Genova Impresa ospita articoli e opinioni che possono anche non coincidere con le posizioni ufficiali di Confindustria Genova.
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SOMMAR IO
4 editoriale
PUNTO SUL PORTO di Paolo Capobianco
6
Confindustria
RINNOVI
BENVENUTI IN DAS!
14 l’intervista
NUOVE ROTTE di Piera Ponta
18
MiToGeNo
MILANO - TORINO - GENOVA MOBILITY CONFERENCE 2024
GLOCAL CONNECTIONS di Giacomo Franceschini
Paolo Capobianco
Mario Zanetti
24 Genova startup
SINTIA LAB di Matilde Orlando
26 competizione & sviluppo
VENDITORI CERCASI di Deborah Gargiulo
AI PER LA SICUREZZA
CYBERSECURITY “AS A SERVICE” di Fabio Loiacono
SHIPYART
L’ARTE DI CANTIERE
INTEGRITY PLAN
RC SANITARIA di Marco Bertino
GIAPPONE 2024 di Davide Fantoni
44 ESG
PARTNERSHIP di Francesco Micheletti e Orazio Di Pietro
ABOUT US di Luca Villani 2-2024
48 Confindustria Imperia
RISPETTO, INNANZI TUTTO
52 Europa
FABBRICA EUROPA
56 piccola industria
FORUM PICCOLA INDUSTRIA di Daniele Nepoti
58 giovani
BILANCIO SOCIALE
60 comunicazione
LA MARCIA IN PIÙ di Laura Gazzolo
62 Fondazione Ansaldo
GENOVA ANNI CINQUANTA di Pietro Repetto e Beatrice Carabelli
66 la città
FRIENDS OF GENOA di Piera Ponta
UN MONDO NUOVO
70 cultura & società
ANEDDOTI DI UNA VITA di Luciano Caprile
IL TEMPO E LE OPERE
RIVIERA INTERNATIONAL FILM FESTIVAL
79 industria & letteratura
ROMANZIERE E TESTIMONE di Massimo Morasso
In copertina Rino Valido, L’albero (particolare), 2009 olio su tela, 180x200 cm
Punto sul por to
di Paolo Capobianco
Ogni volta che penso al nostro porto lo immagino come una grande fabbrica che ogni giorno produce ricchezza. Ed è così, dal porto industriale di levante al terminal di Pra’. Ricchezza prodotta dalle imprese concessionarie a favore di altre imprese, dei lavoratori e dell’intera città.
Nonostante ciò non passa giorno che non ci si debba confrontare con problemi di ogni genere che mettono in discussione lo sviluppo dello scalo, il consolidamento di ingenti investimenti (anche privati), l’operatività stessa delle aziende.
È questo il caso della realizzazione di alcune grandi infrastrutture che impattano sulla vita quotidiana del nostro porto, creando disservizi e gravi interferenze (talvolta totali e definitive).
Confindustria Genova è sempre stata favorevole a nuove e più funzionali infrastrutture, pertanto ritiene necessario che tali interferenze vengano gestite con il supporto degli Enti preposti (in primis, l’Autorità di Sistema Portuale), evitando inutili allarmismi ma anche mettendo l’imprenditore interferito in condizioni di programmare le sue attività, di mantenere i livelli occupazionali, di garantire un futuro alla sua impresa. Tale supporto, a maggior ragione, deve essere garantito quando l’impresa è di piccole dimensioni e non sempre è ascoltata come dovrebbe.
Per questo motivo Confindustria Genova si sta facendo carico di alcune problematiche che stanno sorgendo sulla realizzazione del tunnel sub portuale, dove alcune aziende sono pesantemente interferite dai lavori e ancora oggi non hanno avuto risposte precise e certe che consentano all’imprenditore di pianificare il futuro dell’azienda e dei suoi dipendenti.
Molte di queste aziende, peraltro, sono aziende titolari di “licenza di impresa”, vale a dire imprese che operano regolarmente a bordo di navi, certificate annualmente dalla stessa Autorità di Sistema Portuale, imprese che fanno parte integrante di quel tessuto navalmeccanico che contribuisce a fare grande il nostro porto.
Ma vorrei ampliare il mio ragionamento e inserirlo in un contesto di sostenibilità economica, sociale e ambientale del nostro porto.
Tutti questi fattori che si intrecciano fra di loro, devono “accettarsi” reciprocamente e devono produrre un risultato coordinato finalizzato alla pianificazione del porto del futuro e, di conseguenza, del futuro della città.
L’unico strumento che possa fornire risposte è il Piano Regolatore Portuale.
Se ne parla da anni (quello attuale è del 2001), ma forse oggi siamo arrivati a una definizione di massima (i cosiddetti “schemi di piano”). A questo punto sarebbe utile che Autorità di Sistema Portuale sentisse le parti sociali per concordare alcune scelte importanti e poi confrontarsi con il Comune di Genova. Per alcuni ambiti le scelte sono cruciali e Confindustria Genova aveva dato il proprio contributo nel Position Paper presentato due anni or sono: scelte ancora valide oggi, quali un ampliamento del termi-
nal di Pra’ che non oltrepassi il Rio San Giuliano, i riempimenti di alcune calate a Sampierdarena e l’espansione a mare dell’area industriale di levante come conseguenza della realizzazione della nuova diga foranea, che consentirebbe, appunto, uno sviluppo a mare delle attività portuali navalmeccaniche. Mentre su Sampierdarena questa espansione a mare è indicata chiaramente e sembra assodata, nelle numerose cartine che sono state pubblicate sui giornali quella del porto industriale di levante trova ostacoli di volta in volta differenti, e non capiamo come una regia pubblica così decisa in altri ambiti dello scalo non lo sia altrettanto per il comparto industriale. L’occasione della costruzione della nuova diga foranea, lo ripeto, deve essere occasione per aumentare i traffici commerciali, ma non si può trascurare un’espansione a mare e uno sviluppo del porto industriale di levante.
Ciò per salvaguardare quella peculiarità del porto di Genova che lo vede, unico scalo in Italia, quale destinatario di differenti traffici (contenitori, rinfuse liquide, solide, traghetti, crociere, ro-ro nonché costruzioni, riparazioni e demolizioni di navi, costruzioni di mega yachts e refitting).
Ma vi è un altro tema che per Confindustria Genova è centrale: mi riferisco al trasporto delle merci movimentate nel nostro porto; si tratta di capire quale ruolo avrà nei prossimi anni il trasporto ferroviario. Non mancano investimenti per realizzare infrastrutture portuali ferroviarie (quelle che vengono denominate “di ultimo miglio”): si stanno ponendo le basi a Pra’ e a Sampierdarena per un rilancio (necessario anche per ragioni ambientali) della modalità ferroviaria.
La quota del trasporto ferroviario delle merci movimentate attualmente è molto bassa e le imprese terminaliste e gli MTO (Multi Transport Operator, ndr) spingono per aumentare tale quota.
Pertanto è necessario pianificare i tempi di realizzazione delle opere di ultimo miglio, molte delle quali già finanziate e, in taluni casi, avviate, quali i parchi ferroviari; occorre anche chiarire le reali funzioni e possibilità della “stazione” Fuori Muro e, ancora, fornire assicurazioni sul transito di merci pericolose dal Campasso.
È il momento (e il nuovo Piano Regolatore Portuale ne è l’occasione) per mettere intorno a un tavolo Autorità di Sistema Portuale e privati per definire anche alcune scelte retroportuali, vista anche la recente pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del Regolamento che istituisce le Zone Logistiche Semplificate e, quindi, la prossima attivazione di quella “Porto e Retroporto di Genova” che ricomprende, oltre alle aree del porto di Genova e alcune zone della città stessa, il retroporto di Vado Ligure nonché aree retroportuali in alcuni comuni di Piemonte, Lombardia ed Emilia Romagna.●
Eletti i Presidenti, i Vice Presidenti e i componenti dei Consigli Direttivi di Sezioni e Gruppi di Confindustria Genova per il biennio 2024-2026.
CONFINDUSTRIA Rinnovi
Quasi conclusa la tornata di elezioni per rinnovare le cariche sociali delle Sezioni e dei Gruppi ChEnPe, Dixet e Internazionalizzazione per il biennio 2024-2026; entro giugno si svolgeranno anche le assemblee del Gruppo Piccola Industria e dei Giovani Imprenditori. Nelle pagine che seguono, la composizione dei nuovi Consigli Direttivi.●
Vice Presidente
Sezione Ardesiaci e Materiali da costruzione
Presidente
Franca Garbarino Leani
Elisa Grandi, Grandi Calcestruzzi
Consiglieri
Lorenzo Callegaro, Unicalce
Paolo Franco, Cava Acquafredda
Diego Gandolfo, Cave Marchisio
Segreteria di Sezione
Valentina Canepa vcanepa@confindustria.ge.it
Vice Presidente
Beniamino Magnaghi, API
Consiglieri
Sezione Chimica, Materiali e Stampa
Presidente
Vincenzo P.M. Rialdi
Vevy Europe
Filippo Attanasio, Spiga Nord
Giorgio Barbieri, SVIG
Sergio Bonalumi, Bocchiotti
Giuseppe Chisalè, Ditta Giuseppe Lang
Mauro Ispulla, Nuova Algis
Ivan La Manna, La Duellepi
Ivan Pitto, P. Zeta
Simone Zadra, Algraphy
Delegati al Gruppo Piccola Industria
Giorgio Barbieri, SVIG
Giuseppe Chisalè, Ditta Giuseppe Lang
Mauro Ispulla, Nuova Algis
Ivan Pitto, P. Zeta
Segreteria di Sezione
Valentina Canepa vcanepa@confindustria.ge.it
Vice Presidente
Sezione EL.I.T. Elettronica Information Technology
Isabella Turtulici, TIR Turtulici Istituto Radiologico
Delegati al Gruppo Piccola Industria
Massimo Biscari, Bio Data
Luca Reggiani, IRO Radiologia
Segreteria di Sezione
Paolo Torazza ptorazza@confindustria.ge.it
Vice Presidente
Sezione Terminal Operators
Presidente
Giuseppe Costa Saar Depositi Portuali
Luca Becce, PSA Genova Pra’
Consiglieri
Maurizio Anselmo, Terminal San Giorgio
Giovanni Benedetti, Spinelli
Matteo Catani, Grandi Navi Veloci
Roberto Ferrari, Pra’ Distripark Europa
Andrea Matronola, Bettolo
Ignazio Messina, Ignazio Messina & C.
Alberto Minoia, Stazioni Marittime
Giulio Schenone, Terminal Contenitori Porto di Genova
Pierluigi Timossi, Porto Petroli di Genova
Delegati al Gruppo Piccola Industria
Paolo Marsano, Sampierdarena Olii
Andrea Rebolino, Silomar
Segreteria di Sezione
Leopoldo Da Passano ldapassano@confindustria.ge.it
Vice Presidente
Christian Ostet, AR 92
Consiglieri
Sezione Terziario
Presidente Paolo Macrì GGallery
Lorena Ameri, Ameri Communication and Public Relations
Marco Bressani, PWC Acceleration Center Italy
Gabriele Ciambi, Sogegross
Carlotta Galetti, Cooperativa Italiana Ristorazione - C.I.R.
Paolo Maloberti, BDO Italia
Umberta Paroletti, Staff
Massimo Ragazzi, Opes Mind
Giovanni Battista Raggi, AMIU
Achille Tonani, RINA
Delegati al Gruppo Piccola Industria
Alessandro Bosio, BM Consulting
Fabrizio Galluzzi, TB Engineering
Christian Ostet, AR 92
Giuseppe Merello, GGS Merello Gestioni Immobiliari
Tiziana Traversa, Mast
Simone Zaffiri, Autonord Service S.R.L.
Segreteria di Sezione
Deborah Gargiulo dgargiulo@confindustria.ge.it
Vice Presidente
Sezione Turismo, Cultura e Comunicazione
Presidente
Claudio Burlando Curiositas
Laura Gazzolo, AC Hotel Genova
Consiglieri
Ilaria Alzona, Gemi Piccoli Grandi Eventi
Renzo Balbi, Genovarent
Ilaria Bonacossa, Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura
Alberto Cappato, Progetto Santa Margherita
Bruno Guzzo, Sagep Editori
Valter Mariani, Hotel Moderno Verdi
Raffaella Rocca, Ente Autonomo Teatro Stabile di Genova
Ilaria Schelotto, Barabino e Partners
Carla Sibilla, C-Way
Delegati al Gruppo Piccola Industria
Claudio Burlando, Curiositas
Giorgio Genta, Xedum
Valter Mariani, Hotel Moderno Verdi
Segreteria di Sezione
Giuliana Delucchi
gdelucchi@confindustria.ge.it
Vice Presidente
Gruppo
ChEnPe, Prodotti Chimici ed Energetico Petroliferi
Presidente
Irene Bonetti
Attilio Carmagnani “AC”
Pierluigi Timossi, Porto Petroli di Genova
Consiglieri
Gianluca Buldrini, Gruppo FS Mercitalia Rail
Stefano Carosio, Stam
Federicarlo Costa, SAAR
Alessandro Manfredi, GNL Med
Marco Novella, Ottavio Novella
Paolo Pinna, RINA Consulting
Luigi Profumo, Iplom
Marco Roggerone, AGN Energia
Massimo Zanone, Chugoku Boat Italy
Segreteria Gruppo
Valentina Canepa vcanepa@confindustria.ge.it
Gruppo Dixet
Presidente
Giorgio Andreacci Engineering
Vice Presidente
Domenico Lanciotto, Hitachi Rail
Consiglieri
Angelo Barabino, Leonardo
Rosalba Brizzolara, Dreams Lab
Tiziana Ferrando, Bitness
Giorgio Genta, ETT
Alessandro Lino, Liguria Digitale
Bartolomeo Marcenaro, Ansaldo Green Tech
Danilo Moresco, ABB
Alessio Ponte, RINA Consulting
Roberto Rossi, Telecom TIM
Invitati permanenti
Stefano Carosio, STAM
Angelo Lupo, Many Designs
Luigi Neri, GE Digital Italia
Enrico Parodi, Demetra Technologies
Alessandro Stella, Cactus Holding
Francesco Valdevies, Leonardo
Segreteria Gruppo
Chiara Crocco ccrocco@confindustria.ge.it
Vice Presidente
Gruppo Internazionalizzazione
Presidente Marco Toffolutti New Gima
Fabrizio Galluzzi, TB Engineering
Consiglieri
Filippo Gallo, Comarco
Mattia Marconi, Gruppo Cauvin
Cristina Orlando, Olasagasti
Paolo Pajardi, Hi-Lex Italy
Giuseppe Zampini, Trewin
Invitati permanenti
Paolo Capobianco, Fincantieri
Maria Caterina Chiesa, Marsh
Paolo Cuneo, Comarco
Andrea Razeto, F.lli Razeto & Casareto
Segreteria Gruppo
Piera Ponta
pponta@confindustria.ge.it
Benvenuti in DAS!
Una Confindustria pensata come “community di relazioni”: dall’idea di Nautes Spa nasce la piattaforma digitale interattiva ora online anche in Confindustria Genova.
Marco Gialletti
È online la nuova piattaforma digitale interattiva di Confindustria Genova, “DAS” - Digital Association Services, sviluppata da Nautes Spa con tecnologia Google Cloud.
La piattaforma, basata su business analytics e data twin, non è un “semplice” portale web, ma un ecosistema digitale multicanale attraverso il quale ciascun Associato ha accesso a un’ampia gamma di funzionalità che consentiranno di rafforzare e, allo stesso tempo, di ottimizzare la fruizione delle informazioni e dei servizi, oltre che di diffondere la cultura della digitalizzazione dei dati nelle imprese. Attraverso DAS, l’Associato potrà aprire dei “ticket” su questioni di interesse specifico che saranno indirizzati all’interlocutore più idoneo per avere risposte e supporto adeguati; potrà personalizzare il proprio profilo (modificandolo ogni volta ne abbia la necessità) al fine di essere puntualmente aggiornato sui macrotemi selezionati o, ancora, pubblicare news aziendali e partecipare a sondaggi su argomenti di particolare importanza e attualità per le imprese, “allestire” una vetrina aziendale e monitorare, sulla propria dashboard, i rapporti azienda-Associazione.
Grazie a DAS, Confindustria Genova diventerà un’associazione “data driven”: si farà così tesoro dell’interazione con le imprese, dei risultati conseguiti e delle difficoltà incontrate per implementare le funzionalità della piattaforma e offrire servizi sempre più su misura e tempestivi.
Ma come nasce l’idea di DAS? «Tutto nasce da una visione diversa della Confindustria - spiega Marco Gialletti, amministratore delegato di Nautes Spa -, pensata come una “community di relazioni” piuttosto che come un soggetto erogatore di servizi. Se eliminiamo il “confine” tra chi sta dento l’Associazione e chi sta fuori, quindi tra la struttura, gli Associati e i potenziali Associati e gli stakeholder sul territorio, si coglie l’essenza della Confindustria quale ecosistema relazionale. DAS risponde a una visione integrata e olistica della digitalizzazione di un’associazione di categoria, particolarmente raffinata e complessa quale è la Confindustria, perché offre supporto digitale “user friendly” alle molteplici combinazioni di relazioni incrociate che si sviluppano all’interno della community di imprese e tra la community e il territorio». Relazioni che generano e muovono informazioni, ovvero dati: da qui l’idea di un sistema “data driven”. Ma come disporre di questi dati, considerata la generale reticenza degli utenti a dedicare tempo all’inserimento manuale delle informazioni sullo stato o avanzamento delle attività in corso? «Per superare questo ostacolo - risponde Gialletti - abbiamo disegnato un sistema in grado di raccogliere i dati contestualmente all’operatività, evitando all’utente di inserire le informazioni in un momento successivo. E qui arriviamo alla “experience” che, insieme al concetto di Confindustria come “community di relazioni” e a un’architettura orientata al “data driven” è
l’elemento che fa di DAS un sistema “user centric”, che significa massima attenzione alle esigenze, alle aspettative ma anche agli eventuali “limiti” dell’utente, riproducendone i percorsi cognitivi per assicurare la massima usabilità del sistema stesso». A breve la versione di DAS in uso a Confindustria Genova sarà dotata di una APP e disporrà di spazi di relazione protetti riservati agli Associati, ma è già in fase di prototipazione l’implementazione, attraverso l’Intelligenza Artificiale, di una funzione “concierge” che consentirà all’Associato di porre domande e ricevere le prime risposte; in alcuni casi, il “concierge” potrà aprire automaticamente un ticket con il funzionario esperto della materia oggetto della domanda. «Sempre grazie all’Intelligenza Artificiale - aggiunge l’AD di Nautes -, sarà possibile il matching tra le imprese associate: il sistema sarà, infatti, in grado di elaborare tutte le informazioni disponibili sulle singole imprese e quindi proporre a ciascuna di esse (su richiesta della stessa azienda e in modo spontaneo) contatti con altri Associati individuati quali potenziali clienti, fornitori, partner... Sono sicuro che questo funzionalità sarà gradita tanto alle grandi quanto alle piccole imprese, in un’ottica di filiera e di maggiore conoscenze di ciò che offre il territorio».
DAS è nato in co-design con le Confindustrie (in primis Brescia e poi Genova) e dall’esperienza dello stesso Gialletti come Associato impegnato in incarichi di rappresentanza in Confindustria Marche e in Confindustria Ancona: «È il risultato - puntualizza il suo ideatore - dell’osservazione di comportamenti e della presa in carico di bisogni manifestati da chi ha vissuto e vive l’Associazione, come funzionario o come imprenditore. Una volta fatta propria l’operatività di DAS, avendone compreso le potenzialità a supporto della relazione con gli Associati, sono i funzionari stessi che si fanno promotori presso le aziende dell’utilizzo proattivo della piattaforma per goderne dei molti vantaggi: disponibilità di dati, ascolto in maniera continuativa attraverso l’instant polling, dashboard aziendale, tracciamento dello stato di avanzamento dei ticket, evidenza dell’effettiva interazione con l’Associazione... Attraverso DAS l’Associato riceve e, allo stesso tempo, dà un feedback sulle relazioni con la propria Confindustria, fornendo informazioni importantissime ai fini della promozione di azioni e iniziative rispondenti alle reali esigenze della base associativa, anche a livello di scelte del Consiglio di Presidenza o di gestione delle Sezioni». Ma le potenzialità di DAS vanno oltre il perimetro della singola Associazione. «Mi riferisco alla possibilità di estendere il matching tra territori e imprese di più Confindustrie - conclude Gialletti -, per conoscersi, scambiare informazioni e valorizzare le best practice di ciascuna Associazione in una sorta di federazione virtuale e virtuosa, che non lede le autonomie e ne esalta, invece, le singole peculiarità».● (P.P.)
di Piera Ponta
Dopo il Covid, Costa Crociere ha ridefinito la propria offerta, tenendo conto delle mutate esigenze e aspettative dei passeggeri e degli equipaggi.
Nuove rotte
“ Questi anni complicati ci hanno aiutato a capire quali sono le priorità e a non dare nulla per scontato”
“ La partnership con il Festival di Sanremo ci ha dato l’opportunità di comunicare in modo diverso la nostra passione professionalità” “ L’ETS è una risposta locale a un problema globale”
Mario Zanetti
Amministratore Delegato di Costa Crociere da aprile 2023, dopo aver ricoperto il ruolo di Direttore Generale dal marzo 2021, Mario Zanetti vanta una lunga esperienza nel Gruppo, con incarichi di responsabilità che lo hanno visto, tra l’altro, alla guida, in qualità di President, delle operazioni di Costa in Asia, dal 2016 al 2020, e Direttore Generale di Costa Asia, con focus su Cina, Taiwan e Giappone. Zanetti è Presidente di Confitarma dal dicembre dallo scorso anno ed è Delegato all’Economia del Mare nella squadra del presidente designato di Confindustria, Emanuele Orsini.
Il Covid è ormai quasi solo un brutto ricordo, ma qual è stato l’impatto sul settore crocieristico - riorganizzazione delle flotte, rotte alternative, clienti, mercati di riferimento?
La pandemia da Covid è stato un evento molto particolare, perché non era mai successo che un fatto, per quanto
drammatico, determinasse lo stop totale delle attività, con le navi ferme in porto, per quasi un anno. Una situazione che ha avuto un forte impatto sul modo di operare da parte delle compagnie, sia sul mercato sia per quanto riguarda le dinamiche interne alle aziende stesse. Ha causato uno shock al sistema economico globale, di fronte al quale, però, l’industria crocieristica ha dimostrato una grande capacità di resilienza, ritornando a operare, tra i primi settori nel turismo, e investendo sul prodotto per renderlo ancora migliore. Non solo: durante la pandemia abbiamo raggiunto un altro risultato rilevante, rappresentato dal fatto che le persone e le comunità sono diventate ancora più centrali nelle nostre operazioni. Abbiamo utilizzato questo periodo di sosta forzata per riflettere profondamente sulla nostra azienda e sul rapporto che avevamo con i nostri dipendenti e con le destinazioni, estendendo il concetto di “customer experience”. Durante il lockdown, infatti, abbiamo lavorato intensamente per migliorare non solo il prodotto, ma anche l’organizzazione del nostro personale. In quel periodo così difficile, la nostra Corporation ci ha coinvolto in una riflessione profonda sulla cultura aziendale, che avremmo dovuto far evolvere ulteriormente per poter ripartire, e che abbiamo trasferito a tutti i colleghi, quando ancora non c’era alcuna certezza su quando e come le attività sarebbero riprese. Lo stesso concetto ci ha guidato nel ridefinire il rapporto che abbiamo con le destinazioni. Abbiamo creato e condiviso un vero e proprio “Manifesto per un turismo di valore, sostenibile e inclusivo”, uno strumento strategico che traccia le linee guida per creare valore condiviso con le comunità locali.
E per quanto riguarda il modo di vivere le vacanze, cosa è cambiato?
Nei primi mesi successivi ai momenti più critici della pan-
demia abbiamo osservato la tendenza a scegliere destinazioni di prossimità: il viaggio, la vacanza era considerato un’opportunità che fino ad allora era mancata moltissimo alle persone, ma c’era ancora la tendenza a non allontanarsi troppo da casa. In generale, ora la sensazione è che sia aumentato il senso di “urgenza” nel cogliere le opportunità che la vita ci offre. Le vacanze rispecchiano fedelmente questo nuovo approccio alla vita e l’inclinazione a procrastinare, che tanti di noi hanno avuto fino agli anni scorsi, è radicalmente cambiata. Ora si ha voglia di vedere i luoghi più iconici e rappresentativi, senza rimandare, e l’Italia sta sicuramente beneficiando di questa situazione. Faccio un esempio personale che aiuta a comprendere meglio questo concetto. Ho vissuto quattro anni in Cina e non ho mai visitato la Grande Muraglia, con l’idea che ci sarebbe stata sempre l’occasione per farlo: se tornassi in Cina, sarebbe la prima cosa che farei. Questi anni complicati ci hanno aiutato a capire quali sono le priorità e a non dare nulla per scontato.
Cos’è, oggi, Costa Crociere?
Oggi è un’azienda un po’ meno globale, visto che non abbiamo più un focus rilevante sulla Cina come avevamo prima, ma che è concentrata e consolidata sui suoi mercati di riferimento - Italia, Francia, Spagna, Germania, Sud America. Dopo la pandemia abbiamo deciso, infatti, di riprendere il percorso che parte dalle nostre radici, ovvero da quei Paesi dove abbiamo una presenza storica. Siamo contenti di questa decisione, il mercato ci sta seguendo. Non solo grazie al miglioramento del prodotto, a cui abbiamo pensato durante la pandemia, ma anche a una comunicazione sempre più innovativa. Come nel caso della partnership con il Festival di Sanremo. Un’iniziativa davvero straordinaria, in cui siamo riusciti a far diventare la nostra nave parte inte-
grante dello show più seguito in Italia. È stato uno sforzo aziendale enorme, ma anche motivo di grande soddisfazione per tutti. Penso che siamo riusciti a trasmettere a milioni di persone non solo l’unicità della nostra esperienza di vacanza, ma anche la passione e la professionalità di chi lavora ogni giorno nella nostra compagnia.
L’industria del turismo lamenta la difficoltà a trovare e a fidelizzare personale - difficoltà aumentata dopo il Covid. Com’è la situazione in Costa Crociere? In Costa Crociere siamo più di quindicimila persone, delle quali il 90% lavora a bordo nave. Per quanto riguarda il personale di terra abbiamo lavorato molto sia sullo sviluppo di nuove professionalità, sia sul reskill dei dipendenti che erano già con noi. Costa ha introdotto lo smart working già nel 2016; quando è stato imposto il lockdown noi eravamo già organizzati, da due giorni di lavoro da remoto siamo passati a cinque. Il senso di appartenenza del personale di Costa è molto forte, ma non si può negare che lo smart working 5 giorni su 5 abbia fatto cadere qualche granello di sabbia in un ingranaggio super collaudato, con qualche difficoltà soprattutto per i tanti colleghi assunti durante la pandemia. Passata l’emergenza, abbiamo anche investito in nuovi spazi di lavoro a Milano, pur mantenendo solida la nostra presenza a Genova. Lo smart working è rimasto in azienda, accanto a tante iniziative introdotte per mantenere unito il gruppo e per attrarre nuovi talenti. Per quanto riguarda il personale di bordo, abbiamo intensificato l’attività di recruiting e di formazione sia per i neo assunti sia per i colleghi che ritornavano a bordo dopo la lunga pausa del Covid, promuovendo iniziative di ascolto per conoscere le loro aspettative. La capacità di ascolto dell’azienda ha rappresentato - e rappresenta - uno degli elementi di valore nella fidelizzazione dei nostri collabora-
tori. In Costa ho avuto la fortuna di ereditare una cultura molto attenta alle persone, e penso che stiamo andando nella direzione giusta per rispondere alle aspettative di una forza lavoro che sta prendendo forme diverse rispetto al passato e che continuerà a evolversi.
Parliamo di sostenibilità. Qual è lo stato dell’arte per quanto riguarda Costa e, più in generale, nel comparto marittimo?
Il passato ci aiuta: il primo bilancio di sostenibilità di Costa certificato dal Rina è del 2007, quando non era di moda e tanto meno una prescrizione, ma era funzionale al nostro business, perché nessuno ama navigare in acque inquinate o visitare luoghi deturpati. Il nostro impegno si è tradotto in una serie di attività che hanno compreso, nel 2015, il primo ordine di navi a LNG (Liquified Natural Gas, ndr)una scelta decisamente innovativa, considerato che dieci anni non c’era alcuna misura a sostegno di iniziative di questo tipo, né un quadro normativo o, almeno, linee guida alle quali fare riferimento in materia di sicurezza, per esempio, o di approvvigionamento. A bordo delle nostre navi abbiamo quasi il 90% di indipendenza idrica, il 100% di separazione dei rifiuti, sistemi avanzati di produzione dell’energia e di riduzione dei consumi anche tramite l’applicazione dell’Intelligenza Artificiale. Azioni quali la riforma dell’ETS (Emissions Trading Scheme) o, in futuro, possibili incentivi agli e-fuels, restano risposte locali a un problema globale. L’applicazione dell’ETS, in particolare, potrebbe penalizzare la competitività dei porti europei, perché le compagnie di navigazione potranno scegliere scali non soggetti alla norma. La strada tracciata nel Fit for 55 è lunga e non possiamo percorrerla da soli: serve il contributo di tutti gli stakeholder, dalle istituzioni alle imprese della filiera.●
Milano Genova Tor ino
Lo storico triangolo industriale promuove gli “stati generali” della mobilità sostenibile. Il 9 aprile scorso, in parallelo, le tavole rotonde presso Assolombarda, Unione Industriali Torino e Confindustria Genova.
Si è svolta nella sede di Assolombarda, il 9 aprile scorso, la “Milano-Torino-Genova Mobility Conference 2024”. Si tratta degli “stati generali” della mobilità innovativa e sostenibile. Un appuntamento promosso a Milano (ma che si è tenuto in diretta streaming nella sua sessione plenaria anche a Genova e Torino) da Assolombarda, Unione Industriali Torino, Confindustria Genova e dalla Camera di commercio di Milano Monza Brianza Lodi, dalla Camera di Commercio di Torino e dalla Camera di Commercio di Genova per “misurare” l’impatto del settore della mobilità sull’area geografica del “triangolo industriale” del nordovest e per delineare, oltre che per promuovere, nuove politiche pubbliche capaci di favorire le connessioni tra i tre capoluoghi e i loro territori.
Un comparto, quello della mobilità, che, in questi anni, è stato già “fotografato” dall’iniziativa “MCE 4X4” promossa da Assolombarda e dalla Camera di commercio di Milano Monza Brianza Lodi. Un appuntamento che, negli anni passati, ha messo in rete, complessivamente, 313 aziende e 854 startup a livello nazionale. L’iniziativa, con il “MilanoTorino-Genova Mobility Conference 2024”, interessa un’area geografica in cui la mobilità sta ridisegnando la quotidianità delle imprese e dei lavoratori, le modalità di lavoro e, più in generale, gli stili di vita delle persone.
In quest’ottica, hanno presenziato all’assise a Milano tutti i vertici delle associazioni ed enti territoriali coinvolti: Alessandro Spada, Presidente di Assolombarda, Giorgio Marsiaj, Presidente dell’Unione Industriali Torino, Umberto Risso, Presidente di Confindustria Genova, e Massimo Dal Checco, Vicepresidente della Camera di commercio di Milano Monza Brianza Lodi.
La “mobility conference”, riveduta e allargata all’interno del progetto “MiToGeNo”, è uno dei tavoli permanenti che le tre associazioni territoriali hanno in programma: l’obiettivo è quello di trattare, in modo collegiale, dossier di comune interesse nell’ottica di individuare possibili convergenze a beneficio di un’area che - se consideriamo le tre regioni di cui Milano, Torino e Genova sono capoluogo - conta quasi 16 milioni di abitanti; una vera e propria “macroregione” in cui si concentrano ben 643 miliardi di euro di PIL, il 33% del totale nazionale. Dati significativi, che sono giustificati
anche dalla presenza di 1,4 milioni di imprese (il 29% del totale nazionale), di oltre 5,6 milioni di professionisti a lavoro (32% su scala nazionale) e di un valore pari a 238,6 miliardi di euro in termini di esportazioni (38% del valore nazionale). L’iniziativa intende mettere a sistema imprese e stakeholder dello storico “triangolo industriale” per rafforzare sempre di più la competitività di un’area il cui orizzonte naturale sono i mercati globali. Il territorio di questa “macroregione”, d’altra parte, ha una lunga tradizione industriale che affonda le sue radici nella manifattura d’avanguardia e nei servizi più innovativi: un sistema produttivo di medie e grandi imprese ad altissima competizione internazionale che vanno dal settore dell’automotive all’abbigliamento, dall’aerospazio fino all’agroalimentare, senza dimenticare la meccatronica, la cantieristica navale, la gomma e la chimica, la farmaceutica, il life sciences e l’arredamento.
«Milano, Torino e Genova rappresentano insieme lo storico triangolo industriale del Paese in virtù di una concentrazione significativa di attività industriali, porti, infrastrutture di trasporto e centri di ricerca - ha dichiarato il Presidente di Assolombarda, Alessandro Spada -. Per questo motivo, da tempo lavoriamo in rete su diverse partite strategiche. Come sulla mobilità, innovativa e sostenibile, che trae vantaggio da connessioni capillari. Connessioni che sono la forza dell’asse Milano-Torino-Genova e che risultano determinanti per conquistare sempre più mercati a livello internazionale. Da qui la necessità di investire in infrastrutture all’avanguardia in grado di collegare meglio i nostri territori tra loro e con il resto d’Italia e d’Europa: in questo senso, per esempio, è strategico l’avanzamento della Torino-Lione, del nuovo tunnel di base del Brennero, il completamento dell’Alta Velocità fino a Venezia e il quadruplicamento ferroviario Milano-Pavia-Tortona di collegamento al Terzo Valico dei Giovi. Valorizzare, infatti, le nostre peculiarità all’interno di un grande sistema che ha l’Europa come perimetro minimo d’azione e i territori come forze propulsive è un obiettivo comune».
Il Presidente dell’Unione Industriali Torino, Giorgio Marsiaj, ha dichiarato: «In questo nostro incontro abbiamo posto al centro proprio la ricerca di nuove idee e nuove soluzioni legate alla mobilità che possano rendere le città più vivibili
Umberto Risso, Alessandro Spada e Giorgio Marsiaj
MILANO
INFRASTRUTTURE E VEICOLI INNOVATIVI PER LA MOBILITÀ SOSTENIBILE
DI OGGI E DI DOMANI
Alla tavola rotonda in Assolombarda hanno preso parte Armando Brunini, Amministratore delegato di SEA Aeroporti di Milano, Federico Chiarini, Presidente del Gruppo Giovani imprenditori di Assolombarda, Pierfrancesco De Rossi, Amministratore delegato di Siemens Mobility Italia, Raffaella Luglini, Chief sustainability officer di Leonardo, Marco Piuri, Direttore generale di FNM, e Fabio Pressi, Amministratore delegato e Presidente di A2A E-Mobility. La sessione ha inquadrato le prossime sfide che riguardano il comparto della mobilità: dalle nuove frontiere della mobilità aerea (vertiporti, urban air mobility, carburanti sostenibili nell’aviazione) alle tecnologie applicate ai mezzi di trasporto per la sicurezza e la sostenibilità; dalle infrastrutture di trasporto per lo sviluppo della smart mobility alle applicazioni dell’intelligenza artificiale per lo sviluppo della guida autonoma e della logistica avanzata; dalla digitalizzazione per lo sviluppo della smart city ai nuovi modelli di business per la mobilità intelligente.n
TORINO
BATTERY SWAP, TECNOLOGIA ABILITANTE PER LA MOBILITÀ SOSTENIBILE E SMART CITIES
Al Centro Congressi dell’Unione Industriali Torino, alla tavola rotonda organizzata in collaborazione con CTE NEXT e STMicroelectronics, hanno partecipato Elena Deambrogio, responsabile Smart City, Innovazione, Progetti UE del Comune di Torino, insieme a Marco Pironti, professore di Economia e gestione dell’innovazione dell’Università degli Studi di Torino, che hanno parlato dei progetti di open innovation per la mobilità sul territorio cittadino. Su soluzioni di ricarica, smart charging e infrastrutture urbane di ricarica è intervenuto Ruggero Garibaldi, project manager E-mobility del Gruppo IREN. Il tema della logistica urbana e “l’ultimo miglio” nella città del futuro sono stati affrontati da Antonella Sada, head of Public Affairs, Brand & Communication & Sustainability in DHL Express Italy, e da Michele Deconcini, Advance Design & FPT Manager di Iveco Group. Il CEO di Eurofork, Maurizio Traversa, ha illustrato i modelli di battery swap, mentre la prolusione di Max Vizzini, Automotive segment director di STMicroelectronics, ha illustrato le tecnologie abilitanti e le soluzioni per i veicoli innovativi. In occasione dell’evento, STMicroelectronics, nella sessione del pomeriggio, ha allestito spazi demo con le proprie piattaforme per BMS, OBC, Connessioni/Cloud e sono stati previsti spazi di incontri B2B per le imprese e confronti con docenti, studenti e startup innovative.n
e a misura d’uomo. È evidente, infatti, che per gestire il processo di inurbamento si richiede un ripensamento del disegno delle città. Mobilità sostenibile significa progettare mezzi di trasporto sostenibili - e in questo Torino ha una lunga storia di successi -, ma anche pensare a nuovi servizi e a una diversa organizzazione degli spazi e dei flussi. In questo, le tecnologie digitali e l’intelligenza artificiale sono un supporto indispensabile. La tecnologia può offrire le giuste soluzioni: guarda al futuro, non al passato, creando anche opportunità di innovazione, crescita e lavoro». «Questa edizione della Mobility Conference - ha sottolineato il Presidente di Confindustria Genova, Umberto Risso - è una tappa, nel segno dell’operatività e della concretezza, all’interno della prospettiva di “MiToGeNo”, quella con la quale insieme ad Assolombarda e Unione Industriali Torino guardiamo a un futuro sempre più integrato dell’area metropolitana policentrica del Nordovest Italiano, che ha in Milano, Torino e Genova i suoi perni. È evidente che una delle condizioni essenziali affinché questa prospettiva possa attuarsi è quella dell’integrazione infrastrutturale, in particolare per quanto riguarda il tema dei trasporti, di persone, merci e informazioni. Da questo punto di vista, siamo all’interno di un formidabile piano di investimenti che si aggiunge, da Genova, a interventi epocali che riguardano il porto, la rete autostradale, i servizi di trasporto pubblico locale e, non ultimo, la rete dei cavidotti transoceanici che costituiscono la rete primaria per il trasporto dati in un mondo sempre più digitale».
La mobilità è diventata - per i territori di Milano, Torino e Genova - una leva strategica di sviluppo e competitività dei rispettivi sistemi economici, non foss’altro per l’impatto sulla circolazione di merci, oltre che delle persone, sulle reti di supply chain e sulle connessioni di medio e lungo raggio che interessano lo sviluppo industriale internazionale. Su questi argomenti, dopo la sessione plenaria in diretta streaming, sono proseguito i lavori nelle tavole rotonde in Assolombarda, Unione Industriali Torino e Confindustria Genova.●
GENOVA
LA LOGISTICA DELLE MERCI
Nella sede di Confindustria Genova, l’innovazione è stata il filo rosso che ha unito gli interventi - moderati dalla giornalista de Il Secolo XIX Gilda Ferrari - di chi sviluppa e di chi impiega tecnologia a supporto di un più efficiente e, quindi, competitivo, sistema di mobilità delle merci, a partire dal contesto portuale, illustrato da Laura Ghio, Servizio Pianificazione e Lavoro portuale, Autorità di Sistema portuale del Mar Ligure occidentale. Il confronto si è poi sviluppato tra Luca Abatello, Presidente Circle Group, Fabrizio Ferrari, Presidente Aitek, Massimo Gerardo Pozzi Chiesa, Vicepresidente Italmondo, e Giuseppe Scarangella, titolare Torino Terminal Container. Ha introdotti i lavori Luigi Attanasio, Presidente della Camera di Commercio di Genova.n
Inquadrando il QRcode in questo spazio si accede alla video registrazione della tavola rotonda: https://youtu.be/g3fUk2tD7G0
IN COLLABORAZIONE CON
CON IL SOSTEGNO DI
SI RINGRAZIA
PARTNER ISTITUZIONALE
I CLUB TEMATICI SONO ORGANIZZATI CON IL CONTRIBUTO DI
di Giacomo Franceschini
Connections
per la movimentazione di persone, merci e dati digitali.
Nella sessione di apertura della Milano Torino Genova | Conference Mobility 2024, presso la sede di Assolombarda (v. articolo precedente), è stata lanciata una call for startup di respiro europeo, organizzata in quattro cluster tematici strategici per il settore della mobilità: People; Deep Tech, Logistics; Energy.
Il titolo della call “Call for Startup 2024 - Glocal Connections” racconta un’iniziativa che nasce a livello locale ma che quest’anno si estende anche all’internazionale, stimolando la forza delle connessioni che si possono creare grazie all’Open Innovation. La call sarà un momento di confronto tra startup italiane e non che proporranno soluzioni intorno ai servizi alle persone in movimento, alla sicurezza fisica e dei dati digitali, alla movimentazione green e sicura delle merci, al tema dell’energia verde.
La call è aperta fino al 9 giugno prossimo; informazioni e regolamento su https://mce4x4.mobilityconference.it/
Tra tutte le startup che si candideranno sarà individuata una rosa di 16 finaliste: 4 startup per ognuna delle 4 aree tematiche; le startup saranno invitate a partecipare a un evento dedicato nel mese di ottobre, durante il quale avranno la possibilità di ottenere riconoscimento e visibilità, incontrare potenziali investitori, partner industriali o commerciali, altre startup con le quali collaborare, aumentare le proprie possibilità di impatto e di successo.
La scelta di una call for startup come punto centrale dei lavori della Mobility Conference è dettato anche dalle caratteristiche che il Nord Ovest ha in materia di imprenditoria e nuove soluzioni di logistica e trasporto.
Nel 2022, le startup della mobilità hanno generato un valore totale della produzione di 204,7 milioni di euro (+45% rispetto al 2021) e un valore aggiunto di 33,2 milioni di euro (+16%), occupando 2.085 dipendenti (+58%). Considerando le sole startup della mobilità con dati di bilancio disponibili sia per il 2022 che per il 2021, si nota una crescita abbastanza diffusa tra le singole realtà innovative: 2/3 (il 66%) sono state in grado di aumentare il proprio fatturato; più della metà (55%) hanno incrementato il valore aggiunto; la quasi totalità ha mantenuto lo stesso numero (62%) o creato nuovi posti di lavoro (32%).
L’ecosistema delle startup della mobilità si conferma particolarmente dinamico: nel 2022 infatti, è stato in grado di attrarre ingenti investimenti, con aumenti di capitale pari a 88,5 milioni di euro. Sempre più importanti in questo senso gli investimenti corporate, arrivati a quasi 50 milioni di euro, a testimonianza della crescente centralità del Corporate Venture Capital (CVC) come strategia di innovazione e come supporto alla crescita delle startup. Risulta in ascesa anche il contributo degli investitori specializzati (quali, ad esempio, incubatori di startup), con 20 milioni di euro di investimenti.
In termini di distribuzione territoriale, il 35% delle startup della mobilità si concentra nelle tre regioni del Nord Ovest, Liguria, Lombardia e Piemonte; la maggior parte di esse sono localizzate in Lombardia. Nel complesso, le startup delle tre regioni generano un valore della produzione di 93,6 milioni di euro e un valore aggiunto di 11,3 milioni di euro, dando occupazione a più di 1.200 dipendenti.
Riprendendo i 4 grandi ambiti di attività della call for startup (vedi Figura 1) emergono alcune specializzazioni dei territori di Liguria, Lombardia e Piemonte rispetto al resto d’Italia. In Liguria ci sono più startup operanti nel settore Logistics (68% contro il 34% nazionale), con un forte contributo delle attività di delivery; la Lombardia, pur in presenza di una distribuzione tra settori abbastanza omogenea rispetto al territorio nazionale, concentra un peso maggiore nelle
attività di Logistics (40%); in Piemonte, risiedono più startup specializzate in Deep tech (20% contro l’11% nazionale) e, con uno scarto minore, in Energy (38% contro il 35% nazionale).
Anche sul lato degli investimenti, emergono delle marcate differenze tra le tre regioni e il resto d’Italia. In Liguria, Lombardia e Piemonte appare più radicato il fenomeno del CVC, con il 37% delle startup della mobilità che sono partecipate da corporate, mentre “solo” il 55% è partecipato esclusivamente da persone fisiche (Family & Friends); il dato italiano mostra un gap più ampio tra le due categorie, con il CVC che conta per il 31% e i Family & Friends per il 63%.
Alla luce dell’ingente ammontare di capitale immesso dalle corporate, si spiega anche così la distribuzione regionale degli investimenti, che si concentra per il 60% nelle tre regioni, accumulando un totale di 53 milioni di euro di capitale raccolto nel 2022.●
FIGURA 1. CLUSTER DI ATTIVITÀ DELLE STARTUP DELLA MOBILITÀ
FIGURA 2. SUDDIVISIONE DELLE STARTUP
DI LIGURIA, LOMBARDIA E PIEMONTE PER TIPO DI PARTECIPAZIONE
di Matilde Orlando
sintialab
Eccellenza a portata di mano.
Alessio Mosto è co-fondatore e amministratore di SINTIA LAB: ci ha raccontato ambizioni e servizi della startup innovativa che rende accessibili soluzioni tecnologiche avanzate a un’ampia gamma di aziende.
Se dovessi mettere in luce tre caratteristiche di SINTIA LAB in altrettante parole, quali sceglieresti? E perché? Nel descrivere SINTIA LAB, preferisco concentrarmi su un principio fondamentale che rappresenta sia la nostra missione che il nostro più grande impegno: la “democratizzazione dell’eccellenza”. Questa filosofia si manifesta non solo nella selezione dei migliori partner e tecnologie, ma anche nello sforzo di rendere queste soluzioni avanzate accessibili a una gamma più ampia di aziende. Il nostro obiettivo è abbassare le barriere all’innovazione, consentendo a tutte le imprese, indipendentemente dalle loro dimensioni o dal settore, di competere ed eccellere nel loro campo. Un prerequisito fondamentale è naturalmente la selezione delle migliori competenze umane, verticali e orizzontali, affinché si possa essere partner affidabili e proattivi per i nostri clienti.
Entriamo nel dettaglio: quale idea imprenditoriale è alla base di SINTIA LAB e quali riscontri avete ottenuto fino a oggi dal mercato?
SINTIA LAB nasce dalla convinzione profonda che l’intelligenza artificiale e le tecnologie avanzate, una volta rese accessibili, abbiano il potenziale per rivoluzionare numerosi settori, portando a un significativo aumento dell’efficienza
e della qualità. Ci impegniamo a fungere da ponte tra le ultime frontiere tecnologiche e le aziende di ogni dimensione, specialmente le medio-piccole, che più spesso incontrano ostacoli nell’accesso a tecnologie innovative a causa di barriere economiche o di conoscenza. Per realizzare la nostra visione di “democratizzazione dell’eccellenza”, offriamo servizi personalizzati di consulenza IT, system integration e soluzioni di intelligenza artificiale, rendendo l’innovazione tecnologica una realtà concreta e vantaggiosa per tutti. I riscontri ottenuti finora dal mercato hanno superato le nostre aspettative. Abbiamo avuto l’onore di collaborare con nomi prestigiosi e di ricevere feedback estremamente positivi da una varietà di settori, tra cui quello manifatturiero, stabilendo relazioni solide con clienti e partner di primaria importanza nel contesto nazionale e internazionale.
A quali esigenze o nuove opportunità la startup intende rispondere, e come?
SINTIA LAB è stata fondata per affrontare due esigenze cruciali nel settore manifatturiero: la prima è l’importanza vitale dell’innovazione continua per mantenere la competitività sul mercato; la seconda è la sfida che molte aziende, in particolare le PMI, incontrano nell’accedere a tecnologie avanzate a causa di costi elevati e complessità gestionale. Ci concentriamo sulle soluzioni di intelligenza artificiale implementate direttamente sui macchinari per il controllo qualità e per l’integrazione avanzata dei processi in settori critici come il Food & Beverage e l’Automotive. L’uso dell’AI in
tempo reale, attraverso l’integrazione di algoritmi a livello di interconnessione dei macchinari, ci permette di ottenere misurazioni di controllo qualità estremamente precise e immediate. Stiamo attualmente sviluppando soluzioni verticali specifiche e prevediamo di registrare entro l’anno un software focalizzato sull’applicazione innovativa di algoritmi per i server OPC dei macchinari, ottimizzando la gestione della qualità in produzione. In parallelo, ci stiamo dedicando allo sviluppo di una soluzione innovativa nel campo della gestione documentale. Questa soluzione può integrarsi con il software esistente presso i clienti, introducendo classificatori automatici capaci di operare sia sul testo che sull’analisi di immagini. Ciò consente di contestualizzare il contenuto e di estrarre dati in modo automatico e affidabile. Infine, in collaborazione con una software house specializzata in sistemi di gestione della manutenzione, stiamo sviluppando un modulo avanzato che estrae informazioni strutturate da fonti dati non strutturate. Questa tecnologia analizza dati storici, spesso inseriti come note, per estrarre automaticamente informazioni preziose, riorganizzando e completando retroattivamente i dati mancanti basandosi sulle note inserite in passato.
Quale percorso personale e professionale ti ha portato qui e quali sono le altre professionalità coinvolte in SINTIA LAB?
Io e i miei soci vantiamo una lunga storia nel mondo dell’Information Technology, un percorso che si estende per oltre due decenni e che ci ha visto operare in diversi settori
industriali su scala nazionale e internazionale. Questa esperienza non solo ci ha fornito preziose competenze tecniche, ma ci ha anche spinti a ricercare un’opportunità per investire la nostra passione e creatività in modo più significativo e personale. La fondazione di SINTIA LAB è stata il culmine di questo desiderio, nata dalla volontà di continuare a sviluppare le competenze acquisite e di esplorare nuovi orizzonti di innovazione in un contesto tutto nostro. La diversità delle nostre storie professionali e il desiderio comune di superare le convenzioni del settore hanno contribuito a formare un’azienda che è al contempo un laboratorio di idee e una realtà imprenditoriale solida. All’interno di SINTIA LAB, questa diversità trova riscontro nella varietà delle professionalità coinvolte. Oltre ai fondatori, il team si arricchisce della presenza di specialisti in intelligenza artificiale, ingegneri del software, esperti in system integration e consulenti IT, ognuno con una storia personale di eccellenza e innovazione. Abbiamo anche esperti di settore con specifiche competenze nel campo manifatturiero, automazione industriale e gestione dei processi, essenziali per comprendere a fondo e rispondere alle esigenze dei nostri clienti.
Guardando al futuro, quali sono le ambizioni di sviluppo e i progetti per la startup?
Le nostre ambizioni si focalizzano su tre pilastri fondamentali: espansione delle competenze nel campo dell’intelligenza artificiale, sviluppo di soluzioni sempre più integrate e personalizzate per i nostri clienti, e una crescita aziendale strutturata e mirata. Stiamo intensificando il nostro impegno nell’AI, con un occhio di riguardo verso lo sviluppo di nuovi algoritmi e l’esplorazione di applicazioni innovative. Questo percorso include anche importanti collaborazioni con il mondo accademico, permettendoci di rimanere in prima linea nell’evoluzione tecnologica e di applicare le ultime ricerche alle nostre soluzioni. Parallelamente, ci dedichiamo a rafforzare l’offerta di sistemi che si integrino perfettamente nelle realtà operative dei clienti, combinando software avanzato con soluzioni hardware e IoT specifiche. Siamo convinti che il mercato abbia sempre più bisogno di realtà che sappiano coniugare il mondo software con quello hardware e in particolare i dispositivi intelligenti che si stanno diffondendo sempre di più anche nel mondo industriale. Per affrontare con successo le sfide future e garantire una crescita sostenibile dell’attività, stiamo proattivamente strutturando l’organizzazione con ruoli e divisioni specifiche.
Una riflessione conclusiva: quali esperienze pregresse o inclinazioni personali ti sono state utili nel lavoro di startupper e, viceversa, cosa hai imparato in SINTIA LAB che vuoi portarti anche “a casa”?
Ho vissuto la nascita di SINTIA LAB come una naturale prosecuzione del mio percorso professionale. Credo che tutte le esperienze pregresse come dipendente, con vari ruoli e responsabilità, e in realtà di varie dimensioni, mi abbiano aiutato ad avere una visione più ampia di cosa sia un’azienda e delle sfide che debba affrontare. Lavorare in SINTIA LAB, poi, ha confermato quanto sia importante circondarsi di persone preparate e affidabili, pronte ad affrontare un percorso che richiede continuo aggiornamento e dedizione.●
Alessio Mosto
di Deborah Gargiulo
Venditori cercasi
Non mancano solo i saldatori, gli informatici, i camerieri: le aziende non trovano più persone interessate a svolgere ruoli commerciali.
Il monitoraggio sui profili professionali maggiormente richiesti dalle imprese attive sul territorio della Città Metropolitana di Genova - che la Sezione Terziario di Confindustria Genova conduce stabilmente in collaborazione con il Centro Studi dell’Associazione e il Tavolo delle Agenzie per il Lavoro - rileva grandi difficoltà nel reperimento di figure commerciali. Queste criticità sono confermate anche dall’ultimo rapporto del Sistema Informativo Excelsior di ANPAL-Infocamere, “Previsioni dei fabbisogni occupazionali e professionali in Italia a medio termine (20242028)”, che per i prossimi 4 anni prevede un fabbisogno di tecnici della distribuzione commerciale fino a 48.000 unità in tutta Italia.
“Non ci sono più venditori”: questo è l’allarme lanciato da molti titolari e direttori commerciali di imprese, sia per lo scarno numero di candidature, sia per la difficoltà di fidelizzare la risorsa aziendale. Il venditore, quindi, è un profilo professionale che, purtroppo, continua a “creare disagio”: se prima era una figura quasi da “tenere alla larga”, oggi il venditore sembra scomparso, come inghiottito dall’evoluzione digitale, dimenticando che le risorse commerciali sono fondamentali, sia in ottica di spinta all’innovazione in azienda, sia per mitigare il rischio di investimenti sbagliati.
La rete commerciale è il vero filo diretto con il mercato acquisito e potenziale: è sempre la rete vendita che - oggi avvalendosi di nuove denominazioni professionali ritenute più qualificanti - può incidere nell’azione di sviluppo e di mantenimento del mercato. Da sempre avvertiamo la necessità di elevare l’azione della vendita a quella della consulenza: ma la stessa consulenza commerciale è orientata e finalizzata al sostegno dell’erogazione di una prestazione.
Basti pensare ai termini con i quali oggi si identificano i ruoli di addetto alla vendita per capire come il venditore necessiti di essere nobilitato. Il processo di vendita è strettamente connesso al valore aziendale e, in realtà, essere “venditori” nell’era odierna racchiude molte competenze: saper riconoscere e comprendere le logiche del processo di acquisto, saper adeguare la ricerca dei clienti con la proposta del prodotto, essere in grado di intercettare e reperire i bisogni del mercato per trasferirli in azienda e contribuire attivamente alla continua revisione della Value Proposition.
A questo si aggiungono la consapevolezza e l’etica con cui il venditore agisce in un mercato spesso diffidente e rispetto al cliente durante il processo di vendita. Sostenere il ruolo chiave del venditore, valorizzandolo al
pari di tutte le altre figure aziendali, è il primo passo per creare cultura e rendere questa professione nuovamente attrattiva, soprattutto per i giovani, che oggi sembrano poco inclini a scegliere percorsi di carriera mirati alla vendita, privilegiando posizioni nel settore acquisti, marketing, comunicazione, oppure svolgere ruoli amministrativi o di back office... insomma, qualunque ruolo di relazione, purché non si debba vendere. Sulla base di queste considerazioni, sono state individuate tre “strade” possibili per rispondere alle criticità sopra descritte. La prima riguarda la diffusione della “cultura delle vendite”: occorre qualificare il ruolo del “venditore” per consentire all’azienda di nobilitarne la mansione, mettendo in atto un cambiamento organizzativo e culturale che rafforzi la posizione del venditore come “collega” e non come “cliente interno”. Attraverso la rete vendita si hanno feedback tempestivi sulle reali reazioni del mercato; più piccola è l’azienda, maggiore è la necessità di monitorarle per conoscere ciò che “funziona” e ciò che, invece, deve essere migliorato, secondo logiche che impatteranno sul conseguente riposizionamento del brand.
La seconda azione è l’avvio di un percorso di cultura-informazione sul “canale ragazzi”: delineare e diffondere le caratteristiche ideali del venditore di oggi aiuterà i candidati a essere maggiormente consapevoli delle loro caratteristiche e a valutare l’eventuale idoneità al ruolo. Illustrando la varietà di skill che il ruolo può “allenare” e le opportunità che la mansione offre, si potrà contribuire alla piena rivalutazione della figura del venditore, facendo apprezzare le opportunità di crescita, umana e professionale, che offre l’attività di gestione delle relazioni commerciali, e favorendo concretamente l’aumento delle candidature.
La terza strada è quella della formazione: affiancare il venditore nell’acquisizione o nel miglioramento delle competenze e della consapevolezza del ruolo nella catena del valore aziendale per incidere su tutto il processo, dalla generazione del bisogno alla decisione, senza limitare la sua azione alla sola vendita (fase di apertura e chiusura contrattuale, raggiungimento KPI), elemento che pesa negativamente sull’attrattività della mansione. Sostenere la collaborazione tra Proprietà / Direzione e risorse che per l’azienda operano e agiscono sul mercato con la stessa Value Proposition, ma con target distinti in funzione delle caratteristiche dei singoli.
Con questi obiettivi, attraverso Ausind Srl, la società di servizi di Confindustria Genova, per iniziativa della Sezione Terziario sono stati
progettati due corsi di formazione: uno per imprenditori, focalizzato sulle tecnologie digitali, oggi trasversali all’organizzazione aziendale e strategiche per l’area commerciale; il secondo sarà dedicato a sales e technical sales, per un aggiornamento a sostegno delle competenze necessarie ai profili commerciali delle imprese che operano nel nuovo contesto economico. Il programma dei corsi sarà completato a breve e sarà comunicato attraverso i canali di Confindustria Genova e di Ausind.●
Deborah Gargiulo è Responsabile Marketing Confindustria Genova
Andrea Angelotti
Business development Gate Network
Come imprenditore nel settore delle vendite - Gate Network si occupa di attivare e gestire punti ritiro Amazon in tutta Italia - ho visto la trasformazione del ruolo del venditore e le sfide nel trovare giovani qualificati. Per fare il venditore non solo è essenziale avere competenze (almeno di base) in italiano, perché la correttezza espressiva è il primo modo per generare fiducia, ma anche saper comunicare con entusiasmo, positività e rispetto per l’interlocutore. Purtroppo sono tutti elementi che non si riescono più a trovare e sono difficili da colmare perché richiedono molto tempo. Aggiungo che è sempre più difficile trovare persone che rispettino gli impegni presi, persino in fase di colloquio: il 70% dei candidati che passano la selezione del curriculum e con cui fissiamo colloquio, lo annullano da un’ora a 15 minuti prima dell’appuntamento concordato. Il fenomeno è preoccupante, perché questi non sono elementi qualificanti specificatamente per un venditore, ma forse per un vivere civile più generale.
Se dovessimo selezionare i candidati in base alle caratteristiche più qualificanti per un venditore, come capacità di ascolto, valutazioni economiche, analisi del profilo del cliente ecc., su 100 curricula potremmo fissare 1 o forse 2 colloqui. Investiamo moltissimo nell’affiancamento e nella formazione dei venditori che riusciamo a selezionare per colmare tutti questi gap, con una rotazione che spesso non riesce e giustificare tale impegno.
L’unica soluzione a medio termine che abbiamo trovato è stata creare una procedura self service di attivazione dei punti ritiro e tanto lavoro di marketing su parole chiave specifiche per presidiare le ricerche di punti vendita interessati al servizio, rinunciando a tutti i potenziali esercenti che non conoscono il servizio ma che potrebbero esserne interessati se potessimo contare su una rete vendita qualificata. In conclusione, valorizzare il ruolo del venditore e renderlo attraente per i giovani è essenziale per il futuro del nostro tessuto economico, non solo per aziende focalizzate sulle reti vendita. Dobbiamo agire ora per coltivare la prossima generazione di professionisti.●
Gabriele Ciambi
Direttore Risorse Umane e Affari Legali Gruppo Sogegross
Anche il Gruppo Sogegross ha rilevato una forte difficoltà nel reperimento di figure commerciali, dedicate alla vendita. Operando in ambiti diversificati (dettaglio e ingrosso alimentare), con le insegne Basko, Ekom e GrosMarket, il nostro focus si è quindi orientato su più famiglie professionali, ovvero i Capi Reparto e gli Horeca Account (questi ultimi solo per l’ingrosso). Le prime domande che ci siamo posti sono state: che cosa ci aspettiamo che faccia un “venditore”? Come si inserisce nella strategia della nostra Azienda? E ancora: quali sono gli “strumenti” e le modalità di vendita dell’Azienda che si sovrappongono al venditore stesso anche sullo stesso potenziale cliente? In passato il venditore era l’unico “canale” di vendita e quindi aveva leve esclusive. Oggi è tutto molto più “vicino”..., con l’online, ad esempio, il cliente, se può arrivare prima all’acquisto, con le informazioni adeguate, prende la strada più rapida e semplice.
Per le nuove generazioni (che magari sono le stesse che stiamo cercando di ingaggiare per ricoprire ruoli commerciali, dedicati alla vendita) la ricerca di immediatezza e semplicità all’acquisto è ancora più accentuata e forse non capiscono appieno il ruolo del venditore stesso.
Il lavoro del venditore è quindi fortemente minacciato dalle nuove possibilità di vendita, ma proprio per questo è anche in forte trasformazione e quindi è necessario ragionare su quali siano le competenze/attività che possono fare la differenza in un particolare ambito perché: il cliente veda il beneficio di “affidarsi” a un venditore; il candidato capisca che quel mestiere lo può differenziare e far specializzare su qualcosa che non è replicabile in modo semplice.
La specializzazione e il know-how giocano un ruolo chiave, pertanto la formazione specializzata e continua deve far parte di un pacchetto di ingaggio ed essere centrale per le Aziende.
Il Gruppo Sogegross ha quindi individuato nelle due famiglie professionali che ho citato i destinatari privilegiati di corsi mirati, perché in loro risiedono le maggiori opportunità di contatto con i clienti, che siano questi ristoratori o clienti privati.
Accrescere e ampliare la cultura del prodotto e del servizio e spingere i nostri Collaboratori a indagare delle reali esigenze del cliente sono stati i punti di partenza sui quali si sono sviluppati i concetti commerciali dei nostri corsi.●
PER LA Sicurezza AI
La società è technical supplier di PSA Genova Pra’ nello sviluppo di soluzioni innovative per il rilevamento automatico di eventi legati a safety e portuale.
L’avvento delle tecnologie smart sta trasformando i terminal portuali in luoghi di innovazione dotati di sistemi all’avanguardia, il cui impiego permette di migliorare la sicurezza, l’efficienza operativa e la produttività. In tema di sicurezza, la principale sfida è legata alla necessità di proteggere aree estese utilizzando sistemi per il rilevamento automatico e in tempo reale di situazioni di potenziale pericolo, allo scopo di supportare il personale addetto alla sicurezza e ridurre i tempi di intervento in caso di criticità. Adottare le migliori tecnologie per rispondere ai bisogni sempre crescenti legati alla safety e alla security è una delle mission di PSA Genova Pra’, la più importante realtà terminalistica del Porto di Genova e dell’alto Tirreno, dotata delle strutture fra le più moderne ed efficienti di tutto il Mediterraneo. Per questo, PSA Genova Pra’ ha scelto Aitek per lo sviluppo di applicazioni video per la sicurezza del termi-
nal: una partnership tecnologica consolidata che proprio quest’anno ha tagliato il prestigioso traguardo dei vent’anni e che ha consentito al terminal genovese di dotarsi di sistemi all’avanguardia con pochi eguali al mondo.
Risale infatti al 2003 la prima soluzione basata su telecamere analogiche, i cui flussi video venivano convertiti in digitale mediante l’utilizzo di un video server sviluppato da Aitek, soluzione per l’epoca all’avanguardia. Nel corso degli anni il sistema è stato progressivamente ampliato con l’installazione di telecamere IP ad alta risoluzione e aggiornato grazie all’impiego dell’ampia gamma di prodotti software della piattaforma di video security AiVu di Aitek. Oggi, il sistema gestisce circa 150 telecamere posizionate nei punti nevralgici del terminal, per garantire il controllo di banchine, aree perimetrali, varchi di accesso, scali ferroviari, piazzali operativi, edifici e aree parcheggio, anche durante le ore notturne e in condizioni di scarsa visibilità.
L’intera gestione del sistema è affidata al software di Video Management AiVu-VMS, capace di offrire una risposta completa a qualsiasi esigenza di sicurezza. Tutti i flussi video provenienti dalle telecamere vengono gestiti mediante un’unica interfaccia e inviati ai video decoder per la visualizzazione delle immagini sui monitor e sui videowall della sala operativa di PSA Genova Pra’. Tuttavia, affidarsi al solo occhio umano per controllare un numero così elevato di telecamere è impossibile. Pertanto, come in tutte le applicazioni di sicurezza di nuova generazione, l’intelligenza artificiale rappresenta la soluzione ideale.
Per raggiungere un livello superiore di efficienza, il sistema di videosorveglianza è stato integrato con un set di algoritmi di video analisi sviluppati da Aitek, che hanno il compito di elaborare le immagini provenienti dalle telecamere per
Tecnologie di nuova generazione per la sala operativa di PSA Genova Pra’. L’intera componente di video sorveglianza è gestita dalla piattaforma software AiVu di Aitek: il sistema di video management AiVu-VMS, i client per la gestione dei decoder e del videowall, i monitor per la visualizzazione degli allarmi generati dagli algoritmi di intelligenza artificiale.
rilevare automaticamente e in tempo reale potenziali minacce alla sicurezza di persone, merci e infrastrutture all’interno del terminal.
La grande innovazione ha riguardato l’impiego di algoritmi di video analisi basati sul deep learning, la tecnica di elaborazione immagini che consente agli algoritmi di “imparare” direttamente dall’esperienza acquisita, senza essere vincolati da modelli matematici predefiniti.
In particolare, il deep learning si basa sull’addestramento di reti neurali molto sofisticate per raggiungere un’altissima affidabilità nell’analisi di immagini e filmati in ogni condizione di ripresa, anche in presenza di oscillazioni delle telecamere dovute al vento. Come suggerisce il nome, le reti neurali sono state modellate per imitare il nostro cervello, seppure su scala molto più piccola. Infatti, un po’ come l’essere umano, la rete neurale migliora le proprie prestazioni man mano che gli eventi da cui apprendere aumentano nel tempo, correggendo eventuali errori di elaborazione o adattandosi a situazioni nuove.
L’impiego di queste sofisticate tecniche di intelligenza artificiale fornisce un notevole supporto agli operatori della control room di PSA Genova Pra’. Un monitor del videowall è stato dedicato alla visualizzazione delle immagini provenienti dalle telecamere in allarme: ogni volta che si verifica un nuovo evento, l’attenzione degli operatori viene richiamata da segnali visivi e sonori che evidenziano il riquadro nel quale sono visualizzate le immagini correlate all’allarme. Inoltre, il sistema avvia automaticamente il tracking dei soggetti ed effettua uno zoom in modo da mostrare ogni dettaglio. Gli operatori possono quindi vedere non solo in filmato live della telecamera interessata dall’evento, ma anche un’immagine ravvicinata (crop) della situazione. Sul monitor viene visualizzato il flusso live proveniente dalla telecamera in allarme, mentre in un apposito riquadro (Picture-in-Picture) viene mostrato lo zoom di dettaglio della persona rilevata dalla rete neurale addestrata al riconoscimento della sagoma umana: lo zoom si adatta automaticamente per seguire con la massima precisione gli spostamenti del soggetto all’interno dell’inquadratura. Ma quali sono gli eventi rilevati dagli algoritmi di video analisi? Ecco alcuni esempi. A proposito di safety, la soluzione sviluppata da Aitek è in grado di rilevare e seguire persone all’interno di aree nelle quali tale presenza può rappresentare un pericolo (ad esempio in prossimità di gru o mezzi operativi); oppure tracciare persone che camminano lungo la sede ferroviaria del tronco di accesso al terminal o che attraversano le corsie del gate stradale, con rischio di incidenti o investimenti.
Legati alla security del terminal sono eventi quali il rilevamento di persone che si introducono dalle aree perimetrali o dal cancello del varco ferroviario (quando questo è aperto per consentire il transito di convogli), oppure l’accesso non autorizzato di persone dalle corsie del gate stradale, specie negli orari di chiusura al traffico.
La costante attenzione alle evoluzioni tecnologiche e il rapporto di fattiva collaborazione instauratosi fra le strutture
IT delle due aziende sono alla base del sistema di video security che Aitek ha sviluppato per il terminal PSA Genova Pra’: una soluzione in continua evoluzione che ha raggiunto i più alti standard di qualità, efficienza e affidabilità.●
Genova Impresa - Marzo / Aprile
Un monitor della sala operativa di PSA Genova Pra’ è dedicato alla visualizzazione dei flussi video associati agli allarmi generati dal sistema.
Un dettaglio della funzionalità Picture-in-Picture per il tracking delle persone rilevate all’interno dell’inquadratura.
Grazie alla video analisi Aitek è possibile rilevare anche intrusioni di persone: nell’immagine una persona tenta di accedere al terminal attraverso il varco stradale durante l’orario di chiusura.
Gli algoritmi di video analisi Aitek sono in grado di rilevare automaticamente e in tempo reale la presenza di persone all’interno di aree pericolose, come ad esempio lungo la sede ferroviaria durante il transito di un convoglio merci.
di Fabio Loiacono
“as a ser vice”
Le soluzioni tecnologiche di Dime Srl per difendersi dagli hacker.
Nel complesso contesto attuale, caratterizzato da un costante e rapido evolversi delle minacce informatiche, molte aziende si trovano di fronte a sfide di sicurezza sempre più significative. Garantire un livello adeguato di protezione contro le ultime minacce richiede non solo investimenti consistenti in tecnologie di sicurezza all’avanguardia, ma anche una conoscenza specialistica e aggiornata per identificare e affrontare le sempre più sofisticate tattiche degli attaccanti digitali. Purtroppo, per la maggior parte delle medie imprese, dedicare risorse significative al monitoraggio costante del panorama delle minacce e all’aggiornamento delle difese è non solo impraticabile, ma spesso finanziariamente fuori dalla loro portata. Questa situazione espone le aziende a gravi rischi, con potenziali conseguenze devastanti, che vanno dalla perdita di dati alla compromissione della reputazione aziendale, alla violazione della compliance normativa.
È proprio in questo scenario che il nostro innovativo servizio di cybersecurity “as a service” riveste un’importanza cruciale e diventa non solo rilevante, ma spesso indispensabile per le aziende moderne. Offriamo alle aziende accesso privilegiato a un team di professionisti esperti nel settore della sicurezza informatica e alle più avanzate tecnologie disponibili sul mercato. Ciò consente alle aziende di superare la sfida di rimanere al passo con le minacce in continua evoluzione e di garantire una protezione adeguata per il loro ambiente IT senza dover sostenere gli elevati costi e l’onere della gestione interna delle risorse dedicate alla sicurezza.
Il nostro servizio di cybersecurity “as a service” garantisce che le misure di sicurezza siano costantemente aggiornate con le ultime conoscenze e tecnologie per affrontare con efficacia le specifiche minacce emergenti nel panorama cibernetico. Inoltre, liberiamo le aziende dall’onere di dover investire ingenti risorse interne per l’implementazione e la gestione di complesse infrastrutture di sicurezza.
Attraverso le soluzioni di cybersecurity di Dime, le aziende possono accedere a un livello di sicurezza altrimenti fuori dalla loro portata, beneficiando di servizi di monitoraggio 24 ore su 24 tramite un moderno Security Operations Center (SOC). Il nostro SOC è dotato di tecnologie all’avanguardia e di un potente Security Orchestration, Automation and Response (SOAR) basato sull’intelligenza artificiale, che consente alle aziende di concentrarsi sulle loro attività
principali senza preoccupazioni e distrazioni legate alla sicurezza IT.
Perché è così importante un SOC e l’utilizzo di un SOAR? Le minacce informatiche sono molteplici e provenienti da fonti sempre più variegate e sofisticate. La mera prevenzione non è più sufficiente; è fondamentale essere in grado di rilevare gli attacchi in tempo reale e agire tempestivamente per contenere e neutralizzare gli attacchi informatici. È qui che entra in gioco un SOC, progettato appositamente per monitorare costantemente l’ambiente IT dell’azienda e individuare prontamente eventuali attività sospette o minacce in corso. Grazie a strumenti avanzati di monitoraggio e analisi dei log, un SOC può identificare rapidamente comportamenti anomali indicativi di un potenziale attacco informatico. Integrando un SOAR, è possibile automatizzare parte del processo di rilevamento e risposta, riducendo i tempi di reazione e consentendo agli analisti di sicurezza di concentrarsi su compiti più strategici e di alto valore aggiunto. Un SOC con SOAR integra inoltre l’intelligenza artificiale e l’apprendimento automatico per identificare i pattern associati alle nuove minacce emergenti, mantenendo costantemente aggiornate e all’avanguardia le difese informatiche dell’azienda. Il SOAR consente di automatizzare una serie di compiti di sicurezza, come l’analisi dei log, la risposta agli incidenti e la gestione delle patch e degli aggiornamenti di sicurezza. Ciò riduce significativamente il carico di lavoro manuale sugli analisti di sicurezza, consentendo loro di concentrarsi su attività più complesse e di maggior valore strategico.
In definitiva, un SOC supportato da un SOAR rappresenta una componente fondamentale e altamente efficace della strategia di difesa cibernetica di un’azienda moderna. Tuttavia, per molte medie imprese, l’implementazione e la gestione di tali infrastrutture sono estremamente complesse e costose, richiedendo significativi investimenti in infrastrutture tecnologiche e nella formazione del personale specializzato. È qui che si inserisce il concetto di “security as a service” di Dime: offriamo alle aziende la possibilità di ottenere un’adeguata infrastruttura di sicurezza informatica, servizi di rilevamento e risposta alle minacce tempestivi e proattivi, e la pianificazione di politiche di recovery gestite da personale qualificato. Il nostro obiettivo è garantire la continuità del business riducendo drasticamente i costi associati alla gestione interna della cybersecurity aziendale.●
COMPETIZIONE & SVILUPPO
L’arte di cantiere
Il Galata Museo del Mare ospita l’edizione genovese di “ShipyART - L’arte di cantiere”, mostra di fotografie e installazioni promossa da Navim Group e visitabile fino al 5 maggio. Nato dall’intuitiva combinazione dei termini Shipyard (cantiere navale) e art (arte), il neologismo ShipyART descrive un concetto unico e affascinante: l’arte inconsapevole che si manifesta all’interno dei cantieri navali e delle officine meccaniche durante il processo di costruzione e trasformazione delle navi. Ambienti dove industria e artigianalità si fondono e in cui è inaspettatamente possibile scoprire forme d’arte e di bellezza, trasformando il comune in straordinario. ShipyART celebra l’arte di cantiere attraverso una ricchissima raccolta di fotografie, scattate durante gli shooting nei cantieri in cui Navim Group opera, e installazioni provenienti dalle sue officine. La rassegna, che nel 2023 ha già fatto tappa al Museo della Cantieristica di Monfalcone e che, dopo Genova, è pronta a salpare per Livorno, è stata fortemente voluta da Federico Olivieri, CEO di Navim Group, e da Veronica Dall’Osso, Direttrice Marketing del Gruppo nonché Curatrice della Mostra, che ha risposto a qualche nostra curiosità.
Come è nata l’idea della mostra e quale è stato il momento di ispirazione in cui avete “risconosciuto” in cantiere un oggetto artistico?
L’idea della mostra è stata la naturale evoluzione di una
Foto: Massimo CrivellariMonfalcone
Foto: Giorgio SalvadoriGenova
meravigliosa rivelazione che abbiamo avuto consultando i nostri archivi fotografici contenenti oltre 50 anni di storia del Gruppo e degli impianti. Durante la fase di archiviazione ci siamo resi conto che, oltre a una serie nutrita di fotografie tecniche e specialistiche, avevamo collezionato un immenso quantitativo di immagini bellissime con soggetti artistici o, meglio, con inusuali interpretazioni artistiche di oggetti e soggetti di uso quotidiano e tecnico nel settore navale. Da qui è nata l’idea dell’arte innata e inusuale di cantiere, che si esprime proprio nel nome ShipyART, intuitiva combinazione di ART (arte) e Shipyard (cantiere navale). La foto per eccellenza che simboleggia per noi il momento in cui abbiamo “riconosciuto” l’arte inusuale di cantiere è quella dei “cuori” ovvero i ganci del carroponte del nostro stabilimento di Monfalcone; vedere dei cuori nei ganci ci ha portato ad aprire l’immaginazione e a compiere dei percorsi artistici e immaginifici fino all’ideazione del progetto ShipyART e della mostra, che ha già visto una prima esposizione al MuCa - Museo della Cantiertistica di Monfalcone per poi approdare al MuMa - Museo del Mare di Genova.
Quale è stato il ruolo di Navim e come sono stati coinvolti artisti e maestranze nel progetto Shipyart?
Il progetto è al 100% Navim: concepito, ideato, organizzato, sostenuto chez nous; abbiamo avuto un’intuizione e l’abbiamo perseguita credendoci tantissimo fin dall’inizio, coinvolgendo da subito chi, tra le nostre maestranze, ha dimostrato una maggiore sensibilità all’arte e ha deciso di mettersi in gioco e scendere in campo in una veste nuova e del tutto inedita. Il ruolo di Navim ha risvolti positivi anche dal punto di vista della sostenibilità del progetto: si tratta di una mostra dalla realizzazione volutamente interna e fortemente ecosostenibile e, usando una parola che oggi va molto di moda, anche “circolare” nel senso più puro del termine, ovvero pensata e allestita ricorrendo quasi esclusivamente a risorse e manufatti di proprietà, o in ogni caso già disponibili on site. Ciò significa che non sono stati fatti investimenti ad hoc per gli allestimenti, ma è stato gestito tutto in autonomia da Navim.
L’esposizione al Galata Museo del Mare sta volgendo al termine: quali riscontri avete avuto sul territorio e cosa può scaturire da quest’esperienza?
L’edizione genovese di ShipyART ha ricevuto un riscontro molto positivo sia da parte del pubblico che da gruppi industriali e Istituzioni. Crediamo che questo dipenda anche dal fatto che i contenuti stessi tocchino corde molto sensibili e siano vicini a chi respira da sempre aria di mare, a chi si riconosce nelle vocazioni navali e marittime, a chi sa guardare oltre, a chi sa vedere la bellezza in ciò che apparentemente bello non è, in ciò che è straordinario nell’ordinario. Terminata la mostra al Galata, ci aspetta Livorno, dove abbiamo un’altra sede di Navim Group, Tecnimpianti Livorno, in cui progettiamo e costruiamo i nostri impianti più preziosi destinati ai Mega e Giga Yacht e quindi legati al segmento del lusso.●
Veronica Dall’Osso e Federico Olivieri
Foto: Giorgio Salvadori - Genova
TRASPARENZA
INTEGRITY Plan
Il progetto del Gruppo RAM mirato a rendere visibile a dipendenti, collaboratori esterni e fornitori il proprio sistema di valori. Ce ne parla Alessandro Locatelli, responsabile HR di SIE, società del Gruppo.
FIDUCIA
Alessandro Locatelli
SIE Srl è una società specializzata in impianti elettrici, strumentali e di automazione, industriali e civili. Partner di riferimento dei maggiori gruppi dell’industria metalmeccanica e manifatturiera, in Italia e all’estero, fa parte del Gruppo RAM, che unisce otto aziende specializzate nella fornitura di servizi integrati per impianti oil&gas. Insieme con RAM Power, Officine RAM Power e RAM Energy, nel 2021 SIE ha inaugurato il suo “Integrity Plan”, nell’ambito del progetto RAM Integrity. A raccontarne natura e propositi è Alessandro Locatelli, Responsabile delle Risorse Umane dell’azienda.
Cosa sono il progetto Integrity e l’Integrity Plan? Riassunto in una formula, il progetto Integrity è un’iniziativa di comunicazione ad ampio spettro che ha l’obiettivo principale di far conoscere i vari stakeholder del Gruppo RAM: i dipendenti, i collaboratori esterni, i fornitori e qualunque altro portatore d’interesse che s’interfacci con noi. Inaugurato nel 2021, l’Integrity Plan vuol rendere visibile a tutti i soggetti coinvolti nel nostro universo aziendale qual è il sistema di valori che contraddistingue l’operatività di RAM Group, al tempo stesso promuovendo e assicurando che onestà, correttezza e trasparenza siano sempre mantenuti nei comportamenti di dipendenti, collaboratori e dirigenti in ogni attività e nei rapporti con clienti, fornitori e subappaltatori. Al centro del progetto c’è la persona come valore. Col tempo, grazie al progetto Integrity nelle sue diverse declinazioni speriamo di portare dei benefici significativi a tutte le persone che compongono l’organizzazione, favorendo la chiarezza di ruoli e responsabilità, la professionalità, la produttività e la tranquillità di operare nel rispetto delle regole, in modo etico e trasparente, a tutto vantaggio della reputazione dell’azienda e, in definitiva, dell’orgoglio di far parte della vita e della crescita attuale e futura di RAM Group.
Tre anni sono forse insufficienti per dar conto della “storia” e degli esiti di un progetto culturale così lungimirante e ambizioso. Può darci, in ogni caso, qualche ragguaglio sulle azioni e le tappe principali dell’iniziativa?
Quando siamo partiti, a luglio del 2021, abbiamo subito costituito l’Integrity Committee, presieduto da un autorevole professionista esterno all’organizzazione. In tutte le aziende coinvolte è stata istituita una funzione di Business Compliance, ed è stato pubblicato e diffuso il nuovo Codice Etico del Gruppo. Formalizzata un’apposita procedura per la gestione del Whistleblowing, abbiamo erogato delle sessioni informative e formative che hanno coinvolto tutti i dipendenti. Nel 2022 sono nati il logo e la brand Identity Integrity. Una volta strutturato il piano di comunicazione, abbiamo dato corso ai primi workshop, che hanno portato alla nascita della nostra Carta dei Valori. Nel 2023 abbiamo concepito e prodotto il primo Calendario dell’Integrity con i 12 principi più importanti, e abbiamo realizzato il primo Integrity Magazine, che ora è la “voce” del progetto. Inoltre, abbiamo lavorato per aumentare il numero dei nostri Ambassador, anche tramite toolbox talks (letteralmente le “chiacchierate sulla cassetta degli attrezzi”, utili per favorire la condivisione di
informazioni su salute e sicurezza e raccogliere, al contempo, indicatori o segnalazioni che possono aiutare a migliorare le prestazioni HSE - ndr) e interviste... Nel corso degli ultimi workshop sono emersi una serie di aspetti, molti dei quali condivisi in modo trasversale e indipendente, pronti a essere proiettati nel nuovo anno. È emersa, fra l’altro, l’esigenza di diffondere e divulgare il progetto e il valore dell’integrity all’interno dei cantieri, e coinvolgere i supervisori interni e dei subappaltatori, per tradurre la nostra visione in comportamenti operativi, rendendone partecipi i lavoratori. Del 2024, infine, sono la nomina della prima Integrity Project Manager e le “new entry” nel progetto di due altre società del Gruppo, RAM Meccanica e Nuova OMG: segni importanti, che danno evidenza di come il progetto sia in costante via di sviluppo.
Tutt’altro che estemporaneo, a quanto ci ha appena detto, il vostro impegno sembra corrispondere a un vero e proprio modello filosofico e morale. Vi siete ispirati a qualcuno o qualcosa in particolare?
Un gruppo in crescita come il nostro è portato, quasi per forza di cose, a interrogarsi sulle questioni cruciali dell’etica di business. Il progetto Integrity è il frutto in divenire di queste interrogazioni e, in fondo, cerca di comunicare una cosa semplice ma importantissima, e cioè che il mondo del lavoro RAM è un mondo fondato sui valori... che abbiamo identificato nei 5 principi-base del nostro Codice Etico: integrità, imparzialità, legalità, trasparenza e riservatezza, rispetto delle persone. Questi, così come quelli che vengono espressi in parole come sicurezza, responsabilità d’impresa, sostenibilità, onestà nella conduzione degli affari eccetera, sono temi che nel mondo anglosassone sono al centro dell’attenzione da molti anni, e da tanto sono comunicati, mentre in Italia ci stiamo arrivando con maggior lentezza. In effetti, il nostro modello è molto simile a quello anglosassone. È un modo di dire, e di fare, che ci consente di lavorare sul piano della comunicazione e, più in profondità, su quello dell’identità aziendale, per trasmettere il nostro piano valoriale, anche al di là degli strumenti tecnici ma “freddi” che già esistono - come la certificazione 231, che a un’azienda serve per dimostrare il proprio impegno nella salvaguardia dei dipendenti e ad evitare eventuali ripercussioni in caso di contenzioso.
Dal punto di vista della ricaduta pratica sull’operatività aziendale, l’effetto del progetto Integrity è in qualche modo percepibile?
Sicuramente sì, nel senso che l’attenzione che diamo alla sicurezza, che è uno dei grandi temi della Integrity, ha finito per “contagiare” in senso positivo anche i nostri dipendenti. Anche in virtù della sensibilità e della consapevolezza stimolate dal progetto, tutte le volte che in cantiere ci sono stati dei problemi a livello di sicurezza, l’azienda ha reagito prontamente. I dipendenti hanno avuto occasione “concreta”, così, di rendersi conto che l’azienda è coerente nel rapporto fra teoria e prassi. Anche alcuni nostri subappaltatori hanno visto consistenza di messaggio. Crediamo proprio di essere sulla strada giusta...● (M.P.)
RC sanitaria
Con la pubblicazione del decreto attuativo della Legge Gelli Bianco, le strutture sanitarie e gli esercenti la professione sanitaria dovranno rivedere la propria posizione assicurativa rispetto alla richiesta di possibili risarcimenti.
Pubblicato dopo quasi sette anni di attesa il decreto attuativo della Legge GelliBianco, recante i requisiti minimi delle polizze per le strutture sanitarie ed esercenti professioni sanitarie, nonché la previsione nel bilancio delle strutture di un fondo rischi per i risarcimenti relativi a sinistri.
Il Regolamento specifica che le imprese assicurative dovranno adeguare i contratti di assicurazione in conformità ai nuovi requisiti minimi previsti entro il 16 marzo 2026. Stesso termine per le strutture sanitarie, che
Genova Impresa -
di Marco Bertino
dovranno adeguarsi alle misure organizzative e finanziarie previste per le cosiddette “misure analoghe” alternative al trasferimento assicurativo del rischio.
Le strutture dovranno dotarsi di significativi strumenti di gestione del rischio e di prudente allocazione delle risorse in funzione dei possibili risarcimenti, dalla certificazione della congruità del Fondo Rischi e del Fondo riserva sinistri, alla necessaria creazione di un apposito Comitato Valutazione Sinistri e all’istituzione di una funzione interna per il governo del rischio.
Ma soprattutto viene stabilito l’obbligo per la struttura di identificare annualmente «i principali rischi di responsabilità ̀ civile in ambito sanitario cui la stessa è esposta e le azioni necessarie per la loro mitigazione... La struttura predispone una relazione annuale sull’adeguatezza ed efficacia dei processi di valutazione dei rischi, sul raffronto tra le valutazioni effettuate e i risultati emersi, nonché sulle criticità riscontrate, proponendo i necessari interventi migliorativi».
L’entrata in vigore del regolamento rende definitivamente cogente l’obbligo di assicurazione previsto dalla legge e renderà operativo il regime dell’azione diretta, che consentirà ai danneggiati di rivolgersi direttamente alle compagnie assicuratrici, al pari di ciò che avviene nella RC auto. L’azione diretta, pur producendo effetti prevalentemente processuali, è connessa alla regola della non opponibilità al danneggiato delle eccezioni contrattuali.
Il decreto prevede solo quattro eccezioni: 1) fatti dannosi derivanti dallo svolgimento di attività che non sono oggetto della copertura assicurativa; 2) fatti generatori di responsabilità verificati e richieste di risarcimento presentate al di fuori dei periodi di retroattività/ultrattività; 3) le limitazioni del contratto derivanti dalla previsione di franchigia o SIR; 4) il mancato pagamento del premio.
In relazione all’adeguamento delle polizze al “ai requisiti minimi” previsti dal regolamento, per le polizze pluriennali aggiudicate nell’ambito di bandi pubblici, ove non liberamente rinegoziabili tra le parti, restano in vigore fino alla scadenza naturale del contratto e comunque non oltre 24 mesi dall’entrata in vigore del decreto. Stesso termine vale per le strutture sanitarie non assicurate, che dovranno adeguarsi alle misure organizzative e finanziarie previste per le cosiddette “misure analoghe”.
La Struttura dovrà prendersi carico della copertura delle responsabilità di tutti gli esercenti di cui la stessa si avvale nell’adempimento della propria obbligazione con il paziente, dipendenti o non. Tale impegno potrà essere assolto mediante la stipula di una vera e propria convenzione assicurativa, ovvero in regime di autoritenzione, integrando i fondi all’uopo costituiti; ciò comporterà il superamento della richiesta ai propri ausiliari della stipula di polizze assicurative personali.
Rimangono ferme, ovviamente, le azioni di rivalsa e di regresso nel caso in cui l’esercente sia responsabile per colpa grave; in tal caso opereranno le polizze obbligatorie di cui all’art 10 comma 3 della legge Gelli, i cui costi saranno invece posti a carico di ciascun professionista tenuto ex lege ad assicurarsi.
Abbastanza criticato il fatto di aver impostato il modello dell’assicurazione obbligatoria della RC sanitaria ispirandosi alla disciplina degli obblighi assicurativi della RC auto. La
disciplina del bonus malus, ad esempio, è stata ritenuta poco adatta a sinistri che (a differenza di quelli della circolazione stradale) possono essere “long tail” e denunciati a distanza di anni dal fatto generatore di responsabilità. Più apprezzabile, invece la previsione di un meccanismo di polizza che incentivi la tutela preventiva e la miglior gestione del rischio sanitario, riconoscendo un bonus in funzione delle azioni intraprese dall’assicurato per la mitigazione dei rischi. In vigenza della polizza e nel periodo di ultrattività della stessa, non potrà essere esercitato Il diritto di recesso dall’assicuratore a seguito alla denuncia del sinistro o del suo risarcimento. Il diritto di recesso sarà limitato ai soli casi di «reiterata condotta gravemente colposa dell’esercente la professione sanitaria, accertata con sentenza definitiva che abbia comportato il pagamento di un risarcimento del danno».
Infine, il valore minimo dei massimali, differenziati in tre categorie per le strutture sanitarie e in due categorie per i professionisti sanitari, prevedendo per ciascuna di esse un massimale per sinistro e un massimale aggregato. Per quanto riguarda le strutture le categorie sono rappresentate da: strutture ambulatoriali che non eseguono prestazioni erogabili solo in ambulatori protetti, ossia ambulatori situati nell’ambito di istituti di ricovero e cura ai sensi del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 12 gennaio 2017, ivi compresi i laboratori di analisi: massimale non inferiore a € 1.000.000,00 per sinistro e un massimale per ciascun anno non inferiore al triplo di quello per sinistro; strutture che non svolgono attività chirurgica, ortopedica, anestesiologica e parto, ivi comprese le strutture socio sanitarie residenziali e semi residenziali, nonché per le strutture ambulatoriali che eseguono prestazioni erogabili solo in ambulatori protetti, ossia ambulatori situati nell’ambito di istituti di ricovero e cura ai sensi del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 12 gennaio 2017 o attività odontoiatrica e per le strutture sociosanitarie: massimale non inferiore a € 2.000.000,00 per sinistro e massimale per ciascun anno non inferiore al triplo del massimale per sinistro; strutture che svolgono anche attività chirurgica, ortopedica, anestesiologica e parto: massimale non inferiore a € 5.000.000,00 per sinistro e massimale per ciascun anno non inferiore al triplo del massimale per sinistro. Per quanto, invece, riguarda la responsabilità contrattuale dei professionisti sanitari (cioè le polizze previste dall’art. 10 c. 2 della legge) le due categorie sono: esercenti la professione sanitaria che non svolgono attività chirurgica, ortopedica, anestesiologica e parto: massimale non inferiore a € 1.000.000,00 per sinistro e massimale per ciascun anno non inferiore al triplo del massimale per sinistro; per gli esercenti la professione sanitaria che svolgono anche attività chirurgica, ortopedica, anestesiologica e parto: massimale non inferiore a € 2.000.000,00 per sinistro e massimale per ciascun anno non inferiore al triplo del massimale per sinistro. Il decreto ha inoltre previsto un ulteriore massimale per ciascuna delle predette categorie (pari al triplo di quelli sopra indicati) per i sinistri cosiddetti seriali, cioè quelli derivanti da più richieste risarcitorie originate dallo stesso atto, ovvero più errori riconducibili alla medesima causa.●
Marco Bertino è Senior Specialist Healthcare & Public Entities - Marsh Spa
GIAPPONE 2024
Quattro coordinate per affrontare il mercato.
Il Giappone è la quarta economia mondiale con una popolazione di oltre 120 milioni di abitanti su una superficie poco più estesa di quella italiana. È un paese estremamente evoluto e sofisticato, con un livello di educazione elevatissimo e una forte proponsione al consumo. L’interscambio commerciale con l’Italia è buono e vede il nostro Pese al 15esimo posto nel panorama globale come fornitore e secondo in Europa, dopo la Germania.
Tra i settori più rappreserntativi dell’export italiano in Giappone ci sono la farmaceutica, gli accessori moda e di design, componenti meccanici e automotive e prodotti agro-alimentari.
Nell’immaginario giapponese l’Italia occupa una posizione privilegiata, incarnando valori di eleganza, cultura e raffinatezza europea, ma con una dose di simpatia e di accessibilità che i nostri concorrenti non riescono a concedere. Fin qui tutto bene, ma dobbiamo fare molta attenzione ai cambiamenti di tendenza in atto a livello sociale e, quindi,
di consumo, o rischiamo di perdere questa posisizione di privilegio.
C’era una volta un consumatore giapponese ciecamente innamorato del nostro Paese che acquistava senza badare a spese marchi made in Italy, sfoggiati pubblicamente e capaci di catapultare il possessore in un segmento della società molto ambito: l’altolocato e culturalmente ricco. Stiamo parlando di 40 anni fa, quando l’Italia era riuscita a ritagliarsi un segmento di tutto rispetto nel mercato dei beni di consumo giapponesi seguendo l’esempio francese che ci aveva preceduto di qualche decennio e che aveva dettato i criteri di uno stile europeo, spezzando così la supremazia degli Stati Uniti. E così per oltre 3 decenni molti produttori italiani hanno vissuto il sogno commerciale che pochi altri mercati globali riescono a concedere: alimentare la bramosia di italianità di clienti sofisticati, fedeli e culturalmente strutturati per apprezzare a fondo il valore della nostra artigianalità. Poi, a un tratto, gli ordini diminuiscono
di Davide Fantoni
e la storia d’amore sembra finire nello stupore più totale del produttore italiano.
Per far breccia nel mercato giapponese nel 2024 bisogna avere una consapevolezza trasversale e strategica che non può far riferimento né a modelli passati - le leggende metropolitane dell’imprenditoria italiana anni 80-90 - né tantomeno essere improvvisata. Sono quattro le coordinate sulle quali costruire la giusta consapevolezza commerciale per poter affrontare un viaggio imprenditoriale di successo in questo Paese.
La prima è la conoscenza. Conoscere sé stessi, in primo luogo, andando oltre il rischio dell’autocelebrazione a cui il successo ottenuto fino a ora nel mercato europeo o magari americano possono portare. Sono abbastanza strutturato per affrontare un mercato così complesso? Ho appurato che sul mio prodotto non vigano barriere all’importazione? Ho già ottenuto le certificazioni necessarie? Il mio sito, molto banalmente, è già stato tradotto in giapponese? Quindi approfondire la conoscenza del mercato nelle sue componenti commerciali, sociali e culturali. La conoscenza va ben oltre gli spunti che una scheda Paese possono concedere. Conoscere significa cercare domande all’interno di risposte, dedicare tempo e attenzione ai dettagli, non dare niente per scontato, non semplificare e, soprattutto, superare l’eurocentrismo che ci contraddistingue. Affrontare, ad esempio, il primo appuntamento con un operatore giapponese richiede un lavoro preparatorio importante. La cultura giapponese, infatti, predilige un approccio interpersonale soft basato sul concetto di “wa”, letteralmente armonia, che non deve mai essere compromessa in ambito sociale con atteggiamenti aggressivi, troppo esuberanti o anche solo egocentrici. Ancora oggi agli studenti delle elementari si insegna che il chiodo che fuoriesce dall’asse deve essere battuto per non creare scompensi con gli altri chiodi. E quindi in completa controtendenza con il mondo occidentale, che legittima sempre di più autoreferenzialità e una vanità ostentata; l’autostima o anche una consapevolezza troppo marcata di sé stessi sono giudicati elementi negativi della personalità. Non che i giapponesi siano privi di tali caratteristiche, ma esternarle non è socialmente accettabile. Anzi, chi più è/possiede, meno mostra. E allora non sorprende che al primo appuntamento una figura di rilievo come il presidente di un’azienda giapponese possa assumere toni sottomessi e defilati, dando l’impressione di non avere grandi carte da giocare. Il biglietto da visita in Giappone è molto più di un nome e un indirizzo. È il permesso che viene concesso a entrare nello spazio personale di qualcuno. È un invito e insieme l’essenza di un titolo, di una professionalità e di una persona. Non prestare la dovuta attenzione al biglietto da visita di qualcuno significa non esserne interessato, denigrandone la posizione. È per questo che tutti gli appuntamenti iniziano con uno scambio di biglietti, passati a due mani con leggero inchino, soffermandosi con lo sguardo per qualche secondo sul biglietto. Dopo di che, il biglietto viene appoggiato sul tavolo per tutta la durata della conversazione. La conversazione, prima di entrare nel dettaglio operativo e commerciale dovrebbe permanere a uno stadio generico, creando le premesse di una discussione rilassata. Fare domande di cultura generale, evitando di esprimere
commenti trancianti o riferimenti a situazioni di geopolitica attuale, dimostrano interesse e, al contempo, danno modo eventualmente di rimodellare l’immagine che ci si è fatti al momento dell’incontro.
Presentare la propria azienda o il proprio prodotto significa dare informazioni che aiutino l’interlocutore a contestualizzare e a fare valutazioni pratiche, evitando sproloqui o autocelebrazioni. I feedback che si ricevono durante questo primo incontro sono estremamente importanti per il futuro di un brand straniero in Giappone se tenuti in considerazione e implementati nel tempo. Ma la mancanza di commenti non denota necessariamente mancanza di interesse. A volte, proprio quando non c’è interesse, l’operatore giapponese tende a ridondare nel complimentare un certo prodotto per non risultare offensivo. Domande mirate e poco apprezzamento potrebbero invece essere sintomatici di una valutazione in corso.
La seconda coordinata è la pazienza. Non esiste Paese al mondo che metterà a dura prova la pazienza di un produttore italiano come il Giappone. I giapponesi, tendenzialmente poco inclini a dar fiducia a un fornitore straniero, richiedono periodi di conoscenza molto lunghi. Siamo intorno ai 2-3 anni, periodo nel quale arriveranno al produttore richieste di qualsiasi tipo, molto capillari e all’apparenza futili. In realtà di futile non c’è niente, gli amici giapponesi ci stanno mettendo alla prova e ci stanno anche dicendo che l’attenzione al dettaglio da parte del consumatore giapponese è maniacale e se non si è capaci di soddisfare questa maniacalità - nei contenuti, nelle tempistiche, nelle personalizzazioni e, soprattutto, nella forma - non è possibile pensare di proseguire un rapporto di collaborazione. La terza coordinata è la mediazione. Il Giappone è storicamente contraddistinto da una chiusura nei confronti del resto del mondo dovuta sia alla posizione geografica che a scelte politiche mirate a preservare intatto un sentimento d’identità nazionale molto forte. Nella maggior parte dei casi, quando un imprenditore arriva in Giappone avverte un profondo senso di incomunicabilità dovuto sia al fatto che la conoscenza dell’inglese è limitata, sia - soprattuttoal fatto che i riferimenti culturali sono completamente ribaltati rispetto al nostro Paese. È molto importante quindi affidarsi a qualcuno che possa mediare il rapporto e che eviti che si invii un messaggio sbagliato rischiando di compromettere la trattativa.
Infine, la quarta coordinata è la strategia. Serve una strategia tarata sul mercato giapponese e non semplicemente il riciclaggio di un’operazione marketing creata per un altro mercato, anche se asiatico. Le motivazioni dell’interesse nei nostri confronti risiedono sempre di più nelle caratteristiche intrinseche del prodotto piuttosto che nella forza del brand Italia. Funzionalità, sostenibilità, istruzioni all’uso, un equilibrato rapporto costo-qualità e soprattutto “quel qualcosa in più” che ogni distributore giapponese richiede alla controparte italiana. Riuscire a raccontare quel qualcosa in più, ovvero costruire una strategia comunicativa organica e mirata, non può prescindere da qualsiasi tentativo imprenditoriale nel Giappone di oggi.●
Davide Fantoni è Direttore generale della Camera di Commercio Italiana in Giappone
di Francesco Micheletti e Orazio Di Pietro
Par tnerShip
Il governo e lo sviluppo della filiera di Fincantieri tramite sostenibilità e digitale.
La visione sulla sostenibilità della propria filiera per Fincantieri non è legata al mero rispetto di requirement normativi; è vissuto, piuttosto, come l’innesco di uno stimolo ad accrescere l’ambizione industriale del proprio ecosistema di relazioni di business. Oggi, con il focus molto più pratico sull’ESG da parte del regolatore europeo, Fincantieri ha l’occasione di abilitare e implementare azioni concrete e strutturali in materia come la strategia di sviluppo della supply chain. Con la gestione a livello di Gruppo di oltre 11.500 fornitori all’anno, che contribuiscono per oltre il 70% al valore dei nostri prodotti, la filiera che fa sistema rappresenta per noi un fattore distintivo.
Fin dal principio ci siamo posti la domanda chiave di fronte al nuovo cambiamento: “come giocare la partita dell’ESG senza venirne travolti”? Abbiamo raccolto la sfida, abbiamo studiato e condiviso a tutti i livelli l’ambizione di governare da vicino la nostra base fornitori, ideando un nuovo paradigma di network: così è nato PartnerShip, il nostro programma di filiera.
L’Italia è il paese delle piccole e medie imprese di eccellenza, molte lavorano per noi e con noi, e molte hanno attraversato importanti difficoltà: la crisi finanziaria, la globalizzazione e lo stress sui prezzi, il rincaro delle materie prime e delle Utilities, la scarsità di manodopera, le transizioni generazionali, la pandemia.
Proprio per questo è necessario guidare il processo da vicino, supportandole nella mitigazione dei rischi con leve
finanziarie e management adeguato, in grado di affrontare gli inevitabili scossoni.
PartnerShip nasce con l’ottica di creare un circolo virtuoso: sfruttare l’impegno e la visibilità dei requirement ESG per alzare gli standard dei nostri fornitori: coloro i quali accetteranno la sfida potranno beneficiare di tassi agevolati dalle nostre banche di riferimento, avranno la possibilità di diventare aziende più performanti e attraenti, con prodotti più all’avanguardia e di cui potrà beneficiare in primis Fincantieri ma anche tutti gli altri loro clienti.
Questo ambizioso progetto è stato promosso direttamente dal CEO del Gruppo, Pierroberto Folgiero, che lo ha pubblicamente annunciato lo scorso 17 ottobre a Genova alla presenza del Ministro Urso, dell’Ammiraglio Credendino e di tutti top manager dei nostri più importanti fornitori.
Dal 2018 vengono intraprese iniziative destinate alla supply chain nell’ambito del piano di sostenibilità aziendale, tra cui almeno un momento all’anno dedicato al confronto e all’allineamento con i nostri partner su obiettivi, strategie e tendenze in ambito sostenibilità.
In questo senso PartnerShip rappresenta, da un lato, un’accelerazione forte e decisa, quasi un “salto evolutivo” per alzare il livello di sostenibilità e competitività di tutta la filiera; dall’altro, un framework organico nel quale riconoscersi e vedere un nuovo modo di collaborazione.
Alcune cose stanno già evolvendo nei fatti: stiamo discutendo con i fornitori standard più stringenti con appositi
audit ESG affiancati da Service Provider specifici, valutando il profilo ESG della supplier base attraverso programmi e strumenti dedicati del nostro portale di procurement e-NGAGE, abbiamo lanciato iniziative sul tema environment come Carbon Tracker.
La raccolta di queste informazioni, ora disponibili per ambito merceologico e per area geografica, ci abilita ai benchmark di industria sulle tre variabili “Environment, Social, Governance”, piuttosto che alla predisposizione di piani di miglioramento con l’obiettivo di rafforzare la solidità e la sostenibilità di tutta la filiera.
Dal canto loro i nostri suppliers ottengono una valutazione ESG che si basa su un modello Supply chain-Specific e Industry-Shared, di conseguenza utilizzabile verso i loro principali stakeholders sia in ottica di brand reputation, che per abilitare finanziamenti dagli istituti di credito.
Parallelamente, attraverso un piano di engagement strutturato, stiamo supportando la crescita della consapevolezza e delle competenze dei fornitori. Alcuni strumenti e iniziative sono in fase di lancio, altre sono state già avviate, come ad esempio un nutrito programma di webinar tematici che prevede l’erogazione di contenuti informativi sui principali temi che li vedono protagonisti.
In particolare, lo scorso dicembre è stato trattato il tema della supply chain Finance in chiave green con il supporto e il contributo di Cassa Depositi e Prestiti, SIMEST e SACE. Recentemente, invece, ha preso avvio il secondo webinar a
tema ESG che, grazie al supporto del partner SCS Consulting, ha affrontato il tema rilevante della CSRD (Corporate Sustainability Reporting Directive, ndr) e visto il lancio del “ESG Journey”, un ulteriore percorso di accompagnamento dei nostri partner sulle sfide chiave in ambito sostenibilità. In questi primi due eventi di lancio, che hanno visto la partecipazione di oltre 300 suppliers, abbiamo avuto conferma della bontà del modello e dell’attualità dei temi trattati. Con questo stimolo, nei prossimi mesi il percorso prenderà sempre più forma attraverso l’organizzazione di altri momenti di confronto e sharing, partendo proprio dagli argomenti che i nostri suppliers ci hanno indicato come priorità nella survey somministrata durante il webinar. Il prossimo tema che sarà affrontato con la community sarà quello della cyber security, ambito in cui Fincantieri è presente con una propria società specifica (e-Phors).
Saranno anche attivabili servizi di affiancamento al business tramite società specialistiche per i fornitori che necessitino di un aiuto nelle aree Finance e Planning, Produzione e Qualità e Sostenibilità, perché crediamo che solo agendo veramente da Capo-filiera potremo beneficiare nel lungo periodo di tutto quel tessuto imprenditoriale che caratterizza e distingue il “saper fare all’italiana”, che oggi più che mai deve essere protetto e valorizzato.●
Francesco Micheletti è VP Procurement di Fincantieri
Orazio Di Pietro è Coordinator Sustainable Supply Chain di Fincantieri
La comunicazione interna e l’employer branding stanno diventando una leva di business sempre più strategica per le aziende. La ricerca condotta da The Van, partner di TLC Web Solutions, ne mette in luce i trend più significativi.
di Luca Villani
La comunicazione interna sta vivendo un momento di grande crescita all’interno delle organizzazioni italiane. Da semplice scambio di informazioni, infatti, sta diventando una vera e propria leva di business. A confermarlo è una ricerca intitolata “About us - Persone, leadership, valori: i trend della comunicazione interna e dell’employer branding nelle aziende italiane”, condotta da The Van, un’agenzia milanese specializzata proprio nella comunicazione interna, attraverso interviste individuali a circa quaranta manager di imprese di tutte le dimensioni (tra cui anche alcune realtà genovesi, coinvolte nel lavoro grazie alla partnership fra The Van e TLC Web Solutions). La ricerca è stata presentata recentemente presso la facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli studi di Milano.
UNA FUNZIONE SEMPRE PIÙ DIFFUSA
Un’ampia maggioranza delle aziende coinvolte nella survey, quasi l’80%, ha dichiarato di avere una funzione dedicata alla comunicazione interna. Ma non è sempre stato così: oltre la metà delle aziende ha dichiarato di averla istituita nell’ultimo decennio, e il 38% nell’ultimo quinquennio, dal 2019 a oggi. Una tendenza molto recente, dunque, su cui in qualche misura ha influito anche il Covid-19. Come tutte le crisi, la pandemia ha accelerato un processo già in atto e ha indotto anche le imprese più refrattarie a strutturare un sistema di comunicazione in grado di abbattere le distanze (obbligate) fra l’azienda e le sue persone, colmando il gap con le organizzazioni più avanzate.
UNA INTRANET SEMPRE PIÙ SOCIAL
Sono diversi gli strumenti adottati dalle aziende, dalla newsletter agli eventi dal vivo. La intranet resta, in molti casi, il cuore della comunicazione interna: ma si trasforma in uno strumento sempre più caldo, social e interattivo, che può essere implementato con la possibilità di commentare i contenuti e creare chat e gruppi anche senza moderazione. Si va quindi verso una comunicazione sempre più bottom up, all’insegna di una maggiore fiducia e di un minore controllo da parte del top management.
In quest’ottica si inserisce anche un mutamento del “tone of voice”, sempre più caldo e informale, meno istituzionale, e il maggiore coinvolgimento delle persone, indipendentemente dal loro ruolo, anche attraverso nuovi format come video e podcast.
Non manca poi chi vede nei social media il futuro della comunicazione interna, arrivando a integrare in un’unica piattaforma interno/esterno e quindi comunicazione interna ed employer branding.
EMPLOYER BRANDING E GENZ
Ma sono soprattutto i giovani (pochi, non dimentichiamolo, e quindi molto contesi) a imporre nuovi temi e nuovi stili di comunicazione: temi come l’inclusione, la sostenibilità e il work-life balance, che quindi sono al centro della comunicazione interna (accanto al business e all’organizzazione aziendale), ma ancora più cruciali per le politiche di employer branding.
I giovani, infatti, sono sempre più interessati alla visione e ai valori espressi da un’azienda, che vengono prima dello stipendio e delle possibilità di carriera: questo impone alle
organizzazioni di implementare strategie per costruire una solida reputazione attraverso uno storytelling efficace, anche attraverso il coinvolgimento dei propri dipendenti (company advocacy). Le aziende sembrano averlo capito: il 70% di quelle intervistate affermano di attuare progetti di employer branding, mentre il 55% si serve dei dipendenti come voci “ufficiali” dell’azienda quando parlano ai potenziali nuovi collaboratori. La ricerca integrale è disponibile sul sito www.thevan.it.●
VINCERE IN CASA PER VINCERE FUORI
Valentina Vella
Strategy Director
TLC Web Solutions
“Per vincere sul mercato devi prima vincere nel luogo di lavoro”. La frase (che in inglese suona meglio grazie all’assonanza fra marketplace e workplkace) è di Doug Conant, ex-Ceo della mitica Campbell, quella delle zuppe immortalate da Andy Warhol. In questi anni abbiamo seguito da vicino l’evoluzione del contesto in cui si muovono le aziende. L’esperienza Covid ha modificato profondamente il comportamento dei consumatori: le persone scelgono i brand sulla base dei propri valori; e chiedono alle aziende di prendere posizione su tematiche sociali, con coerenza, supportando cioè le proprie opinioni con comportamenti e azioni concrete. I temi della sostenibilità e dello stakeholder engagement prendono sempre più spazio, passando da sensibilità per pochi a requisiti normativi da corrispondere. In questo scenario, non basta più solo comunicare in modo target-centrico: occorre dimostrarsi responsabili e rendicontare gli impatti delle proprie azioni sulla società. E per farlo in modo credibile è necessario partire dalle proprie persone. CEO e manager diventano così i canali attraverso cui misurare la credibilità di un’azienda. Dipendenti e collaboratori diventano gli ambassador. La comunicazione interna, quindi, se gestita con cura, diventa uno strumento cruciale anche per migliorare l’efficacia della propria comunicazione esterna, in quanto permette di incrementare l’engagement dei canali digitali e la credibilità dei messaggi veicolati. Un cambio di rotta che - come ci conferma la ricerca About us di The Vanmolte aziende hanno già capito. In questo contesto, il ruolo di TLC Web Solutions e The Van, grazie a una partnership che mette a valore le competenze verticali di ciascuna, è quello di supportare le aziende a costruire un piano di comunicazione omnicanale e multidisciplinare in grado di rispondere a questa evoluzione, sia in termini di contenuti che di strumenti messi in campo.●
Luca Villani è partner e AD di The Van
Rispet to,
innanzi tutto
B Corp nel 2014 e Società Benefit dal 2019, per la Fratelli Carli la sostenibilità è uno stile di vita.
Fratelli Carli è la storica azienda olearia ligure che, dal 1911, vende direttamente al consumatore e consegna a domicilio i propri prodotti in Italia e all’estero. È indissolubilmente legata al proprio territorio d’origine, l’imperiese, uno dei più ricchi di tradizione olearia in Italia. Una ricchezza che l’azienda ha saputo conservare nei decenni, tramandando di generazione in generazione conoscenze e competenze uniche e indispensabili per poter vantare l’alta qualità dei propri prodotti.
Oli di oliva, certo, ma non solo. Oggi, l’offerta di Fratelli Carli si è evoluta in modo naturale per condividere i sapori più autentici del nostro Paese con semplicità e genuinità.
Dalla tradizione l’azienda sa prendere solo il meglio, reinterpretandolo secondo il proprio inconfondibile gusto nel quale l’olio resta protagonista. Sono nate così le golose proposte che compongono la gamma: sughi, salse, sott’oli, condimenti, sfiziosità per la colazione e per l’aperitivo, fino alle dolci tentazioni che custodiscono nelle antiche ricette il segreto della loro bontà.
Una caratteristica peculiare dell’azienda è, da sempre, il suo modello distributivo. Gli ordini arrivano direttamente dai consumatori nel mondo via telefono, per posta o sul web. Le consegne al cliente avvengono in pochi giorni grazie ad un sistema di logistica capillare. Sul territorio nazionale, queste sono effettuate da consegnatari di fiducia, con una flotta di mezzi brandizzati, che contribuiscono alla piena soddisfazione ed efficienza del servizio offerto.
Alla vendita diretta si è affiancato, a partire dagli anni 2000, il retail con negozi monomarca e a conduzione diretta. A oggi Fratelli Carli ha aperto 20 Empori, per ora tutti nell’Italia del nord, di cui uno a Genova, e può quindi offrire un modello di vendita omni-canale, in grado di fornire a ciascun cliente il miglior punto di contatto per le proprie
esigenze. Da quando è nata, l’azienda non ha mai smesso di rinnovarsi, stando al passo con i tempi, adottando le più moderne tecnologie e, oggi più che mai, concentrandosi nell’assicurare prodotti sempre migliori nel rispetto del pianeta e delle persone: la sostenibilità, infatti, in Fratelli Carli è da sempre uno stile di vita. Già nel 2010 è stato intrapreso un percorso di analisi e sviluppo che ha coinvolto tutte le funzioni aziendali su cinque pilastri fondamentali: Persone, Prodotti e Materiali, Filiera di Fornitura, Energia e Risorse, Cultura e Tradizione Mediterranea.
Queste grandi aree di intervento permettono di monitorare attentamente e di far evolvere concretamente il modello imprenditoriale dal punto di vista dell’innovazione sostenibile, sotto l’occhio attento del Comitato di Sostenibilità. Questo, composto da tutti i responsabili delle diverse funzioni aziendali, coordina e dirige le attività di un piano a medio termine, che combina la rendicontazione delle proprie performance con una pianificazione, a tre anni, capace di definire l’impegno di sostenibilità dell’azienda.
Il Pilastro “Persone” mira ad offrire ai clienti prodotti e servizi di eccellenza, a valorizzare le persone che lavorano in Fratelli Carli e a contribuire alla diffusione del benessere della comunità in cui questa opera. È in questo solco, per esempio, che è nato un nuovo e più completo welfare aziendale per i collaboratori.
Guardando ai “Prodotti e Materiali”, l’azienda si pone l’obiettivo di analizzare e migliorare la sostenibilità di ogni fase di vita dei prodotti, di incrementare l’utilizzo di materiali “amici dell’ambiente” e di garantire i massimi livelli di qualità, genuinità e naturalità di tutta la sua offerta. La scelta di riprogettare le scatole di consegna, utilizzando cartone avana e ripensando profondamente le grafiche, al fine di ridurre l’utilizzo degli inchiostri, ha portato a diminuirne l’impatto ambientale del 40%.
La “Filiera di Fornitura” è da sempre al centro dell’impegno dell’azienda per condividere i propri valori con tutti i collaboratori e i fornitori. Fin dal 2012 Fratelli Carli ha individuato tre “Distretti” per ciascuno dei quali ha stilato uno specifico Codice che prevede l’individuazione di principi condivisi che si traducono in obiettivi e iniziative concrete: il Distretto della Bontà, che coinvolge oltre 60 fornitori di prodotti finiti e componenti, il Distretto dell’Olio che guarda a oltre 200 piccoli fornitori di olive e olio e il Distretto dei Trasporti, che comprende gli oltre 130 consegnatari che sono il fiore all’occhiello della logistica distributiva dell’azienda. Nel corso dell’anno tutti i fornitori sono coinvolti nelle attività dei rispettivi Codici misurate con specifici KPI.
L’ambito dell’“Energia e Risorse” ricopre un ruolo fondamentale nel percorso di sostenibilità di Fratelli Carli che si impegna per ridurre costantemente l’uso delle risorse naturali non rinnovabili, la quantità di rifiuti e le emissioni di CO2. All’interno di questo progetto, ad esempio, a partire dal 2022 sono state compensate tutte le emissioni prodotte dalla logistica di consegna, prima per l’Italia e poi anche per l’estero.
“Cultura e Tradizione Mediterranea” è un tema peculiare di Fratelli Carli che da sempre si impegna per promuovere le buone pratiche per una corretta cultura dell’alimentazione e diffondere la conoscenza dell’olio e la cultura della sostenibilità. Il Museo dell’Olivo Carlo Carli, che rappresenta la prima attrazione culturale di Imperia, testimonia con i suoi oltre 650 reperti la storia dell’olivo e dell’olio d’oliva nel bacino del Mediterraneo a partire dall’antichità e fino ai giorni nostri.
L’impegno costante e strutturato dell’azienda nei confronti dei temi di innovazione sostenibile, le ha permesso, nel 2014, di diventare la prima realtà produttiva italiana a ottenere la Certificazione B Corp riconosciuta alle realtà che, volontariamente, rispettano rigorosi standard sociali e ambientali. Nel 2019 Fratelli Carli ha scelto anche di adottare la forma giuridica di Società Benefit, in conformità con la legislazione italiana, includendo nel proprio Statuto l’impegno a perseguire, oltre al profitto, finalità di beneficio comune. Per beneficio comune si intende la realizzazione di uno o più effetti positivi e/o la riduzione di impatti negativi su persone, comunità, territori e ambiente.
Per Fratelli Carli, avere una visione di lungo periodo significa guardare al futuro partendo dalle proprie radici e dalle solide fondamenta costruite pazientemente nel corso degli anni. Per questo motivo, si impegna concretamente a investire nel continuo miglioramento delle pratiche di conduzione del business. Impegno che le consente di posizionarsi come una delle aziende maggiormente attente alle tematiche ESG (Environment, Social, Governance) nel panorama italiano.● (C.C.L.)
Le proposte di Confindustria per un’Europa competitiva.
Il documento programmatico di Confindustria “Fabbrica Europa” è stato presentato anche a Genova lo scorso 19 aprile dal Delegato di Confindustria per l’Europa, Stefan Pan. All’incontro, moderato dal Direttore di Confindustria Bruxelles, Matteo Borsani, sono intervenuti il Presidente di Confindustria Liguria, Giovanni Mondini, il Presidente del Consiglio delle Rappresentanze Regionali di Confindustria, Vito Grassi, il Direttore Scientifico dell’Istituto Italiano di Tecnologia, Giorgio Metta, e alcuni Eurodeputati italiani della circoscrizione Nord-ovest, che si sono confrontati con i numerosi imprenditori presenti.
Di seguito, i “key messages” contenuti nel documento.
ESSERE COMPETITIVI CON IL RESTO DEL MONDO
• Rafforzare ed ampliare la rete di accordi di libero scambio (FTAs) e assicurarne l’implementazione. Durante la prossima legislatura sarà necessario avanzare sui negoziati da poco rilanciati, in particolare il MERCOSUR, e aprirne di
nuovi per rafforzare i rapporti bilaterali con i paesi e con i blocchi d’integrazione economica dell’Asia (in particolare i Paesi ASEAN), dell’Africa e dell’America Latina.
• Assicurare un level playing field e tutelare gli interessi delle imprese europee. Si rivela indispensabile difendere gli interessi economici dell’Ue da pratiche scorrette e talvolta aggressive dei Paesi terzi, ricorrendo a strumenti quali quello per gli Appalti Internazionali (IPI) e il Regolamento sulle Sovvenzioni Estere Distorsive del Mercato Interno (FSR).
• Rafforzare la difesa comune europea e migliorare il coordinamento tra Ue e NATO. È necessario un enorme balzo in avanti che metta a matrice tutte le eccellenze delle industrie nazionali europee in ogni settore della difesa e sicurezza, delle piattaforme e dei sistemi militari terrestri, aerei e navali, satellitari, spaziali e di sensoristica. La concorrenza tra i vari sistemi nazionali su prodotti, servizi e
procurement impedisce la standardizzazione e la multioperabilità rispetto ai budget della difesa europei, e non permette di realizzare le necessarie economie di scala, per competere a livello globale.
POLITICHE EUROPEE PER LA COMPETITIVITÀ DELL’INDUSTRIA NELLA TRANSIZIONE VERDE
• Affiancare al Green Deal una politica industriale europea per restare al passo nella corsa globale alle tecnologie del futuro. È importante adottare un approccio di neutralità tecnologica, e sviluppare fondi europei che supportino e integrino gli investimenti nelle varie fonti energetiche e tecnologie per raggiungere gli obiettivi climatici ed energetici in modo equilibrato e sostenibile, rendendo la transizione ecologica un’opportunità di sviluppo. Vanno inoltre implementate con gradualità e proporzionalità le nuove regole in materia di finanza sostenibile, destinate a cambiare profondamente i rapporti commerciali tra le imprese e quelli tra imprese e sistema finanziario, anche giungendo alla definizione di standard semplificati per le PMI. I costi necessari per la transizione, infatti, saranno enormi: basti pensare al solo pacchetto Fit For 55, quindi la parte del Green Deal dedicata alla decarbonizzazione, che secondo le stime di Confindustria porterà l’Italia a dover investire oltre 1.100 miliardi di euro per raggiungere l’obiettivo di riduzione delle emissioni del 55% al 2030. Il PNRR italiano rappresenta solamente il 3,7% del fabbisogno di investimenti diretti.
• Completare l’integrazione dei mercati dell’energia elettrica, creare un mercato unico del gas e sviluppare una strategia europea per l’energia nucleare. Il mercato elettrico europeo dovrà tendere ad una efficace integrazione delle fonti rinnovabili, disaccoppiandole dai mercati di breve termine e dal gas, e consentendo ai consumatori di acquistare direttamente anche energia rinnovabile con contratti di medio-lungo periodo. Parallelamente, al fine di regolarizzare gli scambi cross-border di gas e tendere ad un sistema tariffario europeo armonizzato, si rivela importante favorire la creazione di un mercato unico del gas naturale e di quelli rinnovabili. L’Europa dovrebbe inoltre dotarsi di una strategia condivisa sul nucleare e dare agli Stati membri chiari indirizzi per la realizzazione di impianti innovativi, che possano in concreto contribuire agli obiettivi di decarbonizzazione.
• Riformare le regole ETS ed avviare una valutazione del CBAM. La riforma dell’ETS è necessaria anche al fine di scongiurare fenomeni speculativi e assicurare la gradualità degli obiettivi di riduzione delle emissioni. Vanno inoltre attentamente valutati tutti gli strumenti per contrastare il rischio di delocalizzazione delle imprese europee, a partire dal CBAM, evitando al contempo che si traduca in un boomerang per la competitività.
• Promuovere l’economia circolare e la simbiosi industriale nei modelli di business. A tal fine andrà definito e armonizzato un quadro regolatorio chiaro e completo che possa stimolare innovazioni per l’uso efficiente delle risorse produttive.
POLITICHE EUROPEE PER LA COMPETITIVITÀ DELL’INDUSTRIA NELLA TRANSIZIONE DIGITALE
• Migliorare le competenze digitali. A livello di formazione dei lavoratori in tutte le filiere, urge migliorare il raggiungimento delle competenze digitali ed affrontare la sostanziale carenza di professionisti qualificati nel campo della cybersecurity, diffondendo la cultura della cybersicurezza in azienda.
• Regolamentare l’intelligenza artificiale per rendere l’Ue il continente ideale dove investire in questa tecnologia. L’applicazione dell’Artificial Intelligence Act e la futura legislazione in materia dovranno trovare una sintesi efficace tra gli interessi dei diversi settori economici, garantendo una regolamentazione efficiente, in grado di promuovere l’innovazione responsabile, gli investimenti e la competitività. Un approccio legislativo troppo cogente e restrittivo scoraggerebbe le innovazioni e la sperimentazione dell’AI delle imprese europee rispetto a quelle statunitensi e asiatiche.
• Promuovere la transizione all’economia dei dati. Valorizzare il patrimonio informativo delle imprese e delle pubbliche amministrazioni europee a beneficio della qualità dei servizi offerti ai cittadini e della competitività delle imprese. Promuovere la creazione di data spaces, come l’European Health Data Space, che mettano a disposizione dati di qualità e assicurino la tutela delle attività di ricerca e innovazione delle imprese.
TRASPORTI E INFRASTRUTTURE
• Completare tempestivamente la rete transeuropea di trasporto (TEN-T).
• Garantire un percorso di transizione verso la mobilità green che prenda in considerazione molteplici soluzioni, in linea con il principio della neutralità tecnologica. Conciliare ambizioni e progressività risulta quantomai necessario nell’ambito delle revisioni degli obiettivi di medio termine delle politiche per la mobilità sostenibile ad ora finalizzate, esplorando nuove prospettive e soluzioni, a partire dai biocarburanti e dai carburanti sintetici, fino alla mobilità urbana.
• Creare un quadro normativo sinergico tra legislazione in materia di trasporti e in materia di ambiente. Tale quadro dovrà essere in grado di assicurare le condizioni di parità per il trasporto merci, con particolare attenzione allo sviluppo del trasporto intermodale e del trasporto combinato. Ciò deve includere una maggiore enfasi sull’integrazione dei vari settori economici e la rimozione degli ostacoli anche di tipo normativo, come i divieti di transito tirolesi lungo l’asse del Brennero, che frenano il commercio e gli investimenti transfrontalieri.
RAFFORZARE IL MERCATO INTERNO PER LA COMPETITIVITÀ DELLE IMPRESE
• Garantire l’uniformità nell’applicazione del diritto Ue. È necessario che gli Stati membri implementino il diritto dell’Ue in modo uniforme e coerente, così da evitare il fenomeno del “gold plating”, che comporta l’aggiunta di
requisiti nazionali eccessivi oltre quanto stabilito dalle normative dell’Unione, creando barriere inutili nel mercato interno e complicazioni al quadro normativo per le imprese, oltre ad essere di ostacolo alla standardizzazione.
EQUILIBRIO DI BILANCIO, POLITICA DI COESIONE E INVESTIMENTI A SOSTEGNO DELLA COMPETITIVITÀ
• Rilanciare la Capital Markets Union. Nei prossimi anni sarà necessario dare un nuovo impulso allo sviluppo e all’integrazione dei mercati finanziari europei così da attrarre capitali pazienti da parte degli investitori istituzionali e facilitare l’accesso al mercato dei capitali in particolare da parte delle PMI.
• Creare un nuovo safe asset di debito comune europeo sul modello di NextGeneration Eu. Sono necessari nuovi strumenti finanziari per essere all’altezza delle altrimenti insostenibili necessità di investimenti per affrontare l’impatto della doppia transizione, verde e digitale, sulla produzione e sul lavoro.
• Assicurare che la regolamentazione del sistema bancario sia realmente in grado di consentire alle banche di supportare lo sviluppo delle imprese. Andrà dunque implementata con gradualità la riforma di Basilea 3, favorendo la rinegoziazione di prestiti e supportando i finanziamenti alle imprese finalizzati alla transizione sostenibile e digitale.
• Assicurare che nella nuova programmazione del QFP vengano preservate le risorse della coesione e si tenga debitamente conto delle esigenze del mondo delle imprese, sia in termini di merito che di metodo.
UN MODELLO SOCIALE EUROPEO INCLUSIVO, SOSTENIBILE E COMPETITIVO
• Promuovere l’adozione di strumenti adeguati a gestire le transizioni occupazionali, rilanciare le politiche attive del lavoro e incoraggiare l’occupabilità. Ciò sarà possibile anche attraverso strumenti finanziari dell’Ue, e valorizzando il ruolo svolto dalle parti sociali nel processo di valutazione di impatto delle nuove norme.
• Promuovere la formazione continua dei lavoratori (lifelong learning). A questo fine sarà necessario dare seguito all’implementazione delle numerose iniziative derivanti dell’anno europeo delle competenze e creare, attraverso percorsi di integrazione scuola-impresa, i presupposti pedagogici per un dialogo generazionale tra competenze dove i lavoratori adulti possano trasmettere know-how ai più giovani supportandoli nel loro percorso di studio e formazione, con particolare attenzione alla formazione tecnico-professionale.
REGOLE DI CONCORRENZA, CONCENTRAZIONI E AIUTI DI STATO
• Ridefinire gli strumenti esistenti in materia di aiuti di Stato, affinché siano più adeguati alle specifiche esigenze delle imprese. Si rivela indispensabile prevedere una definizione e misure agevolative per midcap e small midcap, adeguare i criteri di definizione di PMI sulla base dell’inflazione, eliminare vincoli eccessivi per agevolare le grandi imprese e semplificare e velocizzare le procedure IPCEI.
• Prevedere risorse comuni a tutti gli Stati membri. Tali risorse saranno essenziali per agevolare grandi progetti produttivi per ridurre i rischi di frammentazione e sperequazioni legati alle differenti capacità di bilancio, e garantire una crescita uniforme nel contesto del mercato unico.
RICERCA, INNOVAZIONE E PROPRIETÀ INTELLETTUALE
• Preservare la centralità del sistema brevetti e l’attrattiva per gli investimenti. L’introduzione del sistema brevettuale unitario ha semplificato notevolmente la protezione e la salvaguardia dei risultati della ricerca e sviluppo (R&S), incoraggiando gli investimenti in brevetti nell’eurozona.
• Assicurare il supporto agli investimenti in ricerca e innovazione garantendo al contempo una maggiore coerenza e migliori sinergie tra Programmi Ue e iniziative nazionali, con particolare attenzione all’impatto ed ai risultati concreti dei progetti finanziati. È essenziale, infatti, supportare la capacità europee nelle tecnologie di avanguardia, promuovere la coerenza tra i vari programmi dell’Unione europea e allineare le politiche dell’Ue con i programmi di finanziamento, facilitando l’attuazione di progetti industriali trasformativi. Oltre a promuovere una maggiore partecipazione dell’industria ai programmi europei, è necessario strutturare i programmi, in particolare Horizon Europe, secondo una maggiore flessibilità, al fine di rafforzare i piani europei di sviluppo, incluso il Piano Industriale per il Green Deal.
• Perseguire una maggiore autonomia e contribuire al rafforzamento della posizione europea nella produzione e fornitura di beni e servizi sanitari. A tal fine, sarà fondamentale favorire gli approvvigionamenti strategici e valorizzare il ruolo della struttura industriale.
LEGIFERARE MEGLIO PER SOSTENERE LA COMPETITIVITÀ DELLE
IMPRESE
• Rafforzare il controllo di competitività. In un contesto politico orientato al miglioramento della competitività europea, anziché limitarsi a prevenire la sua declinazione, è essenziale potenziare il ruolo del controllo di competitività.
• Riformare il ricorso agli Atti Delegati e promuovere la trasparenza nell’affidamento delle valutazioni d’impatto. Il ricorso agli Atti Delegati (ai sensi dell’Articolo 290 TFUE) è un aspetto fondamentale del processo legislativo europeo moderno. Tuttavia, al fine di preservare l’integrità di un processo legislativo democratico e trasparente, è essenziale che i legislatori evitino un ampio ricorso a tali atti. La Commissione europea dovrebbe inoltre porre particolare attenzione alla promozione della trasparenza nell’ambito delle procedure e dei criteri utilizzati per affidare l’incarico di elaborare valutazioni d’impatto a organizzazioni esterne.
• Garantire maggiore armonizzazione nel contesto dell’industrial permitting europeo. Una maggiore armonizzazione e coerenza nelle norme sull’autorizzazione industriale è essenziale per migliorare l’efficienza del sistema normativo e creare un contesto che promuova la competitività delle imprese.●
FORUM Piccola Industria
Appuntamento a Napoli, il 10 e 11 maggio, per parlare di sostenibilità.
di Daniele Nepoti
Quale industria nel futuro dell’Europa? Una domanda ampia, ma tutt’altro che stravagante se pensiamo alla grande incertezza che ha investito le imprese - potremmo dire l’intera società - in questi ultimi anni turbolenti e, pensando a pandemia e guerra, anche tormentati. A questa domanda proveranno a rispondere le due giornate del Forum di Piccola Industria Confindustria, il principale appuntamento per le Pmi del Sistema associativo, che si terrà il 10 e 11 maggio a Napoli, presso il Museo Nazionale Ferroviario di Pietrarsa.
Il Forum torna dunque a primavera e lo fa in apertura della campagna elettorale che porterà al rinnovo del Parlamento Europeo. Così, seguendo un percorso impostato alle Assise di Bari del 2022, ma cogliendo l’occasione di un’attenzione specifica sulla dimensione europea e il ruolo delle istituzioni di Bruxelles, Piccola Industria dedicherà questa edizione al tema-guida della sostenibilità. Non solo perché - insieme alla transizione digitale - rappresenta uno dei due pilastri sui quali è stato impostato NextGenEU e i piani nazionali che ne sono seguiti (PNRR). Ma soprattutto perché coniugare gli obiettivi di sostenibilità a cui ci chiamano gli impatti del cambiamento climatico alla competitività dell’industria come base della sicurezza e del benessere dei cittadini europei è, forse, il compito più importante che ci aspetta nei prossimi anni.
I segnali di una rinnovata centralità dell’industria capace di definire le politiche UE dei prossimi anni non mancano, a partire dalla recentissima pubblicazione del rapporto sul futuro del Mercato Unico curato da Enrico Letta e dalle anticipazioni del rapporto sulla competitività della UE curato
da Mario Draghi. E industria significa, l’interezza delle filiere che la compongono, con il ruolo cruciale e irrinunciabile delle Pmi.
Ecco Perché il Forum di Piccola Industria ruoterà tanto attorno all’esperienza esemplare di Pmi impegnate con successo sul fronte della sostenibilità (prima giornata) declinata in ogni suo aspetto (ambientale, sociale e di governance), quanto sul ruolo dei capo-filiera nell’accompagnare e supportare i propri fornitori verso la sostenibilità (seconda giornata) anche attraverso formazione del capitale umano o strumenti volti a migliorare le leve di finanziamento degli investimenti. Ed ecco perché il Forum si concluderà con un dialogo tra le componenti di piccola industria delle principali associazioni di rappresentanza europee (Confindustria, BDI, Medef, Ceoe e, naturalmente, BusinessEurope) per mettere sul tavolo, istanze, priorità e proposte che insieme porteranno avanti a Bruxelles nei prossimi anni nel dialogo con le istituzioni UE.
Il Museo Nazionale Ferroviario di Pietrarsa ricorda l’apertura della prima linea ferroviaria in Italia, la Napoli-Portici, nel 1840, appena 15 anni dopo la prima ferrovia pubblica inglese. Pochi anni più tardi (1883) a Milano, si inaugurava la prima centrale elettrica dell’Europa continentale, appena un anno dopo quelle di Thomas Edison a New York e Londra. Vapore ed elettricità furono protagonisti di quell’epoca dell’industria. Sostenibilità e digitale di questa e, ancora una volta, l’Europa e la sua industria - se vorranno - potranno giocare da protagonisti. Appuntamento a Napoli.●
Daniele Nepoti è Direttore Piccola Industria Confindustria
SOCIALE Bilancio
Un prestigioso “biglietto da visita” che racconta identità, azioni e obiettivi degli Under 40 di Confindustria.
È online il nuovo Bilancio Sociale del Movimento dei Giovani Imprenditori, che ripercorre le attività svolte nell’ultimo anno. Come ogni anno dal 2015, anche il Bilancio 2022-2023 non è soltanto una “fotografia” a consuntivo, concepita e realizzata in un’ottica di rendicontazione e gestione trasparente dell’organizzazione. Il documento appena pubblicato è questo, sì, ma è anche molto di più. È stato infatti pensato come uno strumento strategico con un forte orientamento al futuro, atto esso stesso a contribuire alla definizione delle linee programmatiche a venire, anche in un’ottica di replicabilità nelle singole realtà territoriali attive nel sistema confindustriale. Indicando esperienze, procedure e progettualità - in uno scenario economico e politico fibrillante e complesso qual è l’odierno -, questo Bilancio si fonda sulla percezione che il tema della responsabilità sociale d’impresa debba porsi al centro anche delle riflessioni, e, in ricaduta, degli interventi “operativi” di chi, fra i Giovani di Confindustria e non solo, lavora per sostenere e diffondere la cultura d’impresa. Sulla base di queste premesse, si configura così come un importante strumento di controllo, marketing associativo e comunicazione: è, insomma, un biglietto da visita di grande pregio e suggestività ai fini dell’ottimalizzazione della relazione con gli stakeholders. Sotto il profilo materiale, il documento consta di 68 pagine. A riassumerne le principali doti formali può forse bastare il ricorso ad alcune delle sue caratteristiche più evidenti: la semplicità della struttura (all’editoriale di Riccardo Di Stefano, Presidente dei Giovani Imprenditori, fanno seguito una “Nota Metodologica”, un focus sul “Gruppo di lavoro” e due soli capitoli di contenuto, ciascuno, tuttavia, dai molti paragrafi e tematismi: “Identità” e “Attività realizzate nel periodo e obiettivi futuri”), la chiarezza e comunicatività dei testi, la qualità della grafica e la pervasività non invasiva degli apparati fotografici. Il gruppo di lavoro che ha portato alla redazione finale è molto ampio. Si va dal vertice del Movimento dei Giovani Imprenditori (il presidente Di Stefano e le vice presidenti Maria Anghileri ed Eleonora Anselmi), alla Segretaria Nazionale, al Comitato Guida, con il coinvolgimento di numerosi referenti delle varie Commission, sia per la raccolta dei dati sia per la descrizione delle attività. Spulciando all’interno del capitolo dedicato alla “Identità” di chi il Bilancio Sociale l’ha progettato e portato a compimento, si viene a sapere, fra molte altre cose, quali siano il principale sentimento identitario e il senso eminentemente politico del Movimento dei Giovani Imprenditori. Vale la pena riportare il passo che ne dà cenno: «... il Movimento è espressione di un’imprenditoria giovanile consapevole del proprio ruolo, orientata e aperta al nuovo, impegnata a incoraggiare il diffondersi di iniziative che possano portare alla nascita di nuovi soggetti imprenditoriali e a uno sviluppo autentico. Essere un Movimento di persone e non un’Associazione di aziende è quello che, come Giovani Imprenditori, ci distingue e ci rende unici all’interno del sistema Confindustria. Essere Movimento significa, infatti, valorizzare la consapevolezza del ruolo dell’imprenditore,
“liberandolo” dal condizionamento degli interessi aziendali particolari».
Mosso da un principio “universalistico” di rappresentanza, il Movimento è forte di circa diecimila associati, organizzati in 69 Gruppi Territoriali, 14 Comitati Regionali e 6 Gruppi Territoriali a perimetro Regionale (Valle D’Aosta, Umbria, Lazio, Molise, Basilicata, Calabria) costituiti presso le Associazioni Territoriali del sistema Confindustria. Gli stakeholders dei Giovani Imprenditori, ossia tutti quei soggetti o gruppi di soggetti in grado di influenzare la gestione del Movimento, o di esserne influenzati, sono numerosi e variegati: il confronto, infatti, è con il Sistema confindustriale dei “senior”, con gli startupper, i giovani e gli imprenditori di domani, con i gruppi Giovani delle altre associazioni di categoria e con le Associazioni giovanili europee e internazionali, oltre che con le istituzioni locali e nazionali e i sindacati. Le informazioni contenute nel più corposo capitolo “Attività realizzate nel periodo e obiettivi futuri” sono tante e tali da testimoniare, come probabilmente meglio non si potrebbe, il fertile attivismo dei Giovani Imprenditori. I progetti nascono dall’incontro delle linee strategiche della Presidenza con i suggerimenti e le esperienze sviluppate sui territori. Le Commissioni individuano best practices e nuove proposte e le trasformano in iniziative concrete. Fra giugno 2022 ottobre 2023, le attività svolte durante il mandato di Presidenza di Di Stefano sono state oltre 40. Al di là di assemblee, consigli e convegni nazionali (fra i quali, come ormai da tradizione, si trovano anche due edizioni degli affollati meeting di Rapallo - “PAESEUROPA. Tempo di nuova globalizzazione”, del giugno ‘22, e “NUOVA FRONTIERA. Direzione 5.0”, del giugno ‘23 - che, insieme, con quelli che hanno luogo a Capri, sono occasioni di dibattito di altissimo livello, sia per l’intero sistema che per il Paese) ed eventi interregionali, spiccano, fra le altre, le iniziative volte a promuovere la cultura dell’internazionalizzazione, tramite network europei quali “YES for Europe” e “G20 Young Entrepreneurs’ Alliance” e, forse, soprattutto, quelle che riguardano la formazione. In quest’ambito particolarmente virtuoso vale la pena di sottolineare il rinnovato sostegno al Premio Campiello Giovani (che negli scorsi anni si è concretizzato anche sul piano locale, qui a Genova, grazie al Gruppo Giovani di Confindustria Genova, che ha sostenuto diverse attività dell’Associazione culturale Contatti, amica “storica” della Fondazione Campiello) e l’avvio del progetto “generAZIONI”, coordinato dalla vicepresidente Maria Anghileri e realizzato in collaborazione con la Luiss Business School, dedicato interamente al tema del passaggio generazionale.
Da sottolineare, ancora, che il Movimento dei Giovani Imprenditori ormai da anni ha scelto di realizzare i propri eventi secondo una politica di sostenibilità che l’ha portato a ricevere un prestigioso riconoscimento da parte dell’ente certificatore RINA. Un altro segno del fatto che le idee e le buone pratiche dell’impresa sociale, l’etica e la sostenibilità imprenditoriale non sono solo dei “valori aggiunti”, ma stanno sempre di più, e più fittamente, nel DNA del Movimento.● (R.M.R.)
di Laura Gazzolo
La marcia in più
Negli ultimi anni gli investimenti in comunicazione, anche digitale e a livello social, del “brand”
Genova sono stati rilevanti e proficui. Ma per consolidare i risultati rispetto alle destinazioni competitor serve accelerare il passo.
è molto migliorata negli ultimi anni. La reputazione del nostro territorio come meta turistica d’interesse nazionale e internazionale è cresciuta di pari passo con la nostra consapevolezza. Anche noi, finalmente, sappiamo di essere i depositari e i gestori di bellezze naturali, culturali e storiche che non hanno niente da invidiare rispetto a quelle che offrono città d’arte tradizionalmente più attrattive. Il nostro capoluogo soprattutto, con il suo eccezionale patrimonio urbano e la rilevanza dei suoi paesaggi storico-culturali, ha fatto il cambiamento più grande. Genova si è scoperta all’improvviso piena di fascino e ha capito quanto possa essere utile dare notizia delle proprie qualità ai suoi potenziali spasimanti. La rapida evoluzione della domanda e dell’offerta turistiche ha fatto sì che il turismo sia diventato anche uno dei temi più trattati sui media, non solo d’area locale, leve di comunicazione che contribuiscono in modo sempre più importante allo sviluppo della notorietà e dell’attrattività di Genova come “capitale” turistica.
Ancora, però, la valorizzazione del nostro territorio si tende a farla con un po’ troppa superficialità. A un convegno, qualche tempo fa, ho sentito una frase che mi ha colpito e che pressappoco suonava così: “non basta essere turisti per poter dire di conoscere il settore del turismo”. Per approcciare in modo insieme intelligente e produttivo l’argomento occorre averne, come ovvio, una conoscenza specifica, che consenta di inquadrarlo in una visione complessiva, mentre ancora troppo spesso da noi, anche fra gli addetti ai lavori, si parla di turismo e di territorio con una certa approssimazione - il che, in ricaduta, porta a comunicare male e a sbagliare le strategie di marketing e promozione. Parliamoci chiaro, è ben vero che abbiamo fatto passi da gigante: negli ultimi anni si è investito tanto sulla comunicazione, anche digitale e a livello social, del “brand” Genova. L’affermazione di Genova come destinazione turistica emergente è in gran parte il risultato di quest’investimento strategico, ma ora abbiamo bisogno di accelerare il passo. Sappiamo bene che il mercato turistico è enorme, così come
sono enormi le potenzialità del nostro bel territorio, ma i competitor con i quali dobbiamo confrontarci sono tanti, e sono agguerriti. In molti casi, per di più, si tratta di realtà territoriali avvantaggiate sul mercato da contributi che possono risultare addirittura dieci volte maggiori rispetto a quelli che abbiamo noi qui in Liguria. Qual è, dunque, la sfida che sarebbe bene intraprendere, per creare un sistema efficace, che possa migliorare in modo significativo il nostro prodotto turistico? A mio avviso, la costituzione di una Destination Management Organization (DMO), che possiamo tradurre come Organizzazione per la Gestione delle Destinazioni, potrebbe essere una soluzione ad hoc per affrontare le sfide nella comunicazione turistica di Genova e della Liguria. Al di là dell’acronimo che la identifica, quando si parla di una DMO ci si sta riferendo a un’entità pubblica e/o privata che si occupa di coordinare e promuovere il turismo in una determinata area, lavorando in collaborazione con le autorità locali, le imprese e gli altri stakeholder, per migliorare la competitività turistica e gestire
il flusso dei visitatori in modo sostenibile, bilanciando gli impatti positivi con la conservazione delle risorse naturali, culturali e storiche. Fra le varie aree di contenuto di un “incubatore turistico” quale potrebbe essere la “nostra” DMO, mi sembra opportuno sottolineare, in particolare, quelle che potrebbe rivolgere all’aumento della scala dimensionale dell’offerta, cioè a dire all’ottimizzazione e al potenziamento degli asset che già esistono, in collaborazione con tutti gli attori locali. Sollecitando la cooperazione e la sinergia fra gli operatori turistici, le istituzioni e i loro territori di riferimento, e incoraggiando la creazione di reti e partnership che favoriscano lo sviluppo e la promozione coordinata delle diverse realtà coinvolte, si potrebbero creare nuove esperienze, attrazioni e servizi che orientino e soddisfino le esigenze della domanda in modo sempre più proficuo e duraturo. Il che, fra l’altro, contribuirebbe alla coltivazione di un pubblico in target incline alla fidelizzazione.●
Laura
Gazzolo è Vice Presidente della Sezione Turismo, Cultura e Comunicazione di Confindustria Genova
anni Cinquanta Genova
Le mobilitazioni operaie e dell’intera città.
di Pietro Repetto e Beatrice Carabelli
Liberata e riunificata, nella primavera del ‘45, l’Italia dovette affrontare i problemi e le incertezze di un difficile dopoguerra. L’economia italiana era in condizioni gravissime. Nel corso del conflitto, nelle città bombardate, centinaia di migliaia di italiani erano rimasti senza casa, l’inflazione aveva consumato i salari, il sistema dei trasporti si presentava disarticolato e le distruzioni negli stabilimenti industriali incisero sulla capacità produttiva.
Le industrie furono sottoposte a un’intensa opera di riorganizzazione, gli aiuti del Piano Marshall furono orientati sulle principali aziende nazionali, si rinnovarono gli impianti, furono introdotte nuove tecnologie e si puntò a una più efficiente organizzazione del lavoro. Questo comportò un’ondata di smobilitazioni e l’annuncio di molti licenziamenti. La fame, la carenza di abitazioni e il rilevante tasso di disoccupazione furono fattori che segnarono la precaria situazione di ordine pubblico. Le manovre di licenziamento diedero nuovo slancio alle lotte sociali, aprendo una fase di intensa mobilitazione operaia.
Sono proprio i primi anni Cinquanta a rappresentare un momento storico per il movimento operaio, in particolare quello genovese. A Genova, città a forte concentrazione industriale, la prima metà del decennio fu segnata da uno scontro prolungato tra gli imprenditori e il sindacato. Furono le maestranze genovesi, già temprate da un’orgogliosa resistenza in fabbrica durante l’occupazione tedesca, tra le prime a rivendicare il neonato “diritto al lavoro” (articolo 4 della Costituzione). Ai licenziamenti in massa molti operai genovesi risposero rifiutando le lettere di licenziamento e occupando le fabbriche, seguirono lunghe battaglie che presero il nome dalla durata dell’occupa-
zione, come gli “82 giorni della San Giorgio”, i “sei mesi della Bagnara”, i “nove mesi dell’Ilva di Bolzaneto” o i “72 giorni dell’Ansaldo”.
Ad aprire le rivendicazioni del 1950 fu la San Giorgio di Sestri Ponente: il 3 febbraio l’abbandono della Direzione dagli stabilimenti diede inizio alla gestione operaia che si concluse il 24 aprile 1950. La produzione continuò furono realizzati: radiatori, motori, lenti, alternatori apparecchi elettrici e macchine tessili. Si aprì un ventaglio di diversi profili di lotta, che andavano dalle grandi manifestazioni di massa, ai cortei, le assemblee di popolo, comizi, scioperi generali. Forme di mobilitazione che abbracciarono non solo i familiari dei lavoratori ma tutta Genova, che per la prima volta fu mobilitata in difesa dell’industria. La vertenza si concluse con l’impegno della Direzione per un programma produttivo e il pagamento della gestione operaia. Erano trascorsi 82 giorni.
Non ancora esaurito l’eco della San Giorgio che la Direzione dell’Ilva comunicò la chiusura dello stabilimento di Bolzaneto. A questa decisione i lavoratori proposero il loro piano di lavoro che assicurava una produzione a prezzi ridotti, con la richiesta di essere rioccupati, per gli eventuali licenziati. Queste proposte furono respinte e il 18 luglio la Direzione abbandonò gli stabilimenti, programmando la cessazione delle attività. I lavoratori tuttavia decisero di tentare la ripresa della produzione. Iniziarono dalla ricostruzione dei forni Martin Siemens che la Direzione aveva lasciato crollare, mentre procedevano i lavori di manutenzione e riparazione del resto degli impianti. In 25 giorni il forno fu rimesso in attività e il 16 settembre fu effettuata la prima colata. Tutta la popolazione della Valpolcevera solidarizzò con i lavoratori dell’Ilva di Bol-
Corteo per vertenza sindacale in via XX Settembre a Genova; 1950 ca.
Comizio a sostegno della vertenza sindacale dello Stabilimento Meccanico Ansaldo; 1950 ca.
zaneto partecipando attivamente agli eventi sindacali. Una solidarietà che trascendeva i muri delle fabbriche e si estendeva al mondo culturale, la scrittrice Sibilla Aleramo andò in visita allo stabilimento e fu ricevuta dal segretario del Consiglio di fabbrica, mentre nel gennaio 1951 fu organizzata su scala nazionale una raccolta di rottami di ferro che consentisse di effettuare una grande colata, con una valenza più simbolica che strumentale al successo della vertenza: la Colata della Pace. La raccolta dei rottami impegnò soprattutto la popolazione genovese e in particolare quella della Valpolcevera. La colata di 300 quintali di acciaio fu realizzata il 24 marzo 1951, vigilia di Pasqua, in una grandiosa manifestazione alla presenza di autorità e migliaia di cittadini. La settimana successiva, dopo ben 9 mesi di lotte sindacali, si raggiunse finalmente un accordo, con la chiusura dello stabilimento, il riconoscimento e il pagamento del lavoro svolto durante la gestione operaia e la promessa di riassunzione negli stabilimenti Ilva di Novi, Marghera, nello Stabilimento siderurgico a Ciclo Integrale - SCI di Cornigliano, nelle acciaierie Bruzzo e nell’impresa appaltatrice della costruenda Autostrada Genova-Savona. Nonostante le aziende avessero negli anni successivi effettivamente ridotto il personale, le manifestazioni e le battaglie dei primi anni Cinquanta ben rappresentano la forza, la dignità e la consapevolezza raggiunte dal movimento operaio. L’etica del lavoro, il produttivismo e l’orgoglio del mestiere non erano solo immagini retoriche ma facevano parte dell’immaginario collettivo, tessevano i fili della trama culturale degli operai specializzati che, in quegli anni, avevano il desiderio di ricostruzione dopo le distruzioni degli anni della guerra e l’attesa di profonde riforme economiche e sociali.
Questi episodi di lotta e autogestione, che animarono il panorama genovese dal 1948 alla prima metà degli anni ‘50, furono catturati in un album fotografico realizzato dalla sezione genovese della FIOM e destinato a Palmiro Togliatti, all’epoca Segretario generale del Partito Comunista Italiano. Attualmente l’album è custodito negli Archivi Storici di Fondazione Ansaldo.●
Corteo di lavoratori in sciopero;1950
Colata della pace allo stabilimento Ilva di Bolzaneto; 1951
La scrittrice Sibilla Aleramo in visita allo stabilimento Ilva di Bolzaneto; 1950
LA CITTÀ
La Fondazione Friends of Genoa nasce nel 2022 su iniziativa di Carlo Clavarino, Presidente Esecutivo del Gruppo AON, e con il sostegno di AON Italia, allo scopo di difendere, rivalorizzare e promuovere lo straordinario patrimonio artistico di Genova. Presidente del Consiglio d’Amministrazione è l’editore Carlo Perrone, affiancato dal vice presiden-
Progetti di rilancio per la città.
te Paolo Clerici (presidente e AD Coeclerici) e dai consiglieri Pietro Salini (AD Webuild), l’imprenditore Carlo Puri Negri, lo stesso Carlo Clavarino, l’architetto Emanuela Brignone Cattaneo Adorno e Tea Raggi De Marini, che della Fondazione è managing director. Dei progetti in corso e di quelli che verranno parliamo con il presidente Carlo Perrone.
Come nasce l’idea di Friends of Genoa?
Friends of Genoa è un ambizioso progetto di valorizzazione del nostro territorio. Nasce dalla considerazione del fatto che, sebbene Genova per tanti anni abbia registrato indici di crescita demografica inferiori rispetto alla media italiana ed europea, la città abbia tutte le potenzialità per tornare “superba”. Sono numerose le iniziative pubbliche volte al rilancio di Genova e della Liguria, innanzitutto attraverso l’implementazione delle infrastrutture. Penso che l’Alta Velocità, e quindi il collegamento rapido con Milano e Torino, avrà un impatto addirittura superiore a quello che ci si aspetta. Dove arriva il treno arriva anche lo sviluppo economico, cresce il valore immobiliare e, di conseguenza, anche la ricchezza delle famiglie. E poi ci sarà la Gronda. Anche il ponte di Genova, pur ricordando un evento terribile, è stato un segnale forte della rinascita della città. Non
di Piera Ponta
Carlo Perrone
ultimo, tutte le infrastrutture portuali con la nuova diga foranea faranno sì che Genova possa essere efficacemente connessa con il resto d’Italia e d’Europa. Tutto questo è di primaria importanza e ci stiamo muovendo nella giusta direzione, ma non basta per riportare Genova al suo antico splendore. Bisogna occuparsi anche di ciò che ruota intorno alle attività culturali, sociali, museali, universitarie. Con questa convinzione, seguendo un’intuizione di Carlo Clavarino, con un gruppo di persone profondamente legate Genova e grazie al sostegno generoso di AON, abbiamo deciso di creare questa fondazione, proprio perché noi vorremmo investire su questi aspetti: rivalorizzare il patrimonio culturale-artistico della città e contribuire alla crescita del comparto della formazione e dell’Università. Il tutto con il conforto di un Advisory Board internazionale di grande prestigio, presieduto da Stephen Schwarzman, Fondatore e CEO di Blackstone Group, e di un Comitato Scientifico che riunisce accademici ed esperti in campo artistico e culturale.
A proposito di Università: l’offerta formativa del nostro Ateneo è senza dubbio di livello ed è una leva strategica nell’attrazione di giovani, ma resta carente l’offerta abitativa per gli studenti fuori sede. Quali sono i progetti della Fondazione a questo riguardo? Uno degli obiettivi primari della nostra Fondazione è riportare i giovani a vivere a Genova e in Liguria: noi vogliamo gettare le basi non solo per trattenere i talenti che abbiamo o per convincere a tornare quelli che sono andati a studiare e a lavorare altrove, ma anche per accoglierne di nuoviper inciso: un grande atout di Genova è la qualità dell’aria, un aspetto che oggi ha un peso rilevante nelle scelte a lungo termine, come quella dell’Università. Sull’offerta insufficiente di residenze per studenti Tea Raggi De Marini ed io abbiamo un dialogo aperto e costante con il rettore Delfino, con il sindaco Bucci e con il presidente della Regione Toti. Se gli attuali 35mila studenti domani potessero diventare 40mila, ne saremmo tutti molto contenti (senza contare che l’Ateneo ne beneficerebbe anche in termini di maggiori sovvenzioni)... ma la città sarebbe in grado di accoglierli? In quali strutture? Per questo siamo a fianco dell’Università e delle Istituzioni per completare il progetto di riconversione dell’Albergo dei Poveri (su 65mila mq di spazi, 20mila sono già stati bonificati e sono attualmente in uso al Dipartimento di Scienze Politiche e Internazionali) con la realizzazione di un Campus che comprenda uno studentato da 500 posti, mense, palestre, aule, un grande auditorium per incontri internazionali. “Internazionale” è una parola chiave, perché tra gli obiettivi della nostra Fondazione c’è proprio quello di ridare a Genova visibilità internazionale. A questo scopo stiamo anche collaborando con i docenti per sviluppare nuovi percorsi formativi che possano dare una motivazione specifica ai giovani per venire a studiare a Genova. Al momento siamo concentrati sulla progettazione di un corso per la divulgazione scientifica: si tratta di una figura professionale non ancora codificata ma di cui c’è grande richiesta, quindi non solo rappresenterebbe un’offerta formativa “unica” nel panorama nazionale, ma anche un interessante sbocco occupazionale. Il Consiglio della Fondazione ha già deliberato di mettere a disposizione delle borse di studio per chi verrà a studiare a Genova.
Come vi orientate nella scelta delle iniziative da sostenere in campo artistico e culturale?
Annualmente sono previsti a budget interventi finalizzati, in genere, al ripristino o alla valorizzazione di opere o di contesti culturali esistenti. Cito, a titolo di esempio, il restauro della pala dell’Ultima Cena di Orazio De Ferrari, nella chiesa di San Siro a Genova, e l’impianto di illuminazione a led di 200 quadri a Palazzo Rosso, che ha limitato il consumo di energia a soli 3kW; prossimamente, invece, ci dedicheremo al restauro dei giardini di Palazzo Bianco. Per quanto riguarda la programmazione culturale della città, abbiamo particolarmente a cuore il rilancio dei Balletti di Nervi, che negli anni di maggior splendore hanno visto la nascita di stelle come Rudolf Nureyev. Dal 2025, direttore artistico del Festival sarà Jacopo Bellussi, genovese e primo ballerino dell’Hamburg Ballet, che il pubblico del Carlo Felice ha potuto applaudire in questi ultimi tre anni nel “Gala Pas de Deux”, evento internazionale sostenuto dalla nostra Fondazione con l’obiettivo di arricchire l’offerta culturale della città. Ricollegandoci all’ambizione di rendere Genova interessante per i giovani, poiché per loro un elemento di attrazione è l’arte contemporanea, stiamo accarezzando l’idea di proporre la realizzazione di uno skatepark fluorescente a firma di Koo Jeong-a, l’artista che rappresenterà la Corea del Sud alla Biennale di Venezia di quest’anno.
Qual è, a suo parere, il luogo di Genova che meriterebbe maggiori sforzi in termini di interventi di riqualificazione, al fine di rendere più attrattiva la città? Certamente il centro storico. Nel caso di Genova parliamo di un’area molto vasta, quindi di un progetto di riqualificazione urbana particolarmente complesso, ma che può diventare un elemento di attrazione per nuovi residenti. Credo che anche l’abbattimento di una parte della sopraelevata potrebbe avere un effetto molto positivo nel riavvicinare il centro storico al porto storico, restituendo visibilità ai palazzi della “Ripa Maris” che sono, dal punto di vista architettonico, una meraviglia assoluta. Il rilancio della città, urbanistico, artistico, culturale è la chiave affinché torni a essere popolata, viva: è con questo obiettivo che la Fondazione Friends of Genoa si propone come interlocutore in un dialogo virtuoso con le istituzioni locali, con gli imprenditori e con le famiglie genovesi.●
LA CITTÀ
nuovo
L’attualità del messaggio di Bianca Costa a 50 anni dalla fondazione del Centro Solidarietà - CEIS Genova.
Sono oltre 50.000 al mese gli articoli, le news e i messaggi social che parlano di dipendenze (droga, alcol, gioco d’azzardo patologico). Nel 37 % dei casi sono carichi di negatività, di rabbia, di malessere e esaminandone più a fondo i contenuti l’ansia per il coinvolgimento giovanile è prevalente e crescente.
Sempre i minori sono protagonisti delle preoccupazioni più dichiarate parlando di immigrati e di accoglienza (più di 90.000 messaggi al mese, in media 3000 ogni giorno). Si tratta di un volume di comunicazione enorme che ha due caratteristiche: da un lato la spontaneità (oltre il 70% avviene tramite social - ed è un dato parziale per via delle norme sulla privacy) e dall’altro la criticità e la paura (il sentiment negativo assegnato dagli algoritmi dell’Intelligenza Artificiale oscilla mediamente intorno al 50% e per alcuni casi di cronaca ha toccato punte di estrema gravità).
Sono tutti dati che misurano la crescente sensibilità ai problemi sociali che viviamo anche nella nostra città, che pure ha una storia da raccontare sulla loro gestione che risale addirittura al 1600 (una sorta di “metodo Genova” diremmo oggi), in cui determinazione capacità e coraggio e una visione pratica orientata al problema ne erano il leitmotiv. In sintesi, possiamo dire, lo stesso spirito che nel 1974 ha portato Bianca Costa a creare il CEIS Genova, oggi guidata dal figlio Enrico Costa. Nell’opera del CEIS Genova, sin dalle
sue origini, tutti gli interventi rivolti sia a persone con problemi di dipendenza che a migranti accolti adulti e minori, sono ispirati alla filosofia del Progetto Uomo che nei suoi principi centrali mette in primo piano la persona valorizzando le sue risorse, la spiritualità e le potenzialità interiori. Nella ricorrenza dei 50 anni dalla fondazione, il Centro Solidarietà di Genova coglie l’occasione per condividere con la città una riflessione umanitaria, professionale e di prospettiva sul contesto attuale delle dipendenze e del grande dramma sociale dell’immigrazione e dell’accoglienza. Sfide che si sono evolute nel tempo e che sono sempre più sentite rispetto al passato perché toccano a largo raggio le famiglie e l’intera comunità. Problemi che, per trovare una soluzione o, almeno, per essere gestiti efficacemente, richiedono una consapevolezza diffusa in tutti i ceti sociali, professionalità e dedizione da parte di chi se ne occupa e la stretta e fattiva collaborazione delle istituzioni territoriali.
“Costruire il mondo nuovo” è un evento che in tre mesi, da marzo a maggio di quest’anno, si articola in tre parti: le attività di approfondimento tematico preliminari, la restituzione alla città nel convegno pubblico del 6 maggio a Palazzo Ducale e le iniziative collaterali in memoria di Bianca Costa e di tutto il volontariato.
Le attività preliminari hanno compreso 4 workshop guidati da esperti per mettere a fuoco il tema delle dipendenze e
Enrico Costa
della cura (dalle droghe, all’alcol al gioco, alle nuove sostanze che catturano soprattutto i giovani), quello della prevenzione (fattore strategico di contenimento dei fenomeni e di salvaguardia del benessere famigliare), l’accoglienza (la cultura storica nel DNA cittadino e i nodi da risolvere oggi) e non ultimo il tema “dell’economia civile” (la nuova frontiera della consapevolezza imprenditoriale legata alla sostenibilità e alla giustizia sociale).
Nel Convegno conclusivo del 6 maggio pomeriggio, a Palazzo Ducale, sono previsti importanti interventi quadro con testimonianze di livello nazionale e internazionale in grado di fornire una visione completa e aggiornata delle tematiche oggetto della manifestazione. Il programma comprende due tavole rotonde sulla base dei risultati dei workshop cui parteciperanno esperti e rappresentanti delle Istituzioni territoriali in modo costruttivo e propositivo sulle prossime strategie di gestione delle criticità, in particolare sull’abbassamento dell’età della diffusione delle droghe e altre dipendenze, e sulla gestione e integrazione dei minori non accompagnati. Utilizzando nuove tecnologie congressuali sarà possibile a tutti i presenti in sala, all’inizio dei lavori, fornire le proprie personali opinioni e idee di indirizzo di cui i relatori e i testimoni potranno fare tesoro. Il convegno più che una celebrazione di quanto è stato fatto negli ultimi 50 anni a Genova - non solo dal CEIS - nella lotta alla droga e per fronteggiare il disagio sociale, rappresenta un importante slancio dell’impegno civile gestionale e normativo per affrontare il presente e il futuro della qualità sociale della vita in modo pragmatico e con concreti valori, com’era nello stile di Bianca Costa.
«La ricorrenza del 50º - ha dichiarato Enrico Costa, Presidente CEIS Genova - vuol essere una preziosa occasione che, partendo dal lascito ideale, morale e spirituale di mia madre Bianca, e dalla nascita del Centro di Solidarietà di Genova, focalizzi l’attenzione sulla situazione attuale delle dipendenze, di disagi psichiatrici e degli altri grandi temi sociali come l’immigrazione, con una attenzione particolare ai giovani. Si tratta di sfide quotidiane che in tanti anni si sono evolute e che il CEIS Genova, in rete con gli altri enti e attraverso la stretta collaborazione con le istituzioni coinvolte, continua ad affrontare, e la visione che un mondo migliore è possibile».●
www.ceisge.org
Per partecipare clicca e registrati a questo link: bit.ly/3xTHyTd
COSTRUIRE IL MONDO NUOVO: SOLIDARIETÀ,
ACCOGLIENZA E INNOVAZIONE SOCIALE GENOVA, PALAZZO DUCALE - LUNEDÌ 6 MAGGIO 2024
14.00 ACCOGLIENZA
14.30 SALUTI ISTITUZIONALI
Beppe Costa Benvenuto del Presidente di Palazzo Ducale
Enrico Costa Presidente del Centro di Solidarietà di Genova
Marco Tasca Arcivescovo di Genova
Marco Bucci Sindaco di Genova
Giovanni Toti Presidente della Regione Liguria
Matteo Piantedosi* Ministro dell’Interno
Coordina: Stefano Arduini Direttore Magazine Vita
15.10 INTERVENTI QUADRO
Interactive audience engagement (opinioni in sala sui grandi temi sociali della giornata)
Paolo Molinari Capo dipartimento Politiche Antidroga
Presidenza del Consiglio dei Ministri Dipendenze e prevenzione, il quadro italiano
Sandra Zampa Senatrice della Repubblica Migrazioni e accoglienza, la legge 47/17 sui minori non accompagnati
Luciano Squillaci Presidente FICT, Federazione Italiana Comunità Terapeutiche Prevenzione, cura e sicurezza
Leonardo Becchetti Università Tor Vergata Roma Economia civile e progresso sociale
16.45 TESTIMONIANZE
Sushma Taylor Presidente WFTC World Federation of Therapeutic Communities La cura
S.E. Matteo Maria Zuppi Cardinale Presidente della Conferenza
Episcopale Italiana e Arcivescovo di Bologna L’accoglienza (testimonianza video)
Matteo Garrone* Regista e Sceneggiatore Io Capitano
17.15 TAVOLA ROTONDA: “DIPENDENZE E PREVENZIONE”
Moderatore: Stefano Arduini
Intervengono: Angelo Gratarola Assessore alla Sanità della Regione Liguria
Giacomo Raul Giampedrone Assessore alle Politiche Socio-Sanitarie
Regione Liguria
Inamaria Hinnenthal Direttore SERD ASL3 Genova
Marco Malfatto Presidente Ass. Comunità San Benedetto al Porto
18.00 TAVOLA ROTONDA: “ACCOGLIENZA ED ECONOMIA CIVILE”
Moderatore: Stefano Arduini
Intervengono: Alessandro Piana Assessore Agricoltura Regione Liguria
Alessio Piana Assessore Sviluppo Economico Regione Liguria
Augusto Sartori Assessore al Lavoro Regione Liguria
Don Giacomo Martino Diocesi di Genova
Marco Scajola Assessore alla Formazione Regione Liguria
Lorenza Rosso Assessore Politiche Sociali Comune di Genova
Simona Ferro* Assessore Sport e Scuola Regione Liguria
18.45 CONCLUSIONI a cura di STEFANO ARDUINI
* in attesa di conferma al momento di andare in stampa
& SOCIETÀ
CULTURA
di Luciano Caprile
Conversazione con Fernando Botero.
di una vita Aneddoti
Ho conosciuto Fernando Botero a Pietrasanta nell’estate del 1989 e lui, sapendomi originario di Genova, mi ha confessato: «Anch’io ho lontane origini liguri». Quindi, leggendo la stupefazione nei miei occhi, ha precisato: «Nel 1780 due fratelli genovesi, Giuseppe e Paolo Bottero, hanno deciso di cercar fortuna in America. Si sono imbarcati e, dopo una serie di traversie, hanno raggiunto la regione di Medellin in Colombia. Hanno quindi risalito un fiume alla ricerca dell’oro e si sono stabiliti rispettivamente nei paesi di Santa Barbara e di El Retiro. Tutti i Botero della zona (il cognome si ispanizzerà perdendo una “t”) discendono, come me, da Giuseppe e da Paolo. È scritto su “Genealogia de Antioquia”, un libro che riporta la storia di ogni famiglia della provincia colombiana in cui sono nato».
Anche la sua residenza estiva di Pietrasanta si collega in qualche misura a tali radici e al suo amore per l’Italia. Ma
andiamo per ordine. Botero, nasce il 19 aprile 1932 a Medellin, un centro industriale e commerciale delle Ande. A quindici anni si presenta al direttore del giornale “El Colombiano” affermando di essere un pittore e pertanto chiede di illustrare l’inserto della domenica. Viene messo alla prova, che supera brillantemente. La fama di questo giovane artista tocca il culmine quando nel 1952 un suo dipinto si aggiudica il secondo premio al “IX Salone degli artisti colombiani”. Ha solo vent’anni e, grazie ai 700 pesos vinti in quella circostanza, parte per l’Europa. Dopo alcuni mesi trascorsi in Spagna e in Francia, giunge nel 1953 in Italia, apre uno studio a Firenze e visita a lungo gli Uffizi che diventeranno una delle mete preferite per la personale ispirazione. Infatti studierà a fondo i capolavori di Andrea del Castagno, Paolo Uccello, Piero della Francesca a cui aggiungerà certe folgorazioni di Giotto, del Mantegna, di
Fernando Botero e l’affresco dell’Inferno, Chiesa della Mise
Leonardo. Quest’ultimo significherà addirittura l’inizio della sua fortuna. Succede infatti che, tornato nel 1955 in patria, decide di trasferirsi a New York, il centro mondiale dell’arte contemporanea. Affitta un loft nel Greenwich Village dove tanti altri giovani artisti sono sostenuti dall’identica sua speranza. Un giorno del 1960 il suo vicino di stanza, che aveva ricevuto la visita di Dorothy Miller, curatrice del Museum of Modern Art, chiede a quest’ultima di dare un’occhiata alle opere del suo amico colombiano. E qui avviene l’incredibile: la Miller rimane tanto colpita dal dipinto intitolato “Monna Lisa all’età di dodici anni” da acquisirlo per il MoMa. Nel momento del massimo trionfo dell’informale sarà l’unica opera figurativa a entrare in questo celeberrimo spazio museale. Da quel momento cresce a dismisura la notorietà dei suoi personaggi la cui obesità è stata talora interpretata in modo superficiale. Spiegava Botero: «Credo molto nel volume, in questa sensualità che, nella pittura, suscita piacere allo sguardo. Per me un quadro è costituito da un ritmo di volumi colorati dove l’immagine assume il valore di pretesto». Comunque le sue opere catturano l’attenzione degli osservatori anche per il clima edenico in cui sono immerse e che risentono indubbiamente dell’ambiente in cui è nato e cresciuto il nostro autore. Emblematica in proposito la sua scoperta del mare all’età di diciotto anni: «Ho preso il treno fino a Puerto Berrio, sul fiume Magdalena. Quindi mi sono imbarcato su un battello a ruote che, col tempo favorevole, impiegava 8-9 giorni per raggiungere la foce. Durante il periodo di siccità c’era il rischio di insabbiarsi e di dover attendere l’aiuto della pioggia anche per due settimane. Lungo le rive si incontravano indigeni ancora allo stato primitivo; le acque erano infestate dagli alligatori. Al ritorno ho deciso di trascorrere un anno alla maniera di Gauguin. Uno zio mi ha indicato Tolù, un villaggio costiero fuori da ogni rotta, dove mi sono costruito una capanna di palme, diventata in breve ricovero di scorpioni e transito di serpenti. Qui ho preparato la mia seconda mostra». A udire tali parole viene alla mente il suo illustre conterraneo Gabriel García Márquez che ha riversato tale clima nel romanzo “Cent’anni di solitudine”. Pertanto avevo chiesto a Botero se esisteva un legame tra questa letteratura e la sua pittura. E lui: «I miei e i suoi sono personaggi della Colombia, dell’America Latina, con una connotazione esagerata insita nell’ambiente e nella tradizione popolare». Si tratta pertanto di un mondo che ci riconduce alle favole della nostra infanzia in cui collocare la poesia di un ricorrente sogno. Ma torniamo al suo legame con l’Italia che si concretizza nel 1976. Pierre Levai, direttore della Marlborough Gallery di New York, deve recarsi a Pietrasanta per prendere visione dei lavori che Jacques Lipchitz, morto da poco, ha lasciato nel suo studio. Botero l’accompagna e porta con sé il modello di una mano da tradurre nel bronzo. Il risultato è tanto soddisfacente da convincerlo a prendere casa in questa località della Versilia dove trascorrerà le estati e dove frequenterà le sue celebri fonderie. Ma come è maturata la decisione della tridimensionalità? «Alla fine le forme inserite nei miei dipinti erano diventate piene, le costruzioni apparivano scultoree», sono ancora sue parole. Bastava quindi estrarre gli interpreti dalla tela. Ma a Pietrasanta Botero riesce a realizzare anche un progetto che coltivava da tempo. Mi aveva raccontato che in una sua proprietà di Medellin
stava costruendo una cappella sulle cui pareti interne avrebbe svolto un racconto sacro lungo duecento metri mettendo a frutto gli studi giovanili sull’affresco. Sarebbe stata la sua piccola “Cappella Sistina”. Non la porterà a termine per motivi di salute e per motivi di personale sicurezza. Era successo infatti che una sua grande scultura, sistemata al centro di una piazza di Bogotà, era stata distrutta nel corso di un attentato. Occorre infatti precisare che tutti conoscono il Botero edenico e favolistico ma pochi sanno delle sue opere in cui viene denunciata quella violenza e quelle trasgressioni per cui la Colombia è anche tristemente conosciuta nel mondo.
Ebbene, nel 1993 realizzerà su due grandi pareti della chiesa della Misericordia di Pietrasanta gli affreschi intitolati “La porta del Paradiso” e “La porta dell’Inferno”. Le imponenti immagini racchiudono l’intero campionario dei personaggi boteriani: l’Inferno, suggerito da Luca Signorelli, ammorbidisce la incombente terribilità del diavolo centrale nei diavoletti paffuti mentre i dannati, compreso lo stesso autore, nuotano nel fango o bruciano negli avelli. Invece nel Paradiso si vede una florida Madonna sostenuta dalle improbabili alucce di pingui angeli. In basso una donna-angelo strimpella la chitarra sul prato mentre Madre Teresa di Calcutta, liberata dalle rughe, è assorta in preghiera. E la Liguria? E Genova? Una ventina d’anni fa avevo proposto ad Arnaldo Bagnasco, direttore del Palazzo Ducale di Genova, una grande mostra di Botero. I disegni e i dipinti sarebbero stati esposti nell’Appartamento del Doge, mentre alcune sculture avrebbero scandito via San Lorenzo e l’ultima avrebbe trovato una sua collocazione nel Porto Antico, nel punto in cui erano partiti i suoi avi. Botero era felice dell’idea e ci avrebbe aiutato nel realizzarla. Il progetto, sostenuto da Bagnasco, sembrava ben avviato, ma alla fine non se ne fece nulla. Peccato. Comunque Botero è rimasto legato fino all’ultimo a questa località della Versilia e di riflesso a quella Liguria distante uno sguardo: è morto lo scorso 15 settembre a Montecarlo e ha chiesto di essere sepolto (insieme alla moglie Sophia Vari, deceduta quattro mesi prima) nel cimitero di Pietrasanta.●
Fernando Botero, Monna Lisa all’eta di 12 anni, olio e tempera
Il tempoe le opere
Rino Valido a Palazzo Ducale.
Rino Valido
Dal 2 al 31 maggio si tiene alla Sala Dogana del Palazzo Ducale di Genova la mostra “Rino Valido - Il tempo e le opere”, in occasione del 50º anniversario dell’attività artistica del Maestro, che permette al visitatore di percorrere l’intero suo itinerario creativo dove assume una particolare importanza il rapporto con quelle aziende di cui egli ha allestito gli spazi espositivi in ogni parte del mondo. Parliamo per esempio di società come l’Ansaldo, l’Elsag, la Finsider, l’Oto Melara che, in tali circostanze espositive, hanno assorbito il suo gesto, il suo approccio timbrico, tanto da trasformare queste presentazioni in autentiche opere d’arte. E anche l’attuale manifestazione sembra voler introdurre il visitatore in quel particolare clima narrativo alla conquista di un personale, magico “paesaggio”. E proprio “paesaggio” è un termine che si addice a un artista come Valido che nel 1978 trova la svolta della sua vita pittorica nel sud della Francia quando viene a contatto con le visioni elargite dalla Camargue. Da quel momento la precedente figurazione perde ogni consistenza rappresentativa; la pennellata si trasforma in percezione e l’immagine si nutre del riflesso dell’emozione, dell’incanto prodotto da improvvise folgorazioni edeniche. Sono nate così sulla carta e sulla tela suggestioni cromatiche, palpitazioni geometriche, fughe para-informali che gli hanno permesso di moltiplicare all’infinito il personale panorama investigativo dove l’armonia dei segni e dei toni assume il ruolo di essenziale guida compositiva. Così il personale mondo si trasforma in “immagine” interiore da proporre a tutti coloro che, attirati dalla peculiarità dei suoi lavori, riescono a recuperare un personale “paesaggio”. E questa è una delle magie dell’arte che riesce a conquistare la sensibilità di chi si accosta a essa con animo partecipe. E la rassegna di Rino Valido alla Sala Dogana del Ducale ne è un ulteriore, significativo esempio da assaporare attraverso le opere allineate sulle pareti come un racconto che non conosce la fine.● (L.C.)
CULTURA & SOCIETÀ
Dal 7 al 12 maggio, a Sestri Levante, l’ottava edizione del Festival Internazionale del Cinema dedicato ai registi under 35.
Illustrazione
Il Riviera International Film Festival - RIFF è un festival cinematografico nato nel 2017 dalla passione per il cinema e per la Liguria del produttore di Los Angeles Stefano Gallini-Durante, fondatore e presidente dell’appuntamento, e del direttore esecutivo e co-fondatore Vito D’Onghia.
Il Festival è caratterizzato da un format innovativo, che coniuga la domanda crescente di formazione sulle tecniche cinematografiche insieme all’opportunità di dare uno spazio qualificato ai giovani registi under 35 del cinema indipendente. Dall’edizione 2018, è presente una sezione interamente dedicata ai documentari.
Il RIFF affianca, alle proiezioni di film e documentari, panel, conferenze, incontri, laboratori e masterclass di professionisti di livello mondiale.
Dopo aver annunciato le date dell’ottava edizione, dal 7 al 12 maggio a Sestri Levante, Il Riviera International Film Festival rivela i nomi confermati della giuria ufficiale chiamati a valutare i lungometraggi internazionali di registi under 35 e il concorso dedicato ai documentari a tema ambientale.
Presidente della giuria Film sarà Andrew Dominik, regista, tra gli altri, di “L’assassinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford” e del controverso “Blonde” sulla vita di Marilyn Monroe. Insieme a lui due Premi Oscar: il montatore Pietro Scalia, vincitore in carriera di due statuette e altrettante nomination, tra i suoi film più recenti “Ferrari” di Michael Mann; e la regista Eva Orner, vincitrice dell’Academy Awards per il suo documentario “Taxi to the Dark Side”, che presiederà la giuria Documentari. Per la prima volta in Riviera anche l’importante produttore Clayton Townsend che, oltre ad aver prodotto alcuni tra i più grandi successi di Oliver Stone, come “Ogni maledetta domenica”, “Assassini nati”, “JFK - Un caso ancora aperto” e “Nato il 4 luglio”, ha riscosso grande successo con commedie americane come “40 anni vergine”, “Molto incinta” e “Tre scapoli e un bebè”. Tra i giurati anche la fotografa Veronica
Susan Sarandon
sarà in Italia all’ottava edizione del Riviera International Film Festival. L’attrice pluricandidata agli Academy Awards, e vincitrice di un Oscar per il suo ruolo da protagonista in “Dead Man Walking”, è una delle interpreti più amate da pubblico e critica in tutto il mondo e naturalmente anche in Italia, dove ha ricevuto due volte il David di Donatello come miglior attrice straniera. Protagonista di una carriera stellare, le sue interpretazioni indimenticabili in pellicole come “Thelma & Louise”, “The Rocky Horror Picture Show”, “Atlantic City”, “U.S.A.”, “Le streghe di Eastwick”, “L’olio di Lorenzo”, “Il cliente”, “Piccole Donne”, “Nemiche amiche”, sono diventate pilastri fondamentali nella storia del cinema. Susan Sarandon sarà membro della Giuria ufficiale del Festival, per i lungometraggi diretti da registi under 35, e protagonista di una masterclass in cui si racconterà al pubblico.●
Andrew Dominik
Eva Orner
Gaido, la regista norvegese Erika Calmayer, vincitrice della scorsa edizione del RIFF 2023, e Jan Pachner, segretario generale della One Ocean Foundation, importante fondazione per la protezione del Mediterraneo.
Sarà “Io e il secco” del regista Gianluca Santoni ad aprire il Festival il 7 maggio. Il film sarà l’unica pellicola italiana del concorso e sarà presentata in anteprima al RIFF per poi essere distribuito in tutte le sale italiane il 23 maggio da EuroPictures. Oltre a Santoni, a sostenere il film ci saranno i pro-
tagonisti Barbara Ronchi (vincitrice nel 2023 del David di Donatello per “Settembre”, del Ciak D’oro e il Nastro D’argento per “Rapito”), Andrea Lattanzi (“Summertime”, “La svolta”, “Grazie ragazzi”) e Andrea Sartoretti (tra gli altri, “Nevermind”, “A Tor Bella Monaca non piove mai”, “Settembre”, “Il Principe di Roma”). Insieme a loro, attesi anche i Santi Francesi, reduci dal grande successo dell’ultimo Festival di Sanremo, autori della colonna sonora del film. La pellicola racconta la storia di un bambino di dieci anni e della sua missione da compiere: salvare la madre dalle violenze del padre. Piccolo com’è, da solo non ce la può fare e decide di chiedere aiuto a uno che la gente la uccide di mestiere: un super killer.
“Io e il secco” sarà dunque il primo degli 11 film del concorso internazionale, che conta ben 10 nazionalità diverse. Saranno proiettati in gara anche l’islandese “Solitude” di Ninna Palmadottir. il kenyota “After The Long Rains” di Damien Hause, lo svizzero “Electric Fields” di Lisa Gertsch, il ceco “We Have Never Been Modern” di Matej Chlupacek, lo statunitense “Wat Doesen’t Float” di Luca Balser, gli inglesi “In Camera” di Naqqash Khalid e “Black Dog” di George Jaques, lo spagnolo “The Quiet Maid” di Miguel Faus, il canadese “I Don’t Know Who You Are” di M. H. Murray e “Handling The Undead” di Thea Hvistendahl, una coproduzione tra Svezia e Norvegia.
Il Riviera International Film Festival, forte dell’incredibile successo della scorsa edizione che ha contato oltre 8mila presenze, torna con il suo format ormai collaudato che alle tantissime proiezioni, sia delle opere in corso che di anteprime evento di film prossimamente sul grande schermo o sulle principali piattaforme, affianca talk con i protagonisti del cinema italiano e internazionale, masterclass con eccellenze della settima arte e, ancora, dà ampio spazio alle serie TV di maggior successo con panel dedicati e alla presenza dei cast.
Il RIFF 2024 vedrà anche la nascita di una nuova sezione di competizione internazionale di corti. Il tutto a Sestri Levante, in Liguria, nell’incantevole Baia del Silenzio.●
di Massimo Morasso
e testimone Romanziere
Con “Inox” e “Tuttofumo”, Eugenio Raspi racconta di un mondo che sta andando “in polvere, ombra, niente”.
Eugenio Raspi, umbro di Narni, dove è nato nel 1967, ha scritto due fra i più interessanti romanzi della nostra “letteratura industriale” post-novecentesca. Il pluripremiato Inox, uscito sette anni fa, dopo essere stato, inedito, fra i finalisti del Premio Calvino 2016, e Tuttofumo, del 2019, entrambi pubblicati da Baldini & Castoldi con eccellente risonanza di stampa. Nelle Note biografiche che accompagnano i volumi leggiamo che Raspi ha lavorato per oltre vent’anni come tecnico specializzato nella Acciai Speciali di Terni, che è stato licenziato nel 2014 e che ha incominciato a scrivere della sua esperienza in fabbrica nell’attesa di trovare un nuovo lavoro. In mancanza di ragguagli più aggiornati sul curriculum dell’autore, non possiamo non augurargli che, nel frattempo, quel nuovo lavoro sia diventato in pianta stabile lo scrivere romanzi, anche se, a dirla com’è, il destino di uno scrittore bravo che vende, ma che non è del tutto un “best-seller”, è difficile che possa coincidere con quello di chi ha raggiunto una salda, decorosa agiatezza. Quel poco che sappiamo, in ogni caso, della vita di Raspi - quella cesura fra la sua prima esistenza in fabbrica, e la seconda in veste di disoccupatoscrittore - ci consente di inquadrarlo fra i romanzieri-testimoni che hanno vissuto in prima persona l’esperienza di cui narrano, a differenza di quasi tutti i più noti narratori d’industria, da Paolo Volponi (un manager che fu soltanto “osservatore” del lavoro operaio che descrisse) nei primi anni ‘60 a Ermanno Rea (un valente ex giornalista d’inchiesta, che dovette ricorrere ai ricordi e alle storie altrui per maturare “da dentro” la conoscenza di merito necessaria per dare parola alla fine dell’Ilva di Bagnoli nel suo capolavoro, La dismissione), quarant’anni dopo. Nel suo notevole libro d’esordio Raspi racconta le vicissitudini di una squadra di sei operai addetti a uno dei forni
INDUSTR IA & LETTERATURA
dello Stabilimento della Acciai Speciali, sei persone che vivono con chiaroscurale reattività psicologica il lento e inesorabile smantellamento della loro fabbrica. Lo fa costruendo un plot dalle fosche tinte tragiche, in duplice accezione: tragiche in senso estensivo, da vocabolario Treccani, per il quale è tragico ciò che è caratterizzato da fatti luttuosi, da eventi tristi, da gravi disgrazie e conseguenze, anche con riferimento a casi della vita comune; ma tragiche anche in senso “culturalistico”, con un richiamo in filigrana al piano familiare cui rimanda(va) la tragedia attica, poiché in margine a un incidente di lavoro - con sullo sfondo l’ormai prossimo passaggio di proprietà dello stabilimento - il libro mette in scena un conflitto, appunto, essenzialmente “tragico”, fra i due fratelli Asciutti, l’uno amministratore delegato dell’azienda, e l’altro semplice caposquadra di linea. Con la morte del padre dei protagonisti, un operaio in pensione che è finito, pover’uomo, in mezzo agli scontri fra operai e poliziotti durante una manifestazione di protesta, il “simbolo” che tiene insieme gli opposti nella difficile dinamica interaziendale si spezza definitivamente (la posizione diversissima dei due consanguinei all’interno della struttura aziendale ne è un chiaro segno rivelatore). A venir meno, sul piano dello stile, che s’adegua in corso d’opera alla sua materia, è anche la singolarità corale della voce narrante, un noi-fabbrica che viene sostituito da un io-io che parla in prima persona, nella pagine, in fondo al libro, dove Raspi architetta lo scioglimento della vicenda, manco a dirlo in analogia con l’esodo (ἔξοδος) tragico, quando uno dei com-
ponenti della squadra accetta il licenziamento in cambio di una somma di denaro - il che ci lascia anche un retrogusto di tradimento alla Giuda. Per il Raspi di Inox, insomma, ci sembra di poter inferire, se tutto, in fondo, è tragedia, la tragedia “storica” sta, nello specifico, nel processo di decomposizione di quei legami familistici che all’interno di un’azienda tendevano o potevano tendere, fino a ieri, ad anteporre la solidarietà interna al gruppo di lavoro rispetto agli interessi spersonalizzanti del singolo. Al disimpegno di quel singolo - all’abiura della coesione di classe, che dà spazio a una piccola, rovinosa visione privatistica della vitacorrisponde d’altro canto il disimpegno della proprietà, il “deus ex machina” che sta a monte, per così dire, dei fatti e dei misfatti che costituiscono l’ordito della trama romanzesca. Il libro dà segno in tal modo della dialettica in atto tra destino collettivo e destino personale e, stando dentro i fatti di cui dice con profonda, credibile semplicità, mette in evidenza le immunodeficienze morali acquisite nella società post-industriale, in particolare per l’acuta intensità con cui il suo autore vive il problema della strumentalizzazione (che vuol dire anche disumanizzazione) del lavoratore (che vuol dire, in fondo, l’uomo in carne e ossa che lavora: ciascuno di noi, con una sua dignità e preziosità) nel risucchio finanziario in cui il lavoro si perde. Ambientato esplicitamente a Narni, Tuttofumo porta addirittura un passo oltre la poetica insieme “politica” ed “esistenziale” di Raspi, in un intreccio di collisioni generazionali che viene assunto, qui, come modello di una deriva socio-culturale. C’è il verso conclusivo di un sonetto di un poeta barocco spagnolo, Luis de Góngora, che recita “in terra, fumo, polvere, ombra, niente”. La vita, e anche le sue molteplici bellezze, finiscono in terra, fumo, polvere, ombra, niente. E come meglio avvicinare se non con le parole del sommo cantore del “tutto è fumo” questo urticante, febbrile romanzo di formazione che si muove intorno al corpo inane, in disfacimento, della fabbrica, che da generazioni è stata l’asse economica del piccolo mondo di un paese orgogliosamente operaio, e che ora è costretta all’inazione dalla crisi, e, più sottilmente, dalle logiche sprezzanti del finanzcapitalismo? È ben vero, cito da Raspi, che “negli anni del boom economico, nella fabbrica ci ha lavorato mezzo paese, l’altra metà a maledirla; tutti insieme, loro malgrado, costretti a respirare polvere di carbone e pece”; ed è altrettanto vero (nella percezione di Luca, il protagonista non ancora maggiorenne, che, pur sapendo molto poco di sé e dei suoi desideri, sa che dentro la fabbrica, dove suo padre sta perdendo la battaglia per mantenere il posto, non intende metterci piede) che la ciminiera ricorda a un tempo la necessità e l’invadenza ossessiva della fabbrica nella vita della comunità: “quante volte l’ha osservata sperando che dalla bocca si alzassero cerchi di fumo come fa lui con le sigarette. E invece non usciva mai nulla. Eppure il fumo arrivava lo stesso alla finestra, mascherandosi nell’aria che respirava, c’era anche se non si vedeva”. Ma al di là di ciò che è vero, dal punto di vista metaforico il punto è il rapporto fra un mondo che sta andando “in polvere, ombra, niente” e l’esigenza vitale del respiro, ritmata dall’inalazione del fumo, quello emesso, nel bene e nel male, dalla ciminiera in via di dismissione e quello delle sigarette in cui Luca ama rifugiarsi, in un “tutto” oscurato da una cortina che disorienta e annichilisce.●