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editoriale / 2 Gli “esodati” del Superbonus

La narrativa moderna li chiama “esodati” del Superbonus. Hanno aperto un gruppo su Facebook attivo da tre mesi che conta quasi 2.700 followers e il loro scopo è difendere il Superbonus 110% e la cessione del credito. Oltre la retorica e la descrizione folcloristica data dal web, credo in realtà che la definizione “esodati” riesca a dipingere, purtroppo, il triste quadro di una situazione paradossale nella quale si ritrovano oggi milioni di italiani. Il Decreto legge 11/2023, noto come Decreto cessioni, è arrivato come un fulmine a ciel sereno, bloccando proprio quel sistema che aveva decretato il successo della misura, ossia lo sconto in fattura e la cessione del credito. La scelta del Governo ha gettato nella disperazione l’intero settore, fornendo però giustificazioni ben poco convincenti, che generano forti dubbi sul fatto che una scelta similesia in grado di risolverlo. Occorre valutare che ci sono due tipologie di credito da tenere in conto: i crediti a cassetto fiscale, ma senza sbocco sul mercato, già contrattualizzati con le banche, che non li acquistano nonostante gli accordi pregressi; e i crediti a cassetto ma senza cessionario. Il tentativo di risposta del Governo è stata la proposta di limitazione della responsabilità solidale, ma non risolve il problema in quanto permane il sequestro preventivo del credito, peraltro sotto la spada di Damocle dell’art. 321 del Codice di procedura penale. Inoltre, le stesse banche si giustificano, dichiarando che è in realtà la carenza di liquidi a influire sul mancato acquisto. L’aspetto che più di tutti ha contributo, però, al blocco delle opzioni previsto dal Decreto cessioni è quello relativo alla classificazione dei crediti edilizi, secondo la quale avrebbe inciso sul debito pubblico. Ma Istat ed Eurostat, con i loro recenti pareri hanno chiarito una volta per tutte che i crediti derivanti dai bonus edilizi sono già stati contabilizzati nel bilancio dello Stato e quindi possono e devono essere pagati subito alle famiglie e alle imprese dell’edilizia. Recentemente, in audizione al Senato, il dottore Luca Ascoli, direttore delle statistiche di finanza pubblica di Eurostat, ha confermato che, prescindendo dalla sua classificazione, un credito fiscale non incide mai sul debito pubblico ma solo sul deficit, che è ben diverso. Infatti, se il deficit pubblico rappresenta un rapporto negativo tra le spese effettuate e le entrate collezionate (disavanzo passivo), il debito pubblico è invece l’ammontare dei debiti che un paese ha contratto nella sua storia verso creditori che possono essere persone, enti, imprese o altri paesi. Eppure, ancora una volta sono state evocate, come giustificazione dello stop al provvedimento, le frodi fiscali, per poi scoprire che il Superbonus ha inciso per appena il 3%, rappresentando meno dell’1% del totale degli interventi, a dimostrazione che la misura e i controlli previsti funzionavano. Il ministro Giancarlo Giorgetti per motivare la scelta di bloccare il meccanismo di cessione dei crediti ha affermato che il Superbonus è costato 2.000 euro per ogni italiano dalla culla fino all’età più avanzata. Considerato che in Italia siamo poco meno di 60 milioni, il Superbonus quindi sarebbe costato a tutti noi 120 miliardi di euro. Affermazione sbagliata perché questo totale, al più, riguarda l’ammontare di tutti i bonus edilizi, ma evidentemente nella narrazione fa più comodo parlare solo del costo del Superbonus. Bloccare la cessione del credito, vuol dire consentire l’utilizzo del Superbonus solo a chi ha capacità economica e capienza fiscale, lasciando senza adeguato supporto chi non dispone delle necessarie risorse economiche per riqualificare energeticamente e mettere in sicurezza gli edifici. È davvero questa la soluzione oppure è solo la strada più comoda?

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