariamente appare obbligatoria dal punto di vista legale. La particolarità del caso dell’Eto è che molto spesso nel prodotto ritirato dal mercato non è stata rilevata alcuna presenza misurabile e neppure traccia dell’indesiderato. Ciò impone la rilettura dell’articolo 14 del Reg. (Ce) 178/2002 che così dispone “Gli alimenti sono considerati a rischio nei casi seguenti: a) se sono dannosi per la salute...”. Note, circolari, interpretazioni che prendono spunto dal fondamentale Reg. (Ce) 178/2002 hanno generalmente teso ad ampliare l’ambito dei casi di richiamo di prodotti in un’ottica di principio di precauzione, utilizzato spesso per dare una ratio a una valutazione non scientifica o semplicemente a un’azione amministrativa-giudiziaria priva di valutazione. Ma se l’interpretazione ha una portata decisamente estensiva dei concetti di rischio e quindi dell’adottabilità di ritiri e richiami di prodotto, il Legislatore è netto nel richiedere la reattività del sistema laddove sia accertata la dannosità per la salute, anche se solo nel caso di probabili effetti tossici cumulativi di un alimento. Il Legislatore del Reg. (Ce) 178/2002 non entra negli aspetti regolatori di come venga eseguita o da chi l’analisi di controllo o autocontrollo, non fissa termini, sanzioni o l’ammontare della tassa per la controversia o la controperizia secondo il novello D.l. 2021/27 - con la sua procedurachimera per l’aver miscelato nuovi istituti processuali con parti di quello precedente contenuto nella L. 283/62 - ma è animato da una sostanzialità dell’intento che

NOTE, CIRCOLARI E INTERPRETAZIONI HANNO ALLARGATO L’AMBITO DEI CASI DI RICHIAMO IN UN’OTTICA DI PRECAUZIONE

è allo stesso tempo supportato dal rigore scientifico. Se all’analisi sul prodotto trasformato l’ossido di etilene non si rileva, come posso, giuridicamente e scientificamente, parlare di danno da qualcosa che non so se è presente? O ammetto criteri non riconosciuti unanimemente dalla comunità scientifica, quale quello della “memoria” dei materiali (ad esempio la “memoria dell’acqua” ipotizzata da Jacques Benveniste e altri quale meccanismo di funzionamento dei prodotti omeopatici), o affermare la dannosità - anche se considerata sul lungo periodo - di ciò che non riesco ad affermare essere presente, ritengo che giuridicamente renda insostenibile ogni azione, anche di precauzione, fondata sull’articolo 14 del Reg. (Ce) 178/2002.

Conclusioni

Infatti, lo stesso principio di precauzione sovente evocato non può giustificare quanto scientificamente inesistente e soccorrere una decisione priva dell’elemento obiettivo di presenza della sostanza vietata. Il principio di precauzione, a mente dell’articolo 7 del citato Reg. (Ce) 178/2002, è un criterio di “valutazione delle informazioni disponibili, (qualora, ndr) venga individuata la possibilità di effetti dannosi per la salute ma permanga una situazione d’incertezza sul piano scientifico”. L’incertezza sul piano scientifico riguarda la possibilità degli effetti dannosi e non quella dell’esistenza del presupposto, nel caso concreto la non conformità del prodotto per presenza, non accertata, del contaminante. D’altronde è pacifico che se l’Eto fosse rilevato nelle condizioni di cui al Reg. (Ue) 2015/868, l’alimento non sarebbe legalmente consumabile e ciò non in base al principio di precauzione, ma di una valutazione già compiuta e già inquadrata nella norma giuridica. Appare fragile l’affermazione dell’inaccettabilità del limite di tolleranza, visto che è già iscritto nel citato Regolamento, ma anche il rifiuto della sola ipotesi di una diluizione non dolosa, o di un residuo tollerabile, perché la presenza dell’indesiderato, avendo esclusivamente origine volontaria, se rilevata è il risultato di un trattamento, seppur vietato. Pertanto il Legislatore, nel fissare un limite di

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tolleranza (liberamente discutibile a livello dottrinale) ammette che una sostanza non di origine naturale possa in qualche seppur minima quantità ritrovarsi nell’alimento, pur nel generale divieto di utilizzo di detto presidio. Quindi, dal punto di vista legale, appare critico ogni caso in cui sia stato imposto il ritiro-richiamo di alimenti senza l’evidenza di una non conformità per eccesso di residuo di Eto. Non sfugge poi il fatto che qui non stiamo trattando di micro o nano contaminanti, temi tutt’altro che risolti a livello scientifico e giuridico (anzi apparentemente accantonati vista la loro complessità e la pochezza dei dati scientifici), ma di assenza del contaminante, visto che per dosi minime la norma già dispone come agire. Al momento la gestione della crisi non mi pare abbia condotto a una riflessione anche metodologica, mentre sembra favorire atteggiamenti difensivi dei diversi soggetti coinvolti, talvolta animati dal trovare una soluzione pratica caso per caso, ivi comprese quelle che non espongano gli organi di controllo al sempre incombente abuso di ufficio. La recente riunione degli esperti dell’Ue del 4 ottobre scorso si è conclusa con la richiesta all’Efsa di valutare il documento emesso dal The German Federal Institute for Risk Assessment (BfR), che tante discussioni ha creato a livello Ue, rendere pubblicamente disponibili le considerazioni legali relative alle conclusioni della riunione di coordinamento del 13 luglio 2021, accertare se, tenendo conto dell’esperienza acquisita, sia necessario un approccio più preciso per la gestione del rischio in futuro, aggiornare il documento sui mangimi, includere i controlli dell’Eto negli alimenti e nei mangimi all’importazione. Ma è stato anche fissato l’obiettivo di indirizzare i controlli relativi all’Eto come somma di Eto e 2CE espressi come Eto, senza includere analisi per altri pesticidi da ricercarsi con la multiresiduale. Per gli alimenti dedicati ai lattanti e ai bambini piccoli, occorrerà lavorare sulle sfide analitiche Eto per raggiungere meglio il rispetto dei requisiti legali. La rigidità della posizione dell’organismo unionale, condivisibile per molti casi pratici, ma non altrettanto per diversi altri, svela alcune contraddizioni e non celati contrasti tra Autorità di vari Paesi, pur nell’assunto, di per sé giuridicamente valido, che vuole escludere ogni valutazione di pericolosità per una qualsiasi presenza considerando il residuo come oggettivamente non accettabile. Nella non semplice e, di fatto, non risolta situazione, vale la pena di ricordare, tra le tante, la bizzarra teoria secondo la quale i metodi analitici validati devono essere riservati al controllo delle sostanze ammesse e non a quelle vietate, il che, verrebbe da chiosare con un sorriso, se fosse vero eviterebbe la necessità di cercare quanto non deve essere presente negli alimenti e nei mangimi, eliminando così il dubbio di come operare in caso di presenza dell’indesiderato.

LA GESTIONE DELLA CRISI NON HA CONDOTTO A UNA RIFLESSIONE METODOLOGICA

Giuseppe Maria Durazzo

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