ZABAIONE

Quasi tutti sapete dell’iniziativa lanciata da alcune nostre intraprendenti colleghe, la rassegna Parini Classica, con cui Zabaione quest’anno collaborerà.
Io per prima sono rimasta sorpresa quando sono venuta a sapere del progetto, che cerca di avvicinare in modo concreto la nostra scuola a questo complesso e vastissimo mondo.
Eppure, per reazione quasi pavloviana, per un attimo sono stata colta da un certo cinismo, e mi sono chiesta quanto interesse potesse suscitare una proposta simile – e come suscitarlo.
C'è bisogno però di difendere la musica classica, per invogliare ad ascoltarla?
Sì, e a dir la verità c’è chi ha – giustamente – dovuto difenderla anche dai suoi appassionati. Ma non corriamo troppo, e muoviamoci a partire da un terreno familiare: si ricorre spesso alla vuota ed eterna convinzione che la musica classica sia puro appannaggio delle generazioni più anziane.
Ciò che la permanenza di questa percezione sottolinea è la distanza che si è creata tra musica colta occidentale e il grande pubblico, il quale ne ha esperienza passiva in quei pezzi celeberrimi che vengono svuotati di significato e ripetuti fino alla nausea nelle pubblicità, forse in qualche film.
Per il resto ne conserva forse un brutto o mediocre ricordo dagli insegnamenti ricevuti alle elementari e medie.
Il solo termine “musica clas-
sica” pare spesso richiamare alla mente dei non addetti ai lavori stereotipi ben precisi: un senso di noia, di anacronismo, di difficoltà inutile che forse incute quasi un po’ di timore.
Certamente, di media, un brano di musica classica non rientra strettamente nei quattro minuti serrati radiofonici della stragrande maggioranza della produzione commerciale, e parte del repertorio si apprezza appieno con l’abitudine e l’ascolto dal vivo per cui è stata pensata. Non sono però ostacoli insormontabili: il vero problema è che, a livello collettivo, inconsciamente si è assimilata la concezione – errata – che la musica classica viva su un piano emotivo e cerebrale dove solo pochi eletti possono accedere.
Si può individuare la radice di questo problema fin dalla concezione Ottocentesca del teatro e della musica, di cui ancora oggi siamo – nel bene e nel male – succubi, come di uno spettacolo bourgeois ed elitario dove è mantenuta una fredda separazione tra pubblico e musicisti; entrambi intenti a mantenere su un piedistallo a formidabile altezza il repertorio classico, tanto distante e reso così rarefatto da non ammettere la minima critica e da rischiare perenne fossilizzazione, sia dal punto di vista della pratica – che può scadere nella maniera – che dal punto di vista del contatto, fondamentale per un’arte in una certa misura atemporale, con la realtà contingente.
Il tutto si può riassumere in una parola: distanza.
Non così deve essere, e per fortuna si sta cercando di colmare
questa distanza: ed ecco che negli ultimi anni si sono fatti strada degli youtuber musicisti, e i teatri hanno cominciato a offrire opportunità per i giovani di accostarsi ai propri cartelloni con una certa frequenza con biglietti a prezzi agevolati (ne è esempio il gruppo Scala del nostro liceo). Non è ancora abbastanza, ma iniziative di questo genere – e come Parini Classica - sono certamente un passo nella direzione giusta.
La musica classica – termine che esprime tutto e niente – non è rilevante solo per chi la studia a fondo; essa si ascolta a vari livelli – come ogni prodotto artistico – e alcuni di questi non solo sono accessibili a tutti, ma aprono un mondo di possibilità all’ascoltatore curioso.
Rosso Ferrari
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La notizia era già nell'aria da tempo, ma è stata ufficializzata soltanto il 28 novembre scorso con la firma del presidente della Ferrari, John Elkann: Mattia Binotto, team principal del colosso di Maranello, si è dimesso.
Mattia Binotto, classe 1969, entra a far parte della scuderia Ferrari nel 1995, dopo essersi laureato in Ingegneria meccanica. E da allora per lui ha inizio la scalata. Finalmente, il 7 gennaio 2019 ne diviene il team principal, ovvero il capo del gruppo. Ma l’avventura finisce presto: a partire dal 31 dicembre 2022, Binotto lascerà il ruolo a qualcun altro.
Dopo 28 anni nella scuderia, di cui 3 in dirigenza, Mattia Binotto lascia il palco tra i ringraziamenti dei colleghi e le urla dei fan di Ferrari. Come si spiega questo fatto?
Dal 2007 la Ferrari non riesce più a vincere il Campionato Piloti di Formula 1, e dal 2008 il Campionato Costruttori. Dopo un avvio promettente, che faceva sperare in un’annata vincente, la Ferrari lascia spazio alla Red Bull chiudendo al secondo posto. Questa stagione rimarrà impressa a lungo
nella mente dei tifosi ferraristi: non tanto per i risultati, quanto per i continui errori del team. Errori che prendono la forma di pit stop improvvisati, di strategie penalizzanti, di una scelta dello sviluppo della vettura rivedibile, di auto inaffidabili in alcuni momenti, e che di certo non giocano a favore nelle competizioni.
Questi sono i problemi che hanno causato la "crisi Ferrari". E la colpa è stata fatta ricadere sul suo team principal. Tuttavia, in una grande azienda come la Ferrari, non è soltanto Mattia Binotto a gestirne ogni singola parte: ci sono le persone che gestiscono i membri della crew, i meccanici, le persone dedite alla strategia, e tanti altri professionisti. Mattia Binotto è semplicemente la “facciata”.
Analizzando tutti gli errori che Ferrari ha commesso durante la stagione, gli esperti hanno affermato che Mattia Binotto ha sicuramente contribuito alla crisi, ma non tutte le mancanze sono dovute a lui. Infatti, sebbene sulla carta figuri come team principal, non può gestire tutto. Evidentemente ci sono state delle assunzioni sbagliate e delle mancanze in varie piccole altre aree, problemi di cui poi si è dovuto assumere la colpa Binotto.
Nel frattempo, Ferrari ha annunciato che Fred Vasseur entrerà a far parte della Scuderia il 9 gennaio come nuovo team principal e general manager. Ma i cambia-
menti recenti della Formula 1 non finiscono qui. Andrea Stella è stato nominato nuovo team principal di McLaren, dopo che il precedente, Andreas Seidl, se n’è andato per diventare l’amministratore delegato dell’Alfa Romeo. Poco prima, Vasseur aveva dato le dimissioni come team principal dell’Alfa Romeo. Per quanto riguarda la Formula 1, Vasseur ha esordito in Renault, gruppo che ha lasciato dopo alcune controversie con il CEO sulle strategie. Ha poi passato diversi anni in Sauber, in seguito diventata Alfa Romeo. Qui ha avuto modo di rafforzare l’alleanza con la Ferrari, preferendo una fornitura di motori di quest’ultima ad una di marca Honda. Nello stesso tempo il presidente della Ferrari Sergio Marchionne annunciava una partnership commerciale e tecnica con la Sauber.
Fred Vasseur ha un ottimo rapporto anche con il pilota della Ferrari, Charles Leclerc. Infatti quest’ultimo ha esordito in quella che al tempo era la Sauber, dov’era proprio Vasseur il team principal.
Questo darà una mano a restituire alla Ferrari stabilità, proprio quella caratteristica che si vede in altre squadre vincenti come la Mercedes e la RedBull, ma che evidentemente manca a Maranello, che ha cambiato quattro team principal in vent’anni.
Se Vasseur replicherà il suo operato in Alfa Romeo, la Ferrari avrà trovato il suo salvatore.
Sebbene l’imperante crisi sembri colpire ogni dove, negli ultimi tempi ci è pervenuta anche una piccola quantità di notizie che portano con loro un barlume di speranza per l’avvenire.
Parliamo, ad esempio, della nuova legge sull’aborto in India, che lo estende anche alle donne non sposate. Facciamo riferimento alla legalizzazione dell’omosessualità a Singapore, diventato adesso uno dei pochissimi Paesi asiatici a non condannarla, insieme al Taiwan, che è l’unico Stato nel continente a garantire i matrimoni omosessuali. E ancora, il Presidente statunitense Biden ha da poco firmato il Respect for Marriage Act, anch’essa una legge che tutela i matrimoni tra persone dello stesso genere: non tutti gli Stati saranno obbligati a rilasciare licenze matrimoniali, ma dovranno comunque riconoscere quelle rilasciate dagli altri Stati federali.
È inevitabile notare come l’UE, fondata proprio per la tutela dei diritti umani e civili, e tradizionalmente all’avanguardia in questo campo, stia pian piano cedendo il proprio posto al resto del globo. Questo fenomeno si presenta sia come una progressione quasi internazionale in materia di diritti, di cui si comincia a parlare maggiormente, sia come la conseguenza di una regressione che sta interessando l’intero panorama europeo.
“L’Europa dei diritti è sot-
to attacco”. Queste sono le parole della Presidente dell’Europarlamento, Roberta Metsola, che rincara la dose: “Il Parlamento europeo, cari colleghi, è sotto attacco; la democrazia europea è sotto attacco; e il nostro modo di essere società aperte, libere e democratiche è sotto attacco». Se da una parte queste parole denotano una certa consapevolezza del fenomeno in atto, anche da coloro che dovrebbero in qualche modo arginarlo, dall’altra non sono seguite da un’effettiva e attiva reazione allo stesso.
Degno di nota è anche il fatto che le leggi da poco abolite in India e a Singapore fossero di epoca coloniale. È infatti diffusissima, negli ultimi anni, un’ondata di “decolonizzazione istituzionale”: non solo molti dei legami che alcuni Paesi hanno avuto con il nostro continente sono alle loro definitive battute d’arresto, ma si nota anche negli Stati interessati un vero e proprio diniego di qualsiasi retaggio coloniale, accompagnato quindi da un tentativo di riavvicinamento alla propria cultura e di apertura allo scenario globale con occhi che prescindono da quelli tipicamente europei.
Tutto ciò va collocato nel contesto più ampio della decolonizzazione, che si dipana dal secolo scorso.
Era alquanto prevedibile che, prima o poi, si sarebbe dovuto assistere ad un fenomeno simile. Allo stesso tempo, non bisogna
stupirsi per il fatto che il nostro continente reagisca in tal modo al suo lento decadimento. Ormai da anni assistiamo in prima persona all’ascesa di governi di destra tutt’altro che moderati. È il caso della stessa Italia, ma anche di Svezia, Polonia, Ungheria, Paesi Bassi, Grecia, Croazia, Cipro, Lituania, Slovacchia e Turchia. Quest’ondata contrasta fortemente quella mondiale di governi progressisti: ne è l'esempio principale l'America Latina.
La forza dei populismi in tempi di crisi è storicamente innegabile: fare leva sull’attuale precarietà in cui versa il mondo, attribuendone le cause a fattori esterni, spesso totalmente sconnessi dalla questione, è la formula più sicura per vendere programmi dai margini ben delineati con la parabola dell’uomo forte – o, nel nostro caso, della donna –, l’unico in grado di realizzarli e di domare la situazione.
L’Europa che veste i panni di ricca famiglia decadente non è in alcun modo utile per arginare il disordine generale. In compenso, gioverebbe non dimenticarsi dei cittadini, del loro benessere e dei loro desideri. E non in nome di una nuova leadership mondiale, ma per un vero e proprio ritorno ad un interesse verso coloro che vivono questi momenti in posizioni di svantaggio e paura.
di elena covini , rachele baino e valeria magnani
Due ori, tre argenti e due bronzi: sette medaglie complessive raccolte nel giro di quattro giorni. Ecco il medagliere italiano agli Europei 2022 di ginnastica artistica (versione femminile seniores). Le Fate hanno compiuto il miracolo all’Olympia Halle di Monaco di Baviera, raggiungendo il prestigioso traguardo per la prima volta nella storia. In passato, infatti, la nostra Nazionale non era mai riuscita a imporsi a livello continentale: storicamente le posizioni più alte della classifica erano dominate da Russia, Romania e altri Paesi dell’ex blocco sovietico.
La ginnastica ritmica, così come la danza, è uno sport in cui il fisico ha un ruolo soprattutto estetico, oltre che pratico, come per molte altre discipline sportive. Perciò viene controllato a volte eccessivamente.
L'accademia di ginnastica ritmica di Desio ora è sotto indagine per metodi tossici di educazione sportiva e, nell'ultimo periodo, molte coraggiosissime ginnaste si sono fatte avanti per denunciare abusi psicologici e fisici subiti negli anni passati durante i ritiri sportivi. L’ex ginnasta italiana Nina Corradini, ora diciannovenne, in un’intervista a Repubblica ha raccontato gli abusi subiti quando frequentava l’Accademia Internazionale. L’atleta ha spiegato che lei e le sue compagne venivano quotidiana-
mente sottoposte alla prova della bilancia “in mutande davanti a tutte” prendendo nota del peso e accompagnandolo con giudizi crudi come “Vergognati”, “Mangia di meno” e “Come fai a vederti allo specchio?”. Corradini ha inoltre aggiunto che, per mantenere il suo peso invariato e per paura di ricevere nuovamente commenti del genere, ha adottato una serie di abitudini non salutari. Anche Giulia Galtarossa, dapprima atleta titolare, dal 2009 al 2012, e poi assistente tecnica fino al 2016, ha preso parte alle denunce, esprimendosi con una frase che ha colpito molti atleti e allenatori: “Se mi chiedessero di riconsegnare le medaglie vinte nella ritmica per riavere la felicità non avrei dubbi: direi di sì. L'esperienza all'Accademia di Desio mi ha rovinato la vita”.
La risposta di Luisa Rizzitelli, fondatrice e presidente dell’associazione che si occupa dei diritti delle atlete agoniste Assist, non ha tardato ad arrivare. Sostiene infatti che alcuni comportamenti inadatti, che possono creare disagi alle ginnaste, si sono sempre verificati e sono sempre stati un aspetto da migliorare nella preparazione atletica e nei rapporti con gli istruttori, ma non si pensava arrivassero fino a questo punto. La Rizzitelli continua dicendo che è importante però non “scambiare le parole ‘disciplina’, ‘rigore’, ‘sacrificio’, ‘dedizione’ con le parole ‘disagio’, ‘prevaricazio-
ne’, ‘turbamento’, ‘dolore’. Una ragazza che dice che avrebbe preferito non vincere le medaglie che ha conquistato è una sconfitta per tutti”. A quanto pare la situazione è molto più che critica.
Dunque, nonostante questi avvenimenti siano noti da tempo nel mondo sportivo, non è ancora stato preso nessun provvedimento. Daniela Simonetti, presidente dell’organizzazione Change the Game, ha denunciato che in nessuna federazione è prevista una sanzione per chi commette violenze di questo tipo. La sua associazione ha dunque scritto un appello contro qualsiasi tipo di violenza nel mondo dello sport, e in risposta a questo ha ricevuto testimonianze provenienti da oltre cento atleti, ginnaste e non solo. Da tutto questo si distacca invece l’opinione del capitano della squadra nazionale di ginnastica ritmica, Alessia Maurelli, che non si dimostra così preoccupata. Ha infatti dichiarato: “non è una disciplina così subdola o inumana ma una disciplina che educa al rigore”.
Lo scopo di queste denunce non è certamente quello di danneggiare l’attività sportiva, ma ha il fine di mettere dei limiti alla rigidità richiesta dallo sport, in modo che non diventi eccessivo e che non nuoccia alla salute fisica e mentale dell’atleta.
Quella con il dissesto idrogeologico sembra per l’Italia una lotta senza via d’uscita. Si tratta di un tema che generalmente non occupa la prima pagina dei giornali, ma che è sempre pronto a ritagliarsi le dovute attenzioni.
Del resto, quando un certo tipo di notizie finisce per ripetersi, molti lettori sembrano farci l’abitudine. Eppure non dovrebbe essere così, non solo perché non esiste, nella gestione di un Paese come il nostro, virus più pericoloso della rassegnazione, ma soprattutto perché, sebbene molti preferiscano tacere o evitare certi argomenti, i dati parlano chiaro. L’Italia infatti è una penisola morfologicamente giovane nella quale oltre il 50% del territorio è a rischio idrogeologico e dove sono avvenuti negli ultimi cinquant’anni circa 15000 eventi gravi. Come se non bastasse, nel Belpaese si verifica in media uno smottamento ogni 45 minuti e, per frane e alluvioni, il dato mensile di morti è di otto persone.
Ma di cosa stiamo parlando? Da definizione, il dissesto idrogeologico è “l’insieme dei processi geomorfologici che producono la degradazione del suolo e di conseguenza l’instabilità o la distruzione delle costruzioni presenti”.
Nella pratica, definizioni come questa prendono la forma di eventi come quello intercorso a
Ischia nella notte tra il 25 e il 26 novembre scorso, quando dopo ore di piogge una frana colossale ha invaso il comune di Casamicciola Terme, un paesino sulla nota isola turistica. Il resto lo potete immaginare: vittime, dispersi e danni ingenti per tutti.
Eventi simili hanno già martoriato l’isola: nel 1910 una frana aveva provocato undici morti. La vicenda di Ischia, un tempo mitica tappa del viaggio di Enea, e oggi tristemente famosa per gli abusi edilizi, fa ritornare alla memoria l’alluvione delle Marche del 15 settembre scorso, quando il fango portato dallo straripamento di due fiumi ha ucciso dodici persone e provocato danni costosissimi nell’Anconetano e nel Pesarese. Proprio a metà settembre Massimo Gargano, direttore generale dell'Associazione Bonifiche Irrigazioni, aveva dichiarato la presenza di progetti per 858 interventi di messa in sicurezza del territorio nazionale, già cantierabili, per un valore complessivo di oltre quattro miliardi. Perché allora nessun intervento?
Tuttavia non mancano esempi di grandi opere, come il caso del Mose. E il sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro, ha espresso tutto il suo entusiasmo. Tra il 4 e il 5 dicembre scorsi si è registrata una punta di due metri e quattro centimetri sulla Diga Nord di Malamocco. Soltanto tre anni fa un fenomeno simile aveva causa-
to enormi danni: la marea aveva sfondato le porte delle case, sbriciolato i muri e i parapetti e spazzato via le imbarcazioni, rischiando di distruggere un patrimonio artistico e architettonico senza pari. Per questo a dicembre sono state alzate tutte le paratie gialle, sebbene per sollevarle servano sei ore e cospicui fondi tra manutenzione, stipendi e costo energetico. Giusto per divertirci ancora con delle cifre astronomiche, l’intera opera è costata più di sei miliardi di euro e diciotto anni di lavori.
Tuttavia, il dissesto idrogeologico costa in media all'Italia ben sette miliardi di euro all'anno. Senza tenere conto dei morti, che non hanno prezzo.
Il tema è stato recentemente affrontato anche da Gilberto Pichetto Fratin, Ministro dell'Ambiente e della Sicurezza Energetica. Nel suo discorso alla Camera ha sottolineato come a breve verranno finanziati 139 progetti a livello nazionale, con l'obiettivo di combattere il dissesto idrogeologico.
Eppure i soldi del PNRR spesi finora contro il dissesto idrogeologico sono pari a zero, sebbene l’Europa abbia destinato all’Italia per questo tipo di interventi un finanziamento di circa 2,5 miliardi da qui al 2026.
A questo punto non ci resta che sperare che continui a splendere il sole.
Con oltre 20 anni di consulenza aziendale con diversi gruppi internazionali, Paolo Giordano ha sviluppato conoscenze specifiche sull'innovazione digitale, sulla tecnologia, sull'importanza dell'esperienza dei consumatori e sulla potenzialità dell'approccio data driven come stimolo alla crescita del business
la pandemia si è verificato un aumento delle presenze delle persone nei luoghi fisici. Oggi i social media non sono l’unico posto dove possiamo interagire, siamo tornati a “occupare” anche i luoghi fisici. Non c’è più alcun settore che sia lontano dal digitale perché questo è entrato a far parte della vita quotidiana. Io e il mio team lavoriamo sul customer service, perché sappiamo quanto è importante creare relazioni e servizi”.
“Mettiamo caso che io voglia lanciare un messaggio: potrei usare la tv, ma invece scelgo di usare i social, perché sono più comuni e, anche se lo spettatore perde l’annuncio alla televisione, sui social lo ritroverà quando vuole. Quella è comunicazione. Oppure, si può creare una community.
Prendiamo Ikea: è molto attenta all’impatto sul territorio quando va a costruire il suo tipico edificio giallo e blu. Noi facciamo molta ricerca insieme a loro, per riuscire a creare delle relazioni con la popolazione, che si ritrova un cubo giallo e blu a poca distanza, dando vita a interazioni reali”.
“No. Il digitale, ormai, non è più solo uno “strumento”. Dopo
“Ogni medaglia ha anche un rovescio. È impressionante, per esempio, la guerra a distanza che adesso stiamo osservando in Ucraina. Lì è la tecnologia che guida i bombardamenti”.
“È sicuramente un grosso problema etico, perché è il modo con cui utilizziamo i dati. Noi lasciamo tracce di dati ovunque e in qualsiasi momento. L'Europa è molto rispettosa della privacy mentre l’America lo è solo in parte. Ci sono partner tecnologici americani che noi non possiamo utilizzare perché i dati sarebbero archiviati in Usa. Fanno un servizio a distanza ma i dati che lasce-
remmo noi come utenti rimarrebbero là, e questo, secondo le leggi della Ue, è illegale. Bisogna stare molto attenti e sapersi muovere all’interno dei regolamenti”.
“Tutti i media privati fanno programmi di comunicazione e aggregazione ma mirano al profitto, è una questione di affari. I giornali mirano al guadagno. Ma fare profitti non vuol dire essere indipendenti. Se un giornale vuole sponsorship, da cui ricava profitti, rischia di perdere l’indipendenza”.
Last night I said these words to my girl… cantava Paul McCartney, sulle note di Please Please Me , singolo di incredibile successo destinato a dare il nome al primo album della band più influente della storia. Si tratta ovviamente dei Beatles . Ma facciamo un passo indietro. Siamo nel 1957, più precisamente il 6 luglio, e siamo a Liverpool, quando avviene l’incontro fatale. Nel cortile dell’oratorio della chiesa di Saint Peter, John Lennon, giovane leader dei Quarrymen , band skiffle e rock’n’roll, conosce l’allora quindicenne Paul McCartney. Già in questo primo incontro scatta una scintilla di iniziale rivalità quasi fraterna, che si tramuterà poi in quella singolare e dolorosa amicizia che li terrà legati per anni. Con l’entrata di George Harrison nel gruppo, il mosaico Beatles inizia via via a prendere forma. George è un amico di scuola di Paul, il più giovane fra i tre, appassionatosi per caso al
rock’n’roll dopo aver sentito la voce di Elvis sulle note di Heartbreak Hotel uscire da una finestra. Le prime esibizioni della band si svolgono al Casbah , club della madre dell’allora batterista Pete Best. È nelle sue stanze che i Quarrymen si trasformano, in questa polverosa e stonacata incubatrice, in Beatles. Però, come ogni mito che si rispetti, affinché tutto abbia inizio ci vuole una grotta, una caverna: il Cavern , appunto. In questa cantina tramutata in club nel centro di Liverpool, i Beatles si esibiscono per la prima volta il 21 marzo del 1961. Il locale è una tappa fondamentale per la storia della band: qui si costruiscono un proprio pubblico e un’identità tra le vie della città. Ma soprattutto, sono invitati a suonare ad Amburgo, città della Germania Ovest che in quegli anni si era cucita addosso l’immagine di covo di rocker e malfamati: gli stessi Beatles si esibiscono nei suoi quartieri “a luci rosse”. Amburgo è per i cinque ragazzi – John, Paul, George, Pete e Stuart Stucliffe, fotografo e pittore sostanzialmente disinteressato alla musica, ma amico del primo – l’iniziazione, il luogo in cui imparano i trucchi del mestiere, a suonare insieme, a divertire e coinvolgere il pubblico. Una volta rimpatriati, dato che George è ancora minorenne, a Liverpool si accorgono che il clima è mutato. Il mondo intorno a loro sta
cambiando. L’Inghilterra, e l’intero Occidente, attraversa una fase di sviluppo economico, e in questa primavera la musica e i giovani conoscono la loro più bella stagione. Il consumo di dischi cresce rapidamente ed in modo esponenziale, si utilizzano i primi giradischi e in tutti i bar si trovano i jukebox. Alla televisione, ora divenuto il primo tra i nuovi mezzi di comunicazione, i giovani sono oggetto di singolare attenzione: attraggono, sono giudicati, studiati, analizzati. È in questo momento che entrano in campo i tre personaggi decisivi per lo sviluppo della storia, quelli che riusciranno a scovare il diamante nell’ancora grezzo carbone della band: il primo è Brian Epstein.
Di modeste origini, Brian lavora nella sezione dischi del negozio di famiglia e viene a conoscenza dei Beatles quando un cliente gli chiede My Bonnie , pezzo di Tony Sheridan inciso dalla band, di cui appunto non ha mai sentito parlare. Vedendoli esibirsi al Cavern , rimane folgorato dalla loro musica, ma soprattutto dal fervore con cui il pubblico risponde, osservazione che anticiperà l’ineguagliabile fenomeno della Beatlesmania . Epstein diventa il manager della band e spiana loro la strada verso il successo mondiale, firmando il contratto con la EMI Records che permetterà a George Martin, altro tassello fondamentale nella storia del gruppo, di diventare il
loro produttore discografico. Intanto Stuart, rimasto ad Amburgo per inseguire i suoi progetti artistici, muore prematuramente nell’aprile del ’62: per Lennon è un lutto doloroso, e da qui McCartney diventa il bassista del gruppo. Martin comprende che i quattro vanno assecondati – anche quando, negli anni successivi, stravolgeranno totalmente le modalità di registrazione canoniche – e decide di sostituire a Pete Best il batterista già in voga a Liverpool Ringo Starr. John, Paul, George e Ringo: la definitiva formazione dei Beatles è ultimata. Il primo singolo, Love Me Do , con P.S. I love you sul retro, stabilisce l’esordio ufficiale della band. Il pezzo è semplicissimo, composto da due accordi, ma per assurdo è proprio questa scarna sincerità a lanciare i Beatles sulle classifiche internazionali. A novembre, dopo il successo del primo singolo, i quattro propongono a George Martin un pezzo scritto ispirandosi agli Everly Brothers, ma con una sonorità tutta nuova: Please Please Me Arriviamo, quindi, all’11 gennaio del 1963, esattamente sessant’anni fa: il brano è pubblicato come singolo e il mese successivo, quando la band presenta il suo primo album omonimo, l’opera arriva al primo posto in classifica e ci resta per ben trenta settimane. Sarà superato solo dalla loro seconda uscita, With The Beatles . Il trionfo del gruppo apre un varco irreparabile nella tradizionale cultura britannica: non è solo la musica internazionale ad essere sbaragliata da questa travolgente ondata rivoluzionaria, ma anche la moda, la politica, il marketing, i costumi
di un’intera generazione.
I Beatles diventano un fenomeno collettivo che gli adulti guardano storcendo il naso. La lunga notte europea del dopoguerra termina proprio quando i quattro sono i primi ad uscirne.
Il mistero di questa metamorfosi estremamente definitiva e radicale iniziata da quattro ragazzi di Liverpool è ciò che rende difficile raccontare i Beatles oggi. Perché il mito della band nasce infatti in una città piccola, povera, provinciale, distrutta dalle conseguenze della guerra, perennemente grigia e rassegnata. L’unico accesso ad un esterno più colorato e ridente è rappresentato dal porto della città, affacciato sul Nuovo Mondo, che permette l’arrivo di dischi dall’America, in Inghilterra selezionati dal ferreo controllo della BBC. Per questo motivo la febbre del rock’n’roll si diffonde a Liverpool addirittura prima che a Londra, e diventa un nuovo stile di vita. I Beatles sono figli di quella generazione assente e lontana, ancora dolente per le ferite della guerra, impoverita dalla sistematica caduta dell’Impero britannico e spettatrice dei sogni di vita e contestazione della nuova gioventù. In questo contesto il rock’n’roll, che musicalmente non è del tutto nuovo, diventa sovversivo: racconta una generazione insofferente, ancora non interamente svelata, diventa l’inno della speranza attiva in un mondo nuovo. Non è solo divertimento, bensì è un modo radicalmente diverso di vedere la vita, un totale ripudio dei valori dei propri genitori: nuovi rapporti umani, nuove regole, nuovo abbigliamento. I Beatles, trascinati da questa rivoluzione,
iniziano a trascinarla loro stessi, all’inizio quasi inconsapevolmente, facendosi portavoce di un desiderio di ribellione e di scissione globale ed epocale.
E l’epidemia di consapevolezza e coscienza di se stessa propria della nuova generazione originata dai Beatles deve fare i conti con una classe politica ancora impreparata ad un fenomeno globale così ampio e definitivo. Sulle melodie di canzoni come She Loves You e, più tardi, All You Need Is Love , milioni di ragazze e ragazzi decidono di voler cambiare il mondo, culminando poi nei famosi Movimenti Sessantottini. Sono gli anni di una nuova cultura emergente prodotta e destinata ai giovani: lo stesso John Lennon omaggia, creando il nome del gruppo, la gang di motociclisti in ciuffo e giacca di pelle di Marlon Brando, i Beetles , dal film Il selvaggio . La band utilizza un linguaggio comprensibile solo a chi, come loro, nutre una brama di innovazione violenta e prorompente, che tocca qualsiasi ramo della cultura. Raccontare i Beatles significa, dunque, identificare un mondo prima e dopo di loro.
Dopo il remake live-action della Disney, massacrato da critica e pubblico, questo è il secondo film di Pinocchio ad uscire in un anno, probabilmente il migliore nella categoria d’animazione. Guillermo del Toro è rinomato per le sue tipiche atmosfere dark fantasy, e Pinocchio non si discosta da questo modello. La pellicola è infatti in stop motion, una delle tecniche d’animazione più complicate e costose, la stessa di Nightmare Before Christmas e de La Sposa Cadavere
Se a molti di voi può sembrare una storia già vista e rivista, vi ricrederete facilmente: il regista ha infatti deciso di modificare un po’ la trama, ambientandolo nell’Italia fascista, invece che nella seconda metà dell'Ottocento come nel romanzo originale; inoltre, personaggi come Geppetto, Lucignolo, il Gatto, la Volpe e anche la Fata Turchina sono piuttosto differenti. In lingua originale abbiamo un incredibile cast vocale: Gregory Mann, David Bradley, Ewan McGregor, Finn Wolfhard, Christoph Waltz, Cate Blanchett e Tilda Swinton.
Una pecca della pellicola sono le canzoni, abbastanza anonime e fuori luogo, ma per fortuna non eccessive. Consigliatissimo è anche il dietro le quinte, reperibile su Netflix, che mostra le grandi difficoltà nel girare questo splendido film: le riprese sono durate più di due anni, e Del Toro ci ha lavorato per circa 15 anni. La pellicola è una lucidissima rivisitazione grottesca della fiaba classica, adattata nella sua poetica a quella di Del Toro: dai caratteri malinconici e poetici, è assolutamente da non perdere.
(Di Luca Salvini)I1899deata da Baran bo Odar e Jantje Friese, gli stessi creatori di Dark, 1899 è la nuova serie mystery thriller distribuita da Netflix.
Come suggerisce il titolo, la vicenda si svolge nel 1899, interamente a bordo di una nave a vapore in rotta verso New York. I passeggeri, di diversa nazionalità, età ed estrazione sociale, hanno in comune speranze e sogni per un futuro lontano dai traumi del passato. Tuttavia, dopo una serie di eventi strani ed enigmatici, le loro storie personali e i loro destini saranno costretti ad intrecciarsi: quello che poteva sembrare un semplice viaggio verso una nuova vita si rivelerà ben presto molto più complesso e misterioso.
I continui flashback, i colori cupi, le sequenze notturne, le illusioni, la scelta musicale e le voragini nell’oceano contribuiscono a creare suspense e a disorientare lo spettatore. Tutti gli aspetti tecnici sono minuziosamente studiati per dare vita ad un’atmosfera surreale e ad un alone di mistero.
Il tema principale è la difficoltà di comprendere fino in fondo la mente umana, capace di ingannare anche sé stessa. La realtà viene spesso messa in discussione durante gli episodi, infatti non sono casuali le citazioni del mito della caverna di Platone.
1899 è un prodotto contorto ed intricato che smentisce continuamente ogni certezza e permette di abbandonarsi a profonde riflessioni. Un intrigante rompicapo che può ricordare Titanic o Assassinio sull’Orient Express, ma che presenta snodi totalmente inaspettati. Una serie da non perdere che vi terrà incollati allo schermo con il fiato sospeso dal primo all’ultimo minuto.
Mercoledì è il nuovo prodotto di Tim Burton, che ritorna con un progetto dedicato al membro di una famiglia su cui vuole lavorare da tempo. Il regista porta gli Addams in un mondo più moderno rispetto a quello del telefilm originale, e aggiunge una parte mystery, in cui sono rivelati alcuni dei segreti della famiglia, anch’essa, insieme a Mercoledì, molto prominente nella serie.
Il 22 ottobre, alla Fabbrica del Vapore, è stata inaugurata una mostra su Andy Warhol, principale esponente della Pop Art, che sarà aperta fino al 26 marzo 2023.
Curata da Achille Bonito Oliva ed Edoardo Falcioni, La pubblicità della forma presenta 300 opere dell’artista divise in sezioni. Tra queste troviamo tele, serigrafie, dischi, fotografie, e un’altra moltitudine di capolavori di diverso tipo.
La mostra è un brillante tuffo nell’universo artistico di Warhol e della Pop Art in generale, senza mancare allo stesso tempo di una parte più umana e storica, mostrando nel suo intero il genio dell’artista. Non è altro che un viaggio alla scoperta dell’aspetto essenziale dei lavori di Warhol. Persistente, nelle sue opere, è la cruda rappresentazione della società in cui viviamo. Una società che ai tempi dell’artista si affacciava al consumismo e che non l’ha mai abbandonato. Per questo motivo i componimenti non sono altro che prodotti commerciali, che espongono il nuovo ritmo della società, facendo appiglio ad un immaginario collettivo che lega le masse. Attraverso i loro colori vivaci e la loro bellezza artistica, le opere lasciano il retrogusto amaro della realisticità.
Warhol riesce a sfruttare al meglio qualsiasi tipo di mezzo per trasmettere i suoi messaggi e comunicare col pubblico, risultando, anche a distanza di anni, innovativo e stimolante.
Così arte, pubblicità e prodotto si fondono per consegnare allo spettatore un’esibizione mirata ad accompagnarlo attraverso i lavori rivoluzionari dell’artista, lasciandolo con una nuova consapevolezza dell’arte e della vita.
La mano di Tim Burton è evidente: scene come il Rave’N – il ballo scolastico della Nevermore, la nuova scuola di Mercoledì che sarà teatro di molti enigmi –mostrano chiaramente lo stile del regista.
Jenna Ortega è perfetta nel ruolo della protagonista: esibisce un magnetismo in grado di conquistare tanto i personaggi interni alla serie, quanto noi spettatori. Ha rivelato a Wired di essere stata molto sotto pressione nel farsi carico di un ruolo già interpretato in passato – da Christina Ricci, che torna anche nella serie come una delle insegnanti della Nevermore – ma il risultato è stato sicuramente positivo. Pensate addirittura che, per cimentarsi meglio nella parte, l’attrice ha imparato a suonare il violoncello e si è impegnata a sbattere le palpebre il meno possibile.
La serie è stata rinnovata per una seconda stagione, com'era d'altronde prevedibile dati il successo ottenuto e il finale aperto. Per quanto Mercoledì non sia uno dei migliori prodotti di Tim Burton, è una serie che si fa sicuramente apprezzare: attendiamo quindi la seconda stagione, che fortunatamente sarà affidata allo stesso regista.
Natale è appena passato, e sono rimasto nuovamente una delle creature più disprezzate al mondo perché, a causa di qualche scomoda parentela, sono a tutti gli effetti un drago. Le mie fattezze sono state un problema fin dall’infanzia; avendo nutrito da giovane interessi antropologici, rubavo spesso testi scritti dalle case degli umani; leggendo però i loro antichi miti trasalivo dall’orrore ogni volta che si delineava sulle pagine la fine cruenta di uno dei nostri, ucciso con efferata crudeltà da qualche dio
o eroe guerriero. Mentre crescevo la situazione non ha fatto altro che peggiorare; mitografi irresponsabili e delinquenti patentati come i Fratelli Grimm hanno fomentato l’odio contro noi poveri draghi con le loro barbare narrazioni. Un aitante bracconiere di Cappadocia ha ucciso quindici secoli fa un mio amico del liceo solo perché stava discorrendo amabilmente con una fanciulla. Perfino Mario, il nostro celebre infiltrato sotto copertura, è stato recentemente malmenato durante una battuta di caccia organizzata da Conti e Cavalieri. Credo
Arieti cari! Gennaio non è mai facile per nessuno, ma quest’anno fa un'eccezione per voi: ebbene sì, stranamente questo mese si prospetta buono.
Torelli, passate bene le vacanze? Speriamo che vi siate goduti il tempo libero perché non vedrete tranquillità per un po’…
Buongiorno Gemelli! Dopo il vostro pazzo Capodanno, questo 2023 inizia per voi abbastanza bene, cercate di non cedere all’ansia da fine quadrimestre.
Cancri, come state? Purtroppo gennaio vi sembrerà tremendamente stressante, ma vi assicuria-
mo che dopo potrà andare solo meglio! Buon 2023!
Ciao Leoni, ve lo diciamo francamente: affondate il naso nei libri anziché nella birra…
Vergini, vi prediciamo che in questo 2023 riuscirete a catturare il cuore di qualcuno.
Sappiamo che la vostra vita vi sembra monotona e noiosa: quest’anno provate a fare qualcosa a riguardo, magari…
Cari Scorpioni, la vostra lista dei propositi per l’anno nuovo è uguale dal 2017, non è forse ora di realizzarla?
Se a Natale la pigrizia ha avuto il
che questo comportamento ostile sia dovuto al fatto che in passato ci siamo nutriti di qualche pastore, ma… siamo fatti così! Anche voi umani divorate creature più piccole, eppure non ho ancora visto uno stuolo di lumache abbattere uno chef francese come se fosse una bestia assassina! Perciò ascoltate il mio consiglio: la prossima volta che vorrete scrivere una fiaba, evitate di farci finire troppo male. Intanto provo a starnutire di nuovo, che qui mi si è spento il fuoco…
sopravvento, adesso è tempo di abbandonarla: le – non troppo belle – sorprese dei vostri professori ricominciano, ma non temete: il quadrimestre è quasi finito.
Capricorni, l’inizio dell’anno si prospetta più difficile del solito: cercate di lasciarvi alle spalle ansie e brutti pensieri per questo 2023…
Cari Acquari, sorridete! Nonostante gennaio sarà particolarmente impegnativo, vi sembrerà passare in un batter d’occhio!
Pesciolini, il vostro ritorno a scuola è stato traumatico, lo sappiamo. Ma badate bene: la fortuna di questo mese dipende da voi!
1. Prodotto fitosanitario nemico dei funghi - 11. Finale del thriller - 12. Intelligenza Artificiale - 13. Gli attori silenziosi dal volto bianco - 14. Periodo del Mesozoico tra il Permiano ed il Giurassico - 15. Il Gruppo di Alan Ford - 16. Shared Access - 17. L’amica di Wall-E - 18. Gnocchi di riso della cucina coreana - 19. Desinenza del nominativo plurale della I declinazione latina - 20. Interiezione di perplessità - 21. L’herpes del labbro - 22. Il gruppo dei fratelli Gallagher - 23. Il vocabolario di greco della Loescher - 24. Lo pneumatico inglese - 25. La grande mela - 26. Si accompagna a nanna - 27. Esultanza di trionfo - 28. La chiave francese - 29. Lo è il jamón - 30. L’opposto di giù - 31. Nome dantesco per cane da caccia - 32. Il protagonista de Il sentiero dei nidi di ragno - 33. Lo fa il nonno che parla dei tempi d’oro - 34. Il Bruno di Uptown Funk - 35. La Hollywood di Roma - 36. Segue “Pronti, partenza” - 37. L’incontenibile Musk - 38. Si controlla prima di chiudere casa
VERTICALI:
1. Spocchioso, sprezzante - 2. Da non toccare se scoperto - 3. La città di Umberto Saba - 4. Relativo all’ordine monastico di Cîteaux - 5. Strumento autunnale da giardino - 6. Magnate dell’industria - 7. Il suono dell’espirazione - 8. La scampagnata del private advisor - 9. Dimenticanze, lacune di memoria - 10. Nell’Ivy League della ricerca scientifica - 16. Desueto termine sinonimo di acume - 31. Valori Nutritivi di Riferimento - 33. Una tipologia di batterie dal piccolo diametro - 34. Viene dopo il Re - 39. Le vocali delle zie - 40. Affermativo negli States - 41. Morale, corretto - 42. Gli inglesi ci cantano sotto con l’ombrello - 43. Il fulcro delle moine - 44. Mezzo legame - 45. Istituto di Istruzione Superiore - 46. Numero in breve - 47. Targa di Pistoia - 48. Lo sono Qui, Quo e Qua per Paperino - 49. Esclamazione di lieve dolore - 50. Suffisso accrescitivo maschile - 51. L’articolo singolare maschile in siciliano
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N T I C R I T T O G A M I C O
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R I A S S I C O T N T S A
V E T T E O K A E M A H