

La Nostra Mission
Promuovere il mutuo trasferimento tecnologico e la sinergia fra il settore aerospaziale e la liera industriale del territorio, in applicazioni trasversali ad elevato impatto economico e sociale.

RETE INNOVATIVA REGIONALE DEL VENETO
La rete innovativa regionale A.I.R. è composta da aziende, centri di ricerca, e la Fondazione Univeneto. La rete è rappresentata dal Consorzio aerospaziale e cosmonautico - Co.Si.Mo, di cui fanno parte Fondazione Univeneto, ISOCLIMA SpA, Zoppas Industries IRCA SpA, Zero srl e Officina Stellare SpA.
L’editoriale
Con questo numero nasce la rivista ArtemiS Scienza News. Edita dall’Associazione Artemis, non è un giornale online. Non vuole esserlo. È una rivista. Quadrimestrale per giunta. Ed è vero che si può leggere on line, ma solo come una rivista: sfogliandola. E se non volete sfogliarla o line potete scaricarvela e leggerla dopo averla stampata. Se poi ne vorrete un po’ per distribuirla in qualche evento di vostro interesse, vi forniamo la stampa e la consegna, ma potrete farlo anche da soli, la rivista è gratuita. Vi chiede-remo solo di informarci. È un quadrimestrale, forse un domani un trimestrale, non vuole raccontare il giorno per giorno della scienza, in particolare dello spazio. C’è molto nel web. Abbiamo l’ambizione di volere approfondire, ma soprattutto di mostrare la contaminazione che diversi generi, a prima vista lontani, hanno tra loro, con una facilità sempre maggiore. Lo spazio non è lontano, noi siamo lo spazio. La scienza è parte della nostra cultura. In tutte le cose che facciamo. Non c’è musica senza matematica, non c’è astro senza fisica, non c’è coltivazione che non sia in debito con la biologia, con la chimica, intesa come ricerca di equilibrio di elementi naturali. L’intento di questa rivista è di guardare il mondo con gli occhi di chi non vede confini, ma interazioni o possibili interazioni. E partendo dal piccolo, il locale, guardando al generale. Perché il local è glocal e poi global. L’Associazione Artemis mette insieme professionisti in diversi settori della comunicazione che non hanno un obiettivo se non quello di contribuire al dibattito culturale in particolare nel settore scientifico. Professioni che hanno un mestiere, famiglia, impegni quotidiani e un solo interesse comune: contribuire culturalmente. In cambio di…? Niente. Perché l’associazione è una Onlus. Non vuole profitti, al massimo costi coperti per sviluppare i suoi progetti. Partiamo dal Veneto perché come Associazione abbiamo la ragione sociale in Veneto, ma andremo per territori, perché vogliamo fare come Mario Soldati quando ha scritto Vino al Vino. Una sorta di spazio allo Spazio, o Scienza alla Scienza. Mario Soldati girò tutto il paese per raccontare una realtà, il vino. Ma era di Torino e al Piemonte e rimase sempre legato, nel suo essere e nel suo fare, alla sua città alla sua regione. E noi resteremo legati al Veneto, a Verona, come Associazione.
L’editoriale 06
Il futuro della viticoltura è nello spazio - intervista a Massimo Comparini 10 Agricoltore 5.0 -a colloquio con Francesco Marinello 12 Artemi 1: andata e ritorno con splashdown 14 Le dieci e più stelle della scienza 2022 19 Ministeriale ESA: l’Italia sceglie di investire sullo spazio -in calendario il primo volo umano dell’India, la Russia torna sulla Luna e poi l’Europa di Giove con Juice 24 Venezia, Colorado Spring d’Europa?
-intervista a Federico Zoppas
29 Perché un distretto spaziale in Veneto 34 Bepi Colombo, padovano d’oltreoceano -a colloquio con Giovanni Caprara 38 Il festival del cinema nasce a Venezia -128 anni di una scelta entrata nella storia 44 Venezia a tavola 2023 46 Avatar 4.0 -intervista al regista James Cameron 49 In libreria -il capitalismo stellare di Marcello Spagnulo
Indice
N.1 | GENNAIO 2023
Direttore responsabile Giulia Bonelli giulia.bonelli@associazioneartemis.com Hanno collaborato a questo numero Anilkumar Dave Francesco Rea Marco Spagnoli
Progetto grafico Davide Coero Borga
Web editor Fabrizio Beria
Concessionaria pubblicitaria Pinar Marketing & Comunicazione
Contatti
Via Sommacampagna 51 · 37137 Verona redazione@associazioneartemis.com marketing@associazioneartemis.com www.artemiscience.news
Editore Associazione Artemis www.associazioneartemis.com
Testata in fase di registrazione da parte del Tribunale di Verona
Crediti immagini Esa, Nasa, Pexels, Wikimedia Commons


Massimo Claudio Comparini è un ingegnere elettronico e aerospaziale con una laurea in Strategia alla Graduate School of Business dell’Università di Stanford. Attualmente ricopre l’incarico di Ceo di una delle principali aziende del settore spaziale, Thales Alenia Space Italia. Ma oltre a essere un esponente di rilievo nel settore spazio, Massimo Comparini è anche sommelier e wine writer con più di 20 anni di esperienza. Per molti anni è stato co-autore con Ian D’Agata della guida Migliori Vini d’Italia e ha co-gestito la International Wine Academy di Roma. Ha una profonda conoscenza dei vini francesi e del nuovo mondo, avendo vissuto per lo più negli Stati Uniti e in Francia. È docente in diverse università in Italia e all’estero su tematiche inerenti la tecnologia, la gestione dell’innovazione e naturalmente il business del vino. Qualche mese fa si è fatto promotore dell’iniziativa, unitamente all’Agenzia Spaziale Italiana e alla Fondazione Italiana Sommelier, di inviare barbatelle nello spazio a bordo della Stazione Spaziale Internazionale.
Promozione del vino italiano a livello internazionale o anche intento scientifico?

L’iniziativa che abbiamo presentato in occasione del Forum annuale della Fondazione Italiana Sommelier ha assolutamente una valenza scientifica, al di là degli aspetti più d’immagine. In passato ci sono già state sperimentazioni simili sulla Stazione Spaziale Internazionale. Seguendo la crescita in microgravità delle piante, è stato possibile ad esempio osservare un’evoluzione genetica che potrebbe renderle molto più resistenti agli effetti del cambiamento climatico -che, come sappiamo, influenza molto l’agricoltura. La crisi climatica riguarda anche la coltura della vite, determinando squilibri rispetto al modo di coltivare a cui siamo stati abituati per secoli. Squilibri che nascono ad esempio a causa di temperature più alte, che spesso determinano un anticipo di vendemmia. Anticipare la vendemmia può creare un disequilibrio alle componenti acide del frutto, e di conseguenza anche
Intervista a Massimo Comparini
Ceo di Thales Alenia Space Italia e wine writer
al vino prodotto. È quindi interessante proseguire gli studi sulle piante in microgravità, per comprendere meglio come possiamo far fronte ai cambiamenti climatici anche in ambiti specifici come la coltivazione della vite. Questo rientra in un filone più ampio, ovvero come lo spazio contribuisce alla vita sulla Terra. Siamo sempre stati abituati a vedere lo spazio come collegato all’esplorazione e alla conoscenza di sistemi lontani. Abbiamo vissuto l’entusiasmo della prima missione del programma Artemis. Però dobbiamo riflettere anche su quanto lo spazio contribuisca alla vita qui sul nostro pianeta. E la produzione di cibo, l’agricoltura, la viticoltura di precisione sono esempi di come lo spazio possa migliorare la nostra vita sulla Terra. Tutto questo mette insieme le mie due grandi passioni: spazio e vino.
Oggi, abbiamo detto, è amministratore delegato di Thales Alenia Space Italia. Per anni è stato amministratore delegato della società e-Geos, una joint venture Telespazio e Asi che si occupa di dati satellitari. Proprio dall’utilizzo dei satelliti derivano diversi programmi legati alla cosiddetta agricoltura di precisione. Che cosa si intende? Per agricoltura di precisione si intende un’analisi molto accurata del terreno da un punto di vista spaziale. Stiamo parlando di aree anche di pochi metri. Questo permette di indicare trattamenti differenziati specifici come l’uso mirato delle risorse idriche e dei fertilizzanti, con una riduzione del fattore chimica. Tutto nasce dalla comprensione molto dettagliata di quello che sta avvenendo sul terreno coltivato. Nel caso della vite, ad esempio, comprenderne il grado di vigore, quindi come sta crescendo, oppure seguire la crescita delle coltivazioni in funzione del loro ciclo fenologico. Questi dati, ottenuti dall’uso dei satelliti e dei droni, consentono di erogare la risorsa idrica nella giusta quantità, così da ridurne fortemente l’uso. Ma anche ridurre l’impatto della chimica rendendo l’agricoltura più produttiva. Oggi siamo usciti dalla fase sperimentale e siamo consapevoli che attra-
verso queste tecnologie riusciamo a produrre di più e in modo molto più sostenibile. Questo è forse uno degli aspetti più importanti delle tecnologie spaziali applicate al nostro pianeta. Perché la popolazione mondiale cresce e abbiamo bisogno di un’agricoltura più produttiva e sostenibile per far fronte alle sempre maggiori esigenze di sostentamento. E dobbiamo farlo rispettando il nostro pianeta, senza esaurire le risorse.
L’estate 2022 è stata piuttosto difficile. La siccità ha colpito varie aree del paese, tra cui appunto zone prettamente a vocazione agricola/viticola. Secondo lei la crisi climatica che stiamo vivendo sta accelerando l’agricoltura di precisione?
C’è una consapevolezza sempre maggiore di quanto il dato spaziale sia importante per fenomeni macroscopici come la siccità. Fenomeno che, secondo uno studio del Cnr, interesserà tra il 30 e il 40% del nostro territorio nazionale. Ecco che il dato spaziale diventa fondamentale. Lo dimostrano i programmi messi in campo dall’Unione Europea attraverso l’Agenzia Spaziale Europea, come la costellazione Copernicus, o dall’Italia e dall’Agenzia Spaziale Italiana con il programma Cosmo-SkyMed. Oggi abbiamo una grande ricchezza di dati provenienti dai sensori già in orbita, e altri se ne aggiungeranno nei prossimi anni. Ad esempio la nuova fase del programma Copernicus, in cui per altro l’Italia gioca un ruolo di assoluta leadership, sia per quanto riguarda la costruzione dell’infrastruttura satellitare sia per l’erogazione dei servizi. Stiamo parlando di programmi dell’Agenzia Spaziale Europea, ma anche di una parte importante del Pnrr Italia. L’obiettivo è avere un modello digitale del terreno a livello globale, aspetto fondamentale per capire come contrastare gli effetti dell’emergenza climatica.
In una presentazione di qualche tempo fa ha detto: «Il futuro della viticoltura, nell’ambito spaziale, è adesso». In che modo la conoscenza spaziale del ter-
Droni e satelliti sono molto importanti per l’evoluzione dell’agricoltura e della viticoltura. Dobbiamo entrare in una dimensione nuova se vogliamo conservare la bellezza della natura.
reno può aiutare l’agricoltura vinicola, un’economia importante per l’Italia?
Oggi, al pari dell’agricoltura di precisione, anche la viticoltura di precisione è uscita dalla fase sperimentale. È applicata, ovviamente, soprattutto nelle grandi estensioni e a supporto del loro ciclo produttivo. Prima accennavo alle mappe di vigore dei vigneti: permettono di capire come sta crescendo la pianta, qual è il grado di maturazione e addirittura aiutano a realizzare una fase vendemmiale molto selettiva, per avere il meglio dal frutto che viene vendemmiato. È chiaro che l’uso di queste tecnologie è più semplice nelle grandi distese di vigneti in continenti come l’Australia o il Sud America. Ma dobbiamo permettere anche alle produzioni più piccole e ai piccoli viticoltori di usufruire al meglio delle opportunità offerte dalle tecnologie satellitari. Questo riguarda anche la nostra produzione vinicola, con aziende che agiscono su aree più piccole e un terreno più frastagliato. Come per l’agricoltura, anche per la viticoltura siamo usciti dalla fase sperimentale e siamo in una fase applicativa, rivolta ad avere maggior qualità e maggiore produttività, ma in modo più sostenibile. Fattore molto importante, soprattutto in Italia.
Gli ettari vitati anche di grandi dimensioni in Italia hanno caratteristiche morfologiche del terreno a volte molto differenti a distanza di poche centinaia di metri. Questo è parte della varietà dell’offerta vinicola del nostro paese, ma probabilmente rappresenta una complessità dal punto di vista tecnologico. Non voglio essere troppo tecnico, però non c’è un unico tipo di dato geospaziale per tutto. Ad esempio noi siamo dotati di un sistema di osservazione della Terra radar, ma siamo anche stati i primi in Europa a sviluppare un sensore, chiamato Prisma, che dalla sua orbita consente di osservare le caratteristiche chimico-fisiche del terreno in tante bande diverse, fornendo un’informazione assolutamente di dettaglio. Questo consente, pur in una variabilità di terreni che hanno caratteristiche ed evoluzioni geologiche
diverse a poca distanza l’uno dall’altro, di comprendere le loro differenze elaborando i dati spaziali insieme a quelli forniti dai droni. Perché la combinazione drone-satellite è molto importante per l’evoluzione dell’agricoltura e della viticoltura.
I produttori di vino sono consapevoli dell’opportunità data da queste tecnologie?
La risposta è sì, ma secondo me dobbiamo accelerare. È solo negli ultimi anni che, in termini più ampi, si sta avendo consapevolezza di quanto sia importante osservare la Terra dallo spazio. Lo dico ad esempio per un altro dominio particolarmente rilevante, quello del monitoraggio delle infrastrutture. Oggi, attraverso i sensori radar che abbiamo costruito e concepito negli anni scorsi, possiamo monitorare e misurare lo spostamento delle infrastrutture, o anche di parti del terreno, con precisioni addirittura millimetriche. Dobbiamo utilizzare di più queste tecnologie. Nel campo dell’agricoltura e della viticoltura di precisione c’è stata una forte accelerazione, ci sono iniziative molto rilevanti. Ma penso che dovremmo entrare in una dimensione nuova, più ampia, in cui si comprenda quanto l’utilizzo di questa tecnologia sia particolarmente importante per conservare la bellezza della natura.
Agricoltore 5.0
di Anilkumar DaveL’agricoltura di precisione è da sempre uno degli ambiti di applicazione più evidenti dell’uso dei dati satellitari. Stimare la resa di un terreno, simulare la produzione di biomassa, capire il grado di maturazione di una coltura: all’inizio poteva sembrare un esercizio puramente didattico. Ma la situazione è cambiata con la sempre crescente facilità (e disponibilità) di dati e la presa di coscienza da parte della filiera agricola delle potenzialità dei dati spaziali. Il dipartimento di Agricoltura dell’Università di Padova ha una lunga storia di impollinazionenon sarebbe stato efficace dire ‘contaminazione’ - tra dati spaziali e agricoltura, e un approccio molto interessante al tema. «L’agricoltura di per sé non è cambiata nei suoi fondamentali: lo scopo principe è gestire in maniera sostenibile il territorio e capire i fabbisogni delle colture», dice Francesco Marinello, docente dell’ateneo patavino e dell’Università della Georgia negli Stati Uniti. «Sono cambiati gli strumenti e la velocità di implementazione delle decisioni. Un ettaro di coltivazione (filare di vigna, campo di grano, orticoltura, ecc.) sviluppa circa 4 km di percorso e diventa un ‘centro di costo’ se consideriamo il tempo-uomo, il tempo-macchina e le materie prime necessarie per coprire l’ettaro e analizzare i 4 km. I
dati spaziali permettono di ridurre drasticamente questi costi e forniscono una serie di dati altrimenti impossibili da ottenere, come le proprietà organolettiche del terreno, le caratteristiche idrogeologiche, le reazioni ai trattamenti. Se poi consideriamo la possibilità di avere acquisizioni ripetute nel tempo, i dati spaziali forniscono delle serie storiche di dati preziosi per definire una fotografia dinamica e una mappatura 4D di un terreno e della sua coltura». Questa abbondanza di dati comincia ad alimentare un paradosso dell’informazione: la mole di dati e le preziose informazioni estratte hanno bisogno di operatori umani che prendano e supportino le decisioni, e che mettano in pratica il binomio ‘inform-azione’. Dati, informazione, azione. Secondo Marinello, diventa sempre più cruciale formare una nuova generazione di agricoltori che, mantenendo immutati i fondamentali, sappiano sfruttare al meglio gli strumenti che lo spazio può mettere a disposizione. L’agricoltura è al centro di una nuova rivoluzione e ha una grande responsabilità in termini di sostenibilità ambientale, sfruttamento del territorio, consumo delle risorse. Non a caso si chiama settore ‘primario’. L’agricoltore 5.0 non è un data scientist prestato all’agricoltura, né un agronomo con velleità in-
formatiche. «È un’evoluzione del profilo dell’agricoltore classico, è una persona in grado di sfruttare al meglio le informazioni generate da un dataset sempre più eterogeneo e ricco, che permette di avere un quadro sempre più ampio e di poter prendere delle decisioni», dice Marinello. Ecco perchè coltivare l’innovazione grazie allo spazio può essere un payoff che riassume bene le nuove sfide di un settore che rimane il più alto per numero di addetti e destinatario del maggior numero di obiettivi di sviluppo sostenibile (Sdg) dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite.

A colloquio con Francesco Marinello, docente di agricoltura di precisione all’Università di Padova

Dopo più di due milioni di chilometri percorsi, lo splashdown della capsula Orion ha concluso il viaggio di Artemis 1, la missione inaugurale del programma statunitense di ritorno sulla Luna. Chiamata come la gemella di Apollo, la missione Artemis 1 ha preso il via 16 novembre 2022 da Cape Canaveral, dopo numerosi rinvii, dovuti ai problemi legati alla realizzazione del razzo Sls (Space Launch System), il più grande vettore mai realizzato dall’uomo. Anche più grande del Saturno V che ha portato alla fine degli anni ’60 l’uomo sul suolo del nostro satellite. Non una fase semplice, quella del rientro della capsula Orion della Nasa. Una volta separatasi dal Modulo di servizio realizzato dall’Agenzia Spaziale Europea, Orion ha testato una speciale manovra di rientro in atmosfera. Chiamata Lunar Return Skip Entry, la manovra comporta un primo ingresso in atmosfera a una velocità di 11 chilometri al secondo, un rimbalzo di nuovo in orbita che ne dissipa gran parte dell’energia e, a quel punto rallentata, un secondo e definitivo ingresso in cui è possibile controllare maggiormente il punto di ammaraggio riducendo fino a circa 4g la decelerazione cui, nel futuro, saranno sottoposti gli astronauti. Nonostante qualche piccola defaillance, la missione Artemis deve essere considerata un pieno successo,
passo fondamentale per il prosieguo del programma che, nel 2024, riporterà qualcuno a guardare la Luna da vicino. Anche in quel caso, però, senza poterla toccare. Cosa che dovrebbe invece accadere con Artemis 3, a oggi prevista non prima del 2025, anche se la data più realistica è più verso il 2028. Questo era infatti lo scenario inizialmente previsto dalla Nasa, prima che la data fosse anticipata per le velleità di Donald Trump di voler far coincidere la fine del suo secondo mandato con il ritorno di un essere umano sul suolo lunare. Dopo questa missione è previsto che molti astronauti tornino con continuità sulla Luna, abitando la stazione cislunare, il Lunar Gateway la stazione spaziale in orbita lunare di cui si prevede il lancio dei primi moduli - il Power and Propulsion Element e l’Habitation and Logistics Outpost - non prima del novembre del 2024, un altro progetto con una consistente partecipazione italiana ed europea. Tra questi anche astronauti europei, tra i quali sono candidati gli italiani Samantha Cristoforetti e Luca Parmitano. Ma prima che un essere umano torni a calpestare il suolo del nostro satellite naturale, test fondamentale per Artemis sarà un allunaggio di prova senza persone a bordo, al momento programmato per la fine del 2024. La Nasa ha intanto assegnato un nuovo contratto

da 3,2 miliardi di dollari a Boeing per continuare la costruzione di alcuni componenti del razzo vettore Space Launch System (alcuni core stage compresi) fino ad Artemis 6. Non sarà però l’unico vettore disponibile per andare sulla Luna. In ballo anche la navetta Starship di SpaceX o un lanciatore di Blue Origine, a garantire i collegamenti con il Lunar Gateway. In questa prima fase, l’area preferita di allunaggio sarà il Polo Sud, al fine di mappare con precisione le zone ricche di ghiaccio d’acqua nel fondo di alcuni crateri e quantificarne il contenuto. Le sonde però non saranno costruite dalla Nasa, ma da privati selezionati nell’ambito del Commercial Lunar Payload Service avviato nel 2018. La Nasa invece realizzerà gli strumenti da imbarcare e provvederà a seguire e gestire le operazioni con i propri centri. Finora sono otto le missioni selezionate, organizzate e finanziate solo nel loro carico utile a prezzi fissi. L’anno prossimo ne partiranno cinque (Prime-1, IM-1, Blue Ghost, Peregrine, Trailblazer) con i primi lanci da marzo. Se la Nasa sostiene gli strumenti e le ricerche, le sonde sono invece il frutto di fondi raccolti nel mercato del private equity. Anche la Luna, dunque, rientra in questo modo nella nuova Space Economy favorendo la nascita di diverse piccole società attive nelle tecnologie spaziali d’avanguardia.
Il lavoro preparatorio delle sonde è essenziale per aprire la strada all’insediamento permanente sul suolo lunare, nel quale si svolgeranno attività di ricerca in diversi ambiti, dall’astronomia alla produzione di beni utili sulla Terra. Inoltre, dalla base al Polo Sud sarà possibile avviare l’esplorazione di altre zone della Luna ritenute interessanti per diversi motivi. Tra le mete più ambite da tutte le nazioni impegnate in questa nuova corsa alla Luna c’è l’estrazione dell’elio-3, un elemento prezioso per alimentare le future centrali a fusione nucleare terrestri.
Oltre i Paesi che condividono il programma Artemis, la Cina persegue gli stessi obiettivi assieme alla Russia con la quale ha firmato a tal fine un accordo di cooperazione nel marzo 2021. E mentre la Cina prepara una nuova sonda automatica, Chang’e- 6 che partirà nel 2025, la Russia spedirà l’anno prossimo Luna-25, riprendendo la serie delle sonde lunari che aveva lanciato nel lontano passato, l’ultima delle quali era Luna24 nel 1976 che riportò sulla Terra 170 grammi di suolo lunare.


Malgrado le polemiche legate alla scelta del nome e a quelle, ben maggiori, per i ritardi accumulati prima della sua messa in orbita, il James Webb telescope, o meglio il suo operato, è tra le scoperte scientifiche del 2022 selezionate dalla rivista Science. Il modo migliore per dare ragione a chi ha creduto in questo progetto fino alla fine è stato, infatti, dimostrare tutto il potenziale di un telescopio che sembra prometterci grandi scoperte nei prossimi anni. Il Webb ha scoperto le più antiche galassie di sempre, ha fatto luce sulla composizione chimica dell’atmosfera di un esopianeta, ci ha restituito immagini mozzafiato, superando il suo predecessore, l’Hubble Space Telescope, come era nelle attese dei tanti suoi estimatori, comunità astronomica in primis.
Altro risultato scientifico del 2022 segnalato da Science è una ricerca che sembra dirimere, finalmente, una questione aperta da tempo nel campo della neurologia, il legame tra il virus Epstein-Barr e la sclerosi multipla. L’associazione tra i due è nota da tempo, ma lo studio mostra l’esistenza di un nesso causale tra l’infezione e la malattia, sebbene la sola infezione del virus virus Epstein-Barr non risulta sufficiente a scatenare la malattia. C’è ancora molto da capire, ma un primo passo è stato fatto.
Rimanendo nell’ambito della medicina, Science segnala la scoperta dell’origine, probabilmente, della peste nera, malattia che, per fortuna, abbiamo imparato a conoscere solo sui libri di scuola. Le più antiche vittime della malattia arrivano dal Kirghizistan. Ma a questo dato si è aggiunta anche la scoperta delle caratteristiche fisiche per cui alcuni soggetti erano più soggetti di altri ad ammalarsi. Le analisi genetiche condotte su circa 500 tra vittime e sopravvissuti alla peste nera hanno identificato alcune caratteristiche che sarebbero state protettive nei confronti dell’infezione. Ma queste stesse caratteristiche, tramandate fino ai giorni nostri, avrebbero reso i loro portatori più suscettibili alle malattie a base autoimmune, come le malattie reumatiche e Crohn. C’è poi un risultato, nell’ambito della biologia, che ri-

L’annuale classifica delle scoperte più significative dell’anno appena trascorso
guarda il batterio da record Thiomargarita magnifica. Si tratta del più grande batterio mai scoperto, visibile a occhio nudo. Avete mai visto un batterio se non al microscopio? Non credo. La media dei batteri misura 2 micrometri (milionesimi di metro), mentre Thiomargarita magnifica arriva al centimetro. «Come se un umano incontrasse un’altra persona grande quanto il Monte Everest», ebbe a spiegare Jean-Marie Volland, tra i protagonisti della scoperta. Anche quest’anno, come è giusto che sia, non possono mancare antivirali o vaccini. Rimanendo dunque in tema virus, vanno segnalati dunque i progressi nello sviluppo di un vaccino contro il virus respiratorio sinciziale (Rsv). Patogeno che, complici anche le restrizioni degli anni passati legate alla pandemia, è protagonista di una recrudescenza. Diverse case farmaceutiche hanno comunicato risultati incoraggianti per lo sviluppo di un vaccino, che protegga i neonati – tramite somministrazione alle donne in gravidanza – e le popolazioni over 60. Non poteva poi mancare il settore spaziale tra le dieci ‘stelle scientifiche’ dell’anno. È stata infatti un successo la missione missione Dart (Double Asteroid Redirection Test) che ha fatto le prove con l’asteroide Dimorphos, riuscendo a ‘spostarlo’ usando una sonda di appena una ventina di metri. A testimoniare tale successo, un cubesat tutto italiano, realizzato dall’azienda piemontese Argotec e finanziato dall’Agenzia Spaziale Italiana: LiciaCube, il cui logo è stato disegnato da un artista del fumetto, Leo Ortolani. Tornando sulla Terra, il 2022 ha dimostrato ancora una volta l’urgenza della crisi climatica che stiamo vivendo. Le risorse del pianeta devono essere considerate diversamente. Per questo gli sviluppi compiuti nella coltivazione del riso perenne, una varietà che non ha bisogno di essere ripiantata ogni anno, ottenuta ibridando una varietà di riso asiatico annuale di Oryza sativa con una perenne africana Oryza longistaminata, sono, giustamente, da sottolineare. Su Nature Sustainability alcuni ricercatori hanno riportato i risultati ottenuti sul campo: il riso perenne per
quattro anni assicura raccolti paragonabili a quelli annuali, facendo risparmiare circa il 60% della forza lavoro e abbassando i costi di investimento di circa il 50% per ogni ciclo di ricrescita.
Tra i settori scientifici che Science celebra per il 2022, vi sono i risultati raggiunti nel campo dell’intelligenza artificiale, sottolineandone il lato creativo. Così come il settore genetico, con la ricostruzione di un ecosistema della Groenlandia resa possibile dal sequenziamento di Dna ambientale, che ha mostrato la presenza nel luogo di mammut, renne, betulle, pioppi. Niente che sia paragonabile ad ambienti della nostra era, e che è stato possibile ricreare grazie a Dna ben conservato, il più antico mai scoperto.
La lista delle eccellenze 2022 di Science si conclude con una scelta politica. Già, perché assai rilevante. Il paese dell’ex Presidente Donald Trump, che aveva fatto della negazione del cambiamento climatico parte importante della sua politica, ha approvato la legge Ira (Inflation Reduction Act of 2022) che ha tra i suoi obiettivi dare grossi incentivi allo sviluppo delle energie rinnovabili, alla riduzione delle emissioni e alla giustizia ambientale. È stata definita ‘la più significativa legislazione sul clima della storia americana’ e potrebbe dare un grosso colpo al taglio delle emissioni - fino al 40% rispetto ai primi anni Duemilaentro il 2030. Andando oltre le scelte di Science va sicuramente segnalata, oltre alla missione Artemis a cui dedichiamo un articolo, la nuova missione nello spazio di Samantha Cristoforetti. Tra i nuovi primati ottenuti dall’astronauta italiana dell’Esa, quelli di diventare comandante della Stazione Spaziale Internazionale e di eseguire un’attività extraveicolare, la prima per una astronauta europea. Della missione Artemis dobbiamo però ricordare il ruolo italiano con Argomoon, il cubesat di Argotec realizzato con il supporto dell’Agenzia Spaziale Italiana, che ha ripreso il funzionamento del vettore Sls durante la sua fase di ascesa e il distacco dei vari stadi, permettendo la verifica del suo pieno funzionamento.
Argomoon, sebbene lanciato dopo, è stato il progenitore di LiciaCube, usato, come scritto in precedenza, quale testimone della missione Dart della Nasa. Cambiando argomento, importanti passi avanti sono stati fatti nella realizzazione dei nuovi computer quantistici e nella comprensione dei meccanismi quantistici di entanglement e di trasferimento delle informazioni. Un gruppo di ricercatori ha pubblicato su Nature una notizia che apre la strada alla creazione di processori quantistici basati su silicio per la produzione e l’applicazione nel mondo reale. Complice la guerra russo-ucraina, tema caldo del 2022 è stato la produzione di energia pulita, in particolare la fusione nucleare. Due le novità in questo campo. La prima in aprile dal Regno Unito: First Light Fusion (First Light), lo spin-out della fusione dell’Università di Oxford, ha confermato di aver raggiunto i suoi primi obiettivi di fusione nucleare. L’Autorità per l’Energia Atomica del Regno Unito (Ukaea) ha convalidato in modo indipendente il risultato. Questa è la prima volta che la fusione viene raggiunta utilizzando gli obiettivi unici sviluppati da First Light e la corrispondente tecnologia dei proiettili. La missione di First Light è risolvere il problema dell’energia da fusione con la macchina più semplice possibile. La fusione a proiettile è un nuovo approccio alla fusione inerziale che è più semplice, più efficiente dal punto di vista energetico e presenta un rischio fisico inferiore. First Light ha ottenuto la fusione dopo aver speso meno di 45 milioni di sterline e con un tasso di miglioramento delle prestazioni più veloce di qualsiasi altro schema di fusione nella storia. Invece di utilizzare laser o magneti complessi per generare o mantenere le condizioni per la fusione, l’approccio di First Light è quello di comprimere il carburante all’interno di un bersaglio utilizzando un proiettile che viaggia ad altissima velocità. La tecnologia chiave nell’approccio di First Light è il design dell’obiettivo, che concentra l’energia del proiettile, facendo implodere il carburante alle temperature e alle densità necessarie per realizzare la fusione.
Il secondo risultato da sottolineare è quello raggiunto dai ricercatori del National Ignition Facility (Nif) in California, che concentrando 2,05 megajoule di luce laser su una minuscola capsula di combustibile per fusione hanno innescato un’esplosione che ha prodotto 3,15 Mj di energia, l’equivalente di circa tre candelotti di dinamite. Si tratta di un passo in avanti importante, perché fino ad oggi gli esperimenti non erano mai andati in positivo (net gain). Un risultato in realtà anche troppo esaltato, in quanto la produzione di energia è stata comunque in negativo se si considera tutta l’energia usata per avviare l’esperimento e non solo quella emessa dai laser. Ma è sicuramente un passo avanti per lo sviluppo di una tecnologia che non sarà però disponibile a breve. Fatto questo che impone la scelta di strategie per la produzione energetica alternative, se vogliamo far fronte ai cambiamenti climatici in atto.
[Redazione]Il 2022 ha dimostrato ancora una volta l’urgenza della crisi climatica che stiamo vivendo. Le risorse del pianeta devono essere considerate diversamente.

Volere volare
Ministeriale ESA: l’Italia ribadisce e intensifica i finanziamenti per lo spazio europeo
Il budget di 16,9 miliardi di euro approvato dal Consiglio Ministeriale dell’Agenzia spaziale europea (Esa), che si è concluso a Parigi alla fine del 2022, è il chiaro segnale che l’Europa dello spazio fa sul serio. L’impegno finanziario per il periodo 2023-2027 vede infatti un incremento di quasi il 17% rispetto ai 14,511 miliardi stanziati nel precedente vertice del 2019. Si tratta però una cifra inferiore agli oltre 18 miliardi richiesti dal direttore generale, Josef Aschbacher; molto ha contato il contesto internazionale, economico e finanziario, politico e diplomatico, in cui i 22 paesi membri dell’Esa hanno messo mano al portafoglio. In questa partita l’Italia conferma la sua terza posizione, ma con un peso sempre più rilevante. Questo è il dato che più colpisce analizzando la posizione nazionale. Un peso che è determinato non solo dai 119 milioni di euro che separano il contributo finanziario italiano di 3,083 miliardi da quello francese di 3,202 – la Germania continua a guidare con 3,512 miliardi – ma anche dalla qualità dei programmi sui quali l’Esa ha deciso di investire per rafforzare le ambizioni spaziali europee. Tra i pilastri della strategia delineata da Aschbacher, ci sono infatti settori cruciali della filiera spaziale italiana - una delle più complete non solo a livello europeo - come il trasporto spaziale,
l’osservazione della Terra, l’esplorazione dell’universo e le telecomunicazioni.
Il trasporto spaziale, con 2,835 miliardi di euro, è il secondo capitolo per finanziamenti ma certamente il più strategico, poiché garantisce l’accesso allo spazio, e il più delicato, a causa della concorrenza dei lanciatori riutilizzabili di SpaceX che hanno fatto saltare i conti degli Ariane, i lanciatori europei di grossa taglia. Non a caso il nuovo Ariane 6 è in grave ritardo. In questo quadro il lanciatore italiano di piccola/media taglia, Vega dell’Avio di Colleferro, è diventato sempre di più uno dei pilastri della strategia europea di accesso allo spazio, essendo molto competitivo e affidabile. Su questo dossier già da tempo è in corso un braccio di ferro tra francesi e italiani a causa della posizione di Arianespace come venditore unico dei lanci dell’Esa. A complicare le cose c’era anche stata la decisione del colosso franco-tedesco Ariane Group di sviluppare Maya, un piccolo lanciatore riutilizzabile che andrebbe inevitabilmente a minacciare il segmento di mercato di Vega. Una mossa che aveva spinto il governo Draghi a porre con forza la questione nei rapporti bilaterali con Parigi, arrivando a mettere in discussione il ruolo di Arianespace come venditore unico. La dichiarazione del Ministro Urso con i
Ministri Le Maire per la Francia e Habeck per la Germania sul futuro quadro di utilizzo dei lanciatori europei ha messo un punto fermo: in soldoni, se si investono fondi pubblici come quelli dell’Esa e l’Italia spende il 50% per i lanciatori, il nostro Paese deve rientrare del 50% ; il tavolo di riflessione sui lanciatori è aperto e dovrà essere presa una decisione entro la fine del 2023. Tra l’altro nei 2,835 miliardi non c’è lo sviluppo francese di Ariane 6, il che porta a pensare che il peso italiano sia ancora maggiore.
L’osservazione della Terra, con 2,692 miliardi, è un altro settore dove l’Italia pesa. Non solo perché a Frascati c’è il direttorato competente, ma perché la nostra industria ha molte leadership tecnologiche. Notevole il risultato ottenuto dalla delegazione italiana sull’esplorazione umana e robotica. Al di là dei due nuovi astronauti, la delegazione italiana è riuscita a salvare ExoMars e a riprogrammarlo con gli Stati Uniti nel 2028. Un grande risultato, visto che il programma a causa della partecipazione russa (lanciatore e modulo di discesa) era stato ritardato prima e poi messo da parte a causa della guerra in Ucraina. Gli americani costruiranno i componenti Rhu (riscaldatori al plutonio per mantenere costanti le temperature) per cui Ariane non è autoriz-
zato e sostituiranno la parte russa del modulo di discesa. L’Italia porta a casa anche Moonlight, il programma per lo studio dei servizi di comunicazione e navigazione per la Luna a guida italiana e l’importante rifinanziamento di Space Rider, programma per il modulo di rientro atmosferico, sperimentato con grande successo (una sorta di piccolo Shuttle). Infine alla nostra industria si aprono le porte delle nuove tecnologie per le telecomunicazioni, come l’ottica quantistica, in cui siamo forti nella ricerca ma carenti nella parte industriale e di trasferimento tecnologico. L’impegno dell’Italia è superiore ai tre miliardi di euro sui prossimi cinque anni, con un incremento superiore al 20% rispetto alla precedente Ministeriale del 2019. Tale ammontare rappresenta circa il 18,2% del contributo globale dei 22 Stati Membri, e assesta il posizionamento dell’Italia al terzo posto rafforzato dopo Germania e Francia. Insomma, ci sono tutti gli elementi per definire questa Ministeriale un successo.

Calendario spaziale
Dai voli privati alle missioni dirette alle lune ghiacciate di Giove, fino al lancio del primo telescopio spaziale cinese e alla prima missione indiana con astronauti a bordo: il 2023 è già ricco di appuntamenti
FEBBRAIO MARZOIl primo appuntamento, come riporta la rivista britannica All About Space, è previsto in febbraio, quando la navetta Gaganyaan dell’Agenzia spaziale indiana (Isro) porterà tre astronauti in orbita per sette giorni. Sarà la prima volta per l’India e, come accade per la Stazione Spaziale Internazionale e per la cinese Tiangong, anche la navetta indiana raggiungerà un’orbita di circa 400 chilometri dalla superficie terrestre.
A metà del 2023 un’altra missione privata di SpaceX si prepara a raggiungere la Stazione Spaziale Internazionale con un equipaggio di quattro persone, che dovrebbero restare a bordo per 10 giorni. L’azienda Virgin Galactic, intanto, sta preparando il primo volo suborbitale con quattro passeggeri a bordo, che potranno così sperimentare gli effetti della microgravità in un viaggio della durata di circa 90 minuti. I biglietti sono stati venduti a 450mila dollari.
In luglio è prevista la missione russa Luna 25, la cui partenza era inizialmente in programma nel 2022, che porterà un veicolo robotico sul polo sud lunare per sperimentare la tecnologia di atterraggio morbido e studiare suolo e atmosfera. Le probabilità che il conflitto con l’Ucraina faccia ulteriormente slittare la missione sono però elevate.
In marzo è prevista la missione Polaris Dawn di SpaceX, che per cinque giorni volerà con un equipaggio composto interamente da privati cittadini. I partecipanti si stanno anche preparando a completare la prima passeggiata spaziale commerciale, che avverrà a 700 chilometri dalla Terra.
In aprile sarà la volta di Juice, la missione dell’Agenzia Spaziale Europea (Esa), con una forte partecipazione dell’Italia, attraverso l’Agenzia Spaziale Italiana e la comunità scientifica del nostro paese, primariamente dell’Istituto Nazionale di Astrofisica, che affronterà un viaggio di sette anni per raggiungere Giove e tre delle sue lune ghiacciate: Europa, Callisto e Ganimede. La missione sarà la prima a studiare da vicino quest’ultima, l’unica del Sistema Solare ad avere un proprio campo magnetico, prima di distruggersi nell’impatto sulla sua superficie.
Nello stesso mese l’Australia si prepara a diventare il dodicesimo Paese a lanciare un proprio razzo, costruito dall’azienda privata Gilmour Space Technologies.

Il 24 settembre è previsto il ritorno sulla Terra della missione Osiris-Rex della Nasa, che nel 2020 è riuscita a raccogliere un campione dall’asteroide Bennu. Se tutto andrà secondo i piani, a settembre il veicolo paracaduterà il campione nel deserto dello Utah (Stati Uniti). L’evento terrà col fiato sospeso fino all’ultimo minuto, perché basterà un piccolo errore nella tempistica del rientro, nella velocità o nell’angolazione, per mancare il bersaglio o causare la distruzione del prezioso carico.
DICEMBRE
Previsto per la fine dell’anno anche un nuovo tentativo di lancio del razzo dell’azienda scozzese Skyrora, dalla base SaxaVord, in costruzione sulle isole Shetland; un secondo spazioporto, che punta ad essere il più green del mondo, è previsto nelle Highlands scozzesi.
[Ansa]
OTTOBRE
A ottobre è previsto il lancio di Psyche della Nasa, che raggiungerà l’omonimo asteroide nel 2029 con l’obiettivo di studiare la sua particolare composizione di nickel e ferro. Sarà densa di appuntamenti anche la fine del 2023. A dicembre, la Cina dovrebbe lanciare il suo primo grande telescopio spaziale, chiamato Xuntain, che vuol dire ‘sentinella dello spazio’. Con un’aspettativa di vita di 10 anni, il suo specchio principale sarà largo due metri, consentendo di studiare una regione del cielo 300 volte più grande del telescopio spaziale Hubble, di Nasa ed Esa.
Nello stesso mese, la sonda Juno della Nasa effettuerà un passaggio ravvicinato su Io, una delle lune di Giove, a circa 1.500 chilometri: sarà il primo incontro ravvicinato con la luna gioviana da più di 20 anni.






Venezia Colorado Spring d’Europa?

Intervista al presidente della rete RIR AIR Federico Zoppas
Space Meeting Veneto è l’appuntamento in programma a Venezia dal 15 al 17 maggio 2023. Una tre giorni dedicata al settore aerospaziale, alla sua prima edizione, creata e organizzata dalla Rir Air (la Rete Innovativa Regionale nell’Aerospace Innovation and Research). Ne parliamo con il presidente della Rir Air Federico Zoppas, Direttore Generale delle Zoppas Industries.
Space Meeting Veneto: di che si tratta?
Si tratta di un evento che abbiamo pensato di organizzare nel nostro territorio, e precisamente a Venezia. Si svolgerà in tre giornate e sarà dedicato interamente all’aerospazio. Il nostro obiettivo è mettere insieme aziende che possono esporre i propri prodotti e aziende che possono essere interessate a comprare tecnologie legate al settore aerospaziale, pur non facendone parte. Soprattutto nell’ambito della supply chain, quindi della componentistica, sia per quanto riguarda il prodotto manifatturiero che quello dei servizi. Nel primo giorno è previsto un focus particolare sul rapporto tra spazio e finanza, su tutto ciò che può essere collegato al trend imposto dalla Space Economy.
Stiamo parlando di una manifestazione di settore riservata agli operatori o a qualcosa di più? È un evento aperto a tutti. Ma è
indubbio che in questo settore si ricerca di più l’addetto ai lavori, quindi l’evento sarà finalizzato, fondamentalmente, a favorire lo sviluppo di un networking di settore, ma anche a favorire la conoscenza di un fenomeno così importante. Come appunto la Space Economy, e che sta destando curiosità e sete di conoscenza. Una curiosità inaspettata, che sta creando tantissima attrattività e tantissime possibilità di ricezione. Questo ovviamente non riguarda solo il primo giorno legato all’economia dello spazio, ma anche il successivo, dedicato alla supply chain. E soprattutto la terza giornata, che sarà focalizzata su quello che viene chiamato agri-tech oppure wine-tech
Perché questa scelta così marcata? Agri-tech e wine-tech… Innanzitutto è un progetto molto importante che riguarda tutta Europa se non tutto il mondo, oggetto anche di finanziamenti europei. Ma ci stiamo anche rendendo conto che la New Space Economy ha sì una parte legata all’infrastruttura, ai lanciatori, ai satelliti, al cosiddetto upstream, ma ha anche una grande parte di servizi downstream sui quali oggi noi, come Veneto, possiamo giocare veramente un ruolo molto importante. Il settore della viticoltura ne è un esempio emblematico. L’uso dei dati satellitari per monitorare e migliorare
le coltivazioni, dal momento della semina alla sua crescita, alla raccolta, a uno sviluppo di agricoltura e viticoltura che sia sempre più sostenibile a fronte di una maggiore e migliore produttività. Abbiamo anche la possibilità di utilizzare le università che sono presenti nel nostro territorio per unire la tecnologia tradizionale alla tecnologia derivante dalla ricerca spaziale, prendere tutta questa mole di dati che tutti i servizi upstream riescono a fornire per poi iniziare ad avere anche una certa capacità di elaborarli e quindi di metterli al servizio di tutta la filiera dell’agri-tech o del wine-tech.
Lei crede che l’uso delle tecnologie derivanti dai dati spaziali avrà un ritorno dal punto di vista economico limitato al solo settore interessato?
Oggi il settore agricolo e vitivinicolo sono settori ‘comodizzati’, usano modalità consolidate nel tempo. L’uso delle nuove tecnologie potrà favorire la produttività con minore dispendio di risorse naturali, minore uso di acqua, così come di elementi chimici. Una maggiore selezione dei trattamenti per fare meglio e di più. In questo settore l’uso del dato satellitare si accompagna all’uso del drone. Un domani potremo vendere nel mondo non solo un ottimo vino ma anche gli strumenti per ottenerlo, i servi-
zi e le tecnologie relative. Questo è l’intento.
A maggio la prima edizione di Space Meeting Veneto. Qual è l’ambizione?
La nostra ambizione è quella di farlo diventare un evento biennale, consolidato. L’obiettivo non è solo quello di valorizzare le tecnologie del nostro territorio, ma è fare da tramite tra quello che si trova in giro per il mondo e quello che si può sviluppare qui da noi, oppure quello che si sviluppa qui da noi in modo tale che possa essere impiegato in giro per il mondo. E la cosa che mi ha lasciato positivamente impressionato è stata la disponibilità da parte del mondo dell’aerospazio a partecipare a questo tipo di evento. Pensavo davvero di dover sudare le mitiche sette camicie per poter attirare l’attenzione dei più importanti player del settore, che invece non solo hanno dato il patrocinio all’evento, ma si sono impegnati con molto entusiasmo.

Nell’ambito della Space Economy il divario tra l’Europa e gli Stati Uniti è ancora molto grande. Di fatto la Space Economy in America è iniziata almeno dieci anni fa, e i principali attori del settore sono prevalentemente oltre oceano. Crede che riusciremo a recuperare questo divario? Secondo me sì. L’Italia ha sempre
giocato un ruolo molto importante nelle tecnologie spaziali e per questo è sempre stata guardata come un punto di riferimento. Sono nostre le tecnologie per esempio dei moduli abitativi che andranno o che sono già andati verso la Luna. C’è una progettualità molto avanzata per quanto riguarda le missioni verso Marte, e la maggior parte della cosiddetta supply chain viene reperita in Italia. È chiaro che ci presentiamo con un biglietto da visita molto importante. Il limite, secondo me, delle aziende italiane sta nella capacità relazionale e nel trovare l’interlocutore giusto per poter poi presentare il proprio prodotto.
La Zoppas industries è una azienda che è già riconosciuta tecnologicamente e che non sembra aver necessità di nuovi settori di attività. Perché vuole uscire dal proprio comfort?
Perché per mantenere la propria comfort zone ogni tanto bisogna uscirne. Perché possa rimanere tale deve essere rimessa in discussione ogni giorno. Noi operiamo in tanti settori applicativi, che vanno dalla componentistica per l’elettrodomestico alla componentistica per il settore ferroviario, per il settore del gas, per il caffé professionale, quello domestico e quant’altro. Ma vogliamo sempre cercare nuove sfide tecnologiche, quindi
stiamo investendo ad esempio in sistemi di riscaldamento che vanno sia per il settore del medicale che per il settore dell’aerospazio. Abbiamo sempre gestito la nostra azienda con questo spirito e dal 1990 forniamo sistemi di bilanciamento termico proprio per il settore dello spazio. Quindi siamo già presenti da parecchio tempo. Il tema è che vogliamo essere più presenti. E ci rendiamo conto che solo attraverso le relazioni promosse da questi eventi di networking si può trovare il contatto giusto, necessario per un’azienda che ha una piccola parte di attività nel settore aerospazio, per poter presentare il proprio prodotto, o realizzare raggruppamenti di impresa con altre aziende. Perché, di fatto, unirsi costituisce un fattore di forza.
Immagino che questo lavoro sia in coordinamento con la Regione Veneto.
Una volta esposto il nostro progetto al Governatore del Veneto, questi ci ha messo a disposizione il suo team e stiamo lavorando a ritmo veramente serrato, perché è un progetto talmente interessante che secondo me ha incuriosito un po’ tutti. Siamo riusciti a creare tutti gli elementi a contorno perché questo evento si possa realizzare nella maniera più bella e più efficace possibile. Nell’ambito della
Regione e quindi del territorio, con questo evento puntiamo a coinvolgere non solamente l’area di sviluppo economico, d’innovazione, ma anche la parte dell’infrastruttura, la parte della digitalizzazione, la parte del turismo. Speriamo, infatti, di attrarre anche molti visitatori. E questo rende ancora più interessante l’iniziativa, perché sollecita i tre attori fondamentali: aziende, territorio e università.
Lei pensa che questo vostro impegno in un settore di sviluppo così avanzato, come quello spaziale, abbia un ritorno anche nell’ambito dell’eco-sostenibilità a fronte dei cambiamenti climatici in atto? Certamente deve avere questo tipo di obiettivo. Oggi tutto quello che si cerca di fare lo si deve cercare di fare in una maniera più sostenibile. Per esempio, la nostra azienda ha un bilancio sociale ed è molto attenta alle tematiche relative al risparmio energetico, all’utilizzo di sistemi produttivi che siano sostenibili e si è dotata di una supply chain che ovviamente rispetta esattamente gli stessi criteri e le stesse norme della nostra azienda. Credo, inoltre, che il fatto di utilizzare questo tipo di tecnologie possa diventare un fattore abilitante per la prevenzione di potenziali disastri naturali. L’utilizzo di sistemi satellitari aiuterà sempre di più a prevedere quello che po-
trebbe succedere utilizzando una sostanza piuttosto che un’altra, oppure prevenendo un’ondata di calore. Bisogna interrompere questo ciclo negativo e bisogna farlo studiando la genesi di quello che può rappresentare un potenziale disastro per poter intervenire il prima possibile. Questo è possibile mettendo a punto tecnologie che possono aiutarci a operare senza ledere il nostro ambiente, ma anzi preservandolo.
Nell’ottobre 2024 Milano ospiterà l’International Astronautical Congress. Come si lega il vostro evento con quella manifestazione internazionale che torna in Italia dopo oltre dieci anni?
Prima di maggio si svolgeranno almeno una decina di eventi a livello mondiale. L’offerta sarà diversa, comunque cambiata. È ovvio che noi guardiamo con interesse all’appuntamento dello Iac a Milano il prossimo anno, ma noi stiamo lavorando per fare un evento internazionale, abbiamo tutta l’ambizione e tutte le competenze per poter costruire un evento di riferimento a livello mondiale. E lo dobbiamo fare. Perché meglio facciamo in questa prima edizione, più avremo la possibilità di poter contare sul fatto che non solo i partecipanti di quest’anno torneranno in futuro, ma ad essi se ne aggiungeranno altri. Io lavoro per-
Per mantenere la propria comfort zone ogni tanto bisogna uscirne. Perché possa rimanere tale deve essere rimessa in discussione ogni giorno.
ché questa manifestazione diventi la ‘Colorado Spring’ dell’Europa.
Volate alto…
Gli elementi ci sono tutti. Nel nostro territorio abbiamo due basi americane e diverse basi italiane. Favorire un ecosistema che possa farsi comprendere come un valore aggiunto e non solo come elemento di difesa non solo è possibile ma aupicabile.
E poi avete Venezia. Raggiungere Colorado Springs non è esattamente la stessa cosa che raggiungere Venezia e tutto ciò che ospita. Giocheremo sicuramente sul fatto di essere Venezia, sarebbe sciocco non farlo, è un’opportunità che, per fortuna, il nostro territorio offre. Il nostro evento si chiamerà Space Meeting Veneto, in the land of Venice: questo dovrebbe chiarire lo scopo.


Nel 1998 il professore di Harvard ed economista Michael Porter pubblicò il suo più famoso articolo dal titolo Clusters and the new economics of competition. È ancora oggi considerato una pietra miliare e alcuni elementi sono fondamentali per caratterizzare ecosistemi produttivi capaci di competere a livello ‘globale’ pur mantenendo una presenza ‘locale’. Questo articolo arrivava dopo i suoi studi sulla catena del valore (supply chain), sui modelli di imprese eccellenti (modello a diamante) e sulle strategie competitive (modello delle cinque forze).
Pochi sanno però cosa ha permesso a Porter di concretizzare le sue teorie e di studiare da vicino un caso reale di cluster vincente. Una casualità. Una vacanza on the road in Veneto che alla fine si è trasformata in un viaggio studio, precursore di altre visite nel territorio che hanno condotto a riportare il distretto produttivo di Vicenza nell’articolo del ’98 come primo caso studio e applicazione (quasi inconsapevolmente da parte degli imprenditori locali) delle sue teorie.
Quello che all’epoca Porter non aveva considerato, era che il modello ‘locale’ di Vicenza in verità era un modello replicato in tutte le province venete e alla base di un più articolato modello regionale. Fin dalla fine del secondo conflitto mondiale, per superare le difficoltà

riscontrate dal settore secondario, il tessuto produttivo regionale cominciò ad adottare nuove strategie come ad esempio la parcellizzazione delle forniture, l’apertura di linee di credito, la capillarizzazione degli approvvigionamenti, l’apertura verso mercati esteri. La piccola e media impresa regionale che de facto caratterizza l’intero territorio e rappresenta il motore economico nazionale ha le sue radici già nei primi anni ’30 del Novecento, come risposta dei singoli artigiani alle difficoltà tipiche di quel decennio, e una grandissima espansione a partire dagli anni ’50. Creare occupazione, velocizzare la modernizzazione delle produzioni, diventare leader nella manifattura leggera, assumendo il rulo di pilastri della ripresa dopo ogni crisi (inclusa quella del 2008). Si può affermare che il modello regionale è un ‘cluster di cluster’, in quanto si possono contare innumerevoli distretti produttivi e una vitalità senza pari che hanno dato luogo a contaminazioni virtuose e spill-over di attività produttive: a titolo di esempio si citano i casi dello sportsystem di Montebelluna, del mobile nell’Opitergino, della giostra nel Polesine, della conceria Vicentina, del marmo e della pietra nel Veronese, dell’occhialeria Bellunese, del condizionamento e refrigerazione nel Padovano, delle calzature del Brenta. Le aziende
venete si specializzarono in una vasta gamma di prodotti, dimostrando una particolare vocazione per la meccanica leggera (e successivamente per la meccatronica) con un’evoluzione non solo di carattere numerico ma anche qualitativo, sancendo il passaggio da una filiera caratterizzata da produzioni di basso tenore tecnologico (mero assemblaggio di componenti) alla realizzazione di manufatti ingegnerizzati in proprio. Ed è esattamente da questo processo, iniziato negli anni ’50 e protrattosi nei decenni successivi, che sorsero alcuni marchi destinati a segnare profondamente numerosi italiani, basti pensare alla nascente industria degli elettrodomestici. Dopo il boom del settore meccanico negli anni ’50 e ’70 e un consolidamento ed espansione negli anni ’80 e 2000, si è cominciato a guardare a settori nuovi, compreso quello dei servizi, e a nuove opportunità. Il connubio tra manifattura e servizi, la variabilità dei cicli economici, il passaggio generazionale, la capacità di aggregazione, lo spirito imprenditoriale sono state finora le chiavi del successo regionale e alla base delle performance di crescita e redditività dei cluster. E lo spazio? Se consideriamo lo spazio come un sottoinsieme del comparto aerospaziale, si può ben dire che molte aziende venete sono parte integrante della catena di
fornitura, lavorando con clienti di prim’ordine e le loro sedi sul territorio come il gruppo Leonardo. Tra gli addetti ai lavori, la Regione Veneto non viene però immediatamente associata a un comparto spaziale, non avendo attori ‘trainanti’. Sbagliato. La dedizione al lavoro e la (forse) poca propensione alla comunicazione esterna non danno merito a un tessuto industriale che ha già delle eccellenze nel settore spaziale sia in ambito upstream che downstream. Negli archivi dell’Asi e dell’Esa sono presenti aziende venete che hanno contribuito a missioni critiche, fornendo componenti o servizi. Elementi meccanici di alta precisione, dispositivi di ricezione e gestione dei segnali Galileo, sottosistemi satellitari, elementi ottici innovativi, sistemi di propulsione, strutture per razzi: sono solo alcuni dei progetti di natura pubblica o privata portati a termine negli ultimi anni. Altri esempi presenti in regione riguardano l’utilizzo di tecnologie e dati di derivazione spaziale per creare nuove imprese: monitoraggio delle perdite d’acqua, abbigliamento per astronauti, orticoltura verticale, sistemi di co-generazione, ottimizzazione dei consumi energetici, pianificazione urbana, agricoltura di precisione.
La nuova Strategia di specializzazione intelligente (2021-2027) della Regione Veneto individua nella
Space Economy una nuova direttrice di sviluppo che si caratterizza per una trasversalità in molti settori nonché in un’altissima specializzazione e intensità di conoscenza unite a un’alta complessità tecnologica e un potenziale elevato di generazione di valore aggiunto e impatto socio-economico. In aggiunta a ciò, l’opportunità derivata dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza è stata pienamente colta dalla Regione che ha inserito tra i progetti strategici un progetto denominato ‘Space Economy’, che insiste sugli investimenti in ‘Tecnologie satellitari ed economia spaziale’ del Pnrr e che vede nella raccolta e utilizzo dei dati satellitari il suo fulcro. Sensibilizzazione verso le opportunità generate dalla Space Economy e valorizzazione dei dati spaziali (integrati con quelli terrestri) sono due pilastri fondanti a cui la Regione Veneto guarda con attenzione per supportare imprese, Pubblica Amministrazione, ricerca e formazione e nuova imprenditoria. È tempo di dare spazio allo Spazio anche in Regione Veneto. La costituzione di una Rete Innovativa Regionale Aerospazio (Rir-Air) è il primo segnale tangibile della volontà di dare voce al comparto che esprime eccellenze di prim’ordine, in puro stile veneto: piccole e medie aziende, resilienti, dinamiche, innovative, flessibili. Le caratteri-
stiche e le potenzialità dei vari cluster possono dare grande impulso al settore, anche a livello nazionale, così come la capacità di aggregazione delle imprese rende plausibile potersi presentare come una filiera completa.
C’è ancora del lavoro da fare, ma questa è forse l’unica cosa che non preoccupa chi del proprio lavoro ha fatto un mantra.

L’arma in più delle imprese spaziali della Regione Veneto? La possibilità di contare su un sistema della ricerca che è un vanto a livello nazionale e che ha preso parte a tutte le più importanti missioni scientifiche di osservazione dell’universo. Basterebbe citare Galileo Galilei e l’Università di Padova; ma lo spazio deve moltissimo all’ateneo patavino, da Giuseppe (Bepi) Colombo alle missioni Giotto dell’Esa, dalla nascita della Geodesia spaziale alle osservazioni astronomiche. Un patrimonio di conoscenza che, se aggiunto a quanto gli altri atenei veneti stanno facendo nel settore spaziale, diventa di grande supporto per le imprese del territorio. I dati congiunturali danno estrema fiducia in una ripresa e nella possibilità di aprire nuovi comparti. I dati forniti a dicembre 2022 dall’ufficio studi della Cga di Mestre sull’andamento dell’economia regionale nel triennio 2021-2023 indicavano l’avvio di un periodo di ripresa economica e segnali molto
incoraggianti per il Veneto che, insieme alla Lombardia, rappresenta il miglior sentiero di crescita tra le regioni d’Italia nel 2022 (+3,8%) raggiungendo livelli pre-Covid. La crescita ha consentito (caso record anche in Europa) di superare nell’anno passato i livelli d’investimento record registrati negli anni 2006-2007 e di far volare l’export superando gli 80 miliardi di euro nel 2022, nonché portare il tasso di disoccupazione al più basso d’Italia dopo il Trentino Alto Adige. Ancora una volta, il sistema regionale studiato da Michael Porter ha dimostrato di saper rispondere alle crisi e di essere resiliente. Le condizioni ci sono tutte, dall’attenzione dei policy maker alla presenza di un primo gruppo di imprese dedicate, da una storia pluridecennale di scienza e ricerca a una congiuntura economia in ripresa, da raggruppamenti di filiere ‘trasversali’ alla possibilità di investire in settori emergenti e ad alta tecnologia. Una delle frasi più citate di Porter è: «L’’innovazione è l’argomento centrale della prosperità economica». Niente di più vero, ma la prosperità per essere tale deve poter contare su continuità, resilienza ed ecosistema. Tutte condizioni che la Regione Veneto esprime. A questo punto, l’unica cosa che ancora manca è invitare Michael Porter a tornare in Veneto, ma questa volta a studiare e scrivere
del distretto aerospaziale e stupirsi ancora una volta di cosa può fare un intero territorio con le sue imprese, a meravigliarsi di come i Moon boot siano nati qui, a domandarsi perché il primo satellite italiano lanciato in orbita si chiami San Marco 1, a scoprire dove fu ricevuto il primo segnale in Italia dello Sputnik e dove SpaceX compra i metalli per i suoi razzi. Per poi alla fine scrivere un augurio e un auspicio, modificando un suo assunto storico: «Lo spazio è l’argomento centrale della prosperità economica».
L’innovazione è l’argomento centrale della prosperità economica ma se possiamo contare su continuità, resilienza ed ecosistema



A colloquio con Giovanni Caprara, giornalista e storico dello spazio
Si intitola Scienza e tecnica. Dalla rivoluzione scientifica alla rivoluzione digitale il volume della serie ‘Patavina Libertas. Una storia europea dell’Università di Padova’, la collana di alta divulgazione fondata su solide ricerche d’archivio condotte da giovani storici e storiche dell’Ateneo, che rilegge il percorso padovano in chiave europea, tra spazi e forme della libertas e il suo ruolo negli sviluppi dei saperi umanistici e scientifici. È uno dei tanti appuntamenti della prestigiosa università patavina, che nei suoi 800 anni di storia, celebrati l’anno scorso, ha annoverato tra le sue fine figure della scienza come Galileo Galilei e Giuseppe Colombo. A Giuseppe Colombo, detto Bepi, è dedicata una missione dell’Esa. Il giornalista del Corriere della Sera Giovanni Caprara, una delle firme più note del giornalismo scientifico, docente di Storia dello Spazio al Politecnico di Milano, presidente dell’Unione Giornalisti Scientifici Italiani, a Bepi Colombo ha dedicato due saggi, Più lontano nello spazio edito da Sperling e Kupfer e Una freccia verso il Sole edito dall’Università di Padova.
Giuseppe Colombo, un grande matematico che ha contribuito allo sviluppo dell’esplorazione spaziale. In che modo?
Bepi Colombo all’Università di Padova era un grande matematico e, soprattutto, divenne poi, nella sua specializzazione, meccanico celeste. Perché da subito, quando ancora era all’università da studente, guardava il cielo con un grandissimo interesse,

che lo portò a sviluppare diverse ricerche di notevole importanza, la prima delle quali riguardava Mercurio. Mercurio è stato il suo soggetto prediletto, per il quale riuscì a definire i movimenti, fino a quel momento sconosciuti, del pianeta più vicino al Sole. Non si sapeva esattamente il giusto ritmo tra rotazione e rivoluzione intorno al Sole del piccolo pianeta e Bepi Colombo riuscì a scoprirlo. Il suo risultato venne pubblicato sulla rivista Nature negli anni cinquanta. Ma questo era soltanto l’inizio, perché poi egli dette un notevole contributo alla scienza astronomica, soprattutto concentrandosi su altri aspetti, che riguardavano ad esempio Saturno. Tanto che una delle divisioni degli anelli porta il suo nome, la divisione Colombo, proprio perché fu lui a identificarla, a scoprirla, facendo valutazioni estremamente sofisticate dal un punto di vista matematico, circa la distribuzione dei materiali intorno al pianeta inanellato. Però, se questi sono due aspetti prevalenti che hanno gestito la sua vita di ricercatore, poi se ne aggiunsero altri. Perché egli diede un contributo notevole soprattutto allo sviluppo dell’attività spaziale italiana. In particolare, quando nell’ambito del Cnr veniva costituito il piano spaziale nazionale e il professor Luciano Guerriero ne fu nominato direttore, questi compì un viaggio negli Stati Uniti insieme proprio a Bepi Colombo, che soggiornava da ricercatore nel centro Harvard Smithsonian di Boston, per dialogare con i vari centri della Nasa sui potenziali possibili progetti che l’Italia spaziale poteva avviare negli
anni ‘80. Questa sua presenza e i suoi suggerimenti portarono alla nascita di interessanti progetti, il più importante dei quali il satellite a filo che compì due voli sullo Shuttle della Nasa per dimostrare una possibilità della tecnologia dei fili, nell’ambito spaziale, applicata alla generazione di energia, ma anche ad altre opportunità che offriva la dinamica di un sistema a filo nello spazio, e a questo poi si aggiungevano altri progetti come, per esempio, il satellite Lageos 2 portato in orbita per studiare i movimenti delle placche terrestri. A Matera c’è, infatti, una stazione dell’Agenzia Spaziale Italiana, che utilizza questo satellite proprio per questo genere di ricerche. Bepi Colombo è stato un grande sostenitore e suggeritore, direi, della prima fase delle attività dell’Asi, contribuendo quindi con ricerche direttamente da lui svolte, ma anche, appunto, con una partecipazione allo sviluppo di progetti che riguardavano settori, fino a quel momento, inesplorati o poco esplorati nel campo della scienza spaziale.
Sei autore di una biografia di Bepi Colombo. Un uomo che si divideva tra Italia e Stati Uniti. Qual era il suo rapporto con Padova? Bepi Colombo ha sempre mantenuto un rapporto strettissimo con Padova, la sua città d’origine. Bepi Colombo ritornava per molti mesi all’anno all’Università di Padova, dopo che aveva trascorso altrettante lunghe permanenze alla Harvard Smithsonian di Boston, dove conduceva ricerche di va-

riegata natura della meccanica celeste, come anche collaborava con il Jet Propulsion Laboratory della Nasa a Pasadena in California. E quando ritornava era un momento di grande euforia per gli studenti e i docenti, perché in quel periodo, soprattutto negli anni ‘80, non esisteva ancora internet, e lui aveva la possibilità di far interagire il mondo americano con l’Università di Padova in maniera significativa. Inoltre manteneva anche i suoi incarichi universitari e insegnava, per cui era un punto di riferimento per il mondo della ricerca patavina, un personaggio di grande rilievo nell’interazione con la direzione stessa dell’Università e con il mondo dei docenti, oltre che degli studenti.
Nel 2007 hai istituito a Padova il premio Bepi Colombo e sei membro della giuria del premio Galileo. Cosa fa della città di Padova una realtà così attenta alla scienza?

L’Università di Padova ha sempre mantenuto, nel tempo, un grande immagine e tradizione per quanto riguarda la scienza in generale, e si può dire che questa tendenza era stata originata dalla presenza di Galileo Galilei, che agli inizi del Seicento con le sue osservazioni dalla città patavina scopriva i satelliti medicei, cioè le lune di Giove. E soprattutto metteva le basi di quello che è il metodo scientifico. Da allora Padova ha sempre mantenuto un grandissimo rilievo e apertura per quanto riguarda la ricerca scientifica e questo ha fatto sì che importanti ricerche in diversi campi, ma soprattutto nell’area astronomica, ne facesse un punto di riferimento determinante. Non a caso alla fine degli anni ‘30, inizi anni ‘40, sorgeva a Padova il più grande telescopio ottico che veniva portato sull’altopiano di Asiago ed era il maggiore a livello nazionale. Successivamente si costruiva un altro telescopio poco lontano dal centro urbano, e cioè a Cima e Ekar, e veniva battezzato Copernico, proprio perché Copernico era stato studente all’Università di Padova. Quindi Galileo e Copernico rappresentano due riferimenti di una grande tradizione che poi ha avuto anche in Bepi Colombo un grande studioso. Per questo Padova è considerata un’Università e una città che ha sempre guardato al cielo con un’attenzione, un interesse estremi.
Natali veneti anche per colui che è riconosciuto come il padre dello Spazio Italiano. Luigi Broglio, l’ispiratore e realizzatore del progetto San Marco, nacque infatti a Mestre e la scelta del nome del progetto dedicato al Santo Patrono di Venezia non fu casuale. Grazie alla sua opera l’Italia può rivendicare di essere stato il terzo paese al mondo a mettere in orbita, in totale autonomia, un satellite, dopo i colossi Usa e l’allora Urss. Era il 1964. A Luigi Broglio è stato dedicato un documentario prodotto dall’Istituto Luce nel 2022, dal titolo La Leggenda di Luigi Broglio. Scritto da Francesco Rea e Marco Spagnoli, per la regia dello stesso Marco Spagnoli, il documentario ha vinto uno dei premi più prestigiosi al mondo nell’ambito spaziale, affermandosi al Tolkowsky Film Festival di Mosca. La versione più ampia del documentario, due puntate fino ai giorni nostri, è visibile sul canale History Channel sulla piattaforma Sky.








La storia della Biennale ha radici lontane. Le origini risalgono al 1895 con la Biennale Internazionale d’Arte che attraversa tutto il ‘900 per arrivare, nel 2019, alla 58esima edizione. Nel 1932 La Biennale dà vita alla Mostra d’Arte Cinematografica, il primo festival cinematografico mai organizzato nel mondo, che assieme alla Musica (dal 1930), al Teatro (dal 1934), all’Architettura (dal 1980) e alla Danza (dal 1999) compongono la composita e peculiare offerta culturale della Biennale. Le Mostre di Arte e di Architettura sono costituite da tre pilastri, ovvero la Mostra Internazionale, a cura del Direttore del Settore, nominato con questo preciso compito, le Mostre ai Padiglioni Nazionali, allestite dal curatore nominato dal Commissario di Padiglione, e gli Eventi Collaterali, approvati dal curatore della Mostra Internazionale della Biennale. Questo modello ha dato vita a una singolare pluralità di voci, per realizzare le quali sono stati ampliati - per necessità strategica - gli spazi espositivi con un importante restauro dell’Arsenale ancora in corso. Alla Biennale Arte, il cui numero dei Paesi Partecipanti è passato da 59 (nel 1999) a 85 nel 2017, è stato riconosciuto il ruolo primario fra le esposizioni d’arte contemporanea nel Mondo, tanto da essere stata considerata ‘la mamma di tutte le Biennali’. Tale ruolo è oggi stato riconosciuto anche alla Biennale Architettura. Nata come società di cultura nel 1895 con l’organizzazione della prima Esposizione biennale al mondo, col fine di stimolare l’attività artistica e il mercato dell’arte nella città di Venezia e nell’unificato stato italiano, ha tuttora il fine di promuovere le nuove tendenze artistiche e organizza manifestazioni internazionali nelle arti contemporanee. A far nascere l’iniziativa fu un gruppo di intellettuali veneziani capeggiati dal sindaco del tempo, Riccardo Selvatico che, con una delibera dell’amministrazione comunale di Venezia del 19 aprile 1893, proponevano di ‘istituire un’esposizione biennale artistica nazionale’.

Il nome Biennale deriva dalla cadenza biennale delle sue manifestazioni (con l’eccezione della Mostra del cinema, nata nel 1932 anch’essa con cadenza biennale, divenuta però annuale dal 1935). Grazie alla Biennale di Venezia, nel settore culturale, il termine italiano ‘biennale’ (utilizzato proprio nell’idioma nazionale in quasi tutte le parti del mondo) ha acquisito una più ampia valenza ed è diventato per antonomasia sinonimo di grande evento internazionale ricorrente, a prescindere dalla cadenza.
Presso i Giardini della Biennale sono collocati i padiglioni delle nazioni che partecipano in modo permanente alle varie esposizioni. Essi hanno una lunga storia e per via della loro collocazione giuridica sono equiparati a delegazioni di rappresentanza estera, e quindi godono di extraterritorialità.
La Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica della Biennale di Venezia è il festival cinematografico più antico del mondo e uno dei 6 festival cinematografici internazionali più importanti al mondo, Venezia, Cannes e Berlino insieme al Toronto Film Festival in Canada, al Sundance Film Festival negli Stati Uniti e al Melbourne International Film Festival in Australia. Istituito durante il regime fascista nell’agosto del 1932, due anni dopo la nascita del Premio Oscar negli USA, il festival fa parte della Biennale di Venezia, una delle esposizioni d’arte più antiche del mondo, istituita dal Comune di Venezia il 19 aprile 1893. La Biennale di Venezia è dedicata all’arte italiana e internazionale, all’architettura, alla danza, alla musica, al teatro e, come detto, al cinema. Sono momenti separati nella vita della città: l’Esposizione Internazionale d’Arte, il Festival Internazionale di Musica Contemporanea, il Festival Internazionale del Teatro, la Mostra Internazionale di Architettura, il Festival Internazionale di Danza Contemporanea, il Carnevale Internazionale dei Ragazzi e l’annuale Festival del Cinema di Venezia, che, insieme alla biennale d’arte, è probabilmente il più noto di tutti gli eventi. Intorno al 1923 il sistema cinematografico italiano entrò in una crisi profonda. Negli anni Venti solo una percentuale costantemente sotto il 10% dei film in
Effetto di una città dedita alle arti che sa guardare al futuro

circolazione era di produzione italiana. Mussolini, al potere dal 1922, si preoccupò nei primi anni solo dell’informazione e della propaganda, istituendo allo scopo nel 1924 l’Istituto Luce. Questo produsse una grande quantità di cinegiornali, che obbligatoriamente dovevano essere proiettati prima dell’inizio di qualsiasi film.

L’avvento del sonoro, combinata con la depressione economica, approfondì la crisi del cinema italiano: nel 1931 si produssero solo 13 film italiani. Il fascismo reagì alla crisi con una politica protezionistica, e in campo cinematografico cominciò a sussidiare la produzione nazionale e a limitare la circolazione di film stranieri. Nel 1932 venne inaugurata la Mostra del Cinema di Venezia, nel 1935 il Centro Sperimentale di Cinematografia e nel 1937 Cinecittà. Il regime aveva capito che il cinema poteva essere un potente strumento di costruzione di consenso. Così la produzione di film si incrementò, ma la loro qualità rimase drammaticamente bassa, dato controllo totalitario esercitato dal fascismo. Le case produttrici (Cines, Lux, Manenti, Titanus, ERA, ecc.) rimanevano in mani private, e sarebbero certamente fallite senza le sovvenzioni statali.

Un filone era di tipo propagandistico: Vecchia Guardia (r. di A. Blasetti, 1933) che glorificava la marcia su
Signore & signori è un film diretto da Pietro Germi uscito nel 1966, una coproduzione italo francese, con Alberto
Fabrizi, Nora Ricci. Tre storie ambientate nella medesima città veneta, una riconoscibile Treviso. Toni confessa al medico di essere impotente per fargli abbassare la guardia e conquistarne la moglie. Un marito schiavizzato da una moglie ossessiva spera di trovare la libertà grazie a l’amore di una cassiera. Un contadino accetta per soldi di non denunciare i ricchi borghesi che hanno approfittato della figlia minorenne. Impietoso ritratto della provincia veneta raccontato con la crudeltà del moralista, che non ha tenerezze per nessuno, si tratti di borghesi o di contadini, di uomini o donne, di ricchi e viziati o di poveri cristi, e con la ferocia del grottesco.
I PICCOLI MAESTRI

Tratto dall’omonimo romanzo di Luigi Meneghello, sceneggiatore e regista Daniele Luchetti, con Sandro Petraglia, Stefano Rulli e Domenico Starnone, il film I piccoli maestri è uscito in Italia nel 1998. Attori Stefano Accorsi, Diego Gianesini, Stefania Montorsi, Giorgio Pasotti. Dopo l’otto settembre 1943, Gigi, Simonetta, Lelio e Bene. Studenti universitari vicentini, legati al partito d’azione, decidono di unirsi ai partigiani che combattono nel bellunese. Preparati più a discutere che a combattere, organizzeranno molte azioni di guerriglia e parteciperanno alla presa di Padova. Nel Dizionario del Cinema di Mereghetti il film non ha ricevuto giudizi particolarmente lusinghieri.
Roma e lo squadrismo, mentre Lo squadrone bianco (r. di A. Genina, 1936) e Scipione l’Africano (r. di C. Gallone, 1937) esaltavano il colonialismo italiano. 1860 (r. di A. Blasetti, 1934) cercava di stabilire una continuità tra Risorgimento e avvento del fascismo. Fino ad allora la maggior parte dei film proiettati in Italia erano americani, il che ha portato al coinvolgimento del governo nell’industria cinematografica e al desiderio di celebrare la cultura italiana in generale. Con tale obiettivo, il Festival Internazionale del Cinema di Venezia è stato creato da Giuseppe Volpi, Luciano de Feo e Antonio Maraini nel 1932. Volpi ricco uomo d’affari e sostenitore del fascismo, già che era stato ministro delle finanze di Benito Mussolini, fu nominato nello stesso anno presidente della Biennale di Venezia. Maraini era il segretario generale del festival e de Feo era a capo del comitato esecutivo. La notte del 6 agosto 1932, il festival si aprì con la proiezione del film americano Dr. Jekyll e Mr. Hyde sulla terrazza dell’Excelsior Palace Hotel. Un totale di nove paesi partecipò al festival. Al primo festival non sono stati assegnati premi, ma si è tenuto un referendum del pubblico per determinare quali film e spettacoli fossero più lodevoli. Il film francese À Nous la Liberté fu votato Film Più Divertente. Il Peccato di Madelon Claudet è stato scelto per il Film Più Commovente e

la sua protagonista, Helen Hayes, la migliore attrice. Most Original Film fu assegnato a Dr. Jekyll e Mr. Hyde, e il suo protagonista, Fredric March, fu votato miglior attore.
Il quinto anno del festival vide la realizzazione e l’istituzione della sua sede permanente. Progettato e completato nel 1937, al Lido fu costruito il Palazzo del Cinema. Da allora il Palazzo è stato la sede di ogni Mostra del Cinema di Venezia, ad eccezione del triennio dal 1940 al 1942, quando il festival fu allontanato da Venezia per paura dei bombardamenti. Il festival riprese a pieno ritmo nel 1946, dopo la guerra. L’edizione del 1946 si tenne per la prima volta nel mese di settembre, in virtù di un accordo con il neonato Festival di Cannes, che aveva appena tenuto la sua prima rassegna nella primavera di quell’anno. Con il ritorno alla normalità, Venezia torna ad essere una grande icona del mondo del cinema. Nel 1947 la festa si tenne nel cortile di Palazzo Ducale, uno scenario grandioso per ospitare la cifra record di 90mila partecipanti. Il festival del 1947 è ampiamente considerato una delle edizioni di maggior successo nella storia del festival. Il resto è storia, una storia che nel 2023, vedrà compiersi la 80° edizione.
[Redazione]

MORTE A VENEZIA
Tratto dal romanzo di Thomas Mann, la pellicola Morte a Venezia, diretta da Luchino Visconti con Dirk Bogarde, Björn Andrésen, Silvana Mangano, Romolo Valli, Marisa Berenson, Franco Fabrizi è uscita in Italia nel 1971. Nel 1911, narra la storia, il compositore Gustav von Aschenbach, in vacanza al Lido di Venezia, rimane affascinato dalla bellezza del giovane e androgino Tadzio. Mentre la città è in preda ad una epidemia tenuta nascosta dalle autorità, Gustav von Aschenbach, ormai dimentico della sua missione artistica, della sua dignità, si lascia andare incontro alla morte. Il tema del fallimento dell’arte, scrive Mereghetti, si esplicita di fronte al bello del disfacimento del corpo, processo estenuato dalle sequenze, che con coraggio rinunciano quasi per intero ai dialoghi. Perfetta la ricostruzione dell’atmosfera decadente di Venezia.

LETTERS TO JULIET
Vicoli dalle atmosfere antiche, luminosità abbagliante, panorami mozzafiato: la tragica storia d’amore tra i due giovani amanti shakespeariani, raccontata nel film Letters to Juliet, diviene solo un pretesto per poter presentare all’interno di una pellicola americana i più noti stereotipi Italiani e approfittare dei loro tratti più piacevoli e caratteristici per montare un film altrimenti insulso. Nonostante siano menzionate nel titolo, infatti, non sono né Giulietta né le lettere ad ella indirizzate le vere protagoniste. Tutto il film ruota attorno a paesaggi, profumi, cibi e personaggi che sembrano appena usciti da una reclame (e per molti versi sono davvero solamente questo) e come tali risultano poco veritieri, esagerati fino a diventare divertenti.
FINCHÉ C’È PROSECCO C’È SPERANZA
Finché c’è prosecco c’è speranza ha un ritmo quieto e un po’ goffo, che ben si sposa con l’ambientazione della campagna veneta, di cui abbondano campi lunghi e lunghissimi. Il vino, d’altronde, richiede un processo di produzione particolarmente lento e metodico, proprio come le indagini di Stucky, proprio come il film intero. Il merito del film è infatti sì quello di raccontare una storia, ma anche e soprattutto di rendere giustizia alla rappresentazione dei luoghi dov’è ambientata. Appare prima di tutto come un genuino tentativo di dare voce a una storia di paese, inserita perfettamente nel contesto all’interno del quale viene rappresentata.
IL CORAGGIO DEL LEONE

Il racconto dell’edizione 2020 del Festival Del Cinema di Venezia con Anna Foglietta. Il film di Spagnoli si concentra sulle ultime settantadue ore del festival, un conto alla rovescia alla cerimonia di chiusura, quando ormai la maggior parte dei giochi erano fatti ma tutto era ancora in fermento. Arrivarci come si era iniziati significava successo su tutta la linea: niente contagi, niente battute d’arresto improvvise, niente passi indietro. Un messaggio importante che l’Italia ha mandato non solo alla sua industria, ma a tutto il mondo: si può fare. Dopo i mesi di lockdown, la paura, l’incertezza e i traumi dei mesi peggiori di pandemia, lo sguardo verso il futuro sembrava essere celato per tutti.

Le venezie a tavola
In occasione della presentazione della guida Venezie a Tavola 2023, lunedì 14 novembre 2022 al Cuoa Business School di Altavilla Vicentina (Vicenza), Giannitessari ha consegnato il premio Giovane delle Venezie a Federico Rovacchi.
Matteo Franchetto, responsabile commerciale dell’azienda vitivinicola di Roncà, ha omaggiato lo chef del ristorante Baita Piè Tofana di Cortina d’Ampezzo con una jéroboam di Lessini Durello Doc Extra Brut. Originario di Reggio Emilia, Federico Rovacchi ha trascorso sei anni ai fornelli del ristorante St. Hubertus di Norbert Niederkofler a San Cassiano (Bolzano), esperienza che ha forgiato la sua professionalità e alimentato il desiderio di migliorarsi costantemente, attitudine che lo chef trasferisce alla squadra di Baita Piè Tofana, nuova avventura intrapresa con la maître e compagna Elisa Prudente. «Da anni Giannitessari si impegna attivamente nella promozione del territorio veneto con un occhio di riguardo per i talenti emergenti - afferma Matteo Franchetto - Una sensibilità e una lungimiranza che ci contraddistinguono e accomunano a Venezie a Tavola».
La guida curata dal critico gastronomico e giornalista Luigi Costa giunge quest’anno alla tredicesima edizione. La pubblicazione ha l’obiettivo di scovare e recensire, provincia per provincia, tutto il buono delle Venezie: dall’Alto Adige al Trentino, dal Veneto al Friuli, dalla Venezia Giulia all’Istria. La guida 2023 ha premiato un totale di 225 ristoranti, 30 pizzerie, 20 vini e 14 prodotti gastronomici.
[edito da oliovinopeperoncino.it]

L’azienda di Roncà rinnova l’impegno nei confronti del territorio e dei giovani talenti
Avatar 4.0

Intervista al regista della saga James Cameron
70 milioni di Euro è quanto ha incassato il film di James Cameron Avatar al Box Office italiano dal 2012 ad oggi, inclusa la re-release del 2022. Una cifra stratosferica che lascia ben sperare per il secondo capitolo di una saga che si dovrebbe articolare su cinque film nell’arco di questa decade e che è uscita a dicembre dello scorso anno, con il titolo di Avatar – la via dell’Acqua. Una scommessa, quella di Cameron, di riportare il film in sala nonostante l’ampio sfruttamento in home video e sulle piattaforme: «Sono passati 12 anni dall’uscita, quindi sostanzialmente se hai meno di 22 o 23 anni, è molto, molto improbabile che tu abbia visto il film in un cinema», riconosce James Cameron. «Il che in un certo senso significa che non hai visto il film. Voglio dire, abbiamo creato il film per il grande schermo, per il maxischermo, in 3d. E ora l’abbiamo rimasterizzato in 4d, in alta gamma dinamica e in alcune sezioni del film a 48 fotogrammi al secondo. Adesso l’originale e quindi i suoi sequel hanno un aspetto migliore di quanto non fosse mai apparso, anche nella sua versione iniziale. E ci sono, così, molte persone là fuori che non l’hanno ancora visto il film nel modo in cui intendevamo che fosse visto».
Cameron aggiunge in maniera molto sincera: «Quando abbiamo terminato l’intero processo di rimasterizzazione, quello che abbiamo osservato ci ha lasciato senza fiato. Lo so è difficile dirlo con un minimo di umiltà, ma voglio dire, noi siamo rimasti davvero colpiti dall’aspetto del film. Solo l’e-
sperienza fisica del film in un cinema è adatta per vedere Avatar».
A proposito dell’immenso successo di Avatar, della sua ambientazione, dei suoi personaggi e della sua storia, il regista di successi come Titanic, Predator, True Lies, Aliens e Terminator 2 spiega: «Tutte le culture hanno apprezzato il film originale: che fosse in Cina o in Giappone, in Europa, Nord America, non importava. Le persone hanno ritrovato una certa universalità delle loro vite e questi personaggi sono stati colti e apprezzati perché raccontavano qualcosa di loro, attraverso la lente della fantascienza. Del resto quando entri al cinema è come se atterrassi in un luogo fuori dal mondo dove incontri personaggi ultramondani. È un qualcosa che ci porta fuori dalla nostra quotidianità anche se non ci impedisce di percepire i conflitti all’interno del racconto».
La trama di Avatar 2 - La Via dell’Acqua parte dagli eventi del film di dodici anni fa: i due protagonisti principali Jake (Sam Worthington) e Neytiri (Zoe Saldana) hanno formato una famiglia costretta a fuggire quando le operazioni minerarie della RDA minacciano ancora una volta la tranquillità del pianeta Pandora. L’unico posto che sembrerebbe essere sicuro e offrire riparo ai nativi è l’oceano, dove incontreranno i Metkayina, ovvero la popolazione che controlla il mondo acquatico e che, però, nasconde alcuni segreti.
Una sinossi in linea con il cinema di Cameron che, da sempre, inserisce nel suo cinema temi ambien-
tali e naturalistici ricorrenti, nonché il confronto con l’avidità delle Corporation. «Quando siamo bambini, amiamo innatamente la natura. Amiamo gli animali. Amiamo stare nella natura», riflette il regista. «E man mano che le nostre vite progrediscono, ci allontaniamo sempre di più dalla natura. E penso che la società in generale in qualsiasi parte del mondo soffra di un disturbo da deficit della natura di qualche tipo, in una certa misura. E penso che quel film ci riporti a quella meraviglia infantile sulla natura. Della grandezza, della complessità e della bellezza della natura». Quando si guarda indietro Cameron osserva che per un regista è molto importante essere orgoglioso di quello che ha fatto a dispetto del tempo che passa. «Guardando indietro con la prospettiva di adesso 12 anni dopo, credo di essere più orgoglioso in senso generale della squadra che ha lavorato ad Avatar. C’è tutta la grande bellezza che è stata creata dagli artisti, dai designer, dai costruttori di set. Sono grato a tutte le persone che, in un certo senso, hanno pensato e realizzato quel mondo in tutti i suoi dettagli e tutte le creature in esso contenute, e ogni filo d’erba. Tutta quella bellezza e anche l’orrore, voluto, del racconto, mi rendono molto soddisfatto».





In libreria
di Marcello SpagnuloPer gentile concessione dell’Editore e dell’Autore, pubblichiamo un breve estratto del libro Capitalismo Stellare. Come la nuova corsa allo Spazio cambia la Terra, Rubbettino Editore, 2022.
Elon Musk, Peter Thiel, Jeff Bezos, Richard Branson sono la prima generazione di imprenditori che fa dello Spazio un terreno da dominare per creare nuovi business globali. Sono i nuovi capitalisti digitali e materiali del terzo millennio. Io li definisco capitalisti stellari. Ma le stelle non sono sinonimo di eccellenza come nelle valutazioni della guida Michelin. In questo caso fanno riferimento al fatto che il Cosmo popolato di astri rappresenta per questi capitalisti del nuovo millennio quel territorio vergine dove assicurarsi risorse uniche e pregiate funzionali alla loro crescita aziendale. La loro corsa allo Spazio è in piena accelerazione anche perché, purtroppo, le regole internazionali e condivise per occupare le orbite intorno al nostro pianeta, semplicemente non ci sono. Non a caso la Francia, vera superpotenza spaziale europea, guarda con preoccupazione a questa nuova situazione al punto che il quotidiano «Le Monde» la definisce come un far west nello Spazio. Saranno loro, i capitalisti stellari, a costruire quella “iper-democrazia planetaria” immaginata e descritta dall’economista francese Jacques Attali nel suo libro “Breve storia del futuro”? Sarà una democrazia con una forma politica cui siamo abituati, oppure avrà una diversa struttura che oggi a malapena percepiamo, avvezzi come siamo alle forme consolidate degli ultimi decenni? I capitalisti stellari si sono lanciati in quella che viene, con enfasi forse eccessiva, chiamata la nuova corsa allo Spazio, non per esplorare o far avanzare la conoscenza scientifica, ma per monopolizzare e commerciare, cioè per meglio sfruttare le risorse extra-terrestri e creare business globali sulla Terra. La corsa allo Spazio degli anni Sessanta del secolo scorso è pressoché sconosciuta alle nuove generazioni millennial. Quando Neil Armstrong camminava sulla Luna, Peter Thiel aveva due anni ed Elon Musk non era ancora nato. Il tempo della “Nuova Frontiera” del Presidente Kennedy che spingeva gli Stati Uniti verso l’obiettivo lunare deve sembrar loro un passato remoto nel bianco e nero delle incerte e tremolanti immagini televisive di quella lontana passeggiata sulla Luna. Oggi c’è bisogno di una nuova frontiera, che sostituisca nell’immaginario collettivo quella del secolo scorso, e non sono i capi di governo a propugnarla ma imprenditori di tendenza, nuovi influencer planetari del business. I capitalisti stellari appunto. A loro sta riuscendo quello che non riuscì a Bill Gates negli anni Novanta del secolo scorso. In quegli anni, il fondatore di Microsoft voleva lanciare nello Spazio una costellazione da 300
satelliti in orbita bassa per portare Internet in tutto il pianeta. Il progetto, davvero visionario per l’epoca, si chiamava Teledesic ma si arrestò perché la tecnologia per realizzare satelliti e razzi con produzioni di massa aveva ancora dei costi proibitivi. Ma l’idea era vincente – tutto sommato Bill Gates non è proprio un passante – e infatti i capitalisti stellari del nuovo secolo l’hanno ripresa e la stanno portando a compimento. Oggi, nel loro modello economico, lo Spazio oltre la Terra è un territorio vergine di immense risorse e opportunità, non è ancora regolamentato e chi per primo lo colonizzerà ne trarrà i vantaggi da monopolista assoluto. Da zero a uno, come recita il titolo del libro di Peter Thiel. Certo l’economia dello Spazio non è una completa novità, da circa una trentina d’anni i satelliti di telecomunicazioni e di osservazione hanno favorito l’emergere di un mercato importante sulla Terra. Ma oggi le cose sono diverse perché i nuovi imprenditori statunitensi realizzano razzi e astronavi con i loro capitali e con quelli dei fondi speculativi dei loro sodali, e usano i satelliti per plasmare un nuovo modello economico. Certo, beneficiano anche di contratti delle agenzie governative ma senza dipendere da esse per sopravvivere. E qui sta una grossa differenza con il passato. Un po’ troppo fideisticamente, le élite dirigenziali europee magnificano l’idea che questa nuova corsa allo Spazio porti con sé un innovativo modello di mercato, la cosiddetta New Space Economy, che rappresenta un’enorme e provvidenziale sorgente di economia reale sul pianeta. Questa postura ideologica tende a sottovalutare le tesi geopolitiche e commerciali più realiste che sottendono davvero alla nuova corsa spaziale, soprattutto in termini di rivoluzione tecnologica, sociale e capitalistica. E così quest’approccio fideistico sembra dar per scontato che un nuovo modello economico cada direttamente sulla Terra quasi per un effetto di trascinamento di quanto fatto sinora, come una conseguenza naturale del passato e non invece a seguito di un corposo breakthorugh tecnologico, industriale e sociale che può essere molto traumatico, per alcuni, rispetto al passato. Non sembra che ci si ponga criticamente la domanda di come il mutamento in atto di questo modello economico e industriale prenda, per esempio, difficilmente piede al di fuori degli Stati Uniti e soprattutto di come esso stia introducendo conseguenze anche rischiose in ambiti disparati, da quello geopolitico a quello sociale e finanche ambientale. In altre parole, siamo consapevoli dei rischi e dei benefici che il nuovo modello capitalistico spaziale sta portando con sé all’alba del nuovo secolo?
Marcello Spagnulo, Capitalismo Stellare. Come la nuova corsa allo Spazio cambia la Terra, Rubbettino Ed. 2022.















