11 minute read

Pierfrancesco Majorino «Nella mia Lombardia nessuna politica senza il Terzo settore»

Dialogo con il candidato del centrosinistra: «La Regione deve riconoscere e promuovere il ruolo del Terzo settore lombardo come soggetto decisivo nella identificazione dei bisogni sociali, nella programmazione delle politiche e nella implementazione delle innovazioni in ambito sociale e non come mero attuatore di decisioni assunte in assenza di un confronto autentico con i policy makers regionali»

Advertisement

Già assessore a Milano prima nella giunta Pisapia, poi con Sala, parlamentare europeo in quota Partito Democratico dal 2019, Pierfrancesco Majorino, 49 anni milanese e juventino, si è fatto carico di una scommessa tutt’alto che scontata: riportare il centrosinisitra, che in Regione Lombardia è all’opposizione da 28 anni, nella plancia di comando del Pirellone. Nei giorni scorsi ha incassato il supporto pubblico di Giuseppe Guzzetti, ex presindente regionale e per tanti anni al vertice di Fondazione Cariplo. Majorino se la dovrà vedere con il presidente uscente Attilio Fontana e con Letizia Moratti. Vita ha invitato al dialogo tutti e tre i candidati intorno a cinque nodi sociali cuciali. Qui le risposte di Majorino. Nei prossimi giorni pubblicheremo i dialoghi con gli alti due candidati.

Gli operatori sociali sono ancora troppo spesso considerati dalla pubbliche amministrazione come fornitori di servizi di welfare. La Corte Costituzionale con le sentenza 131/2020 disciplina e incentiva l’utilizzo della formule della coprogettazione e coprogrammazione in una logica paritaria fra ente amministrativo e soggetto di Terzo settore Pensa di valorizzare questo approccio? Come farlo concretamente?

Non solo penso di valorizzarlo, ma è parte integrante e fondante del mio programma. La Regione deve riconoscere e promuovere il ruolo del Terzo settore lombardo come sog- getto decisivo nella identificazione dei bisogni sociali, nella programmazione delle politiche e nella implementazione delle innovazioni in ambito sociale e non solo e non come mero attuatore di decisioni assunte in assenza di un confronto autentico con i policy maker regionali. Per farlo è necessario prevedere il suo coinvolgimento nella fase di costruzione delle decisioni strategiche della Regione attraverso una condivisione della lettura dei bisogni.

Una volta eletto intendo incontrare il Forum del Terzo Settore della Lombardia per valutare insieme quali possono essere le strade da percorre per attuare quest’approccio. Proporrò la definizione di un protocollo che impegni l’intera giunta a un confronto con i rappresentanti del Terzo settore nelle fasi antecedenti la approvazione di delibere e atti di indirizzo strategici, sul modello di quanto abbiam fatto con il Comune di Milano durante la mia esperienza di assessore al Welfare, nello spirito di una reale attuazione della coprogrammazione. Credo anche sia necessario supportare gli enti locali proponendo strumenti legislativi e regolamentari più chiari per sviluppare percorsi di coprogettazione e di accreditamento in ambito sociale a livello territoriale per dare piena attuazione alle recenti innovazioni legislative e pieno riconoscimento al ruolo del terzo settore, così ben definito dalla Corte Costituzionale.

Nelle grandi città lombarde, Milano in particolare, comprare cosa sta diventando proibitivo, soprattutto per i gio - vani e per i precari. Come pensa di intervenire?

Il punto di partenza per una nuova stagione di politiche dell’abitare in Lombardia è considerare la casa come il principale strumento di inclusione sociale. Dobbiamo, quindi, garantire l’accesso ad una condizione abitativa dignitosa, fornendo strumenti di sostegno per quelle fasce di popolazione per cui la spesa per l’abitazione (affitto o mutuo) incide fortemente sul reddito complessivo del nucleo abitativo, sottraendo risorse per investimenti in salute e educazione. In una città come Milano il costo medio di un appartamento di 70 mq è ormai pari a 1.400 euro al mese. Il 35% dei milanesi ha un reddito inferiore a 15.000 euro l’anno. Ma la situazione non è molto diversa nelle altre città lombarde. È necessario promuovere il canone concordato attraverso fondi regionali che offrano garanzie pubbliche, sgravi fiscali, accordi territoriali ed agenzie per la casa e contributi al canone di locazione per studenti e lavoratori.

E dobbiamo rendere più mobile il mercato immobiliare lombardo, pensando sia alle esigenze dei nuovi lombardi che a quelle di nuclei familiari progressivamente più piccoli e anziani. Va dunque ampliata l’offerta Ers (edilizia residenziale sociale), sia facendo leva sul Terzo settore e sull’impact investing, sia attraverso significativi investimenti pubblici. Per garantire in Lombardia una condizione abitativa dignitosa a chi ne ha bisogno possiamo, peraltro, contare su circa 160 mila alloggi pubblici, di cui 110mila gestiti da Aler. La gestione del tutto inade - guata di Aler negli anni del centro destra, però, ha prodotto ben 15mila appartamenti vuoti. Troppo pochi gli appartamenti ristrutturati, troppo lenta l’assegnazione di quelli disponibili Questa lentezza lascia liberi inutilmente per molti mesi alloggi pronti all’uso incrementando il rischio di occupazioni abusive. Le case popolari, invece, sono un patrimonio comune da tutelare e rilanciare, assicurandoci che venga messo rapidamente a servizio di chi ne ha bisogno. Per questo ci impegneremo nel recupero degli alloggi sfitti e in un Piano di ristrutturazione alloggi con attenzione particolare all’aspetto dell’efficienza energetica degli edifici Erp, con l’obiettivo di riqualificare 4mila abitazioni all’anno, che porterà a un risparmio nelle utenze, anche a supporto dei cittadini in condizioni di povertà energetica. Infine, io penso che si debba considerare l’accesso alla casa pubblica come un primo passo verso un percorso più ampio e duraturo di emancipazione sociale con l’abbinamento ad altri servizi di welfare come servizi educativi, formazione professionale e assistenza sanitaria.

Baby gang, aumento del consumo di sostanze, fenomeni di autolesionismo. Dopo i due anni del Covid è esplosa una nuova modalità di disagio di minori e adolescenti che spesso non trova risposta nei servizi. Come pensa di rafforzare la rete di supporto formale e informale?

Penso innanzitutto che sia necessario smetterla di ignorare il tema. Sono quindi necessari investimenti a sostegno del- la rete dei servizi, come alla scuola e all’educativa di strada. Infine penso che i migliori alleati sono proprio i ragazzi; socialità, sport, musica cultura: offriamo loro più strumenti per stare bene assieme. Ci stupiranno. Ne sono sicuro.

In questo che ha seguito l’invasione russa in Ucraina non sono state poche le amministrazioni locali, spesso di piccoli municipi,che hanno attivato gemellaggi con l’Ucraina. Sul fronte pace che tipo di impegno si sente di prendere se sarà eletto presidente della Lombardia?

I gemellaggi tra comuni ucraini e comuni della Regione è un primo passo. Bellissimo. Ho in mente la nostra missione di pace, con il Mean a Kiev, o il viaggio di Giorgio Gori a Bucha. Un gesto che dice tutto dello spirito di vicinanza e concreto aiuto lombardo, in questo caso in accordo e con il Tsettore nella figura del Cesvi. Per parte mia voglio che la Regione possa essere luogo generatore per la rinascita dell’Ucraina favorendo la vicinanza alla popolazione e programmando la ricostruzione per quello che sarà di aiuto alle autorità ucraine. Nella politica odierna dobbiamo recuperare l’anelito, la visione e la passione per la pace che aveva Giorgio La Pira, il “sindaco santo” di Firenze che riunì nel capoluogo toscano personalità da tutto il mondo per parlare di pace. Voglio che la Lombardia diventi sempre più una piattaforma di pace e di concreta solidarietà e aiuto verso chi soffre.

Voglio aggiungere, però, un punto. Come abbiamo visto, il tema dell’approvvigionamento energetico e della crisi alimentare è e sarà sempre più centrale nel futuro e potrà essere la fonte di conflitti drammatici. Per questo, proprio per preservare la pace, è urgente che la Lombardia prenda sul serio la sfida del cambiamento climatico investendo molto di più in ricerca e sviluppo (oggi siamo al’l1,3% del Pil e noi vogliamo arrivare al 3%). Noi vogliamo investire in un grande piano decennale per sostenere e creare 300mila posti di lavoro verde, accessibile e di qualità, mettendo al tavolo categorie produttive, rappresentanze del lavoro, società civile, il Terzo Settore e il mondo della formazione e della ricerca, coinvolgendo in forma permanente le università, sostenendo piani di ricerca pluriennale che facciano diventare la Lombardia un punto di riferimento per l’innovazione nel campo della transizione ecologica.

L’attivazione delle case e degli ospedali di comunità promosse dal Pnrr spingono verso una revisione/ricostruzione del modello di sanità territoriale che dovrà necessariamente integrare i servizi sanitari propriamente detti e la filiera del socio-assistenziale. In questa cornice quali saranno le caratteristiche principali del nuovo modello targato Majorino?

In Europa mi sono battuto per il finanziamento attraverso il Pnrr delle Case di Comunità. Credo nello strumento. Non credo nei luoghi che sono oggi, buoni per i tagli di nastro da parte della giunta Fontana. La mia visione è che si deve passare dal paradigma sanità a salute intendendo in questo modo tutti gli aspetti socio- assistenziali dove la persona è al centro e con essa la sua famiglia. Non è più pensabile agire come con due mondi separati specie alla luce del costante invecchiamento della popolazione. Le Case di Comunità devono essere sempre più luoghi di accompagnamento dei cittadini verso i percorsi di cura, anche grazie al ruolo insostitubile dei medici di medicina generale, degli infermieri e delle equipe multiprofessionali. Per rispondere a una fragilità sociale sempre più evidente è necessario un percorso socio-sanitario davvero integrato. Ma è necessaria anche una revisione della riforma Moratti – Fontana, riforma che dovrà essere riscritta attraverso il coinvolgimento dei medici, infermieri, del Terzo settore, delle associazioni di pazienti e parenti. Tutti a fianco per immaginare una sanità più giusta e a dimensione di persona.

Stefano Arduini

Centrosinistra Candidato Consigliere

Fabrizio Pregliasco

Volto noto dell’emergenza pandemica, già presidente di Anpas, Pregliasco si è candidato alle regionali lombarde nella lista dell’eurodeputato dem Pierfrancesco Majorino, che contenderà a Fontana e Moratti la Lombardia. Racconta a Vita le ragioni di questo impegno, con cui vuol cambiare la sanità, partendo dalla sua esperienza di medico ma anche di dirigente del volontariato

“Virostar” tra le più apprezzate, da poco past-president di una delle più grandi realtà del volontariato, l’Associazione nazionale Pubbliche assistenze – Anpas, professore di Igiene alla Statale di Milano, direttore sanitario («in aspettativa, mi raccomando») dell’Irccs Galeazzi S. Ambrogio di Milano, Fabrizio

Pregliasco lo dice senza infingimenti: «È stato un mettermi a disposizione». Spiega a Vita la scelta di candidarsi nella lista di Pierfrancesco Majorino, l’eurodeputato dem che corre da goveratore alle regionali lombarde dell’11 e 12 febbraio. «Sono un candidato indipendente», sottolinea.

Professore, indipendente sì ma con una scelta di campo precisa.

Sì, certo, è il campo progressista, che è sempre stato il mio.

E come è maturata questa decisione?

È figlia del mio impegno nel Terzo settore: 40 anni di volontariato nelle pubbliche assistenze, di cui 20 come dirigente.

Certo non le obietteranno di voler capitalizzare la sua popolarità “pandemica”: avrebbe più facilmente trovato un posto in lista nelle precedenti politiche…

Infatti e comunque a me interessava il mio territorio, dove mi sono impegnato professionalmente e socialmente. Io… Lei?

Io non sono un politico ma certo voglio essere un cittadino attivo, dare un contributo. L’ho fatto con l’impegno associativo e anche con quello professionale: in medicina ho sempre fatto scelte che non andavano innanzitutto verso la realizzazione economica, come quella per la ricerca e per l’insegnamento.

Ho sempre avuto un’idea sociale di medicina. E penso di portare un po’ di competenze.

Entriamo in tema, professore, perché se vincesse Majorino a lei toccherebbe fare l’assessore al Welfare…

E io sarei a disposizione, ovviamente. Anche se bisognerebbe vedere gli equilibri all’interno della coalizione. In ogni caso, la cosa importante è che anche i sondaggi indichino la Lombardia come contendibile e spero davvero che gli elettori vogliano esprimere una discontinuità verso il passato.

Ce n’è bisogno, in sanità?

Ci sono problemi che riguardano l’universalità del Sistema sanitario nazionale-Ssn, ci sono le liste d’attesa, c’è una medicina di prossimità che è da costruire, soprattutto per i fragili, ma anche nell’ambito sociosanitario mancano attenzioni: per esempio, per nove anni, siamo andati avanti con la gestione della disabilità con contenitori vecchio stile che invece devono essere modificati, immaginando dei centri di servizio che garantiscano la qualità di vita alle persone. Una realtà che ho conosciuto da vicino, per il lavoro fatto per anni alla Fondazione Sacra Famiglia e poi anche nell’impegno con Anpas in Lombardia. Pregliasco, facciamo un esempio?

Prendiamo un cittadino anziano o con disabilità: che possa fare una radiografia gratuitamente e in un tempo ragionevole è importante ma se non c’è una rete famigliare, chi lo porta a fare quell’accertamento diagnostico? Ci vuole una presa in carico.

La “presa in carico” era il concetto base di una riforma leghista lombarda, quella sulla cronicità.

Che aveva una sua ratio ma che, nell’attuazione, è stata disastrosa ed è fallita. nella realtà, proprio perché non si è tenuto conto di quello che è la l’aspetto epidemiologico. Sono stati individuati chessò i diabetici, però i diabetici sono tante cose: chi si prende una pastiglietta di Metformina e chi sta dentro un quadro molto complesso.

Cosa mancava?

La figura di un case manager che possa accompagnare e veri servizi intermedi tra il medico di famiglia e l’ospedale. Perché sennò, ed è storia di questi giorni, si intasano i pronto soccorso. Un diabetico scompensato che non viene seguito, arriva in condizioni critiche ospedale, e lì lo “sistemano” - perché comunque gli ospedali lombardi sono eccellenze - ma a quali costi?

Ricordiamolo.

Il 30% dei cittadini che sono fragili e anziani assorbono il 70% delle risorse: accade mediamente in Italia ma più o meno anche in Lombardia. E senza garantirgli una buona qualità della vita.

Ergo le case di comunità della riforma non la convincono…

È rimasto tutto abbozzato: il rischio è che diventino degli spazi, delle mura, delle insegne. Ci vuole la cura non le mura: medici, infermieri, équipe multi-professionali.

Senta, dal suo campo, ci si scaglia spesso contro la sanità privata che, in Lombardia, significa anche non profit. Che ne pensa?

Io sono un dirigente - in aspettativa, lo ricordo - di una grande realtà ospedaliera privata. Credo che il privato, in Lombardia evidenzi eccellenze che hanno permesso di migliorare la qualità delle cure. C’è bisogno però di un coordinamento e di una gestione del pubblico, a livello territoriale, con le Agenzie di tutela della salute – Ats, e con la Regione in regia. Quindi è necessaria una spending review sulla sanità, per riqualificare il contributo del privato.

Vedere quanto si spende per il privato, intende?

Sì, per ottimizzarlo, in un’ottica di regia pubblica, affinché il servizio sia davvero universale. Non è sostituibile, ma da ri-orientare, perché rivolga al meglio le funzioni pubbliche. D’altronde l’accreditamento è previsto da 30 anni a livello nazionale. Nel Lazio, ce n’è addirittura di più.

E

il Terzo settore?

È fondamentale, nell’integrazione col sanitario, nel socio-sanitario. Il non profit è elemento di integrazione con il pubbli- co, cui assicura la conoscenza delle comunità locali. Lavorando in virologia ho sempre cercato di evitare le contaminazioni, queste invece sono contaminazioni positive, da favorire assolutamente.

Per esempio?

I famosi tavoli di coprogettazione sono fondamentali. Cominciano esserci esempi, per fortuna, come il recente caso di Valmadrera (Lecco), dove il comune ha chiesto al Terzo settore di co-progettare una nuova gestione della storica Rsa municipale.

La non autosufficienza sarà il tema dei prossimi anni.

Le Rsa, drammaticamente al centro dell’attenzione durante la pandemia, devono continuare a fornire risposte sulla non-autosufficienza ma occorre che diventino punti di snodo, diventare degli hub, per andare all’esterno con specialisti geriatri, con infermieri professionali, per svolgere quei servizi intermedi sul territorio, coordinandosi coi medici di famiglia.

A proposito di servizi, le grandi realtà di volontariato sanitario che offrono trasporto, come Anpas, Misericordie, Croce Rossa, lamentano da anni il mancato adeguamento delle tariffe da parte delle Regioni. Se ne sarà lamentato anche lei, da presidente. Alcune, col caro energia, sono in difficoltà estrema...

Della Regione Lombardia le risposte non sono state esaltanti, mi riferisco al fatto di essere considerati alla stregua di fornitori qualsiasi, senza andare a vedere qual è la forza e la presenza di entità del Terzo settore. Trasportare disabili o dializzati a cifre veramente irrisorie, fa sì che vengano realizzati servizi a bassa qualità, tanto è vero che se ne è dovuta occupare la Guardia di finanza.

Si riferisce alla vicenda di Pavia, dove una “cooperativa” era finita sotto inchiesta, col direttore Asst, per un bando irregolare?

Quello di Pavia è un esempio macroscopico ma forse c’è anche da guardare oltre.

Come sta andando la campagna elettorale?

Ricevo ogni giorno attestati che fanno piacere: le persone mi fermano per strada.

Nessun novax contestatore?

Guardi che la gente è talvolta manipolata da pochi complottisti. No, in ogni caso, nessuno.

This article is from: