Regionali 2023, la sfida del welfare

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REGIONALI 2023 LA SFIDA DEL WELFARE

Interviste ai candidati presidenti di Lombardia e Lazio:

Attilio Fontana, Pierfrancesco Majorino, Letizia Moratti, Alessio D’Amato, Francesco Rocca Donatella Bianchi

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REGIONALI 2023

La sfida del Welfare

Editing e grafica:

Vita Società Editoriale S.p.A. impresa sociale www.vita.it

via Ermanno Barigozzi, 24 - 20138 Milano

© 2023

direttore: Stefano Arduini

Interviste di: Stefano Arduini , Giampaolo Cerri, Sara De Carli, Luca Cereda

Revisione: Antonietta Nembri

i book sono scaricabili gratuitamente da vita.it

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Cari candidati, alle parole seguano i fatti —

Saranno oltre dodici milioni gli elettori che si recheranno alle urne, per rinnovare le amministrazioni di due delle Regioni più importanti d’Italia, la Lombardia e il Lazio. Urne aperte domenica 12 febbraio dalle 7 alle 23 e lunedì 13 dalle 7 alle 15.

Si tratta di un passaggio elettorale importante in particolare per i temi legati al welfare. Le regioni, come noto, sono l’ente territoriale più rilevante in ambito sanitario e sociale. È su questo terreno che si giocherà una buona fetta della sfida della coprogrammazione e della coprogettazione in una logica paritaria fra ente amministrativo e soggetti di Terzo settore così come previsto dalla sentenza della Corte Costituzionale numero 131 del 2020. Una questione nodale che si combina con la revisione della medicina territoriale e di comunità prevista del Pnrr.

Abbiamo raccolto in questo instant book i dialoghi che

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Vita.it ha realizzato in queste settimane con i sei maggiori candidati alla presidenza di Lombardia e Lazio. In Lombardia abbiamo anche intervistato 3 candidati al consiglio regionale con un marcato pedigree sociale, fra cui è possibili (qualcuno dice probabile) che uscirà il prossimo assessore con delega al sociosanitario o al sociale: Luca Degani (presidente “sospeso” di Uneba Lombardia in lista con Fontana); Fabrizio Pregliasco (ex presidente Anpas in lista con Majorino); Lisa Noja (apprezzata attivista per i diritti delle persone con disabilità, già parlamentare, in lista con Moratti).

Tutti i candidati presidenti (con parziale eccezione della 5 Stelle Donatella Bianchi, che sul tema di fatto svicola) riconoscono la centralità al Terzo settore in termini espliciti, prendendosi impegni importanti. Certo, ognuno lo fa in base alla propria sensibilità e visione, ma è un fatto che in questa campagna elettorale i soggetti sociali della società civile siano stati riconosciuti come un interlocutore di primo piano.

Partiamo dalla Lombardia. Attilio Fontana, candidato del centrodestra: «Coprogettazione e coprogrammazione sono null’altro che la giusta attuazione del principio di sussidiarietà e del riconoscimento delle formazioni sociali come momento fondante della capacità di lettura quanto di risposta delle comunità locali ai bisogni del territorio». Pierfrancesco Majorino, candidato di centrosinistra e 5 Stelle: «La Regione deve riconoscere e promuovere il ruolo del Terzo settore lombardo come

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soggetto decisivo nell’identificazione dei bisogni sociali, nella programmazione delle politiche e nella implementazione delle innovazioni in ambito sociale e non solo e non come mero attuatore di decisioni assunte in assenza di un confronto autentico con i policy maker regionali». Letizia Moratti, candidata del Terzo Polo: «Il lavoro sociale va valorizzato ma è necessario anche un approccio culturale diverso. Lavoriamo spesso a compartimenti stagni, nella sanità, nel sociale, nell’impresa. Quello di cui abbiamo bisogno ora è di integrare questi ambiti e queste esperienze, anche utilizzando modelli innovativi come quello del social business così come definito da Muhammad Yunus».

Venendo al Lazio. Francesco Rocca, ex presidente della Croce Rossa Italiana e candidato per il centrodestra: «La mia storia e formazione personale parlano da sole: considero la sussidiarietà un valore e una risorsa fondamentale. Da presidente della Cri ho avuto modo di collaborare con numerose realtà associative e sociali, rendendo il vocabolo “sussidiarietà” azione concreta». Alessio D’Amato, candidato per il centrosinistra: «Occorre portare a compimento la proposta di legge sul Terzo settore approvata dalla giunta regionale che ha come obiettivo quello di realizzare sul territorio regionale un’uniformità di disciplina. La proposta infatti sancisce l’importanza del ruolo delle formazioni sociali e in particolare proprio del Terzo settore all’interno della nostra società, al punto da considerare il loro ruolo strategico nell’attuazione degli interventi al fianco delle amministrazioni pubbliche. Il Terzo settore deve entrare a pie -

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no titolo nel sistema del welfare di comunità, diventando portatore di idee e proposte che sono espressione diretta dei bisogni dei soggetti più fragili».

Nessuna illusione. Per ora siamo alla dichiarazione di intenti. Le parole da sole non bastano. Serviranno i fatti. «Bisogna avere buona memoria per mantenere le promesse», diceva Friedrich Wilhelm Nietzsche. Se non bastasse il monito del filosofo prussiano, saremo pronti a rinfrescare la memoria ai prossimi presidenti di Lombardia e Lazio.

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9 REGIONALI 2023. LA SFIDA DEL WELFARE ELEZIONI 2023 LOMBARDIA Attilio Fontana –11 Luca Degani –17 Pierfrancesco Majorino –27 Fabrizio Pregliasco –35 Letizia Moratti –43 Lisa Noja –51
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Attilio Fontana

«Passare dai beni pubblici ai beni comuni»

Dialogo a tutto campo sui maggiori nodi del welfare e del sociale col presidente uscente di Regione Lombardia e candidato per il secondo mandato: «Coprogettazione e coprogrammazione sono la giusta attuazione del principio di sussidiarietà e del riconoscimento delle formazioni sociali come capacità di lettura e di risposta delle comunità locali ai bisogni del territorio. La sanità territoriale? È la sfida del secondo mandato»

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CENTRODESTRA CANDIDATO PRESIDENTE

Classe 1952, presidente della Regione Lombardia dal 26 marzo 2018, l’avvocato varesino Attilio Fontana corre con la casacca del centrodestra in quota Lega per un secondo mandato alla guida del Pirellone. Se la dovrà vedere con il candidato di centrosinistra e Movimento 5 Stelle Pierfrancesco Majorino e con la sua ex vice Letizia Moratti in campo per il Terzo Polo di Matteo Renzi e Carlo Calenda A tutti e tre i candidati Vita ha sottoposto cinque questioni cruciali. Ecco le risposte di Fontana.

Gli operatori sociali sono ancora troppo spesso considerati dalla pubblica amministrazione come fornitori di servizi di welfare. La Corte Costituzionale con la sentenza 131/2020 disciplina e incentiva l’utilizzo delle formule della coprogettazione e coprogrammazione in una logica paritaria fra ente amministrativo e soggetto di Terzo settore Pensa di valorizzare questo approccio? Come farlo concretamente?

Coprogettazione e coprogrammazione sono null’altro che la giusta attuazione del principio di sussidiarietà e del riconoscimento delle formazioni sociali come momento fondante della capacità di lettura quanto di risposta delle comunità locali ai bisogni del territorio. È fondamentale rendere elementi costitutivi dei percorsi di attuazione e di creazione dei piani di zona per le politiche sociali e dei partenariati per i servizi di interesse collettivo questi due strumenti. La politica locale deve passa-

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re da una visione del bene pubblico al riconoscimento dei beni comuni. Solo così il territorio potrà riconoscere negli enti senza scopo di lucro e nella volontà delle persone di aderirvi, l’effettivo esercizio della vita pubblica.

Nelle grandi città lombarde, Milano in particolare, comprare casa sta diventando proibitivo, soprattutto per i giovani e per i precari. Come pensa di intervenire?

Una grandissima possibilità di sviluppo è data dal prossimo percorso di attuazione della riforma del Terzo settore. Ossia dal vivere l’housing sociale non solo come strumento nei confronti della fragilità, ma come percorso di inclusione nel tessuto urbano delle giovani coppie, degli anziani, dei lavoratori e di tutte quelle persone che formano un tessuto sociale dove non è il valore economico, ma il valore di qualità della vita, che porta a garantire defiscalizzazione ai percorsi di edificazione e dà facoltà alle amministrazioni locali di diminuire l’impatto dei costi degli oneri di urbanizzazione. Le città debbono riacquisire una dimensione territoriale di vita comunitaria dove il produrre si accompagni al vivere sociale per chi non deve essere eradicato dal proprio territorio.

Baby gang, aumento del consumo di sostanze, fenomeni di autolesionismo. Dopo i due anni del Covid è esplosa una nuova modalità di disagio di minori e adolescenti che spesso non trova risposta nei servizi. Come pensa di raf-

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forzare la rete di supporto formale e informale?

Abbiamo già posto in essere numerosi interventi in collaborazione con le rappresentanze del Terzo settore, per aumentare in termini quantitativi e migliorare in termini qualitativi i servizi di neuropsichiatria infantile e di dipendenze, laddove il disagio sociale si integra in maniera inscindibile con la malattia mentale e la dipendenza stessa. Poi abbiamo fatto un provvedimento recente per evitare la perdita di figure educative nei servizi sociali e sociosanitari valorizzando la dimensione esperienziale e promuovendo percorsi di formazione professionale per tali operatori. Credo che le baby gang non siano un “problema” ma un sintomo di una offerta insufficiente di luoghi di crescita ed educazione. Per questo nei piani di zona dei servizi sociali abbiano previsto sempre più attenzione a percorsi di prevenzione e di supporto alle famiglie in crisi con percorsi alternativi alla sola dimensione scolastica.

In seguito all’invasione russa in Ucraina non sono state poche le amministrazioni locali, spesso di piccoli municipi, che hanno attivato gemellaggi con l’Ucraina. Sul fronte pace che tipo di impegno si sente di prendere se sarà rieletto Presidente della Lombardia?

La pace è un valore in sé oltre l’identificazione del singolo conflitto e fa parte innanzitutto di una offerta culturale ancor prima che di servizi. Per quel che concerne il fenomeno migratorio ucraino abbiamo voluto come Regione valorizzare con i

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vari partner del Terzo settore la possibilità dell’accoglienza diffusa e un’azione di inserimento sociale e lavorativo e con gli uffici del Garante dell’infanzia ed in collaborazione con l’autorità giudiziaria, abbiamo dato supporto ai minori non accompagnati presenti sul territorio in numero significativo. Siamo la regione italiana che ha accolto il maggior numero di ucraini, su questa strada continuerò ad agire.

L’attivazione delle case e degli ospedali di comunità promosse dal Pnrr spingono verso una revisione/ricostruzione del modello di sanità territoriale che dovrà necessariamente integrare i servizi sanitari propriamente detti e la filiera del socio-assistenziale. In questa cornice quali saranno le caratteristiche principali del nuovo modello targato Fontana?

La sanità territoriale è la sfida del secondo mandato. Il tema non sono solo i luoghi della sanità, ma le professioni ed i percorsi di cura. Si deve agire a partire da una lettura del mutamento dei bisogni di una popolazione più anziana e più cronica rispetto alla quale attivare percorsi di continuità di cura. Avevamo iniziato un percorso di presa in carico delle persone croniche, che rappresentano il 30% della popolazione che consuma il 70% delle risorse del fondo sanitario, che si è dovuto interrompere in epoca Covid. Ora si deve ripartire dalle risorse a disposizione. Ad esempio riconoscendo come il continuum domicilio/ambulatorio/strutture di ricovero non sia una situa-

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zione di scelte alternative ma un percorso di appropriatezza. Valorizzeremo e ricercheremo le professionalità adeguate per i punti unici di accesso ai servizi all’interno delle Case di Comunità. Investiremo sulla formazione di tutti gli operatori, ma lavoreremo anche all’attivazione di strumenti di collaborazione tra terzo settore, sanità privata ed hub ospedalieri pubblici che facciano in modo che con il telemonitoraggio e la telemedicina la popolazione abbia nuovi modelli di presa in carico.

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CENTRODESTRA CANDIDATO CONSIGLIERE

Luca Degani

Presidente (autosospeso) di Uneba Lombardia, il grande rassemblement di realtà non profit che si occupano di anziani e ai fragili, Luca Degani ha spiazzato larga parte del mondo sociale della sua regione, decidendo di candidarsi nella lista del governatore Fontana. E spiega come cambierebbe la sanità, l’assistenza, l’accoglienza ai minori, l’inclusione delle persone con disabilità

La sua candidatura alle regionali lombarde è di quelle che, nel mondo sociale, hanno fatto rumore, perché pochi si aspettavano che Luca Degani, classe 1968, milanese, back-ground catto-democratico, da sempre impegnato nel Terzo settore, sia

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«Più Terzo settore nei palazzi della politica lombarda»

professionalmente ma anche umanamente, scegliesse la lista di Attilio Fontana. E invece quando lui stesso ne ha dato notizia, “whatsappandola” a un’ampia cerchia di amici, e si è propagata, qualcuno ha chiesto se fosse veramente «quel Degani», l’avvocato, il presidente dell’Unione nazionale istituzioni e iniziative di assistenza sociale - Uneba Lombardia, il rassemblement delle realtà non-profit che operano nel campo dell’assistenza anziani, dalla quale si è auto-sospeso. Se era quello che studiava in Cattolica, militava in Dialogo e Rinnovamento durante gli anni universitari (la lista di area “fucina”) e cantava nella Cappella musicale del Duomo.

Sorride, Degani, che incontriamo nel suo studio milanese che guarda i giardini della Triennale: «Beh, la Cappella l’ho frequentata anche da adulto, per anni: il canto è la mia grande passione. Insieme al Milan, direi. Le batte tutte, l’una e l’altra, quella per mia figlia 16enne, Linda»

Degani, come l’ha convinta il governatore Fontana? Che cosa le ha promesso? In giro qualcuno dice: «Di fare l’assessore».

Fontana mi ha “convinto” dicendomi: «Accetto che tu possa portare le tue idee, una tua identità dal punto di vista della tematica, del Terzo settore, del sociale e del socio-sanitario. Non ti prometto nulla di più».

Giro la domanda: perché in politica? Cosa spera di fare?

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È il motivo per cui non ho voluto una lista “partitica” ma civica: fare politica. Se sarò eletto, da consigliere regionale, voglio fare politica su settori che conosco bene, con le mie idee. Vorrei provare ad affrontare, a monte e non a valle, le problematiche del settore sociosanitario e non profit. Candidarsi è un tentativo di inferire nella costruzione del prossimo sistema sociosanitario territoriale, con una particolare attenzione al mondo della fragilità e cronicità. E poi c’è la grande preoccupazione, non solo mia che l’attuale Riforma del Terzo settore possa portare più danno che beneficio a un’ampia fascia di realtà associative e fondative ma, paradossalmente, anche alla stessa cooperazione sociale.

Spieghiamolo bene.

Sì perché la riforma ha, da un lato, burocratizzato pesantemente il percorso di adesione al Registro unico nazionale del Terzo settore - Runts perché oggi, con quasi la metà delle Organizzazioni di volontariato - Odv ed Associazioni di promozione sociale - Aps ancora non trasmigrate, è un vero flop e, dall’altro, la voluta abrogazione delle onlus sottende una visione nella quale il valore della “utilità sociale”, in senso solidaristico e sociale, rischia di essere poco percepito nel più ampio contesto dei beni comuni. Beni comuni che, personalmente, apprezzo moltissimo quando si parla del principio di sussidiarietà come indicatore primo della loro valorizzazione, ma che debbono essere primariamente destinati alla tutela delle fragilità sociali.

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Che vuole dire “attenzione al mondo della fragilità e cronicità”, da uno scranno del Pirellone?

Il tema fondamentale resta che nella sola nostra regione, 100mila posti letto per anziani e disabili, la presenza capillare di servizi diurni per queste persone e il 95% dell’assistenza domiciliare integrata sono gestiti da enti senza scopo di lucro. Eppure in questo momento, a titolo di esempio, queste realtà vedono una legislazione nazionale che inibisce loro l’accesso ai quasi 3 miliardi di euro di fondi stanziati per l’Assistenza domiciliare integrata-Adi.

Questo perché?

La struttura dei patti con la Ue ha assurdamente previsto che l’infrastrutturazione del sistema di tutela della salute collettiva debba avere solo una gestione pubblica.

Beh, sulla cronicità si gioca una bella sfida. Abbiamo una popolazione che ha “sconfitto” le principali malattie acute: le patologie cardiopolmonari, il diabete, le malattie neurodegenerative, che un tempo conducevano a morte abbastanza rapidamente. Oggi cronicizzano, anche in una popolazione che può essere giovane, come accadeva con la sieropositività. Ma certo, spesso gli anziani sono cronici e fragili.

In uno dei suoi interventi, non ha risparmiato critiche all’ultima riforma lombarda, delle “case di comunità”.

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Guardi, noi non abbiamo bisogno di muri, di insegne…

E di che cosa, allora?

In primis di professionisti sanitari che siano adeguati alla presa in carico di una popolazione più anziana e più cronica, per cui la formazione medica deve redistribuire i numeri anche sulle specializzazioni, valorizzare la medicina di base, la medicina di territorio. Devono cambiare i modelli di insegnamento, di specializzazione ecc.

Un esempio?

Non si può puntare ad assumere 3mila infermieri di famiglia o infermieri di territorio senza modificare l’assetto formativo, ossia i numeri della formazione infermieristica in ambito universitario. E neppure continuare a pensare che essere infermiere oggi, nel 2023, sia la stessa cosa del 1978, perché si è destinati a lavorare sul territorio e ci sarà bisogno non solo di una formazione diversa ma magari anche di figure professionali diverse. E questo vale per tutte le professioni sanitarie

Sulla non autosufficienza, su cui lavora tanto Terzo settore anche in Lombardia, che cosa si deve fare?

Se si continuerà a dire che le Rsa sono il luogo in cui viene ricoverata una persona “grande-anziana”, negli ultimi 12-18 mesi della sua vita, con le risorse limitate che abbiamo, andremo a sbattere.

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E cosa dovrebbero essere le Rsa?

Il luogo con professionisti - medici, infermieri e operatori sociosanitari -, che può ricoverare sì gli anziani, può fare ospedale di comunità nel percorso di dimissione ospedaliera ma può anche attivare l’assistenza domiciliare, con più tecnicalità, vale a dire col telemonitoraggio e con la telemedicina. Luoghi che si prendono carico del territorio, non necessariamente mandando l’infermiere a domicilio, ma organizzando una rilevazione e trasmissione digitale di dati che punti all’aderenza terapeutica e comportamentale dell’anziano. Un sistema che monitori i parametri vitali di questa persona: se si muove in casa, se apre le finestre, ossia dati che ti possono fare capire se è depresso. O ci dica che cosa abbia nel frigo e quindi come si alimenti. O, ancora, come gestisca le pulizie di casa e l’igiene personale. Questa la vera domiciliarità del futuro, fattibilissima e a minor costo, e che cambia il concetto di luogo di ricovero.

Un’emergenza che riguarda il territorio lombardo – l’ultimo episodio a Seregno, in Brianza poche settimane faè quella del disagio minorile, acuito anche dai due anni di lockdown. Che idee ha, in proposito?

Sul mondo minorile, l’errore è stato chiedere alle comunità-alloggio di fare tutto: dalla neuropsichiatra infantile al penale minorile. Abbiamo chiesto al mondo della tutela minori - costruito su assistenza sociale e socio assistenziale - di diventare garante di problematiche socio-sanitarie, di natura neuropsi-

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chiatrico di problematiche di natura comportamentale, penale, eccetera.

Quindi?

Quindi bisogna ridare una forte dignità alla neuropsichiatra infantile, che è la prima forma di azione preventiva sociale che ci possa essere, perché, in realtà, ti prendi carico di una persona, un adolescente. E se faremo una presa in carico corretta, potremo aiutarla concretamente e prevenire un costo sociale, pesantissimo, di un giovane a disagio. Non muoviamoci a 17 anni però, perché a 5, 6, 7 anni, certe difficoltà si vedono.

Allora occorrono comunità differenziate?

Esatto, non comunità alloggio “ordinaria” per una problematica neuropsichiatrica ma dovrà esserci la comunità “neuropsichiatrica”, con altri sistemi tariffari, con altro sistema di professionalità. E poi, ovviamente, il sistema penale minorile.

Ecco, le evasioni dal Beccaria, alcune settimane fa, ne han fatto parlare.

In questo momento non abbiamo un sufficiente numero di luoghi e di risorse a disposizione per rendere il carcere minorile un luogo che di carcere non dovrebbe avere nemmeno il nome.

Che cosa dovrebbe essere?

Non solo luogo di recupero e di socializzazione, come per l’a-

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dulto, ma di educazione, di inserimento scolastico e di inserimento lavorativo. In altri termini, un attivatore di percorsi di inclusione sociale.

E sulle tossicodipendenze? Altra emergenza forse troppo sotto-traccia.

Fa parte del mio vissuto con la dimensione di Progetto Arca – (la fondazione milanese che si occupa di varie marginalità, in cui Degani è consigliere di amministrazione e volontario da tempo, ndr). Sulle dipendenze servono percorsi di inserimento, oltre che lavorativo, sociale ed abitativo. Si deve giocare su ciò che dice l’economia reale oggi.

E che cosa dice, Degani?

Dice che l’housing è importante, perché l’autonomia abitativa e l’autonomia lavorativa sono talmente ormai significative su tutta la popolazione che lo sono ancor più sulla popolazione in difficoltà, in stato di povertà economica e sociale. Non è solo un tema di assistenza alimentare, ma di vita. Vale a dire assistenza per tutto. Anche qui si tratta di progettare percorsi.

Ci faccia capire meglio.

Occorre progettare l’assistenza per l’inserimento lavorativo che non è assistenza tout court ma condivisione di percorsi di inserimento, di autonomia e di dignità sociale. Da questo punto di vista è anche bello dire che c’è un Terzo settore con alcu-

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ne soggettività capaci di usare anche i luoghi più estremi, come il carcere, e i luoghi della dipendenza e della grande emarginazione, come la Stazione Centrale, come incubatori di cooperative sociali, di persone che passano dall’essere oggetto a soggetto di assistenza. Creano dignità.

Da assistiti ad assistenti.

Diventano lavoratori e diventano gli attori con una capacità di relazione 10 volte più ampia, nel recupero sociale, di chi non ha vissuto nelle loro stesse condizioni.

Quale è la legge “Degani” che vorrebbe firmare, se eletto?

Mi piacerebbe un intervento per fare sì che un territorio come quello lombardo non sia solo produttivo e solidale come è già, aiutandolo a diventare anche promotore di cultura dei beni comuni. Un po’ come la cultura dell’antimafia, in un certo senso. L’arresto di Matteo Messina Denaro in sé è meno importante del fatto che si possa usare questo fatto per spiegare ai ragazzi che la mafia c’è. Per spiegarlo a mia figlia.

E come glielo ha spiegato a Linda?

Le ho spiegato che la mafia c’è quando lei compra un bene a un prezzo troppo basso, quando nelle vie dello shopping cambiano troppo spesso i negozi, quando in un ristorante si fanno troppo spesso ristrutturazioni, quando il lavoratore di un’impresa di pulizie viene pagato con banconote da 20 euro, anziché

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con bonifico bancario. È questo il tema: la Lombardia che produce è quella della condivisione dei beni comuni, della legalità. Giampaolo Cerri

Pierfrancesco Majorino «Nella mia Lombardia nessuna politica senza il Terzo settore»

Dialogo con il candidato del centrosinistra: «La Regione deve riconoscere e promuovere il ruolo del Terzo settore lombardo come soggetto decisivo nella identificazione dei bisogni sociali, nella programmazione delle politiche e nell’implementazione delle innovazioni in ambito sociale e non come mero attuatore di decisioni assunte in assenza di un confronto autentico con i policy makers regionali»

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CENTROSINISTRA CANDIDATO PRESIDENTE

Già assessore a Milano prima nella giunta Pisapia, poi con Sala, parlamentare europeo in quota Partito Democratico dal 2019, Pierfrancesco Majorino, 49 anni milanese e juventino, si è fatto carico di una scommessa tutt’alto che scontata: riportare il centrosinisitra, che in Regione Lombardia è all’opposizione da 28 anni, nella plancia di comando del Pirellone. Nei giorni scorsi ha incassato il supporto pubblico di Giuseppe Guzzetti, ex presidente regionale e per tanti anni al vertice di Fondazione Cariplo. Majorino se la dovrà vedere con il presidente uscente Attilio Fontana e con Letizia Moratti. Vita ha invitato al dialogo tutti e tre i candidati intorno a cinque nodi sociali cuciali. Qui le risposte di Majorino.

Gli operatori sociali sono ancora troppo spesso considerati dalla pubbliche amministrazione come fornitori di servizi di welfare. La Corte Costituzionale con le sentenza 131/2020 disciplina e incentiva l’utilizzo della formule della coprogettazione e coprogrammazione in una logica paritaria fra ente amministrativo e soggetto di Terzo settore Pensa di valorizzare questo approccio? Come farlo concretamente?

Non solo penso di valorizzarlo, ma è parte integrante e fondante del mio programma. La Regione deve riconoscere e promuovere il ruolo del Terzo settore lombardo come soggetto decisivo nell’identificazione dei bisogni sociali, nella program-

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mazione delle politiche e nell’implementazione delle innovazioni in ambito sociale e non solo e non come mero attuatore di decisioni assunte in assenza di un confronto autentico con i policy maker regionali. Per farlo è necessario prevedere il suo coinvolgimento nella fase di costruzione delle decisioni strategiche della Regione attraverso una condivisione della lettura dei bisogni.

Una volta eletto intendo incontrare il Forum del Terzo Settore della Lombardia per valutare insieme quali possono essere le strade da percorre per attuare quest’approccio. Proporrò la definizione di un protocollo che impegni l’intera giunta a un confronto con i rappresentanti del Terzo settore nelle fasi antecedenti l’approvazione di delibere e atti di indirizzo strategici, sul modello di quanto abbiam fatto con il Comune di Milano durante la mia esperienza di assessore al Welfare, nello spirito di una reale attuazione della coprogrammazione. Credo anche sia necessario supportare gli enti locali proponendo strumenti legislativi e regolamentari più chiari per sviluppare percorsi di coprogettazione e di accreditamento in ambito sociale a livello territoriale per dare piena attuazione alle recenti innovazioni legislative e pieno riconoscimento al ruolo del Terzo settore, così ben definito dalla Corte costituzionale.

Nelle grandi città lombarde, Milano in particolare, comprare cosa sta diventando proibitivo, soprattutto per i giovani e per i precari. Come pensa di intervenire?

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Il punto di partenza per una nuova stagione di politiche dell’abitare in Lombardia è considerare la casa come il principale strumento di inclusione sociale. Dobbiamo, quindi, garantire l’accesso ad una condizione abitativa dignitosa, fornendo strumenti di sostegno per quelle fasce di popolazione per cui la spesa per l’abitazione (affitto o mutuo) incide fortemente sul reddito complessivo del nucleo abitativo, sottraendo risorse per investimenti in salute ed educazione. In una città come Milano il costo medio di un appartamento di 70 mq è ormai pari a 1.400 euro al mese. Il 35% dei milanesi ha un reddito inferiore a 15.000 euro l’anno. Ma la situazione non è molto diversa nelle altre città lombarde. È necessario promuovere il canone concordato attraverso fondi regionali che offrano garanzie pubbliche, sgravi fiscali, accordi territoriali ed agenzie per la casa e contributi al canone di locazione per studenti e lavoratori.

E dobbiamo rendere più mobile il mercato immobiliare lombardo, pensando sia alle esigenze dei nuovi lombardi che a quelle di nuclei familiari progressivamente più piccoli e anziani. Va dunque ampliata l’offerta Ers (edilizia residenziale sociale), sia facendo leva sul Terzo settore e sull’impact investing, sia attraverso significativi investimenti pubblici. Per garantire in Lombardia una condizione abitativa dignitosa a chi ne ha bisogno possiamo, peraltro, contare su circa 160mila alloggi pubblici, di cui 110mila gestiti da Aler. La gestione del tutto inadeguata di Aler negli anni del centro destra, però, ha prodotto

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ben 15mila appartamenti vuoti. Troppo pochi gli appartamenti ristrutturati, troppo lenta l’assegnazione di quelli disponibili Questa lentezza lascia liberi inutilmente per molti mesi alloggi pronti all’uso incrementando il rischio di occupazioni abusive. Le case popolari, invece, sono un patrimonio comune da tutelare e rilanciare, assicurandoci che venga messo rapidamente a servizio di chi ne ha bisogno. Per questo ci impegneremo nel recupero degli alloggi sfitti e in un Piano di ristrutturazione alloggi con attenzione particolare all’aspetto dell’efficienza energetica degli edifici Erp, con l’obiettivo di riqualificare 4mila abitazioni all’anno, che porterà a un risparmio nelle utenze, anche a supporto dei cittadini in condizioni di povertà energetica. Infine, io penso che si debba considerare l’accesso alla casa pubblica come un primo passo verso un percorso più ampio e duraturo di emancipazione sociale con l’abbinamento ad altri servizi di welfare come servizi educativi, formazione professionale e assistenza sanitaria.

Baby gang, aumento del consumo di sostanze, fenomeni di autolesionismo. Dopo i due anni del Covid è esplosa una nuova modalità di disagio di minori e adolescenti che spesso non trova risposta nei servizi. Come pensa di rafforzare la rete di supporto formale e informale?

Penso innanzitutto che sia necessario smetterla di ignorare il tema. Sono quindi necessari investimenti a sostegno della rete dei servizi, come alla scuola e all’educativa di strada. In-

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fine penso che i migliori alleati sono proprio i ragazzi; socialità, sport, musica cultura: offriamo loro più strumenti per stare bene assieme. Ci stupiranno. Ne sono sicuro. In quest’anno che ha seguito l’invasione russa in Ucraina non sono state poche le amministrazioni locali, spesso di piccoli municipi, che hanno attivato gemellaggi con l’Ucraina. Sul fronte pace che tipo di impegno si sente di prendere se sarà eletto presidente della Lombardia?

I gemellaggi tra comuni ucraini e comuni della Regione è un primo passo. Bellissimo. Ho in mente la nostra missione di pace, con il Mean a Kiev, o il viaggio di Giorgio Gori a Bucha. Un gesto che dice tutto dello spirito di vicinanza e concreto aiuto lombardo, in questo caso in accordo e con il Terzo settore nella figura del Cesvi. Per parte mia voglio che la Regione possa essere luogo generatore per la rinascita dell’Ucraina favorendo la vicinanza alla popolazione e programmando la ricostruzione per quello che sarà di aiuto alle autorità ucraine. Nella politica odierna dobbiamo recuperare l’anelito, la visione e la passione per la pace che aveva Giorgio La Pira, il “sindaco santo” di Firenze che riunì nel capoluogo toscano personalità da tutto il mondo per parlare di pace. Voglio che la Lombardia diventi sempre più una piattaforma di pace e di concreta solidarietà e aiuto verso chi soffre.

Voglio aggiungere, però, un punto. Come abbiamo visto, il tema dell’approvvigionamento energetico e della crisi alimen-

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tare è e sarà sempre più centrale nel futuro e potrà essere la fonte di conflitti drammatici. Per questo, proprio per preservare la pace, è urgente che la Lombardia prenda sul serio la sfida del cambiamento climatico investendo molto di più in ricerca e sviluppo (oggi siamo all’1,3% del Pil e noi vogliamo arrivare al 3%). Noi vogliamo investire in un grande piano decennale per sostenere e creare 300mila posti di lavoro verde, accessibile e di qualità, mettendo al tavolo categorie produttive, rappresentanze del lavoro, società civile, il Terzo settore e il mondo della formazione e della ricerca, coinvolgendo in forma permanente le università, sostenendo piani di ricerca pluriennale che facciano diventare la Lombardia un punto di riferimento per l’innovazione nel campo della transizione ecologica.

L’attivazione delle case e degli ospedali di comunità promosse dal Pnrr spingono verso una revisione/ricostruzione del modello di sanità territoriale che dovrà necessariamente integrare i servizi sanitari propriamente detti e la filiera del socio-assistenziale. In questa cornice quali saranno le caratteristiche principali del nuovo modello targato Majorino?

In Europa mi sono battuto per il finanziamento attraverso il Pnrr delle Case di Comunità. Credo nello strumento. Non credo nei luoghi che sono oggi, buoni per i tagli di nastro da parte della giunta Fontana. La mia visione è che si deve passare dal paradigma sanità a salute intendendo in questo modo tutti gli

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aspetti socio- assistenziali dove la persona è al centro e con essa la sua famiglia. Non è più pensabile agire come con due mondi separati specie alla luce del costante invecchiamento della popolazione. Le Case di Comunità devono essere sempre più luoghi di accompagnamento dei cittadini verso i percorsi di cura, anche grazie al ruolo insostitubile dei medici di medicina generale, degli infermieri e delle équipe multiprofessionali. Per rispondere a una fragilità sociale sempre più evidente è necessario un percorso socio-sanitario davvero integrato. Ma è necessaria anche una revisione della riforma Moratti – Fontana, riforma che dovrà essere riscritta attraverso il coinvolgimento dei medici, infermieri, del Terzo settore, delle associazioni di pazienti e parenti. Tutti a fianco per immaginare una sanità più giusta e a dimensione di persona.

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CENTROSINISTRA CANDIDATO CONSIGLIERE

Fabrizio Pregliasco

Volto noto dell’emergenza pandemica, già presidente di Anpas, Pregliasco si è candidato alle regionali lombarde nella lista dell’eurodeputato dem Pierfrancesco Majorino, che contenderà a Fontana e Moratti la Lombardia. Racconta a Vita le ragioni di questo impegno, con cui vuol cambiare la sanità, partendo dalla sua esperienza di medico ma anche di dirigente del volontariato

“Virostar” tra le più apprezzate, da poco past-president di una delle più grandi realtà del volontariato, l’Associazione nazionale Pubbliche assistenze – Anpas, professore di Igiene alla Statale di Milano, direttore sanitario («in aspettativa, mi raccomando») dell’Irccs Galeazzi S. Ambrogio di Milano, Fabrizio

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«Macché virostar, mi candido da cittadino attivo»

Pregliasco lo dice senza infingimenti: «È stato un mettermi a disposizione». Spiega a Vita la scelta di candidarsi nella lista di Pierfrancesco Majorino, l’eurodeputato dem che corre da goveratore alle regionali lombarde del 12 e 13 febbraio. «Sono un candidato indipendente», sottolinea.

Professore, indipendente sì ma con una scelta di campo precisa.

Sì, certo, è il campo progressista, che è sempre stato il mio.

E come è maturata questa decisione?

È figlia del mio impegno nel Terzo settore: 40 anni di volontariato nelle pubbliche assistenze, di cui 20 come dirigente.

Certo non le obietteranno di voler capitalizzare la sua popolarità “pandemica”: avrebbe più facilmente trovato un posto in lista nelle precedenti politiche…

Infatti e comunque a me interessava il mio territorio, dove mi sono impegnato professionalmente e socialmente. Io… Lei?

Io non sono un politico ma certo voglio essere un cittadino attivo, dare un contributo. L’ho fatto con l’impegno associativo e anche con quello professionale: in medicina ho sempre fatto scelte che non andavano innanzitutto verso la realizzazione economica, come quella per la ricerca e per l’insegnamento.

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Ho sempre avuto un’idea sociale di medicina. E penso di portare un po’ di competenze.

Entriamo in tema, professore, perché se vincesse Majorino a lei toccherebbe fare l’assessore al Welfare…

E io sarei a disposizione, ovviamente. Anche se bisognerebbe vedere gli equilibri all’interno della coalizione. In ogni caso, la cosa importante è che anche i sondaggi indichino la Lombardia come contendibile e spero davvero che gli elettori vogliano esprimere una discontinuità verso il passato.

Ce n’è bisogno, in sanità?

Ci sono problemi che riguardano l’universalità del Sistema sanitario nazionale-Ssn, ci sono le liste d’attesa, c’è una medicina di prossimità che è da costruire, soprattutto per i fragili, ma anche nell’ambito sociosanitario mancano attenzioni: per esempio, per nove anni, siamo andati avanti con la gestione della disabilità con contenitori vecchio stile che invece devono essere modificati, immaginando dei centri di servizio che garantiscano la qualità di vita alle persone. Una realtà che ho conosciuto da vicino, per il lavoro fatto per anni alla Fondazione Sacra Famiglia e poi anche nell’impegno con Anpas in Lombardia. Pregliasco, facciamo un esempio?

Prendiamo un cittadino anziano o con disabilità: che possa

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fare una radiografia gratuitamente e in un tempo ragionevole è importante ma se non c’è una rete famigliare, chi lo porta a fare quell’accertamento diagnostico? Ci vuole una presa in carico.

La “presa in carico” era il concetto base di una riforma leghista lombarda, quella sulla cronicità.

Che aveva una sua ratio ma che, nell’attuazione, è stata disastrosa ed è fallita. nella realtà, proprio perché non si è tenuto conto di quello che è l’aspetto epidemiologico. Sono stati individuati chessò i diabetici, però i diabetici sono tante cose: chi si prende una pastiglietta di Metformina e chi sta dentro un quadro molto complesso.

Cosa mancava?

La figura di un case manager che possa accompagnare e veri servizi intermedi tra il medico di famiglia e l’ospedale. Perché sennò, ed è storia di questi giorni, si intasano i pronto soccorso. Un diabetico scompensato che non viene seguito, arriva in condizioni critiche in ospedale, e lì lo “sistemano” - perché comunque gli ospedali lombardi sono eccellenze - ma a quali costi?

Ricordiamolo.

Il 30% dei cittadini che sono fragili e anziani assorbono il 70% delle risorse: accade mediamente in Italia ma più o meno anche in Lombardia. E senza garantirgli una buona qualità della vita.

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Ergo le case di comunità della riforma non la convincono…

È rimasto tutto abbozzato: il rischio è che diventino degli spazi, delle mura, delle insegne. Ci vuole la cura non le mura: medici, infermieri, équipe multi-professionali.

Senta, dal suo campo, ci si scaglia spesso contro la sanità privata che, in Lombardia, significa anche non profit. Che ne pensa?

Io sono un dirigente - in aspettativa, lo ricordo - di una grande realtà ospedaliera privata. Credo che il privato, in Lombardia evidenzi eccellenze che hanno permesso di migliorare la qualità delle cure. C’è bisogno però di un coordinamento e di una gestione del pubblico, a livello territoriale, con le Agenzie di tutela della salute – Ats, e con la Regione in regia. Quindi è necessaria una spending review sulla sanità, per riqualificare il contributo del privato.

Vedere quanto si spende per il privato, intende?

Sì, per ottimizzarlo, in un’ottica di regia pubblica, affinché il servizio sia davvero universale. Non è sostituibile, ma da ri-orientare, perché rivolga al meglio le funzioni pubbliche. D’altronde l’accreditamento è previsto da 30 anni a livello nazionale. Nel Lazio, ce n’è addirittura di più.

E il Terzo settore?

È fondamentale, nell’integrazione col sanitario, nel socio-sa-

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nitario. Il non profit è elemento di integrazione con il pubblico, cui assicura la conoscenza delle comunità locali. Lavorando in virologia ho sempre cercato di evitare le contaminazioni, queste invece sono contaminazioni positive, da favorire assolutamente.

Per esempio?

I famosi tavoli di coprogettazione sono fondamentali. Cominciano esserci esempi, per fortuna, come il recente caso di Valmadrera (Lecco), dove il comune ha chiesto al Terzo settore di coprogettare una nuova gestione della storica Rsa municipale.

La non autosufficienza sarà il tema dei prossimi anni.

Le Rsa, drammaticamente al centro dell’attenzione durante la pandemia, devono continuare a fornire risposte sulla non autosufficienza ma occorre che diventino punti di snodo, diventare degli hub, per andare all’esterno con specialisti geriatri, con infermieri professionali, per svolgere quei servizi intermedi sul territorio, coordinandosi coi medici di famiglia.

A proposito di servizi, le grandi realtà di volontariato sanitario che offrono trasporto, come Anpas, Misericordie, Croce Rossa, lamentano da anni il mancato adeguamento delle tariffe da parte delle Regioni. Se ne sarà lamentato anche lei, da presidente. Alcune, col caro energia, sono

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in difficoltà estrema...

Della Regione Lombardia le risposte non sono state esaltanti, mi riferisco al fatto di essere considerati alla stregua di fornitori qualsiasi, senza andare a vedere qual è la forza e la presenza di entità del Terzo settore. Trasportare disabili o dializzati a cifre veramente irrisorie, fa sì che vengano realizzati servizi a bassa qualità, tanto è vero che se ne è dovuta occupare la Guardia di finanza.

Si riferisce alla vicenda di Pavia, dove una “cooperativa” era finita sotto inchiesta, col direttore Asst, per un bando irregolare?

Quello di Pavia è un esempio macroscopico ma forse c’è anche da guardare oltre.

Come sta andando la campagna elettorale?

Ricevo ogni giorno attestati che fanno piacere: le persone mi fermano per strada.

Nessun novax contestatore?

Guardi che la gente è talvolta manipolata da pochi complottisti. No, in ogni caso, nessuno.

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Giampaolo
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Letizia Moratti «Porterò il Terzo settore nelle Case di Comunità»

Intervista alla candidata del Terzo Polo alle elezioni lombarde: «Il lavoro sociale va valorizzato ma è necessario anche un approccio culturale diverso. Lavoriamo spesso a compartimenti stagni, nella sanità, nel sociale, nell’impresa. Abbiamo bisogno di integrare ambiti ed esperienze, anche utilizzando modelli innovativi come quello del social business così come definito da Muhammad Yunus

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TERZO POLO CANDIDATO PRESIDENTE

Èstata presidente della Rai dal 1994 al 1996 durante il primo governo Berlusconi e quello Dini, ministra dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca dall’11 giugno 2001 al 17 maggio 2006 nei governi Berlusconi II e III, sindaca di Milano dal 5 giugno 2006 al primo giugno 2011 e presidente del consiglio di amministrazione di Ubi Banca dal 2019 al 2020. La candidata del Terzo Polo Letizia Moratti vanta anche una solida e riconoscita competenza in tema di Terzo settore e sociale: storici la sua vicinanza e sostegno alla Comunità di San Patrignano.

Moratti se la dovrà vedere con il candidato del centrosinistra e Movimento 5 Stelle Pierfrancesco Majorino e con Attilio Fontana in campo per il centrodestra di cui è stata vice nell’ultimo scorcio della legislatura che si va a chiudere. A tutti e tre i candidati Vita ha sottoposto cinque questioni cruciali. Ecco le risposte di Moratti.

Gli operatori sociali sono ancora troppo spesso considerati dalle pubbliche amministrazioni come fornitori di servizi di welfare. La Corte Costituzionale, con le sentenza 131/2020, disciplina e incentiva l’utilizzo della formule della coprogettazione e coprogrammazione, in una logica paritaria fra ente amministrativo e soggetto di Terzo settore. Pensa di valorizzare questo approccio? Come farlo concretamente?

La coprogettazione e la coprogrammazione sono importan-

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ti anche per la piena realizzazione della riforma della medicina territoriale, per costruire una prossimità che non è solo fisica, ma deve essere soprattutto relazionale. In questo senso l’associazionismo e il Terzo settore sono fondamentali nella ricomposizione di un tessuto sociale sfilacciato e per l’apertura verso i cittadini socialmente più fragili e più isolati a cui spesso le istituzioni difficilmente riescono ad arrivare. Un obiettivo a cui stavo lavorando, con le prime intese firmate a Bergamo, tra Ats, Asst e una trentina tra associazioni e onlus, per il coinvolgimento e l’inserimento del Terzo settore all’interno delle Case di Comunità, proprio nell’ottica della coprogettazione e della coproduzione. Ma ci sono altri esempi, come i protocolli per la nutrizione artificiale domiciliare, con cui abbiamo lavorato con il professor Riccardo Caccialanza dell’Irccs San Matteo di Pavia e con il contributo fondamentale delle associazioni dei pazienti. Più in generale, il lavoro sociale, che sia volontario o professionale, va valorizzato ma è necessario anche un approccio culturale diverso. Lavoriamo spesso a compartimenti stagni, nella sanità, nel sociale, nell’impresa. Quello di cui abbiamo bisogno ora, per rispondere a esigenze sempre più complesse e mutevoli, è di integrare questi ambiti e queste esperienze, anche utilizzando modelli innnovativi come quello del social business così come definito da Muhammad Yunus.

Nelle grandi città lombarde, Milano in particolare, comprare casa sta diventando proibitivo, soprattutto per i gio -

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vani e per i precari. Come pensa di intervenire?

Non solo il prezzo degli immobili, ma anche il costo delle locazioni ha raggiunto livelli proibitivi. Persino l’affitto di una stanza, per uno studente fuori sede, è diventato insostenibile. Per quest’ultimo aspetto, studieremo un piano di intervento con i comuni e le università. Per le giovani coppie e famiglie, noi daremo - compatibilmente con il quadro economico - contributi a fondo perduto per acquisto immobili; in particolare pensiamo di costituire una Garanzia regionale sul totale dei mutui di giovani famiglie, per l’acquisto di immobili, con relativo innalzamento della quota massima, indicizzata al mercato immobiliare. Bisogna inoltre evitare i quartieri ghetto e promuovere un mix abitativo per creare comunità vive in tutti i quartieri.

Baby gang, aumento del consumo di sostanze, fenomeni di autolesionismo. Dopo i due anni del Covid è esplosa una nuova modalità di disagio di minori e adolescenti che spesso non trova risposta nei servizi. Come pensa di rafforzare la rete di supporto formale e informale?

È chiaro a tutti che i fenomeni di cui lei parla non possono essere intesi, solo, come un problema di ordine pubblico. La sicurezza dei cittadini va garantita non solo attraverso le forze dell’ordine, ma anche con l’impiego massiccio di risorse e persone per il contrasto del disagio sociale, in particolare giovanile. Noi vogliamo intervenire a tre livelli: in primo luogo aiutando direttamente le famiglie che presentano questa pro -

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blematica; secondariamente, a livello formativo, con una lotta senza quartiere al fenomeno della dispersione scolastica; infine nel mondo del lavoro, favorendo l’inserimento dei giovani in azienda con mansioni e retribuzioni dignitose. I servizi sociali saranno potenziati per implementare questa strategia.

In questo anno che ha seguito l’invasione russa in Ucraina, non sono state poche le amministrazioni locali, spesso di piccoli municipi, che hanno attivato gemellaggi con l’Ucraina. Sul fronte pace, che tipo di impegno si sente di prendere se sarà eletto Presidente della Lombardia?

La mia Lombardia sarà coerente con la collocazione occidentale, europeista e atlantista dell’Italia, senza ambiguità. Manderemo aiuti alle famiglie ucraine nelle città bombardate, dove c’è bisogno di medicinali, generatori di corrente, generi di prima necessità. E naturalmente continueremo con l’assistenza ai profughi in fuga, quasi 50mila quelli arrivati nella nostra regione, intercettati dalle nostre strutture, per garantire anche ai numerosi anziani e bambini l’assistenza sanitaria di cui hanno bisogno durante la permanenza nel nostro Paese. L’idea di un gemellaggio con una regione ucraina, una delle più martoriate, potrebbe rivelarsi utile nella fase della ricostruzione che spero arrivi presto, grazie a iniziative che dobbiamo portare avanti con grande determinazione per arrivare a un tregua e poi, finalmente, a quella pace che deve essere il primo obiettivo per tutti.

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L’attivazione delle case e degli ospedali di comunità promosse dal Pnrr spingono verso una revisione/ricostruzione del modello di sanità territoriale, che dovrà necessariamente integrare i servizi sanitari propriamente detti e la filiera del socio-assistenziale. In questa cornice quali saranno le caratteristiche principali del nuovo modello targato Moratti?

Il mio modello parte dalla riforma sanitaria Moratti approvata a fine 2021. Una legge che è nata dal coinvolgimento dei sindaci dei comuni lombardi, le associazioni dei pazienti, i sindacati, il Terzo settore, gli ordini collegiali, le società scientifiche, i medici di medicina generale e pediatri di libera scelta, i farmacisti, con 84 proposte introdotte dalla società civile in 300 audizioni svolte e 4 convegni tecnici. La legge ha creato il quadro normativo ottimale per la rapida messa a terra dei fondi del Pnrr. Il modello non vuole solo rafforzare la medicina territoriale attraverso la realizzazione delle strutture di prossimità come Case, Ospedali di Comunità e ambulatori, ma modernizzare l’intero sistema rendendolo capace di offrire soluzioni ottimali alla gestione di una popolazione che sta invecchiando, con crescenti richieste di assistenza sanitaria. In questo quadro l’approccio deve essere sempre più la presa in carico totale della persona con i suoi bisogni complessi anche assistenziali, tenendo conto del quadro famigliare e del contesto sociale. Una valutazione multidisciplinare che coinvolge servizi sociali dei comuni e in termine di coprogettazione degli interventi

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non può prescindere dal Terzo settore. Quindi da un parte un approccio diverso, mettendo al centro la persona e avvicinando la sanità alla casa del cittadino, nelle Case di Comunità, ma anche attraverso l’assistenza domiciliare integrata, dall’altra la modernizzazione degli strumenti con i quali intervenire, grazie a: telemedicina, digitalizzazione, introduzione dell’intelligenza artificiale. Il Pnrr ci ha dato l’occasione di fare l’upgrade al nostro sistema, non dobbiamo rimanere a mezza strada con le riforme, come spesso accade in Italia, ma portarle a compimente, monitorare i risultati rispetto agli obiettivi prefissati e, poi, eventualmente introdurre variazioni. La piena realizzazione della riforma nella mia visione poi si inserisce in un miglior governo dell’offerta, cioè la Regione deve essere lei a indirizzare pubblico e privato verso quello che serve. In assenza di una programmazione forte i vari soggetti tendono a privilegiare più quello che gli conviene in termini economici.

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Stefano Arduini
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Lisa Noja

«In tema di sanità e politiche sociali si possono fare molte cose a livello nazionale, ma è a livello regionale che si incide davvero sulla vita dei cittadini. È qui che mi piacerebbe spendermi, so bene cosa non funziona», dice Lisa Noja, capolista del Terzo Polo per il collegio di Milano alle elezioni regionali in Lombardia, in sostegno di Letizia Moratti. Un’intervista a tutto campo, dalla sanità all’housing sociale, da Trenord all’allargamento dello screening neonatale da fare «subito». E al Terzo settore dice: «Sediamoci a un tavolo, immaginiamo come ripensare i servizi»

Le tre cose che vorrebbe veder cambiare presto, in Lombardia, Lisa Noja le ha ben in mente. Una priorità è «che le case del-

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TERZO POLO CANDIDATO CONSIGLIERE
«Politiche sociali, ripensiamo i servizi col Terzo settore»

la comunità non siano solo gusci vuoti, ma siano il luogo della medicina di base, che include anche gli specialisti, soprattutto per la cronicità». La seconda è «attuare la recente legge regionale sulla vita indipendente, dentro il contesto della legge delega sulla disabilità, così che le persone con disabilità abbiano e realizzino i loro progetti individuali di vita, contando su servizi ridisegnati sui bisogni specifici della persona. La Lombardia su questo deve essere un esempio per il Paese. Ho ben presente le difficoltà che ci sono nel passaggio da una legge nazionale all’attuazione nel territorio. Dobbiamo lavorare di più perché ci sia un cambiamento concreto nella vita dei cittadini». Il terzo obiettivo, da realizzare nel primo anno, riguarda l’ampliamento degli screening neonatali: «Deve essere al più presto un diritto per tutti i bambini che nascono in Lombardia, cominciando dall’atrofia muscolare spinale-Sma. Oggi esistono terapie efficaci e diagnosticare la malattia nei primissimi giorni di vita, avviando immediatamente i bambini alle terapie, fa un’enorme differenza. C’è una legge nazionale, ci sono dei fondi, ci sono regioni che hanno già fatto dei progetti pilota, c’è l’esperienza di Famiglie Sma, c’è un modello: bisogna farlo, non ci sono scuse».

Lisa Noja, attualmente consigliera comunale a Milano, è capolista del Terzo Polo per il collegio di Milano alle elezioni regionali in Lombardia del 12-13 febbraio. Appoggia, come noto, Letizia Moratti. Classe 1974, avvocata specializzata in diritto della concorrenza, ha una forma di atrofia muscolare spinale.

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Nell’estate del 2016 il sindaco di Milano, Beppe Sala, le diede la delega per le politiche sull’accessibilità e nel 2018 venne eletta in Parlamento con il Pd: l’anno dopo seguì Matteo Renzi in Italia Viva, partito di cui ha contribuito a scrivere la carta dei valori. «Ho lavorato in Commissione Affari sociali alla Camera negli anni della pandemia, è stata un’esperienza super accelerata», dice. Nel 2021 è stata relatrice della Legge delega in materia di disabilità (la 227/2021), di cui in questo momento il Governo Meloni sta scrivendo i decreti attuativi.

Partiamo da qui, da questa full immersion che è stato l’aver vissuto in Parlamento gli anni della pandemia. Cosa porta in Regione rispetto ai temi cruciali della sanità e delle politiche sociali?

Nel mio lavoro da parlamentare e come membro della Commissione Affari sociali ho capito che in tema di sanità e politiche sociali si possono fare molte cose a livello nazionale, ma è a livello regionale che si incide davvero sulla vita dei cittadini. È qui che mi piacerebbe spendermi di più. Abbiamo fatto tanto a livello nazionale, ma ai cittadini, sui territori, è arrivato ancora troppo poco. Il “dopo di noi” è un esempio chiarissimo, come mostra la recente analisi della Corte dei Conti: è una legge buona, ma che fatica a dare i frutti attesi. Ho ben presenti i processi che rendono difficoltosa la trasformazione di una buona legge nazionale in misure concrete. E anche la contrapposizione che talvolta c’è tra il legislatore nazionale e gli enti regionali: biso -

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gna superare questa ottica partigiana, la tentazione dello scarico di responsabilità e scegliere la via dell’assunzione comune di responsabilità.

Ogni legge ha il proprio fondo, i fondi non si parlano e così le misure. Penso invece che il compito della Regione sia quello di raccordare tutte queste risorse, per ricondurle al bisogno della singola persona. Questo richiede anche di strutturare i servizi affinché non siano più dei “pezzettini” slegati fra loro.

Se questi sono i nodi critici, come si fa ad andare oltre?

Per esempio riconducendo a sistema i vari fondi: il dopo di noi, la non autosufficienza, i caregiver… Ogni legge ha il proprio fondo, a cui si appoggia sui territori una misura diversa. I fondi non si parlano e così le misure. Penso invece che il compito della Regione sia quello di raccordare tutti questi fondi, per ricondurli al bisogno della singola persona. Questo richiede anche strutturare i servizi affinché non siano più dei “pezzettini” slegati fra loro. Vengo per esempio da un incontro con la Fondazione Sacra Famiglia, dove ho visto una serie di servizi che loro offrono ma che non rientrano nei codici attuali e che quindi la Fondazione deve autofinanziare. Sediamoci a un tavolo con il Terzo settore e invece di discutere solo di rette, facciamo un piano regionale, in coprogettazione, immaginando come ripensare i servizi e come riorganizzare i fondi - tantiche arrivano dal livello nazionale. Io credo che il Terzo settore debba essere protagonista anche di questa fase, deve essere

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chiamato alla corresponsabilità e coinvolto tramite la coprogettazione nella sostenibilità del sistema. Regione Lombardia invece - lo abbiamo visto nella pandemia - ha usato il Terzo settore come erogatore di servizi o chiamandolo a “mettere pezze”. No, la Regione deve svolgere un ruolo di regia, capace di facilitare e accelerare i processi e di interconnettere le reti, senza l’ideologia per cui “pubblico” è solo ciò che è svolto dall’ente pubblico, perché non è così.

La Lombardia destina il 70% del budget alla sanità. Prima del Covid eravamo convinti che la Lombardia fosse la regione con la sanità migliore d’Italia, un’eccellenza. Abbiamo visto che non era poi così vero. Oggettivamente questa regione ha puntato più di altre sulla sanità privata. È un modello da cambiare o cos’altro?

Io vedo due punti nel tema sanità. Il primo è che dobbiamo tornare ad occuparci di tutto quel che avviene prima e dopo l’ospedale, che significa costruire una buona sanità territoriale ma anche con una buona integrazione sociosanitaria, che faccia sì che le persone si rivolgano all’ospedale il meno possibile e solo per le prestazioni che non trovano altrove e cheuna volta dimesse - abbiano una rete a cui fare riferimento per i loro bisogni. Regione Lombardia ha lavorato molto poco su questo aspetto, cosa molto grave in una regione che vede aumentare invecchiamento e cronicità. Questo oggi è condiviso, il punto è attuarlo concretamente. Un esempio per tutti sono

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le case della comunità. L’altro tema è il rapporto tra pubblico e privato. In questa campagna elettorale il dibattito sul punto è povero perché sembra che la soluzione alle storture sia scatenare una guerra tra privato e pubblico. L’accreditamento è un sistema che funziona se ben guidato, del resto alcune delle grandi eccellenze sanitarie lombarde - eccellenze non solo in Italia ma in Europa - sono private accreditate. Ma in linea generale Regione Lombardia non ha creato un sistema equilibrato e coordinato tra pubblico e privato, quel che è mancato è la regia del rapporto: non puoi lasciare che sia il privato a scegliere quello che fa e non fa. Occorre ripensare il sistema dell’accreditamento, renderlo più trasparente anche agli occhi degli utenti e renderlo un sistema in cui si parte dai bisogni dei territori - Letizia Moratti ha iniziato a fare una mappatura in questo senso - per costruire gli accreditamenti e le prestazioni che li compongono a partire dalle persone e dai loro bisogni, non dai gestori.

L’accreditamento è un sistema che funziona se ben guidato, mentre qui è mancata la regia. Occorre ripensare il sistema per costruire gli accreditamenti e le prestazioni che li compongono a partire dalle persone e dai loro bisogni, non dai gestori.

In Lombardia i cittadini hanno a che fare quotidianamente con medici di medicina generale che non ci sono. Ovviamente non è un tema esclusivamente regionale, però… Anche qui vedo due aspetti. Uno è iniziare a parlare di medicina generale e di base e non solo di medici di base. Il tema delle

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case di comunità va inserito nel ripensamento di cosa è la medicina di base. Le case della comunità devono essere il luogo della medicina di base per la cronicità, dove le persone trovano tutte le professionalità di base, inclusi gli specialisti di base. La nostra posizione sullo psicologo di base è chiara, per esempio: il progetto di legge a dicembre 2022 in consiglio regionale è stato difeso praticamente solo dal Terzo polo, lo ripresenteremo. L’altro aspetto è che se la carenza di medici e di operatori sanitari generale non è tema per la Regione, è anche vero che abbiamo fatto ricadere sui medici di base tanti adempimenti amministrativi: i medici devono poter fare medicina di base, non amministrazione di base degli adempimenti sanitari.

Nelle grandi città lombarde, Milano in particolare, comprare casa sta diventando proibitivo, soprattutto per i giovani e per i precari. Che fare per accompagnare i giovani a progettare il loro futuro, anche in termini di autonomia e genitorialità?

In Lombardia abbiamo buoni esperimenti di housing sociale, portati avanti soprattutto dal Terzo settore, ma anche sull’housing non vedo un pensiero complessivo che riconosca intanto la necessità di interventi pubblici che non siano concentrati solo sulle categorie meno abbienti ma si rivolgono a fasce di popolazione che hanno bisogno di un supporto temporaneo, in una fase della vita, come gli studenti fuori sede o i giovani all’inizio della loro vita lavorativa. Questo sarebbe tra l’altro utile per uscire da situazioni in cui l’housing pubblico

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diventa un po’ l’housing dei ghetti. La sua domanda è sui giovani, ma in tema di abitare l’altro tema da sviluppare è quello dell’housing per persone anziane, dove ciascuno ha la sua casa ma ha anche servizi di sostegno. Tornando ai giovani, l’altro punto – so che sembra un sogno – è la riflessione sui trasporti. Ci vuole sì un supporto all’abitare ma occorre anche rendere il trasporto pubblico più efficiente, sia in città che verso la città: questo permetterebbe a un giovane (e non solo a lui) di vivere fuori Milano, con costi inferiori, e di lavorare in città senza dover mettere in conto ore e ore di viaggio. Come noto, la nostra proposta qui è netta: mettere a gara la gestione del trasporto pubblico.

“Milano non si ferma”, si disse nei primissimi giorni del Covid, anche sbagliando. Però Milano e la Lombardia hanno bisogno di continuare ad essere avanguardia, luogo di innovazione, di sviluppo. Come intendete farlo?

Intanto non essendo Milano-centrici. È giusto che Milano sia un punto di riferimento ma noi in Lombardia abbiamo tante realtà di eccellenza, un po’ abbandonate a se stesse. Le proposte che sono nel programma di Letizia Moratti puntano a rendere la regione un luogo di accelerazione dei processi.

Un pezzo importante di questo lavoro riguarda la formazione: i mondi dell’eccellenza lombarda, fatto anche dell’artigianato innovativo, lamenta la scarsissima disponibilità di personale qualificato. Non compete a noi entrare nei programmi delle scuole professionali, ma certamente Regione Lombardia con

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LA SFIDA DEL WELFARE
noi darà tutto il supporto possibile all’alternanza scuola-lavoro e a creare sinergie tra le scuole professionali e le eccellenze del mondo del lavoro.
Sara De Carli
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ELEZIONI 2023 LAZIO Alessio D’Amato –63 Francesco Rocca –73 Donatella Bianchi –81

Alessio D’Amato «Costruirò un welfare di comunità col Terzo settore»

Parla il candidato del centrosinistra alla guida del Lazio, assessore uscente alla sanità. Dice sì al termovalorizzatore di Roma ma rivendica anche l’accelerazione sulle comunità energetiche e assicura che marcerà verso la transizione ecologica. Sull’inclusione delle persone con disabilità, ricorda che è un diritto costituzionale

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CENTROSINISTRA CANDIDATO PRESIDENTE

Alessio D’Amato è un po’ un simbolo di una nuova generazione di politici della sinistra italiana: non ha fatto il ’68 ma ci è nato, a Roma, ergo non è della generazione degli (ex)rottamatori. Al Labaro, quartiere popolarissimo della Capitale, ha cominciato a far politica, nel 1991, con Rifondazione comunista, poi con Olivero Diliberto nel Partito dei comunisti italiani-Pdci, approdando, negli anni successivi, al Pd. Sociologo anche per passione civile, arriva alla politica regionale nel 2005, da consigliere d’opposizione, presidiando alla Pisana, il grande palazzo del governo del Lazio, temi centrali come sanità e lavoro. Nel secondo mandato da presidente, Nicola Zingaretti lo chiama a occuparsi, come assessore, di sanità e di integrazione socio-sanitaria, poltrona dove lo sorprende la pandemia, facendone un volto noto anche a livello nazionale. E quel volto, largo e spesso sorridente, il Pd ha scelto per provare a tenersi una delle regioni strategiche del Paese. Vita lo ha intervistato.

Assessore, lei si candida alla presidenza, avendo già governato il dossier più scottante di tutti: la sanità. Lo ha fatto in “Piano di rientro”, in mezzo a una pandemia, che molti le danno atto aver affrontato con grande competenza. Se tornerà da governatore, quali saranno i temi che metterà in cima alla lista per il suo successore?

La sanità è da sempre un banco di prova fondamentale per qualsiasi regione d’Italia. Noi nel Lazio, per tutta la durata della

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giunta guidata da Zingaretti, abbiamo risanato un’amministrazione con un bilancio in deficit di miliardi di euro. Abbiamo ripreso ad assumere, abbiamo costruito nuove strutture e messo in cantiere ospedali che i territori attendevano da anni. E che anche grazie ai soldi del Piano nazionale ripresa e resilienzaPnrr saranno realizzati. Il Lazio è stato un modello anche durante la gestione del Covid, avvenuta in sinergia in tutte le sue fasi: da quella acuta ospedaliera delle terapie intensive ai tracciamenti, dai tamponi ai vaccini.

Un modello da replicare?

Sicuramente, per dare un seguito a tutto il lavoro fatto fino ad oggi, quello che vorrei proseguisse, è la nostra idea di rivoluzione gentile. Questi anni ci hanno fatto riscoprire il valore della sanità e del welfare pubblici. L’importanza centrale nello stesso “essere comunità” di uno Stato che garantisca salute e assistenza alle proprie cittadine e ai propri cittadini. In questo, siamo determinati nel portare avanti i progressi avvenuti negli ultimi decenni per ridurre le differenze di accesso alle prestazioni sanitarie, in relazione alla posizione socioeconomica e al titolo di studio e in questo abbiamo finalmente registrato un’inversione di tendenza. Poi medicina territoriale, assistenza domiciliare e piano strategico per la telemedicina, sono solo alcuni dei temi cruciali che di sicuro metterei in cima alla lista, per una sanità pubblica che continui ad affermarsi efficiente e giusta, anche grazie agli investimenti del Pnrr.

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Il socio-sanitario è una delle aree in cui è più forte il coinvolgimento del Terzo settore, spesso però considerato fornitore di servizi a basso costo. Una sentenza della Consulta, la 131/2020, a proposito del Codice del Terzo settore e che riguardava proprio una regione, impegnerebbe ora le amministrazioni pubbliche a coprogettare le risposte ai bisogni dei cittadini con le organizzazioni non profit. Da governatore, si immagina che realisticamente si possa andare in questa direzione in alcuni ambiti?

Assolutamente sì, occorre andare in questa direzione anche e soprattutto portando a compimento la proposta di legge sul Terzo settore approvata dalla giunta regionale che ha come obiettivo quello di realizzare sul territorio regionale un’uniformità di disciplina. La proposta infatti sancisce l’importanza del ruolo delle formazioni sociali e in particolare proprio del Terzo settore all’interno della nostra società, al punto da considerare il loro ruolo strategico nell’attuazione degli interventi al fianco delle amministrazioni pubbliche. Il Terzo settore deve entrare a pieno titolo nel sistema del welfare di comunità, diventando portatore di idee e proposte che sono espressione diretta dei bisogni dei soggetti più fragili.

Un altro dossier importante è quello ambientale, spesso tutto incentrato sulle vicende romane. Cosa c’è nel suo programma su rifiuti ed energia, per cui un cittadino attento alla sostenibilità debba sceglierla?

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Il nostro programma in tema di ambiente, sostenibilità e rifiuti è molto ampio.

Proviamo a riassumerlo. Per quanto riguarda i rifiuti, ribadisco il nostro sì al termovalorizzatore. Si tratta di un’opera pubblica decisa con procedure straordinarie da parte dello Stato, come è stato per il ponte Morandi a Genova, che va fatta, con tutte le valutazioni tecnico scientifiche del caso. Non ci possono essere incertezze o tentennamenti ed è fondamentale, in questo, che la Regione lavori in sinergia con Roma. Per questo aiuterò il sindaco Roberto Gualtieri a chiudere il ciclo, è una questione di decoro e di salute pubblica per la città, anche in vista del prossimo Giubileo, per cui sono previsti 40 milioni di visitatori. Oltre al ciclo dei rifiuti, al tema della sostenibilità è strettamente collegato anche quello della transizione ecologica e il Lazio, con l’ultima giunta regionale, è la prima regione d’Italia ad averne approvato un piano.

Importante, dunque…

Negli ultimi cinque anni la transizione è stata un punto focale della nostra azione: efficientamento energetico, promozione di comunità energetiche, 100 comunità in 100 comuni, l’impegno su appalti pubblici sostenibili, senza dimenticare il progetto Ossigeno riconosciuto un’eccellenza a livello internazionale, con la piantumazione di 6 milioni di nuovi alberi e arbusti (uno per ogni abitante del Lazio, ndr). Si tratta, insomma, di un

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insieme di misure che vedrà un rafforzamento importante e in cui la questione energetica sarà un punto chiave per i cittadini, per le imprese e per la politica industriale della nostra regione. Il nostro impegno in questo senso è continuare ad essere una Regione in prima fila nella transizione ecologica, negli investimenti per le fonti energetiche rinnovabili e nelle filiere della produzione energetica, uno dei punti di forza della nostra strategia di reindustrializzazione, nel portare circolarità nelle nostre filiere produttive.

Sulla salute mentale, Vita sta facendo un viaggio nell’eredità di Basaglia. Gli anni di lockdown hanno dilatato un po’ ovunque i bisogni. Che cosa immagina per il suo Lazio?

La pandemia, il lockdown e l’isolamento a cui spesso ci siamo sottoposti per la paura di contrarre il Covid hanno inciso moltissimo sullo stato della nostra salute mentale. È sicuramente aumentato il livello di stress e forse diminuita anche la nostra capacità di affrontare le difficoltà e sopportare il dolore. I numeri parlano di un incremento della depressione e dello stress di circa il 25%, un dato assolutamente non trascurabile. E forse quello che ci preoccupa di più è che le prime vittime sono state e sono i giovani, con un aumento dei casi di autolesionismo e suicidio.

Che fare, assessore?

È chiaro che di fronte a tutto questo dobbiamo prima di tutto

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abbattere il muro dell’indifferenza, che spesso si eleva di fronte alle malattie mentali, e poi rafforzare il sistema dell’accesso alle cure psicologiche e psichiatriche, potenziando reparti esistenti e creandone di nuovi laddove non ci sono. In questa direzione va anche uno dei provvedimenti adottati dalla giunta regionale con il “Bonus psicologo” che, collegandomi al discorso di prima, è stato pensato proprio per offrire aiuto ai nostri ragazzi, soprattutto a chi ha possibilità economiche ridotte.

Parliamo anche di inclusione lavorativa per le persone con disabilità, assessore. Associazioni come la Federazione italiana superamento dell’handicap - Fish, non si stancano di ricordarne l’urgenza. Da governatore, vorrebbe qualcosa di meglio per queste persone e questo territorio?

Insieme all’assessorato al Lavoro e a quello alle Politiche sociali, in questi anni, abbiamo messo in campo diverse iniziative, tra cui servizi di sostegno e di collocamento mirato, tra questi senza dubbio ci sono il Servizio inserimento lavoro disabili –Sild o la creazione di Centri polivalenti per giovani e adulti con disturbo dello spettro autistico e altre disabilità. Non possiamo dimenticare quello che dice l’articolo 27, dedicato al lavoro ed occupazione, della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità che riconosce il diritto a un ambiente lavorativo inclusivo ed accessibile, con la possibilità di mantenersi attraverso la propria attività. Un diritto intoccabile che non solo è urgente.

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Il mondo sociale che si occupa di minori, le associazioni come le comunità, teme che anche nel Lazio si replichi la legge “allontanamento zero” già adottata in Piemonte, rendendo di fatto impossibile l’affido di minori in difficoltà. A novembre una sua ex-alleata, la grillina Francesca De Vito, oggi consigliera Fdi, ha presentato una proposta analoga. Che cosa farà, se sarà eletto?

Sostenere la genitorialità e soprattutto tutelare il primario interesse e diritto dei bambini a crescere nella propria famiglia. Questo è quello che le istituzioni devono tenere sempre a mente. Si tratta senza dubbio di un compito delicato, perché parliamo di minori. Io credo che sia un campo sul quale è necessario lavorare tutti insieme, accogliendo le intuizioni e le idee migliori non tanto di chi come me fa politica, ma di tutte quelle associazioni che lavorano con cura e amore in questo settore, con il supporto della magistratura, chiamata in causa per tutelare i piccoli. Un lavoro corale insomma, affinché si costruisca una legge davvero efficace e senza appigli o sbavature.

Con la giunta Zingaretti vi siete mossi in questa direzione?

Non siamo stati a guardare, ma abbiamo messo in campo tante iniziative, interventi e progetti su cui varrebbe la pena insistere: il sostegno ai nuclei mamma e bambino; i centri per la famiglia o per esempio il programma denominato “Sostegno al primo anno di vita del bambino”.

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Lei è sociologo e ha studiato peace keeping: immagina che il “suo” Lazio potrebbe in qualche modo aiutare i processi di pace nel mondo?

Mi creda, nessuno di noi avrebbe mai pensato di dover convivere, da quasi un anno, con una guerra a pochi chilometri di distanza da dove viviamo. Le immagini che ci arrivano dall’Ucraina attraverso i tg o quelle che vediamo sui siti sono terribili e ci riportano ai conflitti che i nostri padri o i nostri nonni hanno dovuto affrontare, pagando anche con la loro vita. Qui nel Lazio abbiamo, da subito, attivato il sistema dell’accoglienza e aiutato dal punto di vista sanitario e logistico migliaia di persone, quasi tutti donne e bambini. Nei loro occhi si legge a chiare lettere il bisogno di pace, quella che tutti dovremmo cercare con più forza e convinzione, per evitare che questo conflitto si prolunghi ulteriormente.

In campagna elettorale avrà fatto già molti incontri col volontariato e le organizzazioni di Terzo settore. C’è un luogo, una situazione, un volto che l’hanno colpita come cittadino, prima che come politico?

Le confesso che mi capita spesso di commuovermi di fronte a situazioni di degrado e di disagio sociale, come mi è successo di fronte a un paziente che usciva da una lunga malattia, con la speranza concreta di sopravvivere. E di farlo anche bene.

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CENTRODESTRA

Francesco Rocca «Salute, inclusione, ambiente, minori: così il mio Lazio»

L’ex presidente di Croce Rossa Italiana, candidato governatore per il centrodestra, racconta a Vita le ragioni del suo impegno.

«Voglio rappresentare le troppe vulnerabilità esistenti nella regione». E sulla proposta di legge “Allontanamento zero” dei minori a rischio: «Conosco bene il mondo delle case-famiglia, in cui ho operato, e so quali siano punti di forza e di debolezza del sistema»

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CANDIDATO PRESIDENTE

Èl’unico italiano ad aver guidato, per due mandati consecutivi, la Croce Rossa Internazionale. Romano, classe 1965, avvocato penalista, Francesco Rocca è il candidato del centrodestra alle imminenti regionali del Lazio. I suoi 15 anni nella Croce Rossa italiana, chiamato come commissario nel 2008, sono stai decisivi per riformare l’ente.

Presidente Rocca, partiamo dall’inizio, dalla motivazione. Lei era il presidente della Croce Rossa, pubblicamente stimato, amato dal “popolo” dei volontari. Ma chi glielo ha fatto fare?

Guardi, dopo una vita spesa per il volontariato e il Terzo settore, ho ritenuto fosse giunto il momento di restituire l’enorme insegnamento appreso e di mettermi al servizio della mia comunità. Penso che l’esperienza maturata in decenni di attività professionale e nell’associazionismo, essendo stato al vertice della più grande organizzazione umanitaria del mondo, possa fare davvero la differenza. Ho avuto così tanto da questo percorso… …che?

Che è arrivato il momento di metterlo a frutto per il bene comune. Ecco, me lo ha fatto fare proprio il retropensiero di quanti, tra il serio e il faceto, mi domandavano appunto: «Ma chi te lo fa fare!?».

Senta, lei si candida a destra. La politica da quella par-

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te registra, nell’ultimo periodo, alcuni pubblici endorsement nel mondo sociale: Mario Barbuto dell’Unione Ciechi, candidato alle scorse politiche nella Lega. Lo ha seguito, in questi giorni, Luca Degani di Uneba, candidato a Milano con Attilio Fontana. Oppure Maria Teresa Bellucci, già presidente Modavi, scesa in campo nella scorsa legislatura con Fratelli d’Italia e oggi viceministro. Ora lei con Giorgia Meloni. Si può tracciare il profilo di una solidarietà “di destra”? Quali valori ha? A chi si ispira?

Partiamo dall’assunto che la spinta alla solidarietà non ha, o non dovrebbe avere, un colore politico.

La proverbiale terzietà del non profit.

Certo, storicamente, però, la destra italiana – così come anche il mondo cattolico e liberale – ha una grande tradizione nell’impegno sociale. A prescindere da queste considerazioni la solidarietà deve tornare a essere un valore condiviso. Mi candido a rappresentare le tante – troppe – vulnerabilità esistenti nel Lazio. A dare voce agli ultimi da una posizione diversa. Ma la spinta è sempre la stessa.

Che cosa pensa di portare in politica della sua esperienza? Lei, da avvocato, ha ricoperto cariche importanti nella sanità, in funzioni di controllo e gestione.

L’impegno manageriale nel mondo sanitario ha inizio pro -

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prio in questa Regione, quando fui nominato commissario e poi direttore generale dell’ospedale Sant’Andrea. E poi, nel consiglio d’indirizzo dello Spallanzani. Quindi anche fuori, nel nucleo valutazione dell’Istituto Nazionale Tumori Pascale di Napoli e commissario straordinario della Asl Napoli 2. Un’esperienza importante che mi ha arricchito, professionalmente e umanamente. Restituirò tutto questo alla Regione Lazio, considerando che la sanità rappresenta l’80% del bilancio regionale. E che al di là degli slogan elettorali versa in una condizione molto delicata.

Appunto la Sanità è stata un dossier scottante per molti governatori. Come altre regioni, il Lazio è in Piano di rientro. Se dovesse indicare tre priorità, fra le molte, cui lavorare, quali sarebbero?

Partirei dalla necessità di abbattere le liste di attesa, ed è possibile farlo. Occorre poi ripensare il modello della medicina territoriale. La pandemia, negli ultimi anni, ci ha mostrato quanto la salute sia da una parte un diritto fondamentale dell’individuo, ma anche un preminente interesse della comunità. Le strutture ospedaliere devono essere messe nella condizione di svolgere al meglio il proprio lavoro, cioè gestire le emergenze, acuzie e post- acuzie. La medicina territoriale dovrà essere intesa sempre più come sanità di prossimità. Basta con una sanità “romanocentrica”.

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Come si fa, Rocca?

Dobbiamo, poi, lavorare sugli organici, restituendo dignità professionale al personale sanitario laziale. La sfida sarà anche sugli screening per patologie importanti, penso a quelle oncologiche. Nessuno dovrà rimanere indietro. Nessuno dovrà più vivere la dolorosa e esperienza della migrazione sanitaria che toglie dignità ulteriore al paziente.

Rocca, il socio-sanitario ha un ruolo importante nel welfare regionale. E qui c’è un forte coinvolgimento del Terzo settore, particolarmente del volontariato sanitario che - come sa bene avendo appena “smesso” la pettorina con la Croce Rossa - è messo alle corde per rimborsi inadeguati. Se governerà, come pensa di risolvere questo problema?

Il socio-sanitario è fondamentale per il corretto sviluppo di ogni comunità. In particolare il volontariato sanitario ha un’importanza straordinaria nell’ambito dei trasporti in ambulanza, sia in emergenza che nei trasporti secondari. Farò di tutto per proteggerlo e valorizzarlo ma realizzeremo, inoltre, attività volte a promuovere la salute, intesa come stato di completo benessere fisico e mentale e nel rispetto delle diversità tra ogni persona e nei diversi contesti di vita. Ciò include l’informazione e la formazione delle persone riguardo stili di vita sani e le pratiche di primo soccorso.

Il tema di una società inclusiva, per le varie forme di fragi-

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lità, da quelle fisiche a quelle sociali, è il campo dell’intervento volontario e cooperativo. Lei, da governatore, che cosa spera di costruire in questa direzione?

Al centro deve esserci sempre lo sviluppo integrale della persona, sostenendo le diverse abilità che ognuno di noi possiede.

Soltanto così potremo edificare una comunità laziale forte e inclusiva, contrastando l’emarginazione. Si può fare, mettendo in rete e in comunicazione fra loro i sistemi di welfare locale con le diverse realtà del Terzo settore.

Coprogrammare e coprogettare, si dice. Ci crede?

È importante progettare insieme, ascoltando realmente chi oggi è in quotidiano contatto con le tante fragilità della nostra società. In questo, il mondo cooperativo e del volontariato è determinante, se non imprescindibile.

In generale, che visione dovrebbe avere il Terzo settore nello sviluppo della sua regione? Spesso viene considerato, tout-court, un fornitore a basso costo di servizi. Indispensabile in alcune aree.

Beh, guardi, la mia storia e formazione personale parlano da sole: considero la sussidiarietà un valore e una risorsa fondamentale. Da presidente della Croce Rossa ho avuto modo di collaborare con numerose realtà associative e sociali, rendendo il vocabolo “sussidiarietà” azione concreta.

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Il mondo sociale che si occupa di minori, le associazioni come le comunità, temono che anche nel Lazio si replichi la legge “allontanamento zero” già adottata in Piemonte, rendendo di fatto impossibile l’affido di minori in difficoltà: a novembre, una consigliera Fdi, Francesca De Vito, ha presentato una proposta analoga. Che cosa farà se sarà eletto?

Il minore e i suoi diritti saranno sempre al centro del mio operato da governatore e di ogni azione della Regione. Conosco bene il mondo delle case-famiglia, in cui ho operato, e so bene quali siano i punti di forza e quelli di debolezza del sistema. Su questo tema non si scherza: i bambini e i ragazzi vanno tutelati al meglio. Ecco, le istituzioni che si occupano di minori devono lavorare solo e soltanto per questo: il meglio per ciascun minore. Su questo ci metto la faccia.

L’hanno tirata per la giacchetta più volte sulle questioni ambientali – mi riferisco all’inceneritore di Roma. Come coniugare l’emergenza e necessità di rendere virtuoso il ciclo dei rifiuti, vale a dire convincendo i cittadini a capire l’importanza della raccolta differenziata?

Il tema ambientale è nevralgico per l’amministrazione regionale. Vita, poi, sa quanto sia stato al centro della mia agenda internazionale, fino a portarlo in consessi quali, da ultimo, la Cop 27 a Sharm el Sheikh. Tornando al Lazio noi, con chiarezza, abbiamo affermato che non realizzeremo più nessuna discarica.

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Dobbiamo puntare tutto sulla raccolta differenziata (oggi siamo al 18mo posto in Italia) e sul termovalorizzatore, che va fatto per chiudere il ciclo dei rifiuti, se non vogliamo continuare a essere la vergogna d’Europa.

Come sta andando la campagna? C’è qualche messaggio, qualche attestato di fiducia del mondo del volontariato e del sociale che le ha fatto piacere?

Questa campagna elettorale è dedicata soprattutto all’ascolto, alla comprensione e allo studio non soltanto dei molteplici problemi che mi pongono le categorie e le associazioni, ma anche alle proposte più efficaci per risolverli. Dal mondo del volontariato mi arrivano attestazioni di fiducia e vicinanza quotidiane e di grande entusiasmo, soprattutto dai settori che rappresentano i diritti dei più deboli.

Se ne ricorderà quando siederà – presidente o capo dell’opposizione – nel grande palazzo della Garbatella che ospita la Regione?

Mi creda, resterò sempre al loro fianco, questa è la mia parola d’onore, promuovendo una politica al servizio della comunità regionale. Non ci si dimentica il luogo da cui si proviene, né le proprie radici.

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Donatella Bianchi

Dialogo con la candidata del Movimento 5 Stelle: «Ritengo occorrano interventi e strategie strutturali e non più tamponi per fermare l’erosione delle coste e per tutelare l’ambiente del Lazio».

Da sempre contraria all’inceneritore di Roma, Donatella Bianchi dice che intende «fermare la politica dei tagli alla sanità e promuovere la creazione di un RdC regionale»

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MOVIMENTO 5 STELLE CANDIDATO PRESIDENTE
«Tutela dell’ambiente e Reddito di cittadinanza regionale nel Lazio»

Donatella Bianchi è giornalista e scrittrice. È stata presidente del Wwf Italia dal 2014 al 2022, e presidente del Parco Nazionale delle Cinque Terre in Liguria. Volto Rai, per anni ha condotto la trasmissione Linea blu, occupandosi di tematiche legate all’ambiente, al mare e alla difesa delle risorse dei territori. Scende in campo in Lazio come candidata del Movimento 5 Stelle.

La sanità è stato un dossier scottante per molti presidenti del Lazio, anche prima della pandemia. Che situazione si aspetta di trovare?

Ci ricordiamo tutti in piena pandemia degli infermieri, degli operatori sanitari e dei medici che passavano giorno e notte in quelle corsie a salvare vite. Ora ce li siamo nuovamente dimenticati. Paghe inadeguate, nessuna stabilizzazione e condizioni indegne che non consentono di potersi costruire una vita. Noi quello che dobbiamo fare lo sappiamo perfettamente. Nel Lazio mancano 10mila medici, ma dobbiamo anche stabilizzare i precari che aspettano contratti regolari e a norma.

Quale sarebbe quindi la sua priorità in materia?

La pandemia ha creato grande disagio soprattutto tra i giovani, per questi vogliamo istituire lo psicologo di base e vogliamo scorrere le graduatorie con gli idonei vincitori. Siamo stanchi di una sanità in cui il pubblico è suddito del privato, vogliamo che siano complementari, naturalmente con preminenza del

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pubblico rispetto al privato convenzionato. Dobbiamo fermare la migrazione sanitaria, investendo sulla medicina territoriale e sulle cure domiciliari per i nostri anziani.

Tra le sue priorità a che punto sta la creazione di una società inclusiva per le varie forme di fragilità, da quelle fisiche a quelle sociali?

Per noi sono temi centrali. La lotta alle diseguaglianze sociali, una società inclusiva per tutte e tutti, una Regione accessibile per tutte le persone. In queste settimane ho girato il territorio e la parola dignità è stata una di quelle che ho sentito più spesso.

Il tema di una società inclusiva è il campo d’intervento del Terzo settore, dal volontario alle cooperstive sociali. Lei, da presidente, come intende lavorare con loro?

Mentre la destra ha deciso di fare la guerra ai poveri, noi faremo il Reddito di cittadinanza regionale (Rdc). È la nostra risposta all’iniziativa folle del governo Meloni di togliere l’unica forma di sostegno che sta dando una risposta a milioni di persone in difficoltà. Nella nostra Regione ci sono 350mila percettori che tra pochi mesi si troveranno senza un centesimo. Il governo da settimane parla di fantomatiche soluzioni alternative al Rdc che ad oggi nessuno ha ancora visto perché la ministra Marina Calderone e la premier Meloni non ne hanno ancora discusso. È assurdo come si possa levare uno strumen-

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to indispensabile per famiglie e cittadini, senza neanche aver pensato ad una soluzione alternativa che continui a garantire a queste persone la sopravvivenza.

Per una società più giusta, il tema della mobilità pubblica e accessibile nei costi, è non secondario secondo lei?

Ho aderito alla campagna dei pendolari #soffriconnoi prendendo la linea che da Viterbo porta a Roma. Su quei treni non esistono pedane per disabili, non sono utilizzabili per chi ha una forma di disabilità. Bisogna ripartire da qui. Da quegli aspetti che sembrano banali, ma non lo sono, perché riguardano la vita di migliaia di persone.

Il mondo del Terzo settore impegna risorse e professionalità nella presa in carico dei minori: teme che anche nel Lazio si replichi la legge “allontanamento zero” già adottata in Piemonte, rendendo di fatto impossibile l’affido di minori in difficoltà, visto che a novembre una consigliera FdI, De Vito, che viene dal M5s, ha presentato una proposta analoga? Che cosa farà se sarà eletta?

Con me alla presidenza il Lazio si costituirà parte civile in tutti i processi in difesa delle donne vittime di femminicidio e in difesa dei minori che hanno subito violenza. Questa legge esiste dal 2014 e nessuno l’ha mai applicata. Sul tema degli affidi il nostro programma è molto articolato: vogliamo creare un protocollo di intesa con i Comuni e il Tribunale per i minoren-

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ni per far nascere un registro unico delle famiglie affidatarie e vogliamo creare sportelli di informazione e supporto per le famiglie affidatarie offrendo tutta l’assistenza possibile.

Sul tema ambientale, la sua esperienza passata in che direzione la porterebbe a lavorare?

Dobbiamo andare verso la transizione ecologica. La destra al governo sta dimostrando di non considerarla strategica, nascondendo la testa sotto la sabbia quando parliamo di cambiamenti climatici e salvaguardia ambientale. Noi invece abbiamo il tema ambientale al centro della nostra agenda e non faremo un passo indietro su temi che per noi hanno un valore assoluto.

Cosa intende fare sul fronte della tutela dell’ambiente naturale e come stimolare sul tutela e la valorizzazione dei parchi e delle aree protette?

Nei 18 mesi di governo, è stato il M5S ad approvare 14 nuovi monumenti naturali e 8 piani di assetto dei parchi. Nel nostro programma prevediamo un piano straordinario per il monitoraggio e la riqualificazione del fiume Tevere, tema che mi sta molto a cuore. Sulla tutela e la valorizzazione dei parchi serve una riforma della legge sulle aree protette che parametri i parchi regionali a quelli nazionali. L’obiettivo è raggiungere un’efficacia di gestione che permetta di raggiungere gli obiettivi della strategia della biodiversità, ovvero arrivare al 30% di territorio protetto entro il 2030. Luca Cereda

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