“Se ci diamo una mano i miracoli si faranno e il giorno di Natale durerĂ tutto l'anno.â€? Gianni Rodari
In questo numero: In copertina: “Natale” di Anna Bellucci, inchiostro e acquerello su carta, 2017 2 .......... Editoriale 4 ......... “I profumi del Natale ” di Armando Cambi 10 .….. “La terra del Natale Buongiorno” di Massimo Baldi 11 …... “Natale” di Sonia Barsanti 14 …… “Nel giardino d’inverno” di Eufemia Griffo 15 …… “Il dono della natura” di Angelica Costantini-Hartl 21 …… “Sorridi: è Natale” di Molfy 22 …… “Memorie” di Eufemia Griffo 23 ….... “C’era una volta un vecchio platano” di Massimo Baldi 25 ….... “Si chiamava Andrea” di Elena Brilli 28 ….... “Natale ogni giorno” di Michel Angelo 29 ……. “I calzini del Bambino Gesù” di Antonella Fortuna 32 ……. “Il mio Natale sei tu” di Serena Pisaneschi 34 …… “La messa di Natale” di Elena Brilli 36 ……. “Come una rosa s’intreccia sui rovi” di Eufemia Griffo
37 ……... La redazione di questo numero
Nota sull'uso delle immagini: Tutte le immagini riprodotte nella presente pubblicazione sono prese da internet e, per quanto è dato conoscere, non coperte da copyright. 1
Editoriale Arriva come ogni anno il Natale e noi, ancora una volta, abbiamo voluto fare gli auguri a tutti voi, vecchi e nuovi lettori, nell'unico modo che ci è venuto in mente per abbracciarvi tutti in una volta, e cioè scrivendo. Se questo sia il modo migliore che avessimo a disposizione è dato a voi deciderlo, di sicuro noi lo abbiamo fatto nel modo che più ci piace. Quindi quello che vi accingete a leggere è un numero speciale con i racconti e le poesie che alcuni dei redattori di Writers e tanti nuovi collaboratori, che ci auguriamo restino a bordo del nostro progetto anche per i prossimi numeri, hanno deciso di scrivere per augurare a tutti voi lettori un Buon Natale e un felice 2018. Troverete e riconoscerete nomi, prose e versi che già conoscete e avete letto nei precedenti numeri della rivista, e tanti contributi, pensieri e stili nuovi ed eterogenei, di chi ha trovato nel nostro progetto uno spunto per mettere nero su bianco i propri personalissimi pensieri, emozioni, ricordi, tutti legati al Natale. A noi è piaciuta molto l’idea di augurarvi un sereno Natale scrivendo dei racconti per voi, perché in fondo Writers è tanto simile ad un sogno da potersi quasi confondere con essi, in quel luogo indefinito dove albergano i desideri più reconditi di questo gruppo di “scribacchini” dagli occhi sfavillanti di eccitazione come quelli di un bimbo, proprio la mattina di Natale. E pensare che voi tutti possiate passare qualche momento felice in nostra compagnia, allietati da quello che abbiamo scritto, ci rende felici ed orgogliosi, fanciullescamente eccitati come quando si scartano i doni lasciati sotto l’albero. Il nuovo numero “ufficiale” di Writers, peraltro già in lavorazione, lo troverete on line intorno alla fine del prossimo mese di Febbraio.
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Nell'attesa, fateci sapere se i nostri più sinceri auguri di Buon Natale vi hanno in qualche modo toccato il cuore, fatto fermare, strappato una risata, o semplicemente tenuto compagnia negli attimi di veglia che precedono il sonno e i sogni.
"Da piccolo a Natale aspettavo un regalo. Un pacco dorato, sotto l'albero luminoso. Quando aprii il pacco, non era quello atteso. Lo tirai contro il muro piangente, iroso. Quanti regali ho rotto, ho respinto nella mia vita dopo quel giorno? Ora di questi ho rimpianto. Accettare i doni è difficile perché sempre ne aspettiamo uno soltanto. Impara ad amare ciò che desideri, ma anche ciò che gli assomiglia. Sii esigente e sii paziente. E' Natale ogni mattino che vivi. Scarta con cura il pacco dei giorni. Ringrazia, ricambia, sorridi.” Stefano Benni Se avrete voglia di condividere con noi le vostre impressioni, di ricambiare i nostri auguri o anche solo di passare a trovarci per un saluto veloce con gli avanzi del panettone e un vasetto di lenticchie beneauguranti per il nuovo anno che si avvicina, ci trovate qui: • • •
sulla pagina Facebook https://www.facebook.com/writers.magazine sul nostro sito https://writersezine.wordpress.com/ in mail all'indirizzo writers.blogmagazine@gmail.com
Aspettiamo le vostre idee e, se vorrete condividere con noi i vostri racconti, le vostre poesie, i vostri pezzi di creatività, noi saremo pronti ad accoglierli e dar loro spazio nelle nostre future pubblicazioni! Vi aspettiamo tutti quanti per l'uscita del nuovo numero il prossimo Febbraio e nel frattempo tanti auguri di cuore perché il Natale sia una giornata di festa, di serenità, di armonia, ma soprattutto perché possa diventare uno stato d'animo che vi accompagni ogni giorno, nel turbinio di ogni vostro impegno quotidiano, nella calma della sera, nel disordine ordinato del disegno della vostra vita.
La direttrice Elena Brilli
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I profumi del Natale di Armando Cambi Il primo Natale che ricordo con chiarezza è quello del 1948, avevo quasi cinque anni e mezzo, e la notte di Natale il mostro chiamato difterite aveva deciso di mollare la presa e, anche per merito del siero antidifterico che mi iniettavano, mi lasciò vivo. Di quei giorni ricordo quasi tutto, ma il profumo che mi rimase in mente per anni era quello cattivissimo delle pennellature di una medicina scura che mi faceva la mamma alla gola, che io sopportavo con grande abnegazione, ma anche fastidio. Il profumo poi si mescolava al sapore, acre, tipo iodio o roba a base di fenolo, insomma schifoso. Degli altri Natali che seguirono nel tempo, ho invece anche buoni ricordi, non solo per i giocattoli che, fra Natale e la Befana arrivavano sempre, ma anche per tante cose che accadevano, spesso un po’ nuove e al di sopra dei fatti giornalieri che invece avvenivano in altri momenti dell’anno. Per esempio, uno dei grandi avvenimenti di quel periodo erano i pranzi più ricchi che la nonna, l’unica che aveva il diritto di maneggiare il mestolo, organizzava. Intendiamoci, niente a che vedere con i pranzi che ci mostrano in televisione, con dieci portate e cibi esotici e costosi (i tartufi li conoscevamo solo di nome, e sapevamo che puzzavano….). I pranzi di quegli anni, a cavallo fra la fine degli anni ’40 e la prima metà degli anni ’50, erano più ricchi, sì, ma …insomma …..si fa per dire. Io avevo la fortuna di avere la nonna paterna che aveva la mamma di Gonzaga, in provincia di Mantova, la mitica e buonissima nonna Linda, che non avevo mai conosciuto, venuta dalle nostre parti negli ultimi decenni dell’800 per fare la cuoca in una casa di ricchi industrialotti dell’epoca (produzione di cappelli di paglia, per intendersi), dove aveva sposato il cocchiere e avevano generato appunto la mia nonna e qualche altro bambino morto durante l’infanzia. Ebbene, queste ascendenze un po’ lombarde le avevano insegnato a fare alcuni piatti che, all’epoca, non erano consuetudine delle nostre parti. Il principale di questi, o almeno quello che ricordo bene, erano i tortellini ripieni di carne. In verità la mia nonna tortellini non li chiamava mai, lei diceva cappellotti (non cappelletti, come sento dire alla televisione), e il Natale le risvegliava la voglia e il dovere di farli, ed era una festa. Sì, perché farli in casa all’epoca non era semplicissimo. Si doveva preparare un buon ripieno di carne, e la nonna lo faceva qualche giorno prima (non troppi, perché non esistevano frigoriferi, e la roba non si poteva conservare troppo…..anche se bisogna dire che d’inverno, 4
alcune stanze di casa erano talmente fredde che del frigorifero se ne poteva tranquillamente fare a meno). Il ripieno non so come lo faceva, so solo che mentre lo faceva c’era per ore un buonissimo profumo che riempiva la casa, e già questo dava l’idea della festa in arrivo. Poi veniva la parte più difficile, fare la sfoglia e poi fare i cappellotti, riempiendo la sfoglia tagliata a quadrati con una cupolina di questo ripieno, che era già buono di per sé, e poi piegare la sfoglia con una certa arte, per chiudere bene il fagottino che si formava. Quando la nonna faceva la sfoglia, se la cavava bene, la preparava con la farina messa a cupola sull’apposita asse di legno posta sulla tavola, ci faceva un buco nel mezzo, che mi ricordava un vulcano, ci rompeva le uova, e poi la impastava piano piano, badando a che le uova non scivolassero via dall’impasto, ma che si amalgamassero ben bene con la farina e alla fine ne venisse fuori un bel pane morbido, giallo, liscio, che la nonna lavorava a lungo per bene con le mani, dopo aver tirato su le maniche per avere gli avambracci robusti e cicciuti scoperti per muoversi meglio e non sporcare la vestina nera. Ma si era solo all’inizio, poi il panetto andava messo a lievitare sotto un panno, e lì ci restava non so quanto tempo. Io, che a dir la verità fino ad un certo tempo avevo seguito tutto il processo, dopo un po’ mi scocciavo, perché avrei voluto arrivare in fondo prima possibile, e spesso mi mettevo a giocare o a fare qualche altra cosa. Quando poi, tempo dopo, succedeva che la nonna si metteva a schiacciare il panetto, insomma a tirare la sfoglia, veniva fuori il bel mattarello che stava di solito infilato dentro la tavola, e con questo, adoprato con maestria, pian piano il panetto si appiattiva e si trasformava in una sfoglia bella sottile, gialla e morbida. La nonna lo tagliava poi a strisce e quindi a quadretti usando una antica rotellina di ottone, che lo incideva a zig-zag, e ne venivano fuori quadrotti con il bordino trinato. Una bellezza. Si trattava poi di porre sopra a ciascun quadratino un mucchietto di ripieno, e chiudere il tutto con maestria, e a questo processo si partecipava anche noi, io, la mamma, il nonno e se la cosa avveniva la sera o di sabato, anche il babbo. Io, le prime volte ero piccolo, e mi lasciavano fare tanto per fare, ma i miei risultati erano scarsi. Con gli anni, poi, diventai più esperto e partecipare alla produzione dei cappellotti diventò anche utile. Fu la mia sorellina, invece, nata nel ’50, che fin da piccola cominciò a partecipare a modo suo alla bisogna, e devo dire che questa cosa del far da mangiare le piaceva abbastanza. E quei cappellotti sarebbero stati cotti in brodo (che è il modo migliore), un brodo fatto con il cappone e il lesso di manzo, con gli odori e qualche pomodoro conservato dall’estate, messo a seccare al fresco in cantina a cavallo di alcuni fili di spago. I cappellotti sarebbero stati uno dei pezzi forti del pranzo di Natale, quando ci si trovava con i parenti, lo zio di Prato, la zia, la bambina, e tutti noi…. insomma era un momento di grande allegria, anche se poi ci si stancava, e si discuteva, e il pomeriggio venivano anche altri parenti, che si vedevano di rado, e io ero contento anche perché dei bambini che arrivavano (anzi, tutte bambine) ero il più grande. 5
Il Natale, poi arrivava con altre sorprese, l’albero, la capannuccia, e anche altri profumi. Di pino, di abete, di muschio, e anche di carta vecchia di giornale che veniva fuori dalle scatole nelle quali si conservavano i personaggi del presepe e le palle dell’albero per tutto il resto dell’anno. Questa degli alberi di Natale, nei primi anni che ricordo io, era una faccenda un po’ misteriosa. A un certo punto, nel salotto accanto alla cucina (la sua temperatura era bassa, ma accettabile, non come l’altro salotto, messo a nord, che d’inverno era difficile anche starci cinque minuti, che sembrava di essere al polo nord), nel salotto accanto alla cucina accadeva qualcosa, compariva un alberello che se non ricordo male a volte era un abete, ma altre era un piccolo pino, che qualcuno portava a casa nostra, ma che ho l’impressione fosse stato tagliato di nascosto nel bosco. Sì, perché allora, fare un po’ di legna per fare il fuoco, e magari tagliare un alberello per Natale, era considerato normale, e molti lo facevano. Poi, quando ero più grande, cominciarono ad arrivare camion pieni di alberi, abeti di tutte le misure, con le radici o tagliati, e fare l’albero (di Natale, s’intende, ma bastava dire l’albero per capirsi) diventava più facile, e anche se questi alberi si somigliavano tutti, almeno non si disboscava nulla, dato che erano stati coltivati apposta, anche se quel senso di magico (e un po’ proibito) in questo modo scompariva. Una volta posseduto l’albero, che il babbo e la mamma sistemavano in un vaso con la terra per farlo stare ritto, incominciava il rito dell’addobbo. A me questi primi alberi sembravano sempre giganteschi, mentre quelli degli anni dopo sempre meno, e non so dire se ero io che crescevo, o se gli alberi, quelli comprati, erano più piccoli, anche per spendere meno. Addobbare l’albero era divertente, c’erano in casa alcune scatole (che crescevano di numero nel tempo) dove venivano riposti gli addobbi dell’anno prima, che erano palline colorate, una punta dorata, personaggi curiosi, come una specie di Babbo Natale con vari colori brillanti, lucidi, tutti rigorosamente di vetro sottilissimo (solo in seguito comparvero quelli di plastica, che erano anche più fantasiosi, ma con i colori più smorti, e poi non avevano il grande pregio di essere delicatissimi, come quelli di vetro, che ci si doveva impegnare a non farli cadere o schiacciare, e questo gli dava un grande valore. Quelli di plastica si rompevano di rado, e quindi il divertimento di maneggiarli e appenderli con grande attenzione gli faceva perdere gran parte del loro fascino). Ma la cosa che mi ricordo con più piacere era l’illuminazione. Mentre dopo l’albero si illuminava con delle file di minuscole lampadine tutte collegate con un filo elettrico di colore verde, e ne venivano fuori addobbi con la luce ad intermittenza, con tanti lumini, insomma una specie di spettacolo in sé stesso, i primi alberi che ricordo si illuminavano solo con alcune candeline di cera colorate, infilate in piccole pinze a molla che venivano agganciate ai rametti dell’albero, e dopo dovevano essere accese con i fiammiferi una ad una, e si doveva fare attenzione primo a porli sui rami in modo più piano possibile, poi non bruciarsi durante l’operazione, e a non dar fuoco ai rami, cosa possibile perché gli alberi erano resinosi, e potevano bruciare, e cercare di avere parecchie candeline, ma non troppe, se no l’accensione diventava troppo lunga, e poi si doveva anche spengere spesso, se no le 6
candeline facevano fumo e odore di cera bruciata e si consumavano presto, e si dovevano cambiare (ma allora, si cercava di non sciupare nulla). Insomma l’albero era un bel momento di gioia, ma anche di impegno. E poi c’era la capannuccia, insomma, il presepe, ma noi lo chiamavamo sempre capannuccia. Che era altrettanto bella come l’albero, e poi ci faceva pensare a Gesù che nasceva, e poi sarebbe morto per noi, e la cosa non era di poco conto (non è di poco conto) e l’idea che nascesse in una mangiatoia, d’inverno, povero senza una lira, e stare in una stalla dove a mio ricordo c’era anche un bel puzzino di animali ecc. ecc., non era per nulla piacevole. E l’aveva fatto per noi. Insomma, il presepio era un bel momento di gioia, specialmente costruirlo, quando ero più grandino, ma anche di pensieri seri. E costruirlo era proprio una magia, si doveva immaginare dove metterlo (di solito, su una tavola) posarci sopra dei sassi per fare le montagne (sì, negli anni arrivò anche la carta dipinta di verde e marrone che sagomata dava anche una idea delle montagne più realistica, ma vuoi mettere due belle pietrone pesanti e appuntite, proprio due rocce tipo dolomiti… dove magari ci si faceva cadere anche un po’ di farina, per dare l’idea della neve) poi il muschio per fare la pianura (il borraccino, o borraccina, come si diceva noi…. muschio è venuto fuori dopo) e poi la sabbia, la rena per murare, a rappresentare il deserto, dove qualche giorno dopo il Natale, apparivano i magi, con cammelli e dromedari, che giorno dopo giorno avrebbero fatto un passettino alla volta verso la capannuccia, per arrivare esattamente il 6 gennaio, per befana. I personaggi, durante gli anni, erano diventati molti, ma i primi credo di ricordarli ancora, c’erano alcuni pastori con alcune pecorine proprio ricoperte di una specie di lana, poi un pescatore con una rete in spalla, un uomo robusto e barbuto che rimescolava la polenta, e un fabbro che aveva il martello in mano e il fuoco acceso fra i piedi, e un contadino che tirava un asinello marroncino. Poi c’erano i magi, con i loro animali, e poco più. Quello che ricordo ancora erano i profumi, dell’albero, con la cera delle candele che sapeva un po’ di bruciato, il profumo di resina, e della capannuccia dove il profumo prevalente era il muschio, che all’inizio sapeva di terriccio, e poi, stando in casa, asciugava e alla fine sapeva anche un po’ di muffa. Ma il profumo più difficile da descrivere, e anche più raro, era quello di alcuni dolci di origine straniera che arrivavano puntuali ogni anno la vigilia di Natale. Nel gruppo di case dove abitavo io, una fila di casette a due piani stile anni ‘20, tutte uguali, a schiera si direbbe oggi, e poste a formare come una scaletta, visto che il terreno era in leggero pendio, in una di queste case vivevano due sorelle anziane tedesche, che facevano una vita molto ritirata, che tutti rispettavano molto, data la loro serietà, bontà e anche per la loro storia. Una di esse aveva sposato un italiano, morto da diversi anni, l’altra non si era mai sposata. Quella sposata aveva avuto anche un figlio, che era morto in guerra, ed era decorato di medaglia d’argento. E tutti dicevano un gran bravo ragazzo. Io di queste cose non sapevo niente, ma il mio babbo ogni tanto si fermava da loro, o, raramente una di loro veniva da noi. 7
Il mio babbo lavorava in banca, e capitava spesso che qualcuno, spesso anziani contadini, si fermassero da noi molto imbarazzati, si trattenevano un pochino dal babbo, e poi se ne andavano, spesso facendomi qualche bel sorriso, o chiamandomi in modo scherzoso, ma sempre con grande serietà. Io non sapevo il motivo di queste visite, che scoprii pian piano. Venivano a chiedere qualche consiglio o semplicemente a portare qualche gruzzoletto che avevano messo da parte, affinché il mio babbo glielo versasse in banca. Molti di loro, che mi sembravano molto vecchi, non avrebbero mai avuto il coraggio di entrare in una banca, anche se non c’era niente di male e i loro risparmi erano frutto di duro lavoro, ma erano quasi sempre dei mezzadri, quindi non possedevano i campi, e lavoravano per dei proprietari terrieri, e avevano diritto alla metà del raccolto, e quindi, l’idea di avere messo da parte dei soldi, nella loro mente (e non solo nella loro) si associava immediatamente a quella che avessero “rubacchiato” al padrone. Può sembrare strano, ma quel mondo contadino conservava anche di questi pensieri ancestrali, e non era facile capirli. Insomma, il mio babbo prendeva quei gruzzoletti e li depositava in banca, su libretti di risparmio, credo, che poi portava a casa, ed erano proprio contenti e lo ringraziavano con gli occhi lucidi, e spesso a Natale arrivavano con un fiasco di vino, o di olio, o di vin santo, che il mio babbo prendeva ringraziando, e non poteva non prendere, perché si sarebbero offesi come un rifiuto incomprensibile. La loro generosità era sincera, non intendevano “pagare” un servizio, ma solo fare un regalo cortese, tanto più che a volte questi vecchi contadini lo conoscevano da tanti anni, da quando era un ragazzino lui stesso, orfano di guerra (della prima guerra), e il fatto di lavorare in banca era come aver raggiunto un traguardo che in un certo modo premiava anche loro. Le sorelle tedesche invece erano diverse, è vero che ad un certo punto della storia ci aveva diviso una guerra, ma tutti le volevano bene. Erano molto riservate, silenziose, sempre vestite in modo molto elegante, come un quadro dell’ottocento rimasto in qualche soffitta. Vicino a Natale si era soliti andare a far loro gli auguri, e se non sbaglio la mamma le portava qualcosa, forse un vasino di fiori, ci accoglievano sorridenti, quella zitella sapeva a mala pena qualche parola di italiano, ma l’altra no, lo parlava bene, con quell’accento tipico che mi faceva soggezione, e anche un po’ ridere. La loro casa, in quei giorni, era addobbata con ghirlande di alloro, o qualcosa di simile, e c’erano cestini di frutta, e nastri colorati. Insomma, un Natale gioioso ma un po’ diverso dal nostro, con gli anni mi sono anche immaginato che fossero protestanti, che allora sarebbe apparsa una cosa molto stravagante, e anche un po’ pericolosa, ma non ho mai saputo niente su questo punto. Immancabilmente, quando andavamo a trovarle, mi regalavano un vassoietto, o un cestino, non ricordo bene, pieno di dolcetti strani, non nella forma, di solito rettangolini o quadratini, un po’ spugnosi, ma duri, non morbidi, ma più che altro nel colore, di solito marroncino, lucido, ma non come la cioccolata, e nell’odore e sapore. Avevano un profumo particolare, che ricordo ma non so descrivere bene, forse contenevano cannella, o chiodi di garofano, e altre spezie, e miele, e forse anche un po’ di cioccolata, e pezzettini di frutta, o marmellata……. insomma, aromi 8
complessi, diversi dai nostri, più semplici e lineari. A me, comunque, anche se non ero un mangione (diciamo che non mangiavo proprio) piacevano, sarà stata la novità, o l’esotismo che svelavano, insomma piacevano, e devo dire che, nel tempo, ogni tanto mi è capitato di captare nell’aria, in qualche pasticceria, o per strada, un vago aroma che gli somigliava, ma niente di così raffinato e insistente come quello di allora. La visita alle signore tedesche non durava mai a lungo, e finiva sempre con saluti cerimoniosi, qualche carezza, anche se non ricordo baci, perché loro erano sempre molto contenute nelle loro manifestazioni, e si usciva sorridendo, e io che reggevo in mano il vassoio con i dolcetti, e andavo verso casa tutto impettito, come se avessi fatto un viaggio lontano, e nel tempo. Quanto tempo è passato, quanti sapori, e odori, e, io, da chimico, quanti ne ho sentiti, anche orrendi, ma quelli di quegli anni non passano facilmente, e ogni tanto ritornano all’improvviso alla mente, chissà da quale anfratto del naso. Una volta, negli anni ottanta, adulto, con la moglie e i miei quattro figli, piccoli, ero andato a Firenze, e si era vicino a Natale, per fare un po’ di acquisti, vestiti, qualche giocattolo, qualche libro, e poi qualche cosa di un po’ diverso per il pranzo di Natale. Era diventata tradizione che in quegli anni a Natale si facesse il pranzo da noi, i vecchi stavano diventando troppo vecchi, e con i figli piccoli, muoversi non era sempre facile, specialmente d’inverno. E allora, tutti da noi. Quindi entrammo in un bel negozio di alimentari nel centro di Firenze (non ce ne sono quasi più, ora), e mentre stavo in coda fra parecchi avventori, mi cominciò ad arrivare nel naso un profumo lieve, ma sempre più insistente, che proveniva da un vassoio posto sul vetro del bancone, proprio all’altezza del naso. Era un vassoio pieno di tartufi bianchi e, mentre aspettavo, il loro profumo (sì, si poteva anche prendere per puzzo, all’inizio specialmente), il loro profumo mi arrivava deciso, fin quasi a ubriacarmi. Alla fine, dopo aver comprato diverse cose, fra cui tortellini fatti a mano, e zampone, e chissà che cosa, decisi di comprare anche qualche tartufo, che, sì, erano cari, ma non come ora. Ne presi due o tre, me li misero in un barattolino di vetro con chiusura a vite, raccomandandomi di aprirlo appena a casa. Ebbene, durante il viaggio già il loro profumo si faceva sentire, e riempiva l’automobile. Se non ricordo male, quei tartufi non li lasciammo per il pranzo di Natale, ma li mangiammo in casa quasi subito, con tagliatelle semplici, al burro. Li tagliammo a fettine sottili sopra le tagliatelle appena scolate, ed erano buoni, e li mangiammo volentieri. Ed il loro profumo creava una specie di nube invisibile sopra il sapore. E nel tempo, ho avuto modo di mangiare ogni tanto i tartufi, bianchi o neri, e mi sono piaciuti. Ma se ne può fare anche a meno.
Armando Cambi 9
La terra del Natale Buongiorno di Massimo Baldi Natale, ragazzi, non è solo una stella. Natale è un girotondo di bambini che guardano il cielo Natale non è solo una data sul calendario Natale è cuore che si apre a ventaglio. Cuore, stella, cielo, data: colpo di bacchetta ed appare la fata d’azzurro turchino la fata vestita danzate con noi, la festa è partita! Danza, danza, corri e balla con gnomi, elfi e la colorata farfalla prendi le ali dentro al tuo zaino e vola con loro nel cielo infinito. Un cielo formato da mille colori volteggiano in aria i mille aquiloni: come un tornado sfrecciano via bambini in spiaggia come una scia. La scia luminosa della cometa l’astro dei Magi venuti da Oriente. Oriente e Occidente non facciam differenze. Prendi per mano quest’oggi un bambino ed apri la porta del tuo cuoricino. Comincia a volare su terre lontane dove il Natale non è solo un giorno: il Natale qui è il nostro Buongiorno.
Massimo Baldi 10
Natale di Sonia Barsanti Notte d’inverno C’è odore di fumo che esce dai camini stanotte. Il borgo medievale tace, assopito tra i seni delle colline intirizzite dall’inverno ormai inoltrato. Ricoperti da uno velo di cristalli di brina, i vetri delle finestre s’accendono di luci intermittenti. È come se il gelo e l’oscurità venissero trafitti da una gioia sottile di fuoco acceso che si sprigiona oltre i muri, al di sopra dei tetti per raggiungere questa solitudine che non lascia addosso pesantezza né dolore, ma solo silenzio e consapevolezza di voler cambiare. In mezzo alla notte, sotto abeti sconosciuti, divento parte di questo inverno di camini accesi. *** Neve e rimpianti I fiocchi di neve si sciolgono sul parabrezza e scompaiono lasciando tracce minuscole. Anche dei suoi sorrisi è rimasto ben poco in me. Ormai è sparita quasi del tutto dalla mente, era solo questione di tempo e di autocontrollo. Mi avrebbe reso solo più fragile. Odio questa maledetta atmosfera natalizia, è solo un patetico tentativo di sentire calore quando intorno c’è solo indifferenza. Chissà se anche da lei sta nevicando. Avrei potuto trattenerla, avrei potuto gridarle quello che provavo e forse adesso sarebbe qui con me. Le luci della città si confondono appena davanti ai miei occhi appannati. Dove sei? *** Parole indelebili Parcheggio l’auto sulla piazzola e scendo, lasciandomi travolgere dal freddo. Il panorama da quassù ha qualcosa di magnetico.
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Giù dal monte fino a valle è tutto un intreccio di bagliori chiari e fumo che evade dai comignoli per confondersi nella notte, sprigionando quel suo odore familiare di inverno acceso. Il lago è un vetro ghiacciato e nudo nel suo silenzio d’acqua ferma: riesco a percepirne l’immobile presenza. Questo posto mi calma. Da sempre. Anche quando a scuola mi tormentavano. Anche quando avrei voluto farla finita. Anche quando sono crollato perdendo me stesso. Questo luogo mi conosce bene. Sembra il posto migliore da cui spiccare il volo. Eppure resto immobile, a fissarlo come qualcosa a cui si anela e ci terrorizza allo stesso tempo. Inspiro l’aria gelida. Svuoto la mente da qualsiasi fardello. Espiro una nuvola che si scioglie nel buio. Mi sento in bilico tra due possibilità. Da qualche parte, in un casolare perso nell’oscurità, s’accende una finestra, come un occhio subito vigile. Mi riaffiorano alla memoria parole indelebili che mi hanno trasformato, ricucito. Salgo in auto e riparto con un po' più di luce dentro. Sarà l'atmosfera natalizia, non so, ma c’è sempre qualcosa a trattenermi. Il pensiero di lei che mi sprona a salvarmi. Sempre. *** L’attesa di Gemma La piccola Gemma non riusciva proprio a dormire: sentiva magia ovunque. Era la vigilia di Natale e dal suo letto poteva vedere il cielo, oltre il lucernario della mansarda. Un pezzetto di notte ricoperta di stelle, ogni volta un po’ meno sconosciute, le si mostrava attraverso quel vetro e sembrava chiederle il permesso prima di entrare nella cameretta e tenerle compagnia. Quel luccichio amichevole la rassicurava, la cullava come la presenza di un focolare acceso che allieta il rientro a casa. Dopo essersi riempita le pupille di quei lumini scintillanti, provò a chiudere gli occhi. Non vedeva l’ora che arrivasse il mattino. *** Il dono Guardo il mio nipotino scrivere in stampatello la lettera a Babbo Natale e mi meraviglio nel riscoprire in questo gesto lo stesso candore che dovevo avere anch’io alla sua età. 12
A quel tempo si usava il foglio d’un quaderno a righe con i margini laterali; penna intinta appena nella boccetta di inchiostro ‒ chissà se ho ancora da qualche parte il mio calamaio o se è stato smarrito durante qualche trasloco ‒ e la magia aveva inizio. Era un rituale, quello. Ricordo ancora i miei desideri che si materializzavano sotto forma di parole e che, scivolando sul foglio, ne graffiavano leggermente la superficie, rendendo eterni quei sogni di bambino, quelle richieste di giocattoli che vedevo nelle vetrine dei negozi e di dolci che scarseggiavano e che, quasi sicuramente, non avrei ricevuto. Erano tempi difficili anche per Babbo Natale, quelli. Tutto ciò che veniva risparmiato, andava speso con parsimonia e in qualcosa di molto utile: scarpe, un paio di calzoni nuovi o un cappotto di seconda mano. Una volta soltanto ricevetti per Natale esattamente ciò che avevo chiesto nella mia letterina: il libro delle avventure di Pinocchio. Fu magico scartare il pacchetto e trovarmi tra le mani quel dono. Avevo sette anni. Piansi dalla gioia di fronte a mamma e papà che si guardavano increduli. Solo più tardi, da grande, seppi che non furono loro a regalarmelo, non avevano le possibilità. Avevo altri sei fratelli, ognuno con i propri desideri in cui riporre le attese della Vigilia e dell’Epifania. Intorno a quel regalo aleggia un mistero che non posso e non voglio svelare. Alla magia si crede oppure no. *** Sotto la maschera Anche quest’anno non sarà facile per me indossare la maschera. Ogni volta è sempre più difficile fingere spensieratezza, gioia, entusiasmo. Non ne ho più. Nessuno si accorge mai di quello che ho dentro, nessuno. Nessuno va oltre la mia risata calda e rassicurante. Nessuno si accorge del baratro. Esisto solo per rendere speciale il Natale. Portare doni, viaggiare su una slitta in giro per il mondo. L’amato protagonista di una favola magica e speciale. E se tutto finisse? Se smettessi di essere qualcuno che non rispecchia più il mio vero stato d’animo? Recitare la parte e sentire di non avere più energia… Per quanto tempo ancora riuscirò a fingere? C’è troppo dolore nel mondo e sono stanco. Mi capita tra le mani una lettera diversa dalle altre. Un bambino mi chiede un unico regalo: desidera che i suoi genitori smettano di litigare. Samuel. Si chiama Samuel. Mi si sgretola qualcosa dentro e non riesco a trattenere le lacrime. Non m’importa quanto sarà dura: quel bambino ha bisogno di me. E se riuscirò a portare anche solo un sorriso nel mondo, ne sarà valsa la pena. Sonia Barsanti
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Nel giardino d’inverno di Eufemia Griffo Nessuna voce nel giardino d'Inverno di biancospino a disturbare il sonno che avvolge come manto Infreddolito si poggia sulla panca un passerotto ricordando il tepore di stagioni assopite La Primavera dal volto di signora indossa abiti intessuti d'argento e piccoli diamanti Il capo chino ad attendere il sole che scioglie il gelo e il cuore di cristallo che attende il primo raggio Ad occhi chiusi una tiara sul capo ricca di gemme, scintillanti di luna e luminosa neve
Eufemia Griffo 14
Il dono della natura di Angelica Costantini-Hartl Il vento trasportava sui rami spogli delicati fiocchi di neve trasparente. Una levitá nuova trasformava il cielo in una tenera carezza, sul dorso nudo di quei vecchi rami saldi. Quale tocco piú lieve puó la stagione piú fredda donare alla terra, prima che il suo carico pesante di ghiaccio ammutolisca tutti gli uccelli nel cielo? Il vecchio Franz si chiedeva questo e molto altro, mentre mungeva ormai all´alba la sua ultima mucca. Anche lui era stanco degli utlimi raccolti, del lavoro d´imballaggio del fieno, si sentiva pesante come il ramo secolare della quercia, pronto per il sopore invernale. Quell’anno la neve sembro arrivare piú puntuale che mai. L´uggiositá novembrina s´invigorí della prima neve che silente e brillante cambió in una notte l´intero paesaggio. Tutti i contadini del villaggio ne furono rassenerati… Non solo perché essa avrebbe coperto e protetto i nuovi semi a riposo nella terra brulla: la neve avrebbe portato con sé molti turisti e viaggiatori, avrebbe riempito il loro piccolo villagio di soldi. Era diventato ormai vitale il flusso turistico per gli abitanti di Spröm, che per il resto dell´anno lamentavano timidamente il loro beato isolamento . La gente del posto sarebbe venuta a contatto con nuove storie, nuove lingue e altre prospettive. Molti si sentivano rincuorati e non piú esclusi dal mondo. Altri invece provavano un sentimento di antipatia mescolato a gentilezza e curiositá. Antipatia per i turisti della pianura, che niente sanno della vita dura e meravigliosa di montagna e della profonditá della loro cultura. Nonostante questo, le mogli lavoratrici erano sempre liete di scaldare la stufa a legna per i nuovi arrivati. Tutto sarebbe stato piú caloroso, le colazioni tra piccole incomprensioni culturali e risate. La neve portava certo soldi, ma anche calore nel cuore. Tutti si preparavano al Natale. Franz rispondeva al telefono con il suo modo di fare gentile e concreto. Cominciavano ad arrivare le prime prenotazioni. Stando alle previsioni avrebbe dovuto nevicare abbondandemente per la Vigilia. Natale con la neve! I bambini erano giá entusiasti di respirare quell´odore gelido che rinfrescava le narici e le gote diventavano rosse negli spruzzi di neve fresca e soffice, quando gareggiavano sugli slittini. Tutto s´addolciva: i rumori del giorno e i pomeriggi alle torte di mele, stipate in cantina. "Vorremmo prenotare dal 21 al 27 dicembre. Una camera doppia." "Certo signora una camera é rimasta ancora libera e siamo felici di accogliervi"- rispose Franz allegro e risoluto.
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La casa di Franz e sua moglie Mina si trovava su un´idilliaca collina a ridosso del grande monte roccioso, giá spolverato come un Pandoro. Era circondata da abeti perenni e possedevano un piccolo range con tre robusti ponies di montagna, una stalla capiente per un piccolo gregge di pecore e sette mucche da mungere. Ogni mattina alle 4 Franz si alzava, infilava i suoi stivali di gomma fino alle ginocchia, si recava nella stalla e mungeva nel silenzio del crepuscolo mattutino. La sua fattoria disponeva di quattro stanze, due camere doppie e due camere singole, che da metá dicembre a metá febbraio erano settimana dopo settimana occupate dai nuovi inquilini. Il turismo aveva scoperto questo lembo di terra discreto e lontano dalla frenesia delle cittá; gli stranieri venivano da molto lontano per rilassarsi nelle giornate d´azzurro limpido e bianco candido. Una beatitudine dei sensi. Tutti si godevano il periodo piú bello dell´anno, mentre per gli abitanti di Spröm era un periodo di duro lavoro per accogliere al meglio i turisti. E di questo erano certamente grati. Il villaggio contava nei periodi solitari quattrocento anime, mentre nella stagione invernale ne contava piú di duemila! Dagli anni settanta, i padri dei padri avevano costruito nuovi impianti sciistici, alberghi , ristoranti e baite del benessere. Spröm era un villaggio solitario ai piedi dei piú maestosi monti della regione del Nord Europa. Avevano da allora in poi cercato di sfruttare al meglio quella terra, per costruire, ingrandirsi, arricchirsi. Ma qualche mente saggia e sensibile alla natura giá lo sapeva: "penetrare troppo a fondo il paesaggio per i propri scopi, potrebbere risvegliare i grandi spiriti della montagna inopportunamente." Erano leggende certo. Leggende tramandate a voce dai tempi degli avi celtici, che con cura e rispetto consacravano queste terre all´ardore divino. Nel tempo della globalizzazione, peró, i soldi erano importanti. "Una corsa alla ricchezza sul cui podio a sedere sono in pochi, amico. E noi contadini siamo i lavoratori piú penalizzati dalle tasse!"- ripeteva come un mantra qualcuno. Cosí decisero di investire e diversificareil loro business il piú possibile. Si lavorava giorno e notte a valle e sú per i monti. Interi appezzamenti di bosco venivano spianati, il legno fatturato, trasformato e venduto in sottili fogli. Nuovi modernissimi hotel e bar dalla vista spettacolare sorgevano veloci sui luoghi che una volta erano templi di preghiera e contemplazione. Franz conosceva di persona l´uomo delle nevi, cosí ribatezzato dai piú giovani per il suo stile di vita. Jörg si era ritirato in cima al monte Gais giá da diversi anni e da lí non vi avrebbe fatto piú ritorno, se non per procurarsi di volta in volta le riserve necessarie in paese. Jörg aveva diversi soprannomi, tra i quali "Lo sciamano", "ll folle dal cuore buono"oppure "il profeta della neve". Di voci pettegole ne giravano molte nei villaggi della valle nascosta, e molto spesso non corrispondevano a veritá, ma avevano una grande influenza sul sistema fragile che i contadini, oberati di lavoro, si sforzavano di tenere in piedi. E sí perché, per quanto possa essere intelligente l´uomo con le sue idee e con i suoi piani, nulla puó fare di fronte alla potenza della natura. E lí a comandare erano le montagne, con i loro eterni spiriti di neve.
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Nonostante ne fossero consapevoli tutti gli abitanti, ció che convinceva loro a propendere piú per una certa decisione rispetto ad un´altra, era sempre la razionalitá e il senso del profitto. Ritornando a Jörg, egli era cresciuto sú per i monti fin d alla piú tenera etá. Suo padre era un pastore e sua madre produceva il formaggio piú buono del villaggio. Si ritiravano ogni estate sulla baita a piú di duemila metri di altezza e nel silenzio assoluto della cima e nel timore dei suo umori variabili, si prendevano cura dei loro greggi. Il piccolo Jörg imparó ben presto molte cose che altri bimbi della sua etá a valle non potevano sapere: i fiori forti e cangianti delle grandi altitudini, le improvvise distese di odorante erba cipollina, le orme dei cervi adulti. Aveva conosciuto animali nuovi, le salamandre, i castori e le marmotte. Il falco reale e l´aquila saggia. "Dio, quanto amo vivere quassú, tra gli imperatori del cielo, lontano dalle trame inasprite dei nostri legami terreni."- pensava. I suoi genitori morirono, quando Jörg compí 16 anni. Caddero accidentalmente da un dirupo durante una perlustrazione serale e le montagne che Jörg sino allora aveva amato, all’improvviso mostrarono un altro volto, vero quanto l´amore. Il volto del pericolo, della crudeltá, della forza che non perdona. Cosí Jörg imparó ad ascoltare la montagna, a percepire attentamente i suoi messaggi nascosti, ad entrare in un intimo contatto e a conoscerne profondamente le sue fattezze. Imparó a prevedere il meteo osservando la forma delle nuvole, la direzione del vento, la posizione delle stelle; addirittura deduceva il futuro prossimo dall´avvistamento di certi animali o dal calore delle pietre. Ma era un´arte che apprese completamente da solo e con lentezza, non a scuola, non in chiesa, né con i suoi amici. Il suo senso di estraniazione crebbe per questo e l’amore-odio che provava per la montagna lo legó completamente a sé. Deriso in seguito da diverse persone e amato e rispettato da altri, decise di lasciare la schizofrenia delle opinioni giú a valle e di ritirarsi nei mesi piú caldi sui suoi monti, come si ritiravano le nevi o i timidi cervi. Con il passare del tempo, la baita ricevuta in ereditá dai suoi genitori la trasformó in un rifugio confortevole e vi faceva ritorno anche in autunno inoltrato o nella primissima primavera, che con i suoi delicati crochi riempiva i sentieri impervi. La gente del villaggio cominció ad insospettirsi , confabulando le piú svariate teorie. "Oh povero ragazzo, la perdita dei genitori in quel brutto incidente lo ha reso fragile e solo" "Come possiamo aiutarlo?" " È impazzito! Farfaglia su eventi improbabili. Dice di parlare con la montagna!" "Lasciatelo stare, potrebbe importunare i nostri bambini". Piano piano, la reputazione di Jörg fu irrimediabilmente distorta dal vociferare continuo. E Jörg né se né dispiaque né si fece assalire dal dubbio riguardo le sue conoscenze. Franz e Mina erano gli unici amici suoi. Essi conoscevano i genitori molto bene e conoscevano lui, un ragazzo sensibile e solitario. Provavano compassione, ma allo stesso tempo una sorta di riverenza per il suo rapporto quasi sciamanico che eglí sviluppó con gli spiriti della natura. Piú di una volta, chiesero a lui consiglio su come orientarsi con il paesaggio. Quella sera, al ritorno dal lavoro, Franz vide Jörg sedere nella sala da pranzo con Mina, che calorosamente lo accolse servendogli del caffé caldo. Quando Franz entró nella sala da 17
pranzo, ella sembrava sentirsi a disagio. Egli salutó Jörg come soleva fare un padre affettuoso e chiese come mai aleggiasse nell´aria una certa tensione. "Caro, Jörg mi ha appena detto, che quest´anno non cadrá nessuna neve, fará caldo e per noi tutti ristoratori e albergatori sará una grande perdita". " Ma Jörg, perché dici ció, non vedi nelle due ultime notti, sono caduti giá dieci centimetri di neve, la stagione sará piena!" "No, Franz, non ci sará nessuna stagione piena". "Ma Jörg!? La gente prenota, é un giro immenso, la macchina non si ferma, spareranno neve artificiale, come sempre, per sopperire alla mancanza di neve naturale. Non preoccuparti. Abbiamo degli impianti fantastici, ottimi sistemi di misurazione, e il Natale é una grande opportunitá per il nostro villaggio!" "Sará siccitá per l´intero inverno! È un avvertimento, la vostra macchina infernale non puó funzionare per sempre. È ora che la finiate con i vostri disboscamenti per il profitto degli stranieri! Non capite…Tutte le mie parole al vento! La forza immensa non perdona!" Era schietto e duro Jörg. "Bene, io non lascieró che tu c´intimorisca in questo modo, questa é la nostra vita e noi decideremo cosa fare, ti prego.."- ribatté cauto Franz. Mina guardava la fiammella di una candela agitarsi a centro tavola, Jörg si alzo e si diresse all’ingresso. Con un sorriso mesto, si congedó. "Franz, forse dovremmo dargli retta e indire una riunione per gestire un’eventuale crisi quest’anno. Lo sai, che Jörg spesso ci ha aiutato, forse anche questa volta…" "Mina, questa volta no. Sono stanco, non voglio piú discutere". Franz e Mina volevano bene a Jörg come ad un figlio, perció decisero di non parlarne a nessuno. Jörg, dal canto suo, non metteva mai in dubbio i segni che riceveva dagli spiriti della natura, cosí il mattino seguente entró nel negozietto del villaggio e disse con fervore " Non nevicherá quest´anno, dimenticate i vostri negozi! Dov´é il Natale nel vortice effimero dei vostri soldi?!" Le parole di Jörg fecero eco in tutti i villaggi circostanti. Il suo nome era sulla bocca di tutti. "Papá ma é vero cosa dice Jorg? Non ci sará nessuna neve quest´anno?" "È perduto, non sa piú cosa inventarsi!"- ribatteva qualcun´altro. Era il venti di novembre. Il sole aveva giá sciolto le prime nevicate, i ruscelli scorrevano di nuovo con forza dai pendii, l´erba si asciugava. Le prenotazioni continuavano affannose, le famiglie davano di volta in volta i nomi di chi avrebbe potuto ancora ospitare qualcuno. Agli inizi di dicembre tutte le pensioni, gli alberghi, i rifugi ristrutturati erano prenotati. Tutto era giá pronto. I cannoni cominciavano a sparare neve artificiale dalla mattina alla sera. Al mattino cristalli di neve chimica s´indurivano sui vetri delle macchine, sull´erba, sui tetti delle case. Era un mondo di ghiaccio artificiale. I negozi erano affollati, gli acquisti rendevano gioiosi i bimbi e le donne splendevano piú del solito nei loro foulard e cappelli nuovi. Dicembre arrivó e se non fosse per la normale escursione termica che rendeva il mattino freddo e nebbioso, pareva estate. A mezzogiorno i contadini lavoravano in camicia di flanella e i bimbi correvano senza giacche. Eppure il Natale si avvicinava. 18
E si avvicinerá sempre. Il Natale nasce nel cuore di ognuno e nessun tempo puó modificarequel sentimento di gioia che nasce intatto da millenni nel profondo di ciascuno. È una luce che sgorga dal cuore all´improvviso, una subitanea presa di coscienza delle cose importanti nella vita. Anche se dura solo un momento, l´attimo di uno sguardo. Il Natale é il punto massimo di luce ed oscuritá unificati. È il Sole che ritorna e infonde l´amore per le cose essenziali. E il Cristo fu una luce per questa terra. Tutto questo gli anziani del villaggio lo sapevano e guardavano a Jörg come ad un uomo che conservava intatto questo sentire, incontaminato dal nostro senso di tempo che instauriamo per qualche secolo o decennio. Era metá dicembre e non nevicó piú dalla prima volta. Le giornate erano splendenti di sole e calde. La preoccupazione cominciava ad uniformarsi tra gli abitanti. Jörg era indeciso sul da farsi, quando sedeva solitario in cima: "Scendere di nuovo a valle e cercare di parlare agli anziani? No, ma a che serve, rimarró qui a godermi lo spettacolo del fallimento ". Ormai mancavano pochi giorni al Natale e la frenesia del periodo prenatalizio elettrizzava l’atmosfera. Il sole asciugava la rugiada in fretta e i cristalli di ghiaccio artificiali scivolavano a terra sciogliendosi. Non pioveva mai. Cosí, piano piano i turisti cominciarono a disdire le loro prenotazioni. Dicembre e gennaio sarebbero rimasti mesi deserti, come tutti gli altri. A qualche giorno dalla vigilia una riunione d´urgenza al comune di Spröm fu indetta da Franz, considerato un po´il custode reale del villaggio, era un uomo sensibile e attento. Tutti si riunirono e nella tensione e nel propalare generale si udiva ogni tanto il nome di Jörg. Qualcuno doveva pur chiamarlo in causa, chiedergli spiegazioni. Addirittura c´era chi lo accusava di portare iella. Franz telefonó a Mina e la persuase di recarsi da Jörg per chiedergli di presentarsi alla riunione. "Jörg, il sindaco, Franz e gli anziani vorrebbero che tu venissi alla riunione oggi pomeriggio alle due. Sono confusi, stressati, non sanno cosa fare. I cannoni sparano neve a vuoto e la corrente costa molto. Ti prego, seguici." Jörg guardó oltre la sua figura, lontano all´orizzonte, dove dolci si stagliavano le colline verde scuro sotto un cielo terso ed irreale. "Alle due devo dar da mangiare alle mucche. Non ho tempo. Forse dopo." Nella sala del comune adibita alle riunione, la folla sentiva caldo. Le donne chiaccheravano, cercando di alleggerire la tensione . Gli uomini in piccoli gruppetti discutevano seri, animandosi all´occorrenza. La seduta cominció e il sindaco subito chiese ai ristoratori dei grandi alberghi quante persone avessero disdetto le vacanze e quali alternative proponevano, oltre alle attivitá sciistiche. "Hanno disdetto tutti fino a fine gennaio. È un dramma. Il tempo non peggiorerá. O meglio ancora, non migliorerá! Avremo un Natale come ce l´hanno in Egitto! Addirittura le temperature rimarrano sopra i 15 gradi! È una tragedia. Il riscaldamento globale giá mostra i suoi segni ineluttabili!" "Ma se proponessimo delle escursioni fino ai ghiacciai, magari concordandoci con gli impianti lí, chiedendo di far roteare i gruppi e di fare sconti per i trasporti?", propose Karl, proprietario di molte terre. "Si é una buona idea, Karl!" ribatté qualcuno. 19
"No, nessuno vorrá pernottare a 60 km di stanza dal ghiacciaio, che con le sue tre piste diventerebbe una strada affollata!", concluse il sindaco. In questo vorticoso affanno alla ricerca di soluzioni, all´improvviso la porta si aprí e Jörg e Mina entrarono. Jorg si mise a sedere con le sue gambe protese in avanti e le braccia conserte, sentendosi a suo agio. "Cosa volete sapere ora da me. Non ho niente da dire, nient´altro da aggiungere." La folla mormorava. Poi la voce di una donne si distinse: "Se é come dici tu, ragazzo, che parli alle nostre montagne, allora dicci cosa la nostra Natura ci suggerisce di fare ora, nel momento del bisogno! Siamo esausti e preoccupati, vogliamo festeggiare il Natale! Per l´amor di Dio, io ti conosco e conosco l´anima buona di tua madre!". Jörg da impassibile e ostile come appariva di consueto, fece un lungo sospiro, tiró il cuore e il petto in dentro, si strinse nelle spalle. Un luccichio nei suoi occhi comparve. "Buona donna, io non dimentico nessuno di voi e le montagne nemmeno. Siete voi ad aver dimenticato loro, il vostro rapporto indissolubile di vicinanza. E me. Smettetela di fare come se niente intorno a voi esistesse, all´infuori del turismo! Siete parte di questo luogo, non potete riempirlo come un pollo ripieno, senza distinguere l´egoismo dall´amore. Per un momento fermatevi. Il Santo Natale é qui per questo. Guardate in fondo ai vostri cuori e smettete di rubare foreste agli déi e ai nostri animali e di crearci isole luccicanti di effimero benessere! Rispettate la natura e il suo potente richiamo!" "Hei noi abbiamo bisogno di sopravvivere, non farci prediche morali, dacci consigli concreti, utili!" "Ah, l´avevo detto io che vive fuori dal mondo!"- gridó qualcun altro. "Non temete, questa non é una vendetta. La neve tornerá. Gli animali e i ruscelli mi hanno detto a gennaio. I vostri alberghi saranno di nuovo pieni e le vostre donne felici. Ma il Santo Natale lo festeggierete in solitario amore. Senza stranieri fuggenti. La natura non vi porta via niente. La Natura dá e questo é il suo regalo. Affinché comprendiate il senso profondo di questa festa. Per un attimo solo, il tempo di uno sguardo." Dopo le parole di Jorg, molti si sentirono sollevati dalla profezia della neve, a cui ora tutti decisero di credere. Qualche signora si commosse, qualche anziano si fece il segno della croce. Poi uscirono in silenzio. A passo lento, sospirava il corteo cristiano. Tutti si sarebbero diretti a casa e alla sera della Vigilia, nello scoppiettio di una fiamma che si fa fioca, avrebbero serenamente festeggiato il tempo del richiamo interiore. Quell´anno Spröm ebbe un Natale caldo e soleggiato, il primo dopo quasi un secolo. Un avviso o forse un grande dono. Nessuno pensó una sola volta ai turisti lontani e alle loro camere vuote. Nel cuore di ognuno c´era il senso del Natale. Del vero Natale.
Angelica Costantini-Hartl
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Sorridi: è Natale di Molfy Un bimbo che nasce piangendo alla vita accolto da braccia materne d'amore. Un dono del cielo di luce risplende su un mondo piagato da tenebra oscura. Angelico canto di nuova speranza il cuore riscalda, sorridi: è Natale!
Molfy
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Memorie di Eufemia Griffo Nella memoria sigillo dei ricordi di altri natali, ricercano dimora i sogni prigionieri Verso la luna velata dalla notte attenderanno, nel cassetto mai chiuso nel fiume dei giorni Malinconico è il sentiero percorso nei meandri del tempo, fragile come neve caduta sulle mani Foglie già bianche della forma del cuore danzano lievi, ed infine cadono senza fare rumore
Eufemia Griffo
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C’era una volta un vecchio platano di Massimo Baldi C’era una volta un albero che era stato piantato tanti anni addietro in un rigoglioso giardino. Aveva dato da sempre tanta frescura nella caldissima stagione estiva e altrettanta ombra durante le sfiancanti ed afose ore del meriggio. Si narrava che quell’albero sapesse parlare ma le sue parole erano comprensibili solamente ai bambini. Vedete amici, il problema dei bambini è che gli adulti non credono molto spesso a loro in quanto sostengono che lavorano di fantasia. - Ma che bella la fantasia! Che meraviglia la fantasia dei bambini- pensava tristemente il vecchio albero. Ora, da molto tempo ormai, le Scuole che sorgevano a pochi metri dal vecchio platano erano state chiuse e al loro posto erano stati costruiti enormi e grigi edifici. Edifici senz’anima, senza bambini e senza sorrisi, solo un mondo fatto di adulti e di pensieri. Ma gli adulti non sapevano sorridere. Non avevano mai tempo gli adulti. Non sapevano giocare gli adulti. Non sapevano perdere gli adulti. Gli adulti sembravano al vecchio platano delle schegge impazzite portate dal vento. Certo: sapevano tagliare con cura i suoi rami ed irrorare le radici dosando la giusta quantità di acqua ma quanta serietà! Anzi, seriosità! Mai apprezzata abbastanza dai frettolosi adulti la sua ombra. Mai una sola parola di lode spesa sulla frescura offerta. Un “Ohhhhhhhhhhhhhh!” che ai bambini riusciva tanto spontaneo e vero. Mai una corsa, mai un viaggio spensierato nella fantasia. Fu per questi motivi che un giorno decise di non parlare più agli adulti. Un giorno, me lo ricordo, era d’inverno, un bambino tornò nella vecchia scuola, ormai anche lui era un adulto. Ma il suo cuore era rimasto quello di un bambino. “Tommaso” gli chiese il vecchio platano. -Riesci ad ascoltarmi?
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Tommaso lo ascoltò distintamente e chiuse gli occhi: ecco che davanti a lui apparve una scuola dai mille colori, un orologio coi baffi che scandiva le ore ed una vecchia campanella che, tra colpi di tosse e rintocchi rutilanti, richiamava a scuola i bambini nel loro ultimo giorno. Tommaso era rimasto bambino dentro e, a quelle immagini nitide che presero forma ai suoi occhi lagrimosi, sorrise e carezzò la lunga chioma del vecchio platano e assieme viaggiarono col vento. Perché solo se si resta bambini dentro si viaggia nel tempo; e non avrete paura se al posto di un orologio vedrete un gendarme simpatico con due baffi posticci e al posto della campanella di scuola una vecchia burbera ma dall'animo dolce. Il sorriso di un bambino tutto trasforma in Emozione. Poi Tommaso aprì gli occhi e si accorse che il vecchio platano aveva smesso di battere il cuore ma fu in quel momento che vide il sorriso delle sue chiome e la giocosità dei suoi rami. Perché il vecchio platano aveva raccontato le sue emozioni a Tommaso un'ultima volta ed era stato felice. E si sentì infinitamente felice anche Tommaso. Tornò circa venti anni dopo in quel luogo Tommaso, stringendo la mano a due pargoli alti poco più di un metro e quaranta. E assieme cantarono una vecchia canzone. Fu così che, come in un lampo, il vecchio platano apparve loro. E poi sparì nel concerto di stelle. Ma solamente Tommaso comprese. Finale: Io sono la nobile quercia, l’amica che sorgeva accanto a quel platano, io sono il narratore di questa storia delicata e malinconica e la mia speranza è che la mia ombra possa seguire i sentieri e le difficili strade degli adulti ancora per tanti e tanti altri lunghi, lunghissimi anni.
Massimo Baldi
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Si chiamava Andrea di Elena Brilli Non è un racconto questo è un omaggio ad un pazzo. Un uomo sperduto un fanciullo mai cresciuto. Chissà dov'è adesso e se il Natale lo vede lo stesso. Con gli occhi sognanti di un bimbo nell'amara follia del suo infinito limbo.
16 Dicembre 2014, quasi Natale. Ieri è stato il mio ultimo giorno di lavoro nel negozio che ha assorbito, negli ultimi tre anni e un pò, buona parte delle energie e del tempo delle mie giornate. Non è scaduto il mio contratto, non me ne sono andata io. Semplicemente il negozio è stato chiuso, e io insieme alle mie colleghe siamo state licenziate. Gli ultimi due giorni di lavoro sono stati dedicati allo sgombro totale del negozio, all'impacchettamento di tutta la merce avanzata. Esattamente il lavoro opposto di quelle che erano state le mie prime giornate lì dentro, nell'ottobre del 2011, quando il negozio era stato allestito. Così, tra una battuta e l'altra, per cercare in tutti i modi di scacciare la tristezza e la malinconica desolazione che lentamente avanzava di pari passo con lo scorrere di queste due ultime giornate, è tornata, prepotente alla mia mente la figura di Andrea, l'unico "cliente" a cui è andato ripetutamente il mio pensiero, l'unico a cui forse, sempre che sia ancora vivo, mancheremo davvero, noi commesse, noi persone, all'interno della luminosa vetrina luccicante. Era un negozio di bigiotteria e accessori da donna, luminoso, bello, grande, ricchissimo di articoli delle più disparate forme e colori. E lui si chiamava Andrea.
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Era un barbone, uno dei 'matti' che caratterizzano le piazze centrali delle città di qualsiasi parte del mondo. Aveva una casa a due passi dal negozio, 'una bella casa' ci avevano riferito spettegolando alcune altre nostre clienti, ma lui viveva in strada. Aveva scelto così. Aveva all'incirca una sessantina d'anni, beveva, lo picchiavano spesso per strada la notte, e a volte si presentava in negozio senza le scarpe, con i segni delle percosse, e un velo di tristezza negli occhi, prepotente, sopra la follia. Beveva, tanto. Talvolta aveva anche dato di matto dentro al negozio urlando e gettando a terra le cianfrusaglie che si era ritrovato in tasca. A volte faceva paura, alle colleghe. A me non ne aveva fatta mai, il sentimento dominante in me nei suoi confronti era la tenerezza, mista a misericordia. Ma quando era in buona, quando non aveva bevuto, era buono. Ci salutava da fuori tutte le volte che passava davanti alla vetrina e a volte entrava a comprare i 'gioielli'. Sì, perchè era 'matto', Andrea. E allora le nostre collane, i nostri bracciali di ferro colorato e plastica dal taglio a brillante erano per lui dei gioielli preziosissimi. Diventavano smeraldi, rubini, pezzi di rarissime collezioni che solo lui era riuscito ad ottenere e per i quali aveva paura che la gente potesse portarglieli via. Comprava anche a volte alcune cose quando c'erano gli sconti. Voleva il suo sacchetto, dove si faceva mettere da parte i 'gioielli' che aveva scelto e giorno dopo giorno ci portava delle monete, quelle che gli avanzavano dopo aver comprato il vino o quelle che erano il risultato del suo accattonaggio quotidiano, ce le faceva contare meticolosamente, e ad ogni aggiunta metteva la sua 'firma', un incrocio di linee come arabeschi raffinati di antica memoria. Poi, quando raggiungeva la cifra, comprava il suo nuovo 'ninnolo' e usciva felice, di quella felicità innocente che conosco solo nei bimbi. Quando non aveva i soldi, o i nostri 'gioielli' costavano troppo, entrava a raccontarci le sue storie. Ed ecco che un giorno era il bis bis nipote di un potente zar. Un altro aveva una statuetta della Tour Eiffel e ci voleva convincere che quella era quella vera e che ce l'aveva solo lui, e quella di Parigi era un falso. Un altro ancora ci portava delle piantine tutte marcite che aveva raccattato chissà da quale cassonetto! E guai a contraddirlo!!!! Quindi capitava ogni volta che gli dessimo filo, e seguissimo i suoi discorsi interessate a dove la storia di quella giornata avrebbe portato lui, e noi. Una mattina era entrato con al collo, legata con un laccio da scarpe, una piccola piccozza, probabile souvenir di un qualche luogo turistico alpino, e aveva cominciato a raccontare che suo nonno era stato 'IL primo alpino' e che quella che aveva al collo era di conseguenza 'LA prima piccozza degli alpini'. Un reperto storico importantissimo. Un'altra volta aveva visto una collana con un ciondolo fatto a dente di tigre. Finto, di plastica, ovviamente. Mi aveva chiesto se fosse vero, e io avevo risposto di sì, cercando in questo modo 26
di intercettare le sue aspettative e mantenerlo tranquillo. Ma lui aveva risposto indignato che 'nooooo!!!! se era vero non lo voleva!!!! perchè se era vero qualcuno aveva dovuto ammazzare una tigre per averlo e le tigri non si uccidono!!! ' E allora ricordo che lo avevo tranquillizzato subito, come avrei fatto con mio figlio, dicendo che anche le tigri perdono i denti, come noi umani, e sicuramente quello era cascato da solo ad una tigre. Nessuna tigre era stata uccisa per quel ciondolo! Una volta, ancora, ci aveva portato dei libri, presi chissà dove, e aveva preteso che li prendessimo, noi commesse, uno per uno, come suo regalo personale, perchè eravamo brave, noi, e il nostro capo era cattivo che ci faceva lavorare troppo! E poi una volta si era messo a controllare da lontano una cliente 'sospetta' che stava cercando di mettere in tasca qualche oggetto (erano tutti pezzi relativamente piccoli, e senza alcun sistema di antitaccheggio o sorveglianza) e quando la potenziale ladra era poi uscita, le aveva urlato dietro a gran voce che 'non si ruba!!!' e rivolgendosi a me aveva poi detto, fiero di sè, che si sarebbe messo lui fuori dalla porta a controllare che nessuno ci portasse mai via niente. Una volta mi aveva lasciato in mano un corposo pacchetto di santini di non ricordo quale santo, presi probabilmente dal vicino Duomo, mi aveva chiesto se fossi sposata o fidanzata, se avessi famiglia, e mi aveva raccomandato di portarli a tutti i miei familiari, per proteggerli. Mi aveva detto che ero molto fortunata ad avere un bambino. E mentre lo diceva aveva gli occhi tristi. Infine una volta mi aveva portato una spilla, e nonostante i miei ripetuti rifiuti, aveva preteso che la mettessi al collo, perchè era un pezzo importante della sua personale collezione, e me la regalava. Io l'avevo messa alla sciarpa che avevo al collo, e l'avevo indossata per oltre una decina di giorni, nel caso fosse tornato a reclamarla come sua. Glielo avevo chiesto più volte se la rivolesse, ma me l'aveva regalata, era mia, non la voleva indietro. La conservo ancora, la spilla di Andrea. Quando mi capita in mano la guardo con tenerezza. Era 'matto' Andrea, ma a suo modo ci voleva bene. Sono passati diversi mesi ormai, dall'ultima volta che lo abbiamo visto. Chissà, forse sarà stato ricoverato in qualche clinica. O forse è morto, Andrea. E ogni tanto ce lo chiedevamo tutte: " Chissà che fine ha fatto Andrea?" Chissà. Noi non ci siamo più, Andrea, dentro la vetrina luccicante coi tuoi 'gioielli' preziosissimi di plastica. Saresti forse l'unico a cui veramente 'dispiace' per noi. Ma ovunque tu sia, Andrea, Buon Natale.
Elena Brilli
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Natale ogni giorno di Michel Angelo Eh si... è arrivato ancora una volta. Il Natale... La festa delle ipocrisie, la festa delle facce comunque sorridenti, la festa del dover essere per forza buoni e dal cuore tenero. Come avviene questo miracolo di ipocrisia? Eppure avviene, non so quale emozione elettrochimica si sviluppa nel nostro cervello e ci rende tutti belli gaudenti e propositivi. La religione? Il credo? Non penso, pare che tutti siano attirati solo dalla corsa ai regali, ai doni consumistici che han svilito questa festa ad un mero appuntamento commerciale. E questa festa succedanea genera ansie per la corsa al regalo, che sia il più costoso possibile o la più frivola stronzata che chi riceve guarda con sguardo finto buonista e ti ringrazia sorridendo; dopo due attimi che ti sei congedato da lui lo getta nell'angolo del dimenticatoio, oppure lo tien da parte per regalarlo a sua volta a coloro i quali tiene meno. E chi vive questa festa con una estrema tristezza dell'anima... la chiamano Christmas Blues. Pare il none di una canzone o di una droga... eppure il suo effetto lo fa, e chi ne è affetto vive questo giorno in contrizione. E questo è Natale? Veramente? Liberiamoci da questa schiavitù. Facciamo si che sia sempre Natale ogni giorno. Che le vere emozioni possano tornare a vivere nei nostri cuori e nelle nostre anime. Che ci si possa amare sempre e comunque. Non solo un giorno l'anno.
Michel Angelo
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I calzini del Bambino Gesù di Antonella Fortuna C’era una volta un piccolo bambino che era proprio minuscolo, tanto che la madre lo chiamava Pulce, ed avrà avuto sei o sette anni. La sua mamma se lo portava, tenendolo stretto per la mano, mentre chiedeva l’elemosina. Avrete già capito che era una pulce non soltanto per la sua corporatura mingherlina ma anche perché di mangiare ne avevano appena appena per mantenersi in vita. La madre era sempre senza lavoro perché, per quanto lo cercasse, non la prendeva nessuno a lavorare, vedendola in tale misero stato! Lei però non si dava mai per vinta e, comunque, chiedeva qualche soldo per sfamare Pulce. Di solito andava a domandare la carità in un Centro Commerciale, davanti ad un bel negozio di giocattoli. Pulce, allora, se ne stava col nasino appiccicato alla vetrina ad osservare tutte quelle meraviglie, che poteva solo ammirare: non avevano di che mangiare… figuriamoci ad avere denaro per comprare i giocattoli! Lui, infatti, si era sempre accontentato di qualunque cosa avesse trovato in strada per giocare, inventandosi trenini, carrettini, pistole, ecc… Però, un giorno di questi in cui ne era particolarmente affascinato, sfuggendo al controllo della madre, riuscì ad entrare in tale negozio accattivante! Quel mondo magico e, per certi versi, a lui sconosciuto lo affascinava. Girava e rigirava, osservando ad uno ad uno i balocchi ordinati sugli scaffali, e lacrime silenziose gli rigavano il viso. Le commesse, per non disturbarlo, gli stavano a distanza ad osservarlo, ma conoscevano quel bimbo che, nonostante fosse vicino il Natale, non ne avrebbe potuto possedere nemmeno uno di quei balocchi! Proprio per l’avvicinarsi della Santa Festività, erano tutte tristi anche loro, povere commesse! Sì, perché avevano saputo che, se non avessero venduto niente, come già avveniva da un po’ di tempo a quella parte, il negozio avrebbe chiuso i battenti. Pulce, durante tale perlustrazione, ad un certo punto arrivò tra i presepini che erano in esposizione, in bellavista.
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“Come sono belli!”, pensò tra sé. Con gli occhi sembrava quasi cercasse di trasferirli nella sua mente per non dimenticarli. Infatti, data la meticolosità con cui li guardava, si accorse che, in uno di essi, ad un piccolo Gesù mancava un piedino.
(immaginr ‘pixabay’)
Lo fece notare ad una delle commesse e questa, presa da commozione al vederlo tanto emozionato, glielo regalò con un bacio. Il bimbo era felice! Non riusciva neanche a parlare per raccontarlo alla mamma, la quale dovette fargli bere un sorso d’acqua per calmarlo. Dopo, madre e figlio si diressero a casa ma la donna, prima di andar via, ringraziò la gentile commessa: era povera, ma era educata! Arrivati che furono nel loro tugurio, Pulce mise subito in moto la sua inventiva. Prese una specie di polverina di cemento da un mucchio di macerie che i muratori, i quali stavano a costruire una casa accanto alla loro, avevano lasciato sulla strada, e rimodellò il piedino a Gesù. Poi lo guardò meglio e sentì che non bastava…: era brutto quel piedino di cemento, diverso da tutto il resto del corpo… Ed ecco che gli balenò un’idea magnifica: pigliò dalla strada anche un mattone e, con una pietra affilata, cercò di sfregarlo, ricavandone una polvere rossastra; impastandola quindi con l’acqua, ne trasse della tinta con la quale colorò il piedino come fosse un calzino rosso! Ma anche questa volta non fu soddisfatto del suo operato, perché non gli piaceva che Gesù Bambino avesse un calzino solo… Però, mentre era intento a dipingere un calzino anche sull’altro piede, notò una cavità dentro quel piedino e, sempre grazie alla tipica curiosità dei bambini, riuscì a tirar fuori una banconota!
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La mostrò subito alla mamma la quale, prese le dovute informazioni, ebbe la gradita sorpresa di sapere che si trattava di una rarità e che, quindi, erano diventati ricchi! Ecco, adesso Pulce, noncurante della ricchezza appena acquisita, era soddisfatto! Stette a rimirare il suo presepino, il suo primo regalo di Natale, per tutto il giorno. L’indomani mattina, la mamma portò il figlio a mostrare alle commesse il Gesù Bambino riparato. Piacque loro moltissimo l’idea dei calzini, tanto che gli regalarono una scatola di colori perché dipingesse i calzini anche agli altri Bambinelli. Chissà se in questo modo avrebbero potuto attirare l’attenzione dei clienti!
(immagine dal web)
Da non credersi! Successe un miracolo, il miracolo del Santo Natale: i presepi, con i Gesù con i calzini, andarono a ruba. Quella novità era piaciuta ai bambini, e ne furono venduti talmente tanti che il negozio non solo non fu chiuso ma la madre, per riconoscenza, fu assunta dal titolare. Da quel giorno, e per la prima volta, anche la tavola natalizia di quella mamma e del suo piccolo Pulce fu imbandita di ogni leccornia! Antonella Fortuna
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Il mio Natale sei tu di Serena Pisaneschi Il mio Natale sei tu. Quando ho ascoltato il tuo respiro per la prima volta. Quando mi perdevo nei tuoi occhi curiosi, che guizzavano da una cosa all'altra per poi posarsi su di me. Quando ti ho visto passare da sogno a realtĂ e da realtĂ a sogno e ho capito, con incanto che non mi sarei piĂš svegliata. Il mio Natale sei tu. Quando rimbomba l'eco della tua risata, quando strilla il mormorio delle tue lacrime. Quando affronti le emozioni che io ti sto insegnando a non aver paura di vivere. Il mio Natale sei tu. 32
Quando ti addormenti vicino a me, addosso a me, dentro di me. Quando litighiamo e poi ti chiedo scusa, ma spesso capita che io non perdoni me stessa mentre tu, lo so, mi hai giĂ perdonato. Il mio Natale sei tu. Quando mi sento imperfetta, quando sbaglio sapendo di farlo, ma anche quando va bene e capisco che va bene perchĂŠ mi guardi sereno. Il mio Natale sei tu. Quando parli con me senza vergogna, e mi conduci nel tuo mondo fatto di timori e meraviglie. Quando ti lascio il tuo spazio per crescere e tu mi concedi il privilegio di camminarti a fianco. Il mio Natale sei tu, da ogni tuo giorno a questa parte. Io ho dato alla luce te, ma sei tu che mi hai fatto nascere.
Serena Pisaneschi
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La messa di Natale di Elena Brilli La provincia è un mondo strano. Con i suoi ritmi, le sue regole, i suoi riti. E’ faticosa la provincia. E il Natale è una cosa seria, in provincia. L’appuntamento più importante dell’anno è la messa di Natale di mezzanotte, se si è un po' più sfigati può andar bene anche quella della mattina di Natale alle 11. Nessuna ulteriore chance viene concessa. Ma la notte di Natale, alla messa, bisogna essere assolutamente impeccabili. Si parte subito dopo il cenone della vigilia, l’abito più bello, il cappotto più bello, il trucco e parrucco più belli, preparati giorni e giorni addietro con minuziosa precisione dei dettagli. E niente deve andare storto. In chiesa alle 23.00, le 23:30 massimo, ma già vuol dire che l’arrosto nel forno della cena della vigilia non è stato messo in forno all’orario giusto. Le signore parlottano tra sé chiedendosi che fine abbia fatto la signora Gina, tanto una brava donna, sempre puntuale, sempre nelle prime panche. Ahiahiai, dev’avere avuto un contrattempo. E scuotono le capigliature vaporose e imbalsamate, da una decina di giorni almeno, in senso di disapprovazione. I signori consorti rimangono fuori a fumare. Sono uomini loro, è la notte di Natale, ma non fa mai freddo a sufficienza da poter pensare che sia sopportabile l’attesa a fianco delle comari loro mogli. E poi bisogna far presente al Signor Ingegnere che è arrivata da pochi giorni la nuova berlina titata a lucido, parcheggiata con sommo studio in modo che sia ben visibile da ogni angolo della facciata della chiesa. Le cose sono andate bene quest’anno nella fabbrichetta di famiglia, la berlina serve a dimostrare che sia veramente così, oltre ogni ragionevole dubbio. Non importa se le rate poi non verranno pagate, è la notte di Natale, non è un problema adesso. Dentro, un tripudio di visoni e abiti di marca, tacchi vertiginosi e piedi gonfi, lacca, profumi asfissianti, lustrini e brusio continuo Nel giro di un paio d’ore, anche meno se si esclude il tempo che bisogna per forza perdere per pregare a voce più alta della vicina di posto che, mannaggia alla miseria, si è accorta che la signora Sandra ha lo stesso cappotto dell’anno scorso, o cantare con le voci rauche e stonate inni al Signore talmente malmessi da pensare che uno dei desideri inespressi dell’Altissimo 34
possa essere quello di essere sordo, si decidono le sorti di intere famiglie a livello di voci di paese. Il sacerdote fatica a sovrastare il brusio e, diciamolo, a tratti è quasi fastidioso, con quella sua cantilena davvero uguale a quella dell’anno scorso. “Ma hai visto la signora Maria, che capelli in disordine?” “Non l’avevo mai vista così, dev’esser per via dei suoi figlioli.” “Io ho sentito dire dal panettiere che suo marito, il Bardazzi del Lanificio del Piano, la vuole lasciare, perché ha un’altra” “Ma via! Oh che dici! Io ho sentito dire dalla Franca che i figlioli vengon su storti, li vedo nel pomeriggio passeggiare in paese con della gente tanto brutta!” “Il cognato di mia cugina mi ha detto che il Lanificio non va per niente bene, sapete?” “Povera Maria, chissà che pena.” “E’ arrivata tardi stasera, l’ho intravista con la coda dell’occhio in fondo laggiù.” “Bisogna che dopo la vada a salutare” Per la signora Maria, il signor Bardazzi, i loro ragazzi, il Lanificio, inizierà così un anno infernale in cui a fasi alterne, la signora sarà cornuta, il Bardazzi un malfattore, i ragazzi come minimo drogati, il Lanificio rischierà il fallimento. Fino alle 23:00 della notte di Natale dell’anno succesivo, in cui la signora Maria metterà tutti a tacere, arrivando per prima, con la pelliccia più bella, l’abito più costoso, il trucco e parrucco più impeccabile, i figli in giacca e cravatta al fianco, il Bardazzi subito dietro, la nuova berlina parcheggiata davati al portone della chiesa. E si siederà ai primi posti. Delle prime panche. E aspetterà la vittima sacrificale da immolare sull’altare della messa di Natale per l’intero nuovo anno. Il sacerdote biascica al microfono la frase che chiude il sipario sulla straordinaria commedia: “La messa è finita, andate in pace. E, fratelli e sorelle, Buon Natale!” Il brusio mai sopito diventa frastuono, tutti si alzano in piedi per la scena finale. “Mi fanno male i piedi. Andiamo Luigi, devo finire di preparare le lasagne per domani. Quanto l’ha tirata lunga stavolta!” La provincia è un mondo strano. Con i suoi ritmi, le sue regole, i suoi riti. E’ faticosa la provincia. E il Natale è una cosa seria, in provincia. Dimenticavo, Buon Natale.
Elena Brilli
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Come una rosa s’intreccia sui rovi di Eufemia Griffo L’algida luna d’inverno s’eclissa tra le braccia del sole, s’adagia su raggi di nebbia come una rosa s’intreccia sui rovi Tra i bucaneve, una elleboro bianca nascosta tra candidi fiori di neve. Sui cristalli impigliati sui vetri cadono lievi, fiocchi di porcellana
Eufemia Griffo
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La redazione di questo numero: Elena Brilli: Direttrice – Grafica Autrice dei racconti: “Si chiamava Andrea”, pag. 25 e “La messa di Natale”, pag. 34 E-mail: elena.brilli@gmail.com Blog: Crazy Alice in Wonderland http://crazyaliceinwonderland.com/ Facebook: Elena Brilly Anna Bellucci Autrice del disegno originale di copertina: “Natale” E-mail: annabellucci87@gmail.com Facebook: Anna Bellucci Angelica Costantini-Hartl Autrice del racconto: “Il dono della Natura”, pag. 15 E-mail: hartlangelica@gmail.com Facebook: Angelica Costantini-Hartl Eufemia Griffo Autrice delle poesie: “Nel giardino d’inverno”, pag. 14, “Memorie” pag.22 e “Come una rosa si intreccia sui rovi”, pag. 36 E-mail: eufemia_g@live.it Blog: Il fiume scorre ancora https://ilfiumescorreancora.wordpress.com/) MultiBlog : Memorie di una Geisha https://eueufemia.wordpress.com/)
Antonella Fortuna Autrice del racconto: “I calzini del Bambino Gesù”, pag. 29 E-mail: anto.fortuna@libero.it
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Massimo Baldi Autore della poesia: “La terra del Natale Buongiorno”, pag. 10 e del racconto: “C’era una volta un vecchio platano”, pag. 23 E-mail: mbaldi66@virgilio.it Sito internet: http://www.massimobaldi.altervista.org/ Pagine Facebook: Piccola Luna https://www.facebook.com/PiccolalunahaikudiMassimoeYlenia/ L’autostrada della favola https://www.facebook.com/LAutostrada-della-Favola-101844306150 2970/ I tankaforismi di Massimo Baldi https://www.facebook.com/I-tankaforismi-di-Massimo-Baldi-89807 7276899101/ Viaggio in diciassette sillabe https://www.facebook.com/Viaggio-in-diciassette-sillabe-176866 0426697483/ Armando Cambi Autore del racconto: “I profumi del Natale”, pag. 4 E-mail: armando.cambi@libero.it Serena Pisaneschi Autrice della poesia: “Il mio Natale sei tu”, pag. 32 E-mail: serena.pisaneschi@gmail.com “Letture da metropolitana”: http://www.letturedametropolitana.it/autori Facebook: Serena Pisaneschi Michel Angelo Autore del racconto: “Natale ogni giorno”, pag. 28 E-mail: ultravox01@libero.it
Sonia Barsanti Autrice del racconto di racconti: “Natale”, pag. 11 E-mail: sbverdesperanza@gmail.com Blog: Gli occhi della libellula ( https://gliocchidellalibellula.wordpress.com/) Pagina Facebook: Sonia Barsanti – apprendista scrittrice ( https://www.facebook.com/apprendistascrittrice/) Facebook: Sonia Barsanti
Molfy Autrice della poesia: “Sorridi: è Natale”, pag. 24 E-mail: molfyscrive@gmail.com
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Il nuovo numero di WRITERS vi aspetta a Febbraio! La redazione augura a tutti i nostri lettori un sereno Natale e uno strepitoso nuovo anno. Auguri!
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