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La Terza missione questioni sul complesso dialogo tra scienza e società

di Alessandra Romeo

Public engagement, politica della scienza e nuove responsabilità dello scienziato: sono questi i punti salienti affrontati nel corso della prima sessione del seminario estivo 2021 dal titolo “La frattura tra scienza e società”, tenutosi a Mareson di Zoldo (BL) il 28 e il 29 luglio. Durante la prima fase dei lavori seminariali la parola è stata affidata a due esperti nel settore della comunicazione della scienza: Amedeo Balbi, astrofisico e autore, fra i numerosi lavori di divulgazione, di una rubrica per il mensile Le Scienze, e Massimiano Bucchi, professore ordinario di Scienza, Tecnologia e Società all’Università di Trento, nonché storico volto della trasmissione televisiva Superquark, pietra miliare della comunicazione della scienza al grande pubblico in Italia. Chiamati a rispondere al complesso quesito implicito al titolo del seminario, i due relatori hanno fornito una risposta univoca: la frattura tra scienza e società non esiste più almeno dalla seconda metà dell’Ottocento, da quando l’Occidente ha iniziato a trarre vantaggio dalle acquisizioni tecnologiche, conseguenti a prodigiosi sforzi scientifici, portate dalla seconda rivoluzione industriale. L’idea che i cittadini abbiano una sorta di diffidenza patologica nei confronti della scienza sarebbe una speculazione mediatica in contrasto con i dati – Bucchi ha riportato quelli raccolti da Observa Science in Society nel 2021 – che rappresentano lo scienziato come la figura professionale che gode di maggior fiducia presso gli italiani. I dissidi concretamente riscontrabili, portati alla luce durante la pandemia, sono in realtà due: il primo tra divulgatori e divulgatori, il secondo tra società e politica. Secondo Bucchi, la prima questione avrebbe origine dall’impreparazione degli scienziati, investiti, adesso più che mai, di una Terza missione (dopo insegnamento e ricerca), la divulgazione, che richiede un’ars sulla quale queste figure professionali non sono sufficientemente formate. Dall’assenza di una adeguata preparazione degli scienziati a raccontare correttamente la scienza è scaturita un’insalata di metodi divulgativi più o meno efficaci e deontologicamente corretti. Tra i meno efficaci quello di trasformare i dubbi del mestiere in aspri dibattiti televisivi, tra i meno deontologicamente corretti quello di far leva sul proprio prestigio professionale per far valere un’opinione personale, anche se non corroborata dai dati disponibili. Il secondo problema, rappresentato dalla mancanza di fiducia da parte dei cittadini nei confronti delle autorità politiche, sia locali che nazionali, è stato portato all’evidenza al momento dell’attivazione del piano pandemico: la politica ha rimesso agli scienziati la responsabilità di offrire soluzioni solide ai cittadini nonostante l’attività scientifica, come Balbi ha ricordato, non abbia il potere di fornire certezze, ma al meglio di circoscrivere l’incertezza. La somma delle differenti esigenze di politica e ricerca, dunque, ha avuto come risultato l’elaborazione di alcune scelte politiche confusionarie e decisamente poco chiare agli occhi dei cittadini (si vedano i ripetuti dietrofront sulla somministrazione del vaccino AstraZeneca, che hanno contribuito a rafforzare il trend dell’esitanza vaccinale). A questo punto, come sarebbe possibile sanare queste fratture e produrre un’efficace comunicazione della scienza? I nostri relatori sono stati concordi sulla necessità di focalizzarsi sull’educazione di entrambi i partecipanti allo scambio comunicativo: da un lato il mittente, la comunità scientifica, che deve acquisire nuove competenze per potersi interfacciare con il pluralismo del dibattito politico (da questa esigenza è nato, come accennato da Bucchi, il Master in Comunicazione della Scienza e dell’Innovazione); dall’altro il destinatario, i cittadini, che sin dall’età scolare dovrebbero essere introdotti non solo alle nozioni che fanno capo alle singole discipline scientifiche, ma anche al metodo della scienza e quindi al modus philosophandi che libera il ragionamento da estremismi (da un lato la sottomissione al principio di autorità, dall’altro lo scetticismo parossistico). Nonostante questo, la maturità dei due interlocutori potrebbe non essere sufficiente a performare una proficua trasmissione dell’informazione se non si ha a disposizione un canale, univoco e ufficiale, attraverso cui veicolare il messaggio: questa problematica, insieme a molte altre, è stata affrontata nell’ambito della terza sessione del seminario insieme a Roberta Villa, la cui interessante intervista è reperibile nel primo piano di questo numero. •

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Amedeo Balbi e gli studenti Leonardo Rezza e Valerio Santi durante la conferenza di apertura del seminario estivo 2021.