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Fotografie di cantieri edili medievali

i sono state nella storia imprese per la costruzione di edifici o manufatti che sono rimaste fra i capitoli centrali della nostra civiltà. Non si parla di edifici importanti in sé, perché ovviamente il loro numero è enorme e va dalle piramidi alla cattedrale di San Pietro, dalla Tour Eiffel ai grandi grattacieli. Ci si riferisce, invece, a costruzioni che spesso non hanno alcun riscontro nella realtà materiale, ma che sono incise nelle fondamenta dello spirito e della cultura occidentale. Se si parla di Arca di Noè, ad esempio, si fa riferimento a un manufatto la cui importanza va molto al di là dell’effettivo riscontro nel prodotto, peraltro ipotetico e ovviamente non tangibile. Parliamo quindi di costruzioni simboliche, spesso solo descritte in testi basilari, come la Bibbia. Oppure parliamo di luoghi solo immaginati dalla fantasia di grandi autori letterari. Pensiamo all’inferno di Dante e alla sua architettura. Altrove si parla di Città Celesti o di altre costruzioni pressoché ideali, come il labirinto. Avvicinandoci al tema più concreto possiamo annoverare anche le città ideali, figurazioni ipotetiche dell’intelletto creativo la cui delineazione corre dal Quattrocento sino ai tempi nostri. Talvolta tali tendenze sono giunte anche alla concretezza di effettive realizzazioni.

Se si scorrono i dipinti che, dal XVI secolo in poi, raffigurano una fucina, una fonderia, un laboratorio si noterà che esiste una grande attrazione del pittore per l’ambiente misterioso e spesso infernale, tra fuochi e fumi

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Ma restiamo nelle costruzioni dell’anima per annotare come spesso la loro descrizione e la loro raffigurazione abbia costituito anche un’interessante documentazione su aspetti concreti dell’edificare. Se l’edificio era fantastico, nelle rappresentazioni grafiche o pittoriche la descrizione doveva essere pratica e basata sulla vera esperienza dei cantieri e del lavoro di carpentieri e muratori. Questi aspetti di realismo sono spesso stati preziosissimi proprio per vedere, leggere e capire oggetti, macchinari, modi di lavorazione che altrimenti sarebbero rimasi del tutto senza documentazione visiva. Ciò è vero anche perché vi è una costante nell’arte preottocentesca, con riferimento al realismo delle rappresentazioni del lavoro. Forse solo nell’antichità egizia, greca (ma solo nelle figure su ceramiche) e romana si hanno raffigurazioni di laboratori, officine, scene di cantiere presentate senza camuffamenti. Per camuffamento si intende una volontà di raffigurare strabica, nel senso che se da una lato si riteneva la scena attraente, dall’altro si temeva una sorta di censura dell’osservatore che rigettava il soggetto perché troppo prosaico. Se si scorrono i dipinti che, dal XVI secolo in poi, raffigurano una fucina, una fonderia, un laboratorio si noterà che esiste una grande attrazione del pittore per l’ambiente misterioso e spesso infernale, tra fuochi e fumi. Lo scenario che l’artista rappresentava si offriva con la sua carica d’atmosfera. Però si nota sempre che nel quadro è presente, in veste di osservatore, magari in un angolo del dipinto, un gruppetto di persone in abiti civili, spesso eleganti, magari con donne e bambini, che osservano la scena e danno all’artista quasi un alibi per il compiacimento che egli invece avrebbe voluto solo riservare alla veduta d’insieme. Il pittore, insomma, aveva quasi bisogno di un’autorizzazione della borghesia che desse il via libera, con la scusa della propria curiosità e quindi della propria presenza, alla raffigurazione di una scena altrimenti volgare come quella del lavoro. Bisognerà attendere la pittura a sfondo sociale dell’Ottocento per cogliere quella sorta di licenza alla raffigurazione degli ambienti di lavoro senza scusanti e ciò, spesso, a nnn

A sinistra: Par ticolare del quadro di Bruegel con un argano e la ruota per sollevamenti mossa da operai interni.