Writers 15

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Numero 15: Come nelle favole “C'era la luna, c'erano le stelle C'era una nuova emozione sulla pelle C'era la notte, c'erano i fiori Anche al buio si vedevano i colori” Alex Britti – ‘Solo una volta’


In questo numero: In copertina: “Il mondo delle favole” di Anna Bellucci,inchiostro e acquerello su carta, 2017 2 .....…. Editoriale 4 …...... A proposito di: “Favole” 5 …... 8 …... 9 …... 12 ….. 16 ….. 17 ….. 18 ….. 21 ….. 24 ….. 26 ….. 29 …..

Il venditore di sogni di Marco Fantuzzi La volpe e la gazza di Massimo Baldi Katherine e il custode del Re Inverno di Eufemia Griffo La vita è favola di Armando Cambi Una fiaba rivisitata di Molfy Il cane e il buon fattore di Massimo Baldi Cappuccetto Rosso Oscuro di Sonia Barsanti Una vita in una notte di Anna Giulia Alfonzo La quercia e la margherita di Massimo Baldi I ghiaccetti del lupo Papo di Antonella Fortuna La giara di Elena Brilli

31 …...... Parole in libertà 32 .. WRITERS presenta: “Passeggiando con Esopo nella mitica terra di Zoolandia” di Massimo Baldi

35 …...... La redazione di questo numero

Nota sull'uso delle immagini: Fatte salve le immagini originali ed inedite, per le quali abbiamo l’autorizzazione degli autori alla pubblicazione, tutte le altre immagini riprodotte nella presente pubblicazione sono prese da internet e, per quanto è dato conoscere, non coperte da copyright.

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EDITORIALE Vede la luce un nuovo numero di WRITERS per il quale i nostri lettori e redattori, attraverso la pagina Facebook (che trovate qui: https://www.facebook.com/writers.magazine ) avevano scelto per tema il ‘mondo delle favole’. Tema solo all’apparenza banale e fanciullesco, perché pensare alle favole e al loro mondo incantato ci da la possibilità di confrontarci con il nostro “IO” bambino, riscoprirne i passaggi della costruzione della ‘persona’ che da esso ognuno di noi è diventato, analizzare i nostri personalissimi ‘c’era una volta...’ che si sono trasformati in realtà o che sono svaniti nelle nebbie della vita vera. Così Anna Bellucci ha disegnato una copertina oscura e piena di ombre, e una bambina che si avventura in esse, puntando alla luce in fondo al tunnel da cui arrivano le farfalle, nonostante il buio. E questa è la vita di ognuno di noi, un viaggio attraverso il buio, in compagnia di serpenti, gufi e camaleonti, verso la luce, all’inseguimento delle farfalle. Così, attraverso le favole, i nostri redattori si sono confrontati coi loro personali mostri, alla ricerca di quel lieto fine che esiste solo nelle favole appunto, ma che continua, di generazione in generazione, a farci sentire vivi, a dare un senso al percorso.

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Parlando di favole, troverete questo numero più ‘colorato’ di altri. Quando lo spazio di impaginazione me lo consentiva, ho inserito alcune tavole di illustratori illustri ad arricchire le immagini delle parole con la fantasia dei mondi immaginari disegnati dagli artisti. Quindi partiamo, e non rimane per me altro da fare se non augurare a tutti voi lettori che le pagine che andrete a leggere possano tenervi compagnia, emozionarvi e, perché no, anche fornire spunti di riflessione, di introspezione e di analisi. Sarebbe un grande onore se aveste poi voglia di condividere con noi le vostre impressioni, le vostre emozioni e anche le vostre critiche, che, preziosissime, ci aiutano ad andare avanti e migliorare. Ci troverete sempre pronti ad accogliervi ed ascoltare ogni vostro pensiero qui:

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E aspetteremo con ansia, per la costruzione dei nuovi numeri, ogni nuovo spunto creativo che vorrete condividere con noi, i vostri racconti, le vostre poesie, i vostri pezzi di creatività. Noi saremo pronti ad accoglierli e dar loro spazio nelle future pubblicazioni, perché abbiamo scoperto che dialogare con voi lettori in uno scambio alla pari di parole, immagini ed emozioni ci arricchisce e ci stimola e, credetemi, passare ‘dall’altra parte’ e trovare i vostri scritti sulle pagine della ‘vostra’ rivista, non è poi così complicato come potreste pensare, ma è sicuramente bellissimo! Ricordate che WRITERS può essere anche vostro, anzi che lo è, vostro. Noi siamo solo l’umile canale attraverso il quale potete tirar fuori da voi tutto il vostro personalissimo caleidoscopio di emozioni. Vi aspettiamo.

La direttrice Elena Brilli

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A proposito di: “Favole”

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Il venditore di sogni di Marco Fantuzzi Nel centro di Napoli, nella parte più vecchia della città, c'è un negozio che apre tutte le notti a mezzanotte. Lo apre un vecchio signore con una lunga barba grigia e un cappello di feltro nero sulla testa. Lui regala sogni a chi non riesce a dormire, ti fa accomodare su vecchi divani consumati dal tempo e non fai in tempo a sdraiarti che i tuoi occhi si chiudono e la mente comincia a sognare. Anch’io ci sono stato una volta ed è stata un’esperienza davvero emozionante. Napoli è la città adatta per sognare, per qualsiasi tipo di sogno. Se devo essere sincero il sogno che mi ha regalato quel vecchio signore era una cosa che da sempre era nei miei pensieri. Sono in casa da solo immerso nei miei pensieri con una penna in mano e un foglio bianco davanti a me. Cerco di tradurre i pensieri in parole, ma non riesco a concentrarmi. Il venditore di sogni mi appare all’improvviso, venendomi incontro. “Ciao – gli dico, salutandolo con la mano - io mi chiamo Filippo.” “Ciao – mi risponde lui con un gran sorriso – io sono Adolfo.” “Che bel nome Adolfo, sei qui per aiutarmi?” “Sì, se occorre.” e mi aiuta a dare forma alla mia voglia di scrivere. Io lo guardo e ancora non ho capito che mi sono addormentato e sto sognando. Ma non riesco a delineare bene i contorni del mio sogno. Penso che ci deve essere un errore, io non sono uno scrittore, anche se lo desidero da anni. Adolfo nel frattempo si allontana, perché hanno suonato il campanello del negozio. Ma ho l’impressione di non essere solo in casa, mi giro e c’è il sorriso stupendo di Anna, la mia figlia più piccola. “Ciao, Annuccia – è così che la chiamo affettuosamente – cosa fai nel mio sogno?” “Papi, ma non siamo in un sogno, non riconosci più la nostra casa?” “Ma siamo soli, dove sono mamma e Michele?” “Non so risponderti papà.” “Mi nascondi qualcosa?” “No, vedrai che arriveranno presto.” Il sogno comincia a prendere forma. Mia figlia mi incoraggia a pensare: la casa in cui ho passato tanti bei momenti in famiglia, la mia voglia di scrivere per me e per gli altri. E finalmente il foglio comincia a riempirsi e le parole sgorgano senza soluzione di continuità in modo naturale come se fosse la cosa più facile del mondo. Affiorano i ricordi più profondi, più antichi, che per anni erano stati seppelliti nel profondo del mio cuore. Adolfo mi riappare un attimo. “Marco – mi chiede Adolfo – hai ancora bisogno di me?” “No, quello che ho mi basta e avanza. Grazie.” “Allora vado, ci sono altre persone che mi aspettano. Ma se hai bisogno non devi far altro che pensarmi. Arrivederci.” “Arrivederci Adolfo.” 5


È un sogno un po’ confuso. Le cose arrivano poco alla volta, sono immagini delle persone che mi sono state care e che non appartengono più a questa vita ma che l’hanno segnata in modo indelebile. Saluto Anna, la lascio ai giochi della sua età e me ne vado. Ma dove vado? I miei occhi adesso sono profondamente chiusi ma intorno a me c’è tanta luce, ci sono colori, suoni, musica e canti e il vociare allegro di tante persone. Mi incammino lentamente seguendo la melodia che arriva dolcemente alle mie orecchie. Sembra una musica d’altri tempi, una di quelle sagre di paese che in passato raccoglievano le persone per festeggiare la domenica come unica giornata dedicata al divertimento. Entro nella festa con curiosità, quella curiosità che ho perduto negli ultimi anni della mia vita, e per primi vedo i miei genitori, ancora giovani e non sposati, che stanno ballando assieme a tanti coetanei. Stanno festeggiando la fine della guerra, hanno poco più di vent'anni ma hanno già sofferto tantissimo. La guerra si è portata via alcuni compagni di giochi, assieme alla loro adolescenza, ma giustamente loro hanno scelto di festeggiare la vita. Mi fermo a parlare con loro. “Ciao. Mi chiamo Filippo, posso chiedervi che musica è questa?” “Ciao. Io sono Ines e questo è Dario, un mio amico.” Loro non sanno spiegarmi che musica è, ma una signora, Filomena, mi spiega che è una polca. Lei è una ballerina provetta, e ha un sacco di dischi che suona su un vecchio giradischi. Polca, valzer, mazurca sono i suoi balli preferiti. È leggiadra quando danza, alta e magra, basta una brezza leggera per farla muovere. Proseguo verso la festa, non ci sono solo ballerini, altre persone sono riunite a tavola a pranzare o sorseggiare un buon vino, altre stanno organizzando giochi per grandi e piccini, altri ancora stanno giocando a carte e fanno un gran chiasso. Mi fermo a discorrere del più e del meno con varie persone, uomini, donne e bambini di ogni età e razza. Sembra una bellissima festa multirazziale in cui si incontrano varie culture, ognuna rispettosa dell’altra. È un bellissimo sogno, persone che parlano lingue diverse ma che si capiscono benissimo al contrario di quello che succede oggigiorno, persone che parlano la stessa lingua ma non si capiscono per niente. In questo momento sono fuori del sogno, sicuramente. Questo è un discorso troppo serio. Ho bisogno di Adolfo, e lui mi appare in un attimo. “Cosa succede Filippo?” “Sto pensando che questo sogno è troppo serio.” “Sei tu che lo sei, il sogno era giusto per te.” “Mi sembri troppo sicuro di te.” “Marco, rilassati, fai viaggiare la mente e ritroverai te stesso.” Adolfo ha ragione, penso, mentre lo vedo allontanarsi. Il mio sogno è li che mi aspetta, devo solo ritrovare il filo del discorso. Sono di nuovo nella festa e stavolta mi lancio anch’io nel vortice del ballo. Non sono molto portato per questo genere, ma Filomena mi aiuta e sua sorella Teresa mi incoraggia. Questa musica è molto coinvolgente, ti abbandoni ad essa e dimentichi quello che ti circonda, ti volti e vedi solo volti sorridenti. Il ballo è una gran cosa e senza la musica l’uomo sarebbe perso. 6


Questi vecchi balli mi ricordano come in passato la gente era più semplice e sapeva divertirsi con poco, forse avrebbe bisogno di sognare più spesso ma ad occhi chiusi. Natale è passato da poco, ma manca la cosa più importante: la neve. Non è pensabile un inverno senza la neve. Mi ha sempre messo allegria la neve che scende e io che al caldo, dietro la finestra, conto i fiocchi che scendono. Poi stanco di contare scendo in cortile e comincio a costruire un bel pupazzo di neve, come quelli che si vedono nei film, candido, ma con gli accessori colorati, un cappello verde di feltro in testa, una sciarpa rossa al collo, guanti turchese e gli occhi e il naso con bottoni colorati che ho rubato dal cestino da sarta della nonna. Non se ne vedono più di pupazzi così. Ogni tanto, mentre Adolfo passa a controllare tutti noi, presto attenzione per vedere se riesco a carpire, attraverso i suoi pensieri i sogni degli altri. Lui è il dispensatore di sogni, e quindi conosce i nostri sogni, magari qualcuno sogna a voce alta, bisogna stare attenti a non raccontare agli altri i propri sogni. La notte sta ormai finendo e il mio sogno se ne sta andando con lei. Sto per svegliarmi, non riesco più ad evocare momenti significativi. Di fianco a me anche altre persone sono già sveglie e stanno discorrendo con Adolfo. Penso che tornerò ancora in questo negozio, forse soltanto con la mente. Non è difficile, basta stendersi rilassati e chiudere gli occhi. Puoi raggiungere qualsiasi posto tu desideri, non ci sono limiti all’immaginazione, e se non troverai Adolfo a suggerirti un sogno avrai comunque capito che Adolfo non è altri che la parte migliore di noi stessi che ci ha aiutato a tirare fuori dal nostro profondo ciò che di buono poteva esserci sepolto. Questo sembra un sogno qualsiasi, ma non lo è: è il mio sogno. Il desiderio di una persona che sogna di diventare uno scrittore, per sé soprattutto, ma anche per gli altri, senza l’assillo di diventare un uomo di successo. Un uomo che vuole dare corpo ai suoi pensieri più profondi senza per questo porsi delle grosse aspettative. Gli obiettivi sono sacrosanti, ma troppo spesso quando non sono raggiunti ci deprimono e ci fanno sentire dei falliti. Certo l’obiettivo di uno scrittore è quello di comunicare con gli altri e sono i lettori a decretarne il successo, ma questo per me non è l’obiettivo primario. Io scrivo, perché voglio vivere una favola, perché raccontare storie agli adulti è come raccontare favole ai bambini, perché la vita è una favola se sai viverla con leggerezza e poesia.

Marco Fantuzzi

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La volpe e la gazza di Massimo Baldi In una fredda giornata d’autunno come tante una gazza cadde da un ramo e si spezzò la zampa. Attese invano che qualcuno passasse nei suoi paraggi ma nulla, non passò nessuno per ore ed ore. Quando la notte stava per incombere le si fece incontro una volpe, dal pelo morbido e fulvo e con due occhi che raccontavano molto più delle parole. “Sono caduta dal ramo amica volpe e sono assai avanti con gli anni; mi aiuteresti a risalire sul ramo da cui accidentalmente sono caduta?” La volpe che quel giorno non aveva ancora mangiato acconsentì alla richiesta della gazza, sicura di avere un pranzetto prelibato a portata di zampa. “Sali sul mio dorso e ti ricondurrò al tuo ramo” – fece la volpe con gli occhi scintillanti dalla gioia e dalla malizia. Non appena poggiata la gazza sul ramo, la volpe approfittò del momento di apparente distrazione della gazza per farne un solo boccone ma la gazza le lanciò in terra un anello d’oro. La volpe, abbagliata dal monile e intenta a raccogliere quell’oro inatteso, si distrasse a sua volta così che la gazza con un balzò saltò su un alto ramo, impossibile da raggiungere per la volpe nonostante i salti e gli sforzi vani. Fu così che la volpe rimase con un pugno di mosche in mano e a stomaco vuoto tutto il giorno. Morale: la favola insegna agli uomini che l’astuzia non serve a nulla se si trascura l’intelligenza di soddisfare bisogni essenziali a scapito di bisogni materiali ed inutili.

Massimo Baldi

Leoni preistorici nella camera dei felini delle Grotte di Lascaux

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Katherine e il custode del Re Inverno di Eufemia Griffo Hercules Poirot strinse il ritratto della sua amata Katherine, accarezzando il vetro della cornice che da sempre custodiva l'antica bellezza della fanciulla. Hercules chiuse gli occhi e la rivide per un attimo ancora bambina, in un ritratto in cui sua madre le pettinava i lunghi capelli colore del grano. A un tratto gli occhi si fecero pesanti e l'uomo iniziòa sognare. * Katherine era vestita di bianco e aveva tra le mani rose bianche fatte di ghiaccio. Le due piccole mani erano rigate da rivoli di sangue e goccia dopo goccia, l'abito si macchiò di colore rubino. Essi sembravano fiori minuscoli che adornavano il suo vestito immacolato del colore della neve che scendeva copiosa dal cielo. Un vento gelido soffiò improvvisamente tra i capelli della fanciulla, tanti cristalli di ghiaccio che si depositarono tra i suoi boccoli. Katherine era terrorizzata, aveva tanto freddo e avrebbe voluto chiamare aiuto, ma non c'era nessuno in quel luogo remoto cosÏ lontano dalla sua amata casa. Si rese conto che si trovava in un castello fatto di neve e di ghiaccio. 9


All' improvviso vide per terra uno specchio e vi vide riflesso un volto: una donna non più giovane e in là con gli gli anni piangeva. Katherine riconobbe il viso della sua amata madre. Il dolore dipinto sul suo volto era quasi palpabile, ogni parte di esso tradiva una profonda sofferenza. Perché sua madre piangeva? All'improvviso un turbine di vento rivelò la presenza di una donna bellissima con in testa una corona. La scrutava con avidità e cattiveria e Katherine ne ebbe paura. Ella portava sulla spalla un corvo nero dal becco adunco il cui colore della notte strideva nettamente col candore del suo lungo abito. La donna le disse: « Sai chi è quella donna che piange?» Katherine era sconvolta e terrorizzata e non riusciva a proferire parola. Era come se le sue labbra fosssero serrate da una mano potente che le impediva di aprire la bocca. « Quella donna è tua madre e piange perché tu sei morta. » « Ma io non sono morta. », rispose Katherine. « Presto lo sarai.» « Ma io non voglio morire.» « E allora dovrai fare tutto ciò che ti dico e conficcare nel tuo cuore questo cuneo di ghiaccio. Solo così avrai salva la vita. » « E se non lo facessi? » « Morirai. Se invece diventerai una mia seguace avrai salva la vita, ma dovrai dimenticare tutti coloro che ami e diventare la custode del Re dell'Inverno, il mio amato corvo nero che ti aspetta da lungo tempo. Così come per molti anni ha atteso me, fin quando sono giunta nel suo regno di ghiaccio. È lui che mi ha insegnato tutto quello che so, soprattutto il potere sulla vita e sulla morte. » « Io non desidero possedere questi poteri. Tu non saprai mai quali sono le cose importanti della vita.» « E quali sarebbero? » « L'amore, l'altruismo, la speranza.» « Nel mio regno non c'è posto per l' amore e le sue storie antiche» , disse il corvo nero. « Solo magia, magia nera.», aggiunse il custode del Re Inverno mentre si staccò dalla spalla della donna dal volto bellissimo. Katherine scosse la testa e cercò di scappare via, ma il corvo iniziò a svolazzarle sul capo cercando di fermarla. Mentre lo faceva, il suo abito diventò completamente rosso e il suo viso tutto bianco, quasi spettrale. Katherine si immobilizzò, mentre la vita sembrava abbandonarla. Il suo volto sembrava quello di una bambola, senza espressione, senza vita, senza emozioni. « Anche tu rimarrai per sempre bella come me, in questo istante eterno e irripetibile. », disse la donna dal volto bellissimo, mentre con sguardo trionfante la vide per terra, priva di vita. * Che strano sogno aveva fatto Hercules Poirot, la sua piccola amata Katherine giaceva nella neve, da sola, senza che nessuno, nemmeno lui, la cullasse tra le braccia. Avrebbe voluto scaldarle il corpo, riempirla di baci e col suo alito caldo ridarle vita. Ma lei non c'era più e come in quel sogno fatto di ghiaccio e di neve, un vento gelido la portava sempre via, lontano da lui. 10


Erano passati molti anni da quando Katherine era morta e nel frattempo Hercules era diventato vecchio e famoso, il celebre detective che riusciva a risolvere tutti i misteri, anche i più improbabili e a trovare sempre i colpevoli dei misfatti. Solo un mistero era rimasto irrisolto: quello della vita e della morte, su cui nemmeno lui, il signor Poirot avrebbe mai avuto nessun potere. Lo stridulo grido di un corvo lo distolse dai suoi pensieri. Poirot si affacciò dalla grande vetrata e per un attimo le sembrò di vedere l'immagine sbiadita della sua amata Katherine, tutta vestita di nero, mentre teneva sul braccio destro, il custode del Re Inverno che pronunciava il suo nome, da tempo dimenticato da tutti. Tranne che da lui, il famoso signor Poirot, che serbava ancora nel suo cuore, il ricordo dell'amata fanciulla che anni prima era scomparsa molto giovane.

* Nota dell’autrice: Per il personaggio di Katherine, mi sono liberamente ispirata al film “Assassinio sull'Orient Express” (Murder on the Orient Express) del 2017 diretto, co-prodotto e interpretato da Kenneth Branagh e basato sull'omonimo romanzo del 1934 di Agatha Christie. Per il personaggio della donna bellissima invece mi sono liberamente ispirata alla fiaba di Hans Christian Andersen, “ La regina delle nevi”.

Eufemia Griffo

Illustrazione di Fabian Negrin

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La vita è favola di Armando Cambi Il 3 ottobre 1950 era una bella giornata di inizio autunno, ed era anche uno dei primi giorni di scuola. Facevo la seconda elementare, e quindi non ero più un imbranatissimo alunno di prima, avevo cioè già un anno scolastico sulle spalle, e quindi le novità della scuola erano ormai superate. Quando tornai a casa però accadde qualcosa di strano, la nonna mi prese subito per mano e mi disse di andare un po’ dalla Mida, la vicina di casa, che conoscevo bene ma che mi dava anche una certa soggezione. Non capivo il perché e perché non ci fosse la mamma, e devo dire che la cosa oltre ad apparirmi strana, mi incuriosiva. Entrai nel cancello dalla Mida, lei mi accolse con grandi sorrisi e mi disse che potevo stare in giardino a giocare. A dir la verità il giardino era più che altro un orto, ed era parallelo a quello di casa mia, leggermente più in alto del mio, perché le nostre case erano poste lungo una collina in lieve pendio, e a due a due erano alla stessa altezza, ma ogni due scendevano (o salivano) di un po’, mettiamo di un metro. Mi avvicinai al muretto che divideva le due case, e sporgendomi a guardare di sotto, mi incuriosivo a vedere il mio giardino, cioè orto, un po’ più in basso, quindi da un punto di vista diverso dal solito. C’erano i peri con ancora qualche foglia gialla, il susino, il capannetto con il piccolo pollaio, le piante di verdura che il mio nonno piantava regolarmente, e mi impedivano di entrarci a giocare con i soldatini, insomma era il mio giardino, che conoscevo bene, ma da lì sembrava un altro. Ero appoggiato al muro a fare di queste considerazioni, quando d’improvviso sentii la nonna che si affacciò dalla finestra della camera dei miei genitori e tutta allegra disse a voce alta “è una bambina” e alla Mida che stava lì a poca distanza da me deve aver detto anche qualche altra cosa, tipo “è andato tutto bene”, ma non ci feci caso. Capii però che era nata la mia sorellina, che sapevo benissimo che doveva nascere, ma che in quei giorni di inizio scuola, e tanti impegni, me ne ero quasi dimenticato. Feci l’atto di scappare, e dissi, vado a vederla, ma la Mida mi fermò dicendo “aspetta, devono lavarla, vestirla, se no è brutta, aspetta un pochino”, la cosa mi piacque poco, come, era nata e non me la facevano vedere. Sapevo che era dentro al pancione della mamma, ogni tanto l’avevo anche sentita muovere, non sapevo che era una bambina, perché poteva essere anche un fratellino, ma insomma era mia…. e ora mi fermavano. Fra l’altro, senza che nessuno me l’avesse mai detto, sapevo anche come c’era andata a finire nella pancia della mamma, lo sapevamo tutti noi bambini di quell’età come nascevano i bambini….. insomma all’incirca. Finalmente la nonna venne a prendermi, e io di corsa entrai in casa, salii le scale e andai nella camera della mamma. La mamma era a letto, stava bene, mi sorrideva, anche se mi sembrava un po’ stanca, c’era una vecchia signora magrolina e bruttina, che mi rideva, e mi fecero avvicinare alla cullina di legno rosa che avevo già vista, accanto al lettone. E la vidi, una bambina piccolina, chiara chiara, che mi sorrise subito. Lo dissi alla mamma mi ha sorriso, e la mamma si mise a ridere, certo sei il suo fratellino, è contenta di vederti. Poi seppi che i bambini appena nati non è che ci vedono tanto, ma questo lo seppi dopo, e sul momento ero convinto che mi avesse sorriso, solo a me, però, ed ero contento, e mi sentivo importante ma subito anche pieno di una grande responsabilità. A dir la verità, nei giorni e nei mesi seguenti, questa sorellina non è che mi facesse più tanto effetto, quando ero in casa, sì, mi piaceva vederla, era bellina, bionda, con gli occhi a volte azzurri, a volte più chiari, a volte grigi, con le sopracciglia bionde e le ciglia nere, e non piangeva molto (ogni tanto sì), e stavo a guardarla quando la cambiavano, e mi incuriosiva la fasciatura che le facevano, con lunghe strisce bianche tutte rigide e trapuntate, 12


e la fasciavano stretta perché, dicevano, altrimenti le sarebbero venute le gambe storte. Tutte idee strane che ora non usano più, come non usa più nascere a casa. Col tempo, piano piano, mentre cresceva, mi sorrideva, davvero questa volta, e mi sembrava che fosse davvero contenta di vedermi e che stessi lì con lei, insomma si era proprio fratello e sorella felici di esserlo. Io però, in quei mesi e anche negli anni seguenti, avevo altri interessi, andavo a scuola, dovevo imparare, e non solo le cose di scuola, ma proprio a vivere, fare amicizie, innamorarmi delle bambine di scuola, specie della S. anche lei bionda e bellina, con la faccia tonda, sempre elegante, con il grembiule bianco pulito e spesso i capelli con le trecce legate con i fiocchini. Insomma dovevo pensare a crescere, e non è una cosa semplice. Però quando ero a casa, specialmente quando non si poteva andare fuori perché era brutto tempo, mi piaceva anche giocare con lei, la mia sorellina Anna, e le insegnavo tutti i giochi da maschio, la vestivo da indiana, le mettevo una penna nei capelli, le davo qualche pistola da cow boy (quelle più piccole, che io non usavo più) e le insegnavo a far la guerra. Poi però, mi mettevo a fare i compiti e anche se non ci mettevo molto, e mi piaceva farli, a volte non potevo giocare. In quegli anni, specialmente d’inverno, anche se la casa era grande, su due piani, praticamente si viveva solo in cucina, che era bella calda, e a volte si era in quattro o cinque lì dentro, ognuno con le sue attività. Io a fare i compiti su un pezzo della tavola, la mamma magari a stirare in un altro angolo, il nonno a trafficare con i cappelli di paglia per aiutare la nonna, e a volte la nonna a dire il rosario con la vecchia zia Anna, una vicina di casa che era più vecchia della nonna, e sembrava proprio la befana buona dei fumetti, e mi faceva sempre un monte di complimenti. Certo, con le loro preghiere e litanie, studiare non era facile, ma mi facevano anche ridere e quando scoprii che avevano una preghiera che rivolgendosi al Signore doveva dire (a mio parere) “di guardarvi non mi ardisco, delle mie colpe arrossisco” l’avevano bonariamente trasformata in “di guardarvi non mi ardisco, le mie colpe vi arrostisco”, allora, quando me ne resi conto (ma ero già abbastanza più grande, forse in prima o seconda media), non potei trattenere le risate e allora, la buona zia Anna, cominciò a vergognarsi un po’, e non voleva più pregare quando c’ero io, perché, diceva, le prendevo in giro. Insomma, si cresceva, si rideva, a volte si piangeva, si facevano le bizze, i genitori e i vecchi invecchiavano, ma ancora non tanto. Erano anni felici, anche se le nubi ci sono sempre. Negli anni seguenti, quando la mia sorellina cominciò a crescere, cominciò anche a essere sempre più esigente, quando io volevo andare a giocare con i miei amici (cioè sempre, dopo aver fatto i compiti, anzi spesso prima, subito dopo la scuola), allora lei voleva venire con me, perché voleva partecipare ai nostri giochi. Ora è facile capire che sette anni di differenza non sono pochi, io ero nel pieno della mia infanzia, lei nel pieno della sua prima fanciullezza, noi si correva, si facevano anche giochi pericolosi, tipo archi e frecce, o anche carabine con piombini (questo poco però, perché ci faceva un po’ paura, si diceva che qualcuno aveva perso un occhio…..), insomma lei era piccina, io ero grande. Ma lei non mollava, a volte me la prendevo per mano, e la portavo con me, ed era felice, ma poi mi prendevano in giro, e poi certi giochi non li potevo fare, e allora a volte facevo anche delle carognate, tipo fare finta di stare per uscire dalla parte del giardino, e lei mi aspettava al cancello, e invece uscire rapidamente e di nascosto dalla porta sull’altra strada. Si, lo so, era una cattiveria, e quando poi magari sentivo il suo pianto, perché poi se ne accorgeva, mi dispiaceva e anche il gioco con i miei amici non mi piaceva più. 13


Ma la nostra infanzia passava così, molto seria, perché i bambini sono sempre molto seri nelle loro attività, ma a pensarci ora, era un mondo incantato, e non solo nel ricordo (dove lo è anche di più), ma anche nella realtà, si viveva in un angolo tranquillo, colline con pochi pericoli, strade vuote, molti giochi spontanei, inventati lì per lì, a volte anche solo per stare insieme, pochi giochi organizzati (quando si giocava al calcio, non c’erano né maglie colorate, né palloni regolamentari, e neppure il campo, a dir la verità, che poteva essere o un ritaglio di prato incolto anche un po’ in discesa, o un vecchio campo da tennis in cemento, pieno di ciuffi d’erba, dove si poteva andare quando non c’erano i padroni, che abitavano quasi sempre a Firenze). Insomma, la nostra vita di allora era veramente semplice, e forse anche un po’ magica, nel senso della magia dell’infanzia, quando ci si mettono in testa strane dicerie, e magari si trasferisce nella realtà qualcosa di sentito dire, o letto in qualche libro per bambini. Quanti pianti mentre si leggevano i Ragazzi della via Paal, o anche Bambi, che perde la mamma, o la piccola fiammiferaia…… oppure quanta superbia quando si voleva essere banditi, indiani, pirati. Ma c’erano anche i divertimenti allo stato puro, nascondino, la bandierina, o ruba bandiera che dir si voglia, e mentre le bambine (perché si cominciava anche a rendersi conto che c’erano delle bambine, in giro, e non solo piccine come la mia sorella, ma grandi come noi), mentre le bambine raffinavano i loro giochi con le bambole e le casette in miniatura, noi si cominciava anche a guardarle in un certo modo. Un giorno, e l’Anna era già grandina, aveva già le sue amicizie e non mi correva più dietro ogni momento, e doveva essere in prima elementare, un giorno di primavera, mi sembra, in casa c’era parecchia confusione perché c’erano i muratori che abbellivano la cucina, la rivestivano di mattonelline, e ci misero anche diversi giorni, e noi eravamo tutti parecchio sottosopra. Anna tornò da scuola tutta allegra, direi spimpante, e attaccò a cantare una canzoncina, che ricordo ancora, e che diceva più o meno così: Son tre notti che non dormo là là Ho perduto il mio galletto là là l’ho perduto là là, l’ho perduto là là chissà mai dove sarà. Ho girato l’Inghilterra là là e poi tutta la Germania là là e la Spagna là là, e la Francia là là fino in cima all’equator A voi donne io lo dico là là Se per caso lo trovate là là Lo prendete là là E con cura là là Lo portate qui da me

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Era una canzoncina che doveva avere chissà quanti anni, che la maestra doveva averle insegnato, e lei la cantava tutta allegra e impegnata, e ballava saltando con le sue gambine svelte. Ricordo ancora il muratore che si sbellicava dalle risate, e la mamma che rideva, e la nonna e il nonno che ridevano anche loro, e anch’io, che probabilmente ero impegnato in qualche traduzione in latino (il latino, la mia bestia nera, perché invariabilmente qualche desinenza la sbagliavo di sicuro, e la professoressa buona e brava, era però inflessibile e i 5 e 4 piovevano), alla fine mi misi a ridere anch’io, e fu una serata di grande allegria, come non sempre succedeva, e questa bambina che ballava e saltava e continuava la canzoncina a squarciagola ripetendola di continuo (e se vi viene voglia di provare a cantarla, non dimenticatevi i là, là, che sono fondamentali), insomma lo ricordo come un momento magico, che si ricorda sempre, e dove si scopre che le favole esistono. Anche se spesso non ce ne accorgiamo.

Armando Cambi

Illustrazione di Yuri Laptev

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Una fiaba rivisitata di Molfy C'era un principe, nobile d'animo e fiero, dotato d'una voce celestiale ch'era un canto di gioia. Le circostanze, al pari di un incantesimo malsano, lo trasformarono in ranocchio, costretto nelle acque stagnanti di una pozza fangosa. Il suo gracidare alla luna era il lamento delle sue ferite, ma vano si sollevava e veniva assimilato a un fastidioso sottofondo che qualcuno avrebbe voluto tacitare, soffocandolo nel pantano. Finché un giorno divenne puro grido di dolore e giunse alle orecchie di una giovane donna che seppe riconoscere la limpida voce del principe, imprigionata nell'asprezza di quel verso. Desiderò liberarla, ma non sapeva come. D'impulso entrò nell'officina dell'alchimista a chieder consiglio su come rompere quel maleficio. Egli le disse che la vera pietra filosofale in grado di operare una reale trasmutazione, l'unica forza capace di cambiare la materia e liberare lo spirito, era l'amore. Già, l'amore… Quale? In che modo? Decise di dar ascolto al cuore e di lasciar fare a lui. Tornò allo stagno. Stese il palmo aperto e rimase in attesa. Il ranocchio fece un balzo e saltò sulla sua mano, rivolgendole uno sguardo che sembrava un appello carico di tristezza mista a speranza. Lei lo avvicinò a sé e lo baciò. All'improvviso venne abbagliata da una forte luce che le fece chiudere gli occhi. Quando li riaprì, del ranocchio restava solo l'impronta un po' umida sulla sua mano, mentre nell'aria risuonò limpida la voce del principe che aveva ritrovato la sua essenza e ripreso il suo canto, mutandolo in un inno alla vita.

Molfy

Illustrazione di Kim Minji

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Il cane e il buon fattore di Massimo Baldi Un cane, un bue, un cavallo, una capra, dieci pecore e dieci galline vivevano spensieratamente in una fattoria. Il cane era un bellissimo pastore maremmano che faceva da guardiano al gregge, il cavallo trainava ogni buon mattino il suo padroncino fino al mercato della città vicina, le galline deponevano le loro prelibate uova, la capra pascolava negli immensi prati verdi e il bue se ne stava nei campi fino al tramonto a tirare l’aratro. Il cane riceveva alla fine della giornata tante affettuose coccole dal suo padrone che poi andava a dormire. Il cavallo, molto tempo dopo, ricevette dal padrone una stalla tutta nuova e il cane ci rimase assai male: non si spiegava perché il cavallo avesse avuto un siffatto dono e lui no. Ma anche quella sera il padrone lo riempì di affettuose coccole e poi se ne andò a dormire. Dopo altri giorni fu la volta delle galline che ricevettero dal padrone una stia tutta nuova, di quelle moderne con tutti i comfort e il cane anche questa volta ci rimase assai male: non si spiegava perché le galline avessero avuto un siffatto dono e lui no. Col tempo ogni animale della fattoria ricevette un dono ma il cane, sebbene ogni sera il padrone lo riempisse di affettuose coccole prima di andare a dormire, non ricevette nulla. Tuttavia il padrone era avanti con gli anni e un bel giorno morì. Tutti gli animali si recarono al funerale del proprio padrone con grande tristezza ma il cane non vi andò in quanto riteneva che il suo padrone si fosse comportato ingiustamente. Dopo molti giorni arrivò in città un notaio che portò con sé un testamento: era quello del fattore morto “Ogni animale ha fatto il proprio dovere con massima coscienza e dedizione. A ciascuno, mentre ero in vita, ho lasciato un piccolo dono in segno della mia gratitudine. Ma c’è un qualcosa che solo un amico vero sa donare ed è il coraggio. Coraggio di difendere gli altri a costo della propria stessa vita. E’ per questo motivo che io lascio ogni bene, casa, fattoria e tutto all’amico cane al quale ho dispensato ogni sera le mie affettuosità sebbene le forze e le energie fossero quasi inesistenti nel mio corpo malato e avanti con gli anni”. Il cane comprese e da allora armonia e felicità albergò in ogni cuore. Morale: la favola insegna agli uomini che non bisogna invidiare i piccoli doni ricevuti dagli altri. Spesso i grandi doni che riceviamo sono racchiusi in azioni solo apparentemente banali ma in realtà di grande significato e profondità d’animo.

Massimo Baldi

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Cappuccetto Rosso Oscuro di Sonia Barsanti Passi furtivi nel bosco. Non sono passi umani. Scricchiolii di stecchi e foglie secche. Ansima la creatura e con le zampe lascia tracce del suo mortifero passaggio. Fiuta l’oscurità in cerca di carne. Odore di terra bagnata e humus del sottobosco. Cerca la carne. Poi una preda, ignara. Ha l’odore dell’infanzia che sboccia, dell’innocenza che s’incuriosisce del mondo. La segue, la bracca. È sempre più vicino. Cerca la carne. È sempre più affamata la mortifera creatura. Non perde di vista l’ignara preda. Cerca la sua carne. No! Non è possibile. Ancora questo incubo. E se fosse un presagio? La Bestia mi cercherà finché avrà vita. Mia figlia non è più al sicuro qui con me. Non posso continuare a esporla a questo pericolo. Lei non è più al sicuro. La manderò oggi stesso da mia madre con una scusa. Lei saprà come proteggerla. Ha poteri più grandi dei miei… Le farò indossare il suo cappuccetto rosso. L’ha sempre protetta. Così avrò modo di affrontare la Bestia una volta per tutte. Tra noi due c’è una faccenda in sospeso che dura ormai da troppo tempo. Non ho mai visto la mamma così preoccupata. Era nervosa, agitata. La nonna deve stare molto male, poverina! Perché, allora, non è venuta anche lei con me? Strano. Non mi lascia mai andare in giro da sola. Forse ha capito che sono diventata grande ormai. Finalmente! Come sta cambiando in fretta il tempo. C’era il sole fino a un attimo fa! Spero di arrivare dalla nonna prima che inizi a piovere. Vorrei portarle dei fiori. Ce ne sono così tanti nel bosco! Che belli! Ma la mamma continuava a ripetere di andare dritta dalla nonna, senza fermarmi nel bosco. Dritta dalla nonna senza lasciare il sentiero. Gliel’ho promesso. Un piccolo mazzo di fiori però… la mamma non verrà a saperlo. 18


Farò in fretta, sarò velocissima a coglierli e dopo correrò subito dalla nonna! Ecco che inizia a piovere! Uffa! Non ci voleva! Passi furtivi nel bosco. Non sono passi umani. Scricchiolii di stecchi e foglie secche. Ansima la creatura e con le zampe lascia tracce del suo mortifero passaggio. Fiuta l’oscurità in cerca di carne. Odore di terra bagnata e humus del sottobosco. Cerca la carne. Poi una preda, ignara. Ha l’odore dell’ infanzia che sboccia, dell’innocenza che s’incuriosisce del mondo. La segue, la bracca. È sempre più vicino. Cerca la carne. È sempre più affamata la mortifera creatura. Non perde di vista l’ignara preda. Cerca la sua carne. Perché tarda tanto? Dovrebbe essere qui già da tempo. E se le fosse successo qualcosa? Non può essere. Il cappuccio che le ho regalato quando è nata l’ha sempre protetta. Sempre. Adesso che sta crescendo però la magia potrebbe aver perduto parte del suo benefico potere su di lei. Se l’antica profezia dovesse avverarsi… Non oso pensarci! Sento che le forze oscure sono in agguato, nel bosco. Sento fremere le viscere della terra. Qualcosa di molto grave sta per accadere. Manderò il Cacciatore a cercare la mia bambina. Lui la troverà e la proteggerà. La porterà qui da me sana e salva. Sana e salva. L’ho cercata ovunque. Al fiume, nella valle e nel bosco. Niente. Di lei nemmeno l’ombra. Non è semplice trovare delle tracce. La pioggia sta cancellando qualsiasi impronta sul terreno. C’è qualcosa di sinistro e inquietante nell’aria. Non riesco a vedere niente, maledizione! Ho chiamato la bambina. Ho urlato per farmi sentire. Niente. Solo un terrificante e gelido silenzio. Devo ritornare indietro. Forse è arrivata da sua nonna mentre ero intento a cercarla altrove. Ho un brutto presentimento… 19


Se la Bestia dovesse averle fatto qualcosa, giuro che la squarterò con questo pugnale! Apro la porta della casa. Lentamente. Mi si presenta dinanzi agli occhi una scena raccapricciante: sangue per terra e sulle pareti. Sangue fresco, ovunque. Il cappuccio rosso della bambina ridotto a brandelli, vicino al letto. In un angolo, nell’ombra del camino, intravedo le zampe della Bestia. Sta ansimando. Prima ancora di posare lo sguardo sul suo aspetto mostruoso, mi arriva, terribile, il fetore che emana. L’aria tutta è contaminata del suo putrido fetore. Sogghigna come un demonio, nell’ombra del camino. Estraggo il pugnale dal fodero prima che possa spiccare un balzo su di me. Un colpo in mezzo al cuore. Muori, maledetto!

Sonia Barsanti

Illustrazione di Johan Thörnqvist

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Una vita in una notte di Anna Giulia Alfonzo In una sala buia, un palcoscenico vuoto con una sedia al centro illuminato da un occhio di bue, una luce bianca quasi accecante . Inizia una musica a ritmo di tamburo, la luce si sposta verso l'interno del palcoscenico. Appare come per magia una figura femminile, magra ma con delle curve sinuose perfette, un avvolgente body rosso trasparente ricco di paillettes nere che coprono appena le parti intime, i lunghi capelli dorati lisci e lucidi come la seta scendono lungo le spalle fino a sfiorarle i fianchi che iniziano a muoversi al ritmo dei tamburi. Le braccia alzate coperte da lunghi guanti neri si muovono come delle serpi in amore. Rapito osservo quei movimenti senza sentire la musica, lei si gira lentamente appoggiando la mano sulla sedia, una maschera le copre il volto ma resto rapito dai suoi occhi, occhi dal colore del miele di castagno, profondi, che si incrociano con i miei. Emozioni mai provate mi entrano dentro come un pugno nello stomaco. La guardo e mi perdo! La gente intorno applaude mentre la guarda incantata. È il mio ventesimo compleanno e quella donna e il suo ballo sono il mio regalo da parte di mio cugino. Credo sia la ragazza di cui è innamorato e ora ne comprendo il motivo! Non è solo il suo aspetto... ma sono i suoi occhi, sono la sua bocca… ho solo voglia di baciarla! Mi si avvicina senza smettere di guardare i miei occhi e io i suoi, non so quanto tempo sia durato il suo ballo, il tempo aveva perso significato! La musica finisce. Lei davanti a me, i suoi occhi nei miei e sento le sue parole: "Auguri buon compleanno!” Io riesco solo a dirle: "Sposami!" Lei risponde: "SI." L'ho aspettata all'uscita del teatro quella sera, siamo andati via insieme mano nella mano senza dire una parola senza conoscere i nostri nomi. Siamo andati a casa mia e solo allora, alla luce del mio salotto, mi sono accorto che era giovanissima. Un lampo mi attraversò la mente... "è la ragazza di cui è innamorato mio cugino… non mi importa l'amo anch'io.” “Come ti chiami?” “Melly, e tu sei Marc!” “Si sono Marc.” Passammo la notte insieme senza fare l'amore, ma tra baci abbracci e sogni. Il nostro matrimonio, una casa con un immenso giardino, altalene e scivoli x i nostri figli, tre figli, Francesca, Filippo e Flora. Le vacanze d'estate al mare, a Natale a sciare. Una vita in una notte. * 21


Squillò il telefono e Melly guardò l'ora prima di rispondere. Le 9:45. “Pronto.” “Buongiorno principessa, stavi ancora dormendo? È tardi passo a prenderti tra un'ora.” “Buongiorno Fred , non preoccuparti sarò pronta.” Anziché alzarsi Melly resto sdraiata a fissare il soffitto. Io gli urlavo forza pigrona alzati che fai tardi, ti sto aspettando. Allora Melly con stanchezza si alzò dal letto e si trascinò in bagno a fare una doccia. Poi andò verso l'armadio e a voce alta chiese: “Cosa mi metto?” “Cosa ne dici di indossare i pantaloni neri a vita alta con la camicia bianca?” “ Mmmm… Marc, ti piacerà?” “Certo che mi piacerà, mi piace qualunque cosa tu indossi.” Melly si vestì svogliatamente, si pettinò i lunghi capelli biondi senza mai guardarsi allo specchio e li legò in una coda. Suonò il campanello “Chi è?” “Principessa sono Fred.” “Scendo.” Dopo mezz'ora di macchina arrivarono alla chiesa. Melly non aveva nessuna voglia di scendere ma Fred fece il giro della macchina e le aprì lo sportello e prendendola per mano si avviarono verso la scalinata. La chiesa era piena di persone tutte ben vestite, gli altari laterali e quello centrale addobbati con gerbere rosse e bianche, le mie preferite. Ai banchi davanti l'altare i miei genitori mia cugina Maribella gli zii e gli amici più cari. Melly e Fred si misero accanto ai miei genitori. Melly rimase lì ferma x un brevissimo istante, poi andò vicino all'altare prese una sedia dal palco corale e la portò vicino a me e si mise a sedere. La messa è stata breve non l'avrei sopportata lunga. Melly sempre in assoluto silenzio riportò la sedia dove l'aveva presa e guardò Fred facendo un cenno con la testa. Fred e sei miei amici vennero verso di me, issarono la mia bara sulle spalle e si incamminarono. Fred tentò di dare il braccio a Melly ma lei lo rifiutò, sincamminò dietro di me seguita dai miei genitori e tutto il corteo. Mi veniva quasi da ridere a vederli muovere tutti automaticamente a mettersi in fila. Ho continuato a guardare Melly lungo tutto il percorso che portava dalla chiesa al cimitero, piangevano tutti tranne lei. La guardavo e mi scioglievo d'amore, il viso pallido e tirato ma i suoi occhi quelli erano freddi non una lacrima. “Melly perché non piangi?” Niente, non risponde. Guarda davanti ma sembra che non veda. Bene, adesso se ne vanno tutti e spero di restare solo con Melly. 22


Ma Melly si avvicina a Fred e insieme salgono in macchina. Non una parola, e dopo un'ora di viaggio arrivano all'aeroporto, salgono sull'aereo di Fred. Melly prende posto e Fred vicino a lei, le sfiora la mano. “Sei sicura?” “Si sono sicura. Non tornerò più indietro. La favola è finita!” Melly chiuse gli occhi, le lacrime cominciarono a scendere senza più controllo mentre l'aereo decollava.

Anna Giulia Alfonzo

Illustrazione di Alexander Jansson

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La quercia e la margherita di Massimo Baldi Un giorno la quercia si rivolse alla piccola margherita gialla posta ai suoi piedi. “Mia piccola amica, tu godi da anni della mia ombra e non ti ho mai chiesto nulla per questo mio umile e gratuito servigio ma ciononostante non mi hai mai ringraziato”. “Forse gli uccelli lo hanno mai fatto, amica quercia? Loro se ne stanno sui tuoi rami e ci fanno nidi e rifugi in estate e in inverno. Anche l’ape che sugge il mio polline ci fa dell’ottimo miele e non mi ringrazia di certo. Ma vedi, la sua migliore risposta è il fatto che ogni volta ritorni da me a suggerne dell’altro. Chi tornerebbe da un essere malvagio ed ingeneroso? Nessuno. Perché Bontà richiama Bontà”. “Questo è vero mia piccola amica ma almeno l’ape a te tacitamente il grazie lo dice”. “Pensaci, saggia e nobile quercia: non è forse per te il canto degli uccelli? E non è forse tuo il primo canto dei loro nati? Spesso ci nascondiamo dietro le parole e non vediamo quello che fanno gesti e azioni da sempre”. “Forse non siamo entrambe immerse nella stessa acqua ed illuminate dallo stesso sole? Eppure tu ed io e ciascun essere vivente li abbiamo mai ringraziati? Io ti dico che la risposta è no. Ma pensa solo un istante ad una terra senza acqua e un cielo senza sole e capisci che la loro assenza sarebbe impossibile. E questo è il grazie universale più tacito e bello. Perciò non darti inutili pene ed accogli me in silenzio sotto le tue fronde. La mia risposta si chiama profumo”. Fu solo allora che la saggia e nobile quercia comprese. Epilogo alla favola Oggigiorno siamo un pò tutti come quella quercia: spesso ci sentiamo forti e robusti e soprattutto ci sentiamo dubbiosi come lei: dove sta il dare dell’altro? Non ci pieghiamo ai venti ma resistiamo ai cambiamenti che, invece, fanno parte di noi. Ricordiamolo: nasciamo, cresciamo, evolviamo e poi ci consegniamo al ciclo vitale. Ma un bambino è diverso da un adolescente, così come un adolescente è diverso da un adulto e un adulto è diverso da un anziano. Lasciamo indietro sempre più strada ferrata dal binario di partenza ma non ci deve mai spaventare quello di arrivo. Perché non esiste un binario unico di arrivo ma esistono infiniti scambi nelle nostre stazioni. E noi non siamo binari e non siamo treni, siamo persone. Le persone possono cambiare il proprio orientamento e pensiero ma devono essere sempre fedeli e coerenti a se stessi e alla propria indole. Per questo motivo ci sarà chi avrà più bisogno di ricevere e chi avrà più bisogno di dare: chi è fragile e chi è forte, chi parla molto e chi è taciturno ma non dovrà mai esistere alcuno nel mondo che non abbia voce. La libertà nel rispetto dell’individuo è il bene più alto che possediamo e per questo la quercia sbaglia quando ammette di non ricevere alcun grazie. Io mi sono spesso flesso ai venti della vita, vi assicuro che facevano male le sferzate ma non ho mai smesso di spandere il profumo dei miei pregi e delle mie imperfezioni nel mondo, perché io sono questo, margherita che si flette e quercia che si onora di essere se stesso. 24


Un se stesso che non dovrete mai negare a voi stessi. Mai. Alzate la voce quando necessario e ricordate che il piĂš grande insegnamento avviene attraverso gli occhi e non attraverso la bocca e la parola. Come ci insegnano le filosofie orientali “i shin den shinâ€? ossia da anima ad anima.

Massimo Baldi

Illustrazione di Simone Rea

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I ghiaccetti del lupo Papo di Antonella Fortuna In una meravigliosa foresta d’alberi di magnolia stellata, dai grandi fiori bianchi, e di liquidambar, dagli alti fusti ricoperti da foglie rosa scuro, viveva il terribile lupo Papo. Era il terrore di tutti gli animali di tale grande bosco e, come da prassi in tutte le favole, anche in questa dirò che non aveva amici, anzi era tenuto lontano da tutti. Infatti, seppur si beasse d’essere il più potente e autorevole fra questi graziosi abitanti, era triste per tale eterna solitudine. Addirittura, molte volte, doveva liberarsi da varie trappole, preparate dalle astute volpi o dalle iene che, al vederlo in difficoltà, se la ridevano a crepapelle! Certamente, gli animali che potevano salire sugli alberi erano i più fortunati… perché Papo poteva fare dei salti, più o meno in alto, ma non sapeva arrampicarsi, né, tantomeno, sarebbe stato in grado di volare. Infatti, i canarini, i cardellini, i merli e gli usignoli, si erano messi d’accordo: essi si posizionavano in cima ad un albero e, cantando, man mano che Papo passava, avvisavano gli altri animali sulla sua direzione di marcia. Allora il lupo, ogni mattina, prima di “mettersi all’opera” per procurarsi il cibo quotidiano, si faceva un’oretta di esercizi di ginnastica per essere sempre più agile ed in forma in tale sua mansione. Flessioni, circonduzioni degli arti, piegamenti delle giunture e distensioni, ecc., non tralasciava mai di farli. Aveva anche una piccola cyclette, ma a tandem, naturalmente…, cioè a quattro pedali! Ma, anche agli animali capitano le disgrazie come agli uomini… Un brutto giorno, Papo, mentre cercava di scendere dentro una grotta, dalla quale aveva sentito venire dei rumori sospetti e fiutato “odor d’arrosto”, sentì moltissimo freddo, tanto che non smetteva di tremare e battere i denti, nonostante il suo foltissimo pelo. Papo, sul subito, non si rese conto del pericolo che stava correndo e, preso dalla sua ingordigia e presunzione, seguitò le sue fameliche ricerche. Quella volta, purtroppo, vi andarono di mezzo due piccoli orsetti, lasciati incustoditi da mamma orsa che, credendoli al sicuro in tale fonda cavità, era andata anche lei a cercare loro del nutrimento. Il lupo, però, quando, dopo ricerche infruttuose, cercò di risalire la caverna, sentì un forte dolore al petto, come di una coltellata: ansimava e si stese per terra, pensando di stare per morire. Trascorso un po’ di tempo, in cui rimase incosciente, si svegliò e udì varie voci familiari che parlottavano attorno a lui: erano i sette nani, amici di Biancaneve, che lavoravano in quella cava per estrarre pietre preziose. Papo aprì gli occhi lentamente, ma, nonostante i suoi sforzi, s’accorse che tutti i suoi arti erano doloranti e come bloccati. I nani, quindi, dopo un primo momento di titubanza, essendo di animo buono e caritatevole, presero coraggio e decisero di aiutarlo, pensando a come fare per riportarlo a casa. Com’era prevedibile, ognuno di loro era del parere opposto all’altro, specialmente Brontolo. Alla fine, nondimeno, Dotto, il sapientone, parlò per tutti e decise di costruire una lettiga, usando i rami del bosco e le foglie grandi del liquidambar. Cosicché, con Dotto in prima fila, anche Brontolo, Pisolo, Eolo, Gongolo, Mammolo e Cucciolo, all’ultimo che arrancava, presero i loro arnesi, andarono nel bosco e si misero di buona lena a costruirla. 26


In men che non si dica Papo ebbe la sua lettiga e i nani, pian piano, attraverso i sentieri della foresta e sotto gli sguardi, tra il titubante, il contento ed il felice, degli animali, sugli alberi o tra il fogliame sul terreno, lo adagiarono sopra lettone di casa sua. Non pensiate che fosse un letto qualunque, cari i miei lettori! Aveva perfino il baldacchino con una tenda fatta di ragnatele: in tal modo aveva la certezza che nemmeno le mosche avrebbero potuto dargli fastidio durante i suoi riveriti sonni…! Comunque, non appena fu adagiato sul letto, non ci crederete…, ci fu, tra gli abitanti della foresta, una gara di solidarietà per aiutare quel lupo che, seppur cattivo, faceva parte del mondo animale, del loro stesso mondo, e quindi andava aiutato! “Si aiutano tutti gli esseri del mondo, buoni o malvagi!”, disse una pecorella, dando a Papo una carezza. Quel giorno si vide ogni specie d’animale entrargli in casa perché il suo portone era sempre aperto: chi mai avrebbe potuto o voluto entrare nella casa di un lupo? Ma adesso il lupo era innocuo ed anche malato… Nella stanza di Papo, allora, passerotti, canarini e usignoli, si misero appollaiati sulle travi del soffitto, cantando melodiosi, mentre le allodole, i merli e i cardellini, facevano il controcanto, appoggiando le zampette sull’intelaiatura del baldacchino. Un coniglietto, poi, batteva il tempo con l’estremità inferiore della zampa. Sicuramente non erano da meno le galline, che portavano in dono le loro uova fresche, le oche, che raccoglievano nell’orto ogni verdura o pomodori e patate, ed il gallo, che recava in dono pannocchie di granturco! Insomma, c’era un grande andirivieni ed un prodigarsi per cucinare bei pranzetti vegetariani a Papo e farlo guarire al meglio. Però Papo non guariva e i dolori erano improvvisi e, alcune volte, lancinanti. Non c’erano regole che potessero bastare, non c’erano statistiche che si potessero fare: i dolori venivano all’improvviso, con il buono ed il cattivo tempo, con l’umidità e senza, con qualunque pietanza si sfamasse! Un giorno venne a trovarlo Bambi, il cerbiatto, il quale aveva un animo tenerissimo ed un cuore d’oro, e, assistendo ad uno di quegli attacchi dolorosi, dopo aver riflettuto a lungo, disse che sarebbe andato a chiamare il dott. Balanzone. Il dottore abitava lontano dalla foresta ma lui, disse, l’avrebbe raggiunto prestissimo, così da poterlo portare già l’indomani mattina. In previsione dell’importante avvenimento, gli animali si dettero un bel daffare intorno a Papo: spazzare, cambiare le lenzuola, mettergli un pigiama nuovo, cambiare gli asciugamani in bagno…, perfino la saponetta, sul portasapone del lavandino, la misero nuova, come dettava la buona educazione. Il dott. Balanzone venne in compagnia di Pinocchio, ch’era l’unico a non aver paura che il lupo lo potesse mangiare, visto che era di legno! Egli incominciò a rivoltare sottosopra Papo, palpandolo ed auscultandolo, e dopo si sedette a tuonare: “Papo è affetto da fibromialgia. Purtroppo, per tale malanno, non ci sono cure definitive, ma ci sono rimedi efficacissimi che possono portare molto sollievo e ad allontanare gli attacchi, insegnando a prevenirli.”. Quindi tacque, con un sospiro profondo e continuò: “Bisogna andare in cima al ghiacciaio del monte sul lago, fare tanti ghiaccetti e applicarli sui punti dolenti del corpo del lupo. Vedrete che migliorerà a tal punto da potersi alzare e ricominciare la sua vita normale.” 27


“Ma come faremo a spezzare quel ghiaccio durissimo? Il nostro becco è troppo debole…”, dissero gli uccellini. Allora si fecero subito avanti i picchi, che vociarono: “Noi abbiamo il becco duro…, noi buchiamo i tronchi degli alberi…”. Quindi decisero di andare sul ghiacciaio insieme ad un paio di pellicani, che avrebbero potuto trasportare i ghiaccetti dentro il loro becco. Cercarono di spezzare il ghiaccio in pezzettini più uguali possibile tra loro e tornarono, trionfanti, con il loro prezioso bottino. Avreste dovuto vedere come sistemarono per le feste, si capisce con gran divertimento, il povero Papo! Aveva ghiaccetti dappertutto: braccia, gambe, corpo…, era tutto un ghiaccio e pareva la lastra ghiacciata di un iceberg dell’Alaska! Finalmente, dopo qualche giorno di tale trattamento, si videro i risultati: l’illustrissimo lupo iniziò, lentamente, a smuoversi ed a volersi alzare. Però, contemporaneamente, gli altrettanto illustrissimi suoi aiutanti-animali incominciarono ad allontanarsi perché avevano di nuovo paura di lui. “Stiamo attenti… chissà se poi con un balzo non ci acchiappi e faccia di noi un bel boccone…!”, pensavano gli animali del bosco. Ma successe un miracolo! Papo, via via che si sentiva meglio, conversava con loro pacificamente e mangiava di buon gusto le gustose pietanze, a base di verdure e ortaggi, che gli cucinava il grande cuoco-porcellino. Egli, un giorno, gli preparò perfino dei meravigliosi peperoni, ripieni d’insalata russa, mangiando i quali Papo non smetteva di leccarsi i baffi! Sicuramente quello di loro che gli si avvicinava di più per imboccarlo era Pinocchio, proprio per quella sua prerogativa d’essere fatto di legno. Insomma, carissimi lettori, visto che questa è una favola, ne avrete ben compreso la conclusione che, come sempre, è lieta. Quindi vi chiedo: “Avreste mai pensato che un lupo potesse diventare vegetariano?”. Difficile, nella realtà! Ma nel mondo delle favole questo è possibile, com’è possibile che un lupo guarisca solo con i ghiaccetti!!! Nota dell’autrice: Tale favola, amena e scherzosa, è stata da me ideata per ringraziare mio nipote, Riccardo Rao, Dott. in Fisioterapia, il quale mi ha curata, e continua a farlo, con grande professionalità ed affetto.

Antonella Fortuna

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La giara di Elena Brilli C’era una volta, chissà dove chissà quando, una bella casa grande, ricca e ben curata, sulla sommità di una collina coperta di un verde rigoglioso. In cima alla scalinata che conduceva all’immenso portone di legno massiccio c’era una giara antica di terracotta. Laccata di un rosso carminio, decorata da altorilievi finissimi e perfetti nella loro ellenistica eleganza, raccontava con essi la storia di due amanti che si cercavano, si trovavano e poi, come in tutte le storie d’amore, si perdevano. Chissà se nei tempi antichi non avesse contribuito anch’essa, col nettare d’uva contenuto al suo interno, a che i due amanti si trovassero. Chissà se dal suo ventre panciuto non fosse stato colto l’ultimo calice che li aveva visti insieme, quegli amanti. Ad ogni modo, chiunque avesse il privilegio di arrivare alla vetta di quella scalinata non poteva fare a meno di notare la bellezza di quell’oggetto antico, venuto dalla terra, modellato da mani sapienti, adornato da favole usate. Tanto era bella che in paese tutti avevano soprannominato quella splendida villa in collina ‘La Giara’ appunto. Ma il tempo del mondo muta le sorti dell’uomo e delle sue cose, così, non si sa bene quanto tempo dopo, la casa venne abbandonata, i suoi proprietari caddero in disgrazia e la giara rimase per anni e anni in silenzio sul ballatoio alla sommità delle scale, a resistere al sole, al vento, alla pioggia, al gelo e alla cattiveria degli uomini che depredarono la villa più e più volte. Il suo smalto divenne opaco, i colori dei suoi racconti sbiadirono, la sommità fu rotta in frantumi da bastonate di incivile brutalità. E così stette, resistendo ai colpi, del tempo e dell’uomo, fino a perdere ogni vanto di bellezza e unicità, fino a confondersi con semplice vasellame da giardinaggio, appena appena più manieristicamente agghindato. La memoria di villa ‘La Giara’ si perse nelle nebbie dei ricordi e con essa l’origine stessa del suo nome. Ai piedi della giara che della villa era stata la sineddoche giacevano inermi i suoi frammenti spolverati dalle intemperie, mucchi di foglie e rami secchi, rifiuti di ogni tipo portati dal vento e dall’incuria. Finchè una mattina in paese non cominciò a spargersi la voce che un solitario uomo di mezz’età, venuto da chissà dove, avesse comprato per pochi spiccioli la villa e quel poco che era rimasto del suo contenuto. C’era chi gli dava del matto ad aver speso anche solo un soldo per quello che era diventato nient’altro che un rudere. C’era chi, in cuor suo, e forse eran proprio quelli che gli davano del matto, sperava che la villa tornasse al suo splendore d’un tempo, che si riaccendesse in qualche modo quel faro luminoso di bellezza, in cima alla collina, verso cui sollevare lo sguardo, in mezzo alla brutturia del mondo, per alleviar la miseria del cuore. L’uomo arrivò, col vento caldo dell’estate, i capelli brizzolati di chi ha vissuto diverse lune, gli occhi stanchi di chi ha conosciuto la disperazione, la fierezza del portamento di chi lotta ancora per dare un senso ai giorni. Si diceva avesse perso tutta la sua famiglia in un incidente e cercasse di ritrovar la via della sua vita, ripartendo da lì, da villa ‘La Giara’. Salì la scalinata che lo conduceva a quella che, con paziente lavoro, sarebbe dovuta diventare la sua nuova casa e vide, nel suo angolo di triste solitudine e incuria la bella giara di terracotta istoriata. Ne fu colpito dalla perfezione delle forme, dalle tracce dei suoi smalti, da quelle figure che su di essa continuavano a raccontare la loro storia d’amore e abbandono.

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La accarezzò, ne vide i traumi, sentì sotto i polpastrelli la disperazione delle sue ferite, ne rintracciò i pezzi strappati dal suo ventre. Decise che se ne sarebbe occupato lui. Della giara, della casa a cui essa aveva dato il nome, della sua vita che attraverso di loro sarebbe tornata ad avere un senso. Comprò in paese tutto quello che pensava gli sarebbe occorso e decise che avrebbe rimesso insieme i pezzi con della malta color dell’oro. Lavorò e lavorò incessantemente a ricucire le ferita di quella giara antica. Ne ricostruì l’interezza colmando le mancanze con lucido oro caldo, perché fossero ben evidenti le cicatrici di quello che era stato, ma non meno preziose che se non ci fossero state. Ripulì le figure danzanti sulla sua pancia e riscoprì la bellezza dei loro volti e dei loro corpi, dei loro movimenti fissati nella terracotta e del loro amore incastrato nella lacca rossa della passione. Lucidò ogni centimetro di quella giara accarezzandola e parlandole, come se la gentilezza che le usava potesse in qualche modo tornare a farla splendere di una bellezza ancora maggiore di quella che le era stata donata alla nascita. Se ne prese cura, giorno dopo giorno, pezzo dopo pezzo, ferita dopo ferita. E fu così che la giara tornò a splendere sulla sommità di quella scalinata, quasi nello stesso momento in cui la villa stessa tornava, col lavoro sapiente dei restauratori, a dominare con la sua bellezza la sommità della collina. Si narra che la giara sia ancora lì, che l’uomo che l’ha riportata alla vita se ne prenda cura ogni giorno, ancora e ancora, per farla splendere, con le sue cicatrici dorate, nel caldo dei raggi morenti dei tramonti estivi e alla luce della luna piena che la riveste di un’eterea aura d’argento. Se vi capitasse mai di trovare quel posto, alzate lo sguardo verso villa ‘La Giara’ nell’ultima ora del giorno. Vedrete la luce del sole che rimbalza sulle cicatrici dorate. E magari vi troverete a pensare, tra una chiacchera e l’altra al bar, che in fondo, la bellezza delle cose è tale solo nella misura in cui ci si prende cura di loro. E chissà che poi alla fine tutto questo non valga anche per le persone.

Elena Brilli

Illustrazione di Alexander Jansson

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Parole in libertĂ

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WRITERS PRESENTA: “PASSEGGIANDO CON ESOPO NELLA MITICA TERRA DI ZOOLANDIA” di Massimo Baldi Nota della Direzione: E’ un mio personale piacere quello di ospitare all’interno di questo numero di WRITERS la presentazione della nuova raccolta di favole di Massimo Baldi “Passeggiando con Esopo nella mitica terra di Zoolandia”, ed.YouCanPrint Self-Publishing, 2017. Lo trovate nelle migliori librerie, sul sito della YouCanPrint (https://www.youcanprint.it/fiction/fiction-generale/passeggiando-con-esoponella-mitica-terra-di-zoolandia-9788892619531.html), e su tutte le principali librerie on line. Non poteva esserci numero più adatto per presentare il nuovo lavoro del nostro Massimo Baldi. In un numero, questo, dedicato al mondo delle favole, la presentazione del libro “Passeggiando con Esopo nella mitica terra di Zoolandia” fornisce l’occasione più adatta per conoscere Massimo Baldi come fine favolista, nonché romanziere, saggista, poeta. Trovate tutta la sua produzione sul suo sito: http://www.massimobaldi.altervista.org Mi auguro che la presentazione che seguirà, dell’autore e del suo lavoro vi incuriosiscano. Noi di WRITERS siamo molto orgogliosi di averlo tra le nostre pagine e ci auguriamo di averlo di nuovo con noi molto molto presto! Intanto godetevi il suo libro di favole! Elena Brilli

Note biografiche: Massimo Baldi nasce a Torre del Greco, in provincia di Napoli, il 30 aprile 1966. Ha pubblicato numerose opere letterarie. Quelle di stampo poetico sono: “ Le quattro stagioni di un viaggiatore solitario” – Ed. Creativa, 2009 “Il canto della felicità” – Lulupress, 2011 “ Omaggio a Lucio Dalla” – Lulupress, 2012 “ Il susino magico e il lago di Giada” – Lulupress, 2013 “ Il flauto magico e la luna di neve” , raccolta di poesie orientali e occidentali – Ed. Creativa, 2013 “Conversando con Li Bai nei giardini dei ciliegi in fiore” – YouCanPrint, 2017. Quelle di stampo narrativo che prediligono il genere favolistico per l'infanzia sono: “ Le favole di Zoolandia” – Ed. Creativa, 2010 “Nella Mitica Terra di Zoolandia” - Midgard Editrice, 2012 “ Le nuove magiche avventure nel Regno di Zoolandia”- Montecovello Editrice, 2015 e l’ultima “Passeggiando con Esopo nella mitica terra di Zoolandia”- YouCanPrint, 2017, che si arricchisce dei disegni dei ragazzi della classe Quinta C della Scuola Primaria “Don Antonio Mori” di La Spezia, e della prefazione ad opera della Prof.ssa Susanna Varese. La sua Ultima Opera Letteraria è il libro di aforismi e riflessioni “La quadruplice essenza del pensiero positivo” – YouCanPrint, 2017 Abile scrittore di “ haiku” - ha anche istituito, nel 2015, il Concorso Letterario di Haiku: “ Viaggio in diciassette sillabe”, molto seguito e partecipato, giunto nel 2017-2018 alla Terza Edizione. Di recente ha ideato il “tankaforisma”, una poesia breve in quattro versi, con la metrica sillabica 6-8-6-8, sulle orme della tradizione giapponese del genere “ tanka” ed elementi filosofici, come ideale trait d'union tra oriente ed occidente. 32


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Presentazione del libro a cura della scrittrice ed insegnante Susanna Varese, che ha curato la prefazione, e con cui Massimo Baldi condivide numerosi progetti per i bambini e i ragazzi: “In questa nuova raccolta di favole esopiche, Massimo Baldi, con lo stile narrativo fluido e coinvolgente che lo contraddistingue e la consueta, collaudata tecnica della morale esplicita, mette in evidenza tutti i punti deboli di questa società, invitandoci a riflettere e a recuperare valori dimenticati. Con racconti brevi, tipici di questo genere letterario, Massimo riesce a veicolare messaggi profondi, stimolando la conversazione e la ricerca di insegnamenti nascosti da individuare oltre quelli suggeriti, rendendo palese ciò che nella vita reale appare talvolta confuso. Il valore educativo della favole è indiscusso dai tempi di Esopo, Fedro, La Fontaine, ma ora i comportamenti sono diversi, la morale è diversa, c’è molta confusione su ciò che è bene e ciò che è male. Ecco quindi un genere antico, ma sempre valido, viene aggiornato, calato nell’attuale realtà e assume valenze nuove e inaspettate. Chi di noi nella società attuale cinica, indifferente, superficiale, non si è sentito talvolta come la povera coccinella triste e sola, alla ricerca di affetto e calore? “La cattiveria e l’indifferenza sono il gelo silenzioso dell’anima” scrive l’autore. Eppure basta così poco per donare e ricevere amore: una carezza, un sorriso, un contatto umano. Che dire poi della cattiveria e la violenza, tanto diffuse tra gli esseri umani? A differenza degli animali, gli uomini uccidono e fanno del male senza un motivo valido, come può essere la difesa personale, Come quell’uomo che di proposito calpesta la biscia solo per il gusto di fare del male, così intorno a noi vediamo tanta malvagità fine a se stessa. Per i bambini di oggi, sempre collegati ad internet, condizionati dalla pubblicità, passivi spettatori di un mondo digitalizzato, le favole offrono l’opportunità di mantenere ed accrescere il dono della fantasia insito in loro, la magica capacità di trovare naturale sentir parlare gli animali e il gusto di scoprire le loro avventure, imparando e facendo tesoro degli insegnamenti impartiti, efficaci ed evidenti. I grandi possono riflettere su certi comportamenti entrati a far parte della vita quotidiana e ritrovare la strada perduta. Le favole dovrebbero tornare ad essere, come in passato, un intrattenimento serale per le famiglie, un modo per tramandare e condividere le tradizioni, gestire le emozioni. Favole per divertirsi, per pensare, per sognare, per imparare ad agire bene, ma anche a sbagliare, favole per sorridere alla vita in ogni momento, in ogni luogo, favole per amare, favole mai passate di moda per raccontarci il segreto della vita.” E per chiudere: "La favola è il portale d’accesso alle magie della vita: i bambini ne possiedono le chiavi ma sono gli adulti illuminati che ne custodiscono l’esatta combinazione." Massimo Baldi "Quando nasce un nuovo giorno inventatevi un Sogno senza chiedervi se sia giusto o sbagliato, raggiungibile o chimera. Comunque vada, avrete fatto di quel Sogno una pagina del libro chiamato Vita." Massimo Baldi

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La redazione di questo numero: Elena Brilli Direttrice – Grafica Autrice di “La giara”, pag. 29 E-mail: elena.brilli@gmail.com Blog: Crazy Alice in Wonderland http://crazyaliceinwonderland.com/) Facebook: Elena Brilly

Anna Bellucci Autrice del disegno originale di copertina: “Il mondo delle favole” E-mail: annabellucci87@gmail.com Facebook: Anna Bellucci

Armando Cambi Autore di “La vita è favola”, pag. 12 E-mail: armando.cambi@libero.it

Massimo Baldi Autore di “La volpe e la gazza”, pag. 8; di “Il cane e il buon fattore”, pag. 17; di “La quercia e la margherita”, pag. 24 Autore del libro “Passeggiando con Esopo nella mitica terra di Zoolandia”, presentato a pag. 32 E-mail: mbaldi66@virgilio.it Sito internet: http://www.massimobaldi.altervista.org/ Pagine Facebook: Piccola Luna https://www.facebook.com/PiccolalunahaikudiMassimoeYlenia/ L’autostrada della favola https://www.facebook.com/LAutostrada-della-Favola-1018443061502970 / I tankaforismi di Massimo Baldi https://www.facebook.com/I-tankaforismi-di-Massimo-Baldi-898077276 899101/ Viaggio in diciassette sillabe https://www.facebook.com/Viaggio-in-diciassette-sillabe-1768660426 697483/

Antonella Fortuna Autrice di “I ghiaccetti del lupo Papo”, pag. 26 E-mail: anto.fortuna@libero.it

Molfy Autrice di “Una fiaba rivisitata”, pag. 16 E-mail: molfyscrive@gmail.com

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Eufemia Griffo Autrice di “Katherine e il custode del Re Inverno”, pag. 9 E-mail: eufemia_g@live.it Blog: Il fiume scorre ancora https://ilfiumescorreancora.wordpress.com/) MultiBlog : Memorie di una Geisha https://eueufemia.wordpress.com/)

Sonia Barsanti Autrice di “Cappuccetto Rosso Oscuro”, pag.18 E-mail: sbverdesperanza@gmail.com Blog: Gli occhi della libellula ( https://gliocchidellalibellula.wordpress.com/) Pagina Facebook: Sonia Barsanti – apprendista scrittrice ( https://www.facebook.com/apprendistascrittrice/) Facebook: Sonia Barsanti

Marco Fantuzzi Autore di “Il venditore di sogni”, pag. 5 E-mail: mfantuzzi1955@gmail.com Facebook: Marco Fantuzzi

Anna Giulia Alfonzo Autrice di “Una vita in una notte”, pag. 21 E-mail: giulia.anna.a@gmail.com

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