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editoriale
LEGGERE OLTRE IL BUIO
di Massimo Bran
Mentre vi apprestate a sfogliare, e speriamo a leggere con il giusto coinvolgimento, questo numero di ben 212 pagine di VeNews, in cui davvero la cultura si dipana in una trama espressiva che attraversa concentricamente tutti i linguaggi artistici, tra musica, arte, architettura, teatro, cinema, letteratura…, mentre, insomma, vi offriamo una guida a dir poco approfondita sulla sterminata teoria di opportunità culturali che questa città-mondo è in grado come e più di sempre di apparecchiare, non possiamo non confessarvi che proprio attorno a questa parola chiave del nostro vivere, Cultura per l’appunto, ci stiamo sempre di più amleticamente interrogando, chiedendoci quale sia davvero oggi il senso più profondo e utile del dedicarsi pienamente a questa parola, a questa materia vitale del nostro stare qui, in questo mondo, oggi. Si ha un bel dire che fare cultura, o semplicemente parlare di essa, restituirla con i mezzi che ciascuno ha a disposizione, è un atto che, al di là dell’intrinseco piacere in sé che ciascuno di noi prova abbeverandosene, non deve chiedere alcuna ricompensa nel presente, ben consapevoli che non è nel ristretto orizzonte dei nostri giorni che si proietta questo stesso atto, questa attività, speculativa o divulgativa che sia, bensì in una prospettiva temporale assai più estesa, dato che produrre, divulgare e assorbire cultura è un atto in primo luogo educativo, formativo, che quindi non ha nulla a che fare con una sorta di partita doppia costi/ricavi connotante la gran parte delle nostre incombenze, professionali o famigliari che siano, necessarie da espletare per sbarcare mensilmente il lunario. O meglio, per i più che vengono attraversati dalla parola cultura ciò non vale, dato che per chi in questo settore vi lavora eccome se vale! Ma questo è un altro, prosaico discorso che qui ora non ci interessa svolgere. Quindi, ce lo ripetiamo un po’ tutti in un processo di reciproco convincimento, dare del tu alla cultura, farla nostra con i mezzi e la preparazione che ciascuno diversamente possiede, per poi possibilmente restituirla a più individui possibili con i quali poter interagire, ancor meglio se ai più giovani, significa essere compartecipi di una costruzione in divenire di una società più ricca di idee, di valori, in una parola, più civile. Ben consapevoli che questo agire non garantisce affatto da insidie rappresentate da forme le più varie e gravi di regressione, figuriamoci, eppure convinti che la parola cultura, l’utensile cultura serva a rigenerare anime e menti proprio dopo le più spaventose parentesi regressive, ahinoi costanti digressioni nel discorso civile in perpetuo divenire, a ritessere il fragile filo della convivenza tra diversi nel segno del rispetto e della fervida curiosità verso le infinite meraviglie che caratterizzano questo mondo. Forti sin qui dell’idea che cultura, tra le mille altre cose, significhi in primis costruire un edificio sociale insieme solido e aperto dove far germogliare idee, pensieri, progetti i più vari, una sorta di azione di inseminazione di piante a crescita lenta e bisognose di costanti inaffiamenti.
Questo tenace convincimento, questa irriducibile tensione verso la formazione di un domani più intrigante, accogliente, direi stimolante, talvolta però si incrinano, si crepano. Certo, vivere la cultura nel modo più corretto e sensato, come abbiamo appena detto, coincide con un processo di costruzione, di formazione di noi stessi e di chi ci circonda. Eppure quando vedi che tutto questo dire, seminare, costruire viene devastato da uragani di immane rozzezza morale e linguistica, sì, linguistica, perché è il linguaggio una delle prime spie del grado di civiltà ed acculturazione acquisito in un dato momento da una compagine sociale, da una violenza di sguardi e parole che finisce inevitabilmente per farsi violenza fisica effettiva in un percepito progressivamente sempre più alienato e permeabile a questa stessa violenza, beh, non può infine non arrivare il momento in cui ti interroghi allo specchio chiedendoti davvero che senso abbia far parte di questo insieme di persone convinte che le arti, le culture, definiamole pure al plurale, sì, possano svolgere un ruolo di pulizia mentale diffusa, quando hai la netta sensazione che neanche una scintilla di tutto ciò sia in grado di accendere un seppur piccolo fuocherello di civiltà oggi, qui. Perché va bene essere consapevoli che si lavora per un domani da costruire con profonda pazienza ed altrettanta tenacia, però, vivaddio, è pur sempre qui e ora che (anche) viviamo.
Un bel arrovellarsi, questo, in tempi truci e grevi quali quelli che stiamo attraversando, in cui le semplificazioni più brutali e autoritarie sembrano essere il verbo ormai metabolizzato dalla maggioranza degli esseri umani, chi con adesione ottusa e militante, chi con cupa rassegnazione. È sconvolgente osservare inermi la rapidità del decadimento del discorso pubblico, con la scomparsa pressoché totale di quei soggetti di mediazione sociale quali erano, per esempio, i grandi partiti politici di ieri, fossero essi progressisti o conservatori, che rappresentavano dei punti di riferimento imprescindibili a cui guardare per immaginare, ma poi proprio per poter individualmente contribuire a migliorarla, una società fatta di individui sempre più alfabetizzati, consapevoli dei propri diritti e doveri, sempre più, e ritorniamo alla nostra cara, insidiata parola, acculturati. Oggi se articoli un discorso con qualche congiuntivo di troppo e qualche metafora minimamente azzeccata subito ti incasellano sprezzantemente nelle truppe salottiere dei cosiddetti radical chic (sic), tra quella élite (sic/2) che predica bene e poi razzola non male, di più. Siamo arrivati al punto che proferire frasi perentoriamente grevi e dirette, senza alcuna premura di non turbare l’altro da sé, il Nemico!, equivale ad appiccicarsi delle tronfie, brezneviane medaglie al petto. Questo mondo Occidente incluso, eccome!, rimascolinizzatosi a velocità vorticosa, con questi ridicoli e pericolosi uomini bianchi insofferenti a ogni altra eventualità che non sia il potere per il potere, intolleranti verso ogni forma di alterità, questi bulli trumpini e trumpotti col petto
gonfio di nulla se non di violenza, ma vera e sempre più incendiaria, gente che fino a un paio di lustri fa neanche li facevano entrare nelle stanze della decenza del potere e che ora dispongono a loro crasso piacimento del destino di tutti noi, ebbene, in questo presente sempre più liberticida e dalla cifra morale sempre più penosa viene davvero da chiedersi cosa mai si potrà fare, quanto si potrà anche minimamente incidere in una società così paurosamente involgaritasi lavorando con la cultura per almeno arginarne le derive più oscene. L’inutilità del proprio anche minimo contributo in tale direzione, il senso di impotenza che ti assale quando non hai neanche più la lingua per poter dialogare con questa brutta, brutta gente, davvero ti portano a chiederti perché, chi me lo fa fare di combattere con le parole, i linguaggi artistici, la scrittura, il dialogo aperto attorno alle idee, alla bellezza, quando la possibilità di contribuire anche minimamente a rendere più digeribile questa società oggi è vicina alla zero? Non ci sono conclusioni consolatorie attorno a tanto arrovellarsi, no. La situazione è grave ma non è seria, verrebbe davvero da dire con l’inarrivabile Flaiano. Talmente aggravatasi che non resta che l’impulso a ritrovarsi tra simili, condividendo più o meno ludicamente il tempo in società, nutrendosi del piacere puro che la cultura regala sempre, senza troppo investire mentalmente in un futuro da riparare.
Eppure in questo clima da fine impero mesto e malinconico, dove il rischio di farsi inutilmente autoreferenziali è altissimo, non vogliamo credere che non possa prima o poi nuovamente far capolino l’occasione di poter produrre uno scarto, di volare via beffardi in contropiede facendo di nuovo gol con la cultura, con che altro? Sono probabilmente proprio questi i momenti, anche se si stenta sempre di più a crederlo, in cui la tenuta civile, il produrre cultura assumono un valore cruciale per tenere viva la fiammella della decenza etica. È proprio quando il buio si fa sempre più pesante che ogni fioco fascio di luce è vita, speranza, domani, anche se quando si è immersi in queste oscurità si fatica anche solo a immaginare che così possa essere. È solo usciti dal tunnel cieco che si finisce per misurare il peso vitale di questi lievi bagliori. Dentro è fatica, paura, mestizia. Ma crederci sempre non è un’opzione, è un dovere. E un sottile, persistente piacere.
A Satellite Symphony, Space Caviar, Robert Gerard Pietrusko, Ersilia Vaudo, Arsenale - Photo Luca Capuano, Courtesy La Biennale di Venezia
october november2025
coverstory (p. 10 ) 69. Biennale Musica – La stella dentro | Chuquimamani-Condori | Meredith Monk | Rafael Toral, Bendik Giske, Nkisi | DeForrest Brown Jr / William Basinski | Moritz von Oswald / Luka Aron | Intervista Christian Fennesz | Laurie Spiegel | Intervista Mabe Fratti | Intervista Aleksi Perälä | ASA-CHANG & Junray | Actress & Suzanne Ciani | Graindelavoix | Carl Craig | Mia Koden | Abdullah Miniawy Trio | FontanaMIX Ensemble | Enrico Malatesta | Kamigaku Ensemble | Lucy Railton | Ellen Arkbro | Sunn O))) | FUJI|||||||||||TA | Intervista Maxime Denuc | Agnese Menguzzato / Morgana / Moor Mother/ Ecco2k | Biennale College | Playlist incontro (p. 46 ) Filippo Dini –Direttore Artistico Teatro Stabile del Veneto – Teatro Nazionale tradition (p. 54 ) Festa di San Martino | Festa della Madonna della Salute architettura (p. 60 ) 19. Mostra Internazionale di Architettura – Intelligens | Clima: Regno del Bahrain, Emirati Arabi Uniti, Libano, Brasile, Germania, Catalonia in Venice, Pakistan | Economia circolare: Filippine, Messico, Danimarca, Spagna, Montenegro, Rooted Transience, Togo | Rifugi collettivi: Croazia, Irlanda, Sultanato dell’Oman, Perù, Ucraina, Gran Bretagna, Paesi Bassi, Polonia, Cipro, Santa Sede, Thailandia | Progettazione ibrida: Regno del Marocco, Slovenia, Egitto, Finlandia, Serbia, Ungheria, Armenia | Sperimentazione: Italia, Belgio, Canada, Paesi Nordici, Islanda, The Next Earth | Not Only Biennale | Time Space Existence | Diagrams | Identitalia | Intervista Giovanni Bonotto | Franco Bortoluzzi arte (p. 94 ) Tatiana Trouvé & La Ribot | JR | The Quantum Effect | Lucio Fontana | Casanova e Venezia | Terry Atkinson | The International Festival of Films on Art 2025 | Gastone Novelli | Karen LaMonte | Pietro Bellotti | L’Album Cicognara | Antonio Beato | Robert Mapplethorpe | Andrea Francolini | Luc Tuymans / Munch | Vetro mania | John Baldessari | Giulia Piscitelli | Telemachus | Ocean Space | Clément Cogitore | Tolia Astakhishvili | Palazzo Vendramin Grimani | Galleries | Not Only Venice | storie (p. 124 ) A proposito di Palestina musica (p. 126 ) Jan Garbarek Group feat. Trilok Gurtu | Arbenz X Arbenz /Jerjen / Vistel / Vistel | Enrico Pieranunzi & Aldo Di Caterino | Venezia Jazz Festival | Venezia Sounds | Vinicio Capossela | Dino Brandão + Mel D Trio | Calibro 35 / Kety Fusco | Simona Molinari | Elio | Bissuola Live | Candiani Groove | Carmen Consoli | Francesco De Gregori | Hiromi | Padova Jazz Festival classical (p. 142 ) Parigi Romantica pop | Wozzeck | La clemenza di Tito | Festival Luigi Nono | Premio Alma Dal Co 2025 | Riccardo Muti | Musikàmera | Teatro Toniolo | Sulle Note del Secolo | Values in Music theatro (p. 154 ) Bestiario idrico | Teatro di Cittadinanza | Baccanti | Sette spose per sette fratelli | Alieni in laguna | La vedova scaltra | Amadeus | TOP - Theatre of the People | Frida | Pokemon Crew | VeneziainDanza | Intervista Gabriella Furlan Malvezzi – La Sfera Danza | Intervista Maria Cargnelli | Comici cinema (p. 168 ) Thomas Schütte | Intervista Teona Strugar Mitevska – Mother | Frankenstein | After the Hunt | René Clair, Paris qui dort | INVOLVED! MovieLab | Burano Artificial Intelligence Film Festival | RI-VE. Mappa di comunità | Giornate del Cinema Muto | Supervisioni | Cinefacts: Festa del Cinema di Roma etcc... (p. 180 ) Intervista Francesco Danesi della Sala | Mario Rigoni Stern | Festival dei Giardini Veneziani | Festival delle Idee | Parole: Ascolta! citydiary (p. 190 ) Salone dell’Alto Artigianato Italiano | Venice Design Week, Venice Cocktail Week, Venice Fashion Week, Venice Photo Lab | Venicemarathon, Venice Hospitality Challenge, Veleziana | Agende | Mostre a Venezia
C2TEATRO STABILE DEL VENETO NEW SEASON
Filippo Dini, Artistic Director of Teatro Stabile del Veneto –Teatro Nazionale, introduces a new season with over 80 performances across Venice, Padova, and Treviso. At Goldoni Theatre, the curtain rises in November with Marco Paolini’s Bestiario idrico i ncontro p. 46 t heatro p. 154
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TATIANA TROUVÉ/ LA RIBOT & ASIER PUGA AT PALAZZO GRASSI
Tatiana Trouvé transforms space into a labyrinth of memory, magic, and inner landscapes, met by La Ribot’s radical voice between theatre and political body. arte p. 94
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69. BIENNALE MUSICA
LA STELLA DENTRO
In her debut as director, Caterina Barbieri unveils La stella dentro, a constellation of sounds, voices, and visions that span eras and geographies. Music becomes cosmic matter, bridging distant traditions and opening unexpected paths between past and future. cover story p. 10
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19. BIENNALE ARCHITETTURA INTELLIGENS
Our correspondents share key snapshots from the Biennale Architettura, including Carlo Ratti’s vision: a live exploration of architecture’s genetic mutations through networks of natural, artificial, and collective intelligence. a rchitettura p. 60
FESTA DELLA SALUTE
The story of a religious fete that is historical, folksy, and architectural. Venice renovates its appointment with tradition and ritual. On November 21, it will become the most authentic version of itself. t radition p. 56
VENEZIA JAZZ FESTIVAL
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Veneto Jazz celebrates its 40th anniversary with a mirror-play of influences, from refined lyricism to contemporary groove, realism to spiritual traditions with artists like Raphael Gualazzi and Enrico Pieranunzi. musica p. 128
T E SPARIGI ROMANTICA POP
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Palazzetto Bru Zane’s autumn festival revives 19thcentury French opéra-bouffe with playful melodies and eccentric charm, featuring works by Hervé, Offenbach, Messager, and Serpette. classica l p. 142
Se il brillio delle stelle mi fa male, se è possibile questa comunicazione lontana, è perché qualcosa che forse assomiglia a una stella mi freme dentro
Clarice Lispector
Carl Craig - Photo Tim Saccenti, Courtesy La Biennale di Venezia
DIRETTRICE ARTISTICA
LA PORTA SULL’ALTROVE
La musica è la stella dentro. È il desiderio di cose grandi, di vastità. Il Festival si propone di esplorare il tema della musica cosmica. Con questa definizione poetica, non si fa riferimento a uno specifico stile o una tradizione musicale quanto piuttosto al potere generativo della musica di creare nuovi mondi, oltre rigide definizioni di genere o affiliazione storica. Nella mia curatela per la Biennale Musica vorrei avere uno sguardo sul contemporaneo il più vivo e fluido possibile, rappresentando la musica del presente nella sua ricchezza e diversità, celebrare la permeabilità del linguaggio musicale e la sua innata capacità di mutare pelle. Il programma del Festival affonda le sue radici nella musica elettronica e nel minimalismo, ma si dirama in molteplici direzioni che esplorano le connessioni tra passato e presente, giustapponendo tradizioni musicali apparentemente distanti tra loro in termini di stile, epoca, geografia ed espressione comunitaria. Caterina Barbieri
Caterina Barbieri - Photo Andrea Avezzù, Courtesy La Biennale di Venezia
biennalemusica
GUIDA ALL’ASCOLTO di F.D.S.
Si intitola La stella dentro il 69. Festival Internazionale di Musica Contemporanea che si svolgerà a Venezia dall’11 al 25 ottobre. Un’immagine poetica che richiama, nelle parole della direttrice Caterina Barbieri, «il desiderio di cose grandi, di vastità. Vibrazione che permea il cosmo e ci attraversa con meraviglia, dalla molecola al moto planetario, il suono trasporta fuori dai confini dell’ego e apre all’incontro con l’altro – l’ignoto». Abbandonate le tassonomie delle edizioni precedenti, che, magari con un formalismo un po’ troppo accentuato, si erano comunque proposte l’arduo compito di offrire una mappatura alla musica contemporanea, esplorando anche le sue svariate zone di confine, l’approccio curatoriale della giovane, nuova direttrice punta direttamente al cuore di un settore ben definito della musica di oggi, la ‘musica cosmica’. Non c’è dubbio che si tratti di un sensibile cambiamento di rotta perché si rinuncia consapevolmente ad una visione olistica, in cui ogni singola manifestazione della musica si tiene come all’interno di un sistema, adottando un punto di vista non sedotto dall’idea della musica come genere della tradizione, che nel Novecento ha conosciuto sì delle trasformazioni epocali da tutti i punti di vista, ma non tali da spezzarne la continuità con tutto il suo patrimonio storico, da Monteverdi al post-Schoenberg.
Ciò che definisce la musica cosmica è innanzitutto una sorta di ontologica fede, quella di riprogettare il mondo secondo regole altre, secondo visioni che sono il frutto della fusione di due costanti tese entrambe fino all’eccesso: libertà interiore e conoscenza delle macchine musicali. E non è un caso che l’unico musicista della tradizione classica che ho visto citato nelle interviste di anticipazione del festival sia proprio Johann Sebastian Bach. Scrive infatti Caterina Barbieri che per musica cosmica «non si fa riferimento a uno specifico stile o a una tradizione musicale quanto piuttosto al potere generativo della musica di creare nuovi mondi, oltre rigide definizioni di genere o affiliazione storica… Nell’estasi dell’ascolto, anche le nozioni di tempo e spazio si dissolvono: la musica ci insegna molto sulla relatività e i limiti della percezione umana». Come si intuisce, qui si privilegia l’idea di percezione della musica, non tanto la sua creatività come sistema valoriale-simbolico di appartenenza ad una storia dell’Occidente. E questa modalità di percezione deve portare all’estasi, alla identificazione dell’ascoltatore con un ‘oltre la musica’ che non è non più attribuibile alla bellezza timbrica, al rapporto tra suono e silenzio, alla scoperta delle forme di integrazione tra suono naturale e suono elettronico. No, qui il suono elettronico è l’elemento dominante, non più mediato dal suono degli strumenti orchestrali, e si manifesta nel genere del minimalismo per diramarsi poi in molteplici direzioni. «Ci sono incursioni nella musica antica, contemporanea, folk, drone music, techno e afrofuturismo. Una programmazione per risonanza per restituire uno sguardo sul contemporaneo il più vivo e fluido possibile rappresentando la musica del presente nella sua ricchezza, diversità, inclusività», recita il cuore del comunicato. Biennale Musica 2025 si manifesta quindi come una strategia di estrema focalizzazione del campo musicale rispetto a quello che era il senso di marcia di Biennale Musica finora, non più quindi interessata a descrivere le molteplici traiettorie della musica colta, che partivano dal silenzio per arrivare al silenzio, quanto ad esplorare la capacità della musica elettronica di intervenire sui livelli percettivi dell’ascoltatore conducendolo in una ‘dimensione’ di trance ed estasi. Ma sbaglierebbe chi confondesse questo assunto con un approccio new age in cui la musica diventa la comfort zone di supporto ad un dérèglement sensoriale individuale e vagamente tossico. No, la musica cosmica, nel programma ideato da Barbieri, è un hortus non conclusus, che, partendo dal ceppo originario di una musica sintetica che vuole riprodurre il mondo vero (The Expanding Universe di Laurie Spiegel, le onde dell’Oceano di Suzanne Ciani, la radicalità della pioniera Eliane Radigue), nel tempo si arricchisce di nuovi apporti innovativi che vanno nella direzione della rivisitazione della musica cosmica (William Basinski, ad esempio), della sperimentazione d’avanguardia (Rafael Toral) o del rapporto ossessivo con la dimensione mono-strumentale (Maxime Denuc, Ellen Arkbro, Bendik Giske).
biennalemusica
LEONI
Come eravamo Il Leone d’Argento a Chuquimamani-Condori
Pochi altri artisti del panorama contemporaneo guardano al passato e al presente come Chuquimamani-Condori, musicista di origine boliviana il cui progetto è noto anche come Elysia Crampton Chuquimia. Naturale, quindi, che il suo terreno d’indagine catturasse l’attenzione di Caterina Barbieri, alla direzione della sua prima Biennale Musica ma capace da subito di imprimere al proprio mandato un indirizzo d’indagine ben preciso e focalizzato. «Per il contributo innovativo alla musica contemporanea, la sperimentazione artistica multidisciplinare e la partecipazione a un discorso culturale più ampio, che connette la musica a temi di identità e storia, la Biennale Musica assegna il Leone d’Argento a Chuquimamani-Condori», recita la motivazione argomentata da Barbieri per descrivere l’artista che darà il via alla prossima edizione di Biennale Musica, La stella dentro, il prossimo 11 ottobre.
Chuquimamani-Condori presenta a Venezia Cry of Our Guardian Star, un’importante nuova commissione site-specific della Biennale che riporta il pubblico ad antiche cerimonie legate all’acqua e celebra il suono come rituale collettivo. Una processione musicale di piccole imbarcazioni attraversa i canali di Venezia e culmina in una performance dal vivo dei Los Thuthanaka (il duo formato da Chuquimamani-Condori e dal fratello Joshua Chuquimia Crampton) davanti all’Isolotto dell’Arsenale. Radicato nella cosmologia Aymara e nel pensiero anticoloniale, il lavoro di Condori fonde tradizioni folk con tecnologie digitali e club culture, costruendo collage sonori massimalisti in cui temi di identità, storia e resistenza convergono. La sua musica reimmagina il suono come mezzo di narrazione e trasformazione, stratificando sintetizzatori melodici futuristici con situazioni poliritmiche. Una carriera ventennale, la sua, che si è sviluppata grazie ad un approccio innovativo al suono attraverso l’uso del campionamento, strutture poliritmiche, synth melodici futuristici e narrazioni personali complesse, in un’estetica sonora che fonde folk e iper-contemporaneo.
ENG Few contemporary artists engage with past and present like Chuquimamani-Condori, a Bolivian-born musician also known as Elysia Crampton Chuquimia. It’s no surprise that her work caught the attention of Caterina Barbieri, who, in her first Venice Music Biennale, has set a clear, focused direction. “For the innovative contribution to contemporary music, the multidisciplinary artistic experimentation and participation in a wider cultural discourse, connecting music to themes of identity and history, the Biennale awards the Silver Lion to Chuqimamani-Condori”. Chuquimamani-Condori presents in Venice Cry of Our Guardian Star, a major new Biennale commission evoking ancient water rituals and celebrating sound as collective ritual. A musical procession of boats crosses Venice’s canals, culminating in a live performance by Los Thuthanaka (Chuquimamani-Condori and her brother Joshua) at the Arsenale. Rooted in Aymara cosmology and anticolonial thought, her work fuses folk traditions with digital and club culture, creating maximalist sound collages where identity, history, and resistance converge. Her twenty-year career is marked by innovative use of sampling, polyrhythms, futuristic synths, and complex narratives, blending folk and hyper-contemporary aesthetics.
Chuquimamani-Condori
11 ottobre h. 18
Da ponte dei Giardini a Giardino delle Vergini
Consegna del Leone d’Argento
12 ottobre h. 12
Ca’ Giustinian, Sala delle Colonne
Photo Anahita Asadifar - Studio Harchi and Tschandmann - Courtesy La Biennale di Venezia
La perenne ricerca Meredith Monk, instancabile innovatrice di universi vocali
La sua carriera ha ridefinito, scuotendolo dalle fondamenta, il concetto di ‘performance’. Sì, perché Meredith Monk, newyorkese classe 1942, fin dal primo insorgere della propria vocazione musicale ha dato prova di considerare i confini solo ed unicamente quali meri gradini da affrontare in un’ascesa verso la produzione musicale più pura, trovando comodo habitat proprio nei territori che Caterina Barbieri quest’anno si propone di scandagliare versatilmente a tu per tu con il pubblico. «La sua musica – si legge nella motivazione che le ha portato in dote il Leone d’Oro di questa Biennale Musica – esiste nello stesso spazio che La stella dentro si propone di esplorare: una cosmogonia sonora, una vibrazione che ci attraversa connettendoci con l’altro, un’eco profonda in cui l’ascolto diventa trasformazione. Le sue incantazioni senza parole e la capacità di costruire interi mondi sonori a partire dai gesti più semplici danno vita a un dialogo tra materia e spirito, tra presenza e trascendenza. Il suo lavoro non si lascia imbrigliare da categorie storiche, ma apre un universo sonoro vivo in continua evoluzione, che appare al tempo stesso arcaico e radicalmente innovativo».
Fondatrice di The House (1968) e del Meredith Monk & Vocal Ensemble (1978), ha creato opere che fondono musica, teatro, danza e cinema, spingendosi costantemente oltre i confini delle arti. Il suo ciclo Songs of Ascension (2008) rappresenta una delle vette della sua ricerca musicale unendo voce, architettura sonora e spiritualità in una composizione che esplora l’elevazione in musica. L’opera, concepita per una torre a otto piani progettata dall’artista visiva Ann Hamilton, unisce quartetto d’archi, strumenti a fiato, percussioni e coro.
Songs of Ascension Shrine, in Sala d’Armi E dal 14 al 24 ottobre, è scultura sonora e assieme esperienza visiva multidimen-
sionale che reinterpreta una performance dal vivo dell’omonima opera di teatro musicale registrata all’interno della Ann Hamilton Tower all’Oliver Ranch di Geyserville, in California. Nella forma di un trittico video, le immagini si allineano, molteplici prospettive di un singolo momento emergono o fungono da contrappunto tra loro, creando un paesaggio caleidoscopico e immersivo. Ma non sarà questo l’unico tributo che la Biennale le riserverà, offrendo agli spettatori una speciale esibizione al Teatro Malibran il 18 ottobre in cui la “maga della voce” propone uno dei suoi rari e più intimi concerti insieme a due rinomate componenti del suo Vocal Ensemble, Katie Geissinger e Allison Sniffin. Una serata che sintetizza i sei decenni di innovazione e straordinaria maestria vocale dell’artista, esplorando in profondità le innumerevoli possibilità della voce umana. Davide Carbone ENG Her career has redefined the very concept of performance. Since the beginning, New York-born Meredith Monk (1942) has treated boundaries as mere steps toward the purest musical expression, thriving in the very territories that Caterina Barbieri explores this year in dialogue with the audience. “She creates a sonic cosmogony”, reads the Venice Music Biennale’s Golden Lion citation, “a vibration that connects us, where listening becomes transformation. Her wordless incantations and ability to build entire sound worlds from simple gestures create a dialogue between matter and spirit, presence and transcendence.” Founder of The House (1968) and the Meredith Monk & Vocal Ensemble (1978), Monk merges music, theater, dance, and film. Her Songs of Ascension (2008), created for an eight-story tower by visual artist Ann Hamilton, blends voice, architecture, and spirituality. Songs of Ascension Shrine, on view Oct 14–24 at Sala d’Armi E, is a multidimensional video sculpture from a live performance in California. On Oct 18, Monk performs a rare, intimate concert at Teatro Malibran with Katie Geissinger and Allison Sniffin, celebrating six decades of vocal mastery and exploration.
Monk | In concerto
ottobre h. 20 Teatro Malibran Consegna del Leone d’Oro
ottobre h. 12
Giustinian, Sala delle Colonne
Photo Christine Alicino Hands - Courtesy La Biennale di Venezia
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PRIME MONDIALI
Guide spirituali Tre prime mondiali aprono La stella dentro
La straordinaria opportunità di poter di assistere a tre prime mondiali in un’unica serata pone per l’ennesima volta Venezia al centro dei linguaggi contemporanei globali, ribadendo il ruolo di Biennale di osservatore privilegiato del “qui e ora”. L’11 ottobre il Teatro alle Tese è il luogo prescelto per far confluire in scena Rafael Toral, Bendik Giske e Nkisi (alias Melika Ngombe Kolongo) con i rispettivi lavori presentati in anteprima assoluta al pubblico nella serata d’apertura della Biennale Musica 2025. Sviluppato parallelamente al grande successo di critica di Spectral Evolution del febbraio 2024, frutto di tre anni di lavoro e prima pubblicazione della Moikai di Jim O’Rourke dal 2002, Travelling Light è la prima assoluta del nuovo lavoro per chitarra di Rafael Toral, composizione che approfondisce il dialogo con la tradizione armonica jazz attraverso arrangiamenti ancora più avventurosi, coinvolgendo Bruno Parrinha (clarinetto), Rodrigo Amado (sax tenore), Yaw Tembe (flicorno) e Clara Saleiro (flauto) in una riuscita sintesi tra texture ambientali microtonali e risonanze elettroniche, dissolvendo i confini tra struttura e fluidità. Della fluidità ha fatto un proprio caposaldo Bendik Giske, musicista e artista performativo norvegese celebre per aver ridefinito i confini espressivi del sassofono e noto per la sua straordinaria padronanza della respirazione circolare, tecnica che gli consente di suonare note continue e ininterrotte. Il suo Into the Blue pesca dalla letteratura, precisamente dalle riflessioni sullo spettro del colore del regista e sceneggiatore Derek Jarman nel libro C hro-
ma: A Book of Color, per ragionare sul ruolo dell’osservazione e della trascrizione come atto sovversivo.
«Sono sempre stata ossessionata dalle antiche sculture kongo. Come quelle statuette andavano attivate magicamente durante i rituali, così la musica è un manufatto che ha bisogno di essere attivato nel corso dei vari rituali che oggi raccolgono insieme tanta gente». così Nkisi spiega l’origine del nome d’arte che ha scelto per definirsi come dj, produttrice e curatrice. Al concerto inaugurale del Teatro alle Tese presenta Anomaly Index, una serie di composizioni dal vivo che esplora fenomeni para-acustici e anomalie uditive emersi da ricerche d’archivio e indagini di natura psichica. Davide Carbone
ENG Witness three world premieres in a single evening once again places Venice at the forefront of global contemporary expression, reaffirming the Biennale’s role as a privileged observer of the here and now. On October 11, Teatro alle Tese hosts Rafael Toral, Bendik Giske, and Nkisi, each presenting new works for the opening night of Biennale Musica 2025. Toral’s Travelling Light, a bold new guitar composition, deepens his dialogue with jazz harmony through adventurous arrangements and ambient microtonal textures, performed with Bruno Parrinha, Rodrigo Amado, Yaw Tembe, and Clara Saleiro. Bendik Giske, known for his mastery of circular breathing and expressive saxophone technique, presents Into the Blue, inspired by Derek Jarman’s Chroma, exploring observation and transcription as subversive acts. Nkisi debuts Anomaly Index, a live series investigating para-acoustic phenomena and psychic anomalies, rooted in ritual and the symbolic power of Kongo sculpture.
Rafael Toral | Travelling Light
Bendik Giske | Into the Blue Nkisi | Anomaly Index
11 ottobre h. 21 Teatro alle Tese, Arsenale
Photo Vera Marmelo - Courtesy La Biennale di Venezia
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LIVE
La Biennale commissiona a William Basinski un nuovo monumentale lavoro che prendendo spunto dai tape loops del suo celebre The Garden of Brokenness del 2006 lo arricchisce di una trascrizione del pianista Adam Tendler, suo stretto collaboratore, e la registrazione di motori di vaporetto inseriti in una texture sonora che si fa riflessione sui concetti di tempo e memoria.
Critico culturale, musicista, teorico: DeForrest Brown Jr.mette in campo tutte le sue diverse sensibilità per confezionare una performance che sfruttando il registro live electronics esamina la techno non solo come genere musicale, ma come sistema di pensiero.
Ottoni e synth sono strati musicali che ci parlano di diaspora e traumi generazionali, immaginando futuri possibili.
ENG The Biennale commissions William Basinski for a monumental new work expanding on The Garden of Brokenness with Adam Tendler’s piano transcription and vaporetto engine recordings, exploring time and memory. DeForrest Brown Jr. blends critique, music, and theory in a live electronics performance, treating techno as thought-system, layering brass and synths to evoke diaspora, trauma, and possible futures.
‘Voci’ di campane registrate a Venezia, Stoccolma e nel suo paese natale della Foresta Nera guidano la ricerca di Luka Aron per Biennale Musica sovrapponendosi a segmenti digitali, per indagare sugli aspetti inarmonici instabili di uno strumento musicale tra i più antichi e più legati alla storia dell’uomo.
Figura cardine della musica elettronica sperimentale, Moritz von Oswald risponde all’invito di Caterina Barbieri portando alla Biennale una composizione in prima italiana che si avvale della collaborazione di un coro di 16 voci: sul palco in questa occasione unica ecco il Coro della Cappella Marciana diretto da Marco Gemmani, con arrangiamenti firmati da Jarkko Riihimäki ed electronics curati da von Oswald.
ENG “Voices” of bells recorded in Venice, Stockholm, and his native Black Forest guide Luka Aron’s research, layered with digital fragments to explore unstable, inharmonic aspects of one of humanity’s oldest instruments. A central figure in experimental electronic music, Moritz von Oswald joins Caterina Barbieri’s invitation, premiering in Italy with the Cappella Marciana Choir, led by Marco Gemmani, with arrangements by Jarkko Riihimäki and electronics by von Oswald.
William Basinski | The Garden of Brokenness
DeForrest Brown Jr. | Speaker Music
12 ottobre h. 18
Teatro alle Tese, Arsenale
Luka Aron | Up in the Bell Tower
Moritz von Oswald | Silencio
15 ottobre h. 20
Teatro alle Tese, Arsenale
DeForrest Brown Jr / William Basinski
Moritz von Oswald / Luka Aron
Photo Michael Valiquette - Courtesy La Biennale di Venezia
Photo Tina Paul - Courtesy La Biennale di Venezia
Photo Camille Blake - Courtesy La Biennale di Venezia
biennalemusica
VENICE RIVISITED
I mondi possibili
Intervista Christian Fennesz
di F.D.S. e Davide Carbone
Christian Fennesz, conosciuto dai più solo con il suo cognome, è uno degli artisti più rilevanti nella scena musicale degli ultimi trent’anni. Diplomato in chitarra al Conservatorio, rimarrà sempre fedele a questo strumento, il cui suono, filtrato e rigenerato attraverso strumenti ed effetti elettronici, definisce la totalità dei suoi lavori dal vivo e su disco. Se i tedeschi Oval sono gli antesignani della glitch music, con il loro disco 94diskont del 1995, Fennesz ne appare come il normatore già con il suo primo disco, Hotel Paral.lel, pubblicato nel 1997. Attraverso un campionario di droni sfuggenti, brividi di rumore bianco, ritmi elettronici di inflessibile semplicità, Fennesz tesse trame che non si consumano interamente in un approccio dark in cui trionfa solo l’imperturbabilità della macchina. Tutt’altro: il disco è pervaso da una brillantezza, una sensibilità melodica che si riveleranno poi come le caratteristiche essenziali e costanti della sua musica. Dopo un secondo disco in cui offre un campionario di tutti i possibili suoni che si possono ottenere avendo una chitarra, un laptop, un po’ di pedali e di effetti, nel 2001 Fennesz decide di spogliarsi del ruolo fin qui esercitato di controller del processo di produzione sonora dandosi in modo assoluto all’estasi della musica. E realizza il suo capolavoro, Endless Summer, un disco il cui ascolto provoca la stessa sensazione struggente di una musica votata alla nostalgia del passato quale solo i Beach Boys hanno saputo offrire. E infatti, confessa il musicista, durante il lavoro in studio ascoltava in loop Smile, il mitico ‘disco perduto’ del gruppo californiano. Il disco abbaglia per la capacità di generare trame melodiche e ritmiche che si susseguono senza respiro, in un vortice di musicalità in cui anche la chitarra di Fennesz spesso diventa riconoscibile, non più coperta da strati e strati di effetti e manipolazioni. È proprio Endless Summer che fotografa la perdita di centralità della musica rock che si consumava in quegli anni, e lo fa celebrando senza nessun infingimento il culto nostalgico di quel genere. E tre anni dopo, nel 2004, arriva un altro capolavoro, Venice per l’appunto, originariamente registrato nella città lagunare. Venice appare sospeso tra l’estasi nostalgica del disco precedente e la costante incursione di drones e samples che si manifestano come elementi estranei, anche se non conflittuali. L’album è stato recentemente ripubblicato da Touch Music in una versione espansa per celebrare il ventennio di questo autentico capolavoro di astrazione sonica ed emotiva, in cui chitarra acustica, elettrica, sintetizzatori, campionatori e field recordings raccolti a Venezia si incontrano in una tensione sublime fra bellezza e decadimento. Dalle parole dell’artista Venice è “descrizione suggestiva di un dignitoso declino, decadimento, morte e rinascita” che perfettamente incapsula la natura mutevole ed effimera della città d’acqua, di cui Transit, la traccia dell’album realizzata in collaborazione con David Sylvian, sembra esserne espressione di massima intensità
emotiva. Forse la carriera futura del musicista austriaco non produrrà più, nei 20 anni successivi, musiche dai picchi così alti come i due lavori di cui abbiamo appena parlato. Tuttavia è certo che Fennesz, che abbiamo incontrato per voi, focalizzerà il suo genio musicale verso una esplorazione costante di una musica ambient depurata della sua dimensione misteriosa e sfuggente, per approdare ad un canto che rimane sempre fonte di intense emozioni. Fennesz non perderà mai la vocazione che lo ha attraversato tutta la sua vita: la capacità di trasformare la sua chitarra e il suo lap-top in strumenti evocatori di mondi possibili, come nell’attesissimo Venice rivisited che arriva alla Biennale il prossimo 16 ottobre.
Lei è unanimemente considerato figura pionieristica della glitch music, espressione musicale elettronica nata dagli “errori” prodotti dalle apparecchiature digitali. Come si organizza il suo lavoro nella ricerca del repertorio da cui attingere?
Il termine glitch music non è nato da me e non descriverei, quindi, il mio lavoro in questi termini. Quello che continua certo ad affascinarmi è spingere gli strumenti digitali al limite, favorendo quelli che io chiamo ‘incidenti felici’. Spesso sono proprio quei momenti a diventare le parti più stimolanti da esplorare ulteriormente.
Il mio approccio, tuttavia, resta più vicino alla pratica tradizionale in studio: da sperimentazione/improvvisazione a idea, a composizione, a esecuzione/mix, in qualsiasi ordine.
Chitarre acustiche, elettriche, sintetizzatori, campionatori e field recordings: esiste un elemento principale da cui la composizione prende forma?
Tutte queste fasi hanno la stessa importanza. Ma se dovessi evidenziare tra tutti un elemento principale, questo è la chitarra, semplicemente perché è stato il primo strumento su cui mi sono cimentato.
Il suo lavoro Venice è stato originariamente registrato nel 2004 e vive oggi in una versione espansa che ne celebra il ventennale. Come e quanto è cambiato l’approccio a questo lavoro nelle due distinte occasioni? Quanto e come è cambiata “la voce di Venezia”?
Dal mio punto di vista la voce di Venezia non è cambiata. Ciò che è cambiato sono le condizioni tecniche con cui ho lavorato questa volta. Molti degli strumenti che usavo nel 2003/2004 non funzionano più sulle piattaforme moderne, quindi ho dovuto ripensare il mio processo ed esplorare nuovi approcci.
La sua carriera ci parla di moltissime collaborazioni con artisti del calibro di David Sylvian, Ryu¯ichi Sakamoto, Jim 0’Rourke. Quali sono stati i terreni di scambio, di confronto con questi artisti?
Si tratta di imparare gli uni dagli altri. Apprezzarsi e rispettarsi a vicenda. A volte ho bisogno di uscire dalla mia comfort zone, spinto dal desiderio di fare musica con artisti che ammiro.
Esiste un’altra città in particolare di cui vorrebbe registrare “la voce”?
Non ci ho ancora pensato, davvero. È anche difficile superare l’acustica unica di Venezia. La prossima città dovrebbe essere o eccezionalmente silenziosa o incredibilmente rumorosa.
Possible ENG Worlds
Christian Fennesz, known to most simply by his surname, is one of the most significant artists in the music scene of the past thirty years. A guitar graduate from the Conservatory, he has remained faithful to this instrument, whose sound defines the entirety of his live and studio work.
Fennesz – whom we had the chance to meet for you – has continued to channel his mu-sical genius into the constant exploration of an ambient music stripped of its mysterious and elusive dimension, arriving instead at a song that always remains a source of pro-found emotion. Fennesz has never abandoned the vocation that has run through his enti-re life: the ability to transform his guitar and laptop into instruments that evoke possible worlds – just as in the highly anticipated Venice Revisited, which will arrive at the Bienna-le this coming October 16.
How do you organize your work when searching for the repertoire you draw from?
What still fascinates me, though, is pushing digital tools to their limits so that happy accidents occur – and those are often what I enjoy working with further.
Otherwise, my approach is closer to traditional studio practice: experiment/improvisation – idea – composition – execution/ mix. In any order.
Acoustic guitars, electric guitars, synthesizers, samplers, and field recordings: is there a primary element from which your compositions take shape?
All of these things matter equally. But I’d say the main element is probably the guitar – simply because it was my first instrument.
Your work Venice was originally recorded in 2004 and now lives on in an expanded version celebrating its twentieth anniversary. How and to what extent has your approach to this work changed between the two occasions? How and to what extent has “the voice of Venice” changed?
In my view, The Voice of Venice hasn’t changed. What has changed are the technical conditions I was working with this time. Many of the tools I used in 2003/2004 no longer run on new computer platforms, so I had to rethink things and try out new approaches.
Your career includes many collaborations with artists such as David Sylvian, Ryuˉichi Sakamoto, and Jim O’Rourke. What were the common grounds for exchange with these artists?
It’s about learning from one another, appreciating and respecting each other. Sometimes I need to step out of my comfort zone, and I want to make music together with artists I admire.
Is there a particular city whose “voice” you would like to record? What are the reasons behind your choice?
I haven`really thought about that yet. It’s also hard to top the unique acoustics of Venice. It would have to be a city that’s either especially quiet or especially loud.
Photo Carsten Nicolai - Courtesy La Biennale di Venezia
Umano e tecnologico Laurie Spiegel e Dither Quartet, collaborazione tra visionari
Laurie Spiegel incarna la fusione delle competenze musicali della Julliard School, dove si è diplomata, con quelle tecnico-informatiche dei Bell Labs, dove ha sviluppato le prime tecnologie per comporre musica per computer. Nel 1977 ha composto Kepler’s Harmony of the Worlds, incluso nel Voyager Golden Record per il Programma Voyager della NASA. Nel 1980 ha pubblicato l’album della maturità, The Expanding Universe, le cui composizioni melodiche esplorano la relazione tra suono e cosmogonia. Spiegel è uno dei grandi innovatori della musica elettronica e lo è come si era innovatori un tempo in America, ponendo cioè una abissale conoscenza della tecnica al servizio di una strategia finale di democratizzazione degli output derivativi. E infatti il programma di musica creato da Spiegel, il Music Mouse, diventerà un prodotto commerciale per i computer di McIntosh, Amiga e Atari. Spiegel potrebbe essere l’avatar di questa Biennale Musica, perché ci insegna che la musica cosmica non è affatto la versione freak della musica contemporanea, ma un nodo vivo di pulsioni politiche libertarie e di condivisione della conoscenza innovativa.
La Biennale Musica presenta in prima europea The Expanding Universe (1974-1976), sua opera seminale che esplora la relazione tra suono e cosmogonia, reinterpretata dal Dither Quartet, quartetto di chitarre elettriche di New York noto per la versatilità con cui interpreta repertori sperimentali.
Il Festival rende così omaggio a una delle figure più influenti della musica elettronica, restituendo nuova luce a un’opera che continua a rivelare la sua forza visionaria, invitando a riflettere sulla musica come forma di conoscenza e immaginazione, mappa per navigare il mistero del tempo e della materia. F.D.S.
ENG Spiegel merges the musical mastery she acquired at the Juilliard School with the tech innovation of Bell Labs, where she pioneered early computer music tools. Her 1977 piece Kepler’s Harmony of the Worlds was included on NASA’s Voyager Golden Record. In 1980, she released The Expanding Universe, an exploration of sound and cosmology. A true electronic music innovator, Spiegel democratized music creation through her software Music Mouse, which she later marketed for Macintosh, Amiga, and Atari platforms. At the Venice Music Biennale, Dither Quartet reinterprets The Expanding Universe, honouring Spiegel’s visionary legacy and music as a tool for knowledge, imagination, and cosmic exploration.
Laurie Spiegel | The Expanding Universe
16 ottobre h. 20
Teatro Malibran
Photo Marilyn McLaren - Courtesy La Biennale di Venezia
biennalemusica
SITE-SPECIFIC
Non tutto è stato creato
Intervista Mabe Fratti
di Davide Carbone
Nata in Guatemala nel 1992, Mabe Fratti si avvicina alla musica all’età di otto anni attraverso il violoncello, strumento destinato a diventare naturale estensione della sua espressione artistica. La sua formazione si sviluppa inizialmente all’interno di una chiesa pentecostale, un ambiente in cui il canto e la partecipazione spontanea le rivelano il potenziale espressivo dell’improvvisazione. L’incontro tra rigore compositivo e libertà creativa segna da subito la sua ricerca musicale, ponendo le basi per un linguaggio in cui struttura e intuizione si fondono senza soluzione di continuità. Riconosciuta per la sua capacità di intrecciare formazione classica e ricerca sonora sperimentale, la violoncellista e cantante guatemalteca presenta alla Biennale di Caterina Barbieri una performance site-specific in collaborazione con l’artista venezuelano I. la Católica e il batterista messicano Gibrán Andrade, interlocutori di un dialogo che intreccia brani dal vasto repertorio di Fratti con interludi e improvvisazioni, come ci racconta nell’intervista che abbiamo realizzato per voi.
Fin dalla prima infanzia la sua formazione si è confrontata con un ambiente, quello della chiesa pentecostale, in cui la musica è più che mai rituale collettivo. Quanto e come questo contesto ha influito sullo sviluppo della sua carriera? Ricordo ancora con piacere le emozioni che provavo quando andavo in chiesa, ascoltavo la musica e c’era questa terza entità a cui la musica era dedicata. C’era un intermediario che era il messaggio e, quando le persone credevano in quel potere, la musica acquisiva un meta-significato che era davvero, davvero psichedelico. Credo di essere affezionata a quella “spiritualità”, o forse ancora di più allo stato mentale che deriva dal connettersi con la musica attraverso una divinità, anche se ora sono agnostica. Ho la sensazione che, quando suono e canto, cerco attivamente di portare chi mi ascolta e me stessa in quel medesimo stato di introspezione (anche se la mia musica è diventata più corporea/estroversa ultimamente). Forse, però, questo può essere un modo molto astratto di guidare le persone attraverso un’esperienza rituale; non che io pensi: “questo concerto sarà un rituale”, ma sicuramente, parlando di tecnicismi, direi che melodie lunghe e malinconiche facilitano decisamente quella sensazione. Sono strumenti, questi, che tendo a usare nella mia creazione musicale; mi sento attratta da essi per inerzia quasi.
Quale elemento più di ogni altro definisce il nucleo della sua ricerca musicale?
Il mio strumento, il violoncello, ha possibilità infinite. Sto esplorando molto le capacità di creazione di canzoni con la mia voce e il violoncello senza restrizioni di genere (e ovviamente non mi sento limitata a non aggiungere altri strumenti); in questa direzione posso
dire di aver avuto la fortuna di incontrare Hector (I. la Católica), che da un po’ di tempo fa musica con me e produce i miei dischi. Sento semplicemente il bisogno di esplorare questa creazione di canzoni anche con le infinite possibilità dell’armonia. Mi piace credere che non “sia già stato creato tutto”: questa per me è la spinta a continuare a creare.
Quali i motivi che l’hanno portata a scegliere il violoncello come strumento prediletto della propria espressione artistica? È stato un po’ un caso. Inizialmente volevo suonare il sassofono, ma dato che da bambina avevo problemi respiratori ciò non era stato possibile. Così andavo semplicemente a vedere mia sorella suonare il violino nell’orchestra dei bambini. Il direttore dell’orchestra era un violoncellista, quindi mostrava le parti usando il violoncello da ¼ di uno dei bambini della sezione dei violoncelli. Lo suonava così bene che chiesi il permesso ai miei genitori di poterlo suonare anch’io. È iniziato tutto in modo molto classico, imparando musica tradizionale per lo strumento. Solo col tempo, crescendo e scoprendo suoni più avventurosi, sono finita dove sono ora.
Quali crede possano essere i limiti e le potenzialità che il linguaggio musicale presenta rispetto ad altre forme d’arte? Per me è incredibile come la musica possa guidare l’energia di un intero spazio. Come un fantasma, così invisibile, così effimero, possa generare una sorta di bozzolo, o forse l’esatto opposto.
È una forza invisibile che influenza le emozioni e questo è uno dei suoi svariati potenziali che mi intriga e piace di più, perché come creatore puoi davvero costruire un tuo viaggio. Penso in modo così ottimistico alla musica che mi è difficile vederne i limiti, se non per il solo fatto che non puoi ascoltare due tracce individualmente allo stesso tempo. Puoi seguire un collage o una traccia alla volta.
Cosa possiamo aspettarci dallo spettacolo in programma in questa Biennale Musica diretta da Caterina Barbieri? Come è nata la collaborazione con i suoi compagni di scena?
La musica in questa Biennale sarà una raccolta di brani e improvvisazioni con i miei stretti collaboratori I. la Católica e Gibrán Andrade. Li ho incontrati entrambi a Città del Messico in contesti diversi. Ho conosciuto Gibrán nel 2017 attraverso la scena dell’improvvisazione libera, mentre I. la Católica l’ho conosciuto nel 2022 tramite un’amica nel suo appartamento. Lui si era trasferito dal Venezuela all’Argentina e infine in Messico durante la pandemia, quindi aveva appena iniziato a capire come muoversi in città. È successo tutto in modo molto naturale. Avevamo improvvisato un paio di volte con Gibrán, ma in realtà ho iniziato a suonare prima con I. la Católica. Avevo l’uscita del mio secondo disco e la chimica tra noi due era ottima. Successivamente ho invitato Gibrán a registrare il mio terzo album e subito dopo abbiamo iniziato a suonare dal vivo, registrando a seguire insieme anche i miei lavori successivi.
Mabe Fratti
ottobre h. 17
Piccolo Arsenale
Not yet ENG created
Born in Guatemala in 1992, Mabe Fratti discovered music at the age of eight through the cello – an instrument that soon became a natural extension of her artistic voice. Her first steps took place in a Pentecostal church, where singing and spontaneous participation revealed to her the expressive power of improvisation.
Celebrated for blending classical training with experimental sound exploration, the Guatemalan cellist and singer brings to the Biennale curated by Caterina Barbieri a site-specific performance in collaboration with Venezuelan artist I. la Católica and Mexican drummer Gibrán Andrade.
Since childhood, your musical education has been shaped by the environment of the Pentecostal church. How and to what extent has this context influenced the development of your career?
I still feel a deep connection to the emotions I experienced when I went to church and heard music dedicated to a higher entity. I feel I am fond of that ‘spirituality’, or even more, the state of mind that comes with connecting with the music through a deity, even when I am very agnostic now.
What would you define as the core of your musical research?
The cello has infinite possibilities. I am very much exploring the capacities of song-creation with my voice and cello with no restriction of genre. I love to believe that ‘not everything has already been created’, and this is for me the drive for continuing my creation.
What led you to choose the cello as the preferred instrument for your artistic expression?
It was partly a matter of chance, as I first wanted to play the saxophone and since I had breathing problems when I was a child, I just couldn’t so I just went to see my sister play the violin in the children’s orchestra. The director of the orchestra was a cello player, so he would show the parts using the ¼ cello of one of the kids on the cello section. He would play it so well that I asked for permission from my parents if I could play it.
What do you believe are the limitations and potentials of musical language compared to other art forms?
For me it’s amazing how music can guide the whole energy of a space. Like a ghost, so invisible, so ephemeral, it just generates some kind of cocoon or maybe the total opposite. It’s an invisible force that influences emotions and that is one of its many potentials I enjoy the most, because as a creator you can create a journey. I think so optimistically about music that it’s hard for me to see its limitations other than you cannot listen to two tracks individually at once, it has to be a collage or one track at a time.
biennalemusica
GRACE
Sforzo in equilibrio
Intervista Aleksi Perälä
di Davide Carbone
La carriera di Aleksi Perälä è emblema di una prolificità ad alto tasso qualitativo, con oltre 150 album pubblicati dal 1999 ad oggi e un ‘fare musica’ intrapreso ad appena 12 anni d’età. Pubblicato dalla famosa label Rephlex, fondata da Aphex Twin e Grant Wilson-Claridge, etichetta fondamentale della scena elettronica sperimentale, il musicista finlandese è noto per l’uso intensivo e creativo di scale tonali alternative. In particolare la sequenza Colundi, scala di 128 frequenze che non segue il sistema tradizionale basato su ottava e semitono, ma piuttosto un approccio costruito su risonanze bio-psicologiche, filosofiche, matematiche, astronomiche, figlie di un accostamento alla pratica musicale originale e intimo. La sua grande influenza nel campo della sperimentazione sonora attinge a serbatoi culturali di natura eterogenea per sintetizzarsi in una musica che arriva dove il linguaggio tradizionale a volte non riesce, come nel caso del concerto GRACE in collaborazione con Melissa Speirs in programma al Teatro alle Tese il 17 ottobre. Lo abbiamo incontrato per voi.
La sua idea di “musica come meditazione” sembra restituire una profonda, autentica vocazione verso questo linguaggio artistico. Una disposizione emersa solo dopo anni di composizioni musicali. Come si è evoluta la sua formazione artistica da quel momento?
Fare musica è come meditare e nel corso degli anni ho adattato questa pratica combinando i due stati: creazione musicale e meditazione. Ho iniziato a fare musica nel 1988 e a meditare nel 1994, ma solo recentemente ho scoperto la gioia della pratica quotidiana sistematica. Seguo gli insegnamenti di meditazione yoga di Paramahansa Yogananda, prendendo lezioni dalla Self Realisation Fellowship.
Nella sua musica la dimensione digitale e le suggestioni suscitate dalla natura dialogano tra loro in un intreccio di trame sonore che traggono ispirazione da elementi come acqua e legno, metallo e pietra. Quali dispositivi stilistici impiega e come essi danno forma concreta alla sua arte?
Creo suoni utilizzando la sintesi additiva e poi li mescolo con campioni tratti dalla vita reale. Questo mi permette di esplorare innumerevoli modi per creare suoni e strutture sonore uniche. Programmo i suoni sui pad delle mie workstation musicali in modo da potermi esprimere liberamente, senza limiti tecnici. Medito e cerco di rimanere in quello stato sensibile mentre compongo musica.
Cosa l’ha portata a scegliere il laptop quale strumento prediletto per produrre musica?
Ho prodotto musica con hardware dal 1988 al 2000, poi con software dal 2000 al 2020. Dopodiché sono tornato all’hardware. Nel mio studio uso Apple iMac 27” 2017, Apple MacBook Air 11” 2014, Motu M4, Akai Force, Akai MPC One, Moog DFAM (x2), Moog Subharmonicon, Roland MC-707, Roland MC-101, Roland TR-6s, Roland TR-06, Roland TR-08, Roland TR-09, Roland R-8 MkI,
Roland R-8 MkII + Waverex, Roland SPD-30, Yamaha RY-30 + Waveblade, Korg Volca Sample, Strymon Big Sky, Strymon Timeline, Boss DD-200, Boss MD-500, Shure Sm11, Soundcraft Signature 16.
Come ha affrontato la sequenza Colundi, così centrale nel suo lavoro quanto distante dalla tradizione della musica tonale occidentale? Si tratta di sequenze che non seguono le regole della musica classica, ma derivano da formule matematiche e da criteri “alternativi” che includono riferimenti a numerologia, cicli cosmici, spiritualità, guarigione sonora.
Utilizzo le frequenze Colundi come base per la mia creazione musicale dal 2013. All’epoca le ho accolte con mente aperta, cercando di dimenticare tutto ciò che sapevo sulla tonalità occidentale. Nel corso degli anni ho sviluppato diversi sistemi di accordatura all’interno del regno Colundi, per renderlo musicalmente più accessibile.
Qual è stata la genesi del progetto Quadraphonic GRACE, che è al centro del suo concerto in collaborazione con Melissa Speirs in programma al Teatro alle Tese?
Il progetto principale per me quest’anno è stato la serie di album GRACE, in cui ho viaggiato musicalmente e sonoramente da Ovest a Est. È stato un viaggio profondo dentro sé stessi, senza sapere cosa sarebbe successo dopo. Nel concerto quadrifonico esploriamo l’universo di GRACE con improvvisazioni dal vivo.
Aleksi Perälä | Grace
17 ottobre h. 20
Teatro alle Tese, Arsenale
Courtesy La Biennale di Venezia
Effort ENG in balance
Aleksi Perälä’s career is the emblem of prolific creativity at a high qualitative level, with over 150 albums released from 1999 to the present day and a practice of making music that began at just 12 years old. Published by the renowned label Rephlex, founded by Aphex Twin and Grant Wilson-Claridge, the Finnish musician is known for his intensive and creative use of alternative tonal scales. In particular, the Colundi sequence, a scale of 128 frequencies that does not follow the traditional system based on octaves and semitones, but rather an approach built on bio-psychological, philosophical, mathematical, and astronomical resonances, born from a deeply personal and original relationship with musical practice. His major influence in the field of sound experimentation draws from cultural reservoirs of diverse nature, synthesizing into music that reaches places where traditional language sometimes cannot – such as in the case of the GRACE concert scheduled at Teatro alle Tese on October 17. We met him for you.
Your concept of ‘music as meditation’ suggests that you experience your artistic activity as a true vocation. How did this particular sensitivity first emerge in you, and how did your artistic training evolve from there? Making music is like meditation and through the years if adapted into combining the two states: music creation and meditation. I started making music in 1988 and meditating in 1994 but only recently I have discovered the joy of systematic daily meditation. I follow the yoga meditation teachings of Paramahansa Yogananda by taking lessons from Self Realisation Fellowship.
In your music, the digital and natural dimensions intertwine, drawing inspiration from elements such as water and wood, metal and stone. What stylistic devices do you employ, and how do they take concrete form in your art?
I create sounds using additive synthesis and then mix the sounds with samples from real life. This enables countless new ways of crafting new unique sounds and sonic structures. I program the sounds on the pads of my music workstations in ways that enable me to express myself freely without technical boundaries. I meditate and then try to remain in the sensitive state whilst making music.
How did you approach the Colundi sequence, which is as central to your work as it is distant from the tradition of Western tonal music?
I have used colundi frequencies as the basis of my music creation since 2013. Back then I embraced the frequencies with an open mind and tried to forget everything I knew about Western tonality. Over the years I have developed several tuning systems within the colundi realm to make it musically more accessible.
What was the genesis of the Quadraphonic GRACE project, which is at the heart of your concert in collaboration with Melissa Speirs?
The main project for me this year has been GRACE album series where I have been traveling musically and sonically from West to East. It has been a deep journey into one self without knowing what will happen next. In the quadraphonic concert we explore the GRACE universe with live improvisations.
biennalemusica
ASA-CHANG & Junray
ASA-CHANG & Junray è un progetto musicale giapponese nato dall’estro del percussionista Asa-Chang, ex Tokyo Ska Paradise Orchestra, che unisce ritmi tribali, elettronica e poesia recitata in una formula unica. La formazione ha conquistato l’attenzione internazionale per la capacità di fondere strumenti tradizionali e tecnologie contemporanee, creando atmosfere sospese tra l’avanguardia e il pop, altalenando sonorità distorte e di inquietante bellezza ad altre leggere e giocose. Al centro della loro pratica è la macchina Junraytronics, dispositivo di campionamento e composizione unico che consente precise manipolazioni ritmiche e ricche stratificazioni di tessiture. Le loro performance dal vivo sono esperienze immersive in cui loop, percussioni e voci processate si intrecciano in paesaggi ipnotici. ASA-CHANG & Junray è un esempio di come la musica giapponese sappia reinventarsi, mantenendo un’identità forte ma al tempo stesso aperta al mondo.
ENG ASA-CHANG & Junray is a Japanese musical project born from the creative vision of percussionist Asa-Chang, formerly of Tokyo Ska Paradise Orchestra. The group blends tribal rhythms, electronics, and spoken poetry into a unique formula. They’ve gained international attention for their ability to fuse traditional instruments with modern technology, crafting soundscapes that hover between avant-garde and pop. At the heart of their practice is the Junraytronics machine, a one-of-a-kind sampling and composition device that enables precise rhythmic manipulation and rich layering of textures. ASACHANG & Junray exemplify how Japanese music can reinvent itself, retaining a strong identity while remaining open to the world.
Alla Biennale Musica arriva una rivoluzionaria collaborazione dal vivo tra due titani della musica elettronica d’avanguardia: la compositrice Suzanne Ciani, cinque volte nominata ai Grammy Awards, e Darren J. Cunningham (Actress), uno dei produttori elettronici contemporanei più distintivi e influenti.
Il punto d’incontro tra Actress e Ciani risiede senza dubbio nella totale singolarità dei rispettivi linguaggi sonori. Nel corso delle loro carriere, entrambi hanno mostrato un’incessante volontà di creare ambienti e forme musicali uniche intorno ai loro progetti, in modo ineguagliato dai contemporanei. Sfruttando la forza delle loro affinità e differenze, Suzanne Ciani e Actress si uniscono in una performance dal vivo senza precedenti, accompagnata da un’illuminazione e una scenografia
Concrète Waves 17 ottobre h. 20
Teatro alle Tese, Arsenale
Live 17 ottobre h. 17
Teatro Piccolo Arsenale
Actress & Suzanne Ciani
Photo Jay Izzard - Courtesy La Biennale di Venezia
Photo Tim van Veen - Courtesy La Biennale di Venezia
su misura, in cui la giustapposizione tra mondo naturale e mondo industriale come spazio di gioco sonoro mira ad ampliare il quadro concettuale di entrambi questi innovatori.
ENG At the Biennale Musica, a groundbreaking live collaboration brings together two titans of avant-garde electronic music: Suzanne Ciani, five-time Grammy nominee, and Darren J. Cunningham (Actress), one of the most distinctive and influential contemporary electronic producers. Throughout their careers, both have shown a relentless drive to create unique musical environments and forms around their projects, unmatched by their peers.
Harnessing the power of their affinities and contrasts, Ciani and Actress unite in an unprecedented live performance, enhanced by custom lighting and stage design. The juxtaposition of the natural and industrial worlds aims to expand the conceptual framework of both artists.
Graindelavoix
Cosa significa per una composizione del Trecento rivivere in una nuova ecologia sonora? Come cambia l’idea di un’opera musicale quando viene trattata come un epitaffio piuttosto che come una dichiarazione? I Graindelavoix ridanno vita ai repertori antichi, trattandoli come entità vive e in continua evoluzione piuttosto che come statici artefatti storici.
L’ensemble vocale guidato da Björn Schmelzer, che lo ha fondato nel 1999 ad Anversa, con Epitaphs of Afterwardness porta al Festival un programma in cui la Messe de Notre Dame di Guillaume de Machaut, capolavoro assoluto della musica polifonica religiosa medievale, dialoga con i grandi rivoluzionari del XX secolo - György Kurtág, György Ligeti, Iannis Xenakis - in risonanza dialettica tra epoche musicali diverse. Questo programma speciale sarà presentato con l’aggiunta del pianista Jan Michiels, noto per il suo approccio personale e multistrato al repertorio pianistico.
ENG What does it mean for a fourteenth-century composition to live again in a new sonic ecology? Graindelavoix revives ancient repertoires, treating them as living, evolving entities rather than static historical artifacts. Led by Björn Schmelzer, Epitaphs of Afterwardness brings to the Festival a program where Guillaume de Machaut’s Messe de Notre Dame, a masterpiece of medieval polyphonic sacred music, enters into dialogue with 20th-century revolutionaries – György Kurtág, György Ligeti, Iannis Xenakis – in a dialectical resonance across musical eras. This special program will feature pianist Jan Michiels, renowned for his personal, multilayered approach to the piano repertoire.
Epitaphs of Afterwardness
18 ottobre h. 18
Chiesa di San Lorenzo
Photo Katja Rug - Courtesy La Biennale di Venezia
Photo Cyrille Voirol - Courtesy La Biennale di Venezia
biennalemusica
DJ SET
Indiscusso protagonista della seconda ondata techno di Detroit, Carl Craig approda alla Biennale Musica 2025 con un dj-set che trasforma il Padiglione 30 di Forte Marghera in un night club tecnologico e immersivo. La lunga e poliedrica carriera di Craig attraversa club storici, festival internazionali e contesti istituzionali, e ha contribuito a plasmare la forma stessa della musica elettronica, combinando l’energia meccanica del machine funk con la fluidità improvvisativa del jazz e la visione cosmologica dell’afrofuturismo. Attraverso la sua etichetta Planet E Communications, Craig ha elaborato un linguaggio sonoro inconfondibile: stratificazioni di synth siderali, armonie inedite e impulsi ritmici che trascendono il dancefloor, trasformandolo in un laboratorio di percezioni e immaginazione sonora. Album come Landcruising (1995) e More Songs About Food and Revolutionary Art (1997) restano pietre miliari di un percorso creativo che continua a reinventare la techno, conferendole profondità emotiva e spessore concettuale. Il set veneziano si presenta come un itinerario sonoro in cui ogni battito, ogni pulsazione, disegna spazi inaspettati tra memoria e futuribilità, invitando il pubblico a un’esperienza immersiva e
contemplativa, in cui la potenza dei suoni si confronta con la monumentalità degli spazi, esaltando la tensione tra impulso corporeo e immaginazione intellettuale.
La musica di Carl Craig – che abbiamo voluto scegliere per la cover story del nostro magazine – testimonia la capacità della techno di raccontare storie, evocare atmosfere e dialogare con la cultura globale. È un invito a lasciarsi trasportare da un suono che non si limita a far ballare, ma che apre finestre su mondi futuri da immaginare, con la forza evocativa di un linguaggio musicale che rimane, a distanza di decenni, ancora sorprendentemente pionieristico.
Chiara Sciascia
ENG
A key figure in Detroit’s second wave of techno, Carl Craig arrives at Biennale Musica 2025 with a DJ set that turns Pavilion 30 at Forte Marghera into a futuristic, immersive nightclub. Craig’s diverse career spans legendary clubs, global festivals, and institutional venues, shaping electronic music by blending machine funk’s mechanical energy with jazz improvisation and afro-futurist vision. Through Planet E Communications, Craig crafted a unique sound: layered cosmic synths, unexpected harmonies, and rhythms that transcend the dancefloor. His Venetian set offers a contemplative journey between memory and future, where techno becomes a storytelling force and a gateway to imagined worlds.
Carl Craig
Photo Tim Saccenti - Courtesy La Biennale di Venezia
Mia Koden, nome d’arte di Sancha Ndeko, è una delle voci più originali della nuova scena elettronica internazionale. Producer e dj di origini sud-sudanesi, cresciuta tra Regno Unito, Ghana e Nigeria, ha assorbito sonorità diverse – dal roots reggae al dubstep – facendole confluire in uno stile personale, radicato nella cultura del sound system tipicamente britannica, ma aperta alle contaminazioni globali.
Inizialmente conosciuta come metà del duo Sicaria Sound, ha intrapreso un percorso solista che amplia quella matrice ritmica con una scrittura sonora più complessa: 2-step, garage, drum’n’bass e sperimentazioni elettroniche si intrecciano in un linguaggio che privilegia le basse frequenze come spazio di immersione. I suoi set e le sue produzioni, come l’EP Decode o i singoli Hot Take e I Did, mostrano una capacità rara di tenere insieme energia fisica e ricerca formale.
In contrappunto al set di Carl Craig, Koden porta a Forte Marghera un approccio diasporico che dialoga con il continuum della club culture britannica, segnato dai 140 bpm, dal 2-step garage e dalle derive della bass culture. Un tuffo nel futuro del suono: oltre la club music, un’esperienza che sfida le categorie.
Chiara Sciascia
ENG Mia Koden, stage name of Sancha Ndeko, is one of the most original voices in today’s international electronic scene.
A South Sudanese-born producer and DJ raised between the UK, Ghana, and Nigeria, she blends roots reggae, dubstep, and other influences into a personal style rooted in the British sound system culture yet open to global crossovers. Formerly part of the duo Sicaria Sound, she now explores a solo path where 2-step, garage, drum’n’bass, and electronic experimentation intertwine, privileging bass as a space of immersion. At Forte Marghera, opposite Carl Craig’s set, Koden offers a diasporic approach that connects with the UK club culture continuum, driven by 140 bpm, garage, and bass culture.
From the Far Future I 18 ottobre h. 23 Padiglione 30 Forte Marghera-Mestre
Abdullah Miniawy Trio
Si può affermare che tutto nasca nel 2019, dopo un’esibizione del trombonista Robinson Khoury al La Gare di Parigi. Si dà il caso infatti che questa esibizione sia stata particolarmente gradita ad Abdullah Miniawy, compositore e scrittore egiziano che come Khoury sta raccogliendo consensi ampi e trasversali nel panorama jazzistico internazionale.
I due condividono una lunga esperienza fatta di sperimentazione ispirata e libera da vincoli espressivi di qualsivoglia sorta, naturale quindi che l’invito di Miniawy a intrecciare i rispettivi percorsi artistici trovi la convinta adesione di Khoury, con la collaborazione tra i due nel celebre lavoro Le Cri du Caire, vincitore del premio Les Victoires du Jazz 2023 per il miglior album di world music. Invito che viene esteso successivamente al trombonista Jules Boittin, dando vita così ad un ensemble che esplora il contrappunto barocco, le tecniche estese per ottoni e le tradizioni vocali egiziane in un contesto contemporaneo.
Il trio partecipa alla Biennale Musica portando sul palco del Malibran per la prima volta in Italia Peacock Dreams, pubblicato a maggio di quest’anno e concretizzazione compiuta di musiche composte e scritte da Miniawy, riarrangiate da Khoury, in cui la voce del primo si fonde con l’afflato dei due strumentisti, diventando una cosa sola.
ENG It all began in 2019, after trombonist Robinson Khoury’s performance at La Gare in Paris. The concert deeply impressed Egyptian composer and writer Abdullah Miniawy, who, like Khoury, is gaining wide recognition in the international jazz scene. Sharing a background of experimentation free from expressive constraints, it was natural for Miniawy’s invitation to an artistic collaboration to meet Khoury’s full commitment. Later joined by trombonist Jules Boittin, the ensemble blends baroque counterpoint, extended brass techniques, and Egyptian vocal traditions in a contemporary frame. They now debut in Italy at the Biennale Musica with Peacock Dreams, where Miniawy’s voice merges seamlessly with Khoury and Boittin’s instruments.
Mia Koden
Peacock Dreams
18 ottobre h. 20
Teatro Malibran
Courtesy La Biennale di Venezia
Photo Dario Holtz - Courtesy La Biennale di Venezia
biennalemusica
FontanaMIX Ensemble
Cosa hanno in comune Giacinto Scelsi, compositore italiano nato nel 1905 e legato alla storia della musica microtonale, e Vahid Hosseini, compositore iraniano classe 1984? Proprio lo spazio metafisico su cui la Biennale di Caterina Barbieri decide di indagare, dove il suono cosmico si annida, studiato stavolta dal bolognese FontanaMIX Ensemble. Mantram, Pranam II e il Quartetto n. 3 di Scelsi si affiancano alle composizioni Mur di Hosseini, raccontandoci tanto l’interesse di Scelsi verso l’Oriente e l’esoterismo quanto il bagaglio curricolare unico di Hosseini, figlio del pensiero persiano ma allo stesso tempo da sempre in contatto con le istanze avanguardistiche che ne hanno interessato il percorso formativo tra Iran, Italia, Finlandia e Germania. ENG What unites Giacinto Scelsi, the Italian composer born in 1905 and a pioneer of microtonal music, with Vahid Hosseini, the Iranian composer born in 1984? The metaphysical space explored by Caterina Barbieri’s Biennale, where cosmic sound emerges, studied here by Bologna’s FontanaMIX Ensemble. Scelsi’s Mantram, Pranam II and Quartet No. 3 meet Hosseini’s Mur, bridging Eastern mysticism and avant-garde traditions across Iran, Italy, Finland and Germany.
Enrico Malatesta
Metallo, legno e pelle sono materiali semplici che nascondono infinite possibilità di risonanza. Enrico Malatesta, percussionista e ricercatore indipendente attivo in ambiti sperimentali tra musica, performance e indagine territoriale, rivela al pubblico i gesti percussivi che rendono visibili le relazioni tra musica, spazio e movimento attraverso un repertorio che prevede la prima mondiale di Solo VI il 22 ottobre, del compositore e organista tedesco Jakob Ullmann, per percussioni e dispositivi di riproduzione audio, autentico viaggio ai confini della percezione.
Il 23 ottobre spazio a Occam Océan - Occam XXVI (2018) della pioniera francese di musica elettronica e drone music Éliane Radigue, brano scritto appositamente per Malatesta a suggellare un periodo di stretta collaborazione tra i due musicisti.
ENG Metal, wood, and leather are simple materials hiding endless resonant possibilities. Percussionist and independent researcher Enrico Malatesta explores the ties between sound, space, and movement, premiering Jakob Ullmann’s Solo VI for percussion and audio devices, and performing Éliane Radigue’s Occam Océan - Occam XXVI (2018), written especially for him.
Le sensibilità delle tenebre 22 ottobre h. 19
Teatro Piccolo Arsenale
Solo VI 22 ottobre h. 21
Sala d’Armi G-LSD Centre, Arsenale
Occam Océan – Occam XXVI
23 ottobre h. 22
Sala d’Armi G-LSD Centre, Arsenale
Photo Chiara Pavolucci - Courtesy La Biennale di Venezia
Courtesy La Biennale di Venezia
Kamigaku Ensemble
Catherine Christer Hennix, artista, poetessa, compositrice e filosofa di origine svedese scomparsa nel 2023, è stata figura fondamentale nell’esplorazione della drone music e dello stato meditativo e di trance che questa musica è in grado di indurre. Lo stile nato negli Stati Uniti durante gli anni ’50 presenta numerosi antecedenti che vanno rintracciati in luoghi ed epoche differenti, affondando le proprie radici in un minimalismo che enfatizza l’uso di suoni, note o cluster estesi e ripetuti detti ‘bordoni’. Una drone music che nel caso della Hennix ha subìto negli anni l’influsso di figure come John Coltrane e Idrees Sulieman, che la Hennix rispettivamente vide dal vivo e con cui studiò le possibilità espressive della tromba. Profondamente segnata dagli insegnamenti di Pandit Pran Na¯th, maestro della tradizione Kirana della musica classica indostana, e dalle pratiche contemplative da lui trasmesse, Hennix ha ispirato con questi insegnamenti l’esibizione che il 23 ottobre al Teatro alle Tese vede riunirsi sul palcoscenico il Kamigaku Ensemble da lei fondato per una rara apparizione site-specific. I componenti della formazione, tra cui Ellen Arkbro alla tromba, si relazionano con il pubblico presentando una riattivazione delle pratiche contemplative e dei principi compositivi legati all’uso prolungato di bordoni e precise accordature, secondo dettami trasmessi direttamente da Hennix nella fase finale della sua vita.
Davide Carbone
ENG Catherine Christer Hennix, Swedish artist, poet, composer, and philosopher who passed away in 2023, was a key figure in the exploration of drone music and its meditative, trance-inducing power. Influenced by jazz legends like John Coltrane and Idrees Sulieman, and deeply shaped by Pandit Pran Na¯th’s teachings in Indian classical music, Hennix founded the Kamigaku Ensemble. On October 23 at Teatro alle Tese, the band, featuring Ellen Arkbro on trumpet, will perform a rare site-specific piece inspired by Hennix’s contemplative practices. The concert reactivates her principles of prolonged drones and precise tuning, offering a profound sonic experience rooted in her final artistic legacy.
Omaggio a Catherine Christer Hennix
23 ottobre h. 19
Teatro alle Tese, Arsenale
Da sempre Lucy Railton ha eletto il violoncello a strumento prediletto per catalizzare le sue urgenze espressive più intime, per questo è particolarmente sorprendente scoprire come il suo ultimo lavoro, Blue Veil, sia il primo dedicato al solo violoncello, strumento sì di sua elezione ma che, nelle precedenti prove soliste, Railton aveva accompagnato ora a manipolazioni elettroniche ( Paradise 94 del 2018), ora ad altri cordofoni ( Corner Dancer del 2023).
«Il violoncello è un grande strumento – ha dichiarato in un’intervista – ma non può fare molto di più che suonare come un violoncello. Per avvicinarmi al mondo sonoro in cui voglio vivere, ho dovuto entrare nel campo dell’elettronica. Conosco il potenziale del violoncello, ma il potenziale del suono elettronico è infinito e incredibilmente affascinante».
Non è di certo un caso che Blue Veil sia stato registrato dal vivo in uno spazio tanto particolare come l’Église du SaintEsprit di Parigi: parliamo di un album che vede la collaborazione alla produzione di due figure come Kali Malone e Stephen O’Malley, composto ed eseguito seguendo una pratica specificamente rivolta alla percezione armonica dal vivo, che emerge dalla lunga ricerca della Railton su modalità d’ascolto capaci di favorire un coinvolgimento più profondo con la risonanza armonica. Davide Carbone
ENG Lucy Railton has long chosen the cello as her preferred instrument to channel her most intimate expressive urges. It’s surprising, then, that her latest work, Blue Veil, is her first for cello solo. In previous solo projects, she paired it with electronics (Paradise 94, 2018) or other string instruments (Corner Dancer, 2023). “The cello is a great instrument”, she said, “but to reach the sound world I want to live in, I had to explore electronics”. Blue Veil was recorded live at Église du Saint-Esprit in Paris, with production by Kali Malone and Stephen O’Malley. Composed for harmonic perception in live settings, it reflects Railton’s deep research into listening practices that foster resonance and immersive engagement.
Arsenale
Blue Veil 23 ottobre h. 22
Sala d’Armi G-LSD Centre,
Lucy Railton
Photo Jose M Spínola - Courtesy La Biennale di Venezia
Photo Johan Österholm - Courtesy La Biennale di Venezia
biennalemusica
In una Biennale che si interroga e ci interroga sul ruolo della musica come strumento creatore di mondi, Ellen Arkbro trova totale e legittimo diritto di cittadinanza, anzi, si configura come interlocutrice irrinunciabile del dialogo tra Caterina Barbieri ed il pubblico. Da sempre, infatti, al centro dell’interesse espressivo della musicista e compositrice svedese vi è l’esplorazione del suono armonico e delle sue qualità trascendentali, con particolare attenzione verso lo spazio in cui il suono si dipana, sui riverberi e sulle risonanze che un determinato luogo offre all’orecchio dell’ascoltatore. Quello di un ascoltatore attento naturalmente, che si lascia attraversare dalla potenza di una musica che obbliga a riflettere e rivalutare i ritmi del proprio vivere, rimodulandoli sull’ascolto stesso. Invitata da Caterina Barbieri, a cui la lega un’amicizia e una particolare sintonia, Arkbro a Venezia presenta Nightsong, nuova composizione appositamente commissionata dal Festival per tre viole da gamba, dilatata progressione di accordi che grazie a strumentisti intimamente coinvolti nell’intonazione di ogni armonia si fa messa in pratica compiuta degli interessi espressivi dell’autrice. Un’opera
che ribadisce la capacità unica di Arkbro di fondere profonda risonanza armonica e quiete contemplativa, collocandola tra le voci più singolari e significative della musica contemporanea. Le esplorazioni musicali di Arkbro, legate a tessiture armoniche immersive e durate estese, invitano l’ascoltatore ad abitare uno spazio e un tempo condivisi, in linea con il tema su cui Caterina Barbieri ha focalizzato questa Biennale 2025, vale a dire l’analisi del suono e dell’ascolto profondo come atto collettivo di trasformazione percettiva. Davide Carbone
ENG
At a Venice Music Biennale that questions music’s role as a creator of worlds, Ellen Arkbro finds full and rightful place. The Swedish composer explores harmonic sound and its transcendental qualities, focusing on space, reverberation, and resonance. Invited by the Biennale’s curator Caterina Barbieri, Arkbro presents Nightsong, a new work for three viols commissioned by the Festival. Through slow chord progressions and deep harmonic tuning, the piece embodies her contemplative style. Her immersive soundscapes invite listeners to inhabit shared space and time, aligning with Barbieri’s Biennale theme: sound and deep listening as collective acts of perceptual transformation.
Nightsong 24 ottobre h. 17
Sala d’Armi G-LSD Centre, Arsenale
Ellen Arkbro
Photo Victoria Loeb - Courtesy La Biennale di Venezia
Sunn O)))
Fondato nel 1998 a Seattle da Stephen O’Malley e Greg Anderson, il duo Sunn O))) si è da subito fatto alfiere di una riflessione sul suono come forza primordiale, attraverso uno stile che è un’esplorazione del drone metal, sottogenere del metal caratterizzato da suoni profondi, lenti e avvolgenti.
La loro musica è fatta di lunghe distese di suoni vibranti, colossali riff di chitarra e bassi massicci, che sembrano attraversare le frequenze più basse e le cavità del corpo umano. L’intensità del loro suono ha un effetto psichedelico, capace di trasportare l’ascoltatore in uno stato di trance. Non si tratta solo di musica, ma di un’esperienza sensoriale complessa. I concerti dei Sunn O))) sono veri e propri rituali sonori, di cui l’acustica è elemento fondamentale. Il loro approccio minimalista, ma allo stesso tempo monumentale, trova il proprio apice nell’album Monoliths & Dimensions del 2009, che mescola elementi di drone, black metal, musica classica e noise.
I Sunn O))) sono i portavoce di una musica che non si lascia definire, che sfida le convenzioni e invita ad un ascolto meditativo, quasi ipnotico. Una forma d’arte che non si adatta alla comprensione immediata, ma richiede un coinvolgimento emotivo e intellettuale profondo, predisposizione d’animo essenziale per approcciarsi a questa Biennale Musica 2025.
ENG Founded in 1998 in Seattle by Stephen O’Malley and Greg Anderson, Sunn O))) quickly became pioneers of drone metal, a subgenre defined by deep, slow, enveloping sounds. Their music features vast sonic landscapes, colossal guitar riffs, and massive bass tones that resonate through the body. More than music, it’s a sensory ritual. Their minimalist yet monumental style peaks in Monoliths & Dimensions (2009), blending drone, black metal, classical, and noise. Sunn O))) represents a form of art that defies definition, inviting meditative, hypnotic listening. It demands emotional and intellectual engagement, the mindset you need to approach Biennale Musica 2025.
Sunn O))) Live
24 ottobre h. 19
Teatro alle Tese, Arsenale
FUJI|||||||||||TA
Fin dalla grafica scelta per il proprio nome d’arte, Yosuke Fujita richiama il legame indissolubile che lo affianca allo strumento scelto per portare avanti la propria indagine stilistica: l’organo a canne.
L’arte sonora e la musica di FUJI|||||||||||TA traggono ispirazione da vari fenomeni naturali, riflettendo la sua profonda fascinazione nell’esplorare suoni e rumori mai ascoltati prima. Nel 2009 il compositore giapponese ha creato artigianalmente uno strumento del tutto originale: un organo a undici canne privo di una tastiera tradizionale. Ha concepito questo strumento unico esclusivamente attraverso la sua immaginazione, senza alcuna conoscenza specializzata, con l’intento di creare un paesaggio sonoro piuttosto che uno strumento musicale convenzionale.
Alla Biennale Musica 2025 presenta in prima mondiale un’opera site-specific che esplora l’interazione di acqua, suono e architettura. Noto per il suo personalissimo approccio alla progettazione di strumenti e alla composizione acustica, FUJI|||||||||||TA reintroduce l’acqua nella sua pratica per la prima volta dal 2020, in risposta all’unicità del contesto veneziano. Il Teatro alle Tese viene reimmaginato come una sorta di astronave, con l’acqua che assume la funzione di risonatore, generando una risonanza profonda che avvolge sia il pubblico che lo spazio stesso.
ENG From the stylized typography of his name, Yosuke Fujita signals his deep connection to the pipe organ, the instrument central to his artistic exploration. Known as FUJI|||||||||||TA, his sound art draws inspiration from natural phenomena and unheard sonic textures. In 2009, he handcrafted a unique 11-pipe organ without a traditional keyboard, designed purely from imagination to create soundscapes rather than conventional music. At Biennale Musica 2025, he presents a world premiere site-specific work exploring water, sound, and architecture. For the first time since 2020, he reintroduces water into his practice, transforming Teatro alle Tese into a resonant vessel where water acts as a sonic amplifier, enveloping both audience and space.
Resonant Vessel 24 ottobre h. 19
Teatro alle Tese, Arsenale
Photo Brandon Andre - Courtesy La Biennale di Venezia
Photo Dani Pujalte - Courtesy La Biennale di Venezia
biennalemusica
INSTALLATION
Il mutamento cangiante
Intervista Maxime Denuc
di F.D.S. e Davide Carbone
La grande tradizione dell’organo veneziano, che nelle precedenti edizioni di Biennale Musica aveva dato vita a rassegne stimolanti come Stylus Phantasticus del 2023, oscillanti tra la fissità subliminale di Kali Malone e la violenza orgiastica di John Zorn, anche in questa edizione 2025 sembra mantenere la sua centralità con la musica di Maxime Denuc, compositore francese residente a Bruxelles che si esprime attraverso gli organi da chiesa. Denuc è soprattutto un ‘manipolatore’, un musicista che si esprime attraverso la connessione di un organo tradizionale ad un software che lui stesso controlla con un pc. Solarium, il suo primo lavoro, è un pezzo di 90 minuti concepito come musica chill out, quella che si ascolta dopo una notte di furori techno rave per rilassare corpo e mente ed entrare nel nuovo giorno in condizioni dignitose. È musica che va suonata in una chiesa, immaginando i corpi dei partecipanti al rave che si stendono lungo le navate per entrare in una dimensione di ascolto totale, immersivo e rigenerante. L’ascolto di Solarium ci è sembrata davvero una delle esperienze centrali delle musiche di Biennale 2025, per la radicale semplicità con cui, all’interno di una cornice barocca che va da Bach a Buxtehude, esprime in modo inflessibile la verità di una musica che intende spogliarsi di ogni sua esteriorità ritmica, armonica, melodica, orchestrale, per esaurirsi nel dato biologico di un flusso dove unità e molteplicità si confondono. A Biennale Musica Denuc, che abbiamo intervistato, presenta in prima italiana Elevations, installazione realizzata in collaborazione con l’artista belga Kris Verdonck che incorpora l’ispirazione dell’estetica dub techno con il suono effimero e fragile di un organo controllato via midi dal computer e appositamente costruito dall’artista con l’organaro Tony Decap.
Venezia è capitale della tradizione organistica mondiale, con una storia plurisecolare alle spalle. Come si è approcciato a questo particolare contesto anche alla luce della sua formazione personale?
Sì, Venezia è davvero rinomata per la sua tradizione organistica. Tuttavia, poiché la maggior parte degli strumenti presenti in città sono pezzi storici, sarebbe stato difficile installare qui il sistema robotico con cui lavoro abitualmente, progettato per suonare automaticamente le tastiere. Per questo motivo Caterina Barbieri ha scelto di presentare la mia installazione Elevations costruita attorno a un organo trasportabile a 150 canne. Interamente concepito per questo progetto, lo strumento espande la tradizione organistica attraverso una tecnologia unica che consente di controllare istantaneamente l’alimentazione d’aria di ciascuna canna. Questa innovazione mi permette di ripensare lo strumento e di creare musica con molte meno canne rispetto a un grande organo da chiesa. Sebbene l’installazione sia stata presentata principalmente in festi-
Elevations 12, 15, 17, 19, 21, 23, 25 ottobre h. 10-18
Sala d’Armi E-LSD Centre, Arsenale
val musicali, è stata inizialmente pensata per spazi espositivi. Sono quindi particolarmente felice di mostrarla alle Sale d’Armi dell’Arsenale, il cui spazio vasto e storico offre un’atmosfera unica. Spero possa raggiungere un pubblico eterogeneo, ugualmente curioso nei confronti della musica e delle forme visive.
Potenza emozionale dell’organo e sensibilità elettronica. Quale il punto di contatto tra questi due versanti espressivi? Esistono evidenti somiglianze tra l’organo e la musica elettronica, soprattutto nel modo in cui il suono viene costruito. L’organista, come il musicista elettronico, stratifica timbri per creare texture uniche. Ciò che rende questo incontro particolarmente affascinante, tuttavia, è il loro contrasto. La musica elettronica ha un impulso perfettamente regolare, qualcosa che nessun essere umano può ottenere, mentre l’organo è interamente acustico: nessuna canna produce esattamente lo stesso suono e ciascuna risponde allo spazio e alla temperatura a proprio modo. Questi contrasti generano un dialogo ricco tra le due forme e sono centrali nel modo in cui penso al mio lavoro oggi.
Come nasce e si sviluppa Elevations ?
Da tempo desideravo condividere ciò che provo quando compongo all’organo, permettendo agli ascoltatori di avvicinarsi allo strumento, di sentire le sue canne produrre suono, vivendolo così in modo diverso rispetto all’ascolto da lontano in una chiesa. Volevo anche esplorare cosa potesse diventare l’organo, una volta estrapolato dal contesto sacro. Mi intrigava inoltre l’idea di uno strumento acustico che suona da solo, perso al centro di uno spazio ampio.
In quel periodo ho contattato l’artista visivo e regista Kris Verdonck, di cui ammiro molto il lavoro, per collaborare al progetto. Ha contribuito alla scenografia e al design delle luci dell’installazione. Insieme abbiamo lavorato anche con il costruttore di organi belga Tony Decap, che stava sviluppando un sistema innovativo per gestire istantaneamente l’aria di ogni canna. Durante questo processo di ricerca sono stato supportato da numerosi collaboratori che hanno contribuito ad accompagnare il progetto ben oltre l’idea iniziale che avevo concepito per la realizzazione dell’installazione.
La stella dentro si interroga, tra le tante suggestioni, sul concetto di musica come rito collettivo. Quale crede possa essere il futuro della fruizione musicale in un mondo che sembra andare sempre più ineluttabilmente verso approcci soggettivi e individualistici, a misura di auricolare?
Credo che il futuro dell’esperienza musicale risieda nella creazione di nuovi modi di ascoltare musica insieme, come contrappeso alle abitudini di ascolto sempre più individuali. L’ascolto collettivo ci immerge in un presente condiviso e genera esperienze uniche. È anche importante continuare a innovare le modalità attraverso le quali le opere vengono presentate, ripensando i concerti in termini di spazio e tempo, inventando nuove drammaturgie, superando i generi e le narrazioni tradizionali.
La programmazione della Biennale Musica 2025 sembra rispondere perfettamente a queste sfide; sono quindi davvero molto felice di parteciparvi e di esplorare nuove forme di ascolto condiviso.
Shifting ENG change
The great tradition of the Venetian organ seems to retain its central role in this 2025 edition with the music of Maxime Denuc, a French composer who expresses himself through church organs. At Biennale Musica, Denuc – whom we interviewed – presents the Italian premiere of Elevations, an installation created in collaboration with Belgian artist Kris Verdonck, which incorporates the aesthetics of dub techno with the ephemeral, fragile sound of an organ controlled via MIDI by computer, specially built by the artist together with organ builder Tony Decap.
Venice is a global capital of organ tradition, with a centuries-old history. How did you approach the Venetian context, especially in light of your personal background and training?
Yes, Venice is indeed renowned for its organ tradition. However, since most of the instruments in the city are historical, it would have been difficult to install the robotic system I usually work with, which is designed to automatically play the keyboards. This is why Caterina Barbieri chose to present my installation, built around a transportable organ of 150 pipes. The instrument expands the organ tradition through a unique technology that allows the air supply to each pipe to be controlled instantly. This innovation enables me to rethink the instrument and create music with far fewer pipes than a large church organ.
The emotional power of the organ and electronic sensitivity – what is the point of contact between these two expressive realms?
There are clear similarities between the organ and electronic music, especially in how sound is constructed. What makes this encounter particularly fascinating, however, is their contrast. Electronic music has a perfectly steady pulse, something no human can achieve, while the organ is entirely acoustic.
How was Elevations conceived and developed?
For a long time, I have wanted to share what I experience when I compose on the organ, which is to allow listeners to get close to the instrument and to experience it differently from hearing an organ from a distance in a church. I approached the visual artist and director Kris Verdonck, we also worked with Belgian organ builder Tony Decap, who was developing an innovative system allowing the air of each pipe to be managed instantly.
What do you believe the future of musical experience might be?
I believe the future of musical experience lies in creating new ways to listen to music together, as a counterbalance to increasingly individual listening habits. The programming of Biennale Musica 2025 seems to respond perfectly to these challenges, which makes me very happy to participate and explore these forms of shared listening.
Photo Joeri Thiry for STUK - Courtesy La Biennale di Venezia
biennalemusica
Agnese Menguzzato / Morgana / Moor Mother/ Ecco2k
Musicista italiana residente a Berlino, Agnese Menguzzato porta alla Biennale Musica Undici, un nuovo lavoro per chitarra a 8 corde ed elettronica che fonde insieme tecniche storiche e contemporanee grazie ad una chitarra personalizzata accordata per emulare la dinamica del liuto rinascimentale.
Morgana, tra i partecipanti al progetto Biennale College, con Before Darkness Gated Us travolge l’ascoltatore lasciandolo in una condizione di instabilità uditiva indotta da dilatazioni temporali e accelerazioni improvvise generate da un live set per frammenti di memorie sonore processate digitalmente. Shinkolobwe è il nome della miniera di uranio congolese, gestita dal regime coloniale belga, da cui gli Stati Uniti acquistarono grandi quantità di materia per i progetti che avrebbero poi portato alla creazione delle bombe atomiche sganciate su Hiroshima e Nagasaki. L’artista Moor Mother intitola così il lavoro presentato alla Biennale Musica, che ripercorre con stratificazioni sonore le sfumature di avvenimenti storici che hanno segnato il Novecento. Artista poliedrico di base a Stoccolma, a Ecco2k viene affidato il dj set di chiusura di questa Biennale, confermandolo artista impegnato a trasformare profondamente l’estetica della trap.
ENG Berlin-based Italian musician Agnese Menguzzato presents Undici at the Venice Music Biennale, a new work for 8-string guitar and electronics that blends historical and contemporary techniques through a custom-tuned, lute-inspired instrument. Biennale College participant Morgana offers Before Darkness Gated Us, a live set of digitally processed sonic memories that induces auditory instability. Shinkolobwe, named after the Congolese uranium mine linked to the atomic bomb, is Moor Mother’s layered sonic reflection on 20th-century history. Stockholm-based artist Ecco2k closes the Biennale with a DJ set, continuing his transformation of trap aesthetics.
Undici | Before Darkness Gated Us | Shinkolobwe | Dj set
25 ottobre h. 19
Teatro alle Tese, Arsenale
BIENNALE COLLEGE
Mai come quest’anno Biennale College Musica sembra fondersi alla perfezione con il programma di concerti concepito da Caterina Barbieri, facendo in modo che giovani artisti possano condividere il palco con personalità affermate e mettere in curriculum un’esperienza unica nel suo genere, capitoli di un appuntamento musicale tra i più riconosciuti a livello internazionale.
Il 22 ottobre con Pareti di carta Francesca Fabrizi evoca un’architettura sonora che intreccia pattern ritmici, toni, bande di rumore e field recording vetrificati. Gli oggetti di vetro disposti nello spazio fungono da sismografi acustici in grado di registrare tremori invisibili.
Il 24 ottobre alla Sala d’Armi So-o¯n di Jasmine Morris fonde registrazioni ambientali e found sounds con l’esecuzione strumentale dal vivo, un sistema in continuo mutamento che guarda ad un fenomeno sociale giapponese emerso durante la Seconda Guerra Mondiale.
Forte Marghera, il 24 ottobre a partire dalle 23, amplifica la dimensione clubbin’ della venue che ormai da anni ospita le iniziative dei diversi settori della Biennale con le performance di res_, STILL e DJ Marcelle: il primo presenta una nuova performance narrativa per strumenti elettronici costruita attorno a registrazioni subacquee raccolte nella laguna di Venezia, progetto di Biennale Musica; STILL, moniker dell’artista italiano Simone Trabucchi, presenta un dj set formato da strutture ritmiche essenziali e dalla spinta delle basse frequenze mentre DJ Marcelle, da tempo figura di culto nella dance sperimentale underground, crea set unici, assemblati come collage, che scorrono fluidamente tra generi e tempi.
ENG This year, more than ever, Biennale College Musica blends seamlessly with the concert program curated by Caterina Barbieri, offering young artists the chance to share the stage with established figures and gain a truly unique experience. On October 22, Francesca Fabrizi presents Pareti di carta, a sonic architecture built from rhythmic patterns, tonal layers, noise bands, and vitrified field recordings. Glass objects placed throughout the space act as acoustic seismographs, capturing invisible tremors. On October 24, Jasmine Morris’s So-o¯n is performed at Sala d’Armi, merging ambient recordings and found sounds with live instrumental performance. That same night, Forte Marghera transforms into a clubbing hub with performances by res_, STILL, and DJ Marcelle. res_ presents a narrative live set built around underwater recordings from the Venetian lagoon; STILL (Simone Trabucchi) delivers a bass-driven DJ set with minimal rhythmic structures; and DJ Marcelle, a cult figure in experimental dance music, crafts genre-defying sets assembled like sonic collages.
Photo Abby Beatrice Quick - Courtesy La Biennale di Venezia
biennalemusica PROGRAMME
11/10
h. 18 | da ponte dei Giardini a Giardino delle Vergini
CHUQUIMAMANI-CONDORI
CRY OF OUR GUARDIAN STAR con Joshua Chuquimia Crampton corteo musicale d’acqua per nove barchini con altoparlanti Commissione La Biennale di Venezia
h. 18.30 | Arsenale, Isolotto
CHUQUIMAMANI-CONDORI
LOS THUTHANAKA (60’ ca.)
Chuquimamani-Condori, sintetizzatore e campionatore
Joshua Chuquimia Crampton, chitarra
h. 21 | Arsenale, Teatro alle Tese RAFAEL TORAL
TRAVELLING LIGHT (50’ ca.) per strumenti acustici ed electronics
BENDIK GISKE
INTO THE BLUE (50’ ca.) per sassofono
NKISI
ANOMALY INDEX (50’ ca.) per Nord Wave 2, HPD-20, percussioni, effetti, microfono wireless, rielaborazione elettronica di materiali d’archivio
12/10
h. 10 > 18 | Arsenale, Sala d’Armi E LSD Centre
MAXIME DENUC ELEVATIONS in collaborazione con Kris Verdonck installazione
h. 12 | Ca’ Giustinian, Sala delle Colonne Cerimonia di consegna Leone d’Argento
CHUQUIMAMANI-CONDORI a seguire conversazione con l’artista Moderatore Andrea Lissoni
h. 18 | Arsenale, Teatro alle Tese WILLIAM BASINSKI
THE GARDEN OF BROKENNESS (60’ ca.)
per pianoforti a coda, percussioni, motori di vaporetto ed electronics
DEFORREST BROWN JR. SPEAKER MUSIC (60’ ca.) per Synoptic Audio Workstation EMPAC, live electronics
14/10
h. 10 > 18 | Arsenale, Sala d’Armi E
LSD Centre
MEREDITH MONK
SONGS OF ASCENSION SHRINE installazione video a tre canali
15/10
h. 10 > 18 | Arsenale, Sala d’Armi E
LSD Centre
MAXIME DENUC ELEVATIONS
in collaborazione con Kris Verdonck installazione
h. 20 | Arsenale, Teatro alle Tese BIENNALE COLLEGE MUSICA LUKA ARON
UP IN THE BELL TOWER (40’ ca.)
performance in quadrifonia per campane veneziane registrate e modellate fisicamente con sintesi analogica e digitale
MORITZ VON OSWALD
SILENCIO (70’ ca.)
per coro a sedici voci
Coro della Cappella Marciana Marco Gemmani, direzione del coro
16/10
h. 10 > 18 | Arsenale, Sala d’Armi E
LSD Centre
MEREDITH MONK
SONGS OF ASCENSION SHRINE installazione video a tre canali
h. 20 | Teatro Malibran LAURIE SPIEGEL
THE EXPANDING UNIVERSE, 1974-1976 (60’ ca.)
per quartetto di chitarre elettriche Dither FENNESZ
VENICE REVISITED (55’ ca.) per chitarra elettrica ed electronics
17/10
h. 10 > 18 | Arsenale, Sala d’Armi E
LSD Centre
MAXIME DENUC ELEVATIONS in collaborazione con Kris Verdonck installazione
h. 17 | Teatro Piccolo Arsenale MABE FRATTI (50’ ca.)
per violoncello, voce, chitarra, batteria
ASA-CHANG & JUNRAY (50’)
per Junraytronics, wavedrum, tromba, voce, sassofono, flauto, violino
h. 20 | Arsenale, Teatro alle Tese ACTRESS & SUZANNE CIANI CONCRÈTE WAVES (60’ ca.) per sintetizzatore Buchla ed electronics ALEKSI PERÄLÄ GRACE (180’ ca.)
18/10
h. 10 > 18 | Arsenale, Sala d’Armi E
LSD Centre MEREDITH MONK SONGS OF ASCENSION SHRINE installazione video a tre canali
h. 18 | Chiesa di San Lorenzo GRAINDELAVOIX EPITAPHS OF AFTERWARDNESS (80’ ca.)
h. 20 | Teatro Malibran MEREDITH MONK IN CONCERTO (80’)
Meredith Monk, voce e tastiera
Katie Geissinger, voce
Allison Sniffin, voce, violino, tastiera
ABDULLAH MINIAWY PEACOCK DREAMS (60 ca.) per voce e tromboni
h. 23 | Forte Marghera, Padiglione 30 FROM THE FAR FUTURE I MIA KODEN (120’ ca.)
DJ set
CARL CRAIG (120’ ca.)
DJ set
19/10
h. 10 > 18 | Arsenale, Sala d’Armi E LSD Centre
MAXIME DENUC ELEVATIONS in collaborazione con Kris Verdonck installazione
h. 13 / h. 16 | Da Riva degli Schiavoni/Pontile Cornoldi a Secret Island STAR CHAMBER
Viaggio mistico musicale verso una misteriosa isola della laguna di Venezia, dove un’opera multi-artistica esplora suono, spazio e percezione attraverso interventi performativi site-specific.
20/10
h. 10 > 18 | Arsenale, Sala d’Armi E LSD Centre
MEREDITH MONK
SONGS OF ASCENSION
SHRINE
installazione video a tre canali
h. 12 | Ca’ Giustinian, Sala delle Colonne Cerimonia di consegna Leone d’Oro alla carriera MEREDITH MONK
a seguire conversazione con l’artista Moderatore Andrea Lissoni
21/10
h. 10 > 18 | Arsenale, Sala d’Armi E LSD Centre
MAXIME DENUC ELEVATIONS in collaborazione con Kris Verdonck installazione
22/10
h. 10 > 18 | Arsenale, Sala d’Armi E LSD Centre
MEREDITH MONK SONGS OF ASCENSION SHRINE
installazione video a tre canali
h. 19 | Teatro Piccolo Arsenale FONTANAMIX ENSEMBLE
VAHID HOSSEINI
MUR , 2023-2024 (12’) per due voci femminili
GIACINTO SCELSI (1905-1988) MANTRAM , 1967 (5’) per contrabbasso
GIACINTO SCELSI (1905-1988)
PRANAM II , 1973 (7’)
per due flauti, corno, clarinetto basso, organo, violino, viola, violoncello, contrabbasso
GIACINTO SCELSI (1905-1988)
QUARTETTO N. 3, 1963 (19’)
VAHID HOSSEINI
LE SENSIBILITÀ DELLE
TENEBRE , 2025 (20’) per ensemble
h. 21 | Arsenale, Sala d’Armi G
LSD Centre
BIENNALE COLLEGE MUSICA
FRANCESCA FABRIZI
PARETI DI CARTA (40’ ca.)
performance live per laptop, vetro, trasduttori audio, registrazioni con diffusione sonora in quadrifonia e sorgenti sonore localizzate nello spazio
ENRICO MALATESTA
JAKOB ULLMANN
SOLO VI , 2025 (60’) per percussioni e dispositivi di riproduzione audio
23/10
h. 10 > 18 |
Arsenale, Sala d’Armi E
LSD Centre
MAXIME DENUC ELEVATIONS
in collaborazione con Kris Verdonck installazione
h. 19 | Arsenale, Teatro alle Tese
CATHERINE CHRISTER
HENNIX (1948-2023) /
KAMIGAKU ENSEMBLE
OMAGGIO A CATHERINE
CHRISTER HENNIX (120’ ca.) per trombe, sho¯ ed electronics
h. 22 | Arsenale, Sala d’Armi G
LSD Centre
ENRICO MALATESTA
ÉLIANE RADIGUE
OCCAM OCÉAN –
OCCAM XXVI , 2018 (30’ ca.) per percussioni
LUCY RAILTON
BLUE VEIL (50’ ca.) per violoncello
24/10
h. 10 > 18 | Arsenale, Sala d’Armi E
LSD Centre
MEREDITH MONK
SONGS OF ASCENSION
SHRINE
installazione video a tre canali
h. 17 | Arsenale, Sala d’Armi G
LSD Centre
BIENNALE COLLEGE MUSICA
JASMINE MORRIS
SO-O ¯ N (40’ ca.)
opera elettroacustica per quartetto d’archi, registrazioni ambientali e suoni ricavati dall’elaborazione sperimentale del segnale
ELLEN ARKBRO
NIGHTSONG (30’ ca.)
per tre viole da gamba basse
Adam Grauman, Nicole Hogstrand, Samuel Runsteen
Commissione La Biennale di Venezia
h. 19 | Arsenale, Teatro alle Tese
FUJI|||||||||||TA
RESONANT VESSEL (60’ ca.)
per organo a canne fatto a mano, acqua, oscillatore, voce
SUNN O))) (60’ ca.)
per chitarre amplificate
h. 23 | Forte Marghera, Padiglione 30 FROM THE FAR FUTURE II
BIENNALE COLLEGE MUSICA
RES_
SOUNDS IN THE OCEAN ARE CLOSER THAN THEY APPEAR (40’ ca.)
live set per strumenti elettronici con registrazioni sonore subacquee della zona di Venezia
STILL (60’ ca.)
DJ set
DJ MARCELLE (120’ ca.)
DJ set
25/10
h. 10 > 18 | Arsenale, Sala d’Armi E
LSD Centre
MAXIME DENUC ELEVATIONS in collaborazione con Kris Verdonck installazione
h. 19 | Arsenale, Teatro alle Tese AGNESE MENGUZZATO
UNDICI (50’ ca.) per chitarra a otto corde ed electronics
BIENNALE COLLEGE MUSICA
MORGANA
BEFORE DARKNESS GATED US (40’)
live set per frammenti di memorie sonore rielaborate digitalmente
MOOR MOTHER
SHINKOLOBWE (45’ ca.) per voce, percussioni, trombone, organo ed electronics
ECCO2K (90’ ca.)
DJ set
biennalemusica
PLAYLIST di F.D.S.
IL BEL RUMORE
Maxime Denuc
Infinite End (da Nachthorn, 2022)
L’organo di Maxime Denuc è controllato da un pc che modifica timbri e registri e facilita e fluidifica ritmi e sequenze. Il frammento ritmico di questo brano, tratto dall’ultimo lavoro del compositore francese, sempre uguale, sempre cangiante, si abbevera alla fonte originaria del minimalismo storico di Steve Reich e Philip Glass.
Sara Persico
Brutal threshold (da Sphaîra, 2025)
Questa artista italiana, residente a Berlino, ha realizzato delle registrazioni semi-clandestine all’interno di un teatro abbandonato situato a Tripoli in Libia, all’interno del Rachid Karami International Fair, complesso di edifici progettato negli anni ‘70 da Niemeyer e poi abbandonato a causa della guerra civile. Le registrazioni sono state poi rielaborate in studio per dar vita ad un lavoro in cui la musica diviene archivio sonoro dei ricordi della collettività. Il fantasma di Pauline Oliveros è ancora vivo tra noi…
Oval
Hallodraussen (da Wohnton, 1993)
Do while (da 94 Diskont, 1995)
Sono gli Oval, un gruppo tedesco capitanato da Markus Popp, gli antesignani della glitch music, che vede nell’errore o nell’imperfezione del segnale audio o video della macchina una forma artistica in grado di esaltare l’imperfezione della tecnologia. Ascoltate la siderale differenza tra queste due tracce, entrambe ad aprire due dischi distanti tra loro solo due anni.
Fennesz
Circassian (da Venice, 2004)
In una fase storica che dura da 30 anni circa in cui laptop e software musicale la fanno da padrone, producendo una quantità mostruosa di musica a fatica distinguibile al suo interno, Fennesz è uno dei pochi musicisti che ha saputo in questa direzione realizzare un percorso artistico originale e di altissimo livello. Alla Biennale presenta una versione espansa di Venice, che nel 2004 bissò il successo del lavoro precedente, Endless Summer. Lavoro sospeso tra estasi nostalgica e rasoiate di glitch music, il marchio dell’artista, il disco ancor oggi esercita un fascino incredibile per le sonorità della sua chitarra distorta e filtrata.
Meredith Monk
Acts from under and above: Scared songs (da Do You Be, 1987) Qui davvero categorie della mente, convenzioni, pregiudizi e confini della tradizione saltano come tappi, perché la connessione tra voce, musica, teatro e corpo, che è il luminoso regalo che Meredith Monk ha fatto al mondo, è talmente stretta e totale da risultare quasi impossibile da sostenere. Acquistai questo disco del tutto per caso l’anno della sua uscita e da allora rimane uno dei pochissimi ai quali ancora torno di continuo.
Laurie Spiegel
Appalachian Grove I (da The Expanding Universe, 1980)
Nella Spiegel programmazione informatica e musica si confondono, conoscenza tecnologica, capacità di intervento sulle macchine e talento musicale purissimo diventano un tutt’uno in una musica in cui le textures si evolvono lentamente attraverso pulsazioni in totale auto-controllo.
Questa Biennale Musica mi ha portato ad un ascolto impegnato, se non proprio esaustivo, delle musiche di molti dei compositori e delle compositrici presenti nel programma. Siamo anche usciti dal rigido confine del calendario per coinvolgere alcuni dei nomi considerati alle origini della cosiddetta ‘musica creativa’ (prima fra tutti, Eliane Radigue e la sua musica inflessibile, Pauline Oliveros e il suo concetto di deep listening, Meredith Monk e la sovrana leggerezza del suo genio versatile) ed artiste ed artisti non invitati a questa Biennale ma che comunque rivestono un certo interesse all’interno di una musica votata all’ascolto immersivo. Da questo tempo dell’ascolto, eccovi la nostra playlist.
Dither Quartet
Braml di Gulli Bjornsson, per quartetto di chitarre
I DQ si inseriscono nella grande tradizione newyorkese della c hitarra grattugiata, strumento di cacofonia, di preziosismi micro tonali, di improvvisazioni inesauste, di enormi blocchi sonori che abitano nell’occhio pacificato del tornado. Abbiamo in mente Glenn Branca, Theoretical Girls, le derive avanguardiste degli ex Sonic Youth. I Dither sono un quartetto di chitarristi a loro agio con qualsiasi utilizzo si possa fare della chitarra elettrificata nel campo infinito della musica classica contemporanea. A Venezia interpreteranno The Expanding Universe di Laurie Spiegel.
Suzanne Ciani
The first wave - Birth of Venus (da Seven Waves, 1982) Suzanne Ciani rappresenta il favoloso punto di caduta della musica cosmica. Nel senso che, dopo un album come Seven Waves, interamente composto utilizzando la sontuosa line up dei sintetizzatori disponibili in quegli anni (Buchla 200, Moog, Prophet 5, Synclavier etc) e improntato su una musica di purissima luminosità, in cui le onde del Pacifico diventano fonte ispirativa per sette brani di leggerezza inimitabile, si avvia sulla strada di una New Age coraggiosa ma anche, almeno per il nostro modesto punto di vista, difficilmente difendibile. Tuttavia, al di là degli esiti musicali, il genoma originario è sempre lo stesso, quello di tutte le grandi musiciste rappresentate in questa Biennale Musica (Spiegel, Radigue, Arkbro, ecc): una maestria tecnica che ha quasi del sovrannaturale e che induce alla tentazione di riprogettare il mondo reale attraverso la macchina.
Bendik Giske
Cruising (da Cracks, 2021)
Il sassofono queer di Bendik Giske risuona con i suoi loop incessanti, sempre in grado di rigenerarsi, amplificato com’è da microfoni disseminati sullo strumento, sul suo corpo e in tutto lo studio. Strumento, corpo e studio diventano così parti integrate di un unico processo sonoro in cui il musicista non interviene più su di una macchina, ma diventa macchina egli stesso.
William Basinski
For David Robert Jones (da A Shadow in time, 2017)
La presenza di William Basinski in una sua reinterpretazione dei tape loops di Garden of Brokeness, adattata all’universo sonoro veneziano con i suoni dei motori dei vaporetti lagunari, sarà uno dei momenti indimenticabili di questa Biennale Musica. Qui lo ascoltiamo nella sua elegia funebre per la morte di David Bowie.
Agnese Menguzzato
Ablute (da Scusa, 2023)
Memorie di canti ascoltati da ragazza, venti digitali che attraversano luoghi della mente, identità plasmate in continuo micro-divenire: la musica di Menguzzato pare rammemorare la luminosità di immagini lontane, attraverso la nebbia che le confonde e le rende indicibili.
Catherine Christer Hennix
Live at Stedelijk Museum Amsterdam (16.02.2018)
La vita di CCH è stata la continua, incessante testimonianza di come sperimentazione, visionarietà e rigore abbiano saputo dar vita ad un personaggio unico, che sapeva esprimersi ai massimi livelli in discipline distanti tra loro come matematica, filosofia, musica, arte.
Intervista
Filippo
Dini | Direttore Artistico TEATRO STABILE DEL VENETO – Teatro Nazionale
PROFESSIONE TEATRO
di Mariachiara Marzari
L’origine del suo amore per il teatro diventa passione vera e lo guida in una carriera che lo vede protagonista sulle scene come attore e regista. Filippo Dini, da un anno e mezzo direttore artistico del Teatro Stabile del Veneto – Teatro Nazionale, ci guida con sguardo lucido ma non scevro di emozioni attraverso la nuova imminente stagione con un cartellone ricco di oltre 80 spettacoli, di cui 37 titoli in abbonamento, distribuiti su tre diversi teatri: Teatro Goldoni di Venezia, Teatro Verdi di Padova, Teatro Del Monaco di Treviso. Un nuovo progetto artistico triennale che rappresenta per ogni struttura teatrale l’avvio di un viaggio, di un nuovo racconto, perché, come recita il titolo della campagna di quest’anno curata dall’artista catalano Javier Jaén, «Ogni storia ha il suo inizio».
Dini ci offre una panoramica concentrica sul ruolo e sul futuro del teatro, con particolare attenzione al contesto culturale italiano e a quello veneto, senza dimenticare il confronto costruttivo con l’Europa. Storie, attori, testi, pubblico: queste le parole chiave di un approccio nel solco della tradizione ma che inevitabilmente e consapevolmente si apre a un fitto dialogo generazionale per riportare il teatro al centro esatto del nostro contemporaneo.
Come nasce la sua vocazione teatrale?
Nasce a Genova, dove sono nato e cresciuto. Sono stato portato a teatro per la prima volta molto presto e ne sono rimasto veramente affascinato, tanto che da allora non ho smesso più di andarci.
Ho avuto un’infanzia e un’adolescenza abbastanza normali, però andando a teatro sentivo il mio mondo aprirsi, perché quel luogo magico mi offriva l’occasione di confrontarmi e dialogare con gli altri. Così ho iniziato, con una genuina fascinazione che nel tempo è cresciuta e perdura ancora oggi. Ogni attore in fondo ha in sé, e io sicuramente ce l’ho, una parte ancora infantile, un bambino che ogni sera, prima di andare in scena, torna a essere per alcuni istanti dominante quando sale l’emozione e sul palco non si recita a soggetto, ma si vive, si è il personaggio che si va ad interpretare.
Quale la sua personale definizione di teatro?
E quale il ruolo che secondo lei rivestono il teatro in generale e la drammaturgia in particolare nel nostro contemporaneo?
Il teatro rappresenta per me da sempre, non solo da oggi, una fondamentale risorsa per la crescita personale. Offre la possibilità di approfondire un percorso di ricerca interiore e di scoperta di sé, la possibilità di riflettere e di capire dove ci si trova esattamente rispetto alla propria vita. Da sempre il teatro fa parte del nostro mondo, della nostra cultura, tuttavia, nonostante la sua funzione vitale, il ruolo del teatro oggi è attraversato da una crescente tendenza che lo vuole in qualche modo marginalizzare. Il teatro e l’arte in generale sono tuttavia delle risorse fondamentali per il miglioramento e la cura dell’anima popolare. Un’idea, una funzione che si concretizzano nel nostro mondo attraverso un teatro accessibile e profondo insieme. Grazie ai grandi poeti, ai grandi autori e drammaturghi che hanno saputo mettere in scena l’espressione dei nostri sogni, dei nostri desideri, dei nostri drammi, a teatro abbiamo la possibilità di vedere rappresentati dubbi, certezze, vissuti, ricordi, momenti felici e tristi, saperi. Di “vedere noi stessi” messi in scena, insomma.
Penso al teatro come all’ascolto di una “favola della buona notte”: un momento in cui ci si disconnette dalla distrazione quotidiana del continuo “scroll” digitale del cellulare, attraverso il quale possiamo accedere a tutto indistintamente ed istantaneamente, per immergersi in un solo, esclusivo racconto. Attraverso la storia rappresentata lo spettatore ha la possibilità di riflettere sulla propria esistenza, ponendosi domande come: «Dove mi trovo?», «Come va il mio rapporto in casa?»... È proprio questa capacità di stimolare l’auto-riflessione che costituisce l’essenza del teatro come cura. Il teatro richiede al pubblico di fermarsi per due ore, di stare lì e vedere cosa viene raccontato, offrendo un momento di pausa e concentrazione. Per questo credo che quando il pubblico si ritrova a teatro ci premi sempre, perché offriamo ancora una possibilità aperta di dialogo e di confronto. Per quanto riguarda la drammaturgia, essa è chiaramente per me il punto di partenza fondamentale di questo processo, è lo strumento chiave per realizzare la visione Stagione Teatrale 2025-2026 Teatro Stabile del Veneto – Teatro Nazionale www.teatrostabileveneto.it
di un teatro come cura capace di dialogare con il presente, sebbene alla “nuova drammaturgia” non venga sempre dedicata sufficiente attenzione, soprattutto in Italia.
Assistiamo a un’importante riscoperta del Classico oggi: la nuova drammaturgia non opera creando necessariamente da zero, bensì il più delle volte attraverso la riscrittura e la rilettura dei grandi classici. Autori contemporanei riscrivono completamente le opere del passato per portare le loro strutture narrative e tematiche nel presente. Esempio emblematico a riguardo è l’operazione, il progetto che stiamo costruendo su Mirandolina, con la riscrittura contemporanea ad opera della drammaturga Marina Carr. L’obiettivo non è quello di stravolgere i testi originali, ma di articolare il racconto in modo che possa parlare direttamente alla sensibilità e alle esperienze del pubblico attuale, permettendo così quella riflessione personale che è alla base del teatro in quanto cura. In sintesi, la nuova drammaturgia agisce come un ponte tra tradizione e contemporaneo, rivitalizza le grandi storie del passato per renderle nuovamente significative per l’anima popolare di oggi, permettendo al teatro di svolgere la sua funzione essenziale di strumento di crescita, di riflessione e di cura di sé.
Quale significato assume per un Teatro Nazionale la nomina di un Direttore Junior (ndr: Alessandro Businaro)?
Il direttore artistico Junior è emerso da un decreto ministeriale che noi, credo siamo stati i primi, abbiamo subito recepito. Un bel segnale che questo governo abbia deciso di promuove artisti under 35. Una decisione estremamente inaspettata, che ha lasciato molti miei colleghi direttori di teatri perplessi, non proprio così entusiasti. Personalmente ho subito trovato la proposta interessante perché questa soluzione istituzionale colma di fatto un divario: il confronto con la nuova generazione di artisti è certamente caratterizzato da ammirazione reciproca, ma anche dalla consapevolezza di una profonda distanza generazionale.
In un anno e mezzo di direzione artistica sono venuto in contatto con quello che definisco “un bacino di meraviglia e di luce”, ossia con moltissimi registi e artisti under 35 dotati di un’energia e di una visione del futuro davvero notevoli, spesso caratterizzati da una prospettiva molto più chiara, sicura e solare rispetto a quella che connotava le generazioni che li hanno preceduti.
Filippo Dini - Photo Serena Pea
i ncontro
FILIPPO DINI
TSV – TEATRO NAZIONALE
Tuttavia resta la consapevolezza di una significativa distanza tra la mia di generazione e quella dei giovani artisti. Il loro modo di creare è molto distante dal mio sia nello stile, sia nella luce, sia negli obiettivi che si pongono. Questa distanza è percepita come molto più ampia rispetto al passato: il divario di 20 anni che mi separava dalla generazione precedente quando ero giovane, oggi sembra essere almeno di 40 anni. Questa consapevolezza mi ha portato a pormi una domanda cruciale: come faccio a comprendere questo mondo? La risposta a questa sfida è stata una soluzione istituzionale e strategica: l’introduzione della figura di un direttore artistico junior, under 35. Questa figura, nella persona di Alessandro Businaro, è diventata lo strumento per colmare questo rilevante divario generazionale. In qualità di giovane artista, regista e organizzatore padovano, Alessandro conosce a fondo l’universo creativo dei suoi coetanei, un mondo che per me era in parte sconosciuto. Il suo ruolo sarà quindi quello di consigliarmi e aiutarmi a comprendere le nuove tendenze, prendendosi in carico pezzi di lavoro e progetti specifici legati alle nuove generazioni, agire come un vitale ponte tra l’istituzione teatrale e i nuovi talenti.
In tal modo, con questa scelta, intendiamo costruire un confronto diretto con i più giovani. Un dialogo basato sul riconoscimento del valore, sull’umiltà di “vedere” una distanza e sulla conseguente consapevolezza di dover creare un meccanismo istituzionale che permette di valorizzare la loro energia e la loro visione unica all’interno della struttura teatrale.
Quali elementi specifici ha potuto acquisire e assorbire in presa diretta dal TSV – Teatro Nazionale in questo suo primo anno di lavoro? In quale direzione state andando?
Definire la direzione che stiamo seguendo è una questione complessa. “Responsabilità” è un termine fondamentale per aiutare a entrare ancor più profondamente nel vivo della costruzione di un progetto culturale e, conseguentemente, nella definizione del percorso gestionale e di programmazione che un direttore artistico deve intraprendere. In questo primo anno da un lato abbiamo concentrato la nostra attenzione sul territorio veneto, con l’impegno e la volontà di continuare a far crescere il teatro non solo in termini di pubblico, ma anche di compagnie, produzioni, registi, attori e di tutti gli altri mestieri ad esso connessi. Da un altro lato, come Teatro Nazionale, dobbiamo dare una risposta forte in termini di produzione culturale e di sviluppare una linea di internazionalizzazione. Quindi il nostro impegno fondamentale consiste nel mantenere un fitto dialogo con il territorio e gli altri teatri attraverso una proposta che sia diversificata e caratterizzata da una particolare cura, ampliando il peso specifico culturale e produttivo del nostro teatro.
Lei si rivolge a tre città molto vicine dal punto di vista geografico, ma al contempo estremamente diverse nelle loro dinamiche socio-culturali, che inevitabilmente divengono per il suo lavoro tre interlocutori e tre audience assai differenti. Innanzitutto quali elementi l’hanno sorpresa di più di questo composito mosaico? E come ha pensato di considerare nel suo cartellone queste tre distinte morfologie urbane, valorizzandole e “sfruttandole” a suo favore, o meglio, a favore dei pubblici? Tre teatri importanti in tre città così diverse – Padova, Treviso, Venezia –, con tre identità ben definite: è stata per me una grande sfida,
che non immaginavo così complessa e al contempo intrigante. Per prima cosa ho iniziato a studiarne le caratteristiche per capirne le dinamiche, il gusto, le abitudini. Fondamentale in ogni caso è stato subito operare una diversificazione dell’offerta per costruire un dialogo privilegiato con il territorio di riferimento. Una stagione teatrale deve tenere conto delle specificità del proprio pubblico e del relativo territorio. I pubblici delle tre città sono molto differenti: Venezia ha un pubblico molto esigente e peculiare; Padova è una città dove si può osare un po’ di più; a Treviso il pubblico desidera passare una bella serata, magari con una storia diversa, ed è curioso verso la novità. La programmazione deve quindi essere ampia e articolata per rispondere a queste diverse esigenze.
Io abito a Padova perché qui ci sono gli uffici del TSV, ma cerco di andare il più possibile anche a Treviso e Venezia, in modo da mantenere sempre l’attenzione rivolta alle specificità dei singoli teatri.
Siamo quasi ai blocchi di partenza dell’importante stagione 2025/2026. Il cartellone presenta una ricca programmazione che attinge molto al passato con uno sguardo però sempre rivolto al presente e al futuro. Quali secondo lei gli ingredienti necessari per realizzare una “buona stagione”?
Il primo e più importante ingrediente è la cura nel proporre sempre “una grande storia”. Questo processo parte dal dialogo con gli autori e i loro testi, punto di partenza fondamentale. La selezione non si limita a riproporre i classici, ma cerca attivamente una possibilità contemporanea per raccontare storie con strutture narrative di oggi. Altro elemento cruciale la centralità degli attori. Gli attori sono l’elemento più immediato e ricettivo del processo creativo. Continuo a credere nel talento attoriale. L’Italia è sempre stata famosa per la sua eccellente scuola di recitazione, da cui discendono grandi tradizioni come la Commedia dell’Arte e l’epopea dei grandi capocomici, fino ad arrivare ai Totò e ai Troisi, oppure ancora i grandi interpreti drammatici, da Eleonora Duse fino a, che so, Carmelo Bene. Questo si traduce in scelte di cartellone che valorizzano sia grandi interpreti affermati, come ad esempio Gabriele Lavia e Silvio Orlando, sia giovani talenti emergenti, come la protagonista di Mirandolina La selezione degli spettacoli è guidata da una filosofia precisa: quella di costruire un “teatro popolare”. Il termine “popolare” non è sinonimo di facile, banale o di scarsa qualità; al contrario significa invece “accessibile”. Si ispira ai grandi maestri come Shakespeare e Molière, i quali creavano opere con una forma poetica altissima e una grande profondità, ma in una maniera e in una lingua comprensibili al popolo. Gli ingredienti essenziali per questo tipo di teatro sono fondamentalmente due: raccontare una grande storia accessibile a tutti, pur mantenendo una complessità che permette molteplici possibilità di interpretazione; utilizzare un linguaggio che, pur essendo elevato, sia comprensibile anche a chi non appartiene a un’élite culturale. È esattamente questo ciò che ricerco nel mio fare teatro.
Un altro ingrediente essenziale è senz’altro l’equilibrio tra la valorizzazione dei grandi maestri e l’apertura ai giovani e alla sperimentazione. La stagione deve includere sia figure consolidate del teatro italiano sia un forte investimento sulle nuove generazioni.
Alla fine comporre una stagione teatrale significa unire grandi storie e grandi attori sotto una visione di teatro profondo ma accessibile, bilanciando proposte diverse per dialogare con il territorio e creando un ponte tra la tradizione e il futuro.
La Cosmicomica vita di Q - Photo Anna Faragona
La gatta sul tetto che scotta - Photo Luigi De Palma
Luca Barbareschi - Photo F. Di Benedetto
Andrea Pennacchi
Paola Minaccioni - Photo Gianmarco Chieregato
Marina Carr
Ambra Angiolini e Ivana Monti
Stefano Massini - Photo Filippo Manzini
Marco Paolini - Photo Gianluca Moretto
Silvio Orlando - Photo Ivan Cerullo
Anna Ferzetti
VIVA, VIVA SAN MARTIN!
Solo chi è stato bambino in una Venezia profondamente diversa da quella di oggi può cogliere il senso di una data, trascurabile all’apparenza, come l’11 novembre
di Fabio Marzari | da VeNews 150, Novembre 2010
L’11 novembre è San Martino e a Venezia è abitudine diffusa regalare un dolce di pasta frolla a forma di cavallo cavalcato dal Santo con l’elsa sguainata e il mantello svolazzante, guarnito con glassa di zucchero colorata, praline, caramelle e cioccolatini, lo si può trovare anche nella ricca versione ricoperto al cioccolato. La festa cade nel periodo dell’anno che prende il nome di “estate di San Martino”, un breve periodo di tempo in cui, dopo le prime gelate autunnali, si verificano condizioni climatiche favorevoli e relativo tepore. In passato, durante questa festa a carattere popolare, si usava mangiare castagne e vino nuovo, cantando sotto le finestre delle case, auspicando che gli abitanti all’interno buttassero altre castagne. Oggi di questa antica festa rimane l’usanza da parte dei bambini di sbattere tra di loro oggetti che fanno tanto rumore, come pentole e coperchi, e di girare di campo in campo e calle in calle domandando qualche spicciolo o caramelle ai negozianti o ai passanti. Mentre sbattono le pentole e i coperchi che hanno trafugato da casa, spesso i bambini cantano una simpatica filastrocca che ricorda in qualche modo la proverbiale generosità del Santo.
«Oh che odori de pignata!/Se magnè bon pro ve fazza,/ Se ne de del bon vin/Cantaremo San Martin. San Martin n’à manda qua/Perché ne fe la carità/Anca lu, co’l ghe n’aveva/ Carità ghe ne faceva. Fe atenzzion che semo tanti/ E fame gavemo tuti quanti/Stè atenti a no darne poco/Perché se no stemo qua un toco!»... In presenza di generosità ecco che si dirà: «E con questo la ringraziemo/Del bon animo e del bon cuor/Un altro ano ritornaremo/Se ghe piase al bon Signor/ E col nostro sachetin/ Viva, viva San Martin». In caso malaugurato di tirchieria conclamata ecco una sorta di anatema: «Tanti ciodi gh’è in sta porta/Tanti diavoli che ve porta/Tanti ciodi gh’è in sto muro/Tanti bruschi ve vegna sul culo».
November 11th marks the feast of Saint Martin, and in Venice, it’s a beloved tradition to gift a special shortcrust pastry shaped like a horse ridden by the saint – sword raised, cloak flying in the wind. This festive treat is decorated with colorful sugar glaze, candy, pralines, and chocolates. Some versions are even coated in rich chocolate. The celebration falls during what Italians call the “Summer of Saint Martin,” a brief warm spell that follows the first autumn frosts. Historically, this popular festival involved roasting chestnuts and drinking new wine, while singing under windows in hopes that residents would toss down more chestnuts. Today, children keep the tradition alive by clanging pots and lids together – borrowed from home – and parading through streets and squares, asking shopkeepers and passersby for coins or sweets. As they make noise, they sing a playful rhyme that recalls the saint’s legendary generosity: “Oh, what smells from the pot!/If you’ve eaten well, good for you./If you’ve had good wine,/Let’s sing for Saint Martin./Saint Martin came to us/Because he brings charity./Even when he had little,/He still gave to others./Be careful, we are many,/And we’re all quite hungry!/Don’t give too little,/Or we’ll stick around a while!” If generosity is shown, the children respond with gratitude: “And with this, we thank you/For your kind heart and spirit./We’ll return next year/If the good Lord allows./And with our little bag:/Long live Saint Martin!” But if the offering is stingy, a humorous “curse” is sung: “So many nails in this door,/May the devils carry you!/So many nails in this wall,/May pimples grow on your rear end!”
Festa di San Martino 11 novembre
CAPODANNO CONTADINO
Novembre è all’apparenza un mese interlocutorio per il cibo, in attesa delle ricche libagioni del periodo natalizio. Nella nostra area geografica sono innumerevoli le abitudini gastronomiche legate al periodo, e la vocazione contadina delle Tre Venezie emerge dalle tradizioni popolari. Va ricordato che l’11 novembre segna il termine dell’anno agrario, quindi non solo simbolicamente, ma anche giuridicamente, questa data ha una valenza importante. Ecco quindi nelle campagne la tradizione dell’oca di San Martino. Se il proprietario delle terre non chiedeva ai contadini di restare a lavorare anche l’anno dopo, questi dovevano traslocare e cercare un altro padrone e un altro alloggio. Anche nelle città divenne abituale cambiar casa proprio a San Martino, perciò “fare San Martino” diventò un modo di dire. Inoltre, il periodo di penitenza e di digiuno che precede il Natale cominciava proprio il 12 novembre e San Martino era quindi una specie di Capodanno contadino nel corso del quale si festeggiava con una grande mangiata d’oca e biscotti. La tradizione di cibarsi dell’oca nel giorno dedicato a San Martino affonda le proprie origini nei secoli. L’oca costituì per secoli, assieme al maiale, la riserva di grassi e proteine durante l’inverno del contadino povero che si cibava comunemente solo di cereali e polenta.
Dagli Egiziani e passando per Omero, l’oca fu sempre tenuta come allegro e starnazzante compagno d’infanzia e come guardiano, si pensi alle famose oche del tempio della dea Giunone nel Campidoglio. Le oche erano ingrassate con fichi secchi provenienti dal Meridione per rendere il fegato grasso. I romani chiamavano iecor il fegato e iecor ficatum quello grasso, da cui deriva l’italiano “fegato”. I barbari che saccheggiarono Roma nel 390 a.C. sotto la guida di Brenno consideravano il palmipede simbolo dell’aldilà e Grande Madre dell’Universo e dei viventi. Ad ulteriormente definire la considerazione dell’oca, la sua zampa era usata come marchio di riconoscimento dai maestri costruttori di cattedrali gotiche. L’oca fu sempre allevata, anche nel periodo medioevale, nei monasteri e nelle famiglie dei contadini, come ordinava Carlo Magno. A favorire la diffusione dell’oca furono – attorno al 1400 – alcune comunità ebraiche di rito aschenazita che si stabilirono, provenienti dall’Europa del Nord, nelle regioni settentrionali della penisola e quindi anche nel Veneto. Non potendo consumare carne di maiale per motivi religiosi, i loro macellai preparavano deliziosi salami e prosciutti d’oca. L’oca era, infatti, il cibo prediletto dalle ricche famiglie ebree sul finire dell’Ottocento. Già di tradizione celtica, l’11 novembre entrò a far parte anche delle feste cristiane proprio grazie a San Martino e fu da sempre collegato alle oche. La leggenda racconta, infatti, che Martino, nonostante l’elezione a furor di popolo a Vescovo di Tours, non voleva abbandonare il saio e cercò di nascondersi, ma furono proprio le oche a stanarlo e così divenne vescovo e poi Santo per la sua bontà nei confronti dei poveri. Ma nel secolo scorso e fino ai primi del Novecento l’oca fu anche mezzo di scambio. Con essa fittavoli e mezzadri pagavano ai nobili proprietari terrieri una parte del dovuto, oppure si recavano al mercato e scambiavano le oche con stivali. È ascrivibile alla “saggezza” popolare il detto: «Chi no magna oca a San Martin no’l fa el beco de un quatrin». Fabio Marzari
Giovanni Mansueti, San Martino e il Mendico, (1500-1510), Museo Correr
t radition
FESTA DELLA MADONNA DELLA SALUTE
VENTUN NOVEMBRE
di Fabio Marzari | da VeNews
169, ottobre/novembre 2012
La Festa della Madonna della Salute riveste una particolare importanza per Venezia, e stupisce che, in un presente poco attento alle liturgie ecclesiastiche, il tributo di un’intera città, allargatosi via via nel corso degli anni a quella che ora, amministrativamente, si definirebbe “città metropolitana”, sia sempre devotamente sincero e sentito al punto da fare del 21 novembre di ogni anno un must nel calendario delle celebrazioni a carattere religioso. Forse è il carattere di festa poco incline ai riti imposti, ma dalla forte caratterizzazione personale, un pellegrinaggio al tempio del Longhena che riveste le caratteristiche di una ‘transumanza’ religiosa verso la Mesopanditissa, l’icona bizantina della Madonna nera, in grado di fermare la terribile pestilenza e ridare una speranza di futuro a Venezia. Ognuno affida le proprie attese di salute alla Madonna, ma in maniera poco teatrale, non vi è la spettacolarizzazione della malattia. La colonna degli infermi non si trova nella Basilica; c’è la consuetudine di andare a trovare almeno una volta l’anno, recando delle candele, in maniera piuttosto democratica, senza esagerare in ceri di foggia e costo esorbitante, una vecchia signora, carica d’anni e di virtù, come quelle Zie anziane che in occasione degli auguri di Natale potrebbero offrire del rosolio, servito in un vassoio con sopra un centrino ricamato... Il contesto è fatto dal ponte di barche a unire le due sponde del Canal Grande, dal mercato dei palloncini gonfiabili nei pressi della Basilica, dai banchi che vendono i ceri da portare in dono, e dagli stand gastronomici, che nel corso degli anni hanno ampliato l’offerta con prodotti del Sud, pasta di mandorle, marzapane e canditi, ed ancora frittelle e crepes alla nutella; in fondo, a ben vedere, niente di tipico. La tradizione nel secolo scorso prescriveva per il 21 novembre cioccolata calda con panna e baicoli, prima uscita stagionale con pelliccia delle signore e conseguente passeggiata fino a San Marco, post Madonna. Ora il clima mutato, gli animalisti in agguato e la globalizzazione del pistacchio hanno imposto nuovi standard alla festa, di cui rimane il carattere religioso, ma poco del rito veneziano, ovvero a forte caratterizzazione laica, poco propensa alle declinazioni dei baciatori di pile professionisti. Rimane ancora in auge in città il menù della Salute, che prevede un piatto duro, molto robusto di sapore, che o incontra o divide: la castradina s’ciavona, un piatto evocativo delle terre perdute d’oltremare. Carne di montone castrato che si accompagna con le verze, piatto digeribile con i buoni uffici della Mesopanditissa evidentemente, che rispetta a pieno la tradizione. Molto più affrontabili sono le leccornie come il croccante o le mandorle o nocciole tostate che straboccano dai cesti delle bancarelle. Non è dato sapere il 22 novembre quanti prendano appuntamento dal dentista per rifare le otturazioni saltate causa frutta secca caramellata, ma è un rischio che vale la pena correre, trattandosi di dolciumi consumati in zona ad ampia copertura sacra. Nell’abitudine di convivere con la Basilica, spesso i veneziani scordano di pensare al ‘miracolo’ architettonico che fu compiuto nell’erigere un simile monumento, che rappresenta un esempio di bellezza ed armonia quasi senza pari. Baldassarre Longhena sembra abbia tratto l’ispirazione per il progetto della chiesa dall’immagine del Tempio di Venere Physizoa descritta nell’opera Hypnerotomachia Poliphili di Francesco Colonna, un chiaro riferimento ad un legame tra madre pagana e cristiana, un una sorta di protocristianesimo ideale. Ma questa è un’altra storia...
The Feast of the Madonna della Salute, or Our Lady of Good Health, holds a special significance for Venice, and it’s striking that, even in a present day largely indifferent to ecclesiastical rituals, the tribute paid by an entire city remains sincerely and deeply felt. So much so that November 21st has become a fixture in the calendar of religious celebrations. Perhaps it’s the nature of the feast itself, which resists rigid ceremonial formality and instead embraces a personal, heartfelt pilgrimage to the majestic Basilica designed by Baldassarre Longhena in 1631. The height of it is a procession to pay respects to a Byzantine icon of the Black Madonna, believed to have halted a devastating plague and restored hope to Venice.
Each person entrusts their hopes for health to Mary, but without theatricality. There’s no spectacle made of illness. The procession of the sick doesn’t take place inside the Basilica. Instead, there’s a democratic tradition of visiting her at least once a year, bringing modest candles as if visiting an elderly aunt who, during Christmas greetings, might offer you a glass of spirit.
The setting includes the temporary bridge of boats spanning the Grand Canal, the balloon market near the Basilica, stalls selling candles for offerings, and food stands that over the years have expanded their offerings to include southern Italian specialties: almond paste, marzipan, candied fruits, fritters, and Nutella crepes. In truth, there’s nothing particularly “typical” about it.
In the last century, tradition dictated hot chocolate with whipped cream and baicoli (Venetian biscuits) on November 21st, marking the season’s first outing in fur coats for the ladies, followed by a stroll to St. Mark’s Square after visiting the Madonna. Today, changing climate, animal rights activism, and the globalization of pistachios have set new standards for the celebration. The religious character remains, but much of the uniquely Venetian ritual, strongly secular and resistant to the excesses of professional piety, has faded.
Still popular in the city is the “Salute menu” featuring a robust, divisive dish: castradina s’ciavona, mutton stew with cabbage, evoking memories of lost overseas territories. It’s a dish digestible only with the Madonna’s blessing, it seems, but one that fully honours tradition.
Far more approachable are the sweets: brittle, toasted almonds and hazelnuts overflowing from market baskets. It’s unknown how many people book dentist appointments on November 22nd to fix fillings lost to caramelized nuts, but it’s a risk worth taking for treats consumed in a space steeped in sacred protection.
Living alongside the Basilica, Venetians often forget the architectural “miracle” that was achieved in building such a monument, truly an almost unparalleled example of beauty and harmony. Baldassarre Longhena is said to have drawn inspiration for the church’s design from the Temple of Venus Physizoa, described in Francesco Colonna’s Hypnerotomachia Poliphili and a clear reference to a link between pagan and Christian motherhood, a kind of ideal proto-Christianity.
But that’s another story...
Festa della Madonna della Salute
21 novembre Basilica di Santa Maria della Salute, Dorsoduro basilicasalutevenezia.it
t radition
FESTA DELLA MADONNA DELLA SALUTE I FONDAMENTALI
BASILICA
Un’imponente gradinata, che sembra quasi emergere dall’acqua, conduce all’ingresso della Basilica a pianta centrale, sormontata da una doppia cupola scenografica. Sulla sommità della cupola maggiore si trova la statua della Vergine con il bastone di Capitana de mar. Progettata dal giovane Baldassarre Longhena, in stile barocco assolutamente innovativo, “la rotonda macchina che mai s’è veduta né mai inventata”, come egli stesso la definì, venne iniziata nel 1631 e però conclusa solo dopo la sua morte nel 1687. Una serie ricchissima di statue decorano la facciata principale e i lati esterni dell’edificio, continuando anche all’interno, secondo il tema della glorificazione di Maria. L’altare maggiore colpisce per la sua mole imponente e per lo straordinario gruppo marmoreo di Giusto Le Court che si trova sulla sommità: la Vergine appare maestosa con il Bambino in braccio, sopra un masso di nubi con tre putti angelici ai piedi; un angelo con la fiaccola caccia la peste che fugge precipitosa mentre una donna riccamente adornata ricorda la città di Venezia che sta supplice in ginocchio ai piedi della Madonna. Al centro dell’altare la splendida immagine della Madonna della Salute, la Mesopanditissa.
N.B. Dalla statua della Peste, raffigurata da Giusto Le Court sull’altare come una megera vecchia e sdentata, deriva il detto veneziano: Ti xè bruta come ea peste!
ENG An imposingly large staircase seems to rise from the water. Once in, you will see the inside of the double dome construct hovering it. On the top of the larger dome is a statue of the Virgin with the mace of Capitano da Mar (Admiral). Designed by a young Baldassarre Longhena in an innovative Baroque style, the construction of the church began in 1631 and was concluded after Longhena’s death, in 1687. Statues adorn the main façade and the outer sides of the building as well as the inside. The main altar is majestic in its size and is decorated by a marble group by Giusto Le Court. The Virgin Mary appears with the Child in her arms over clouds, puttos at her feet. An angel chases away the plague with a torch while a richly-adorned woman, Venice, reveres the Madonna.
Note: Le Court sculpted an allegory of the plague in the shape of a toothless old hag. Hence, the Venetian saying: you’re ugly as a plague!
ICONA
La venerata icona della Madonna delle Grazie detta “della Salute” fu trasportata a Venezia dal Doge Morosini nel 1670 dalla Cattedrale di San Tito di Candia, dopo la fine della guerra. La tavola del XIII secolo in stile bizantino è di particolare suggestione per il volto ombrato e gli occhi penetranti della Madonna.
N.B. A Candia era denominata anche “la Mesopanditissa”, dall’uso liturgico locale che la festeggiava a metà ( mezo ) tra la festa dell’Epifania (6 gennaio) e la festa di Maria Ipapantissa (2 febbraio). Da cui il termine “mesoipapantissa”, trasformato popolarmente in “mesopanditissa”.
ENG The icon of Our Lady of Graces, also known as Our Lady of Good Health, was brought to Venice by Doge Morosini in 1670 from St. Titus Cathedral in Candia (present-day Heraklion, Crete). The XIII-century Byzantine plate is highly suggestive for the Madonna’s shadowy face and piercing eyes.
Note: Mesopandotissa is a Greek/Venetian form of Mesoipapantissa, an appellative of the Madonna that originated in Crete that used to signify the feast took place midway (miso) to the Ipapantissa, whose day of celebration is February 2.
PONTE VOTIVO
Una fila ininterrotta di persone si reca in pellegrinaggio presso la maestosa Chiesa della Salute e lo fa percorrendo a piedi il ponte votivo, un ponte temporaneo costruito su barche, che attraversa il Canal Grande e collega le rive di Santa Maria del Giglio (San Marco) con la Basilica del Longhena (Dorsoduro).
N.B. Occasione unica per ammirare da una prospettiva insolita i profili dei palazzi e delle chiese affacciate sul Canal Grande. ENG Pilgrims can reach the Basilica on foot via the votive bridge, a temporary bridge over the Grand Canal that unites Santa Maria del Giglio and the Basilica.
Note: A chance to see the palaces overlooking the Grand Canal from an unusual perspective.
CANDELE
Il legame ancora vivo e intenso tra Venezia, i veneziani e la Madonna della Salute si traduce nella quantità di candele che durante la Festa vengono raccolte in Basilica, numeri tali da garantire il fabbisogno annuo per tutte le chiese della città. La tradizione vuole infatti che per rendere omaggio alla Madonna vengano portate e accese delle candele – non c’è una regola fissa per il numero, ognuno si comporta in base alle proprie volontà – affinché possa intercedere per la buona salute.
N.B. Nel campo antistante la Basilica numerosi banchetti vendono candele di ogni grandezza.
ENG Venetians are very devoted to Saint Mary up to this day, and you can tell from the number of candles that during the Feast are lit in the church – more than all the other churches in Venice, combined, over a year. Tradition dictates the candles (any number, you get to choose how many) testify your devotion and your plea for good health.
Note: Candles are sold just before the Basilica.
CROCCANTE E PALLONCINI
Il sacro e il profano come ogni festa religiosa che si rispetti convivono e si fondono perfettamente. Accanto al sincero sentimento religioso convive l’aspetto più laico e gioioso: banchi imbanditi di dolciumi, soprattutto croccante alle mandorle e gigantesche frittelle, aspettano i fedeli fuori dalla Basilica. Immancabili i palloncini colorati e i giocattoli per i più piccoli.
N.B. Da consumarsi rigorosamente per strada.
ENG The sacred and the profane, as is the case with any religious feast, peacefully coexist. Stands sell candy, especially almond brittle and beignets and wait for you after church. Balloons and toys are available for the younger ones.
Note: Eat right away! Why wait?
CASTRADINA
Piatto della tradizione a base di cosciotto di castrato (montone salato e affumicato) cucinato per ore e saltato in padella con cavolo verza. Un omaggio alla fedeltà dei Dalmati che, nel lunghissimo isolamento patito da Venezia durante la pestilenza, sono stati gli unici a rifornire gli abitanti di cibo, soprattutto il montone, diffusissimo in quei territori. Ecco perché a ricordo di quel travagliato periodo si è mantenuta la tradizione di mangiare solo nella festività della Salute la “castradina”.
N.B. Pietanza saporita per palati avvezzi a gusti forti.
ENG A plate of Venetian tradition, it is mutton chop, smoked and slow-cooked with savoy cabbage. An homage to the loyalty of the Dalmatians, who, in the long plague induced isolation of Venice, were the only one to send regularly supplies to town and feed the Venetians. Muttons are traditionally raised in their territories.
Note: Beware! Strong tastes ahead.
PARIGI ROMANTICA POP
SABATO 27 SETTEMBRE
ORE 19.30
SCUOLA GRANDE SAN GIOVANNI EVANGELISTA
French touch
QUATUOR OPALE
Jennifer Courcier soprano
Éléonore Pancrazi mezzosoprano
Enguerrand de Hys tenore
Philippe Estèphe baritono
Emmanuel Christien pianoforte brani di HERVÉ, REY, MESSAGER, ecc.
DOMENICA 28 SETTEMBRE
ORE 17
Parigi, la chitarra e tu
Marc Mauillon baritono
Pascal Sanchez chitarra romantica brani di HERVÉ, MARESCOT, MERCHI, ecc.
VENERDÌ 3 OTTOBRE
ORE 19.30
Oh là là!
DUO CONTRASTE
Cyrille Dubois tenore
Tristan Raës pianoforte
brani di CHAMINADE, CHRISTINÉ, TESORONE, ecc.
GIOVEDÌ 9 OTTOBRE
ORE 19.30
A passo di valzer
Jean-Baptiste Doulcet pianoforte brani di CHAMINADE, CHOPIN, BONIS, ecc.
MARTEDÌ 14 OTTOBRE
ORE 18
Hervé e lo spirito francese conferenza di Carla di Lena ingresso gratuito
GIOVEDÌ 16 OTTOBRE
ORE 19.30
Operette al pianoforte
Lidija e Sanja Bizjak pianoforte a quattro mani brani di HERVÉ, MESSAGER, OFFENBACH, ecc.
MARTEDÌ 21 OTTOBRE
ORE 19.30
Opera Dream
Raffaele La Ragione mandolino
François Dumont pianoforte brani di CHAMINADE, GOUNOD, THOMÉ, ecc.
MARTEDÌ 28 OTTOBRE
ORE 19.30
Fisarmonica mon amour
Félicien Brut fisarmonica
Astrig Siranossian violoncello brani di FAURÉ, BIZET, LEGRAND, ecc.
a rchitettura
THE LEGACY OF INTELLIGENS
di Michele Cerruti But
Venezia è città di cui si dice spesso essere ingessata nelle sue stesse rovine. Un romanticismo negativo che non può che suscitare imbarazzo e sdegno e che certamente deve molto agli scritti di John Ruskin. Ne Le Pietre di Venezia egli la descrive nella sua decadenza come «un fantasma sulle sabbie del mare, così debole, così silenziosa, così spoglia di tutto all’infuori della sua bellezza». Una città senza speranza, la cui salvezza sembra affidata soltanto alle sue narrazioni. «Vorrei tentare di tracciare le linee di questa immagine prima che vada perduta per sempre – scrive Ruskin –[mentre le onde] battono inesorabili contro le sue pietre, simili ai rintocchi della campana a morto». È anche rispetto a questa narrazione apocalittica che la Biennale 2025 offre una prospettiva di futuro più coraggiosa. Non solo perché il catalogo ospita un prezioso dialogo immaginario tra lo scrittore e critico britannico (di epoca vittoriana) e il venezianissimo Andrea Rinaldo (oggi tra i massimi esperti mondiali di idrologia) che ribalta la nostalgia retorica del ruinismo in un appello al rigoroso lavoro scientifico e politico che la città è chiamata a compiere rinnovando le quotidiane e ancestrali pratiche di convivenza con l’acqua e di protezione dei suoi movimenti, ma anche perché a Venezia il lavoro materiale su ‘nuova’ architettura è costante e denso. Basti qui nominare due progetti inaugurati negli ultimi mesi. Anzitutto il poetico ristorante ABC Zattere della Scuola Piccole Zattere a Dorsoduro progettato da Fosbury Architecture (il collettivo che curò il Padiglione Italia nel 2023), che ridefinisce la contemporaneità veneziana ripensando gli spazi della convivialità. Ma anche, poco distante, l’elegante progetto di Lissoni per Casa Sanlorenzo, in cui il nuovo ponte – spazio pubblico veneziano per eccellenza – diventa dimostrazione di una domesticità intima che trasforma il passaggio sull’acqua in un interno di lusso essenziale. Accanto a questi interventi, che raccontano la vitalità del dibattito architettonico, anche la Biennale presenta un certo numero di cantieri aperti. Quest’anno non sono pochi i Padiglioni che hanno scelto di riflettere su se stessi: come occasione di avvio di un restauro, di celebrazione della propria storia o di annuncio di un’imminente realizzazione. Emblematica a riguardo la proposta della Danimarca, che ha fatto del restauro l’oggetto stesso di una mostra senza dubbio significativa. Ma anche i Padiglioni di Francia, Finlandia, Uruguay, Giappone, Svizzera e Corea
19. Mostra Internazionale di Architettura
Fino 23 novembre Giardini, Arsenale, around town www.labiennale.org
sono variamente impegnati nel racconto della propria ristrutturazione e della storia di ‘oggetti’ che, come nel caso del Padiglione finlandese di Aalto, sono fragili gioielli di quell’ampio e disarticolato progetto incarnato dai Giardini. Riaperture che incuriosiscono e che richiedono ancora qualche mese per essere osservate più approfonditamente. Particolarmente significativo è, naturalmente, il caso del Padiglione Centrale, quest’anno chiuso per lavori che prevedono non solo l’adeguamento di impianti e infrastrutture, ma anche il restauro della preziosa cupola di Chini e la realizzazione di una nuova caffetteria. Accanto sorgerà il nuovo Padiglione del Qatar progettato da Lina Ghotmeh Architecture, lo studio fondato dall’architetta libanese che negli ultimi anni sta firmando alcuni dei progetti più interessanti a livello internazionale: superfici disadorne, un’architettura fatta di tracce profonde, connessioni che sembrano affondare fino al centro della terra. Un’architettura tutt’altro che incerta, che segna un’importante trasformazione dei Giardini. Appena fuori dal labirinto dei Padiglioni, non lontano dal piccolo capolavoro di Scarpa per la biglietteria (che quest’anno ospitava un progetto di Giulia Foscari), è invece sorta la nuova e ampia biglietteria della Biennale, un edificio che ha scelto un profilo silenzioso, nato dal recupero di alcuni complessi abbandonati – una serra, un magazzino – oggi tenuti insieme da una nuova copertura e da un leggero portico. A completare questo programma di interventi c’è anche il nuovo Centro Internazionale della Ricerca sulle Arti Contemporanee, concepito come ampliamento del già vivace Archivio Storico delle Arti Contemporanee della Biennale (ASAC). La nuova sede, che sorgerà all’interno dell’Arsenale, sarà destinata ad accogliere fondi e materiali di grande rilievo per lo studio e la conservazione delle arti contemporanee. Della Biennale Architettura di quest’anno resterà invece poco o nulla. Una delle missioni di Carlo Ratti era infatti quella di spingere i partecipanti a progettare fin dall’inizio la dismissione delle proprie installazioni, limitando al massimo i rifiuti edili, puntando a pratiche di decostruzione semplificata, elaborando modelli di riuso e riciclo dei materiali impiegati. Così, ad esempio, i pannelli dell’allestimento, realizzati in legno riciclato, saranno a fine Mostra triturati e riutilizzati per produrre altri materiali. Nell’incessante trasformazione della città materiale un altro cantiere è ormai prossimo alla chiusura. È quello del restauro di Piazza San Marco, che ha portato alla luce i resti di un castello medievale, altro tassello di una storia della città e della sua architettura che continua a cambiare e reinventarsi. Tutt’altro che una reliquia.
Venice is often described as frozen in its own ruins, a negative romanticism largely inherited from John Ruskin, who in The Stones of Venice depicted it as “a ghost upon the sands of the sea.” A city without hope, whose salvation seemed entrusted only to its narratives. The 2025 Biennale, however, offers a bolder vision of the future. The catalog features an imagined dialogue between Ruskin and Venetian hydrologist Andrea Rinaldo, transforming the nostalgia of ruinism into a call for the scientific and political work necessary to renew practices of coexistence with water and protection of its flows. In Venice, work on ‘new’ architecture continues steadily. Among recent projects are the poetic ABC Zattere restaurant at the Scuola Piccole Zattere in Dorsoduro, by Fosbury Architecture, rethinking contemporary conviviality, and Casa Sanlorenzo by Lissoni, where the new bridge becomes both public space and intimate domestic environment. Alongside these interventions, many Pavilions reflect on their own construction: Denmark makes restoration its central theme, while France, Finland, Uruguay, Japan, Switzerland, and Korea narrate their renovations or the history of fragile objects, as in Finland’s Aalto Pavilion. Particularly significant is, of course, the case of the Central Pavilion, which this year is closed for works that include not only the upgrading of systems and infrastructure but also the
restoration of Chini’s remarkable dome and the construction of a new café. Nearby, the Qatar Pavilion by Lina Ghotmeh Architecture will rise, marking a significant transformation of the Gardens. The studio founded by the Lebanese architect who in recent years has created some of the most compelling projects internationally: unadorned surfaces, architecture made of deep traces, with connections that seem to reach down to the center of the earth. Not far from Scarpa’s small masterpiece for the ticket office, the Biennale’s new spacious ticketing building has opened, a quiet structure created from restored greenhouses and warehouses with a light portico. Completing the program is the new International Center for Contemporary Art Research within the Arsenale, expanding the ASAC to house significant archives and materials for the study and preservation of contemporary arts. The 2025 Architecture Biennale also emphasizes sustainability: Carlo Ratti encouraged participants to design their installations with disassembly in mind, minimizing waste and promoting material reuse, such as the wooden panels of the Arsenale setup, which will be shredded and repurposed at the end of the exhibition. Amid the city’s ongoing transformation, the restoration of Piazza San Marco is nearing completion, having uncovered the remains of a medieval castle, a reminder that Venice is not a relic, but a city in constant evolution and reinvention.
Pavilion of Denmark, Build of Site - Photo Marco Zorzanello, Courtesy La Biennale di Venezia
architettura
19. BIENNALE ARCHITETTURA INTELLIGENS
La Biennale Architettura 2025 è un’edizione particolarmente votata alla ricerca: nasce da una domanda, da una sfida lanciata dal curatore, e raccoglie risposte che spaziano tra buone pratiche, ricerche in corso e risultati empirici. Cosa resterà, allora, di questa Biennale? Riflessioni su temi chiave, declinati attraverso lo sguardo unico dell’Esposizione, e spunti che il dibattito architettonico non potrà ignorare: sfide concrete, nuove domande e alcune risposte già in via di formulazione. Nel nostro speciale abbiamo selezionato cinque temi-sfida che più di altri stanno a nostro avviso emergendo da questa 19. Mostra Internazionale di Architettura, seguendo progetti e proposte tra Arsenale, Giardini e città che si sono trasformati in autentici laboratori di idee e possibilità.
The 2025 Architecture Biennale is strongly researchfocused: born from a curator’s challenge, it gathers responses from best practices to ongoing research and empirical results. What remains are reflections on key themes, seen through the Exhibition’s unique lens, offering insights the architectural debate cannot ignore. In our special, we highlight five emerging challengethemes, tracing projects across Arsenale, Giardini, and the city as true laboratories of ideas and possibilities.
Adattarsi al clima che cambia
Intelligens: Verso una nuova Architettura dell’Adattamento è il manifesto firmato a Madrid alcuni giorni prima dell’avvio della Biennale per dichiarare quale debba essere – oggi e domani – lo sforzo della progettazione e di cosa si debba anzitutto occupare la 19. Mostra Internazionale di Architettura. A fronte di un persistente sforzo della disciplina verso la mitigazione del proprio impatto ambientale, entro una narrativa negativa dell’adattamento, spesso visto come una forma di rassegnazione, la Biennale di Carlo Ratti richiama invece l’urgenza di riconoscere che il Pianeta è già alterato e che abbiamo bisogno di un’architettura capace di mutare insieme al clima, per abitare davvero il presente. È la sfida che si legge in progetti come, ad esempio, quello di Roofscapes Studio, dedicato al ripensamento dell’adattamento attraverso tattiche urbane incrementali; o nella ricerca ReLeaf, ampio catalogo che mostra il potenziale di raffrescamento urbano degli alberi. Una sfida che attraversa anche molti dei progetti sperimentali per Venezia, come Gateway to Venice’s Waterways, prototipo che ripensa la mobilità sostenibile sull’acqua. Ma è anche la chiave delle diverse declinazioni del vernacolare, presentate, ad esempio, nel bellissimo Carosello, un’installazione che rilegge il leggendario Architecture Without Architects di Rudofsky attraverso un viaggio intimo nella Cina contemporanea, svelando tecniche costruttive locali che sono al tempo stesso eccellenti esempi di adattamento. Una sfida già evocata dalla Prospettiva del Terzo Paradiso nella prima sala: per trasformare il futuro abbiamo bisogno della nostra capacità di creare, trovando un modo nuovo di abitarlo. Michele Cerruti But ENG Intelligens: Towards a New Architecture of Adaptation is the manifesto presented in Madrid a few days before the Biennale, outlining what design should focus on today and tomorrow, and what the 19th International Architecture Exhibition should primarily focus on. Against a negative narrative of adaptation, often seen as resignation, Carlo Ratti’s Biennale emphasizes the urgency of architecture capable of evolving with the climate to truly inhabit the present. This challenge is evident in projects such as Roofscapes Studio, exploring incremental urban tactics, or Re-Leaf, highlighting the cooling potential of urban trees, and in prototypes for Venice like Gateway to Venice’s Waterways, which rethinks sustainable mobility on water. It is also reflected in vernacular approaches such as Carosello, which revisits Rudofsky’s Architecture Without Architects through contemporary China, revealing local construction techniques as outstanding examples of adaptation. This is a challenge already initiated by The Third Paradise Perspective in the first room: to transform the future, we need to create and discover new ways of inhabiting it.
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The Third Paradise Perspective, Fondazione Pistoletto Cittadellarte
Photo Marco Zorzanello, Courtesy La Biennale di Venezia
di Marisa Santin
architettura
19. BIENNALE ARCHITETTURA
CLIMATE&ECOLOGY
ARSENALE
REGNO DEL BAHRAIN
Heatwave esplora strategie per mitigare il calore estremo negli spazi pubblici attraverso tecniche di ombreggiamento e raffreddamento passivo. Ispirandosi a metodi tradizionali del Bahrain coniugati a innovazioni contemporanee, l’installazione integra un sistema che connette termicamente l’aria sotterranea con quella esterna. Un pavimento modulare e un soffitto sospeso favoriscono la regolazione della temperatura, supportati da un sistema di ventilazione meccanica che mantiene un microclima controllato.
ENG Heatwave explores strategies to mitigates extreme heat in public spaces with shading and passive cooling, blending traditional Bahraini methods and contemporary design. The installation links underground air to the exterior, using a modular floor, suspended ceiling, and mechanical ventilation to regulate temperature and create a controlled microclimate.
ARSENALE
EMIRATI ARABI UNITI
Pressure Cooker esplora il rapporto tra architettura e produzione alimentare, proponendo soluzioni sostenibili per affrontare le sfide della sicurezza alimentare in climi aridi. La mostra analizza infrastrutture esistenti e modelli innovativi di serre, integrando conoscenze locali e tecnologie avanzate. Attraverso ricerche d’archivio e sul campo, il progetto mette in luce il potenziale dell’architettura nel trasformare paesaggi produttivi, immaginando un futuro in cui ambiente costruito e coltivazione si integrino per rispondere alla crisi climatica globale.
ENG Pressure Cooker examines the link between architecture and food production in the UAE, proposing sustainable solutions for food security in arid climates. Combining local knowledge and advanced greenhouse technologies, it envisions adaptable, self-sufficient landscapes where architecture and cultivation merge to face the climate crisis.
ARSENALE
LIBANO
Per anni conflitti armati e atti deliberati di ecocidio, come l’uso di fosforo bianco nel 2024, hanno contaminato il Paese, sfollato intere comunità e trasformato paesaggi un tempo fertili in terre desolate e tossiche. Presentandosi come un fittizio Ministero dell’Intelligenza della Terra, The Land Remembers esorta gli architetti ad assumere un ruolo attivo nella lotta contro la distruzione ambientale, invitando al contempo i visitatori a immaginare un futuro alternativo in cui tutti gli esseri viventi – umani e non umani – possano sopravvivere e prosperare.
ENG Lebanon faces severe environmental damage from war, urbanization, and political instability. Conflicts and acts of ecocide, like the 2024 use of white phosphorus, have poisoned land and water. As the fictional Ministry of Land Intelligens, the Pavilion calls on architects to prevent such destruction and imagine a future where all life can thrive.
GIARDINI BRASILE
(Re)Invention indaga il ruolo dell’architettura come artefatto culturale, articolando l’esposizione in due atti. Il primo, ispirato a recenti scoperte archeologiche in territorio amazzonico, racconta come i popoli indigeni abbiano modellato i paesaggi circostanti, creando infrastrutture sofisticate basate su conoscenze tecniche e strategie di adattamento ambientale. Il secondo atto si concentra sul Brasile contemporaneo, esplorando come le infrastrutture possano essere reinterpretate attraverso strategie progettuali che ereditano e trasformano saperi antichi.
ENG The project highlights architecture as a cultural artifact, showcasing Brazil’s history and social change. The first act, inspired by Amazonian archaeological finds, reveals Indigenous landscape infrastructures shaped by environmental adaptation. The second examines how contemporary design reinterprets and transforms this ancestral knowledge.
SAVE THE DATE
GIARDINI GERMANIA
STRESSTEST affronta le sfide poste dal cambiamento climatico nelle città e negli ambienti naturali, evidenziando strategie di design innovative già testate, applicate in diversi contesti reali. La visita al Padiglione diventa un’esperienza sensoriale e intellettuale che racconta gli effetti del calore estremo attraverso due scenari, STRESS e DE-STRESS. I due ambienti rendono tangibile, da un lato, ciò che ci attende in spazi privi di interventi di mitigazione, e dall’altro la percezione di luoghi trasformati dall’applicazione di principi di adattamento.
ENG The German project tackles climate challenges in urban and natural settings, showcasing tested adaptation strategies. The Pavilion offers a sensory journey through two scenarios: STRESS, showing unmitigated extreme heat, and DESTRESS, revealing spaces transformed by climate-responsive design.
AROUND TOWN
CATALONIA IN VENICE Evento Collaterale
Water Parliaments indaga come corsi d’acqua, delta, bacini e acquitrini plasmino paesaggi culturali, tradizioni e interi ecosistemi, in particolare nel contesto catalano, valenciano e baleare. Il progetto è articolato in quattro sezioni: la mostra ai Docks Cantieri Cucchini, i workshop internazionali Laboratori di Futuro, il libro 100 Words for Water: A Vocabulary e l’archivio online Atlante: Architetture dell’acqua. L’architettura si intreccia così con narrazioni culturali ed ecologiche, connettendo, attraverso l’acqua, esseri umani, ecosistemi e futuri possibili.
ENG The project examines how rivers, deltas, basins, and wetlands shape cultures, ecosystems, and traditions, focusing on Catalan, Valencian, and Balearic contexts. Through an exhibition, workshops, a vocabulary for new words for water, and an online archive, it links architecture to water’s cultural and ecological narratives, envisioning shared futures.
Docks Cantieri Cucchini, San Pietro di Castello 40/A
AROUND TOWN PAKISTAN
Immersa nel clima umido veneziano, un’installazione composta da sale rosa dell’Himalaya, materiale simbolo della geologia e della cultura pakistane, si trasforma costantemente, cristallizzandosi e dissolvendosi in un ciclo continuo. La struttura sospesa attraversa lo spazio, evocando l’asimmetria e le disuguaglianze proprie della crisi climatica. Il processo di metamorfosi del sale diventa una potente metafora di resilienza e, al contempo, di fragilità, suggerendo soluzioni radicate nei contesti locali e nelle risposte naturali, piuttosto che in approcci globali uniformi. ENG An installation of Himalayan pink salt – symbolic of Pakistan’s geology – crystallizes and dissolves in Venice’s humidity, embodying resilience and fragility, while highlighting the country’s climate vulnerability despite its minimal emissions. A suspended structure evokes climate inequalities, proposing locally rooted, nature-based solutions over uniform global approaches.
Spazio 996/A, Fondamenta Sant’Anna, Castello 996/A
Not to be missed in the GENS Public Programme – Speaker’s Corner, Arsenale
GioThu 16 ottobre October – h. 11.30-14
The Intelligences to Govern the Transformations of Cities
Le città sono l’habitat della maggior parte delle persone, ma sono anche la causa di alcuni dei principali squilibri del pianeta. Come un uso dinamico delle intelligenze può determinare le possibilità di adattamento?/ Cities are the habitats of most of the people, but they are also the cause of some of the major imbalances of our planet. How can a dynamic use of intelligences determine possibilities for adaptation?
GioThu 20 novembre November – h. 14-16
Dichiarazione dei diritti della Laguna di Venezia
La Laguna di Venezia è un ecosistema ibrido, frutto di millenni di interazioni tra umano e non umano. L’evento indaga come le discipline spaziali affrontano queste realtà, riconoscendo i diritti della natura e il ruolo decisivo di architetti e urbanisti nel costruire un futuro sostenibile./ The Venice Lagoon, an ecosystem shaped by human and non-human interactions, calls on architects and urban planners to rethink their role in building a sustainable future.
architettura
19. BIENNALE ARCHITETTURA INTELLIGENS
Mettere in circolo i materiali
Il Manifesto di Economia Circolare della Biennale Architettura 2025 chiede tracciabilità, progettazione per lo smontaggio, uso di risorse rinnovabili, rigenerazione e misurazione dell’impatto lungo l’intero ciclo di vita. In poche parole: eliminare lo scarto. È un cambio di postura che tocca pratica e politica dei materiali. L’attenzione alla materia e al suo processo diventa critica del progetto stesso. In Elephant Chapel, Boonserm Premthada innalza arcate con mattoni ottenuti da escrementi di elefante, un bio-laterizio leggero e resistente che ribalta l’idea di rifiuto. To Grow a Building spinge la stampa 3D oltre il progetto digitale: una macchina stampa terreno con semi incorporati che germinano, occupano la forma e assumono vita propria. Insieme: Track, Trace, and Transform Reclaimed Stories ricompone con riparazioni 3D laterizi di demolizione, dotandoli di ‘passaporti’ digitali. Il valore risiede nella storia tracciabile della materia e nel suo riuso futuro. Infine, MycoMuseum esplora il micelio come materiale coltivato: pannelli cresciuti, asciugati e compostabili prefigurano reti produttive decentralizzate e rigenerative. Ciò che emerge è che la circolarità non coincide con estetiche ‘verdi’, ma con protocolli, logistica e progettazione del dopo. Quando i materiali entrano davvero in circolo l’architettura smette di produrre rifiuti e ricomincia a generare relazioni. E se è vero che questa Biennale lancia provocazioni e proposte per scenari futuribili, è altrettanto vero che è anch’essa fatta di materia. La speranza è che il futuro che propone coincida con quello che saprà concretamente attuare per se stessa. Giovanni Santarelli
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ENG The Circular Economy Manifesto 2025 calls for traceability, design for disassembly, renewable resources, regeneration, and lifecycle impact measurement – in short, eliminating waste. This shift affects both material practice and policy, turning attention to matter into a critique of the project. In Elephant Chapel, Boonserm Premthada raises arches with bricks made from elephant dung, a lightweight, durable bio-brick that challenges the idea of waste.
To Grow a Building pushes 3D printing beyond digital: soil with embedded seeds is printed to germinate and occupy the form.
Insieme: Track, Trace, and Transform Reclaimed Stories repairs demolition bricks with 3D printing and gives them digital “passports,” highlighting their history and future reuse. MycoMuseum explores mycelium as a cultivated material, with grown, dried, compostable panels envisioning regenerative production networks. Circularity is not about “green” aesthetics but about protocols, logistics, and planning for what comes next. When materials truly circulate, architecture stops producing waste and generates relationships. Yet this Biennale is itself made of matter: the challenge is that the future it proposes matches what it can actually achieve.
Elephant Chapel, Boonserm Premthada - Photo Marco Zorzanello, Courtesy La Biennale di Venezia
ARSENALE FILIPPINE
Soil-beings (Lamánlupa) si concentra sul suolo quale elemento essenziale e imprescindibile della disciplina architettonica. Attraverso un’installazione provocatoria, il pubblico è invitato a immergersi nella consistenza della terra, concentrandosi sulle sue caratteristiche sensoriali e culturali: acidità, fragranza e intrinseco disordine si confrontano con le tecnologie architettoniche che hanno segnato il passato, il presente e il futuro non solo del contesto filippino, ma globale.
ENG The Philippine project focuses on soil as an essential element of architecture. Through a provocative installation, visitors engage with the earth’s sensory and cultural qualities – its acidity, scent, and inherent disorder – contrasted with the architectural technologies shaping the past, present, and future of both the Philippines and the wider world.
ARSENALE MESSICO
Riprodotta al centro dello spazio, la chinampa è un’isola artificiale di terra fertile che rigenera ecosistemi attraverso l’interdipendenza tra acqua, suolo, sole e biodiversità. I visitatori sono invitati a piantare un seme all’interno di un chapín, piccolo cubo di fango integrato nell’installazione. Altre chinampa galleggiano nelle acque della Laguna, evocando l’antico sistema di canali navigabili di origine azteca di Xochimilco, a sud della capitale. Una riflessione sul rapporto tra architettura e natura, per un ambiente costruito che non sottrae ma restituisce vita. ENG At the center, a chinampa – an artificial fertile island – revives ecosystems through the interplay of water, soil, sun, and biodiversity. Visitors plant seeds in chapines, small mud cubes within the installation. Other chinampas float in the Lagoon, echoing Xochimilco’s Aztec canals, reflecting on architecture that gives back to nature rather than taking from it.
GIARDINI
DANIMARCA
Il Padiglione danese ha rivelato criticità strutturali che hanno reso necessario un intervento di ristrutturazione. I lavori si svolgeranno durante l’intera Biennale come parte integrante del concept espositivo. I visitatori, camminando su terra battuta e superfici di cemento grezzo, hanno modo di esplorare il cantiere attraverso elementi come rampe, panche e tavoli, realizzati con materiali di recupero provenienti dall’edificio stesso. Build of Site trasforma così la ristrutturazione in mostra: materiali di risulta reimpiegati in situ, filiera iper-locale e cantiere come dispositivo culturale.
ENG Visitors walk on packed earth and raw concrete, exploring the site through ramps, benches, and tables made from salvaged materials of the building itself. The Danish Pavilion, undergoing necessary structural renovation, turns construction into exhibition, showcasing reuse in situ, a hyper-local supply chain, and the construction site as a cultural device.
GIARDINI
SPAGNA
Affrontando cinque assi fondamentali per la decarbonizzazione – materiali, energia, mestieri, rifiuti ed emissioni – Internalities. Architectures for Territorial Equilibrium propone un modello architettonico che supera la logica delle esternalità al fine di ridurre l’impatto ambientale. Attraverso installazioni, fotografie e modelli che mettono in dialogo luoghi di estrazione e di costruzione, l’analisi spazia dalle filiere rigenerative del legno alla transizione energetica, dalle competenze locali al riuso dei materiali, fino al controllo delle emissioni lungo l’intero ciclo di vita edilizio.
ENG Addressing five key axes for decarbonization – materials, energy, crafts, waste, and emissions – the project proposes an architectural model that reduces environmental impact beyond externalities. Through installations, photos, and models linking extraction and construction sites, it explores regenerative timber chains, energy transition, local skills, reuse, and lifecycle emission control.
Interpretare la natura come uno spazio architettonicamente definito: gli ecosistemi complessi in cui viviamo accolgono e sviluppano relazioni con i più diversi attori, dimostrando un’intelligenza che risulta possibile riconoscere e definire. Questa dinamica viene ricostruita in Terram intelligere INTERSTITIUM sotto forma di un laboratorio scientifico in cui diverse colture batteriche collaborano per produrre materiali da costruzione alternativi a quelli derivati dal petrolio. Un contributo significativo alla sostenibilità, all’ecologia e alla buona pratica del costruire. ENG Interpreting nature as an architecturally defined space, the project reveals ecosystems as intelligent networks of diverse actors. Recreated as a scientific lab, it shows bacterial cultures collaborating to produce bio-based construction materials as alternatives to petrochemical ones – advancing sustainability, ecology, and responsible building.
ArteNova,
Campo San Lorenzo, Castello 5063
AROUND TOWN
ROOTED TRANSIENCE Evento Collaterale
L’esposizione esplora la tipologia dei musalla – spazi di preghiera temporanei che possono sorgere ovunque sia necessario – e le opportunità architettoniche derivanti dalle pratiche basate sulla transitorietà. L’esposizione include frammenti del progetto vincitore dell’AlMusalla Prize 2025, che utilizza scarti di palma da dattero come materiale da costruzione. Le fronde sostituiscono la struttura a colonne e travi, mentre le fibre creano una facciata ispirata a tecniche locali di tessitura, in un connubio di tradizioni architettoniche e di moderne interpretazioni del design. ENG The exhibition explores musalla – temporary prayer spaces that can be built wherever needed – and the architectural potential of transitory practices. It also features fragments of the 2025 AlMusalla Prize winner, a project that uses date palm waste, with fronds replacing columns and fibers forming a façade inspired by local weaving.
Dorsoduro 172 (next to Chiesa della Salute)
AROUND TOWN TOGO
Considering Togo’s Architectural Heritage pone l’accento sui temi della conservazione e della trasformazione. Questi concetti prendono forma nelle Tata, abitazioni in paglia e fango realizzate dalla popolazione Tamberma nel nord del Paese, autentici capolavori di ingegneria vernacolare. Il Padiglione mette inoltre in dialogo l’architettura afro-brasiliana, sviluppata tra la metà dell’Ottocento e del Novecento dagli schiavi liberati di ritorno dal Brasile, con significativi esempi di modernismo emersi nel periodo post-indipendenza, a partire dal 1960.
ENG The project focuses on conservation and transformation, showcased in the Tata –straw-and-mud homes by the Tamberma in northern Togo, masterpieces of vernacular engineering. The Pavilion also connects Afro-Brazilian architecture, developed by freed slaves returning from Brazil, with notable post-independence modernist examples from 1960 onward. Squero Castello, Salizada Streta, Castello 368
Not to be missed in the GENS Public Programme – Speaker’s Corner, Arsenale
MerWed 15 ottobre October – h. 11-12
Lost and Found: Storytelling and the Circular Economy
Rivalutare i rifiuti possa favorire cambiamenti comportamentali, legami intergenerazionali e valore sociale, con iniziative come Picker Pals, Team Repair e Bio-bean che trasformano piccoli gesti in un movimento globale./ Revaluing waste can drive behavioral change, foster intergenerational bonds, and create social value, with initiatives like Picker Pals, Team Repair, and Bio-bean that turn small actions into a global movement.
Sab Sat 1 novembre November – h. 15-17
Zero Room: New University for CO2=0 Architecture
L’Università Iuav di Venezia, il New York Institute of Technology, Arup Engineering, Domus, scienziati e architetti si riuniscono per discutere come insegnare l’architettura a impatto zero nelle università./ Venice’s Iuav University, the New York Institute of Technology, Arup Engineering, Domus magazine, scientists, and architects come together to discuss how to teach zero-impact architecture in universities.
Rooted Transience by EAST Architecture Studio
Photo Marco Cappelletti, courtesy of the Diriyah Biennale Foundation
architettura
19. BIENNALE ARCHITETTURA INTELLIGENS
Costruire rifugi collettivi
Carlo Ratti ci ricorda che l’architettura nasce come un rifugio da un clima ostile e che la capanna dell’Abate Laugier è il riferimento archetipico che ne ha segnato l’avvio. La sfida della contemporaneità è allora ripensare che cosa sia un rifugio e che cosa significhi immaginare rifugi non esclusivi, che non separino né allontanino, ma che siano in grado di attivare ecologie di convivenza. Davanti alla grande scommessa di futuro evocata nella seconda sala delle Corderie da The Other Side of the Hill – una rappresentazione in scala gigante della vertiginosa crescita della popolazione e della sua successiva drammatica e già prevista implosione – Intelligens elabora molteplici traiettorie di ricerca su quali debbano essere le diverse tracce del progetto. Si tratta, anzitutto, di tenere insieme la vita in modelli di coesistenza multispecie, come nel lavoro di Andrés Jaque Stonecrust, in cui la vita emerge dall’equilibrio tra il minerale e il microbico, o nei progetti dedicati ai territori anfibi, come Building Amphibious Natures di Amina Chouairi e Cantico tiberino del Laboratorio Roma050. Ma significa anche fare i conti con la storia di violenza che l’architettura stessa ha generato, riconoscendo l’urgenza di un decolonialismo culturale ovunque necessario – emblematico in tal senso il progetto Calculating Empires di Kate Crawford, non a caso Leone d’Argento. Uno dei modi per immaginare rifugi collettivi, ci suggerisce la Mostra, è quello di ripensare la relazione con le eredità ancestrali ( Amazonian Agroecology Hub di Al Borde) e con i modi informali dell’abitare ( Alternative Urbanism: The Self-Organized Markets of Lagos di Tosin Oshinowo), ma anche con le forme sperimentali della convivenza contemporanea esplorate dall’intera sezione Collective. Nel capitolo finale dell’Arsenale, quello che guarda il Pianeta da fuori, la fotografia della Terra scattata dallo spazio nel 1972, la Blue Marble, è al centro del lavoro di Space Caviar: un monito e, insieme, un invito a ripensare la fragilità come sfida della coesistenza. Michele Cerruti But ENG If architecture was born as a refuge from a hostile climate, with Laugier’s hut as its archetypal reference, the contemporary challenge is to rethink shelters that are capable of fostering ecologies of coexistence. Facing the future stakes evoked by The Other Side of the Hill, Intelligens explores design trajectories including multispecies models (Stonecrust ), amphibious territories (Building Amphibious Natures), and reflections on cultural decolonization (Calculating Empires). Collective shelters also emerge through engagement with ancestral legacies (Amazonian Agroecology Hub), informal living (Alternative Urbanism), and many other experimental projects on contemporary coexistence. In the final room, the photograph of the Earth taken from space (Blue Marble) at the heart of Space Caviar’s work invite us to see fragility as a challenge for coexistence.
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Alternative Urbanism: The Self-Organized Markets of Lagos, Tosin Oshinowo, Oshinowo Studio
Photo Andrea Avezzù, Courtesy La Biennale di Venezia
ARSENALE CROAZIA
Riconoscere i propri errori è il primo passo per sviluppare sistemi di intelligenza collettiva. Da questa convinzione nasce Intelligence of Errors, un Archivio degli errori suddiviso in tre famiglie tematiche – Risorse, Prodotti e Surplus –, ciascuna dedicata a un aspetto specifico dell’ambiente e del territorio. Queste famiglie di errori, riscontrabili tanto nel contesto croato quanto in quello globale, diventano strumenti di apprendimento e di stimolo progettuale che il pubblico è invitato a esplorare per immaginare nuove possibilità di intervento sul reale.
ENG Building on the idea that recognizing mistakes is key to collective intelligence, the project showcases an archive divided into three sections – Resources, Products, and Surplus – each highlighting environmental and territorial challenges. Visitors can explore these errors, from Croatia and beyond, as tools for learning and inspiring new design possibilities.
ARSENALE IRLANDA
Ispirandosi all’Assemblea dei Cittadini, un esperimento politico nato in Irlanda nel 2016, l’installazione multisensoriale accoglie i visitatori in un ambiente sonoro immersivo realizzato con faggi irlandesi e corredato da un tappeto tessuto a mano che prende vita al passaggio. Casse acustiche integrate nella struttura diffondono frammenti di composizioni spazializzate, ispirate alla tradizione veneziana dei cori spezzati, fondendo musica, poesia e interviste ai progettisti e ai membri dell’Assemblea, insieme a registrazioni che documentano il processo di fabbricazione dell’opera stessa.
ENG Inspired by Ireland’s 2016 Citizens’ Assembly, the multisensory installation immerses visitors in a sound environment built from Irish beech and a handwoven carpet that reacts to movement. Integrated speakers play spatialized compositions blending music, poetry, Assembly interviews, and recordings of the artwork’s fabrication process.
ARSENALE SULTANATO DELL’OMAN
Il Padiglione si trasforma in un sablah contemporaneo, reinterpretando il tradizionale spazio collettivo omanita attraverso materiali e forme attuali. Da sempre fulcro della vita comunitaria, il sablah è un luogo di incontro, dialogo e trasmissione del sapere. L’installazione dimostra come il patrimonio culturale possa armonizzarsi con il design contemporaneo, dando vita a spazi collettivi adattabili che rispondono alle sfide della modernità senza rinunciare ad un legame profondo con l’identità del luogo.
ENG Reinterpreting the traditional Omani communal space with modern materials and forms, the Pavilion becomes a contemporary sablah – traditionally a hub for gathering, dialogue, and knowledge sharing. The installation shows how cultural heritage can merge with contemporary design, creating adaptable collective spaces that meet modern challenges while honoring local identity.
ARSENALE PERÙ
Un’imponente impalcatura in legno evoca una zattera in totora realizzata nel 1988 per una straordinaria spedizione marittima tra il Sud America e la Polinesia. La totora è una resistente pianta palustre utilizzata da secoli dalle comunità Uros e Aymara per costruire isole galleggianti sul Lago Titicaca, a oltre 3.800 metri sul livello del mare. La struttura si trasforma così in un omaggio all’adattabilità e alla resistenza di un’architettura ancestrale che, pur soggetta alla decomposizione naturale, si rinnova e rigenera costantemente.
ENG A towering wooden scaffold evokes a totora raft built in 1988 for a remarkable maritime expedition between South America and Polynesia. Totora, a resilient marsh plant, has long been used by Uros and Aymara communities to create floating islands on Lake Titicaca at over 3,800 meters. The structure honors the adaptability and enduring, self-renewing nature of this ancestral architecture.
architettura
19. BIENNALE ARCHITETTURA HOUSING&COHABITATION
ARSENALE UCRAINA
DAKH ( ДАХ ). Vernacular Hardcore esplora il terreno d’intersezione tra metodi di costruzione tradizionali e strutture improvvisate durante le crisi belliche. Il titolo fa riferimento alla parola ucraina per “tetto”, forma primordiale di architettura che, in tempo di guerra, acquisisce nuovi significati, divenendo il primo elemento di difesa in un conflitto combattuto su larga scala nei cieli, con droni e missili. Il termine “hardcore” viene qui inteso in accezione edilizia, come materiale da cui si ricava il cemento per costruire le fondamenta di un edificio.
ENG The project explores the intersection of traditional building methods and improvised structures in wartime. Its title references the Ukrainian word for “roof,” a primal architectural form that in war becomes a first line of defense against drones and missiles, while “hardcore” refers to construction material used to produce cement for building foundations.
GIARDINI
GRAN BRETAGNA
Con un focus geografico e concettuale che unisce il Regno Unito alla Great Rift Valley in Kenya, GBR: Geology of Britannic Repair propone un’architettura non estrattiva, orientata alla riparazione, alla restituzione e al rinnovamento. Ideata da un team multidisciplinare che riiunisce progettisti britannici e kenioti, l’installazione esplora architettura e colonizzazione come sistemi paralleli e interconnessi, reimmaginando la pratica architettonica come forma di resistenza alle crisi climatiche e sociali.
ENG With a geographic and conceptual focus spanning the UK and Kenya’s Great Rift Valley, the project proposes non-extractive architecture centered on repair, restitution, and renewal. Created by a multidisciplinary team of British and Kenyan designers, the installation explores architecture and colonization as interconnected systems, reimagining architectural practice as resistance to social and climate crises.
GIARDINI
PAESI BASSI
Un bar dello sport alternativo e interattivo accoglie i visitatori del Padiglione olandese, trasformando un luogo simbolo di competizione in uno spazio di relazione e inclusione. Al centro, i giochi Multiform e Fluid Field, ideati dall’artista e designer Gabriel Fontana, riscrivono le regole dello sport per promuovere empatia e collaborazione. Video, oggetti, arredi e un campo da gioco riconfigurabile invitano il pubblico non solo a osservare, ma anche a partecipare, mettendo in discussione i codici sociali che regolano corpi, spazi e identità. ENG An alternative, interactive sports bar welcomes visitors to the Dutch Pavilion, turning a symbol of competition into a space of inclusion. At its center, Gabriel Fontana’s Multiform and Fluid Field games rewrite sports rules to foster empathy and collaboration. Videos, objects, furniture, and a reconfigurable playing field encourage engagement, challenging social codes governing spaces and identities.
GIARDINI
POLONIA
Se l’architettura ha avuto fin dalle origini la funzione di proteggere l’uomo dalle intemperie, oggi i nostri Lari e Penati da cosa ci difendono? Il richiamo alle divinità domestiche romane mostra che protezione fisica e forme più sottili di sicurezza convivono. Regole edilizie, sistemi antincendio e altri dispositivi di sicurezza si integrano con il senso di protezione evocato da rituali tradizionali, come ghirlande o ferri di cavallo in Polonia, esprimendo insieme il bisogno umano di sentirsi al sicuro.
ENG If architecture originally protected humans from the elements, what do our Lari and Penates guard against today? Roman household deities show that physical and subtle forms of protection coexist. Building codes, fire systems, and traditional rituals – like wreaths or horseshoes in Poland – together reflect our human need for safety.
SAVE THE DATE
AROUND TOWN CIPRO
Il villaggio terrazzato di Salamiou, tra due fiumi, simboleggia un patrimonio architettonico sostenibile e pratiche agricole radicate per millenni nella Mezzaluna Fertile. Coinvolgendo artigiani, architetti e pubblico, il progetto esplora le connessioni tra ecologia, patrimonio culturale e gestione collettiva del territorio, mostrando come tecniche costruttive antiche come la costruzione a secco di Salamiou offrano modelli sostenibili alternativi all’uso moderno delle risorse.
ENG The terraced village of Salamiou, between two rivers, symbolizes sustainable heritage and millennia-old agricultural practices in the Fertile Crescent. Engaging artisans, architects, and the public, the project highlights links between ecology, heritage, and collective land management, showing how ancient dry-stone techniques offer sustainable alternatives to modern resource use.
Associazione Culturale Spiazzi, Castello 3865
AROUND TOWN SANTA SEDE
Opera Aperta si presenta come una ‘parabola costruita’, un cantiere di cura che, accanto al restauro del Complesso di Santa Maria Ausiliatrice, riattiva relazioni e memorie. Il progetto si sviluppa attorno a workshop settimanali condotti dall’UIA – Università Internazionale dell’Arte e una cucina condivisa che accoglie residenti e visitatori, mentre centrale è anche la musica grazie agli strumenti messi a disposizione dal Conservatorio Benedetto Marcello. Ogni gesto, dal restauro al pasto, diventa qui occasione di incontro, scambio, resistenza.
ENG Opera Aperta is a “built parable”: a care-focused site that, alongside restoring Santa Maria Ausiliatrice, revives community ties and memories. With weekly UIA workshops, a shared kitchen, and music from the Conservatorio Benedetto Marcello, every act – from restoration to meals – becomes an occasion for connection, exchange, and resilience. Complesso di Santa Maria Ausiliatrice, Fondamenta San Gioachin, Castello 450
AROUND TOWN THAILANDIA
Risorse, conoscenza, pensiero progettuale, patrimonio, spiritualità. Questi, secondo i curatori di SPACECRAFTED, i pilastri su cui si fonda il design thailandese: un universo in continua evoluzione, in cui l’innovazione dialoga costantemente con la tradizione e in cui l’architettura si pone come mediatrice tra le tensioni generate da stimoli creativi differenti. Sostenibilità e nuove prospettive convergono nel linguaggio comune fondato sul rispetto degli equilibri spirituali ed ecologici, trasformando il Padiglione in un luogo di mediazione tra persone, ambiente e pianeta. ENG According to the curatorial team, resources, knowledge, heritage, and spirituality are the pillars of Thai design. Blending innovation with tradition, the Pavilion shows architecture mediating creative tensions. Emphasizing sustainability and respect for spiritual and ecological balance, it becomes a space connecting people, the environment, and the planet. Castello Gallery, Castello 1636/A
Not to be missed in the GENS Public Programme – Speaker’s Corner, Arsenale
Ven Fri 3 ottobre October – h. 11-17
Intelligenza e Democrazia in Architettura
Analizzando radici giuridiche e casi emblematici come Nuova Scampia e le fabbriche Prada, Fiat e Ferrari, il workshop mira a tracciare un filo ideale tra pensiero democratico e applicazione progettuale contemporanea./ By examining legal foundations and emblematic cases such as Nuova Scampia and the Prada, Fiat, and Ferrari factories, the workshop aims to trace an ideal thread between democratic thought and contemporary design practice.
MarTue 21 ottobre October – h. 11-17
Intelli_gens Demopratica
L’evento, ispirato alla Third Paradise Perspective e alla Demopraxia, esplora intelligenza collettiva, responsabilità condivisa e architetture civiche, con una giornata di dialogo tra Cittadellarte, studiosi, artisti e professionisti del settore civico./ The event, inspired by the Third Paradise Perspective and Demopraxy, explores collective intelligence, shared responsibility, and civic architectures, featuring a day of dialogue between Cittadellarte, scholars, artists, and civic sector professionals.
architettura
19. BIENNALE ARCHITETTURA INTELLIGENS
Ibridare il modo di progettare
Intelligens mette in chiaro che l’autorialità solitaria non regge più di fronte a una complessità che cresce in modo esponenziale. Il progetto non è più il prodotto di un architetto-factotum, ma diventa un’infrastruttura di intelligenze – naturali, artificiali, collettive – in cui il progettista assume il ruolo di regista, non di singolo autore. Il dispositivo curatoriale della Biennale – open call, living lab, protocolli di circolarità – rende visibile questa rinuncia all’autorialità in favore di processi, dati e flussi. Cinque episodi lo chiariscono. Machine Mosaic (Daniela Rus/MIT) orchestra simulazioni e lavoro manuale: il montaggio non è più mera esecuzione, ma negoziazione tra umano e robot, dove l’errore si previene prima del cantiere. Co-Poiesis (Philip F. Yuan e Bin He, Tongji) trasforma gli alberi abbattuti dal tifone Beibiya a Shanghai in un padiglione costruito da bracci robotici secondo metodi della carpenteria locale: tradizione e controllo numerico si ibridano in un ‘libro d’azione’ replicabile. Organizing in the Lobby sposta il focus dalla firma al lavoro collettivo, alle reti e alle responsabilità distribuite. Infine On Storage (V&A + Diller Scofidio + Renfro) svela l’architettura invisibile della logistica: un film fa emergere la governance degli spazi di stoccaggio che plasmano le nostre vite. Ne scaturisce una serie di lezioni: IA e robotica non sostituiscono il progetto, ma lo rendono organizzazione di competenze e responsabilità; l’open source smonta il feticcio della firma; la multidisciplinarità diventa metodo, non slogan. L’architetto efficace è un direttore d’orchestra di intelligenze diverse, capace di scrivere partiture aperte, misurabili e condivisibili. È così che la Biennale propone all’autore di sopravvivere alla rinuncia, diventando garante di un’intelligenza collettiva all’altezza del futuro. Giovanni Santarelli ENG Intelligens makes clear that solitary authorship can no longer respond to exponentially growing complexity. The project is no longer the product of a single architect but becomes an infrastructure of intelligences where the designer acts as conductor, not sole author. The Biennale’s curatorial framework – open calls, living labs, circularity protocols – makes this shift visible. Five projects illustrate it: Machine Mosaic blends simulations and manual work, negotiating human-robot interaction; Co-Poiesis transforms typhoon-felled trees into a pavilion using robotic arms guided by local carpentry; Organizing in the Lobby emphasizes collective work, networks, and distributed responsibility; On Storage reveals the invisible architecture of logistics. Lessons emerge: AI and robotics organize skills rather than replace design; open source undermines the fetish of authorship; multidisciplinarity is method, not slogan. The Biennale proposes authors survive authorship, becoming guardians of collective intelligence for the future.
Organizing in the Lobby, The Architecture Lobby - Photo Andrea Avezzù, Courtesy La Biennale di Venezia
ARSENALE
REGNO DEL MAROCCO
Materiae Palimpseste punta a ridefinire l’intelligenza collettiva nelle costruzioni, valorizzando la millenaria tradizione marocchina dell’architettura in terra come risposta alle sfide ecologiche e sociali contemporanee. Installazioni sensoriali, ologrammi digitali e drappi tessili d’artista offrono un’esperienza immersiva, raccontando la trasmissione dei saperi come elemento fondante del dialogo tra tradizione e innovazione. La via indicata è quella di un’ibridazione della conoscenza, nata dall’incontro tra artigiani locali, architetti e ingegneri radicati nel territorio.
ENG The project redefines collective intelligence in construction, highlighting Morocco’s millennia-old earthen architecture as a response to social and ecological challenges. Sensory installations, digital holograms, and artistic textiles create an immersive experience, showing knowledge transmission as a bridge between tradition and innovation through local artisans, architects, and engineers.
ARSENALE SLOVENIA
Master Builders mette in evidenza il valore delle maestranze come depositarie di saperi tecnici fondamentali per la realizzazione architettonica. Una serie di totem, costruiti in un cantiere di Lubiana grazie alla collaborazione tra architetti e operai, si fa manifesto di un’intelligenza del fare che restituisce dignità alle competenze artigianali, troppo spesso trascurate nella retorica della digitalizzazione. Oggetti al tempo stesso concreti e simbolici, i totem sottolineano l’importanza di un sapere condiviso, pratico e critico.
ENG The Slovenian exhibition highlights the value of skilled workers as holders of essential technical knowledge. Totems built in Ljubljana by architects and laborers celebrate hands-on intelligence, restoring dignity to craft skills often overlooked in digitalization. Concrete and symbolic, they emphasize the value of shared, practical, and critical knowledge.
GIARDINI
EGITTO
Un ambiente immersivo evoca la vitalità e fragilità di un’oasi, microcosmo resiliente dove la scarsità di risorse richiede equilibrio costante. All’ingresso, blocchi gialli simboleggiano la tutela degli ecosistemi, blocchi blu-grigi l’urbanizzazione e l’industria. Un vassoio interattivo invita i visitatori a posizionare i blocchi, bilanciando conservazione e sviluppo. Il Padiglione diventa così spazio esperienziale per apprendere, agire consapevolmente e immaginare un futuro sostenibile.
ENG An immersive environment evokes the vitality and fragility of an oasis, a resilient microcosm where scarce resources demand constant balance. Yellow blocks symbolize ecosystem protection, blue-gray blocks urbanization and industry. A suspended interactive tray lets visitors arrange them, balancing conservation and development, creating a space to learn, act consciously, and envision a sustainable future.
GIARDINI FINLANDIA
The Pavilion. Architecture of Stewardship riflette sull’architettura come impresa collettiva, valorizzando il lavoro invisibile dietro la creazione e conservazione dell’ambiente costruito. Ospitata nel Padiglione finlandese di Alvar Aalto, la mostra rende omaggio ad architetti, ingegneri, artigiani e restauratori che lo hanno mantenuto vivo, riconoscendoli co-creatori accanto all’architetto e invitando a considerare il patrimonio come una responsabilità condivisa e continua.
ENG The project reflects on architecture as a collective endeavor, highlighting the unseen work behind creating and maintaining the built environment. Housed in Alvar Aalto’s Finnish Pavilion, the exhibition honors architects, engineers, craftsmen, and restorers as co-creators, inviting viewers to see heritage as a shared, ongoing responsibility rather than the work of a single author.
architettura
19. BIENNALE ARCHITETTURA DESIGN&VISIONS
SAVE THE DATE
GIARDINI SERBIA
Esplorando il legame tra composizione e scomposizione, Unraveling: New Spaces si concentra sulla circolarità come principio fondamentale della produzione architettonica. Il concetto di “dipanare”, ispirato alla lavorazione a maglia, si connette alla storica invenzione della Mano belgradese (1963), prima mano bionica artificiale al mondo, simbolo di come la tecnologia e l’immaginazione possano nascere da gesti fisici e creativi. L’installazione cinetica di fili intrecciati da architetti e ingegneri si sviluppa durante i sei mesi della Mostra grazie a 150 motori solari, rivelando un’architettura sostenibile, inclusiva e trasformativa.
ENG The Serbian project explores circularity in architecture, linking composition and decomposition. Inspired by knitting and the 1963 Belgrade Hand, the first bionic hand, it highlights creativity as the source of technology. A kinetic wool installation evolves over six months with 150 solar motors, revealing sustainable, inclusive, and transformative architecture.
GIARDINI UNGHERIA
There Is Nothing to See Here parte dall’idea che l’architettura contemporanea sia sempre più subordinata a logiche economiche di puro profitto, trascurando così la forza creativa che ne costituisce l’essenza. La mostra richiama l’atmosfera di uno studio di architettura un tempo prestigioso, ora abbandonato, in cui gli architetti continuano a dar vita ai loro progetti di successo fuori dai canoni della professione, riappropriandosi della libertà creativa.
ENG The project stems from the idea that contemporary architecture is increasingly driven by profit, neglecting its creative essence. The exhibition evokes a once-prestigious, now-abandoned studio, where architects continue developing successful projects beyond professional norms, reclaiming their creative freedom.
AROUND TOWN ARMENIA
Il Padiglione esplora il ruolo dell’intelligenza artificiale nella reinterpretazione del patrimonio culturale armeno. Al centro vi è un modello generativo addestrato sull’archivio 3D dell’Armenian Heritage Scanning Project, le cui composizioni digitali prendono vita nel tufo, materiale simbolo dell’architettura armena, dando forma a sculture che fondono tradizione e innovazione. La mostra solleva interrogativi sulla capacità generativa dell’IA non solo come strumento, ma come possibile agente creativo nella ridefinizione di identità, spazio e memoria. ENG The Pavilion explores AI’s role in reinterpreting Armenian cultural heritage. A generative model trained on the Armenian Heritage Scanning Project’s 3D archive brings digital compositions to life in tuff stone, creating sculptures that merge tradition and innovation, questioning AI as both a tool and a creative agent shaping identity, space, and memory.
Not to be missed in the GENS Public Programme – Speaker’s Corner, Arsenale
Ven Fri 17, sab Sat 18 ottobre October – h. 15-17
Restaging Criticism
Christopher Hawthorne incontra Inga Saffron, Elizabeth Diller, Javier A. Rojas e Alex Bozikovicv per esplorare il ruolo della critica architettonica tra contesti locali e strategie internazionali, discutendo innovazione, regionalismo e il rapporto tra testo, spazio e cultura urbana./ Four meetings to explore the role of architectural criticism across local contexts and international strategies, discussing innovation, regionalism, and the relationship between text, space, and urban culture.
GioThu 23, Ven Fri 24 ottobre October – h. 11-16
Senseable Open Lab
L’intelligenza artificiale e le tecnologie digitali stanno ridefinendo le città. Questo evento di due giorni esplorerà l’informalità urbana, la mobilità, la biodiversità e il calore attraverso la ricerca condotta dal Senseable City Lab del MIT./ AI and digital technologies are transforming our cities. This two-day event will explore urban informality, mobility, biodiversity, and heat through research at the MIT Senseable City Lab.
architettura
19. BIENNALE ARCHITETTURA INTELLIGENS
Sperimentare per cambiare il mondo
Alla Biennale Architettura 2025 l’utopia arretra e lascia spazio al metodo. Venezia funziona come laboratorio in cui i progetti non promettono salvezze, ma testano ipotesi, misurano effetti, accettano l’errore come parte della forma. È un rinnovato empirismo: prototipi, piccole prove ripetute, dati che rientrano nel ciclo del progetto. Così il disegno diventa un protocollo di sopravvivenza urbana, non un manifesto. È la futurecraft di Carlo Ratti: mutazioni nel patrimonio genetico dell’architettura, in reti di intelligenze naturali, artificiali e collettive. Il gesto-simbolo è il Canal Café, un’ecomacchina che trasforma l’acqua salmastra dell’Arsenale in espresso, spostando la qualità dall’astrazione al palato. Qui la tecnologia non seduce: si assaggia, si valuta, e un rituale comune diventa esperimento pubblico. Lo scarto è l’altro campo di ricerca. Con CONQ, conchiglie triturate e biopolimeri d’alga diventano bioceramica. Alla scala urbana, Cool Forest propone invece vegetazione selezionata per il futuro clima veneziano, monitorandone gli effetti di raffrescamento. Il paesaggio diventa così infrastruttura misurabile. Deserta Ecofolie condensa invece la sopravvivenza in 16 m² offgrid: un cattura-nebbia domestico produce acqua, mentre il fabbisogno energetico è garantito da pannelli solari e da una turbina eolica.
È un’architettura-strumento che confronta scenari e restituisce numeri. Infine, A Robot’s Dream espone la negoziazione fra umani e automi in una rete di tondini assemblati roboticamente. Più che l’oggetto interessa il processo e il cantiere si fa interfaccia tra intelligenze. Questa Biennale non offre immunità, ma propone una nuova grammatica operativa. Per città costiere come Venezia significa accettare che il progetto non è la risposta, ma la domanda che si misura nel tempo. Giovanni Santarelli
ENG At the 2025 Architecture Biennale, utopia gives way to method. Venice becomes a laboratory where projects test hypotheses, measure effects, and accept error as part of form. Prototypes and repeated tests feed data back into the design cycle, making design a protocol for urban survival rather than a manifesto. This is Carlo Ratti’s futurecraft : mutations in architecture’s genetic code within networks of natural, artificial, and collective intelligences. The Canal Café turns Arsenale’s brackish water into espresso, shifting quality from abstraction to taste. Waste is another field of research: CONQ makes bioceramics from shells and algae, Cool Forest monitors vegetation for Venice’s future climate, and Deserta Ecofolie condenses off-grid survival into 16 m² with solar panels, a fog-catcher, and wind turbine. A Robot’s Dream explores human-robot negotiation, emphasizing process over object. This Biennale proposes a new operational grammar: design is not the answer but a question tested over time.
Canal Café, Diller Scofidio + Renfro, Natural Systems Utilities, SODAI, Aaron Betsky, Davide Oldani
Photo Marco Zorzanello, Courtesy La Biennale di Venezia
ARSENALE ITALIA
Il Mediterraneo conforma le coste italiane e ne definisce i confini, offrendo un patrimonio di straordinaria varietà. TERRÆ AQUÆ indaga, con approccio sociologico, politico, antropologico, artistico, culturale e infrastrutturale, il mare, la portualità e le coste come sistema integrato di architetture, paesaggio e risorsa strategica. Il Padiglione diventa laboratorio vivo e multidisciplinare, dove visioni e progetti ripensano il rapporto terra-acqua per il futuro del Paese.
ENG The Mediterranean shapes Italy’s coasts, defining its borders and a rich, diverse heritage. TERRÆ AQUÆ explores the sea, ports, and shores as an integrated system of architecture, landscape, and strategic resource through sociological, political, artistic, cultural, and infrastructural lenses. The Pavilion becomes a multidisciplinary lab rethinking the land-water relationship for Italy’s future.
GIARDINI BELGIO
Come evolverà l’architettura con le nuove scoperte sull’intelligenza delle piante? Curata dal paesaggista Bas Smets e dal neurobiologo Stefano Mancuso, l’esposizione esplora la relazione tra natura e architettura. Nel Padiglione belga oltre 200 piante convivono sotto il lucernario con un sistema che elabora dati in tempo reale, trasformandosi in un prototipo vivente per dimostrare come i microclimi possano trasformarsi in biosfere dinamiche guidate dal comportamento delle piante.
ENG How will architecture evolve with new insights into plant intelligence? Curated by landscape architect Bas Smets and neurobiologist Stefano Mancuso, the exhibition explores the relationship between nature and architecture. Over 200 plants under a skylight interact with a real-time data system, turning the Belgian Pavilion into a living prototype where plant behavior shapes light, ventilation, and irrigation.
GIARDINI CANADA
L’installazione fonde antichi processi biologici e tecnologie emergenti per immaginare ambienti secondo principi di etica ecologica. La ricerca di Andrea Shin Ling, condotta all’ETH di Zurigo, utilizza cianobatteri marini integrati in strutture 3D stampate su larga scala. Trasferiti nel Padiglione, diventano organismi viventi da accudire, creando una relazione simbiotica tra bio-organismi, architettura e presenza umana.
ENG The Canadian installation merges ancient biological processes with emerging technologies to envision environments guided by ecological ethics. Andrea Shin Ling’s research at ETH Zurich integrates marine cyanobacteria into large-scale 3D-printed structures. Installed in the Pavilion, they become living organisms to care for, creating a symbiotic relationship between bio-organisms, architecture, and human presence.
GIARDINI PAESI NORDICI
Attraverso la lente del corpo trans, il progetto dell’artista finlandese Teo Ala-Ruona esplora l’eredità del Padiglione modernista di Sverre Fehn. Tra performance, installazione e teoria queer, la mostra propone cinque temi – Impurità, Decategorizzazione, Performance, Tecno-corpo e Riuso – come strumenti critici per ripensare purezza, identità e trasformazione, sfidando norme sociopolitiche e intrecciando corporeità, ecologia e immaginazione spaziale.
ENG Finnish artist Teo Ala-Ruona’s project explores the legacy of Sverre Fehn’s modernist Pavilion through the lens of the trans body. Combining performance, installation, and queer theory, it presents five scores – Impurity, Decategorization, Performance, Techno-body, and Reuse – that rethink purity, identity, and transformation, challenging sociopolitical norms while linking corporeality, ecology, and spatial imagination.
architettura
19. BIENNALE ARCHITETTURA MODELS&PROTOTYPES
AROUND TOWN ISLANDA
Costruire con la lava? Per Arnhildur Pálmadóttir (s.ap architects) è possibile. Attraverso test sperimentali il progetto esplora le particolari condizioni geologiche del Paese, tra eruzioni vulcaniche e campi lavici, per mostrare come eventi distruttivi possano diventare risorsa per l’edilizia. Lavaforming immagina un’Islanda del 2150 in cui la forza dei vulcani diventa opportunità per un’architettura sostenibile, senza estrazioni, alimentata dall’energia naturale.
ENG Building with lava? Arnhildur Pálmadóttir’s Icelandic Pavilion explores the country’s volcanic landscapes, showing how destructive eruptions can become a renewable construction resource. Lavaforming envisions 2150 Iceland, where volcanic power drives sustainable architecture without extraction.
Ramo de la Tana, Castello 2125 (opposite the Arsenale entrance)
AROUND TOWN
THE NEXT EARTH.
COMPUTATION, CRISIS, COSMOLOGY
Berggruen Arts & Culture pone in relazione due ricerche all’avanguardia: Planetary Sapience di Antikythera e Climate Work: Un/Worlding the Planet del MIT. Antikythera espone manufatti storici nati dall’incontro tra informatica, biologia, filosofia e fantascienza. Il MIT presenta quaranta progetti che reimmaginano catene di approvvigionamento, consumo energetico, pratiche architettoniche e prospettive sul tempo profondo.
ENG Berggruen Arts & Culture confronts two cutting-edge projects: Antikythera’s Planetary Sapience and MIT’s Climate Work. Antikythera shows historical artifacts blending computing, biology, philosophy, and sci-fi. MIT presents forty projects rethinking supply chains, energy use, architectural practice, and deep-time perspectives.
Palazzo Diedo, Cannaregio 2386
SAVE THE DATE
Not to be missed in the GENS Public Programme – Speaker’s Corner, Arsenale
GioThu 2 ottobre October – h.11-14
The Fabbrica dell’Aria 2.0 experiment
L’esperimento prevede un sistema di purificazione dell’aria basato sulle piante, monitorato durante tutta la durata della mostra. I relatori del Pnat (tra cui Stefano Mancuso) e delle organizzazioni partner condivideranno i risultati dei dati ambientali raccolti./ The experiment features a plant-based air purification system, monitored throughout the duration of the exhibition. Speakers from PNAT and partner organizations will share the results of the data collected.
GioThu 9 ottobre October – h. 11-12.30
Future Protein: Speculative Food System
Il potenziale delle cozze per sistemi alimentari sostenibili e l’acquacoltura come alternativa all’agricoltura, unendo telerilevamento, design, ricette e biomateriali in rituali adattivi per l’innalzamento del mare./ Mussels’ potential for sustainable food systems and aquaculture as an alternative to agriculture, combining remote sensing, design, recipes, and shell-based biomaterials in adaptive rituals for rising sea levels.
architettura
NOT ONLY BIENNALE
DON’T MISS
Rigenerazione collettiva
Time Space Existence: incontri su architettura, città e futuro
Con l’avvento dell’autunno, Time Space Existence 2025, la settima edizione della mostra biennale di architettura organizzata dall’European Cultural Centre Italy, continua a offrire occasioni di approfondimento sui temi della riparazione, rigenerazione e riuso, su cui si focalizza quest’anno l’esposizione. Articolata tra Palazzo Bembo, Palazzo Mora e i Giardini della Marinaressa, la mostra valorizza progetti che uniscono innovazione, sostenibilità e attenzione alla comunità, nel solco dell’Intelligens della 19. Biennale Architettura di Carlo Ratti.
Il programma pubblico, anche negli ultimi due mesi d’apertura, trasforma Time Space Existence in un’esperienza partecipativa, con tre appuntamenti autunnali. Si apre il 9 e 10 ottobre con Weaving Dialogues a Palazzo Michiel, un’iniziativa che propone conversazioni su architettura sostenibile, rigenerazione urbana e progettazione in armonia con la Natura. Tavole rotonde, proiezioni e momenti di networking favoriscono lo scambio di idee tra professionisti, ricercatori e pubblico, permettendo di scoprire progetti pioneristici provenienti da tutto il mondo.
Il 21 e 22 novembre, sempre a Palazzo Michiel, è la volta di Shaping the City Venice, forum internazionale dedicato a città sostenibili e comunità. La conferenza approfondisce come architettura e pianificazione urbana influenzino la vita quotidiana, con particolare attenzione all’abitare condiviso e allo sviluppo guidato dalla comunità. Verranno presi in esame esempi concreti di housing innovativo e iniziative locali, mostrando strategie inclusive e resilienti adottate in contesti diversi e sottolineando il ruolo della progettazione e della governance nella costruzione di città più eque e sostenibili.
Il programma si conclude il 23 novembre con il closing event di Time Space Existence e l’annuncio dei vincitori degli ECC Awards 2025, che premiano progetti di architettura, design, università e installazioni artistiche per originalità, qualità esecutiva e capacità di interpretare i temi di questa edizione. Questi appuntamenti confermano la capacità della mostra di trasformarsi in una piattaforma viva di dialogo e sperimentazione, offrendo a cittadini e professionisti l’opportunità di confrontarsi con idee, pratiche e soluzioni innovative. Time Space Existence 2025 continua a stimolare riflessione, scambio e partecipazione, rafforzando il ruolo di Venezia come punto di riferimento internazionale per l’architettura sostenibile, la comunità e la co-creazione di nuove prospettive urbane.
Regenerating ENG togetherness
With the arrival of autumn, Time Space Existence 2025, the seventh edition of the architecture biennial produced by the European Cultural Centre Italy, continues to explore themes of repair, regeneration, and reuse. Hosted across Palazzo Bembo, Palazzo Mora, and the Giardini della Marinaressa, the exhibition highlights projects that blend innovation, sustainability, and community engagement, echoing the spirit of Carlo Ratti’s Intelligens from the 2025 Venice Architecture Biennale. The public program, even in its final two months, turns Time Space Existence into a participatory experience. It begins October 9–10 with Weaving Dialogues at Palazzo Michiel, featuring talks on sustainable architecture and urban regeneration. On November 21–22, Shaping the City Venice focuses on inclusive urban planning and community-driven development. The program concludes November 23 with the ECC Awards 2025, honouring outstanding architecture, design, and artistic installations. These events affirm Venice’s role as a global hub for sustainable architecture and collaborative urban futures.
Time Space Existence 2025
Fino 23 novembre
Palazzo Mora, Palazzo Michiel, Giardini della Marinaressa timespaceexistence.com
La geometria della conoscenza
Fondazione Prada riscrive il futuro del sapere con Diagrams
Non ci sono touch screen, non ci sono dialoghi virtuali con l’intelligenza artificiale, nessuna interazione digitale. La comunicazione visiva analogica diventa dirompente in Diagrams, in cui il dato come disegno dimostra essere da sempre e più che mai un potente dispositivo per costruire significati, uno strumento pervasivo per analizzare, capire e trasformare il mondo.
Alla Fondazione Prada, nella bellissima Ca’ Corner della Regina fino al 23 novembre, lo studio AMO/OMA, di fatto Rem Koolhaas – e chi se non lui, da anni anticipatore di visioni complesse del mondo in architettura ma in generale come approccio alla contemporaneità –sempre un passo avanti a tutti, mette in mostra un manifesto della modernità, un “downgrade digitale” a favore di un ritorno alle origini dell’attenzione pura e dell’intelligenza umana. L’invito è di entrare in mostra non per essere stupiti ma per pensare, usare lo sguardo per costruire nozioni e conoscere specifiche realtà complesse, analizzare la nostra modernità secondo procedimenti tradizionali della scienza. Il tempo è un altro fattore determinante, contro la velocità di reazione a cui siamo continuamente sottoposti, la mostra offre una riflessione calibrata, un ritmo lento, una predisposizione alla concentrazione, insomma un riappropriarsi della dimensione della ricerca. Quella di Koolhaas è una sfida con il visitatore, ma soprattutto con sé stesso, la mostra infatti si basa su una ricerca condotta da Fondazione Prada in collaborazione con lo stesso Koolhaas e Giulio Margheri, architetto associato di OMA, con la consulenza di Sietske Fransen, Max Planck Research Group Leader, Bibliotheca Hertziana – Max Planck Institute for Art History. Trecento oggetti, tra cui documenti rari, pubblicazioni, immagini digitali e video realizzati dal XII secolo a oggi, e relativi a diversi contesti culturali e geografici, formano un percorso lineare che si sviluppa al piano terra e al primo piano di Ca’ Corner della Regina, organizzato in una serie di vetrine disposte parallelamente secondo un principio tematico che riflette le urgenze del mondo contemporaneo e testimonia la natura trasversale e diacronica dei diagrammi. I temi principali sono nove: Ambiente costruito, Salute, Disuguaglianza,
Migrazione, Ambiente naturale, Risorse, Guerra, Verità e Valore. È evidente che il progetto Diagrams rappresenta la pratica progettuale di AMO/OMA, che dagli anni Settanta integra forme diagrammatiche come strumenti architettonici. «Le idee complesse – spiega Koolhaas – sono quasi un piacere intellettuale, a volte anche artistico, e sono diventate un elemento trainante verso gli obiettivi che volevamo raggiungere. In questo senso, i diagrammi ci hanno aiutato molto. Attraverso la ricerca e la loro realizzazione, cercavamo di dare forma a uno spazio o di definire un’altra architettura che richiedeva molti ragionamenti e considerazioni articolate. Non ci saremmo neanche avvicinati a questo obiettivo se non avessimo scoperto una serie di diagrammi. Il ruolo dei diagrammi era cruciale al tempo, perché avevamo bisogno di una prova materiale per dimostrare che quello che volevamo realizzare era possibile. Oggi potrei trovarmi in una posizione diversa in cui non devo dimostrare che le cose sono possibili, e certamente questo cambia la natura o il ruolo dei diagrammi nel mio lavoro. Tuttavia, anche oggi i diagrammi continuano a essere una parte importante del mio repertorio». M.M.
ENG No touch screens, no virtual dialogues with AI, no digital interaction. In Diagrams, analogue visual communication becomes disruptive: data as drawing proves to be a powerful tool for creating meaning, analyzing, understanding, and transforming the world.
At Fondazione Prada AMO/OMA (essentially Rem Koolhaas) presents a manifesto of modernity: a “digital downgrade” that favours a return to pure attention and human intelligence. The exhibition invites visitors not to be amazed, but to think, to use their gaze to build knowledge and explore complex realities. It offers a slow, focused rhythm, reclaiming the dimension of research. The show is a challenge, both to the visitor and to Koolhaas himself, based on a study by Fondazione Prada in collaboration with Koolhaas, Giulio Margheri (OMA), and Sietske Fransen (Max Planck Institute). Featuring 300 objects – rare documents, publications, digital images, and videos from the 12th century to today – the exhibition spans two floors and explores nine themes: Built Environment, Health, Inequality, Migration, Natural Environment, Resources, War, Truth, and Value. Koolhaas sees diagrams as essential tools for shaping ideas and architecture, still central to his creative process.
Installation view – Photo Marco Cappelletti, Courtesy Fondazione Prada
architettura
NOT ONLY BIENNALE NEW
Per chi non s’accontenta M9 e i 100 marchi iconici del Made in Italy
Un evento temporaneo che diventa spin-off del percorso permanente: Identitalia. The Iconic Italian Brands si inserisce in piena coerenza con le tematiche centrali dell’identità di M9 – Museo del ‘900, aprendo nuovi orizzonti di interpretazione e approfondimento sulla storia materiale e sociale degli italiani, restituendo centralità alle dimensioni del quotidiano, dell’esperienza individuale e collettiva, e delle trasformazioni culturali che hanno attraversato il Paese. La mostra, a cura di Carlo Martino e Francesco Zurlo – docenti di Design rispettivamente all’Università La Sapienza di Roma e al Politecnico di Milano –, attraverso 97 aziende per un totale di oltre 100 marchi di tutti i settori, ricostruisce il patrimonio storico rappresentato dal Made in Italy, espressione utilizzata a partire dagli anni ‘80 del Novecento per indicare i prodotti di eccellenza accomunati da un mix di elementi che ne determina successo e riconoscibilità sul piano internazionale. Identitalia, promossa dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy, in collaborazione con Unioncamere e l’Associazione Marchi Storici d’Italia, nasce per celebrare i 140 anni dell’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi, che nel 2019 si è arricchito del “Registro Speciale dei Marchi Storici di Interesse Nazionale”, contenente i brand iscritti da più di cinquant’anni e ancora attivi.
Al primo piano del Museo del ‘900, nello spazio immersivo M9 Orizzonti, dal 27 settembre fino al 15 febbraio 2026, i brand sono protagonisti di un racconto che attraverso documenti audiovisivi, disegni originali, pezzi rappresentativi, fotografie, documenti storici e manifesti pubblicitari, restituisce il volto del nostro Paese. Un mosaico composto dalle storie dei brand che hanno plasmato un’identità, una cultura, un linguaggio e un immaginario compiutamente italiano. L’immagine che emerge è unica, coerente e al tempo stesso sfac-
cettata, capace di far cogliere l’energia straordinaria di un Paese che sperimenta, innova, e affronta le sfide del presente e del domani con creatività e originalità.
La narrazione della mostra segue la routine quotidiana di una persona nei vari momenti della sua giornata – risveglio, mattino, pomeriggio, sera, notte. È, dunque, un viaggio nella vita di ognuno di noi, caratterizzato da azioni e attività che sono proprie delle varie fasce orarie, scandite dalla presenza di tanti brand differenti. La selezione segue criteri come la forza iconica dei marchi, la memorabilità di slogan e caroselli, la persistenza nel tempo dei messaggi e delle storie, i valori veicolati, l’autorevolezza della cultura del progetto che li alimenta, restituendo una diffusa bellezza declinata in merci. M.M. ENG A temporary event that becomes a spin-off of permanent exhibition Identitalia. The Iconic Italian Brands fits perfectly with the core themes of identity at M9 – Museum of the 20th Century, opening new perspectives on the material and social history of Italians, and highlighting everyday life, individual and collective experience, and the cultural transformations of the country. Curated by Carlo Martino and Francesco Zurlo, the exhibition features 97 companies and over 100 brands from all sectors, reconstructing the historic heritage of Made in Italy. Promoted by the Italian government and the Association of Historic Italian Brands, Identitalia celebrates 140 years of the Italian Patent and Trademark Office and its “Special Register of Historic Brands of National Interest”. At M9, brands are the protagonists of a narrative told through audiovisuals, original drawings, representative objects, photos, historical documents, and advertising posters – a mosaic of stories that have shaped Italian identity, culture, and imagination. The exhibition follows a person’s daily routine to reveal the extraordinary energy of a country that experiments, innovates, and faces the future with creativity.
Courtesy M9 - Museo del ’900
architettura
NOT ONLY BIENNALE COMPASSO D'ORO
Arte addosso
Intervista Giovanni Bonotto | Bonotto Industry & Art
di Elisabetta Gardin
Giovanni Bonotto ha appena ricevuto il premio più importante e ambito nel mondo del design italiano, il Compasso d’Oro International Award, nel corso di una cerimonia che si è svolta ad Osaka, all’interno del Padiglione Italia dell’Expo 2025. Il Compasso d’Oro, istituito nel 1954 dall’ADI - Associazione per il Disegno Industriale da un’idea di Gio Ponti, premia le eccellenze italiane. Gli oggetti vincitori sono esposti nella collezione permanente dell’ADI Design Museum di Milano, composta da centinaia di opere d’ingegno che testimoniano l’evoluzione del design e della nostra società dagli anni ‘50 a oggi. Bonotto ha ricevuto il Compasso d’Oro per i suoi tessuti di lusso realizzati con processi di economia circolare, dimostrando che anche un settore “sensibile” come la moda può reinventarsi senza sacrificare qualità e desiderabilità.
Giovanni Bonotto guida con il fratello Lorenzo l’omonima azienda fondata a Molvena, in provincia di Vicenza, da suo nonno nel 1912, inizialmente una ditta specializzata in cappelli di paglia che poi si è allargata al tessile con la gestione di Luigi, suo padre. Fu proprio lui, grande appassionato e collezionista d’arte, a crescere Giovanni in mezzo ai più importanti artisti internazionali; in casa loro negli anni sono passati personaggi del calibro di Nam June Paik, John Cage, Merce Cunningham, Joseph Beuys, Yoko Ono. Ben lontana dalla visione della classica azienda del Nordest tutta profitto, velocità, produzione in serie, la Bonotto è fiera del suo essere una “Fabbrica Lenta”, dove al centro di tutto si pone l’uomo e il suo lavoro, perché, pur utilizzando le più moderne tecnologie, qui rimangono fondamentali “le mani intelligenti”. Giovanni ha viaggiato in tutto il mondo, dal Giappone all’Argentina, per imparare nuove tecniche da porre in dialogo virtuoso con antiche abilità, costruendo una mirabile sintesi di stile ben evidente nei suoi prodotti pregiati, sofisticati, in quei tessuti di lusso, esclusivi, richiesti dalle maggiori griffe internazionali. L’azienda, ormai punto di riferimento per l’industria della moda globale, nel 2016 è entrata a far parte del gruppo Zegna.
Imprenditore non convenzionale e sempre all’avanguardia, attento al benessere dei lavoratori, Bonotto investe da sempre con convinzione in ricerca e qualità, lavorando con tessuti ottenuti da materiali riciclati, anche dalla plastica, mettendo in primo piano l’ecosostenibilità attraverso metodologie di lavorazione votate al rispetto rigoroso dell’ambiente, per esempio utilizzando esclusivamente coloranti vegetali o minerali ed eliminando il più possibile i prodotti chimici, oltre a garantire la massima attenzione al risparmio d’acqua. Lo incontriamo appena di ritorno dal Giappone.
È stato appena insignito del Compasso d’Oro, un’ulteriore conferma del grande lavoro svolto da lei e dalla sua azienda. Quali emozioni le ha regalato questo ennesimo, prestigioso riconoscimento?
È stata davvero una grande emozione! La mia piccola storia con i premi ha inizio nel 2013 con il Premio Masi per avere inventato la “Fabbrica Lenta”, la quale cerca di riportare l’uomo al centro del fare. Nel 2019 mi hanno consegnato il Fashion Award dalla Camera Nazionale della Moda al Teatro alla Scala di Milano per l’innovazione dei tessuti sostenibili. Nel 2021 ho ricevuto da Milano Finanza il Supply Chain Award, che premia il valore della manifattura italiana. Ora è arrivato il Compasso d’ Oro per avere messo a punto la produzione dei tessuti nel segno del risparmio d’acqua, con attenzione all’uso dei pesticidi e riutilizzando i materiali provenienti dall’economia circolare. Ogni volta, prima di ricevere un premio, cammino silenzioso per i capannoni guardando le persone e le macchine: mi emoziono e piango da solo nascondendomi dietro qualche cassa di filato.
Con la sua Fondazione sta sostenendo molti giovani artisti. In qualche misura lei davvero ricorda un mecenate rinascimentale…
La Fondazione Bonotto risiede dentro la Fabbrica che è diventata un luogo sociale dove la “vita è arte”, come insegnò negli anni ‘60 Marcel Duchamp a mio papà Luigi mentre giocavano a scacchi durante i loro incontri. Anche lavorare è vita e gli artisti durante le loro residenze ci regalano ogni giorno gli “occhiali della fantasia”, che ci permettono di reinventare i processi manifatturieri e soprattutto ci aiutano a rimanere connessi con il mondo della contemporaneità.
Lei è cresciuto tra autentici geni dell’arte mondiale. Se dovesse sceglierne uno e solo uno, chi tra tutti quelli che ha incontrato è il suo artista preferito?
La sera del 23 dicembre del 1986 mio padre Luigi mi chiese di andare a prendere alla stazione ferroviaria un suo amico artista. Nevicava
Lavorare è vita e gli artisti durante le loro residenze
ci
regalano ogni giorno gli “occhiali della fantasia”, che ci permettono di reinventare i processi manifatturieri e soprattutto ci aiutano a rimanere connessi con il mondo della contemporaneità
fortissimo, scese dal treno un vecchietto con un cappello di paglia estivo, le ciabatte infradito e due sacchetti di plastica che contenevano tutta la sua casa. Io ero scioccato. Era Gustav Metzger, il fondatore dell’Auto-destructive art (ADA): uno dei grandi geni poco conosciuti del ‘900. Solo post mortem, nel 2021, la lungimirante Fondazione Prada ha esposto i suoi lavori a Ca’ Corner della Regina a Venezia. All’epoca io avevo 19 anni e vissi in casa con lui per circa un anno, perché era stato chiamato da papà per creare un’opera.
Alla sera cucinava sempre lui, per un anno mangiammo miglio e avena: un trauma! Gustav era un apolide ed era sopravvissuto all’Olocausto. Alla fine della sua residenza, dopo un anno di lavoro, consegnò l’opera a mio padre: era un sacco contenente tutta l’immondizia che in tre persone avevamo prodotto durante la convivenza con lui. Questa performance è sempre presente nel mio cuore e ha ispirato tutto il mio lavoro sulla sostenibilità nei tessuti.
Lei è indubbiamente dotato di una creatività eccezionale, lavora fuori dagli standard consueti, ma senza mai perdere di vista la produttività, il benessere di una grande azienda. Ha una figura di riferimento, un industriale illuminato e geniale che più di ogni altro la ispira?
Sicuramente Gildo Zegna, un grande industriale che ho avuto la fortuna di incontrare nel 2016, ma soprattutto un grande uomo che ogni giorno tiene vivi e alti i valori fondati da suo nonno Ermenegildo, che fu pioniere del welfare e della sostenibilità. Infatti costruì per i suoi dipendenti le abitazioni moderne, l’ospedale, l’asilo, il cineteatro… e soprattutto piantò 500.000 conifere costruendo un’Oasi. Dal 2014, tra le tante azioni, la Fondazione Zegna assegna borse di studio a sostegno di studenti geniali per un valore di un milione di euro all’anno. Azioni silenziose, senza proclami ma di grande amore per il mondo.
Come è organizzata la sua vita da imprenditore? Ha orari precisi, segue dei riti quotidiani?
La mia vita è semplice e un po’ monastica: durante la settimana vivo da solo dentro la fabbrica dove mi sono ricavato un appartamento spartano. Dedico tutte le mie giornate ai tessuti e le serate all’arte e alla Fondazione Bonotto. Il venerdì sera finalmente arrivo nella meravigliosa Venezia e dalla mia amata Chiara.
C’è un sogno che ancora non è riuscito a realizzare? Tanti. Ho fame di vita e questa è la mia benzina.
Wearing ENG art
Giovanni Bonotto is a visionary Italian entrepreneur and creative force behind the Bonotto textile company, recently honoured with the prestigious Compasso d’Oro International Award at Expo 2025 in Osaka. Known for pioneering sustainable luxury fabrics through circular economy practices, Bonotto has redefined the role of fashion in environmental innovation.
The Compasso d’Oro, a prestigious recognition of the remarkable work you and your company have done.
It was truly a powerful emotion! My small journey with awards began in 2013 with the Masi Prize for inventing the “Slow Factory,” which aims to put humans back at the centre of making. In 2019, I received the Fashion Award from the National Chamber of Italian Fashion at Scala Theatre in Milan for innovation in sustainable fabrics. In 2021, Milano Finanza honoured me with the Supply Chain Award, recognizing the value of Italian manufacturing. Now comes the Compasso d’Oro, awarded for developing textile production focused on water conservation, reduced pesticide use, and circular economy materials.
Through your Foundation, you support many young artists.
The Bonotto Foundation lives within the Factory, which has become a social space where “life is art”, as Marcel Duchamp taught my father Luigi in the 1960s during their chess games. Work is life too, and the artists in residence gift us daily with “glasses of imagination”, helping us reinvent manufacturing processes and stay connected to contemporary culture.
You grew up among true geniuses of global art. If you had to choose just one, who would be your favourite?
On the snowy evening of December 23, 1986, my father asked me to pick up an artist friend of his from the train station. Off the train came an old man wearing a summer straw hat, flip-flops, and carrying two plastic bags: his entire home. I was stunned. He was Gustav Metzger, founder of Auto-Destructive Art (ADA), one of the 20th century’s lesser-known geniuses. Only after his death did the visionary Prada Foundation exhibit his work in Venice in 2021. Gustav was stateless and a Holocaust survivor. At the end of his residency, he handed my father a sack containing all the trash we had produced during that year. That performance lives in my heart and inspired my entire approach to sustainability in textiles.
Is there an enlightened industrialist who inspires you most?
Definitely Gildo Zegna, a great industrialist I met in 2016, but above all a great man who keeps alive the values founded by his grandfather Ermenegildo, a pioneer of welfare and sustainability. He built modern housing, a hospital, a nursery, a theatre for his workers, and planted 500,000 conifers to create an oasis. Since 2014, the Zegna Foundation has awarded scholarships worth one million euros annually to support brilliant students. Quiet actions, without fanfare, but full of love for the world.
How is your life as an entrepreneur organized? Do you follow a routine?
My life is simple and somewhat monastic. During the week, I live alone inside the factory in a modest apartment. I dedicate my days to textiles and my evenings to art and the Bonotto Foundation. On Friday nights, I finally arrive in beautiful Venice to be with my beloved Chiara.
architettura
NOT ONLY BIENNALE VISIONI
Progetto Venezia
Franco Bortoluzzi e il pensiero di una città che combatte contro i suoi mali
Una mostra-omaggio, Franco Bortoluzzi: la più antica città del futuro, curata da Elisa Scarpa e Pier Paolo Scelsi, ospitata fino al 10 ottobre da CREA – Cantieri del Contemporaneo alla Giudecca, ha offerto tramite voci, scritti, progetti, interviste l’opportunità di ricordare e in parte riscoprire la figura di un importante architetto che a Venezia ha dedicato tutta la sua vita e il suo lavoro.
Franco Bortoluzzi (1938–2018), capo del dipartimento Urbanistica del Comune di Venezia, aveva già previsto tutti i mali che quotidianamente affliggono la città: turismo di massa, spopolamento, degrado, ecosistema lagunare messo a rischio, eccessivo traffico di imbarcazioni a motore nei canali che accelerano l’erosione delle fondamenta e aumentano l’inquinamento.
Nella sua intensa attività aveva elaborato il “Progetto Venezia”, in cui troviamo le sue intuizioni geniali legate alla necessità di riportare in città i veneziani trasferiti in terraferma, di arginare lo spopolamento attraverso grandi progetti concreti come creare quattromila nuovi alloggi, progettare delle case a schiera al Tronchetto, recuperare e riqualificare sacche urbane inutilizzate, rivalorizzare l’isola della Certosa, ripensare alla progettazione di Piazzale Roma separando turisti e residenti, trasferire la Stazione ferroviaria alla Marittima, costruire uno stadio da 40.000 posti a Tessera, rilanciare la navigazione a remi. Il suo lavoro era tutto rivolto a Venezia per farla ritornare ad essere una città moderna, sostenibile, a misura d’uomo, ben organizzata, attenta alle esigenze dei suoi abitanti. Forse i suoi progetti allora sembravano utopie, in realtà precorrevano lucidamente i tempi.
Amava la cultura del remo e la sua grande tradizione, fu uno dei promotori della prima Vogalonga, a cui lui stesso partecipò; fondò l’Associazione Settemari ‘occupando’ l’ex macello abbandonato a
Cannaregio (ora Università Ca’ Foscari), e proprio da lì iniziò il moderno concetto di remiera.
Fondamentale nella sua storia umana e lavorativa il legame con il Sindaco Mario Rigo, che nel 1975 lo nominò dirigente al Settore Urbanistico del Comune di Venezia; il Sindaco che spiritosamente lo aveva soprannominato “castoro fra i castori”, tanto era il suo attaccamento alle “rive” veneziane. Tra le intuizioni geniali di Franco Bortoluzzi impossibile non citare il rilancio del Carnevale: era il 1979 la festa era ormai dimenticata, svuotata da tutti i suoi contenuti legati alla tradizione, alla fantasia, alla creatività, ma lui riuscì a riproporlo e l’anno successivo, sotto la direzione artistica di Maurizio Scaparro, divenne uno degli eventi più famosi e amati del mondo.
Così lo ricorda la figlia Lorenza, che assieme al fratello Tommaso e alla madre Mirella, ha voluto fortemente la mostra: «Tra i suoi insegnamenti ricorrenti ne vorrei citare due: “Bisogna faticare per ottenere i risultati, non esistono vittorie facili!” e “I problemi che non hanno soluzioni non sono problemi”».
L’eredità di Bortoluzzi è un atto civico, un invito alla città a riflettere, a cercare, a riprogettare e a credere nel futuro: le soluzioni esistono, ci vuole solo coraggio. Elisabetta Gardin
ENG Exhibition Franco Bortoluzzi: The Oldest City of the Future, curated by Elisa Scarpa and Pier Paolo Scelsi at CREA – Cantieri del Contemporaneo, honors the visionary Venetian architect (1938–2018). A pioneer in urban planning, Bortoluzzi foresaw Venice’s major issues: mass tourism, depopulation, and environmental degradation. He proposed bold solutions in his Progetto Venezia, including 4000 new homes. His legacy includes reviving the Venice Carnival, promoting rowing culture, and advocating for sustainable urban renewal. The exhibition highlights his civic commitment and enduring belief in a liveable, modern Venice shaped by creativity, planning, and courage.
architettura
NOT ONLY BIENNALE FOCUS
Acqua è vita
di Mario Dal Co
«Mira silex mirusque latex, et flumina vincit et lapides merito, quod fluit et lapis est». Il distico elegiaco (esametro+pentametro) di Claudio Claudiano, poeta del tardo impero, descrive come l’acqua scorra e consumi anche la pietra perché, come ghiaccio, essa stessa è pietra: «Meravigliosa roccia e meravigliosa acqua, e vince sui fiumi e sulle pietre, a buon diritto perché fluisce ed è pietra». Nel pozzo del Campo S.S. Giovanni e Paolo, dove si trova la basilica omonima, è inciso solo il primo verso, l’esametro, che suona: «stupenda pietra e stupendo liquido, che vince il fiume». Nell’interpretazione di Stefano Della Sala, direttore delle ricerche di Veritas S.p.A., la società multi-servizi di Venezia e provincia a cui sono affidati i servizi di gestione del ciclo integrale dell’acqua oltre che dell’igiene urbana, il verso estrapolato significa che la pietra (il pozzo) e l’acqua che esso raccoglie nella sottostante cisterna superano il (bisogno) del fiume. Il fiume, infatti, era l’altra fonte di approvvigionamento di acqua dolce della città di Venezia, prima che venisse fornita di acquedotto. I pozzi, con le sottostanti cisterne, davano lavoro a centinaia di persone, raggruppate fin dal XIV secolo nella corporazione degli Acquaioli. Lavoravano per la costruzione, manutenzione e gestione del sistema di approvvigionamento di acqua dolce: quando saliva l’acqua alta o alle prime piogge, essi sigillavano le entrate dell’acqua (pilelle) con tappi di argilla, per poter attendere l’afflusso di acqua più pulita. «Le cisterne alla veneziana – descrive l’Enciclopedia Treccani – sono costituite da un invaso sotterraneo con sezione a forma di tronco di piramide rovescia, da un pozzo centrale e da piccoli raccoglitori laterali dell’acqua piovana, detti “cassettoni”. Scavato l’invaso, esso veniva rivestito internamente con uno spesso strato sigillante di argilla e poi riempito di sabbia. L’acqua, scendendo attraverso tombini e raccogliendosi nei cassettoni, passava attraverso lo strato filtrante di sabbia e raggiungeva, purificata, l’interno della canna del pozzo centrale. Questo sistema ha rappresentato a lungo l’unico mezzo di rifornimento idrico di Venezia; la sua applicazione accompagna l’intera storia urbana veneziana fin dalle prime fasi insediative, come testimoniano le innumerevoli vere da pozzo decorate (nel 1858 se ne contavano 6.782), databili in un ampio arco cronologico a partire dall’VIII secolo». Oggi sono sopravvissuti circa 600 pozzi. Testimoniano la rilevanza artistica di molti di essi, decorati da superbe sculture, e raccontano il modo di vivere nella città nata sull’acqua che l’acqua dolce ha sempre dovuto procurarsela con lavoro, infrastrutture, ingegno (Figure 1 e 2).
L’aumento della popolazione e dei consumi ha portato alla fine dell’Ottocento alla realizzazione di una connessione idraulica con la terraferma che è tra le prime condutture subacquee in Italia. La documentazione ingegneristica e contrattuale conservata negli archivi di Veritas, visionabile nel Museo dell’Acqua nella sede di Piazzale Roma a Venezia (Figura 3), permette di ricostruire alcuni momenti di questa storia, esemplificati dalla torre piezometrica proprio a Piazzale Roma costruita per dare la pressione alla distribuzione o dall’inaugurazione dell’acquedotto con una grande fontana in Piaz-
za San Marco (Figura 4). Fino a giungere ai nuovi investimenti per assicurare la provvista alla città storica, i cui consumi, per il turismo, sono in continuo aumento (Figura 5).
Queste infrastrutture hanno portato la gestione delle acque nella modernità, tanto che è possibile fare un raffronto, sia pure indicativo, sul valore della risorsa “acqua potabile” all’inizio del Novecento rispetto ad oggi, con risultati sorprendenti. La relazione di esercizio della Compagnia Generale delle Acque relativa a Venezia nel 1919 dichiarava una previsione di distribuzione complessiva di 3.810.000 metri cubi di acqua potabile, dei quali 1.400.000 destinati a commercianti, industriali e famiglie al prezzo di 0,35 lire al metro cubo. Nel 1919 un operaio specializzato poteva guadagnare fino a 160 lire al mese corrispondenti a 457 metri cubi di acqua. Nel 2025 lo stipendio medio di un operaio in Italia è di circa 1.250 euro al mese e con il prezzo medio dell’acqua oggi pari a 2 euro al metro cubo corrisponde a 625 metri cubi. Quindi l’acqua potabile incide oggi in misura minore sul potere d’acquisto rispetto ad un secolo fa. L’analisi delle acque potabili rispetta norme sempre più severe volte ad eliminare dall’ambiente gli inquinanti e a fornire dati analitici per il controllo e per la ricerca scientifica. Il laboratorio di Veritas S.p.A., dotato di attrezzature moderne e personale di alto livello per controllare oltre un milione di parametri ogni anno (Figura 6), analizza anche le acque reflue per verificare il rispetto degli standard ambientali dei processi depurativi.
Figura 1. Pozzo veneziano con visibili 2 delle 4 “pilelle” (tombini di pietra da cui entrava l’acqua piovana)
Figura 2. Struttura del pozzo e della sottostante cisterna
Figura 4. La fontana di Piazza S. Marco per l’inaugurazione dell’acquedotto, 1884
Figura 3. Museo dell’Acqua, Piazzale Roma
Figura 5. La nuova condotta dell’acquedotto per la città lagunare
La Ribot, Juana ficcion, 2024, Genève – Photo Kenza Wadimoff
Tatiana Trouvé – Photo Claire Born
Le
mie sculture, le mie installazioni e i miei disegni sono sempre caratterizzati da una relazione fatta di echi reciproci
di Loris Casadei
Pura magia la mostra di Tatiana Trouvé a Palazzo Grassi dal titolo La strana vita delle cose. La sensazione è quella di entrare nel mondo sotterraneo di Alice e, forse non a caso, ingannevoli porticine sembrano aprire percorsi inediti al secondo piano. La stessa installazione all’ingresso, nell’Atrio centrale, presenta una prima ambiguità: il pavimento di marmo è stato asfaltato con inserimenti di tombini e di piastre di copertura di tubature sotterranee provenienti da molteplici luoghi. Un omaggio a Venezia, fondata sull’acqua? O, visto dall’ultimo piano, un cielo stellato? Oppure, meglio, una prima indicazione del disorientamento in cui vive la nostra razza umana? Del resto Tatiana Trouvé non aveva intitolato The Great Atlas of Disorientation la sua mostra al Centre Pompidou nel 2022? La corsa di Alice nel Paese delle Meraviglie non si esaurisce però qui, proseguendo, un po’ in sordina, con un’esposizione di scarpe, che potrebbe rimandare a Van Gogh. Una scoperta rivelatrice sono i libri, sempre un poco nascosti o marmorizzati, qua e là inseriti nelle sculture-composizioni. Si tratta di libri che hanno svolto una parte importante nella vita di Tatiana. Lei stessa racconta che la madre, prima di dormire, le leggeva Fiabe Italiane di Italo Calvino, alcune delle quali non erano certo rassicuranti. Scopriamo due filoni dominanti, ben visibili nella composizione L’inventario del 20232024. Il primo attraversa mondi dentro il nostro mondo, che non conosciamo e forse ostili: Alien Ocean di Stefan Helmreich, The Evidence of Things Not Seen di James Baldwin, Planet of Exile di Ursula Le Guin. Oppure ostilità creata dall’uomo stesso e, come afferma Tatiana, «molti dei miei disegni e sculture posano lo sguardo sui diversi aspetti di questo fenomeno ambientale complesso: l’impoverimento, la scomparsa, la preservazione e il sapere delle culture autoctone». Ancora più significativo Space, Place and Gender dell’artista Doreen Massey. L’altro filone è dedicato alla stregoneria: Mona Chollet con Streghe, Lucy Cooke con Bitch, Monique Wittig con Les Guérillères e Starhawk con Truth or Dare. Se dovessi scommettere su quale sarà l’argomento preferito nel dibattito che si terrà tra Tatiana e La Ribot indicherei questo tema. Sì, perché a Palazzo Grassi, proprio nell’Atrio, mercoledì 8 ottobre si terrà la performance Juana fiction seguita da una conversazione tra le due artiste. La Ribot è danzatrice, performer e artista visuale fin troppo conosciuta. Leone d’Oro alla Biennale Danza nel 2020 e definita da Marie Chouinard “gran signora stravagante dell’arte contemporanea”, prima ancora il pubblico veneziano la ricorderà con Mathilde Monnier sempre per Biennale Danza nel 2017 nell’esilarante Gustavia. In realtà, ora possiamo dirlo, il suo spettacolo Piezas distinguidas nel 2020 venne tagliato per eliminare le parti di diretto contatto con il pubblico... Covid o pruderie? La Ribot spesso ha usato il proprio corpo per esprimere protesta contro il potere e il consumo maschile del corpo femminile, lo stesso Piezas distinguidas ne è un esempio eclatante. Juana fiction in realtà riprende la triste storia di Juana I di Castiglia, incoronata nel 1504 ma dichiarata pazza e incarcerata a vita prima dal padre, poi dal marito e infine dal figlio. La pièce è stata presentata al Festival di Avignone nel 2024 e Palazzo Grassi ospiterà la sua prima italiana. Vediamo il triste e pallido volto della Regina nel bel ritratto di Juan de Flandes. Vera gemma è la musica originale di Inˇaki Estrada. Di base è un canto gregoriano a cappella, mentre archi, legni, ottoni dominano e creano nuove sonorità. Viene ripreso un classico canzoniere spagnolo di fine Quattrocento, il Cancionero general di Hernando del Castillo. Talvolta veglia funebre, talvolta musica polifonica multistrato con intervalli dissonanti, mi ha ricordato lo Shostakovich di Lady Macbeth nel distretto di Mcensk, in particolare per le parti corali. Chi volesse vedere lo stupendo film di Shapiro premiato a Cannes nel 1967 con la grande Katerina Izmailova vada a risentire il sestetto a 43’ o la scena delle calze a 103’. Onore a Estrada. La Ribot commenta la storia di Juana come il classico tragico destino di una donna immolata sull’altare della politica maschile, incarnata nei tre uomini della sua vita. «The patriarchy is seen as a force of control, erasure and oblivion at work…». Durante il dibattito non credo che Alice si risveglierà per andare felice a prendere il tè a casa, ma suppongo che il prete anglicano Charles Lutwidge Dodgson verrà chiamato alla sbarra.
Tatiana Trouvé
Pure magic : Tatiana Trouvé’s exhibition The Strange Life of Things at Palazzo Grassi feels like stepping into Alice’s underground world. Deceptive little doors on the second floor seem to open hidden paths. The central concourse installation introduces ambiguity: the marble floor is overlaid with asphalt, manhole covers, and pipe plates from various places. A tribute to Venice, built on water? Or, seen from above, a starry sky? Or perhaps a metaphor for the disorientation of our species? Trouvé’s 2022 Pompidou show was titled The Great Atlas of Disorientation, after all.
Alice’s journey continues subtly with a display of shoes (possibly a nod to Van Gogh) and reminders of the books she read, embedded in her art. Trouvé recalls her mother reading Italian Folktales by Italo Calvino, some of which were unsettling. Two dominant themes emerge in The Inventory (2023–2024): one explores unknown, possibly hostile worlds (Alien Ocean, Planet of Exile, The Evidence of Things Not Seen), and the other reflects human-made hostility and environmental loss, especially indigenous knowledge. Space, Place and Gender by Doreen Massey is especially meaningful.
The second theme is witchcraft: Witches by Mona Chollet, Bitch by Lucy Cooke, Les Guérillères by Monique Wittig, and Truth or Dare by Starhawk. This may be the focus of the upcoming conversation between Trouvé and La Ribot, following the performance Juana Fiction on October 8 in the lobby. La Ribot, a renowned dancer and visual artist, won the Golden Lion at the Venice Dance Biennale in 2020. Her 2020 piece Piezas distinguidas was censored to remove audience interaction.
Was it COVID or prudery?
Juana Fiction revisits the tragic story of Juana I of Castile, crowned in 1504, declared insane, and imprisoned by her father, husband, and son. Premiered at the 2024 Avignon Festival, its Italian debut features original music by Iñaki Estrada: Gregorian chant layered with strings, winds, and brass, evoking the Cancionero general. At times a funeral vigil, at others polyphonic dissonance, it recalls Shostakovich’s Lady Macbeth of Mtsensk La Ribot sees Juana’s fate as a classic case of patriarchal oppression: “The patriarchy is seen as a force of control, erasure and oblivion at work…” Don’t expect Alice to wake up for tea.
Juana ficción (2024) - La Ribot & Asier Puga
8 ottobre Atrio di Palazzo Grassi
Tatiana Trouvé. La strana vita delle cose Fino 4 gennaio 2026 Palazzo Grassi www.pinaultcollection.com
arte IN THE CITY
EXTRAORDINARIO
Crea un’azione
Una gigantesca dichiarazione visiva nella più grande galleria d’arte del mondo, Piazza San Marco. Una lunghissima doppia fila di uomini e donne migranti ritratti di spalle: JR porta sotto i riflettori le storie delle vittime più “invisibili” e silenziose dei conflitti o delle crisi, che spesso non possono nemmeno avere un’opinione o una voce su ciò che accade intorno a loro, su ciò che influenzerà tragicamente le loro vite per sempre. Tuttavia, nonostante l’uso drammatico del bianco e nero, che annulla le diversità culturali e identitarie dei soggetti
ritratti, vi è, nel rappresentarli di spalle, una speranza, l’idea di un sogno, della partenza e dell’orizzonte di un nuovo futuro. Questa prospettiva inusuale è per l’osservatore un invito a intraprendere un viaggio collettivo e a riflettere su temi quali presenza, identità, appartenenza e sul desiderio universale di inclusione.
Solo per cinque giorni – dal 3 al 7 settembre 2025 – Dreams in Transit ha trasformato la facciata delle Procuratie Vecchie di Piazza San Marco negli occhi e nella coscienza di tutti noi, che ogni giorno assistiamo inermi alle notizie che arrivano dal mondo. L’installazione, a cura della Fondazione Art for Action, è ispirata a Inside Out di JR – grande progetto di arte partecipata, una piatta-
Dreams in Transit, Installation - Photo LungoLinea Studio
L’arte può cambiare il mondo? All’inizio non lo credevo, e invece mi sbagliavo JR
forma che aiuta le comunità di tutto il mondo a difendere ciò in cui credono e a promuovere il cambiamento globale a livello locale – e parte del programma After Migration lanciato da Art for Action a maggio 2025 durante l’apertura della 19. Biennale Architettura.
L’iniziativa si lega al progetto For Refugees di The Human Safety Net, che dal 2017 ha sostenuto oltre 13.000 rifugiati in sei Paesi attraverso percorsi di imprenditorialità e formazione.
L’opera site-specific di JR era parte della più ampia mostra Dreams in Transit, visitabile fino al 15 marzo 2026 negli spazi della Casa di The Human Safety Net, offrendo ulteriori riflessioni sulle tematiche di migrazione e identità.
JR ha sempre creduto che il potere dell’arte risieda nella sua capacità non tanto di provocare, ma di stimolare una reazione, di creare interazioni tra le persone. L’arte non è politica, l’arte pone domande. Chi sono quelle persone sulla facciata? Cosa stanno cercando di dire? Spetta agli spettatori interrogarsi e rispondere a queste domande. «Nel momento in cui cambi il modo in cui vedi le cose – afferma JR –, allora anche il mondo può cambiare».
L’’installazione è stata rimossa dalla facciata e non ve ne è più traccia, tuttavia rimane indelebile nella memoria di quanti l’hanno vista. «Il mio lavoro è effimero – dichiara JR –, questo è un modo per renderlo più permanente».
arte
IN THE CITY
Un attimo prima della realtà
The Quantum Effect, arte tra cinema, scienza, filosofia e cultura pop
I paradossi della fisica quantistica sono indagati attraverso arte, scienza e fantascienza in The Quantum Effect, un’esperienza espositiva originale ospitata allo SMAC – San Marco Art Centre di Venezia, fino al 23 novembre. Al secondo piano delle Procuratie Vecchie in Piazza San Marco, SMAC si pone come un osservatorio privilegiato capace di dialogare sulle tematiche più innovative dell’arte in relazione con storia, scienza, filosofia e società, inserendosi nel fertile tessuto della città come una variante fuori dagli schemi, uno sguardo libero sulla cultura visiva contemporanea.
In The Quantum Effect, co-curata da Daniel Birnbaum e Jacqui Davies e prodotta in collaborazione con OGR Torino, il visitatore è invitato a riflettere sulla natura della realtà, del tempo e dei mondi paralleli. «Così come la natura paradossale della fisica quantistica sconvolge la nostra comprensione della realtà, abbiamo creato una mostra che sfida la natura e il significato delle cose: opere d’arte, film, esperimenti scientifici, teorie quantistiche e le loro rappresentazioni simboliche», spiegano i curatori. La linea sottile tra verità e finzione si dissolve.
Ispirato al romanzo Locus Solus di Raymond Roussel, il percorso espositivo si sviluppa lungo un corridoio di oltre 80 metri, articolato in 16 sale simmetriche, a partire dall’opera Oil VII (2007) di Isa Genzken. La disposizione delle sale crea un effetto di supersimmetria, immergendo il visitatore in un sistema di mondi paralleli dove le opere si riflettono, si moltiplicano e dialogano tra loro. Particolarmente originale è l’uso delle didascalie, incise su piccoli specchi: formule matematiche e simboli che creano una mise en abyme della simmetria e della struttura quantistica dell’esposizione, amplificando la dimensione immersiva della mostra.
Opere di artisti contemporanei di fama internazionale come Dara
Birnbaum, Isa Genzken, Ilya Khrzhanovskiy, Jacqui Davies, Jeff Koons, Mark Leckey e Marcel Duchamp/Man Ray si combinano con interventi creati dagli stessi curatori: collage cinematografici con scorci misteriosi dal mondo della teoria e del calcolo quantistico, oltre che della science fiction, una linea temporale alternativa che mette in discussione la nozione di tempo lineare e la natura della realtà.
Il risultato è un racconto che mescola arte, scienza, narrativa fantascientifica e riferimenti alla cultura pop. Gli ambienti sono progettati come spazi esperienziali: il visitatore non si limita a osservare, ma viene coinvolto in un percorso che stimola anche il senso di meraviglia, mettendo in discussione le convenzioni spazio-temporali. La mostra trasforma così la visita in un vero e proprio viaggio attraverso mondi possibili, rivelando la creatività illimitata dell’arte contemporanea e la sua capacità di dialogare con la scienza più avanzata. Delphine Trouillard
ENG The paradoxes of quantum physics are explored through art, science, and science fiction in The Quantum Effect, an original exhibition hosted at SMAC – San Marco Art Centre in Venice, open until November 23. Located at the Procuratie Vecchie in Piazza San Marco, SMAC serves as a unique observatory for contemporary visual culture, engaging with history, science, philosophy, and society. Co-curated by Daniel Birnbaum and Jacqui Davies in collaboration with OGR Torino, the exhibition invites visitors to reflect on reality, time, and parallel worlds. Inspired by Raymond Roussel’s Locus Solus, the show unfolds across 16 symmetrical rooms, creating a supersymmetric corridor over 250 feet long. Artworks, films, quantum theories, and symbolic representations blur the line between truth and fiction. Labels etched on mirrors amplify the immersive experience. Featuring works by Isa Genzken, Jeff Koons, Marcel Duchamp/Man Ray, and more, the exhibition becomes a journey through possible worlds, merging art, science, and pop culture to challenge our perception of space and time.
I curatori Daniel Birnbaum & Jacqui Davies accanto all’opera di Tomás Saraceno, Hybrid semi-social musical instrument ngc 2976, (2014), SMAC San Marco Art Centre - Photo Enrico Fiorese
A mani nude Alla Collezione Peggy Guggenheim le ceramiche di Lucio Fontana
Quando si pensa a Lucio Fontana inevitabile e scontata è l’associazione agli squarci con cui violentava le tele, ai buchi attraverso i quali sbirciare oltre la dimensione piatta del quadro, da lui tagliato o perforato tra gli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso. Ma i suoi esordi in terra d’Argentina, dove nacque nel 1899, furono, come scrisse Lucio Crispolti nel catalogo generale, in linea con “un gagliardo plasticismo d’accentuata espressività” rivolti ad una continuità nella sua ricerca come scultore.
Maturato sulla scia di due esempi, riporta Edoardo Persico critico d’arte contemporanea degli anni Trenta, Wildt per motivi scolastici, Archipenko per l’eleganza delle forme che seppur in chiave astratta discendevano da schemi michelangioleschi, Fontana dunque partì da una sperimentazione in termini assoluti in linea con “valori plastici”; “un plasticismo denso e turgido, con una continua rotondità delle superfici levigate”.
La nuova mostra della Collezione Peggy Guggenheim, la prima personale mai realizzata in ambito museale esclusivamente dedicata alle opere in ceramica, propone una selezione di una settantina di pezzi storici provenienti da collezioni pubbliche e private, valorizzando un aspetto meno noto ma decisivo nella produzione del padre dello Spazialismo, dell’Arte Concettuale, artefice del Manifiesto Blanco. Mani-fattura: le ceramiche di Lucio Fontana, a cura di Sharon Hecker, esibisce quel suo lavoro con l’argilla iniziato proprio in Argentina negli anni Venti e proseguito lungo l’arco della sua esistenza (morì nel 1968 a Comabbio).
Opere ben diverse rispetto al rigore assoluto, persino freddo, dei “tagli” eseguiti col cutter con precisione maniacale, rivelandosi espressive invece di un istinto quasi fisico e tattile che spinse il Maestro, a più riprese, a cercare un rapporto diretto con la materia, da toccare, plasmare, infondendole la vita attraverso le sue mani. Pezzi storici che testimoniano la varietà delle forme, delle tecniche e dei soggetti. Donne, animali marini, arlecchini, guerrieri, sotto la sua
Mani-Fattura: le ceramiche di Lucio Fontana 11 ottobre-2 marzo 2026 Collezione Peggy Guggenheim www.guggenheim-venice.it
mano sembrano quasi sfarfallare nello spazio, come se la materia, in continuo movimento e di una opulenza barocca, improvvisamente venisse raggelata e bloccata nel suo espandersi nello spazio. Le sculture astratte invece paiono erigersi quali silenziose architetture in miniatura, quasi alla ricerca di una razionalità pura, risentendo della proficua collaborazione con la milanese Galleria del Milione. Riprese il lavoro con l’argilla in vari momenti della sua vita, inizialmente in Argentina, in Italia durante il Fascismo, poi di nuovo in Argentina durante la guerra, fino al ritorno nel dopoguerra in Italia durante la ricostruzione e il boom economico. Si trattò di una produzione realizzata sia in pezzi unici destinati ad interni domestici come piatti e ceramiche, crocifissi e sculture per chiese, scuole, cinema, hotel, fregi per edifici milanesi su commissione di importanti architetti; caminetti e maniglie nati spesso dalla collaborazione con designer, o in altre occasioni opere realizzate in serie.
Come osserva la curatrice: «A lungo associata all’artigianato più che all’arte, oggi la ceramica di Fontana sta ricevendo una nuova attenzione grazie al rinnovato interesse per questo materiale nell’arte contemporanea». Così proprio attraverso la materia Fontana era riuscito ad esaltare quella dialettica spazialista tra colore-segno-spazio dandole una forma e una vita tridimensionale. Michela Luce ENG Lucio Fontana is often associated with the slashes and punctures that disrupted the canvas, opening windows beyond its flat surface. Yet his beginnings in Argentina, where he was born in 1899, were rooted in expressive sculptural work. Influenced by Wildt and Archipenko, Fontana pursued a dense, rounded plasticism. The Peggy Guggenheim Collection now presents Manu-Facture: The Ceramics of Lucio Fontana, the first museum solo show dedicated to his ceramics, curated by Sharon Hecker. Featuring around 70 pieces, the exhibition highlights Fontana’s tactile engagement with clay, from Argentina in the 1920s to postwar Italy. These pieces range from baroque figures to abstract miniatures and reveal a vibrant, physical creativity distinct from his iconic cuts. Long seen as craft, Fontana’s ceramics are now gaining recognition, embodying his spatialist vision in three-dimensional form.
Fondazione Giorgio Cini per i 300 anni del celebre veneziano
Durante tutto il 2025, i mille volti di Casanova hanno offerto innumerevoli occasioni di riflessione e di “ossessione”, esattamente come una star dei nostri giorni, occupando musei e gallerie con percorsi che hanno inebriato il pubblico con profumi, vetri, abiti, film, libri, opere antiche, moderne e molto altro. Ancora in corso a Palazzo Mocenigo fino al 2 novembre Casanova 1725–2025: L’eredità di un mito tra storia, arte e cinema e al Museo del Vetro fino al 18 gennaio 2026, Vero Casanova. Tuttavia è l’autunno a riaccendere i riflettori sui 300 anni del celebre seduttore con un doppio progetto espositivo, dove sono Venezia e l’Europa le lenti attraverso cui la Fondazione Giorgio Cini sceglie di osservare e indagare la figura di Giacomo Casanova, la persona storica e il mito.
Il primo capitolo, Casanova e Venezia, curata dall’Istituto di Storia dell’Arte, diretto da Luca Massimo Barbero, con la partecipazione dell’Istituto per il Teatro e il Melodramma, si sviluppa a Palazzo Cini dal 27 settembre al 2 marzo 2026, protagonista il Settecento veneziano e il suo fermento culturale e artistico. Quasi cento opere provenienti dalle raccolte della Fondazione Giorgio Cini e da prestiti di importanti collezioni e musei veneziani, nazionali e internazionali raccontano la figura poliedrica di Casanova – letterato, memorialista, filosofo, alchimista, viaggiatore e diplomatico – lungo il secolo inquieto del Settecento che si chiude con la caduta della Serenissima. La vita di Giacomo Casanova, che nasce a Venezia, nel sestiere di San Marco, nel 1725, coincide infatti fatalmente con gli ultimi sette decenni della vita della Repubblica di Venezia. «A fare da sfondo all’esposizione – spiega Luca Massimo Barbero –è in primo luogo la Venezia del giovane Casanova: fantasmagorica e pulsante di vita, cosmopolita per antonomasia e importante centro d’irradiazione culturale, a questa città in special modo si deve la nascita di una civiltà artistica tra le più elevate di ogni tempo. Capitale delle arti, del teatro e della musica, è la città in cui Casanova diventa quella vertiginosa figura che la storia ci ha consegnato». Fulcro narrativo della mostra è il celebre Album di caricature di Anton Maria Zanetti il Vecchio, acquisito da Vittorio Cini nel 1969. Una selezione di 39 fogli si incontra nel salone centrale e lungo il percorso espositivo, in una sorta di controcanto delle tele esposte. Con le sue trecentocinquanta caricature, la silloge di Zanetti ricostruisce con arguzia e ironia l’humus sociale e culturale dagli inizi del secolo fino agli anni in cui il giovane Casanova si affaccia a quel mondo. A finire sotto la matita di Zanetti sono abati, preti e “nonzoli”, artisti, padroni e servitori, veneti e “foresti”, ma soprattutto “gente di teatro”, una folla di cantanti, ballerine, attori, suonatori, impresari, copisti, suggeritori, compositori e maestri di musica. Il mondo del teatro è centrale nella vita e nell’immaginario di Casanova, come spiega Maria Ida Biggi, direttrice dell’Istituto per il Teatro e il Melodramma e docente all’Università Ca’ Foscari Venezia: «La sua storia è intrisa di teatro, la sua vita potrebbe essere una continua
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commedia. È stato suonatore, attore, drammaturgo, impresario, traduttore e adattatore di testi teatrali e altro. I suoi genitori erano entrambi attori e la madre Giovanna Farussi, veneziana, detta Zanetta, ottenne un notevole successo in terre nordiche». In mostra alcuni fra i pezzi più pregiati già della collezione di Vittorio Cini, raramente esposti: la coppia di Vedute ideate dal giovane Canaletto (1721-1722); la singolare tela di Francesco Guardi recante l’Albero genealogico della famiglia Giovanelli; il ciclo di tele con Cibele, Vulcano e Nettuno provenienti dal soffitto di Palazzo Zulian, omaggio al mito di Venezia e capolavoro della maturità di Antonio Guardi. Uno degli elementi che più colpisce della vicenda di Casanova è lo spirito europeo che ha saputo interpretare in un’epoca inquieta e foriera di grandi trasformazioni. È qualcosa di profondo che lui avverte mentre viaggia da intellettuale e diplomatico, da osservatore curioso e uomo affascinato dalla ragione e dall’occulto. Nella sua vita e nelle sue memorie riesce a intravedere i codici culturali comuni tra nazioni che pure sono belligeranti, gelose e competitive. Sul finire della sua vita, che poi è sul finire del secolo, Casanova è testimone di un vento nuovo che dalla Francia spazzerà tutte le certezze (e spegnerà la Repubblica Serenissima) fino a imporre un nuovo ordine.
Il secondo capitolo, sull’Isola di San Giorgio, in Sala Carnielutti e al Piccolo Teatro dal 17 ottobre al 2 marzo 2026, è proprio dedicato a questo tema: Casanova e l’Europa. Opera in più atti. La mostra, dalla forte impronta interdisciplinare e multimediale, è realizzata in collaborazione con il Teatro La Fenice e presenta uno straordinario panorama di quanto gli Istituti della Fondazione Cini conservano e studiano, osservato attraverso la vita e il tempo di Casanova. Documenta la vivacità del panorama culturale europeo, l’intensità degli scambi di idee, la diversità dei punti di vista nella fase di passaggio dal vecchio regime settecentesco al periodo napoleonico e poi alla rivoluzione industriale e liberale ottocentesca.
ENG Throughout 2025, Giacomo Casanova’s diverse legacy inspired exhibitions across Venice, culminating in two major autumn shows by the Fondazione Giorgio Cini. Casanova e Venezia (Palazzo Cini, Sept 27-Mar 2, 2026) explores the vibrant eighteenth-century Venetian cultural scene that shaped Casanova – a writer, philosopher, alchemist, and traveler – through nearly one hundred pieces, including rare ones by Canaletto and Guardi. Central to the exhibit is Anton Maria Zanetti’s Album of Caricatures, offering a witty glimpse into the theatrical world that deeply influenced Casanova’s life. The second chapter, Casanova e l’Europa. Opera in più atti (San Giorgio Island, Oct 17-Mar 2), highlights Casanova’s European spirit and intellectual journey amid the continent’s cultural and political shifts. Featuring multimedia and interdisciplinary content, it reflects on the transition from the ancien régime to the Napoleonic and industrial eras, showcasing Casanova as a witness to, and product of, a changing Europe.
Casanova e Venezia Fino 2 marzo 2026 Palazzo Cini, La Galleria, San Vio, Dorsoduro 864
Casanova e l’Europa. Opera in più atti
17 ottobre-2 marzo 2026 Fondazione Giorgio Cini, Sala Carnielutti e Piccolo Teatro, Isola di San Giorgio www.cini.it
Johann Heinrich Tischbein il Vecchio, Giocatori al ridotto, 1751 ca., Brema, Galerie Neuse
Bartolomeo Nazari, Ritratto di Farinelli, 1734, The Royal College of Music Museum
Pietro Longhi, Colloquio fra baute, 1750-1760, Venezia, Ca’ Rezzonico, Museo del Settecento Veneziano
arte
IN THE CITY
Linguaggio militante
Terry Atkinson, l’avventura di un artista in continua evoluzione
Terry Atkinson, classe 1939, è figura centrale della stagione concettuale e al tempo stesso della sua crisi. La retrospettiva L’artista è un motore di significati, che Ca’ Pesaro – Galleria Internazionale d’Arte Moderna ospita nelle sale Dom Pérignon, ripercorre l’avventura di un artista che ha saputo reinventarsi costantemente, mantenendo intatto il potere perturbante della sua ricerca. Formatosi nello Yorkshire, Atkinson entra nella storia dell’arte internazionale con la fondazione, a metà anni Sessanta, del collettivo Art & Language, gruppo che includeva David Bainbridge, Michael Baldwin e Harold Hurrell. L’obiettivo era radicale: smontare il sistema dell’arte dall’interno, mettendo in discussione la tradizione espositiva e il ruolo dell’autore. La militanza di Atkinson lo porta a New York nel 1967, dove si confronta con Sol LeWitt, Dan Graham, Carl Andre e Robert Smithson, testimoni diretti di un’arte che si stava facendo idea, processo, riflessione più che oggetto. Tuttavia nel 1974 l’artista prende le distanze da Art & Language. Il concettualismo, che aveva contribuito a fondare, gli appare ormai irrigidito in formule: un linguaggio prigioniero di sé stesso. Atkinson decide allora di ‘tradire’ il verbo concettuale tornando alla pittura, scelta che suonava come una provocazione. Eppure proprio qui risiede la sua svolta: non un ritorno nostalgico, ma una pittura che guarda al Realismo socialista filtrandolo attraverso il grottesco, la parodia, il surreale. La guerra diventa il tema dominante. Le sue tele e i suoi disegni narrano il Novecento attraverso le ombre dei conflitti: le trincee della Grande Guerra, Hiroshima con Enola Gay, il Vietnam, il Libano, fino alle ferite ancora aperte del conflitto israelo-palestinese. Non c’è retorica, né celebrazione, ma una pittura che scava nella crudeltà della Storia, restituendo al pubblico immagini che oscillano tra documento e caricatura.
In mostra a Venezia figurano le serie più celebri – Enola Gay, Grease Works, Goya Series, American Civil War – insieme ai folgoranti disegni degli anni Sessanta, che rivelano la tensione mai sopita tra idea e forma.
Il percorso di Atkinson è punteggiato da riconoscimenti internazionali: la partecipazione a Documenta nel 1972 sotto la regia visionaria di Harald Szeemann, la Biennale di Venezia nel 1984, la nomination al Turner Prize nel 1985. Non a caso le sue opere sono custodite nelle collezioni della Tate Gallery a Londra. Ca’ Pesaro restituisce la complessità di un artista che ha fatto della contraddizione la propria forza: motore di significati, capace di attraversare la storia dell’arte recente senza mai farsi intrappolare da un linguaggio definitivo. Irene Machetti
ENG Born in 1939, Terry Atkinson is a pivotal figure in conceptual art and its subsequent crisis. Retrospective exhibition
The Artist Is a Generator of Meaning, hosted in the Dom Pérignon rooms at Ca’ Pesaro – International Gallery of Modern Art, traces the journey of an artist who has constantly reinvented himself while preserving the disruptive power of his work. A founding member of the radical Art & Language collective in the mid-1960s, Atkinson challenged the art system from within. In 1974, disillusioned by conceptualism’s rigidity, he returned provocatively to painting, with his art infused with grotesque, surreal, and parodic elements. War became his central theme, explored through works on WWI, Hiroshima, Vietnam, and the Israeli-Palestinian conflict. The exhibition features iconic series like Enola Gay, Grease Works, and Goya Series, alongside early 1960s drawings. With accolades including Documenta (1972), the Venice Biennale (1984), and a Turner Prize nomination (1985), Atkinson remains a force of contradiction and meaning in contemporary art. Terry Atkinson. L’artista è un motore di significati
Goya Work, 1986
RUSSEL 6, “I” is the Biography to which “this” belongs, 1995
arte
IN THE CITY
Cercando la Storia
Come osservatorio costante della contemporaneità, Palazzo Grassi per il quinto anno consecutivo invita al Teatrino dal 2 al 5 ottobre il Festival International du Film sur l’Art (FIFA) di Montreal con una selezione di documentari internazionali che mettono in luce il patrimonio culturale e la resilienza in tutto il mondo. Il FIFA infatti promuove il dialogo con il pubblico per riflettere sulle storie condivise e immaginare nuovi percorsi verso la riconciliazione e lo sviluppo culturale. Il programma, con proiezioni quotidiane a ingresso libero, esplora questioni di attualità relative alla memoria collettiva, in particolare: Dahomey di Mati Diop (Benin, Francia, Senegal, 2024, 68’) racconta della restituzione al Benin di ventisei oggetti trafugati del Regno di Dahomey durante la guerra di colonizzazione e conservati al Musée du quai Branly di Parigi [2 ottobre, ore 18]; So Surreal: Behind the Masks di Neil Diamond e Joanne Robertson (Canada, 2024, 88’) svela l’affascinante legame tra l’opera dei famosi artisti surrealisti e le maschere cerimoniali Yup’ik e Kwakwaka’wakw, nonché il tentativo di riportare alcune di queste maschere nella loro terra d’origine [2 ottobre, ore 19.15]. The Story of Ne Kuko di Festus Toll (Paesi Bassi, 2024, 25’) documenta il furto di un nkisi al capo congolese Ne Kuko intorno al 1878, oggetto dotato di poteri spirituali [3 ottobre, ore 18]. In No More History Without Us di Priscilla Brasil (Brasile, Portogallo, 2024, 65’) due registi originari dell’Amazzonia denunciano il processo storico di sfruttamento della foresta come un inesauribile Giardino dell’Eden [3 ottobre, ore 18.30].
Fiume o morte! di Igor Bezinovic´ (Croazia, Italia, Slovenia, 2025, 112’) rilegge con ironia e spirito critico uno degli episodi più eccentrici del primo dopoguerra: nel 1919 il poeta italiano Gabriele D’Annunzio occupa la città di Fiume/Rijeka. I suoi abitanti oggi raccontano, ricostruiscono e reinterpretano la singolare storia dei 16 mesi di occupazione della loro città [4 ottobre, ore 17].
Soundtrack to a Coup D’Etat di Johan Grimonprez (Belgio, Francia, Paesi Bassi, 2024, 150’) è un magistrale racconto a più voci e a ritmo di jazz e soul su come è stata minata l’autodeterminazione africana negli anni ‘60. Nel gennaio 1961 il nuovo presidente del Congo, Patrice Lumumba, viene assassinato con la complicità di Belgio e Stati Uniti, per depredare le ricchezze del Paese. Louis Armstrong è in tour in Congo e si trasforma inconsapevolmente nel paravento per il primo colpo di Stato post-coloniale in Africa. Candidato agli Oscar 2025 come miglior documentario [5 ottobre, ore 17].
La parola come pittura
Ca’ Pesaro dedica la sua nuova esposizione autunnale a Gastone Novelli (1925–1968), figura cruciale della pittura italiana del dopoguerra, celebrandone il centenario con un’importante donazione di opere dall’Archivio Novelli e con una ricognizione critica che accompagna il Catalogo generale pubblicato nel 2011 in collaborazione con il MART – Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto. La mostra, curata da Elisabetta Barisoni e Paola Bonani, non è soltanto un omaggio, ma un’occasione di rilettura della sua arte attraverso oltre sessanta opere provenienti da collezioni pubbliche e private, che ricostruiscono le tappe di un percorso artistico che ha costantemente intrecciato linguaggio, storia, impegno politico e forma.
L’esposizione veneziana segue di poco quella organizzata dal Museo di Arte Contemporanea di San Paolo in Brasile, Paese di formazione per Novelli, dove si trasferisce nel 1949 e rimane fino al 1954.
Lì troverà terreno fertile per lo sviluppo della sua arte, poiché a San Paolo, città di architetti e visionari, risiedono molti italiani come Lina Bo Bardi e Pietro Maria Bardi, Gio Ponti e Nervi. È il laboratorio in cui la sua pittura si apre all’Astrattismo, alla ceramica, alla riflessione sul linguaggio, nutrita anche dallo studio della cultura Guaraní. Di quegli anni resta la matrice di un’arte che non smetterà mai di interrogarsi sulla funzione della parola e sul suo statuto visivo. Rientrato in Italia, a Roma nel 1955, Novelli partecipa all’avventura della rivista L’Esperienza Moderna fondata con Achille Perilli, punto di snodo per la generazione astratta della fine degli anni Cinquanta. Negli anni Sessanta la sua ricerca si radicalizza: scrittura e pittura si fondono in un alfabeto ibrido, un diario interiore che diventa spazio pittorico. Nel corso dei frequenti viaggi a Parigi, partecipa ai cenacoli artistici dei Surrealisti, incontra Bataille e Beckett col quale collabora a
Gastone Novelli (1925–1968)
15 novembre-1 marzo 2026
Ca’ Pesaro – Galleria Internazionale d’Arte Moderna, II Piano capesaro.visitmuve.it
un progetto mai compiuto per illustrare L’Image Per la prima volta in mostra verranno esposte le opere che Novelli presenta alla Biennale del 1964 e del 1968, quando gli viene dedicata una sala personale, ma per protestare contro l’intervento della polizia ai Giardini, decide di esporre le sue tele a rovescio contro la parete: un gesto politico che consegna la sua arte alla storia dell’impegno civile.
La sua biografia, segnata dall’esperienza della Resistenza, dall’arresto e dalla condanna a morte da parte dei nazifascisti, pesa come un contrappunto drammatico alla leggerezza grafica dei suoi segni.
L’esposizione, che apre a Ca’ Pesaro il 15 novembre, lo consacra come artista della parola dipinta, capace di trasformare la scrittura in gesto visivo e di dare forma all’inquietudine del proprio tempo. Non semplice pittore, ma un interprete radicale della modernità, in cui la tela diventa pagina e il segno discorso.
Irene Machetti
ENG Ca’ Pesaro dedicates its autumn exhibition to Gastone Novelli (1925–1968), a key figure in postwar Italian painting, marking his centenary with a major donation from the Novelli Archive and a critical apparatus accompanying the 2011 catalogue published in cooperation with MART, the Modern Art Museum of Trento and Rovereto. Curated by Elisabetta Barisoni and Paola Bonani, the show features over sixty pieces from public and private collections, tracing an artistic journey that fused language, history, politics, and form. After formative years in São Paulo (1949–1954), Novelli embraced abstraction and linguistic experimentation, influenced by Guaraní culture. Back in Rome, he co-founded L’Esperienza Moderna with Achille Perilli. In the 1960s, his hybrid alphabet merged writing and painting. His protest at the 1968 Biennale – displaying canvases reversed – underscored his civic engagement. Opening November 15, the exhibition reveals Novelli as a radical interpreter of modernity, where canvas becomes page and sign becomes discourse.
Dopo Il Correr di Carlo Scarpa 1953-1960, fino al 19 ottobre, che esplora i due interventi museografici dell’architetto veneziano all’interno del Museo alla ricerca del perfetto equilibrio tra forma e funzione, un nuovo progetto anima le sale del Museo Correr mettendo a confronto l’eredità di Antonio Canova con artisti contemporanei che condividono un analogo sentire classico, pur declinato in chiavi inedite. Dialoghi canoviani è la sfida di far risuonare il sublime neoclassico con linguaggi attuali, capaci di restituirne tanto l’eco quanto la distanza. La prima protagonista è Karen LaMonte, artista statunitense che da oltre vent’anni ha fatto del vetro il medium privilegiato della sua ricerca, senza rinunciare a ceramica, bronzo, ghisa, carta e marmo. LaMonte non insegue la mimesi della figura, ma la sua sottrazione: abiti femminili a grandezza naturale, scolpiti con virtuosismo classico, che però rivelano un vuoto. Corpi svaniti, o meglio, corpi suggeriti dal contorno, dalla piega del panneggio, dal peso invisibile che il vestito sembra ancora custodire. In questa estetica dell’assenza – già racchiusa nel titolo Absence Adorned – l’abito si fa reliquia, impronta fossile di un’identità privata della sua carne.
Il confronto con Canova diventa, così, un cortocircuito: laddove lo scultore neoclassico esalta la pienezza del corpo femminile come apice di armonia e perfezione, LaMonte lavora sulla sparizione. Il suo è un capovolgimento radicale: il panneggio non rivela il nudo, ma lo nega, lo rende fantasma. È il paradosso del classico nell’epoca postmoderna: non più corpo eterno, ma corpo mancante, non più eroina marmorea, ma vestigia trasparenti.
Nelle Stanze Canoviane sono esposte quattro grandi sculture della serie Nocturnes. Qui il vetro si tinge di blu, come a evocare le tonalità intermedie del cielo tra crepuscolo e notte. «Ispirata alla bellezza della notte – spiega l’artista – chiamo queste sculture Notturni : oscure, seducenti, sublimi. Figure femminili assenti che emergono da vesti penombrali, incarnazioni del crepuscolo».
Se Canova sublima il corpo nella luce chiara dell’ideale classico, LaMonte affida la sua poetica alla penombra, al passaggio, all’ambiguità visiva di un’epifania che non si concede mai del tutto.
Il legame con Venezia per l’artista americana non è nuovo. Già nel 2002 partecipa alla mostra Stanze di Vetro alla Bevilacqua La Masa e dal 2017 è presenza fissa di Glasstress durante la Biennale, oltre alle esposizioni presso la Fondazione Berengo. Il ritorno al Correr suggella una riflessione più ampia: il classico non è un repertorio da imitare, ma un interlocutore da interrogare. Canova e LaMonte condividono lo stesso amore per la forma femminile, ma se l’uno la celebra come archetipo di bellezza, l’altra ne mostra l’ombra, il vuoto, l’assenza. Due facce della stessa tensione verso il sublime. Irene Machetti
Le Gallerie dell’Accademia riscoprono Pietro Bellotti
In una cultura mainstream dove solo alcune mostre e solo alcuni artisti sono ammessi, trovarsi ad affrontare pittori che gli studiosi e i critici stessi stanno riscoprendo è una vera sfida e al contempo un fantastico stimolo per chi ama l’arte o meglio la storia dell’arte. Un ringraziamento, dunque, va a Giulio Manieri Elia, direttore delle Gallerie dell’Accademia, per aver dedicato l’esposizione autunnale a un pittore poco noto al grande pubblico come Pietro Bellotti (1625–1700) e a un periodo della produzione artistica, il Seicento, al quale non viene dedicata un’ampia esposizione a Venezia da troppo tempo. Francesco Ceretti, Michele Nicolaci, Filippo Piazza, curatori della mostra, guidano il percorso di riscoperta della personalità di Bellotti, andando a presentare non solo un singolo pittore, ma un più ampio fenomeno concernente la straordinaria civiltà figurativa del Seicento spagnolo in Italia.
Il pittore si presenta al pubblico direttamente, in modo non convenzionale: il suo Autoritratto come stupore e Autoritratto come riso aprono il percorso espositivo, per la prima volta accostati, un’autorappresentazione che mette in mostra subito le sue peculiari doti di pittore. Attivo a Venezia per la maggior parte della sua carriera, Bellotti infatti era molto apprezzato dai contemporanei per la resa naturalistica, riconoscendolo come vero e proprio maestro nel provocare stupore. Attraverso oltre 50 opere, la mostra racconta la nascita e lo sviluppo, nella Venezia di metà Seicento, di un nuovo modo di interpretare temi e soggetti propri dell’immaginario barocco, dove la predilezione per iconografie inconsuete si associa a un’acuta osservazione del dato reale. Bellotti riesce a reinventare in maniera autonoma temi e iconografie tipicamente secenteschi: soggetti dai contorni spesso eccentrici e stravaganti, quasi sempre arricchiti da
implicazioni allegoriche, quando non smaccatamente esoterici e negromantici. Intorno a questi temi, la mostra propone un confronto tra l’opera di Bellotti e quella di pittori coevi che ne influenzarono lo stile e che ne determinarono, anche per contrasto, l’evoluzione artistica, grazie ai prestiti eccezionali concessi da musei internazionali e italiani, tra cui il Museo Nacional del Prado di Madrid, il Kunsthistorisches Museum di Vienna, la Staatsgalerie di Stoccarda, le Gallerie degli Uffizi di Firenze, il Castello Sforzesco di Milano.
Stupore, realtà, enigma. Pietro Bellotti e la pittura del Seicento a Venezia è un viaggio di scoperta nella pittura di metà Seicento, che in Laguna produsse una stagione dagli esiti originalissimi, segnata dalla fioritura di nuove correnti espressive alimentate, per molti versi, anche dai dibattiti letterari e filosofici sorti all’interno delle accademie.
M.M.
ENG In a mainstream culture where only certain exhibitions and artists earn the spotlight, engaging with painters now being rediscovered by scholars and critics is both a challenge and a thrilling opportunity for art lovers and historians. Thanks go to Giulio Manieri Elia, director of the Gallerie dell’Accademia, for dedicating the autumn exhibition to Pietro Bellotti (1625–1700), a little-known painter, and to the 17th century, a period rarely explored in Venice’s major shows. Curators Francesco Ceretti, Michele Nicolaci, and Filippo Piazza guide visitors through Bellotti’s rediscovery, presenting not just an artist but a broader phenomenon tied to the rich visual culture of Spanish-influenced 17th-century Italy. Bellotti introduces himself unconventionally through two self-portraits, the astonished and the laughing, revealing his talent for realism and surprise. Featuring over fifty pieces, the exhibition explores how Bellotti reimagined Baroque themes with eccentric, allegorical, and even esoteric flair, in dialogue with contemporaries like those represented by loans from major museums including the Prado, Uffizi, and the Kunsthistorisches Museum in Vienna.
Stupore, realtà, enigma
Pietro Bellotti e la pittura del Seicento a Venezia Fino 18 gennaio 2026 Gallerie dell’Accademia www.gallerieaccademia.it
A distanza di quasi 50 anni in mostra a Ca’ Rezzonico l’intero Album Cicognara
Al centro di una interessante mostra da poco inaugurata a Ca’ Rezzonico – Museo del Settecento Veneziano, curata da Alberto Craievich, l’Album Cicognara, prende il nome dal suo proprietario, il conte Leopoldo Cicognara (Ferrara, 1767 – Venezia, 1834), una delle personalità più affascinanti del periodo Neoclassico. Dopo una giovinezza trascorsa tra studi umanistici e viaggi di formazione lungo tutta la Penisola, aderì da subito alla Repubblica Cisalpina di cui fu membro del corpo legislativo. Divenne nel 1808 presidente dell’Accademia di Belle Arti a Venezia, carica che mantenne anche dopo la caduta di Napoleone, fino al 1826. Uomo colto e brillante, particolarmente attivo nella politica culturale della città e non solo, durante l’incarico presso l’istituzione veneziana pubblicò le sue opere principali fra le quali la monumentale Storia della scultura e le Fabbriche più cospicue di Venezia. A Cicognara si devono iniziative di primo piano come la sistemazione delle Gallerie dell’Accademia, che proprio allora prendevano forma con l’arrivo dei dipinti provenienti dagli edifici di culto soppressi per decreto napoleonico. L’Album, composto da 81 fogli, è la straordinaria testimonianza del rapporto di amicizia che Cicognara aveva stretto con gli artisti del suo tempo: da Vincenzo Camuccini ad Andrea Appiani, da Giuseppe Bossi al giovane Francesco Hayez, dagli artisti francesi come François-Marius Granet, Lancelot Théodore Turpin de Crissé e Louis Léopold Robert a Canova, di cui Cicognara fu ammiratore appassionato, tanto che alla morte dell’artista promosse la sottoscrizione per erigere alla Basilica dei Frari il monumento dedicato al grande scultore, di cui scrisse anche una fondamentale biografia. I disegni in origine erano fascicolati in un Album conservato in una sontuosa custodia decorata con fregi in bronzo, che incorniciano cammei an-
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tichi e, al centro, una deliziosa miniatura con una Veduta di Venezia. I fogli documentano tutte le tecniche grafiche e ogni possibile soggetto. Vi sono disegni a matita, a penna, gessi colorati e acquerelli che raffigurano vedute, ritratti, paesaggi, scene di genere, composizioni sacre e profane, studi preparatori per opere maggiori, oppure disegni “finiti” eseguiti espressamente per Cicognara. Nell’insieme, un’opera unica.
Questo prezioso volume, segnalato agli studi da Alvar González-Palacios nel 1970, fu presentato al grande pubblico nel 1978 in occasione della mostra Venezia nell’età di Canova. Dal 26 settembre, a distanza di quasi cinquant’anni dalla precedente esposizione, Gusto Neoclassico offre l’occasione di poter ammirare L’Album Cicognara nella sua straordinaria interezza, grazie all’accurato restauro sostenuto da Venice International Foundation.
ENG At the heart of a fascinating new exhibition at Ca’ Rezzonico – Museum of 18th-Century Venice, curated by Alberto Craievich, is the Album Cicognara, named after its owner, Count Leopoldo Cicognara (1767–1834), a key figure of the Neoclassical era. A scholar and cultural leader, Cicognara served as president of the Venice Academy of Fine Arts and published major scholarly works in the field of art history. He played a vital role in organizing the Gallerie dell’Accademia. The album comprises 81 sheets, and reflects his friendships with artists such as Vincenzo Camuccini, Andrea Appiani, Francesco Hayez, and Antonio Canova, whom he deeply admired. Originally kept in a lavish case, the drawings span all graphic techniques and subjects, from landscapes and portraits to sacred and profane scenes. First highlighted in 1970 and publicly shown in 1978, the album is now fully on display thanks to a meticulous restoration supported by the Venice International Foundation, as part of the Gusto Neoclassico exhibition.
Gusto Neoclassico. L’Album Cicognara
settembre-12 gennaio 2026 Ca’ Rezzonico – Museo del Settecento Veneziano carezzonico.visitmuve.it
Giuseppe Bernardino Bison (Palmanova, 1762 - Milano, 1844), Paesaggio con rocca e traghetto, courtesy MUVE
arte
IN THE CITY PHOTOGRAPHY
Passaggio a Oriente
Quando il fotografo britannico Francis Frith (1822–1898) raggiunse lo storico sito di Abu Simbel durante il suo primo viaggio in Egitto, dal settembre 1856 al luglio 1857, i fratelli e fotografi “veneziani” Antonio e Felice Beato stavano viaggiando nel Mediterraneo verso il Medio Oriente, spostandosi tra Egitto, Turchia e Terra Santa. Cosa spingeva questi due “veneziani” a intraprendere i loro lunghi viaggi allo scopo di fotografare? I due avevano già documentato le ostilità della Guerra di Crimea (1853–1856) e subito dopo, insieme o separatamente, avrebbero fotografato la rivolta della popolazione indiana contro l’Impero britannico e la Seconda guerra dell’oppio. Intorno al 1860, Antonio Beato arrivò dalla Cina al Cairo e per quasi quarant’anni realizzò, con dettagli meticolosi e un occhio acuto per la composizione, una serie di straordinarie immagini dei templi e dei siti archeologici dell’Egitto, della sofisticata architettura della Cittadella del Cairo, della dinamica complessità degli edifici dei Mamelucchi e dei paesaggi circostanti.
A circa duecento anni della nascita di Antonio Beato e in occasione del quarantesimo anniversario della prima mostra veneziana dedicata ai due fratelli curata da Ikona Gallery, Palazzo Fortuny presenta Antonio Beato. Ritorno a Venezia, dal 15 ottobre al 12 gennaio 2026, mostra a cura di João Rocha, Marco Ferrari con Cristina Da Roit, in collaborazione con Università IUAV di Venezia e Università di Évora, che offre uno sguardo privilegiato su un gruppo di fotografie di Beato individuate negli archivi della Fondazione Musei Civici di Venezia e in altre collezioni italiane e internazionali.
ENG When British photographer Francis Frith visited Abu Simbel during his first trip to Egypt (1856–1857), Venetian-born brothers Antonio and Felice Beato were traveling across the Mediterranean and Middle East. Already known for documenting the Crimean War, they later photographed the Indian Rebellion and the Second Opium War. Around 1860, Antonio settled in Cairo, producing remarkable images of Egypt’s temples, architecture, and landscapes. To mark 200 years since his birth and 40 years since Ikona Gallery’s first Venice show, Antonio Beato. Return to Venice (Oct 15-Jan 12, 2026) at Palazzo Fortuny presents rare photographs from Venetian and international collections.
Antonio Beato. Ritorno a Venezia Fotografie tra viaggio, architettura e paesaggio 15 ottobre-12 gennaio 2026 Museo Fortuny fortuny.visitmuve.it
Forma assoluta
Una retrospettiva cerca di fissare nella memoria del pubblico i capisaldi fondamentali del percorso di un artista, in questo caso un fotografo, andando a presentare tutte le possibili sfumature della sua arte. Lo fa, in modo impeccabile, la mostra Robert Mapplethorpe. Le forme del classico in corso alle Stanze della Fotografia sull’Isola di San Giorgio Maggiore, che con oltre 200 immagini, alcune delle quali presentate in Italia per la prima volta, rende omaggio al grande artista statunitense.
Genio ribelle che ha saputo riscrivere i codici della fotografia; sciamano contemporaneo di una New York segreta e scabrosa; sintetico ed elegante cantore di un’idea di bellezza assoluta: Robert Mapplethorpe è stato anche e soprattutto un artista profondamente consapevole della storia dell’arte, un conoscitore raffinato che ha costantemente cercato di dialogare con il passato per generare immagini innovative e contemporanee.
La retrospettiva veneziana indaga il dialogo tra la fotografia di Mapplethorpe e la scultura antica, celebrando la perfezione formale dei corpi ritratti, la plasticità delle forme e la sinuosità delle composizioni. Le immagini esposte spaziano dai celebri nudi maschili e femminili alle nature morte floreali, evidenziando l’attenzione dell’artista alla luce e al dettaglio. Questo approccio conferisce ai soggetti un’aura senza tempo, trasformando i corpi e i fiori in icone eterne e poetiche. Proprio il tema dei fiori, apparentemente marginale e meno conosciuto, è uno dei più presenti e costanti nell’opera di Robert Mapplethorpe, arrivando a rappresentare alcune delle sue preoccupazioni più
Robert Mapplethorpe. Le forme del classico
Fino 6 gennaio 2026
Le Stanze della Fotografia, Isola di San Giorgio Maggiore www.lestanzedellafotografia.it
Antonio Beato, Tebe. Tempio di Kurnak [Karnak] dedicato da Seti I a Ramesse I, dall’album Alto Egitto e Nubia, 1870 ca.
profonde come artista. Un modo di esprimere la sua sessualità, la sua malinconia e la sua spiritualità, che il fotografo indaga a partire dal 1973 e fino alla sua morte nel 1989. Il mondo dei fiori viene ricercato con straordinaria dedizione, utilizzando una vasta gamma di tecniche fotografiche, dalle Polaroid alle opere a colori con trasferimento di colore.
I “Flowers” sono sorprendenti per la loro intensità, in queste fotografie si ritrova sia il dramma erotico che l’assoluta chiarezza compositiva: il talento di Mapplethorpe nella sua forma più audace e senza compromessi. Le celebri immagini di calle, tulipani e orchidee si trasformano in sculture fotografiche senza tempo, plasmate dalla luce e da una composizione perfetta. I fiori per Mapplethorpe erano come persone, la cui individualità meritava di essere ritratta con la stessa cura e attenzione dedicata normalmente al corpo umano. M.M.
ENG A retrospective aims to print in the public’s memory the key milestones of an artist’s journey, a photographer, in this case, by presenting all the nuances of their art. Robert Mapplethorpe. The Classical Forms, at Le Stanze della Fotografia on San Giorgio Maggiore (until Nov 23), does so impeccably with over 200 images, some shown in Italy for the first time. Mapplethorpe, a rebellious genius and refined connoisseur of art history, redefined photography by engaging with classical sculpture and beauty. The exhibition explores his dialogue with ancient sculpture, highlighting the formal perfection of bodies, the plasticity of forms, and the timeless aura of his floral still lifes. His flower series, often overlooked, reveals deep themes of sexuality, melancholy, and spirituality. These works, from Polaroids to colour transfers, transform tulips, calla lilies, and orchids into eternal photographic sculptures.
Paesaggi umani
Ogni scatto è un inno alla scoperta, un invito a guardare l’altro negli occhi e, attraverso di essi, a riflettere su noi stessi. Andrea Francolini, fotografo milanese trapiantato a Sydney in Australia, ci invita in mostra: il suo Eye2Eye a Le Stanze della Fotografia sull’Isola di San Giorgio Maggiore, dall’11 ottobre al 23 novembre, ci sorprende per l’intensità silenziosa e potente dei soggetti ritratti. «L’artista ci porta con lui in un viaggio senza confini – osserva il curatore de Le Stanze della Fotografia, Denis Curti –, dove l’atto di fotografare non si esaurisce semplicemente restituendo uno sguardo sul reale, ma diviene un respiro sensoriale che celebra il paesaggio umano in tutte le sue forme. Il lavoro del fotografo rappresenta un continuo inno alla scoperta. Chi si aspetta di trovare in queste immagini una sorta di uniformità narrativa, utile a esaltare le peculiarità di ogni soggetto, sbaglia in partenza. Al contrario, l’autore presta la sua voce all’eco di mondi lontani, che rivelano il senso più profondo dell’essere». Il percorso espositivo, con oltre 80 immagini frutto del lavoro degli ultimi dieci anni del fotografo, si articola in tre sezioni: Eyedentify, dedicata alla comunità transgender di Sydney; Truck Art, il racconto della vivace tradizione pakistana per cui i proprietari di camion decorano i loro veicoli con disegni, poesie e storie, credendo che ciò porti fortuna al proprio lavoro; My First School, una raccolta di ritratti di bambini dell’omonima Onlus fondata da Francolini nel 2011, che ha come obiettivo quello di contribuire al miglioramento delle condizioni di istruzione nel nord del Pakistan.
La mostra Eye2Eye si configura così come un potente trittico visivo dedicato al ritratto, che supera le barriere culturali ed estetiche per indagare l’essenza dello sguardo umano e empatizzare con i soggetti ritratti: Francolini, infatti, insiste sul contatto visivo diretto, creando immagini autentiche e genuine, frutto di un dialogo emotivo e di una capacità tecnica e una sensibilità di sguardo mai banale o retorica. M.M.
ENG Each shot is a hymn to discovery, an invitation to look others in the eye and, through them, reflect on ourselves. Milan-born photographer Andrea Francolini, now based in Sydney, presents Eye2Eye at Le Stanze della Fotografia on San Giorgio Maggiore Island (Oct 11-Nov 23), a powerful and quietly intense portrait exhibition. “Francolini takes us on a boundless journey,” says curator Denis Curti, “where photography becomes a sensory breath celebrating human landscapes.” Featuring over 80 images from the past decade, the show unfolds in three sections: Eyedentify (Sydney’s transgender community), Truck Art (Pakistan’s decorated trucks), and My First School (portraits of children from Francolini’s educational nonprofit). The result is a visual triptych that transcends cultural barriers, emphasizing direct eye contact and emotional dialogue.
Andrea Francolini. Eye2Eye
11 ottobre-23 novembre Le Stanze della Fotografia, Isola di San Giorgio Maggiore lestanzedellafotografia.it
arte
IN THE CITY CONFRONTI
Dal grido al silenzio Luc Tuymans ed Edvard Munch a confronto
Nella Basilica di San Giorgio Maggiore Luc Tuymans ha collocato due grandi tele pensate per sostituire temporaneamente i teleri di Tintoretto in restauro. A Mestre, una mostra al Centro Candiani riporta l’attenzione su Edvard Munch, padre dell’Espressionismo nordico. Due artisti lontani nel tempo e nello stile, ma sorprendentemente vicini nel concepire l’arte come varco verso ciò che sfugge alla mera rappresentazione: il sacro, la drammaticità dell’esistenza, l’invisibile. Per Munch l’arte è grido, confessione, esposizione di una ferita. Nei suoi dipinti, dalle linee frastagliate ai colori vibranti, non c’è mai compiacimento formale: l’opera deve scuotere, rendere manifeste le inquietudini profonde del tempo. L’arte non è un ornamento ma un atto rivelatore, un gesto che traduce in immagini l’angoscia e la speranza dell’uomo moderno.
Tuymans, al contrario, costruisce immagini sospese e ambigue. Nei suoi Heat e Musicians a San Giorgio la drammaticità nasce dal non detto, dal confine instabile tra presenza e dissolvenza. L’artista belga non intende narrare, ma evocare: l’arte diventa il tentativo di rendere tangibile ciò che resta invisibile, aprendo uno spazio meditativo. Munch affronta il sacro in maniera tormentata. Nelle sue opere si respira la tensione di una spiritualità che è conflitto e rovello, segnata dalla colpa, dal peccato, dalla morte. Il divino è evocato come assenza o come promessa mancata, mai come certezza. Tuymans si muove in tutt’altra direzione. Le sue tele veneziane, pur nate per uno spazio sacro, non ripropongono simboli religiosi né
Luc Tuymans
Fino 23 novembre Basilica di San Giorgio Maggiore, Isola di San Giorgio Maggiore www.abbaziasangiorgio.it
aspirano a didascalie teologiche. Piuttosto insinuano l’idea che la spiritualità si nasconda nei dettagli della quotidianità, che il divino possa manifestarsi persino nell’assenza di senso. Non un conflitto ma un’epifania discreta: una luce che entra nella trama dell’ordinario. La cifra di Munch è l’urlo: deformazioni violente, colori acidi, linee taglienti che catapultano lo spettatore dentro il trauma. È un linguaggio espressivo diretto, teatrale, che trasforma l’opera in un palcoscenico dell’anima.
Tuymans sceglie la strada opposta. Il suo dramma è silenzioso, costruito su velature cromatiche smorzate, su immagini incerte, su atmosfere che evocano più che dichiarare. Dove Munch travolge, Tuymans sospende; dove il norvegese porta all’eccesso, il belga sprofonda nell’ambiguità.
Munch e Tuymans sembrano così incarnare due poli della stessa indagine: come rappresentare l’invisibile? Il primo lo affronta con la forza dell’impatto, trasformando l’arte in un atto di rivelazione brutale. Il secondo vi si accosta con pudore, lasciando che lo spettatore abiti il vuoto e interroghi il mistero.
Entrambi, però, convergono nel restituire all’arte un valore che supera l’estetica: un terreno di esperienza radicale, in cui l’uomo si misura con il sacro, con la perdita, con il senso stesso della propria esistenza. Munch è il profeta che denuncia la ferita del moderno; Tuymans, il testimone che cerca di trattenere un’eco, un bagliore, una traccia. Irene Machetti
Munch. La rivoluzione espressionista
30 ottobre-1 marzo 2026 Centro Culturale Candiani (III piano), Mestre muvemestre.visitmuve.it
Luc Tuymans, Basilica di San Giorgio Maggiore, installation view, Photo Joan Porcel Studio – Matteo Barolo
Edvard Munch, Two Old Men (particolare), 1910 Collezione Prins Eugens Waldemarsudde, Stoccolma - Courtesy MUVE
Vetromania
La nuova vita di un materiale eterno
L’ultima edizione di The Venice Glass Week ha sancito definitivamente e finalmente la “Vetro mania”, una nuova stagione in cui il vetro d’arte, il pezzo unico ideato da artisti e realizzato dai maestri di Murano, è in piena ascesa. La cosa incredibile è che artefice di questo “rinascimento” non è un singolo soggetto, ma una volontà comune, un gruppo numeroso e vario di artisti, curatori, critici, collezionisti, direttori di musei, antiquari e naturalmente fornaci e maestri, che insieme hanno creduto in un progetto comune come The Venice Glass Week, una settimana e mezza di mostre, presentazioni, dimostrazioni, incontri sul tema del vetro che dal 13 al 22 settembre ha coinvolto Venezia e Murano con oltre cento eventi. Certo il terreno fertile da anni l’hanno creato Le Stanze del Vetro, per iniziativa congiunta di Fondazione Cini e Pentagram Stiftung, autentico spin-off che ha rimesso in moto gli ingranaggi del sistema espositivo e di rivalutazione del vetro d’arte del XX e XXI non solo muranese. L’onda dall’Isola di San Giorgio ha certamente investito Venezia e Murano, in particolare il Museo del Vetro che ha intrapreso un significativo programma di mostre a partire dalla collezione storica permanente per giungere agli esiti contemporanei.
Finita la Venice Glass Week a Venezia sono rimaste l’energia di questo nuovo corso e alcune imperdibili mostre a dimostrazione che l’attenzione per il vetro d’arte è divenuto una costante. Da non perdere sicuramente 1932-1942 Il vetro di Murano e la Biennale di Venezia, a cura di Marino Barovier, a Le Stanze del Vetro fino al 23 novembre, che racconta la presenza del vetro muranese alla prestigiosa esposizione veneziana. Alle Gallerie dell’Accademia, fino al 24 novembre, Tristano di Robilant. InAcademia, a cura di Cristina Beltrami, vede l’artista varcare la soglia del museo per collocare in una sorta di inciampo visivo dodici sue sculture in vetro. Il Museo del Vetro, sempre fino al 24 novembre, ospita Storie di fabbriche. Storie
di famiglie. Fratelli Toso, una delle fornaci più rinomate nel panorama artistico della Murano dell’Otto e Novecento. Un’ampia retrospettiva attraverso le opere in vetro e il materiale d’archivio integralmente conservati dalla famiglia, con particolare attenzione a una delle punte di diamante della sua produzione: la murrina.
Fino al 30 ottobre, una piccola ma deliziosa mostra, vincitrice del Premio Fondazione di Venezia per The Venice Glass Week 2025, è ospitata alla Galleria Giorgio Mastinu: Ronan Bouroullec, Inchiostri. I nuovi vasi del designer francese, realizzati a Murano in collaborazione con Simone Cenedese, sono grandi blocchi con un’inedita palette da cotissi muranesi, a cui si accostano elementi che esplorano i colori del soffiato.
Inaugura il 30 ottobre, fino al 30 novembre, la mostra ArcheoMateria di Michela Cattai, a cura di Francesca Giubilei, con l’intervento di Rosa Barovier Mentasti, ospitata al Museo Archeologico Nazionale di Venezia. Un incontro straordinario tra la ricerca contemporanea dell’artista e la prestigiosa collezione permanente del Museo, che trasforma le sale espositive in un vero e proprio laboratorio poetico, dove materia, forma, luce e memoria si intrecciano.
Infine, una vera chicca, il nuovo spazio espositivo della Vetreria NasonMoretti, due stanze al primo piano della fornace ancora in piena operatività, che fungono da sorprendente camera delle idee e delle linee sviluppate nel tempo, con uno specifico indirizzo: l’arte della tavola, e con un piglio di profonda modernità, capace di tenere fede alla tradizionale tecnica del passato, reinterpretandola secondo formule contemporanee. Forte di una palette ricchissima e di una costante apertura al nuovo, la Nason & Moretti, che nasce nel 1923, è divenuta un punto di riferimento del design fin dagli anni Cinquanta, quando nel 1955 le coppe Lidia si aggiudicano il Compasso d’Oro.
Michela Cattai, ArcheoMateria, Museo Archeologico Nazionale di Venezia – Photo Enrico Fiorese
arte
IN THE CITY FINISSAGE
Codice aperto Fondazione Querini Stampalia e John Baldessari, un invito a cambiare prospettiva
«L’opera non è un oggetto chiuso e statico, ma una macchina produttiva che richiede la collaborazione dello spettatore per dare senso alla sua struttura e ai suoi contenuti», ha affermato Umberto Eco nel suo Trattato di semiotica generale (2016). Questo pensiero appare perfetto come approccio alla mostra No Stone Unturned – Conceptual Photography dedicata al lavoro di John Baldessari, in corso fino al 23 novembre alla Fondazione Querini Stampalia, primo atto di una piccola rivoluzione che la nuova direzione di Cristiana Collu sta imprimendo a una delle istituzioni più importanti e radicate di Venezia. La Querini Stampalia infatti è il faro fermo del sapere antico declinato alla contemporaneità, all’interno di essa la storia indelebile di Venezia viene vissuta come continuo giacimento di idee e linguaggi della modernità, segnando in modo evidente una linea di tempo e di cultura continua.
John Baldessari (1931–2020), una delle figure più influenti dell’arte concettuale, Leone d’Oro alla carriera alla 53. Biennale Arte di Venezia (2009), ha trascorso più di settant’anni a ridefinire la nostra idea di ciò che l’arte può essere. Traendo ispirazione dalla vita quotidiana e dalla cultura visiva, ha realizzato dipinti, sculture, disegni, video e fotografie che esplorano la tensione tra immagine e linguaggio, oggetto e significato – spesso con uno spirito disarmante. Il codice con cui il messaggio dell’artista viene trasmesso è emblematico e necessario, vitale ed esemplare, assumendo una risonanza espressiva e intenzionale e tracciando una coreografia temporale. La mostra è incentrata su un momento cruciale del percorso creativo dell’artista, alla fine degli anni Sessanta, quando la fotografia divenne il fulcro della sua pratica concettuale. La sua opera riflette costantemente sulla grammatica dello spazio: uno spazio da decostruire, ricomporre, interrogare. Qui ogni opera parla un linguaggio al tempo stesso rigoroso e ludico, rivelando un’intelligenza spaziale che pulsa nel ritmo delle immagini e nell’interazione tra corpi, oggetti e superfici. I soggetti delle fotografie sono sempre semplici oggetti che Baldessari trovava intorno a sé a Los Angeles, spesso nel suo studio, a casa o mentre insegnava. È come ne trasformava il significato la chiave fondamentale della sua arte e del suo dare significato alla realtà. L’artista ha descritto Blasted Allegories, una delle serie in mostra realizzata alla fine degli anni Settanta composta da fotografie scattate a uno schermo televisivo a cui vengono sovrapposte parole, come «pezzetti di significato che fluttuano nell’aria e la cui effimera sintassi genera nuove idee». In tutta No Stone Unturned, il desiderio di John Baldessari di offrirci generosamente e apertamente delle nuove idee, soprattutto per mezzo della fotografia, emerge con forza e coerenza. M.M.
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“The artwork is not a closed, static object, but a productive machine that requires the viewer’s collaboration to give meaning to its structure and content,” wrote Umberto Eco in his A Theory of Semiotics (2016). This idea perfectly frames the exhibition No Stone Unturned – Conceptual Photography, dedicated to John Baldessari’s work, on view at Fondazione Querini Stampalia until November 23. It marks the beginning of a new chapter under Cristiana Collu’s direction, reaffirming the foundation’s role as a beacon of ancient knowledge reimagined through contemporary lenses. Baldessari (1931–2020), a leading figure in conceptual art and Golden Lion recipient at the 53rd Venice Art Biennale (2009), spent over seventy years redefining what art could be. Drawing from everyday life and visual culture, his art explores the tension between image and language. The exhibition focuses on the late 1960s, when photography became central to his practice. Through playful yet rigorous compositions, Baldessari transforms ordinary objects into carriers of meaning, inviting viewers into a dynamic dialogue with space, time, and perception.
John Baldessari. No Stone Unturned – Conceptual Photography Fino 23 novembre Fondazione Querini Stampalia www.querinistampalia.org
Un intreccio affascinante tra storia, mare, viaggio, memoria, arte e contemporaneità: nuove finestre temporali si aprono al MUNAV –Museo Storico Navale di Venezia con Chiave Terrestre, personale dell’artista Giulia Piscitelli (Napoli, 1965), curata da Stefano Chiodi e organizzata da D’Uva. La scelta di invitare un’artista come Giulia Piscitelli in un luogo simbolico così denso di storia, è legata alla sua attitudine al dialogo: le sue opere scandagliano il senso della navigazione come esperienza spirituale, del pericolo come soglia e del ritorno come promessa di salvezza, senza alterare né sovrastare l’esistente, bensì amplificandone la potenza narrativa. Nella monumentale architettura del Museo a cinque piani, tra modelli navali, sezioni dedicate alla marineria, mirabilia e antichi ex-voto, l’artista inserisce 45 opere, interventi puntuali e discreti che non alterano la struttura museale ma stravolgono e arricchiscono la prospettiva, invitando il visitatore a guardare il museo con occhi nuovi. Il titolo Chiave Terrestre è un’espressione napoletana che indicava tradizionalmente il rubinetto generale dell’acqua di un palazzo e Piscitelli trasforma l’antico modo di dire in metafora del nostro rapporto con il Pianeta: acqua e terra come poli inseparabili, da cui dipendono migrazioni, nutrimento, conflitti, salvezza. La mostra diventa così una chiave per rileggere la lunga storia del rapporto tra la civiltà umana e il mare. ENG At Venice’s Naval History Museum, Chiave Terrestre, Giulia Piscitelli’s solo exhibition curated by Stefano Chiodi, weaves together memory, navigation, and contemporary art. Known for her ability to enter into dialogue with places, the Neapolitan artist presents 45 works that discreetly interact with the museum’s vast collections – ship models, maritime relics, votive offerings – reshaping perspectives without altering the architecture. The title, a Neapolitan expression for the main water valve of a building, becomes a metaphor for our fragile balance between land and sea, on which migration, sustenance, conflict, and salvation depend. Piscitelli’s interventions invite viewers to read anew the deep bond between human history and the sea.
Generazione A(rte)
Un tema complesso quello incarnato da Telemaco di Omero, ancora stringente nella modernità. Noi siamo nell’epoca del tramonto irreversibile del padre, ma siamo anche nell’epoca di Telemaco: le nuove generazioni guardano il mare aspettando che qualcosa del padre ritorni, tuttavia questa attesa non è mai paralisi melanconica, bensì lento e inesorabile – come farà Telemaco – movimento singolare di riconquista del proprio avvenire e della propria eredità.
A Palazzo Bonvicini, Fondation Valmont ha messo in scena in maniera esemplare il mito di Telemaco e di Ulisse: i curatori Francesca Giubilei, Luca Berta, Valentina Secco hanno chiamato al confronto visivo e materiale due coppie di artisti, naturalmente padre e figlio, Jakub Flejšar e Pavel Roucˇka, Maxence Guillon e Didier Guillon, ottenendone un dialogo profondamente personale e intergenerazionale di forte impatto. The Quest for Self (La ricerca di sé stessi), sottotitolo della mostra, è la chiave di lettura delle opere site-specific che ogni artista ha creato occupando fisicamente la propria stanza assegnata, metaforicamente intrecciata e comunicante per rappresentare il profondo legame familiare. Questa fusione ha sollevato una domanda sorprendente: il figlio potrà mai liberarsi veramente o è destinato a portare per sempre l’eredità di suo padre? La risposta è nelle opere, potenti e capaci di esprimere un senso fondamentale di risoluzione e di potenziale, segnando la strada per un futuro tutto da costruire e riscrivere.
Nel momento in cui le grandi mostre della stagione Biennale 2025 volgono al termine, grandi temi e grandi quesiti rimangono, mostrando come la funzione dell’arte e, in modo più stringente, delle mostre sia assolutamente fondamentale per continuare a stimolare il dibattito sulla contemporaneità. M.M.
ENG The figure of Homer’s Telemachus embodies a complex theme still relevant today. We live in an age of the father’s decline, though we also live in Telemachus’ time: new generations watch out to sea, hoping something of the father returns, not in melancholy, but in a slow, determined reclaiming of future and legacy.
At Palazzo Bonvicini, Fondation Valmont stages this myth through The Quest for Self, a powerful intergenerational dialogue between father-son artist pairs: Jakub Flejšar and Pavel Roucˇka, Maxence and Didier Guillon. Each artist occupies a room, metaphorically linked to express familial bonds. The works raise a key question: can the son ever truly break free, or is he destined to carry his father’s legacy? The art offers potent, hopeful answers.
Giulia Piscitelli. Chiave terrestre Fino 23 novembre MUNAV – Museo Storico Navale di Venezia, Riva S. Biasio, Castello 2148 www.munav.it
Telemachus. The Quest for Self Fino 22 novembre Fondation Valmont, Palazzo Bonvicini, Santa Croce 2161/A fondationvalmont.com
Chiave Terrestre, installation view - Photo Andrea Pattaro Vision
Quando chiude Ocean Space, il 2 novembre, inizia l’inverno. Lo spazio infatti è una gigante isola esotica che ogni anno porta a Venezia artisti di latitudini lontanissime che raccontano storie di mari e popolazioni, immaginari non comuni che fungono da filtri attraverso i quali comprendere e indagare le questioni più urgenti che l’Oceano deve affrontare oggi, dall’innalzamento al riscaldamento globale, dall’inquinamento agli stili di vita e alle politiche, per cercare soluzioni creative nella speranza di creare nuove visioni trasformative e partecipative per il futuro. Ocean Space è infatti uno spazio comune, una piattaforma per l’immaginazione e l’azione oceanica, istituita e guidata da TBA21–Academy. Affrettatevi quindi a visitare o ri-visitare l’ex Chiesa di San Lorenzo per immergervi nella mostra otras montañas, las que andan sueltas bajo el agua [altre montagne, dissolte sotto l’acqua], a cura della dominicana Yina Jiménez Suriel, percorso in due atti con opere commissionate a Nadia Huggins, artista autodidatta nata a Trinidad e Tobago e cresciuta a St. Vincent e Grenadine, dove attualmente risiede, e Tessa Mars, artista haitiana. Il lavoro di Nadia Huggins fonde pratiche documentarie e concettuali, che esplorano l’ecologia, l’appartenenza, l’identità e la memoria attraverso un approccio contemporaneo incentrato sulla riproposizione dei paesaggi caraibici e del mare. Lavorando principalmente con la pittura e il papier mâché, Tessa Mars esplora temi come il genere, il paesaggio, la migrazione e la spiritualità in relazione alla storia haitiana, distaccandosi dalle narrazioni coloniali per riconnettersi a una prospettiva haitiana del mondo e abbracciare altre forme di appartenenza collettiva. Diletta Rostellato ENG When Ocean Space closes on November 2, winter begins. This unique venue, hosted in the former Church of San Lorenzo and led by TBA21–Academy, brings artists from distant latitudes to Venice to share oceanic stories and perspectives. Through imaginative lenses, they explore urgent issues like rising seas, climate change, pollution, and policy. The exhibition otras montañas, las que andan sueltas bajo el agua, curated by Dominican Yina Jiménez Suriel, features art by Nadia Huggins and Tessa Mars. Huggins blends documentary and conceptual practices to explore ecology and identity in Caribbean seascapes. Mars uses painting and papier-mâché to reflect on gender, migration, and Haitian spirituality, reclaiming narratives beyond colonial history.
Otras montañas, las que andan sueltas bajo el agua [altre montagne, dissolte sotto l’acqua] Fino 2 novembre Ocean Space, Chiesa di San Lorenzo, Castello 5069 www.ocean-space.org
FONDAZIONE NICOLETTA FIORUCCI
Nicoletta Fiorucci Foundation ha deciso di stabilirsi a Venezia ed aprire il suo spazio espositivo permanente, riportando in vita l’ex studio del pittore Ettore Tito a Dorsoduro. La sua prima mostra curata da Hans Ulrich Obrist vede come protagonista l’artista georgiana Tolia Astakhishvili (Tbilisi, 1974; vive e lavora a Berlino e Tbilisi), che ha creato una grande installazione site-specific, visitabile fino al 23 novembre. La sua opera totalizzante e immersiva si insinua in ogni angolo dell’edificio ancora in restauro, abitandone le crepe, i silenzi e gli smottamenti. Il titolo, to love and devour, riassume alla perfezione i sentimenti che la mostra suscita.
ENG The Nicoletta Fiorucci Foundation, now based in Venice, has opened a permanent exhibition space in the former studio of painter Ettore Tito in Dorsoduro. Georgian artist Tolia Astakhishvili (b. 1974) presents a site-specific installation, on view until November 23. Her immersive work inhabits the building’s cracks and silences, transforming its ongoing restoration into a poetic occupation. Titled to love and devour, curated by Hans Ulrich Obrist, the piece evokes deep emotional resonance.
Tolia Astakhishvili. to love and devour Fino 23 novembre Fondazione Nicoletta Fiorucci, Dorsoduro 2829 nf.foundation
ESPACE LOUIS VUITTON
Clément Cogitore, artista e cineasta francese tra i più penetranti della scena contemporanea, è un autore capace di esplorare in profondità il potere manipolatorio delle immagini. Il suo The Evil Eye, video-installazione ospitata all’Espace Louis Vuitton nell’ambito del programma Hors-les-murs della Fondation Louis Vuitton, offre una riflessione disturbante sull’identità, la società dei consumi e l’estetica del controllo. Il video di Cogitore, cupo e allucinato, monta materiali d’archivio, pubblicità, sorrisi fasulli e ambienti asettici in un racconto visivo straniante. La voce narrante accompagna con tono grave catastrofi imminenti sullo scorrere di immagini familiari ma svuotate, come se provenissero da un mondo parallelo dove l’umanità è ridotta a simulacro. Il risultato è una critica tagliente alla società dello spettacolo e alla falsa promessa di felicità che la pervade.
ENG The Evil Eye is a video installation by French artist and filmmaker Clément Cogitore, known for his sharp critique of image manipulation. Hosted at Espace Louis Vuitton Venice as part of the Hors-les-murs program, the exhibition explores identity, consumerism, and control. The Evil Eye critiques the spectacle society and questions who truly watches whom, urging viewers to reclaim critical awareness in a world saturated with images.
Clément Cogitore. The Evil Eye
Fino 23 novembre Espace Louis Vuitton Venezia, San Marco 1353
Tessa Mars, a call to the ocean, 2025, Ocean Space – Courtesy
TBA21–Academy – Photo Jacopo Salvi
arte
IN THE CITY FINISSAGE
I corridoi del tempo
Un viaggio tra famiglie, arte e memoria a Palazzo Vendramin Grimani
A Palazzo Vendramin Grimani, le sale del primo piano nobile e del piano terra si aprono come pagine di un libro che attraversa tre secoli di storia veneziana. La mostra Di storie e di arte. Tre secoli di vita a Palazzo Vendramin Grimani, curata da Massimo Favilla e Ruggero Rugolo con l’allestimento di Daniela Ferretti, ripercorre il filo sottile che lega vita privata, potere e cultura nell’aristocrazia veneziana, svelando i gusti, le passioni e le abitudini dei suoi abitanti. Affacciato sul Canal Grande e ricostruito agli inizi del XVI secolo, ora sede della Fondazione dell’Albero d’Oro, il palazzo ha accolto le illustri famiglie Vendramin, Grimani Giustinian e Marcello, ognuna delle quali ha lasciato tracce visibili della propria identità e delle proprie collezioni. La mostra permette di contemplare dipinti inediti, come i pastelli di Rosalba Carriera e il ritratto di Elisabetta Corner Grimani Giustinian di Angelica Kauffmann, insieme ad arredi, porcellane, argenti, vetri, tessuti e abiti originali, che raccontano la mondanità e il rigore della vita domestica tra Sette e Novecento. Il percorso si apre nella Sala dell’Albero d’Oro, dove stemmi e genealogie introducono il visitatore al Portego, cuore dei ricevimenti, che rivela il lusso dei grandi banchetti e oggetti d’uso quotidiano di straordinaria eleganza. L’Anticamera restituisce la dimensione più intima della socialità veneziana, tra giochi, letture e musica privata, mentre la Sala del Doge celebra Pietro Grimani (1677–1752), doge e letterato di respiro internazionale, con documenti che testimoniano incarichi diplomatici e interesse per le scienze.
La Sala dell’Aurora richiede di rallentare e soffermarsi sulla vita privata, tra arte e arredi, e la Sala dei Ventagli svela l’infanzia e l’educazione dei piccoli Grimani, immersi tra costumi storici e fotografie. La Sala
dei Quadri ricorda l’antica quadreria familiare e la dispersione delle collezioni tra il 1959 e il 1970, mentre la Sala delle Quattro Famiglie celebra l’amore per la musica, il teatro e le arti performative con spartiti, strumenti e manifesti d’epoca. Al piano terra, la sezione Amarcord raccoglie fotografie, filmati e ricordi che restituiscono l’intimità e il ritmo della vita quotidiana di un palazzo affacciato sul Gran Canale. Favilla e Rugolo, esperti di arte veneziana del Sei e Settecento, e Ferretti, architetta e progettista di allestimenti museali di fama internazionale, hanno curato una mostra che non è solo un’esposizione, ma un invito a percorrere i corridoi del tempo, a sostare davanti a ogni dettaglio e a immaginare le voci, i passi e le musiche che hanno animato questi ambienti per secoli. La mostra chiuderà il 23 novembre: un’occasione preziosa per lasciarsi attraversare dalla memoria e riscoprire la Venezia che fu tra le pieghe della sua storia più intima. C.S.
ENG At Palazzo Vendramin Grimani, the rooms unfold like pages of a book spanning three centuries of Venetian history. The exhibition Of Stories and Art. Three Centuries of Life at Palazzo Vendramin Grimani, curated by Massimo Favilla and Ruggero Rugolo with installation by Daniela Ferretti, explores the delicate thread connecting private life, power, and culture in the Venetian aristocracy. Overlooking the Grand Canal, the palace houses rare paintings, furnishings, textiles, and personal objects that reveal the tastes and rituals of its former residents. Each room evokes a different aspect of daily life, from grand banquets to intimate music gatherings, childhood education, and diplomatic legacy. The exhibition culminates in Amarcord, a collection of photos and films capturing the rhythm of everyday life. More than a display, it’s an invitation to walk through time and rediscover Venice’s most intimate history. On view until November 23.
L’Orto dell’Angelo
17 ottobre October-30 novembre November Situata accanto alla basilica palladiana del Redentore e all’Orto-Giardino, recentemente restaurato, Galleria 200 C Giudecca nasce con l’obiettivo di offrire un luogo dinamico e inclusivo, dove arte, ricerca e sperimentazione possano dialogare con il pubblico e con le realtà culturali e artistiche locali. Ed è proprio dalla ricerca artistica di Olga Strada, autrice, curatrice e organizzatrice di eventi culturali di primissimo livello, che nasce la scelta di aprire questo nuovo spazio in città. La mostra inaugurale è una personale dell’artista siciliana che vive e lavora a Parigi, Valentina Mir. L’Orto dell’Angelo, undici nuove opere realizzate con la tecnica dei papiers collés, è un omaggio alla poetica di Emily Dickinson, in particolare alla poesia La speranza è una creatura alata, e al concetto di “Hortus conclusus”, nella sua accezione di “entropia felice”, per usare le parole di Michel Foucault. Per l’artista, il soggetto dell’esposizione non è tanto l’angelo, ma i luoghi che lo stesso ci rivela, un «invito a visitare i labirinti interiori dell’anima». Attraverso un lavoro di decomposizione e ricomposizione, avvalendosi di forbici che ritagliano immagini da riviste, libri, giornali, Valentina Mir dà vita ad un processo che lei stessa chiama di “miramorfosi” – finestre che offrono un invito a guardarsi dentro –, nel quale storie e fatti apparentemente noti vengono ricalibrati, ripensati, ricreati fino ad organizzare un cosmo altro.
ENG Next to the Redentore Basilica and the recently restored Orto-Giardino, Galleria 200 C Giudecca opens as a dynamic and inclusive space for artistic research and experimentation, conceived by Olga Strada. Its inaugural exhibition, L’Orto dell’Angelo by Valentina Mir, a Sicilian artist based in Paris, features eleven papiers collés inspired by Emily Dickinson’s poem Hope is the thing with feathers and by the concept of “Hortus conclusus” as “happy entropy.” Not angels but the places they reveal are at the center – an invitation to explore the soul’s inner labyrinths. Through cutouts from books and magazines, Mir creates her “miramorphosis,” reassembling familiar images into a new cosmos.
Fondamenta San Giacomo, Giudecca 200/C
IKONA
GALLERY WILLIAM KLEIN encore | still | ancóra
Fino Until 30 novembre November
A quarantasei anni esatti dall’apertura della galleria, fondata il 28 luglio 1979 a Venezia dalla coraggiosa e visionaria artista e gallerista Živa Kraus, Ikona Gallery celebra lo storico compleanno con la preziosa personale William Klein – encore | still | ancóra Fotografo, pittore, regista e artista grafico, William Klein (1926–2022) è stato uno degli artisti più controversi e influenti del XX secolo. Artista multidisciplinare, ha rivoluzionato campi come la fotografia di moda e quella di strada. I suoi lavori dedicati alle grandi capitali del mondo (New York 1956, Roma 1959, Mosca 1964, Tokyo 1964, Parigi 2002) lo hanno reso uno dei fotografi più illustri della sua generazione. A partire dalla metà degli anni Sessanta si è dedicato al cinema, realizzando circa venti film tra documentari, lungometraggi e opere di finzione. Già presentato da Ikona Photo Gallery a Venezia nel 1981, Klein ritorna ora con una selezione di sedici stampe originali in bianco e nero, provenienti dallo Studio Klein di Parigi. Le immagini scelte, dedicate ai temi delle città (New York, Mosca, Tokyo, Roma) e della moda, raccontano una fotografia che ancóra – e sempre – afferma e condensa in sé l’avanguardia, la complessità e il contraddittorio. Il titolo encore | still | ancóra infatti esprime la continuità e il cambiamento: tornare alla fotografia, che Ikona Gallery ha sempre messo in luce in questi quarantasei anni di presenza, significa affermare attraverso l’immagine il significato di un avverbio che tanto parla di Klein quanto di Ikona. Significa proseguire nell’azione del presentare per chiedersi ancóra quale senso abbia fare, esporre e guardare la fotografia oggi. Con questo sguardo, Ikona Gallery e William Klein scelgono di esserci.
ENG Forty-six years since it opened, Ikona Gallery celebrates with a precious new personal exhibition: William Klein – encore | still | ancóra. Photographer, painter, filmmaker, and graphic artist William Klein (1926-2022) has been one of the most influential and controversial artists of the twentieth century. A multidisciplinary artist, he revolutionized fashion photography, street photography, and more. The exhibition in Venice will show sixteen original black and white prints from the Klein Studio in Paris. The pictures, dedicated to cities and to fashion, prove how photography can affirm and condense avant-garde, complexity, and contradiction.
Ikona Gallery Campo del Ghetto Nuovo, Cannaregio 2909 www.ikonavenezia.com
FONDAZIONE QUERINI STAMPALIA
DAVIDE RIVALTA
Leoni in campo
Fino Until 23 novembre November Davide Rivalta torna su uno degli animali più cari del suo bestiario per rivelare, ancora una volta, il leone e la leonessa nella loro doppia essenza: maestosi e silenziosi, emblemi di libertà, potenza e controllo. Con Leoni in campo, l’artista intreccia mito e realtà, inserendo queste creature imponenti in uno spazio urbano messo in sospensione. La loro immobilità non è passività, ma una forma di resistenza. Con il suo linguaggio scultoreo, Davide Rivalta ci invita a confrontarci non solo con la loro dimensione mitologica e simbolica, ma anche con quella naturale, facendo dei leoni i testimoni, ma anche i protagonisti di un dialogo che coinvolge il cuore della città e la sua storia.
ENG Davide Rivalta’s large-scale sculptures have been installed in the public areas facing Palazzo Querini Stampalia: monumental bronze lions that inhabit urban spaces, engaging in dialogue with the city. The artist returns to one of the most iconic animals in his bestiary to reveal, once again, its composite essence: majestic and silent, and a symbol of freedom, power, and control. Its standing still does not mean passivity but a form of resistance. With Lions on the Field, Rivalta blends together myth and reality, exploring the relationship between urban space and the wild, not yet completely tamed and anthropized, and the complex relationship between different living beings.
Campo Santa Maria Formosa, Castello 5252 www.querinistampalia.org
MARIGNANA ARTE
GRETA FERRETTI, OLGA LEPRI, SARA PACUCCI
Préludes o della forma in-attesa
4 ottobre October-20 dicembre December
In musica i Preludes sono brevi brani suonati in maniera estemporanea. Nell’opera lirica in molti casi è suonato a sipario chiuso, prima dell’esecuzione del pezzo vero e proprio. Il termine viene dal latino praeludere ( prae - “pre-” e lude˘re “esercitarsi, giocare”) e in senso esteso significa “annunciare, dare indizio di ciò che avverrà in seguito”. Il “giocare” (con le parole, i suoni o i colori) è dunque il momento che precede e che in qualche modo origina l’opera che ne scaturirà, come se nel preludio ogni possibilità fosse ancora aperta, indefinita, sospesa e in un certo senso in-attesa. Tre giovani artiste, Sara Pacucci, Greta Ferretti e Olga Lepri indagano, ognuna dalla propria e originale prospettiva, questo “spazio dell’in-attesa” in cui sogno e realtà, visione e occultamento, memoria e presenza sfumano e si fondono per far spazio all’avvento dell’imprevisto.
ENG In music, Preludes are short pieces performed in an extemporaneous manner. In opera, they are often played with the curtain closed, before the performance of the main work. The term derives from the Latin praeludere ( prae - “before” and lude˘re “to practise, to play”) and, in a broader sense, means “to announce, to give a sign of what is to come.” The act of “playing” (with words, sounds, or colours) is therefore the moment that precedes and, in some way, generates the work that will emerge from it – as if in the prelude every possibility were still open, undefined, suspended, and, in a certain sense, awaiting. The paintings by Sara Pacucci, Greta Ferretti, and Olga Lepri investigate – each from her own original perspective – this “space of waiting” where dream and reality, vision and concealment, memory and presence blur and merge to make room for the arrival of the unforeseen. Rio Terà dei Catecumeni, Dorsoduro 141 www.marignanaarte.it
Predizione Perdizione
Fino Until 22 novembre November Ricordi e frantumi, anonimi e senza tempo, ispirano le opere dell’artista portoghese João Vilhena (1973). Giocando con le parole, le immagini e la tecnica, Vilhena esplora la memoria storica e le inquietudini contemporanee, in un dialogo fra passato e presente. L’artista invita a guardare oltre l’apparenza, a scoprire strati nascosti e a riflettere sulla condizione umana: tra rovine e pulsioni vitali, è il ritorno dei tempi più bui della storia. Dotato di eccellente tecnica e di arguzia di spirito, João Vilhena crea degli universi visivi in cui lo sguardo dello spettatore è centrale nel conferire significato all’opera stessa: i suoi disegni di grande formato, realizzati con polvere di pierre noire su cartoncino grigio, si costituiscono come spazi percettivi in cui l’interpretazione è soggetta a sfumature, errori e rinvii. Attraverso la fusione di elementi reali e immaginari le sue opere invitano a mettere in discussione la comprensione del mondo visibile.
ENG Memories and fragments, anonymous and timeless, inspire the works by Portuguese artist João Vilhena. Playing with words, images and techniques, Vilhena explores historical memory and contemporary concerns in a dialogue between past and present, in which the hybris of the human being is revealed as reiterating. Through newly created works, the artist invites us to look beyond the surface, to discover hidden layers and to reflect on the human condition: among ruins and life impulses, a story that repeats itself. Calle dei Guardiani, Dorsoduro 2403/H albertapane.com
GALLERIA ALBERTA PANE
JOÃO VILHENA
arte
NOT ONLY VENICE
Il respiro dell’immagine
«Una mostra che trasforma gli spazi espositivi in scenari estetici di meraviglia e riflessione, offrendo uno sguardo inedito e provocatorio sulla scienza intesa come atto creativo», ha affermato Fiorenzo Marco Galli, Direttore Generale del Museo Nazionale Scienza e Tecnologia Leonardo da Vinci di Milano, nel presentare l’installazione site-specific dell’artista Patrick Mimran (Parigi, 1956) dal titolo emblematico Queens & Ducks, che fino al 6 gennaio 2026 trasforma i chiostri seicenteschi e l’imponente padiglione dei treni in un percorso inedito e visionario che intreccia arte, scienza e tecnologia. Due serie fotografiche inedite, presentate in anteprima assoluta, instaurano un dialogo inaspettato con l’architettura e con le collezioni, invitando il pubblico a vivere un’esperienza sensoriale e contemplativa. Il progetto prende avvio da due soggetti apparentemente lontanissimi: un piccolo anatroccolo di plastica e tre ritratti della regina Elisabetta I, fotografati al Metropolitan Museum di New York. Mimran ne ha ricavato sequenze di variazioni grafiche multiple – 12 per le Ducks e 11 per ciascun ritratto della regina –, sfruttando le potenzialità delle più moderne tecnologie digitali. Nelle Queens, le figure storiche vengono modernizzate e proiettate nel XXI secolo, liberandole dalla loro aura di intangibilità e rendendole sorprendentemente contemporanee. Nelle Ducks, invece, il piccolo animale di plastica si trasfigura in una moltitudine di identità diverse: a volte buffe, altre inquietanti o malinconiche, sempre però capaci di evocare emozioni umane e di rimandare a uno specchio interiore. Il filo conduttore del progetto è la trasformazione: il soggetto perde la propria funzione primaria per rinascere sotto nuove forme, attraversando tempo e linguaggi. L’immagine diventa così un dispositivo di riflessione, un pretesto per interrogarsi sulla percezione e sul modo in cui l’arte possa reinventare il reale.
La rapida evoluzione degli strumenti informatici e la loro accessibilità hanno permesso a Patrick Mimran di allargare la sua pratica a pittura, musica, video, scultura, che sotto forma di installazioni utilizza contemporaneamente, offrendo allo spettatore “ambienti” in cui forme plurali di espressione si rafforzano in un’unione multisensoriale.
Patrick Mimran. Queens & Ducks
Fino 6 gennaio 2026
Museo Nazionale Scienza e Tecnologia Leonardo da Vinci, Milano www.museoscienza.org
Natura monumentale
Nel cuore della Valpolicella l’imponente Fruttaio di Monteleone21, nuovo centro polifunzionale di Masi, produttore leader di Amarone, è una costruzione dalle dimensioni straordinarie con i suoi 12 metri d’altezza, 30 di profondità e una pianta di 300 metri quadri. Emblematica magnificazione della tecnica dell’appassimento delle uve, destinato infatti a ospitare colonne di graticci colmi d’uva, è stato concepito anche per accogliere il “fermento creativo” di prestigiosi artisti in un ambiente per sua natura evocativo. Tradizione, arte contemporanea e intelligenza artificiale trasformano la cultura vitivinicola in esperienza estetica ed emozionale nell’intervento sitespecific e immersivo creato dal Maestro della videoarte Fabrizio Plessi. In L’Anima dell’Amarone il vino diventa luce, immagine e movimento, e trasforma lo spazio in una “Cattedrale”. Plessi ci conduce per mano in questo nuovo viaggio, fedele al suo mondo: «Le mie installazioni sono monumentali, dentro però c’è la leggerezza della tecnologia». In quest’opera il Maestro va oltre l’utilizzo che ha fatto in passato della tecnologia, approdando all’intelligenza artificiale, utilizzata per la realizzazione delle cascate di vino che scendono dall’alto in quattro grandi archi, quasi come un dono divino, e poi proseguono in un flusso tumultuoso negli schermi all’interno di quattro grandi barche, che rappresentano un altro tema ricorrente nella sua produzione artistica: la barca simbolo di Venezia, del viaggio, del commercio, ma è anche metafora della vita. I video dell’installazione, realizzati grazie al contributo di Rocco Plessi, fondatore e direttore di Plessi Digital, rappresentano dunque un ulteriore livello di innovazione nel percorso dell’artista. Anche l’elemento sonoro aggiunge straordinarietà ed emozione all’esperienza, grazie al contributo del compositore Michael Nyman. Agli elementi digitali fanno da contrappunto quattro arele di bambù, che nell’installazione accolgono le uve in appassimento e, come radici, ancorano le barche alla tradizione e al processo naturale della nascita dell’Amarone, che prende vita negli schermi e diventa, appunto, anima. «Amo il movimento e la monumentalità e in questa opera l’acqua e il vino dialogano come elementi essenziali, ricordando sempre che l’uva è la nostra origine». M.M.
Fabrizio Plessi. L’Anima dell’Amarone
Masi Agricola s.p.a., Gargagnago di Sant’Ambrogio di Valpolicella, Verona www.monteleone21.it | www.masi.it
Editore di luce Firenze rimette al centro Beato Angelico
Firenze rimette in discussione il proprio canone con una mostra speciale, a cura di Carl Brandon Strehlke, con Angelo Tartuferi e Stefano Casciu. La retrospettiva Beato Angelico, da poco inaugurata e visitabile fino al 25 gennaio 2026, non è un omaggio, è un test che ci interroga: cosa chiediamo oggi a chi pensa la luce come struttura del mondo? Due sedi. Palazzo Strozzi e Museo di San Marco per un’unica domanda. La città come didascalia: dal cortile alle celle dei frati. Il percorso evita l’agiografia. Scompone e ricompone. Mostra un artista capace di congedarsi dal tardogotico senza rinnegarlo. L’Angelico osserva Lorenzo Monaco, incrocia Masaccio, parla con Filippo Lippi. Poi scarta: rallenta il dramma, incide l’aria, mette la teologia nella prospettiva. Non dipinge solo figure, organizza relazioni. La luce tiene il peso, le architetture contengono l’umano. Si guarda da vicino: predelle, miniature, sculture dialogano in scala minore, i dettagli fanno sistema.
La critica recente insiste sul suo “candore”. Qui appare più radicale. Rende visibile il pensiero, non la retorica del sacro. Il colore non seduce: chiarisce. I fondi oro non sono nostalgia ma tecnologia: superfici che modulano lo spazio e orientano lo sguardo. Nelle Annunciazioni il vuoto non è assenza, è il luogo dell’incontro. Nelle Crocifissioni il dolore è misurato, non attenuato: sta nella logica, non nell’effetto.
Beato Angelico Fino 25 gennaio 2026 Palazzo Strozzi e Museo di San Marco, Firenze www.palazzostrozzi.org
Conta anche la scelta delle sedi. A Palazzo Strozzi, l’Angelico entra nel presente, tra flussi di pubblico, IG stories e tempi ritmati. Al Museo di San Marco torna alla sua velocità rinascimentale, quella che chiede silenzio più che devozione. Non tutto si risolve: ricomposizioni restano ipotesi, attribuzioni aprono varchi. È la forza di una mostra che sceglie di argomentare più che celebrare. Si esce con un’impressione chiara: Angelico non è un padre innocuo. È un editore di luce. Traduce il Vangelo in grammatica visiva e la prospettiva in etica dello sguardo. Firenze lo rimette al centro non per nostalgia ma per urgenza: vedere è pratica, non riflesso. Davanti a un’Annunciazione la domanda è nostra: quanto spazio lasciamo, oggi, all’apparizione del reale?
Federico Jonathan Cusin
ENG Florence reconsiders its artistic canon with a special exhibition: Beato Angelico, on view until January 25, 2026. Not a tribute, but a challenge: what do we ask today of someone who sees light as the structure of the world? Two venues, Palazzo Strozzi and Museo di San Marco, and one question. The show avoids obsequiousness, instead, it dismantles and rebuilds. Early Renaissance painter Beato Angelico moves beyond late Gothic without rejecting it, engaging with Monaco, Masaccio, and Lippi. His light carries weight; architecture frames humanity. Gold backgrounds become spatial tools. In Annunciations, emptiness is encounter; in Crucifixions, pain is logic.
Beato Angelico, Pala di Santa Trinita (Deposizione dalla croce), Museo di San Marco, Firenze
s torie
F. Griselini, Palestinae Tabula Geographica, 1744, Venezia, Museo Correr
A PROPOSITO DI PALESTINA
Nel raffinato ambiente illuministico di Venezia della metà del Settecento viene concepito e nutrito l’impegnativo progetto editoriale del Thesaurus Antiquitatum Sacrarum […] hebraeorum […], opera di Biagio Ugolini iniziata nel 1743 e portata a termine in trentaquattro volumi nel 1769. Una pubblicazione che si riprometteva di raccogliere tutto il sapere conosciuto sulla religione, i costumi, le leggi, i riti sacri e civili degli antichi ebrei e di descrivere i luoghi storici della Palestina e gli itinerari dei viaggiatori e dei pellegrini che l’avevano percorsa attraverso le fonti testamentarie e le documentazioni storiche dell’ebraismo, commentate dai migliori studiosi ed esegeti del tempo.
Il dichiarato obiettivo dell’autore era cercare le reciproche influenze e i punti di contatto tra la religione ebraica e quella cristiana e, a questo scopo, venivano riportati i testi degli autori antichi e collezionate oltre quattrocento dissertazioni e commenti degli studiosi più autorevoli tra gli ebraisti europei del suo tempo, che implementarono il Thesaurus fino a una consistenza complessiva di trentaquattro tomi in folio. Una summa monumentale per fornire gli elementi per la giusta comprensione, senza pregiudizi, delle reciproche influenze e punti di contatto tra la religione ebraica e quella cristiana. Un autentico seme di pace destinato alle menti illuminate del Settecento veneziano, ma che stenterà ad attecchire su un pubblico più vasto fino dopo la conclusione del Secondo conflitto mondiale nel Novecento e che, ai giorni nostri, sembra rischiare, sotto folate antisemitiche, di indebolirsi irrimediabilmente. A illustrare l’imponente pubblicazione, edita inizialmente a Venezia da Giovanni Gabriel Hertz, venne chiamato Francesco Griselini, allora giovane e valente cartografo, che disegnò la monumentale mappa della Palestinae Tabula Geographica, di recente riemersa dal patrimonio del Museo Correr di Venezia. L’opera, di notevo-
li dimensioni (mm. 1295x2100) e disegnata a china e inchiostro rosso, si compone entro una ricca ed elegante cornice grafica di una carta manoscritta dei luoghi della Terra Santa, da Gaza fino ai confini della Siria, e di sei mappe più piccole di una riconoscibile entità geografica della medesima area, le stesse che si trovano a stampa nel Thesaurus, ma qui disposte ai lati corredate da cartigli e con figurazioni che illustrano i diversi passaggi storici che nel tempo hanno interessato la Palestina. Alto esempio di cartografia, l’opera conferma la perizia di Francesco Griselini, allora agli inizi della sua attività che lo portò in seguito ad essere considerato per le molte pubblicazioni prodotte in diverse discipline uno dei protagonisti più prolifici ed eclettici della stagione illuministica veneziana. Il Thesaurus aveva ottenuto nel settembre del 1743 il privilegio di stampa dai Riformatori dello Studio di Padova, dei quali faceva parte anche Marco Foscarini. Per le illustrazioni a corredo dell’ambizioso progetto editoriale fu probabilmente proprio Foscarini a proporre Griselini che, fin dal primo volume, firma le incisioni a tema religioso e le rappresentazioni geografiche inframmezzate nella pubblicazione. È presumibile che in questa stessa occasione a Griselini sia stato
di Camillo Tonini
chiesto di comporre la Palestinae Tabula Geographica da esporre pubblicamente, quasi immagine di sintesi, densa di informazioni e figurazioni con i contenuti storici e geografici del Thesaurus, al fine di promuovere tra i possibili acquirenti la diffusione della pubblicazione, messa in vendita – come usava al tempo – con il sistema di sottoscrizioni preventive.
Per la comprensione della mappa sono segnati i rilievi montani e i corsi d’acqua, con una ricca trascrizione dei toponimi in lingua greca, latina, ebraica e aramaica con i riferimenti alle fonti antiche e con notazioni storiche e geografiche dei singoli luoghi e delle tribù che le abitavano. Griselini disegna inoltre, ad inquadrare il titolo della mappa in alto a sinistra, un’elaborata illustrazione che allude al complesso rapporto tra religione cristiana ed ebraica: la figura femminile con la fiamma della fede/conoscenza in fronte e con l’occhio raggiato sul petto, regge nella mano destra lo specchio con la scritta “Hinc Jubar Α Ω”, interpretabile come l’allegoria della sapienza divina. Questa, in trono, poggia sui simboli dei quattro evangelisti a rappresentare il Nuovo Testamento, uno dei quali, l’angelo di Matteo, con una mano scopre il capo della donna a svelare la verità e con l’altra regge l’estremità di un cartiglio con la scritta “Ex pulvere colligit aureum” (Dalla polvere si raccoglie l’oro).
Il gruppo allegorico è sostenuto dalle figure di Mosè e Aronne, che rappresentano le origini religiose, storiche e culturali del Vecchio Testamento, radice comune della religione ebraica e cristiana e che inquadrano un cartiglio riccamente decorato dove si leggono nel titolo i nomi degli autori antichi che l’hanno ispirata: Giuseppe [Flavio], Eusebio [di Cesarea], [San] Gerolamo ed Epifanio [di Salamina], così pure il nome di chi ne ha concepito il progetto culturale, Biagio Ugolini, e di chi ne ha realizzato la rappresentazione grafica, Francesco Griselini.
Lo spirito di apertura intellettuale, così chiaramente dichiarato nel titolo, si ritrova anche nella rappresentazione in basso a destra, non priva di una certa ironia, dove appare un gruppo di sacerdoti e sapienti di varie etnie, a giudicare dagli abiti indossati, che disputano animatamente tra loro attorno ad una carta geografica della Judea. Tra questi, a destra, è possibile identificare Maimonide con il rotolo della Bibbia tra le mani e in terra vicino ai piedi il Talmud Al centro, di spalle, vestito da romano e appoggiato ad una tavola dove sono riportate le diverse scale metriche, è raffigurato Giuseppe Flavio mentre con la sinistra regge lo stilo e con la destra indica i luoghi da lui descritti nelle sue due opere Antichità giudaiche e Guerra Giudaica
Ai bordi della mappa Griselini disegna sei altre mappe della medesima area geografica, alcune di quelle che si ritrovano riprodotte a stampa nel Thesaurus, inserite tra le pagine degli scritti di autorevoli autori di materie bibliche raccolti da Ugolini su argomenti storicogeografici. Queste immagini illustrano alcune tappe dell’evoluzione storica dell’antica Palestina e riportano i percorsi tradizionali all’interno di quell’area, come quelli di Gesù Cristo, dei viaggiatori in epoca romana e quelli dei pellegrini in Terra Santa in età medievale. Il legame tra i testi scritti del Thesaurus di Ugolini e la mappa della Palestinae Tabula Geographica di Griselini appare ancora più evidente nelle profonde ragioni che hanno spinto i due autori, entrambi di cultura cristiana, ma con competenze e capacità diverse, a intraprendere questa complessa e complementare collaborazione nella totale disponibilità alla comprensione e alla diffusione dell’antica cultura ebraica. Obiettivo questo condiviso e perfettamente allineato
alle idee illuministiche di conoscenza e tolleranza che circolavano a Venezia nella seconda metà del Settecento negli ambienti intellettuali frequentati da personaggi come Francesco Foscari, fine studioso ed erudito nella cui casa Ugolini prestava servizio come precettore, che sostenne in tutti i modi la pubblicazione del Thesaurus Gli stessi ambienti culturali erano anche frequentati dal già citato Marco Foscarini il quale, quando era ancora senatore e poco prima di diventare doge, nel 1760 affiderà ancora a Griselini il restauro e, in parte, il completo rifacimento delle sei mappe nella Sala dello Scudo a Palazzo Ducale. (cfr. Venews, 284-285, feb./mar. 2024).
Nel tempo il Thesaurus Antiquitatum Sacrarum e la Palestinae Tabula Geographica, concepiti all’interno di unico progetto, ebbero diversa fortuna e storia. I trentaquattro tomi del Thesaurus di Ugolini trovarono diffusione specialmente nelle biblioteche dei sapienti ordini religiosi da sempre legati all’esegesi biblica, come ad esempio i Camaldolesi, che anche nel loro monastero di San Michele in Isola a Venezia conservavano una copia della voluminosa pubblicazione. L’imponente carta manoscritta della Palestina, invece, intelata e fissata su bastoni per essere esposta a parete, come provano i segni lasciati dai chiodi lungo il bordo superiore e inferiore, dopo essere stata utilizzata per propagandare la pubblicazione del Thesaurus, passò poi a decorare l’abitazione di una qualche famiglia legata alla tradizione e alla cultura ebraiche.
Della stessa, a distanza di più di cento anni dalla sua creazione, si trova una prima segnalazione con la sommaria descrizione del disegno e la trascrizione dei testi dei cartigli in un appunto manoscritto di Giovanni Casoni conservato nel suo archivio personale assieme ad altre carte da lui raccolte per redigere la biografia di Griselini, al quale era legato da lontana parentela. Dall’archivio Casoni la mappa passò a quello di Antonio Emmanuele Cicogna e quindi, per legato, al Museo Civico Veneziano, dove l’opera, ora in deposito, meriterebbe più occasioni per essere esposta all’attenzione degli studiosi, del pubblico e dei politici, se ne volessero tener conto.
PER SAPERNE DI PIÙ
G.B. DE TONI, Francesco Griselini viaggiatore e naturalista veneziano del secolo XVIII, in «Archivio di storia della Scienza», I, (1919)
A. MICHIELI, I lavori geografici di Francesco Griselini, in «Rivista di Venezia», febbraio 1934
G. TORCELLAN, Profilo di Francesco Griselini, in Illuministi Italiani, VII, Riformatori delle antiche Repubbliche, dei Ducati, dello Stato Pontificio e delle isole, a cura di G. Giarrizzo, G. Torcellan, F. Venturi, Milano-NapoliRoma, R. Ricciardi, 1965
P. BERNARDINI, Note per la ricostruzione della biografia e dell’attività letteraria e storiografica di Biagio Ugolini (1702-1775), in «Studi veneziani», n.s., XXX (1995)
P. PRETO, ad vocem Griselini Francesco, in Dizionario Biografico degli Italiani, LIX, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 2002 Venezia, gli ebrei e l’Europa. 1516-2016, catalogo della mostra, a cura di D. Calabi, Venezia, Marsilio Editori, 2016
C. TONINI, La monumentale Palestinae Tabula Geographica di Francesco Griselini al Museo Correr di Venezia, in “Geostorie”, anno XXV – nn. 2-3, 2017
DETTARE STILE
Un viaggio sonoro che mette in relazione mondi lontani e tradizioni differenti, creando nuove connessioni tra identità culturali, sensibilità
e patrimoni artistici
Il concerto di Jan Garbarek Group feat. Trilok Gurtu, in programma il 4 ottobre al Teatro Goldoni di Venezia, inaugura la nuova rassegna Incroci in musica, progetto realizzato da Università Ca’ Foscari Venezia, Fondazione di Venezia e Fondazione Università Ca’ Foscari con la collaborazione di Veneto Jazz. Una rassegna che nasce come naturale prosecuzione e completamento di Incroci di civiltà, con l’intento di ampliare il dialogo tra le culture attraverso il linguaggio universale della musica. Incroci in musica vuole essere un viaggio sonoro che mette in relazione mondi lontani e tradizioni differenti, creando nuove connessioni tra identità culturali, sensibilità e patrimoni artistici. Ad un altro livello, non vuole essere un semplice cartellone di concerti, ma un percorso che unisce tra loro le sale più prestigiose della città – Teatro Goldoni, Teatro La Fenice, Auditorium Santa Margherita ed M9 – in un percorso musicale che va dall’India al Mediterraneo, dal deserto dei Gobi sino all’Africa per arrivare all’Italia e al Nord Europa, dando spazio anche a nuovi linguaggi contemporanei, segnati dalla presenza dell’elettronica.
Il viaggio musicale inizia con Jan Garbarek, sassofonista norvegese tra le voci più riconoscibili del jazz europeo. Il suo suono, definito negli anni “innodico, lirico, etereo, scandinavo”, ha influenzato generazioni di musicisti e aperto la strada a un modo di intendere il jazz profondamente legato alla spiritualità, alla meditazione, alla ricerca di un linguaggio senza confini. Da oltre cinquant’anni Garbarek continua a esplorare territori musicali sempre nuovi senza mai accontentarsi, fedele al principio che la musica sia innanzitutto esperienza, incontro, vibrazione collettiva.
Con lui, sul palco veneziano, ci sarà una formazione di straordinario livello: Rainer Brüninghaus al pianoforte e tastiere, storico compagno di avventure musicali; Yuri Daniel al basso, capace di tessere trame sonore di grande intensità; e soprattutto Trilok Gurtu, percussionista indiano tra i pionieri della world music, ospite speciale di questa anteprima italiana. L’incontro tra Garbarek e Gurtu promette una fusione di atmosfere nordiche e suggestioni etniche, un dialogo tra Oriente e Occidente che si tradurrà in pura energia musicale.
La presenza di Garbarek a Venezia assume un significato particolare all’interno di Incroci in musica. Il suo percorso biografico e musicale è infatti emblema di ciò che la rassegna intende promuovere: l’apertura all’altro, la capacità di fondere culture diverse, la volontà di trasformare ogni influenza in un linguaggio personale, libero da etichette.
Nato a Oslo nel 1947 da madre norvegese e padre polacco, Garbarek ha saputo trarre ispirazione da fonti diversissime: da John Coltrane alle canzoni popolari scandinave, dalla musica indiana di Ravi Shankar all’elettronica contemporanea, fino alle collaborazioni con artisti africani ed europei. Una carriera costellata di incontri che hanno reso la sua musica un ibrido fecondo, lontano da qualsiasi ortodossia, in cui il respiro del jazz si intreccia con tradizioni e sonorità globali. Il suono del sassofono di Garbarek si farà quindi voce di mondi diversi e la potenza ritmica di Gurtu trasporterà il pubblico in un viaggio senza tempo.
Con questo evento si apre un percorso che da ottobre a febbraio 2026 accompagna la città con sette appuntamenti dedicati alle musiche del mondo. È la testimonianza di come Venezia possa ancora essere luogo di incontro e laboratorio di culture, crocevia di linguaggi artistici che, provenendo da radici lontane, trovano qui uno spazio di risonanza comune.
Scegliere Jan Garbarek per inaugurare questa nuova avventura significa affidare a un maestro del jazz europeo il compito di aprire la strada: un artista che da sempre ha saputo abbattere confini e costruire ponti sonori. Ed è proprio di questo che oggi abbiamo bisogno: di musica che ci ricordi come ogni incrocio sia sempre un nuovo inizio.
Aconcert by the Jan Garbarek Group featuring Trilok Gurtu, scheduled for October 4 at Teatro Goldoni in Venice, marks the opening of Incroci in musica, a new music series created by Ca’ Foscari University of Venice, Fondazione di Venezia, and Fondazione Università Ca’ Foscari, in collaboration with Veneto Jazz. This initiative is a natural extension of Incroci di civiltà, aiming to broaden intercultural dialogue through the universal language of music. Incroci in musica is a journey connecting distant worlds and diverse traditions, forging new links between cultural identities, artistic heritage, and contemporary sensibilities. More than a concert series, it’s a musical itinerary that unites Venice’s most prestigious venues: Teatro Goldoni, Teatro La Fenice, Auditorium Santa Margherita, and M9. It will be a journey through landscapes from India to the Mediterranean, the Gobi Desert to Africa, and from Italy to Northern Europe that embraces modern sounds shaped by electronic music.
The journey begins with Jan Garbarek, the Norwegian saxophonist whose unmistakable voice has shaped European jazz. His sound, often described as hymnlike, lyrical, ethereal, and Scandinavian, has influenced generations and introduced a spiritual, meditative, and borderless approach to jazz. For over fifty years, Garbarek has explored new musical territories, guided by the belief that music is, above all, a shared experience and a collective vibration. Joining him on stage is an exceptional ensemble: Rainer Brüninghaus on piano and keyboards, a longtime collaborator; Yuri Daniel on bass, known for his rich sonic textures; and special guest Trilok Gurtu, the Indian percussionist and world music pioneer. Their meeting promises a fusion of Nordic atmospheres and ethnic rhythms in a vibrant dialogue between East and West.
Garbarek’s life and career embody the programme’s mission: openness to others, blending cultures, and transforming influences into a personal, label-free language. Born in Oslo in 1947 to a Norwegian mother and Polish father, Jan Garbarek has drawn inspiration from a wide range of sources, from John Coltrane to Scandinavian folk songs, Indian music by Ravi Shankar, contemporary electronics, and collaborations with African and European artists. His music is a fertile hybrid, far from orthodoxy, where jazz breathes alongside global traditions. Garbarek’s saxophone will give voice to diverse worlds, while Gurtu’s rhythmic power will transport the audience on a timeless journey.
Garbarek Group feat. Trilok Gurtu
musica
VENEZIA JAZZ FESTIVAL FALL EDITION
Non ordinario
Dopo averlo quasi tenuto a battesimo nel 2010, Raphael Gualazzi torna sul palcoscenico di Veneto Jazz con il suo bagaglio di swing, jazz, canzone d’autore, opera e colonne sonore: uno stile unico e personale, capace di fondere tradizioni di diverse culture musicali.
Classe 1981, dopo gli studi classici al Conservatorio ha sempre sperimentato diversi generi musicali, dando vita ad uno stile personalissimo, tra stride piano, jazz, blues e fusion.
Il 10 ottobre al Goldoni il suo concerto è appuntamento di apertura del Venezia Jazz Festival – Fall Edition con una formazione che vede Anders Ulrich al contrabbasso e Gianluca Nanni alla batteria, regalando un raffinato omaggio alla musica acustica spaziando da ispirazioni del repertorio afroamericano a divertissements su celebri temi della canzone italiana e tradizione operistica, così come una selezione delle composizioni dell’artista che raccontano il suo percorso musicale. Non possono mancare, poi, rivisitazioni di alcuni temi scritti da grandi compositori italiani per il cinema.
«Mi ha sempre affascinato – spiega Gualazzi – la frase di Carmelo Bene che parlava della necessità di gettarsi nella contraddizione. Siamo già catalogati alla nascita: nome, cognome, aspettative. Per ritrovare autenticità bisogna sporcarsi le mani, metterle nel fango. In generale la forma canzone la vedo come una possibilità di dare concretezza ad un nostro elemento naturale, la parola. Poi a scombinare felicemente i piani arriva la magia dell’improvvisazione e tutto il fascino che questo mondo, come ad esempio il repertorio afroamericano, ci ha sempre insegnato».
ENG After nearly debuting with Veneto Jazz in 2010, Raphael Gualazzi returns to the stage with his rich blend of swing, jazz, songwriting, opera, and film scores, a unique style that fuses diverse musical traditions. Born in 1981 and classically trained at the Conservatory, Gualazzi has always explored multiple genres, crafting a personal sound rooted in stride piano, jazz, blues, and fusion. On October 10 at Teatro Goldoni, he will open the Venezia Jazz Festival – Fall Edition with Anders Ulrich on double bass and Gianluca Nanni on drums. The acoustic set spans Afro-American inspirations, playful takes on Italian songs and opera, and selections from his own repertoire.
Raphael Gualazzi 10 ottobre Teatro Goldoni www.venetojazz.com
Doppia coppia
Michael e Florian Albrenz, pilastri del jazz svizzero, hanno costruito negli anni un linguaggio musicale raffinato e complice. Pianista il primo e percussionista il secondo, figli di una cultura sonora aperta e permeabile, si sono distinti per la capacità di fondere stili eterogenei in una sintesi unica.
L’11 ottobre alla Fenice portano sul palco una nuova collaborazione internazionale, unendosi ai sensazionali fratelli cubani Vistel (sax e tromba) e al contrabbassista svizzero-australiano Rafael Jerjen per dare vita al progetto Convergence.
Florian Arbenz ha incontrato per la prima volta i fratelli Vistel quasi 25 anni fa, durante un periodo di studio all’Avana. A riunirli, recentemente, è stato il celebre sassofonista Greg Osby, che ha collaborato con tutti loro.
«Siamo sempre stati dei fanatici del jazz, – spiega Florian – i nostri genitori avevano una piccola collezione che spaziava tra Louis Armstrong, Ella Fitzgerald e Django Reinhardt, il più moderno dei quali era probabilmente Bill Evans. L’abbiamo sempre amato fin da piccoli. Ci piaceva molto. Probabilmente abbiamo fatto musica in quello stile, anche se non ne avevamo alcuna conoscenza di base. Credo che la nostra musica abbia dei parametri che possono interessare anche persone con un background classico, pezzi con una certa aspirazione a essere ragionevolmente ben costruiti, ragionevolmente virtuosi, con certe abilità, con una certa musicalità. La nostra musica, anche se ha un suono diverso, è ancora strettamente legata all’estetica della musica classica. Vengono sempre, e lo amano sempre».
I musicisti di Convergence riescono a creare un suono d’insieme vibrante e coerente, mantenendo
Photo Giorgio Leone
al tempo stesso spontaneità e personalità artistiche ben definite. Ogni componente si dedica completamente alla musica originale del progetto, dando vita a un’identità sonora unica.
Nonostante i temi complessi e le strutture articolate che caratterizzano questo lavoro, la musica mantiene un’anima giocosa, a tratti festosa, capace di coinvolgere e sorprendere.
Questo è lo spirito travolgente di Convergence : una musica del XXI secolo che unisce conoscenza, virtuosismo, groove e divertimento, pur restando profondamente radicata nelle origini musicali di ciascun interprete.
ENG Master Swiss jazz players Michael and Florian Arbenz have developed a refined and deeply connected musical language over the years. Pianist Michael and drummer Florian are sons of an open and eclectic sonic culture, known for blending diverse styles into a singular voice. On October 11 at the Fenice Thetare, they will present Convergence, a new international collaboration with the sensational Cuban brothers Vistel (sax and trumpet) and Swiss-Australian bassist Rafael Jerjen. Florian first met the Vistels nearly 25 years ago in Havana, and they’ve recently reunited thanks to saxophonist Greg Osby, who has worked with all of them. “We’ve always been jazz fanatics” Florian explains. “Our parents had a small collection: Armstrong, Fitzgerald, Reinhardt, and Bill Evans. We played in that style without formal training. Our music, though different in sound, is rooted in classical aesthetics”. Convergence creates a vibrant, cohesive sound while preserving spontaneity and individual artistry. Despite its complex themes and structures, the music remains playful and engaging, a 21st-century jazz that blends virtuosity, groove, and joy, grounded in each musician’s heritage.
Just for one day
Enrico Pieranunzi è portacolori assoluto del jazz italiano nel mondo. Considerato uno dei più grandi interpreti del pianoforte, della musica jazz e non solo, oltre che compositore di brani divenuti standard suonati in tutto il mondo, è stato al fianco di alcuni miti leggendari come Chet Baker, Charlie Haden, Art Farmer, Irio De Paula, Lee Konitz, Paul Motian e Jim Hall, solo per citarne alcuni. Ha collaborato per anni alla realizzazione di molte colonne sonore di Ennio Morricone, oltre a vantare partecipazioni radiofoniche e televisive memorabili. Il 18 ottobre arriva alla Fenice ospite di Veneto Jazz per presentare il progetto Heroes, nato dalla realizzazione di un fortunato disco, edito da Abeat Records nel 2024, che ha ottenuto straordinari consensi di pubblico e critica in numerosi Paesi europei e asiatici. Il repertorio è caratterizzato da composizioni originali di grande impatto lirico e melodico. La classe, la profondità armonica e la maestria inarrivabile di Pieranunzi si sposano magistralmente con la suadenza, l’eleganza e l’espressività del suono di Aldo Di Caterino, magico interprete del flauto e astro nascente nel panorama italiano. Seppur giovanissimo, vanta già una serie di premi, riconoscimenti, attestati e collaborazioni di grande prestigio. Il supporto ritmico e compositivo è completato dalla presenza di Carlo Bavetta al contrabbasso e Cesare Mangiocavallo alla batteria. Un esempio di quanto la nuova generazione italiana sia fluida, potente, naturalmente moderna ma anche perfettamente consapevole e conoscitrice della tradizione del jazz e delle sue radici. La classe e la maestria di Enrico Pieranunzi, la suadenza, l’eleganza, l’armoniosità del suono del flauto, il repertorio composto da superbe composizioni originali ci regalano un disco lirico, curato in ogni minimo dettaglio, un’esperienza d’ascolto intrigante.
Otto tracce che giocano sul filo di un equilibrista in bilico perenne tra realtà e immaginazione per un album mutevole e cangiante, un sospiro oltre il buio, un flusso costante di luce a ricoprire di energia colorata un’improvvisazione di bellezza e sostanza.
ENG Enrico Pieranunzi is a leading figure of Italian jazz. Renowned as one of the greatest jazz pianists and composers, he has played alongside legends like Chet Baker, Charlie Haden, and Jim Hall, and collaborated with Ennio Morricone. On October 18, he will perform at Fenice Thetare for Veneto Jazz, presenting Heroes, a project born from his acclaimed 2024 album released by Abeat Records. The repertoire features original compositions rich in lyricism and melody. Pieranunzi’s unmatched artistry blends with the elegance of flutist Aldo Di Caterino, a rising star in Italian jazz. Joined by Carlo Bavetta on double bass and Cesare Mangiocavallo at the drums, the quartet showcases a new generation fluent in tradition and innovation. The album’s eight tracks balance reality and imagination, offering a luminous, ever-shifting musical journey.
Teatro La Fenice www.venetojazz.com
Enrico Pieranunzi & Aldo Di Caterino Ensemble
musica
VENEZIA JAZZ FESTIVAL FALL EDITION
26 ottobre h. 18 | Teatrino di Palazzo Grassi WHEN
I WAS A BODY
Il sound artist Luca Formentini e il regista Mario Piavoli si propongono di offrire un punto di ingresso per invitare al contatto con il proprio profondo. Lo fanno attraverso l’utilizzo dell’immagine e del suono senza che vi sia intenzione decorativa o narrativa, sfruttandone le qualità che consentono una connessione emotiva. La collaborazione tra i due autori si sviluppa da oltre dieci anni, attraverso incontri artistici che scorrono lungo flussi a due direzioni.
ENG Sound artist Luca Formentini and filmmaker Mario Piavoli offer a gateway to connect with one’s inner self. Using image and sound without decorative or narrative intent, they tap into their emotional power. Their collaboration spans over a decade of artistic exchanges.
30 ottobre h. 19 | Sale Apollinee, Teatro La Fenice
PAOLO BIRRO E STEFANO OLIVATO
Nel 1989 Paolo Birro e Stefano Olivato insegnavano rispettivamente pianoforte e basso elettrico jazz alla scuola Dizzy Gillespie di Bassano del Grappa, fondata dallo stesso Dizzy insieme a Lilian Terry. A distanza di trentasei anni i due musicisti hanno pubblicato l’album live Armonica Standards in quartetto e oggi propongono un concerto che, ispirandosi alle sonorità dello storico duo, esplora le straordinarie potenzialità espressive dell’incontro tra pianoforte e armonica.
ENG In 1989, Paolo Birro and Stefano Olivato taught jazz piano and electric bass at the Dizzy Gillespie School in Italy, founded by Gillespie and Lilian Terry. Thirty-six years later, they present a concert inspired by their historic duo, exploring piano and harmonica’s expressive potential.
1 novembre h. 19 | La Casa di The Human Safety Net
SPIRITUAL
Le musiche di Gianluigi Trovesi e Umberto Petrin, accompagnate dalle immagini di Pino Ninfa, conducono lo spettatore in un viaggio unico alla scoperta della profondità e della ricchezza del dialogo tra le diverse tradizioni spirituali del mondo. La curiosità dei musicisti li ha naturalmente portati a incontrare le fotografie di Ninfa, autore di intensi reportage sulle manifestazioni del Sacro in ogni angolo del pianeta. Insieme hanno dato vita a un percorso tra suono e immagine alla ricerca di gesti antichi e cosmologie vive.
ENG Music by Gianluigi Trovesi and Umberto Petrin, paired with Pino Ninfa’s images, takes the audience on a journey through the richness of global spiritual traditions. Their curiosity led them to Ninfa’s sacred-themed photography, creating a path of sound and image exploring ancient gestures and living cosmologies.
2 novembre h. 19 | Sale Apollinee, Teatro La Fenice TOMORROW’S JAZZ NIGHT
Doppio concerto con i finalisti del Premio Tomorrow’s Jazz, dedicato ai giovani talenti del jazz italiano. Sul palco, due formazioni che rappresentano il futuro del jazz: freschezza, originalità e talento sono i tratti distintivi di questi musicisti, che grazie al concorso ideato da Veneto Jazz hanno la possibilità di esibirsi in un teatro prestigioso, nell’ambito del festival. Un’occasione per il pubblico di scoprire la creatività più viva e sorprendente della scena jazz attuale.
ENG A double concert featuring finalists of the Tomorrow’s Jazz Award, spotlighting young Italian jazz talents. Two ensembles take the stage, showcasing freshness, originality, and skill. Thanks to Veneto Jazz, they perform in a prestigious venue, offering audiences a glimpse of jazz’s vibrant future.
7 novembre h. 21 | Auditorium Candiani, Mestre NICA’S DREAM
Incontriamo la figura della baronessa e mecenate Pannonica de Koenigswarter: attraverso musica, parole e immagini, il jazz torna a farsi racconto di libertà e visioni. Lo spettacolo racconta la vita di Pannonica nella New York del jazz durante la metà del secolo scorso grazie alla narrazione di Valerio Corzani, alla musica di Giorgio Li Calzi e con le Polaroid scattate da Pannonica animate da Andrea Daddi.
ENG We meet Baroness and patron Pannonica de Koenigswarter: through music, words, and images, jazz becomes a tale of freedom and vision. The show narrates her life in mid-century New York jazz, with Valerio Corzani’s storytelling, Giorgio Li Calzi’s music, and animated Polaroids by Andrea Daddi.
8 novembre h. 19 | Sale Apollinee, Teatro La Fenice
HAKAN
BAS ‚ AR TRIO
Hakan Bs ‚ ar, pianista nato a Istanbul nel 2004, è ancora poco conosciuto dal grande pubblico, ma chi ha avuto occasione di ascoltarlo sa di trovarsi davanti a un talento straordinario. Si è formato sui linguaggi dei grandi maestri del jazz sviluppando in breve tempo una voce musicale personale e matura. Con il suo attuale trio affronta un repertorio di classici del jazz intrecciando ritmo e melodia in una sintesi brillante e personale che guarda al futuro senza dimenticare la tradizione.
ENG Born in Istanbul in 2004, pianist Hakan Bas ‚ ar is still little known, but those who’ve heard him recognize his extraordinary talent. Trained in jazz traditions, he quickly developed a mature, personal voice. With his trio, he blends rhythm and melody in a fresh take on classic jazz repertoire.
16 novembre h. 18.30 | Auditorium Candiani, Mestre VANESSA MORENO
& SALOMÃO SOARES
Il duo formato dal pianista Salomão Soares e della cantante Vanessa Moreno propone un viaggio sensibile e profondo attraverso la canzone brasiliana, rivisitando opere che hanno plasmato i loro percorsi musicali e offrendo nuove interpretazioni di composizioni tradizionali. Esplorando un’ampia gamma di suoni, timbri e atmosfere musicali, il loro ultimo Outros Ventos si distingue dai primi due album grazie all’integrazione di tastiere e stratificazioni vocali aggiuntive.
ENG Pianist Salomão Soares and singer Vanessa Moreno offer a deep, sensitive journey through Brazilian song. Revisiting formative works and reinterpreting traditional pieces, their latest album Outros Ventos stands out for its use of keyboards and layered vocals, expanding their musical palette.
22 novembre h. 18 | Auditorium Lo Squero
FRANCESCO BEARZATTI E FEDERICO CASAGRANDE
And then Winter Came Again è il secondo lavoro della decennale collaborazione tra Bearzatti e Federico Casagrande. Dopo Lost Songs (una raccolta di composizioni di Bearzatti che i due hanno eseguito in giro per l’Europa per diversi anni) è ora il momento per Casagrande di guidare il duo in un nuovo territorio musicale seguendo il percorso tracciato dalla sua scrittura. Questa volta hanno scelto lo studio come ambiente ideale per tracciare la nuova musica.
ENG And then Winter Came Again marks the second chapter in Bearzatti and Federico Casagrande’s decade-long collaboration. After touring Europe with Lost Songs, Casagrande now leads the duo into new musical territory shaped by his writing. This time, they chose the studio to craft their sound.
musica TRIBUTE
Energia condivisa Una line-up senza precedenti suona per Tomaso Cavanna
Il 25 ottobre le Tese dell’Arsenale torneranno a vibrare con Venezia Sounds 2025, il grande music party benefico che unisce spettacolo e solidarietà. Un evento che, già lo scorso anno, aveva conquistato la città lagunare con un sold out dieci giorni prima della data, riportando nel cuore di Venezia l’energia della musica dal vivo e un messaggio forte: sostenere la ricerca oncologica attraverso le immunoterapie.
L’iniziativa, promossa dalla Fondazione Giancarlo Ligabue e dall’Associazione Medicine Rocks, nata per mantenere vivo il ricordo di Tomaso Cavanna, manager musicale scomparso nel 2019, conferma la collaborazione con la Fondazione Humanitas per la Ricerca, charity partner del progetto, e con il Comune di Venezia e Vela Spa. Dopo il successo del debutto, con 69mila euro destinati al team internazionale guidato dal professor Antonio Sica dell’Istituto Clinico Humanitas e altri 5mila euro all’Associazione Avapo Venezia, gli organizzatori hanno scelto di alzare ancora l’asticella.
Quest’anno, infatti, lo spazio si amplia, i biglietti disponibili aumentano e il cartellone si arricchisce di nomi che hanno scritto pagine importanti della scena musicale italiana: Casino Royale, Mace, Planet Funk, Pisti, Saturnino, Subsonica e The Originals (Africa Unite & The Bluebeaters). Una line-up che promette di trasformare l’Arsenale in un’arena, dove la musica diventa ponte tra emozione e responsabilità civile. La direzione artistica, ancora una volta, è affidata al “veneziano” Samuel Romano, leader dei Subsonica, garanzia di coerenza e qualità.
A condurre la serata saranno di nuovo Marco Maccarini e Federico Russo, capaci di dare ritmo e leggerezza a una maratona musicale
che si annuncia densa di collaborazioni e sorprese. Ma al centro resta l’obiettivo: sostenere la ricerca e onorare lo spirito di Cavanna, ricordato da chi lo conosceva come un uomo capace di unire le persone e trasformare le passioni in energia condivisa.
«Offrire alla ricerca un mezzo universale come la musica e un palcoscenico unico qual è Venezia sono i pilastri di Venezia Sounds» spiega Inti Ligabue, presidente della Fondazione Giancarlo Ligabue. «Lo scorso anno avevamo promesso che non sarebbe stato un evento spot, ed eccoci qui, con ancora più forza e ambizione». Sulla stessa linea Edy Campo, presidente di Medicine Rocks: «La musica fa bene due volte: emoziona e sostiene. Tomaso avrebbe amato questa visione, che ora continua con sempre più energia».
In una città che ha nel dialogo tra acqua e cielo il suo paesaggio naturale, Venezia Sounds vuole diventare un rito di condivisione: un concerto che è festa, ma anche occasione di consapevolezza. Perché il futuro della ricerca passa anche da lì, da un biglietto acquistato per ballare e cantare insieme. Alberto Marzari
ENG An unprecedented lineup performs in honour of Tomaso Cavanna. On October 25, Venezia Sounds 2025 returns to support cancer research through immunotherapy. Promoted by the Giancarlo Ligabue Foundation and Medicine Rocks, in memory of music manager Tomaso Cavanna, it partners with Humanitas Foundation for Research, the City of Venice, and Vela Spa. Following €69,000 raised for Prof. Antonio Sica’s international team and €5,000 for Avapo Venezia, this year’s edition expands with more tickets and a stellar lineup: Casino Royale, Mace, Planet Funk, Pisti, Saturnino, Subsonica, and The Originals. Artistic direction is again by Samuel Romano. Hosts Marco Maccarini and Federico Russo return to lead a night of music, emotion, and civic engagement.
STELIO FENZO Un secolo a fumetti
musica LIVE
Il monarca che è boemio Capossela al Malibran per i 25 anni di Canzoni a manovella
Ci sono dischi che diventano punti cardinali di una carriera, e momenti in cui il tempo decide di fare un giro completo, per riportarci al loro cuore. Il 9 novembre al Teatro Malibran di Venezia sarà così: Vinicio Capossela riporterà in vita Canzoni a manovella, venticinque anni dopo la sua pubblicazione, con un concerto che promette di essere più di uno spettacolo, quasi un rito.
Ascoltare Capossela dal vivo non è mai soltanto musica. È teatro, narrazione, improvvisazione, immersione in un mondo parallelo. Non sarà una semplice rievocazione, ma un vero e proprio rito celebrativo, capace di intrecciare memoria e presente. Nato ad Hannover nel 1965, cresciuto tra Emilia e Irpinia, l’artista ha fatto della contaminazione e del viaggio una cifra esistenziale. Dai club di provincia al debutto con All’una e trentacinque circa, fino alla consacrazione di Canzoni a manovella, la sua parabola è sempre stata in bilico tra chanson e letteratura, jazz e tradizione popolare. Negli anni successivi, con lavori come Modì e Camera a sud, Capossela si afferma per il suo stile originale, sospeso tra suggestioni letterarie e fascinazioni jazzistiche. Il successo di pubblico e critica esplode appunto con Canzoni a manovella, pubblicato il 6 ottobre 2000. L’album, vincitore della Targa Tenco come Miglior Album in assoluto, è un viaggio visionario che mescola marce, valzer, ballate, echi balcanici e sonorità rebetike. Un mosaico di atmosfere che ha contribuito a definire Capossela come artista “fuori dal tempo”, capace di dare vita a un universo poetico e musicale unico.
Da allora la sua traiettoria è stata costellata di progetti che hanno ampliato il suo raggio d’azione: dall’epica marina di Marinai, profeti
e balene alle suggestioni balcaniche di Ovunque proteggi, fino ai racconti intimi e notturni di Ballate per uomini e bestie e all’ultimo Tredici canzoni urgenti, che gli è valso nel 2023 il Premio Tenco. Capossela non è solo un musicista, ma anche scrittore e narratore, autore di libri e spettacoli che intrecciano parola e suono.
Il concerto veneziano vedrà l’artista accompagnato da una formazione ampliata per restituire fedelmente gli arrangiamenti originali di Tommaso Vittorini. Non ci saranno tagli né rivisitazioni: il pubblico ascolterà Canzoni a manovella nella sua sequenza originale, come se la macchina del tempo potesse riportarci al 2000.
Il Malibran, storico gioiello veneziano, amplificherà l’aspetto teatrale e onirico che da sempre accompagna la musica di Capossela. Venezia in autunno, con i suoi riflessi e i suoi silenzi, sembra il palcoscenico naturale per un concerto che unisce nostalgia e meraviglia.
A un quarto di secolo dall’uscita, Canzoni a manovella non è soltanto un disco da ricordare: è un’opera viva, che continua a parlare al presente. Alberto Marzari
ENG On November 9, Vinicio Capossela returns to Teatro Malibran in Venice to celebrate the 25th anniversary of Canzoni a manovella, the album that marked a turning point in his career. More than a concert, the event is conceived as a ritual, reviving the original tracklist and arrangements by Tommaso Vittorini without cuts or reinterpretations. Capossela, known for blending music, theater, and storytelling, will guide the audience through a poetic journey that fuses memory and present. Released in 2000 and winner of the Targa Tenco, the album is a visionary mix of marches, waltzes, Balkan echoes, and rebetiko sounds. Set in the dreamlike atmosphere of autumnal Venice, the performance reaffirms Canzoni a manovella as a timeless work – alive, resonant, and still capable of enchanting listeners a quarter-century later. Vinicio
Capossela
Echi radicali
Il 27 novembre il Teatrino di Palazzo Grassi accoglie due voci della nuova scena svizzera: Dino Brandão e Mel D Trio, protagonisti di un appuntamento della rassegna New Echo System, programma ideato e promosso dalla Fondazione svizzera per la cultura Pro Helvetia per valorizzare le esperienze più originali e radicali della musica contemporanea elvetica.
Brandão e Mel D non sono due nomi qualsiasi: entrambi hanno costruito in pochi anni un percorso riconoscibile e in continua evoluzione. Nato in Svizzera da famiglia angolana, Dino Brandão porta sul palco una musica intensa e contaminata in cui si intrecciano ritmi afro-diasporici, folk europeo e arrangiamenti sperimentali. Dopo l’esperienza con progetti collettivi come Frank Powers e Brandão Faber Hunger, ha intrapreso la carriera solista pubblicando l’EP Bouncy Castle (2024) e nuovi brani che oscillano tra energia solare e malinconia introspettiva. Il suo linguaggio, ibrido e personale, unisce leggerezza pop e profondità lirica, con un’attitudine performativa capace di sorprendere e coinvolgere. Mel D, all’anagrafe Melanie Danuser, cantautrice e producer svizzera, affianca al canto una scrittura raffinata e una ricerca sonora che mescola indie-pop, soul ed elettronica. Con il Trio propone brani che fanno parte di Young Bones (2025), suo album di debutto nato tra Zurigo e Parigi con la complicità di Brandão e del produttore Renaud Letang. La sua voce soul, intima e potente, guida atmosfere che si muovono tra delicatezza acustica e densità elettronica, restituendo un racconto musicale che guarda al vissuto personale e alle possibilità di reinventare la forma canzone.
Il loro sodalizio non è solo artistico ma anche umano: collaboratori di lunga data, Brandão e Mel D condividono un legame creativo profondo, evidente nell’intesa sul palco. Insieme danno vita a uno spettacolo che alterna calore ritmico e sospensione emotiva, mescolando linguaggi diversi in un equilibrio sempre dinamico.
Il concerto è organizzato in collaborazione con Palazzo Grassi, Fondazione di Venezia, Università Ca’ Foscari Venezia, Teatro Ca’ Foscari a Santa Marta, Fondazione Ca’ Foscari Venezia e il festival Facciamo la Corte!. Una rete virtuosa di istituzioni a favore di un progetto dedicato alla scoperta e alla diffusione della creatività musicale contemporanea. C.S.
MANI IN ALTO!
Atmosfere noir, groove serrati e richiami al cinema poliziesco: è la cifra dei Calibro 35, che domenica 26 ottobre approdano al Teatro Malibran per una tappa del loro Exploration Tour 2025. La band, da anni punto di riferimento per la capacità di fondere jazz, funk, rock e colonne sonore all’italiana, porta a Venezia il nuovo album Exploration, uscito lo scorso giugno per Record Kicks.
Nati nel 2007 dall’incontro tra Tommaso Colliva, Enrico Gabrielli, Massimo Martellotta e Fabio Rondanini, i Calibro 35 in quasi due decenni hanno costruito un linguaggio che combina scrittura cinematica e improvvisazione, precisione e libertà. Una formula che ha conquistato non solo i palchi internazionali, ma anche grandi nomi della musica: da Jay-Z a Dr. Dre, fino a Timbaland, che hanno campionato i loro brani. Alla base del nuovo progetto c’è un’immagine forte: quella di una rapina in una “banca del jazz”, da cui si esce con suoni ed energie da trasformare in qualcosa di nuovo. In scaletta, oltre a pagine di Jazzploitation – l’EP rilasciato a ottobre 2024 – ci saranno i brani del nuovo album, a partire dai singoli Reptile Strut, che richiama un’idea di rigenerazione e introspezione, e Discomania, trascinante omaggio afrobeat alla sigla del mitico programma Rai 90° Minuto L’opening act vede protagonista l’artista di fama internazionale Kety Fusco, definita la “regina dell’arpa elettrica”, a presentare in anteprima mondiale Boheme, suo secondo lavoro in studio che fonde sperimentazione elettronica e narrazione emotiva, offrendo al pubblico un assaggio della sua originalissima visione artistica. La musicista italo-svizzera reinventa il significato stesso dell’arpa, rinnovando ciò che questo strumento può rappresentare nel panorama musicale contemporaneo: un invito a esplorare un universo sonoro mai esistito prima. C.S.
Ci sono frasi che il tempo non assolve. «La donna è mobile, qual piuma al vento, muta d’accento e di pensier» è una di queste: aria irresistibile del Rigoletto di Verdi e, insieme, sigillo di un immaginario che riduce la donna a creatura ondivaga, dominata da capriccio, instabilità e frivolezza. Risuonò per la prima volta nel 1851 nella voce del Duca di Mantova, libertino impenitente, fissando uno stereotipo ancora difficile da debellare. Eppure, oggi quella frase torna in scena in veste di provocazione, pronta a cambiare significato. Accade con La donna è mobile, nuovo spettacolo di Simona Molinari presentato da Veneto Jazz, in programma il 9 ottobre al Teatro Del Monaco di Treviso. Un concerto che è anche narrazione teatrale, scritto con Simona Orlando e pensato per raccontare la figura della donna attraverso la musica e le sue infinite sfumature. Sul palco, accanto a Molinari, un ensemble interamente al femminile: Sade Mangiaracina, Francesca Remigi, Chiara Lucchini ed Elisabetta Pasquale, compagne di un viaggio che attraversa repertori e registri, dalle arie liriche a Lucio Dalla, dalle atmosfere di Milly fino alla contemporaneità di Billie Eilish. L’intenzione? Mostrare la versatilità e la forza della voce femminile, capace di attraversare generi e generazioni senza perdere autenticità.
La carriera di Molinari è, del resto, un percorso segnato da costanti attraversamenti. Napoletana di nascita, cresciuta a L’Aquila, formazione classica e anima jazz, ha esordito a Sanremo con Egocentrica e da allora ha unito collaborazioni prestigiose (Ornella Vanoni, Peter Cincotti) a una continua ricerca di linguaggi, dal pop allo swing, fino ai riconoscimenti del Premio Tenco con Petali e Hasta siempre Mercedes. La sua voce ha calcato i club internazionali e i teatri italiani, confermando una cifra artistica che rifugge le etichette e preferisce operare per addizione.
Il titolo verdiano, in questo contesto, diventa dichiarazione di principio. Dove l’Ottocento vedeva frivolezza, oggi si afferma libertà. Dove il Duca cantava per ridicolizzare, Molinari canta per restituire dignità a una mobilità che non è debolezza, ma capacità di trasformazione, invenzione, resistenza, omaggiando tutte quelle donne “scomode”, cancellate dalla narrazione ufficiale, che hanno reso possibile l’emancipazione artistica femminile. Un gesto che ribalta lo stereotipo e lo piega alla sua contraddizione più feconda: la donna è mobile. E per fortuna. Adele Spinelli
Simona Molinari
9 ottobre Teatro Del Monaco-Treviso www.venetojazz.com
Il riso è proprio dell’uomo
C’è un confine sottile tra comicità e musica colta, e spesso non viene esplorato con la dovuta attenzione. Elio lo attraversa con naturalezza. Al Teatro Goldoni di Venezia andrà in scena Quando un musicista ride, recital che mette al centro l’ironia come chiave interpretativa della storia musicale, dall’opera buffa fino alla canzone d’autore.
Accompagnato dall’ensemble dei Solisti del Conservatorio “Verdi” di Milano, Elio porterà sul palcoscenico un viaggio tra arie celebri, canzoni popolari e brani comici che hanno fatto la storia della satira musicale. L’idea dello spettacolo nasce da una riflessione: la musica, anche nelle sue forme più serie, non ha mai smesso di ridere. Dalla tradizione dell’opera buffa a maestri come Rossini, fino ad autori contemporanei, concentrandosi in particolar modo sugli anni 60’, come Gaber e Jannacci, l’umorismo ha sempre avuto un posto centrale. Brani diversissimi, uniti dal filo rosso della leggerezza, intesa non come superficialità ma come capacità di trattare temi universali con un sorriso. Elio ha sempre dato voce e corpo a questa tradizione con il suo stile unico. La sua vocalità, nota al grande pubblico per l’eclettismo, si dovrà misurare con difficoltà tecniche notevoli, passando senza sforzo dall’aria lirica alla canzone d’autore, sempre filtrata da quella vena surreale che lo contraddistingue. Gli arrangiamenti, curati con rigore e ironia allo stesso tempo, dovranno creare un equilibrio tra virtuosismo e comicità, tra gioco e competenza. Lo spettacolo non si limita a una sequenza di brani, ma costruisce una narrazione: la musica, anche nei momenti più solenni, ha sempre saputo ridere di sé stessa e del mondo. Dall’opera buffa settecentesca alla tradizione del cabaret milanese, fino alla satira contemporanea, Elio disegna una mappa che non è solo musicale ma culturale, con un’ironia che diventa lente critica sul nostro presente.
Quando un musicista ride non è solo un recital: è una dichiarazione di poetica. Elio dimostra come la comicità non sia un elemento secondario, ma parte integrante del linguaggio musicale. L’ironia diventa strumento critico, capace di smascherare convenzioni, di alleggerire temi complessi, di costruire un rapporto diretto con lo spettatore.
Il 22 novembre Elio confermerà nuovamente di essere non solo il frontman carismatico di una delle band più amate e irriverenti d’Italia, ma anche di essere un interprete raffinato, capace di unire mondi apparentemente lontani. La sua lezione è semplice e potente: ridere della musica non significa sminuirla, ma esaltarne la vitalità. Alberto Marzari
Photo Riccardo Piccirillo
musica
Canzoni per un amico
Dopo il grande successo di quest’estate, arriva la Winter Edition per il Bissuola Live – da settembre a dicembre – a far salire sul palco del teatro artisti italiani di grande spessore, capaci di incantare il pubblico con la loro energia e talento.
Il 4 ottobre è la volta di Tullio De Piscopo che farà tappa al Teatro del Parco con il suo tour 2025 dal titolo I colori della Musica, un viaggio emozionante che ripercorre la sua carriera e celebra la straordinaria ricchezza sonora che ne ha contraddistinto l’arte. Sul palco non mancheranno tributi a Pino Daniele, gli assoli storici di batteria e una strabiliante interpretazione dell’opera d’arte Libertango, frutto della collaborazione con Astor Piazzolla, con il quale nel tempo ha registrato ben dieci LP, assieme ai brani che hanno portato De Piscopo al successo popolare ( Namina, Pummarola Blues, Andamento lento ).
Leggenda della musica italiana e internazionale, Tullio De Piscopo ha tracciato un segno indelebile con il suo stile, il suo ritmo e i suoi colori e tutti i dettagli che provengono direttamente dalle sue origini. Napoli, i vicoli, il vociferare della gente, le melodie delle voci a squarciagola dei venditori ambulanti. Tutto questo ha permesso a Tullio di costruire la sua musica con un’impronta del tutto personale e indipendente evitando, sempre e con ostinazione, di cadere nella tentazione di seguire la “moda del momento”. Il 7 novembre saliranno sul palco i Musici di Guccini con Fra la Via Emilia e il West, concerto live e spettacolo teatrale con Flaco Biondini, Vince Tempera, Ellade Bandini, Antonio Marangolo e la partecipazione straordinaria di Lodo Guenzi. A quarant’anni dallo storico concerto di Piazza Maggiore a Bologna del 21 giugno 1984, i Musici di Guccini ci faranno rivivere le emozioni di uno degli album dal vivo più iconici della musica d’autore italiana, scritto da Francesco Guccini, in uno spettacolo che intreccia la musica (con la scaletta originale di quel concerto), parole e memoria, raccontando non solo quell’evento ma anche ciò che ha rappresentato per Bologna e per il mondo del cantautorato.
Bissuola Live 4 ottobre; 7 novembre Teatro del Parco-Mestre www.culturavenezia.it
Risposta di pubblico
Ritorna l’appuntamento con la world music di Candiani Groove, la rassegna di concerti organizzata al Centro Candiani dal Settore Cultura del Comune di Venezia con la direzione artistica di Veneto Jazz.
Ogni artista porta con sé una storia unica, che diventa specchio di un mondo plurale, e lo fa dal palco di un Auditorium che registra puntuali sold out e costante riscontro di spettatori.
Si parte domenica 5 ottobre con i Danûk, gruppo di origine curda che raccoglie le radici del repertorio del proprio Paese rinnovandole con sensibilità contemporanea, trasformando la memoria in esperienza viva. La loro musica nasce dall’incontro di culture diverse e ha l’obiettivo di superare i confini, unendo tradizione e contemporaneità. Reinterpretando i canti popolari curdi, il gruppo li trasforma in testimonianze vive, capaci di restituire la complessità di una storia geografica e sonora ricca e stratificata. Il gruppo combina strumenti popolari con altri occidentali, come chitarra e basso.
Il 19 ottobre è la volta di The Zawose Queens: eredi di una tradizione ancestrale della Tanzania, danno voce al patrimonio Gogo con energia nuova, aprendo prospettive inedite per le donne nella musica africana. Il loro album di debutto, Maisha, fonde la musica tradizionale Gogo con sottili elementi elettronici, creando un suono unico e rivoluzionario che al tempo stesso onora la loro eredità e apre nuovi orizzonti. I testi, cantati nella loro lingua madre Kigogo, esprimono la loro passione per la musica, le meraviglie della vita e l’orgoglio per il loro ambiente Chiudono il cartellone domenica 30 novembre i Four On Six portando la vitalità del manouche e sinti, capace di unire swing, jazz e tradizioni popolari con un linguaggio attuale e internazionale. Dalla Sicilia a Milano, attraverso inserti che vanno dallo swing al jazz melodico, dal nu jazz alle musiche popolari (e addirittura con incursioni nella musica classica), la band porta il proprio originalissimo contributo alla galassia del mondo manouche. La filosofia che guida questa stagione è semplice e ambiziosa: proporre esperienze sonore che non siano soltanto concerti, ma incontri tra mondi, occasioni di ascolto e di dialogo. Perché l’Auditorium non sia solo un palcoscenico, ma uno spazio vivo in cui le differenze si intrecciano per immaginare una nuova realtà.
Groove
19 ottobre; 7, 16, 30 novembre Auditorium Candiani-Mestre www.venetojazz.com
musica
CARMEN CONSOLI
12 novembre | Gran Teatro Geox-Padova
Carmen Consoli dopo un lungo periodo di attesa torna a calcare i palcoscenici con Teatri 2025, tour autunnale che inizierà in ottobre e attraverserà tutta la Penisola.
Il sipario si alza il 22 ottobre sul palco del Teatro Colosseo di Torino, dove la “cantantessa” darà il via a una serie di concerti in teatro volti a ristabilire un dialogo intimo fra artista e platea. Seguiranno date a Genova, Trento, Bologna, Firenze, Milano, il Geox di Padova il 12 novembre, Udine, Palermo, Catania, Napoli, Roma, Cosenza e altre città, con repliche previste in molte tappe.
Questo ritorno sui palchi è annunciato in parallelo all’imminente uscita del nuovo album Amuri luci, prevista per il 3 ottobre, che darà linfa alle nuove esecuzioni live. La tournée - prodotta e organizzata da OTR Live - si propone di esaltare la delicatezza del suo cantare, alternando brani storici e inediti in arrangiamenti calibrati per gli spazi teatrali.
Chi seguirà il tour potrà aspettarsi una scaletta che pesca dal vasto catalogo della cantante, ma pronta a rinnovarsi con qualche sorpresa. In teatro, la complicità con il pubblico diventa centrale: ogni nota acquisisce una nuova profondità nel silenzio amplificato della sala.
FRANCESCO DE GREGORI
13 novembre | Gran Teatro Geox-Padova
Francesco De Gregori torna in scena quest’autunno con Rimmel 2025 – Teatri, Palasport e Club, una tournée che celebra i cinquant’anni dall’uscita di Rimmel, album del 1975 divenuto pietra miliare della canzone d’autore italiana.
Dopo la fase estiva – che ha toccato arene storiche e location all’aperto come l’Arena della Regina di Cattolica, lo Sferisterio di Macerata, il Teatro Antico di Taormina e l’Arena di Verona –il tour riprende dal 31 ottobre con un fitto calendario di date nei teatri.
Un elemento distintivo di questo tour è che Rimmel verrà eseguito integralmente in ogni data, ma non mancheranno altri brani classici del suo repertorio, che varieranno da serata a serata, per rendere ogni tappa un’esperienza unica.
Rimmel 2025 non è solo un omaggio al passato, ma la conferma di come la musica di De Gregori rimanga viva e capace di trasformarsi, restando fedele alla sua forza poetica. Per gli appassionati, un’occasione imperdibile per ascoltare dal vivo una delle pietre miliari della canzone italiana in tutto il suo splendore.
Il 13 novembre al Geox appuntamento con una delle figure più iconiche della musica d’autore, con una carriera che abbraccia oltre cinque decenni e capolavori come Generale e La donna cannone
HIROMI
15 novembre | Gran Teatro Geox-Padova
L’approccio di Hiromi è sempre mutevole e mai vincolato a un’unica forma. Fonde jazz, funk, improvvisazione e tocchi prog e pop: il suo linguaggio musicale rimane al contempo virtuosistico e capace di sorprendere. Nelle date autunnali del tour, tra cui il Geox il 15 novembre sarà interessante scoprire come la band valorizzerà i brani più recenti assieme a classici ormai entrati nell’immaginario del pubblico.
Ogni concerto promette momenti di grande dinamismo - da assoli travolgenti a passaggi più intimi e sospesi - e offre al pubblico l’occasione di seguire il viaggio emotivo che Hiromi intesse con le sue note. La scelta dei teatri o delle sale con buona acustica sottolinea l’importanza del dettaglio sonoro e della condivisione ravvicinata dell’esperienza musicale.
Con più di 20 anni di esperienza come musicista, durante i quali si è guadagnata il titolo di uno dei più esplosivi performer nella storia del jazz e ambasciatrice mondiale di questa forma d’arte, il fenomeno del pianoforte Hiromi porta in Italia un nuovo affascinante progetto. Assieme alla più dinamica, espressiva e versatile band di tutta la propria carriera, gli Hiromi’s Sonicwonder, il fenomeno giapponese porta con se il basso di Hadrien Feraud, Gene Coye alle percussioni e il trombettista Adam O’Farrill ad infiammare il palco del Gran Teatro Geox. Lo spirito della fusione classica jazz-rock si combinerà con il virtuosismo di matrice classica, il funk ammaliante, le fioriture pop e, attraverso la tromba di O’Farrill, lo stato dell’arte del jazz acustico.
It’s (not) only jazz, but… Padova Jazz Festival, tra radici e il domani che è qui
Come si è soliti dire affrontando il tema festival jazz, la grammatica di questo format qui nel Belpaese si è formulata ormai una cinquantina di anni fa nella sua dorsale appenninica centrosettentrionale, in quell’Umbria dove la musica per eccellenza del Novecento con i suoi massimi interpreti, d’oltreocenano e non, ha iniziato a radunarsi nelle calde estati per poi darsi appuntamento di anno in anno. Da allora, attorno a quello che sin dal suo primo atto verrà denominato Umbria Jazz, in ogni dove con un delta in fitto levare di stagione in stagione sarà un parto senza soluzione di continuità di festival jazz. Oggi se borghi e città di piccole, medie e grandi dimensioni non hanno una di queste rassegne musicali, beh, verrebbe quasi da dire che…non sono, d’estate e ora anche di inverno. Grande cosa, non c’è che dire, per il pubblico, per i territori e il loro sistema turistico-culturale, per i musicisti stessi, moltissimi dei quali possono oggi vivere del proprio lavoro come un tempo neanche se lo potevano sognare. Naturalmente tra queste centinaia di festival ve ne sono una decina, forse anche meno, che rappresentano davvero il top del jazz dal vivo internazionale. Tra questi senza ombra di dubbio è da annoverarsi anche Il Padova Jazz Festival, giunto quest’anno al suo 27. atto. Un’edizione che come sempre e ancor di più coinvolge tutta la città nei suoi loghi topici, convenzionali e non, dello spettacolo dal vivo, attraversando anche qui sempre più versatilmente i confini tra i generi. Perché di jazz si parla pur sempre, certo, ma ben sappiamo quanto questa etichetta faccia sempre più fatica, direi fortunatamente, ad esaurire in maniera stringente il fitto mosaico espressivo di un linguaggio sempre più crossover. Il festival potrebbe racchiudersi in sintesi in tre filoni. Il primo di questi interessa la black music di primissimo livello e vedrà esibirsi al Teatro Verdi tre figure di livello mondiale, a partire dallo straordinario bassista elettrico Stanley Clarke, autentico pioniere negli anni ’70 del jazz rock e prima grande star del genere, che a tutt’oggi frequenta
impareggiabilmente, in scena il 20 novembre. A seguire, il 21, sarà la volta della miscela ipnotica di afrofuturismo e jazz della nigeriana Camilla George, autentica innovatrice visionaria del’identità musicale nigeriana. A chiudere il 22 questa elettrica tre giorni black Cécile McLorin Salvant, punta di diamante della nuova generazione di eroine del canto jazz profondamente legate alla matrice afroamericana. Il secondo filone interessa l’isola caraibica musicale per eccellenza, Cuba. Nella monumentale Sala dei Giganti in rapida successione si ascolteranno due pianisti cubani autentici primattori della loro generazione per quanto riguarda il latin jazz, il cui mentore è stato niente di meno che mr. Quincy Jones! Stiamo parlando del carismatico e funambolico Alfredo Rodriguez, in scena il 13, e di Roberto Fonseca, l’energia giovane dei grandi vecchi del Buena Vista Social Club, con il suo trascinante impasto di ritmi afro-cubani, jazz e suoni urbani occidentali. In scena il 14 novembre.
Terzo filone quello sospeso tra tradizione e modernità. Su tutti qui spicca Uri Caine, che aprirà il festival il 6 all’Auditorium San Gaetano in trio con Mark Helias e Ben Perowsky con una proposta in cui il tratto jazz solidamente connotato dalla lezione post-bop si arricchisce di uno slancio ritmico e di un’impronta sonora decisamente modernisti. A completare questo terzo orizzonte espressivo del festival due assoluti campioni nazionali: il batterista Roberto Gatto, in scena il 7 con il suo New Quartet, con una performance in linea con la sua visione aperta del jazz, rispettosa delle radici e contemporaneamente attenta all’innovazione; il sassofonista Max Ionata, in scena l’8, con il suo suono potente e fluido saldamente incorniciato nella tradizione afroamericana e al contempo in linea con le nuove tendenze contemporanee sempre più ai confini tra i generi. Ionata che sarà qui accompagnato dalla travolgente energia ritmica degli Hammond Groovers.
Non è tutto qui naturalmente, tra matinée domenicali, concerti pomeridiani ad introdurre quelli serali dei grandi nomi internazionali, performance multimediali, mostre fotografiche. Parafrasando gli Stones, è proprio il caso di dire che It’s (not) only jazz but I like it! Moxy B
Stanley Clarke
classica l RIDERE È COSA SERIA
La musica si adopera per aprire nuovi spazi in cui leggerezza e risate abbiano diritto di cittadinanza.
Un compito tutt’altro che semplice
Negli ultimi anni, Palazzetto Bru Zane ha dedicato un’attenzione particolare a Hervé, con l’intento di ampliare le proprie ricerche scientifiche e proposte artistiche ai cosiddetti generi “leggeri”. Les Chevaliers de la Table ronde, Mam’zelle Nitouche, Le Compositeur toqué, Le Retour d’Ulysse, V’lan dans l’œil, Moldave et Circassienne : tutti questi lavori sono tornati in scena per far conoscere meglio l’umorismo unico di un autore spesso rimasto nell’ombra del suo contemporaneo e rivale Jacques Offenbach. Per celebrare il bicentenario della nascita di questo musicista prolifico e strampalato, il ciclo Parigi, romantica pop lo colloca al centro di un movimento artistico che, dal Secondo Impero alla Belle Époque, ha puntato sull’assurdo e sulla follia per divertire un vasto pubblico. Forte dello straordinario successo delle grandi opere romantiche, a metà Ottocento il mondo lirico francese, opéras-comiques inclusi, tende a prendersi molto sul serio. Per reazione, due compositori si adoperano allora per aprire nuovi spazi in cui leggerezza e risate abbiano pieno diritto di cittadinanza. Sebbene l’iniziativa risponda a una domanda del pubblico, il compito è tutt’altro che semplice. Gli spettacoli sono infatti soggetti al “regime dei privilegi”, che conferisce il monopolio a poche sale: l’Académie impériale, l’Opéra-Comique, il Théâtre-Italien e il Théâtre-Lyrique. Occorrono quindi molta ingegnosità e una certa connivenza con il potere costituito per aprire le Folies-Concertantes (Hervé, 1854) e i Bouffes-Parisiens (Offenbach, 1855) e poi aggirare i divieti. I cantanti in scena in questi teatri non possono essere più di due? Si farà un trio con un artista dietro le quinte. Non si possono rappresentare opere
drammatiche? Si metteranno in scena stravaganze senza capo né coda. A mano a mano che il teatro dei Bouffes-Parisiens di Offenbach conosce un crescente successo, si ampliano anche i privilegi che gli vengono concessi: i due atti di Orphée aux Enfers, nel 1858, segnano l’ingresso del genere nel novero delle grandi forme teatrali.
La scrittura musicale punta allora sulla semplicità: melodie facili da ricordare e da cantare anche in casa, accompagnandosi con un pianoforte o una chitarra.
La popolarizzazione delle canzoni o delle scenette comiche passa anche attraverso la valorizzazione di alcuni interpreti di grande richiamo.
L’opéra-bouffe è la protagonista del concerto in programma il 16 ottobre, grazie al repertorio dei grandi compositori che l’hanno resa un genere in voga nel XIX secolo: Offenbach, Hervé, Messager e Serpette.
Gli arrangiamenti per pianoforte permettono a questo tipo di opera di entrare nella sala da concerto del Palazzetto, grazie ad una collaborazione a quattro mani delle talentuose pianiste serbe Lidija e Sanja Bizjak.
Le due iniziano la loro carriera come soliste, per poi riunirsi in un ensemble nel 2002.
La popolarità dell’opéra-bouffe nell’Europa di fine Ottocento si misura facilmente dalla sua straordinaria diffusione sulle scene liriche, in Francia e all’estero. Un altro indizio della sua notevole fortuna è costituito dall’enorme quantità di trascrizioni proposte dagli editori musicali. Destinate in primo luogo al pianoforte, queste partiture permettono di diffondere nei salotti le fantasiose melodie di Hervé, Offenbach e dei loro successori. Concentrandosi su un’unica aria o riunendo in un’antologia i momenti salienti delle opere, queste trascrizioni strumentali potevano anche fare da accompagnamento a danze di società, come la quadriglia.
In recent years, Palazzetto Bru Zane has devoted special attention to Hervé, aiming to expand its scholarly research and artistic offerings to include so-called “light” genres. Les Chevaliers de la Table ronde, Mam’zelle Nitouche, Le Compositeur toqué, Le Retour d’Ulysse, V’lan dans l’œil, Moldave et Circassienne: all these works have returned to the stage to showcase the unique humour of a composer often overshadowed by his contemporary and rival, Jacques Offenbach. To celebrate the bicentenary of this prolific and eccentric musician’s birth, the Paris, Romantic Pop series places him at the heart of an artistic movement that, from the Second Empire to the Belle Époque, embraced absurdity and madness to entertain a wide audience.
Buoyed by the extraordinary success of grand romantic operas, the French operatic world tended to take itself very seriously by the mid-nineteenth century. In response, two composers carved out new spaces, all about lightness and laughter. Although this initiative did meet public demand, it was far from easy. Performances were subject to the “privilege regime,” which granted monopolies to a few venues: the Académie impériale, the Opéra-Comique, the Théâtre-Italien, and the Théâtre-Lyrique. Considerable ingenuity and a degree of complicity with the authorities were required to open the Folies-Concertantes (Hervé, 1854) and the Bouffes-Parisiens (Offenbach, 1855), and to circumvent restrictions. As Offenbach’s
Bouffes-Parisiens theatre gained popularity, its privileges expanded: the two-act Orphée aux Enfers in 1858 marked the genre’s entry into the realm of major theatrical forms. Musical writing focused on simplicity: melodies easy to remember and sing at home, accompanied by piano or guitar. The popularization of songs and comic sketches also relied on the appeal of charismatic performers. Opéra-bouffe takes centre stage in the concert scheduled for October 16, featuring works by the great composers who made it a fashionable genre in the 19th century: Offenbach, Hervé, Messager, and Serpette. Piano arrangements allow this type of opera to enter the concert hall at Palazzetto Bru Zane, thanks to a four-handed collaboration between the talented Serbian pianists Lidija and Sanja Bizjak. Both began their careers as soloists before forming a duo in 2002.
The popularity of opéra-bouffe in late nineteenth-century Europe is evident from its widespread presence on opera stages in France and abroad. Another sign of its success lies in the vast number of transcriptions published by music editors. Primarily intended for piano, these scores brought the imaginative melodies of Hervé, Offenbach, and their successors into salons. Whether focusing on a single aria or compiling highlights into an anthology, these instrumental transcriptions could also accompany social dances like the quadrille.
Lidija e Sanja Bizjak
classical
PALAZZETTO BRU ZANE
PARIGI ROMANTICA POP
3 ottobre h. 19.30 | Palazzetto Bru Zane OH LÀ LÀ!
Atmosfera galante della Parigi del XIX secolo a suon di valzer cantato, genere francese rimodellato dalle partiture viennesi. Questo il tema della prima serata di ottobre al Palazzetto, le cui canzoni per voce e per pianoforte sono estratte dal repertorio di Chaminade, Christiné, Danglas e altri, con pezzi che variano da punte di malinconia a sorprendenti virtuosismi vocali. Il compito di dare vita a questo repertorio è affidato al tenore Cyrille Dubois, uno dei talenti migliori della sua generazione, e al pianista Tristan Raës, specializzato in musica da camera. ENG The first October evening at Palazzetto Bru Zane evokes nineteenth-century Paris with French vocal waltzes shaped by Viennese scores. Songs by Chaminade, Christiné, and others range from melancholy to vocal brilliance. Tenor Cyrille Dubois, a leading talent of his generation, performs with pianist Tristan Raës, a chamber music specialist.
9 ottobre h. 19.30 | Palazzetto Bru Zane A PASSO DI VALZER
Barcarola veneziana, mazurca polacca, valzer: ecco alcuni esempi di canto popolare e danze da salotto che hanno ispirato i musicisti romantici per comporre melodie non strettamente legate alla loro funzione originaria, ma semplicemente per essere suonate e rievocare atmosfere altre. La serata è trainata da una singola figura, il pianista Jean-Baptiste Doulcet, classe 1992, che prende in prestito le note di compositori più e meno conosciuti, da Chopin a Déodat de Séverac.
ENG Popular songs and salon dances like the Venetian barcarola, Polish mazurka, and waltz inspired Romantic composers to create evocative melodies. Pianist Jean-Baptiste Doulcet, born in 1992, leads the evening with works by both famous and lesser- known composers, including Chopin and Déodat de Séverac.
21 ottobre h. 19.30 | Palazzetto Bru Zane OPERA
DREAM
Mandolino e pianoforte, accoppiata entusiasmante messa in scena da due musicisti di eccellenza. Per il primo, Raffaele La Ragione: esperto di strumenti storici a plettro, ha pubblicato album acclamati dalla critica e dal 2018 fa parte dell’Orchestra Italiana di Renzo Arbore.
Al pianoforte invece François Dumont, vincitore di numerosi premi e ormai noto internazionalmente. Ma il protagonista della serata è proprio il mandolino, strumento che viene riscoperto in Francia negli anni ’80 e ’90 dell’Ottocento da autori come Chaminade e Bizet. ENG Mandolin and piano shine in a concert featuring Raffaele La Ragione, an expert in historical plucked instruments and member of Renzo Arbore’s Orchestra Italiana. At the piano is François Dumont, an internationally awarded artist. The mandolin, revived in 1880s and 1890s France by composers like Chaminade and Bizet, is the evening’s star.
28
ottobre h.
19.30 | Palazzetto Bru Zane FISARMONICA MON AMOUR
Francia, anni ’40 dell’Ottocento. La fisarmonica arriva da Vienna e diventa subito strumento sofisticato dei salotti dell’alta società. A fine secolo inizia poi a diffondersi anche in ambienti più popolari, connotazione a cui viene associata tutt’oggi. Queste due sfaccettature vengono illustrate musicalmente in questa serata, tramite trascrizioni per fisarmonica e violoncello dal repertorio di autori del calibro di Bizet, Chopin e Poulenc. Sul palco ecco Félicien Brut, fisarmonicista esperto e pluripremiato, nonché insegnante di Conservatorio, e Astrig Siranossian, solista di violoncello.
ENG In 1840s France, the accordion arrived from Vienna and became a refined salon instrument, later gaining popularity among the masses. This dual identity is explored through transcriptions for accordion and cello of works by Bizet, Chopin, and Poulenc. Performing are Félicien Brut, a prize-winning accordionist, and cellist Astrig Siranossian.
Photo Stephane Grangier
Photo Nikolaj Lund
classical
OPERA
Il buco nell’anima
Il Wozzeck di Berg porta alla Fenice la follia umana
Il 27 agosto 1824, sulla piazza del mercato di Lipsia, il barbiere Christian Woyzeck veniva impiccato per omicidio. Il fatto ebbe una certa risonanza nella Germania dell’epoca, e alcuni anni dopo il drammaturgo Georg Büchner decise di ispirarvisi per comporre un’omonima pièce teatrale, lasciata incompleta e pubblicata postuma dal fratello. Il 14 dicembre 1925 alla Staatsoper di Berlino andò in scena per la prima volta il Wozzeck, dramma in musica ispirato alla tragedia del Büchner e prima fatica operistica del giovane Alban Berg, alla quale lavorava già da prima della guerra. Uno dei capolavori dell’avanguardia novecentesca, sintesi delle diverse esperienze artistiche che solo la Vienna al crepuscolo dell’Impero poteva offrire, l’opera non rappresenta solo una vicenda di un ‘amore’ geloso e di un crudo omicidio, ma, servendosi delle asprezze dello stile espressionista, mette anche in luce temi di rilevanza sociale quali il militarismo disumanizzante, lo sfruttamento e il sadismo. Non a caso, essa fu più volte ostacolata in Europa (celebre lo scandalo seguito alla rappresentazione praghese del 1926), laddove ottenne grande successo a Leningrado, e risultò fondamentale per la formazione di Adorno, uno dei fondatori della scuola di Francoforte, allora ancor dedito agli studi musicologici.
A cent’anni dalla prima berlinese e a duecent’anni dal fatto di cronaca che ispirò l’opera, il Wozzeck viene rappresentato alla Fenice dal 17 al 26 ottobre, dopo oltre trent’anni di assenza dalle scene veneziane. Sarà tuttavia proposta non nell’originale tedesco, bensì nella versione italiana curata da Alberto Mantelli, andata in scena per la prima volta all’Opera di Roma nel 1942. Tale scelta ha
influenzato anche il progetto di regia, affidato a Valentino Villa, che così commenta: «Mi sono orientato verso un tipo di ambientazione riconoscibile come italiana, e questo ovviamente vale per tutti i pubblici, perché chi italiano non è veda comunque qualcosa di italiano». Anche l’ambientazione viene mutata, rispetto all’originale collocazione ottocentesca: «Abbiamo scelto di ambientare il lavoro nella prima parte del Novecento. E più nello specifico abbiamo scelto il 1925, l’anno della prima rappresentazione assoluta di Wozzeck a Berlino, come anno su cui impiantare il lavoro. Il ‘25 per questo motivo ha un senso speciale, ma più in generale rappresenta il periodo tra le due guerre, nel quale, soprattutto in alcune comunità, si sentono i postumi del primo conflitto mondiale, con questioni sociali irrisolte e danni psichici e fisici ancora visibili nelle persone». Un adattamento dunque che non mira a fornire una nuova interpretazione, ma bensì colloca la vicenda in un quadro storico particolarmente adatto a sottolineare il dramma psicologico e sociale di Woyzeck, la follia umana che Berg ambiva a mettere in scena. Nicolò Ghigi
ENG On August 27, 1824, Leipzig barber Christian Woyzeck was hanged for murder. The case resonated across Germany and later inspired Georg Büchner’s unfinished play Woyzeck, published posthumously. On December 14, 1925, Alban Berg’s opera Wozzeck, based on Büchner’s tragedy, premiered at the Berlin Staatsoper. A landmark of 20th-century avant-garde, the opera explores not only jealousy and murder but also themes like militarism, exploitation, and madness. Now, a century later, Wozzeck returns to Venice’s La Fenice (Oct 17–26) in Alberto Mantelli’s Italian version, set in 1925. Directed by Valentino Villa, the production highlights the psychological and social trauma of post-WWI Europe, echoing Berg’s vision of human despair. Wozzeck 17, 19, 21, 23, 26 ottobre Teatro La Fenice www.teatrolafenice.it
Courtesy Teatro La Fenice
Storia della critica Mozart apre la Stagione Lirica 2025/26
A inaugurare la Stagione Lirica 2025-26 della Fenice, il prossimo 20 novembre, ecco La clemenza di Tito (K 621) di Wolfgang Amadeus Mozart, in un nuovo allestimento curato dallo scozzese Paul Curran, con la direzione dell’orchestra affidata a Ivor Bolton e Daniel Behle nel ruolo di Tito.
Messa in musica del celeberrimo omonimo dramma metastasiano, rivisto per l’occasione dal poeta e librettista Caterino Mazzolà, incentrato sulla figura maestosa di Tito che perdona i traditori che avevano ordito una congiura, si tratta di una delle opere più popolari del compositore salisburghese, ma anche una delle più discusse dalla critica. Benché infatti sia stato trionfalmente accolto tanto a Praga, dove fu per la prima volta rappresentato il 6 settembre del 1791 in occasione dell’incoronazione dell’imperatore Leopoldo II a re di Boemia, quanto a Vienna, ove andò in scena tre anni dopo, senza contare Londra (dove nel 1806 fu la prima opera mozartiana a esser messa in scena), Napoli e Milano, su di essa pesò il giudizio negativo di Wagner, che volle in essa vedere un’opera drammaturgicamente incompleta. Attorno a tale stroncatura, che inaugurò oltre un secolo di pregiudizio nei confronti dell’opera, si formarono una serie di leggende. Una di esse dipinge un Mozart incalzato dai creditori che si sarebbe prestato malvolentieri e in modo frettoloso (avrebbe avuto solo 18 giorni a disposizione, secondo una ricostruzione ancor oggi popolare, ancorché smentita dal ritrovamento del contratto) a un genere, quello della tragedia, che non praticava da dieci anni, solo per avere i duecento ducati promessi dall’impresario Guardasoni e solo dopo il rifiuto di Salieri, che sarebbe stato il destinatario d’elezione dell’incarico. Un’altra, anch’essa priva di qualsiasi fonte, che l’imperatrice Maria Luisa, dopo la prima, avrebbe lapidariamente giudicato l’opera come “una porcheria tedesca”. Leggende a parte, ancora nel 1945 il musicologo Alfred Einstein la considerava “un prodotto della
fretta e della fatica”, stimando i personaggi nulla più che marionette e ritenendo che in essa si possa constatare la decadenza e la morte dell’opera seria.
Benché la critica continui a essere divisa nel giudizio su quest’opera, essa ha riguadagnato una certa popolarità negli ultimi anni, anche grazie alla predilezione di Muti per la stessa, ne sono stati prodotti numerosi allestimenti e si è iniziato a vedere le sue particolarità come una soluzione del tutto peculiare adottata dallo stesso Mozart per contrastare la decadenza dell’opera seria che contrassegnava gli ultimi decenni del XVIII secolo. Indubbiamente, non mancano alcune pagine del miglior genio del salisburghese, come il concertato della fine del primo atto, che ha la potenza e la tensione drammatica del Mozart migliore.
Nicolò Ghigi
ENG On November 20, La clemenza di Tito (K. 621) by Wolfgang Amadeus Mozart will inaugurate the 2025–26 opera season at the Fenice Theatre. This new production is directed by Scottish artist Paul Curran, with Ivor Bolton conducting and Daniel Behle playing Tito. Based on an eighteenth-century Italian drama and adapted by poet and librettist Caterino Mazzolà, the opera centres on Emperor Tito’s majestic act of forgiving those who conspired against him. Though one of Mozart’s most celebrated works, it has long divided critics. Premiered in Prague in 1791 for Emperor Leopold II’s coronation, and later staged in Vienna, London, Naples, and Milan, the opera was harshly criticized by Wagner, who deemed it dramatically incomplete. This sparked myths, including claims that Mozart, pressured by creditors, composed it reluctantly in just 18 days, an idea disproven by the discovery of his contract. Despite lingering scepticism, La clemenza di Tito has regained popularity, thanks in part to conductor Riccardo Muti’s advocacy. Recent productions highlight Mozart’s unique approach to revitalizing opera seria in its final decades. The concertato at the end of Act I, with its dramatic power and tension, stands among the finest pages of Mozart’s genius.
Courtesy Teatro La Fenice
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classical FESTIVAL
Avanguardia militante Ottava edizione del Festival Luigi Nono
Giunto all’ottava edizione, il Festival Luigi Nono è quest’anno incentrato sul concetto di frammento, tema più volte ricorrente nella poetica del compositore veneziano, e prevede 14 eventi ufficiali e 6 eventi collaterali (con inizio già nel mese di ottobre), per un totale di oltre 80 ospiti coinvolti.
Quattro saranno i concerti, organizzati in collaborazione con il Conservatorio Benedetto Marcello, tra cui spicca l’esecuzione di Io, frammento da Prometeo, in programma l’8 novembre in quella Chiesa di San Lorenzo che a gennaio dello scorso anno vide rivivere proprio il suo Prometeo, stavolta con un ensemble d’eccezione che unisce storici collaboratori di Luigi Nono e i più giovani e promettenti interpreti della scena contemporanea. Il brano proposto costituisce il primo stasimo del dramma Prometeo, eseguito per la prima volta proprio nella chiesa di San Lorenzo nel 1984, una selezione di testi classici e moderni (dal Prometeo di Eschilo a Hölderlin, passando per Saffo ed Euripide) curata da Massimo Cacciari: frammenti, appunto, messi in musica con la stridente alternanza di più cori, strumenti classici e live electronic. L’esecuzione sarà preceduta, il 30 ottobre, da un incontro a Ca’ Corner della Regina, in cui il direttore d’orchestra Marco Angius dialogherà con Barbara Casavecchia, curatrice della mostra Diagrams in corso presso la Fondazione Prada, attorno al tema del diagramma come strumento di trasmissione delle conoscenze, messo in relazione con l’opera noniana. Altra sede d’eccezione sarà il Convento del Redentore, che il 12 novembre ospiterà La Forma dell’Evangelo, azione drammaturgica di frammenti tratti dai Vangeli selezionati e commentati da Giancarlo Gaeta. Da segnalare anche le proiezioni audiovisive che si svolge -
ranno presso la sede della Fondazione alla Giudecca: il 23 novembre Il vuoto dell’acqua in questo mare di plastica di Gianni De Luigi e Il fondo dell’acqua di Andrea Liberovici fonderanno le suggestioni della composizione noniana con le potenzialità dell’arte visiva, mentre il 25 novembre verrà proiettato il documentario Trovato per errore, realizzato da Jacopo Caneva e Giuseppe De Benedittis e vincitore l’anno scorso di uno speciale concorso dedicato al centenario della nascita del compositore. Non mancheranno gli incontri divulgativi legati alla ricerca, tra cui si segnala una presentazione della biblioteca privata di Nono a cura dei ricercatori amburghesi Kira Henkel e Sebastian Genzink, e due eventi dedicati al centenario della nascita di Giorgio Napolitano, stretto amico di Luigi Nono, organizzati in collaborazione con il Festival della Politica. Quanto agli eventi collaterali, spiccano una serie d’incontri con il musicologo e divulgatore Guido Barbieri che racconteranno il compositore veneziano sotto una molteplicità di aspetti e una lectio di Massimo Cacciari presentata dai frati del Convento del Redentore dal titolo Vergine Madre, figlia del tuo figlio: La Vergine Maria attraverso e dentro le immagini Nicolò Ghigi
ENG Now in its eighth edition, the Luigi Nono Festival focuses on the theme of the fragment, a recurring concept in the Venetian composer’s work. With fourteen official events and six collateral ones, over 80 guests will participate. Highlights include the performance of Io, frammento da Prometeo on November 8 at San Lorenzo Church, featuring a unique ensemble of Nono’s collaborators and emerging talents. The festival also includes audiovisual installations and scholarly talks. Notable venues include the Redentore Convent and Ca’ Corner della Regina, with events exploring the intersection of music, philosophy, and visual art, reinforcing Nono’s legacy of innovation and social engagement.
Il terzo Premio Alma Dal Co 2025 si terrà al Conservatorio Benedetto Marcello il 29 novembre 2025 e prevede 2 borse di studio per il Canto Solistico, una per il Pianoforte, una per la Direzione di Coro e, infine, una borsa per la composizione corale. Quest’anno la Commissione ha dato un brano di una poesia scritta da Alma come testo per la composizione corale: Onde. È una poesia nata nel fragore del mare di Pantelleria, una delle sue più forti passioni.
Il Premio Alma Dal Co è promosso dalla Fondazione Alma Dal Co ETS, creata dai genitori per ricordare Alma Dal Co, scomparsa in un incidente di pesca subacquea il 14 novembre 2022. Il Premio ha il sostegno del Conservatorio Benedetto Marcello e della Fondazione Ugo e Olga Levi.
La Fondazione promuove giovani scienziati e giovani musicisti che, nello spirito che animava Alma, perseguono la scienza e la musica con passione. La Fondazione promuove la diversità, l'interdisciplinarità e la parità di genere.
Il Premio annuale Alma Dal Co è riservato a 5 tra i migliori diplomati del Conservatorio di Venezia Benedetto Marcello, dove Alma si diplomava in pianoforte nel 2012. Prevede un bando per 5 borse di studio sulle materie scelte all’inizio dell’anno dalla Commissione composta dal Direttore del Conservatorio, dal Direttore della Fondazione Ugo e Olga Levi e dal M.° Diana D’Alessio in rappresentanza della Fondazione. I premiati eseguono il Concerto dei Vincitori subito dopo consegna delle borse di studio, con la composizione corale.
Premio Alma Dal Co 2025
29 novembre, h. 17.30 Sala Concerti, Conservatorio Benedetto Marcello almadalcofondazione.org
Volerò
Sopra le Onde domani.
Poi ancora volerò
Sopra le alte e le basse maree
Di amore e di tristezza
Che tornano come
Maree d'oceano
Gigante.
E tu
Che stai
Tra le mie onde
Che navighi queste parole
Ondulate mosse ed emozionate
Prendi le mie creste d'amore
Le mie grandi maree
Che mi dan forma
Come la costa
Scolpita.
Dalla poesia Onde Alma Dal Co, 2022
Pantelleria,
Vancouver, 2019
classical
STAGIONI
Personaggi storici
Dopo il successo dell’esecuzione schubertiana del 2021, Riccardo Muti torna alla Fenice alla guida dell’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini, da lui stesso fondata, per uno straordinario concerto in programma il prossimo 9 ottobre. Da quando nel 1970 il maestro napoletano debuttò sul palco veneziano dirigendo il Magnificat di Bach e il Cristo al Monte degli Olivi di Beethoven, molteplici sono state le occasioni in cui egli si è trovato a esibirsi alla testa di prestigiose orchestre nella laguna, tra cui indubbiamente la più memorabile fu il concerto del 14 dicembre 2003, in occasione della riapertura del Teatro ricostruito. La serata sarà aperta dal Coriolano op. 62 di Beethoven, ouverture composta nel 1807 per l’omonima tragedia di argomento romano di Heinrich Collin: quasi come una ricapitolazione dell’intera vicenda del leggendario condottiero, la composizione vede succedersi un solenne e marziale tono in Do minore, che rappresenta l’impeto bellicoso di Coriolano pronto a invadere Roma per vendicarsi dell’affronto subito, e un più delicato e compassionevole tono in Mi bemolle maggiore, immagine delle suppliche della madre Veturia che riusciranno a dissuaderlo dalla folle impresa. Seguirà il Concerto per flauto n. 2 in Re maggiore KV 314 di Mozart, con la parte solistica affidata al viennese Karl-Heinz Schütz: per verità trasposizione di un concerto per oboe in Do maggiore composto in precedenza, si tratta di una classica composizione mozartiana, di cui la parte più notevole è senz’altro l’allegro aperto iniziale, in cui spiccano l’agilità e il virtuosismo del flauto, impegnato in un serrato dialogo con gli archi che permette di apprezzare le capacità del solista. A concludere sarà ancora Beethoven, con la Sinfonia n. 7 in La maggiore op. 92. Eseguita per la prima volta l’8 dicembre 1813, meritò la definizione di “apoteosi della danza” da Richard Wagner; benché sia stata per lungo tempo ritenuta meno importante rispetto ad altre sinfonie del compositore di Bonn, essa rappresentò una svolta fondamentale nella storia della sinfonia beethoveniana e romantica in generale, e pose le basi di una vicenda musicale che porterà alla celeberrima Nona Nicolò Ghigi
Riccardo Muti e Orchestra Giovanile Luigi Cherubini 9 ottobre Teatro La Fenice www.teatrolafenice.it
Finale di stagione
La Stagione autunnale di Musikàmera si avvia a conclusione tra ottobre e novembre con un calendario che unisce grandi nomi della scena internazionale e raffinate proposte cameristiche, distribuite tra la Sala Grande e le Sale Apollinee del Teatro La Fenice. Il 5 ottobre protagonista Igor Levit, pianista tra i più autorevoli della sua generazione, in un recital che unisce tre grandi autori del repertorio romantico. In apertura la Sonata n. 10 in sol maggiore op. 14 n. 2 e la più drammatica Sonata n. 17 in re minore op. 31 n. 2, ovvero la celebre La tempesta, entrambe di Beethoven. Seguiranno le Nachtstücke op. 23 di Schumann e, in chiusura, la monumentale Sonata n. 3 in si minore op. 58 di Chopin. Un programma che riflette tanto la lucidità analitica quanto la profondità emotiva di un interprete capace di coniugare rigore e impegno civile, protagonista delle principali stagioni concertistiche internazionali e vincitore di prestigiosi riconoscimenti discografici.
La proposta successiva, il 10 ottobre alle Sale Apollinee, sposta l’attenzione sulla lirica da camera francese tra Ottocento e primo Novecento. Il soprano Silvana Torto e il pianista Filippo Faes costruiscono un percorso raffinato che accosta Fauré, Debussy, Duparc e Hahn, con incursioni nel repertorio legato a Venezia: dalle Chansons en dialecte vénitien di Hahn alla pagina Venise di Gounod. Un itinerario che restituisce la varietà di colori e sfumature poetiche della mélodie, tra eleganza simbolista e nostalgia evocativa.
Il 22 ottobre, ancora alle Sale Apollinee, il pianista Massimiliano Ferrati sarà affiancato dall’Ensemble Mark Rothko per un concerto dedicato al 150esimo anniversario della nascita di Guido Alberto Fano. In programma, accanto al Quintetto op. 44 di Schumann, il Quintetto in do maggiore del compositore veneziano, presentato nella nuova edizione Curci e affiancato dalla recente registrazione discografica pubblicata da Brilliant. Gran finale di stagione il 4 e 5 novembre con due serate affidate ai Bassifondi Ensemble, guidati da Simone Vallerotonda. Al centro del programma, le celebrazioni per i trecento anni dalla morte di Alessandro Scarlatti, con la prima esecuzione moderna della serenata a tre voci Clori, Lidia e Filli, accompagnate da violini e leuto. Specializzati nel repertorio seicentesco e settecentesco per strumenti a pizzico, i Bassifondi offrono al pubblico la ricchezza timbrica e la vitalità esecutiva della pratica cameristica barocca, restituendo luce a musiche spesso dimenticate. C.S.
Musikàmera 5, 10, 22 ottobre: 4, 5 novembre Teatro La Fenice www.musikamera.org
Igor Levit – Photo Felix Broede
Allievi e maestri
Sarà il concerto del maestro Enrico Dindo, insieme a tre suoi straordinari allievi del Conservatorio della Svizzera italiana di Lugano a inaugurare, il 28 ottobre, la quarantesima Stagione di musica da camera e sinfonica del Toniolo di Mestre.
Dindo, classe 1965, è uno dei più noti violoncellisti italiani contemporanei, vincitore a 32 anni del primo premio al concorso “Rostropovich” di Parigi, uno dei riconoscimenti più prestigiosi per violoncello, che ha segnato la sua consacrazione sulla scena internazionale. Ad esibirsi al Toniolo nel concerto organizzato dall’associazione
Amici della Musica di Mestre con il contributo della Regione Veneto il sostegno della Fondazione di Venezia e sotto la direzione del maestro, saranno i musicisti Chiara Kaufman, Marina Pavani e Giulio Rondoni: tutti giovani violoncellisti di talento, formatisi con maestri di alto livello, accomunati dalla passione per la musica da camera e da una carriera in crescita che unisce eccellenza tecnica e sensibilità interpretativa. Il programma prevede l’esecuzione della Sonata op. 25 n. 3 per violoncello solo di Paul Hindemith, della Sonata n. 1 op. 72 per violoncello solo di Moisej Samuilovicˇ Vajnberg, della Suite per violoncello solo n.1 op.7 di Benjamin Britten e delle Variazioni rococò per 4 violoncelli di Pëtr Il’icˇ Cajkovskij.
Una giovane stella del violino e un raffinato interprete del fortepiano: il 5 novembre Yuki Serino e Martin Nöbauer danno vita a un viaggio straordinario nel cuore della musica di Beethoven, in un progetto triennale che culminerà nel 2027, a duecento anni dalla sua morte.
A Yuki Serino, talento luminoso e sensibilità fuori dal comune, è affidata la direzione artistica di questa avventura musicale che, nell’arco di tre anni, porterà sul palco l’integrale delle Sonate per violino e pianoforte del genio di Bonn.
ENG On October 28, Enrico Dindo and three exceptional students from the Conservatory of Italian Switzerland in Lugano will open the 40th chamber and symphonic music season at Teatro Toniolo in Mestre. Dindo, one of Italy’s most acclaimed cellists, won the prestigious Rostropovich Competition in Paris at age 32. Performing under his direction will be Chiara Kaufman, Marina Pavani, and Giulio Rondoni, all young talents united by a passion for chamber music and growing careers. The program includes works by Hindemith, Vajnberg, Britten, and Tchaikovsky. On November 5, violinist Yuki Serino and fortepianist Martin Nöbauer begin a three-year journey through Beethoven’s complete violin sonatas, culminating in 2027.
Stagione Concerti 2025.26
28 ottobre; 5 novembre Teatro Toniolo www.culturavenezia.it
SULLE
all’Auditorium “Cesare De Michelis” di M9 Sulle note del secolo. I maestri del ’900, rassegna giunta alla terza edizione e realizzata con il Conservatorio “Benedetto Marcello” di Venezia. Tre concerti, dal 12 al 26 ottobre, per esplorare il Novecento musicale attraverso i suoi protagonisti e le loro eredità. Si apre con Debussy e Boulez, in un dialogo tra impressionismo e avanguardia. Il secondo appuntamento intreccia sei autori – da Ysaÿe a Stravinskij – con visioni che oscillano tra lirismo, struttura e libertà. L’ultimo concerto accosta Schönberg, Ligeti, Ambrosini, Šostakovicˇ e Berio, offrendo un mosaico che unisce atonalità, sperimentazione e tradizione. Ogni incontro sarà introdotto dai docenti del Conservatorio per accompagnare il pubblico con chiavi di lettura storiche e musicali.
12, 19, 26 ottobre
M9 - Museo del ’900-Mestre www.m9museum.it
VALUES IN MUSIC
A novembre Values in Music torna a La Casa di The Human Safety Net in Piazza San Marco, in collaborazione con il Conservatorio “Benedetto Marcello” di Venezia. La rassegna propone concerti domenicali che attraversano generi e epoche diverse, dal Barocco alle formazioni moderne, con l’obiettivo di mettere in luce valori come creatività, collaborazione e bellezza. Ogni appuntamento è pensato per creare un dialogo tra i giovani musicisti del Conservatorio e il pubblico, offrendo un’esperienza d’ascolto intima e partecipativa, dove la musica diventa occasione di scoperta e riflessione. Al termine dei concerti, è possibile esplorare la mostra interattiva A World of Potential e visitare il bookstore, che propone libri e oggetti realizzati da progetti di inclusione sociale. Una proposta culturale che invita a trascorrere la domenica mattina immergendosi nella musica e nella creatività, in uno spazio originale che unisce arte, cultura e curiosità.
La Casa di The Human Safety Net Piazza San Marco www.thehumansafetynet.org
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LE PAROLE SONO IMPORTANTI
Un ponte è opera viaria o idraulica?
Il wc o il rubinetto sono pezzi di edilizia civile o terminali di opere idrauliche?
Quanto sarebbe diverso il paesaggio agricolo senza la circolazione di acqua di irrigazione e senza canali e pompe di smaltimento degli eccessi di pioggia?
di Davide Carbone
Una scenografia praticamente assente, con un solo leggio a fargli da spalla, illuminato ancora prima dell’inizio dello spettacolo. Marco Paolini entra in scena salutando il pubblico con discrezione e venendo accolto da un applauso guadagnato in anni di pratica teatrale viva e pulsante, ridendo di sé stesso come solo i grandi sanno fare, e definendosi più volte “esperto di catastrofi. Italiane”.
Dal 5 al 9 novembre apre la stagione 2025/26 del Teatro Goldoni a Venezia Bestiario idrico, che Paolini ha presentato a metà settembre a Villa Angaran San Giuseppe, a Bassano del Grappa, in forma di studio. Un allestimento tanto semplice nella scenografia quanto diretto ed efficace nella resa di un racconto che parla di quanto e come l’elemento-acqua sia legato alla storia del nostro Paese, dal punto di vista paesaggistico, morfologico e ovviamente sociale, considerato l’autore in questione.
Un monologo che Marco Paolini porta avanti supportando il peso imposto dall’argomento complesso, in cui attraverso giochi di parole e apparenti nonsense – in realtà di senso se ne trova a palate, nascosto ma non troppo nelle pieghe di una scrittura teatrale e didattica –condivide con il pubblico le scoperte fatte documentandosi sul campo, consumando la suola delle scarpe e parlando con personaggi che spaziano da Noè all’idrogeologo affermato, ponendo loro le domande che verrebbero in
mente a chi siede in platea e ottenendo risposte dall’efficacia inarrivabile, perché ispirate alla vita di tutti i giorni, con perle comiche dialettali, quando l’italiano non basta. Del resto, conoscete un altro artista capace di chiarire concetti fondamentali per un dibattito costruttivo sull’argomento dialogando amabilmente con un’anguilla, come noi potremmo chiacchierare con il nostro vicino di casa? Anguilla che in quanto a competenza, tra l’altro, ha davvero molto da insegnarci.
Scritto con Giulio Boccaletti, coprodotto da Jolefilm e Teatro Stabile del Veneto – Teatro Nazionale, il nuovo monologo ininterrotto di un’ora e tre quarti conferma Paolini narratore impareggiabile di un racconto che ne intreccia come al solito molti altri: dall’importanza dei corsi d’acqua nella storia dell’uomo alla descrizione di quello che letteralmente “ci scorre sotto i piedi”, passando per il fondamentale ruolo di argini, bacini idrici e dighe nelle dinamiche economiche e sociali che ci governano, unite alla consapevolezza di come i conflitti che adesso si combattono per il petrolio, saranno (e sono già) innescati da un’emergenza idrica che affronteremo in maniera risoluta quando forse sarà troppo tardi.
Rii, rogge, canali, tagli, gore, fossi e fossati sono esseri viventi che Paolini coinvolge in un dialogo che sfocia volentieri nel dialetto, a catturare l’attenzione di un pubblico che ancora una volta viene messo davanti a una verità cruda, frutto di studio, una di quelle verità che ti strappano un sorriso amaro. Con urgenza. Con partecipazione.
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RASSEGNE
Tutta colpa di una mela
Con il nuovo laboratorio Tradimenti. Cittadini a confronto con le sorprese della vita, Mattia Berto inaugura una nuova tappa del suo percorso con il Teatro di Cittadinanza al Teatro Goldoni di Venezia, confermando il suo impegno nel trasformare gli spazi teatrali in luoghi vivi, permeabili, abitati dalla città e da chi la attraversa. Il progetto, ideato per il Teatro Stabile del Veneto –Teatro Nazionale, raccoglie il testimone delle precedenti edizioni che hanno esplorato identità, desideri, memoria e lavoro, e sposta ora il centro sul tema del tradimento, inteso non solo come rottura dei legami affettivi, ma come atto umano universale: disillusione, abbandono, caduta, trasformazione.
Il laboratorio coinvolge cittadini tra i 18 e i 70 anni, senza alcuna necessità di esperienza teatrale, e diventa un luogo di incontro, racconto, ascolto e creazione collettiva, in cui le storie personali si intrecciano per dare vita a un affresco emotivo che attraversa amicizie finite, amori sospesi, fiducia tradita e rinascite possibili. I sette incontri previsti tra ottobre e dicembre, con performance finale il 14 dicembre, sono un percorso di riflessione, ascolto e creazione collettiva. Attraverso esercizi teatrali, improvvisazioni, scrittura scenica e momenti di condivisione, il gruppo porterà in scena quelle “sorprese della vita” che ci disorientano e ci sfidano, ma che, spesso, rivelano la nostra capacità di resistere, comprendere e trasformarci. Il teatro quindi diventa luogo democratico di espressione e appartenenza, creando di fatto una comunità viva e vitale in una città, Venezia, spesso troppo frammentata e continuando a porsi come pratica civile e artistica, uno spazio di possibilità che restituisce alle persone – e non solo agli attori – il diritto di abitare la scena, raccontare il presente e immaginare insieme il futuro.
Parallelamente a questo nuovo intenso percorso, il vulcanico Mattia Berto sta portando avanti il progetto del Teatro Artigiano a Ca’ Foscari, dove la sperimentazione teatrale si intreccia con la ricerca accademica, in un dialogo fertile tra saperi, arti e mestieri. Qui il teatro si fa strumento di indagine antropologica e sociale, capace di raccontare il contemporaneo attraverso il vissuto degli studenti e della comunità.
di Cittadinanza
«Baccanti, Baccanti! Vi siete spaventate?» Con questo grido si apre il percorso che Anagoor affida agli allievi del terzo anno dell’Accademia Teatrale Carlo Goldoni: un confronto con la tragedia di Euripide che diventa pratica collettiva, iniziazione e specchio del presente. Il mito antico prende corpo in una dimensione viva, nutrita di trance e poesia, in cui il teatro si fa luogo di metamorfosi.
A guidare questa esplorazione è la compagnia fondata a Castelfranco Veneto da Simone Derai, già Leone d’Argento alla Biennale Teatro 2018, riconoscimento che ne ha sancito la forza nell’interrogare i classici con un linguaggio visivo e concettuale di rara intensità.
In Baccanti, presentato al Teatro Goldoni per la rassegna collaterale Fuoriserie il 12 e 13 novembre, Derai non ricostruisce il bosco dionisiaco evocato dal testo, ma lo trasforma in un sabba notturno abitato da un gruppo di ragazzi che si immergono nel gioco scenico come in un incantesimo. È in questo spazio sospeso che il teatro rivela il proprio potere di fascinazione. Penteo e lo spettatore condividono la stessa sorte: chi rifiuta il cambiamento, chi non danza, finisce travolto.
Le figure delle Baccanti diventano emblema di una tensione che non conosce epoche. In bilico tra estasi e sovversione, incarnano l’alterità e al tempo stesso smascherano la fragilità delle strutture di potere. La loro ribellione non è solo atto religioso ma gesto politico, capace di mettere in discussione l’illusione dell’identità e la presunzione di supremazia che porta ogni forma di dominio al collasso. Una messinscena che si innesta in un presente ferito. Baccanti si offre come pratica magica e insieme terapeutica, protesta che attraversa rabbia e furia per invocare una rinascita, richiamo a ritrovare ciò che si è perduto in un mondo arido e devastato. In questo orizzonte la parola di Euripide risuona con nuova urgenza, sostenuta dal lavoro drammaturgico di Davide Susanetti e dalle sovrascritture di Derai. Suoni, luci, costumi e immagini contribuiscono a creare un dispositivo scenico in cui rito e teatro si intrecciano, guidati dal sound design di Mauro Martinuz e dalle visioni scenografiche di Alberto Nonnato. I giovani interpreti si fanno così vettori di un’energia collettiva che chiama in causa la comunità, ricordando che l’arte conserva ancora il potere di trasformare e di rendersi necessaria, oggi come allora.
Chiara
Sciascia
Anagoor | Baccanti
12, 13 novembre Teatro Goldoni www.teatrostabileveneto.it
Furia dionisiaca
Mattia Berto con Marta Garlato (la Musa) - Photo Giorgia Chinellato
theatro
NUOVA STAGIONE
Ballo d’autunno
La stagione 2025/26 del Teatro Toniolo di Mestre si apre con un classico del musical internazionale: Sette spose per sette fratelli. Siamo nell’Oregon del 1850, in una fattoria tra le montagne, dove vivono i sette fratelli Pontipee. Adamo, il maggiore, decide che è arrivato il momento di sposarsi, e quando incontra Milly, cameriera in una locanda del villaggio, scocca il colpo di fulmine. Ma Milly non immagina che sposare Adamo significhi anche affrontare sei fratelli rozzi, rissosi e poco avvezzi alle buone maniere. Con pazienza e determinazione, trasforma i sei cognati in uomini rispettabili, pronti a conquistare il cuore delle sue amiche durante la festa annuale del villaggio. Tra balli, risse e strategie degne del ratto delle Sabine, la vicenda culmina in un matrimonio collettivo, celebrando comicità, romanticismo e il fascino irresistibile dei musical di un tempo.
Tratta dall’omonimo film del 1954 diretto da Stanley Donen, la versione italiana portata in scena da Fabrizio di Fiore Entertainment mantiene la leggerezza e il ritmo del classico hollywoodiano, arricchendolo di nuove sfumature. La regia e le coreografie sono firmate da Luciano Cannito, mentre la direzione musicale è affidata al Maestro Peppe Vessicchio. Il libretto di Lawrence Kasha e David Landay e le liriche di Johnny Mercer, con canzoni aggiunte di Al Kasha e Joel Hirschhorn, restituiscono la brillantezza delle melodie originali. La scenografia di Italo Grassi, i costumi di Silvia Aymonino e le luci di Alessandro Caso ricreano la spettacolarità dei musical di Broadway e West End, con un tocco ironico che strizza l’occhio al western tarantiniano. Debuttato in Italia nel 2022, lo spettacolo ha registrato quasi tutti sold-out nei principali teatri, con oltre 100.000 spettatori in un solo anno. Il nuovo allestimento porta al Toniolo un cast di 22 interpreti capitanati da Diana Del Bufalo e Baz, capaci di unire virtuosismo vocale, talento attoriale e forza fisica nelle coreografie, per una serata di travolgente energia, divertimento e con il giusto pizzico di nostalgia cinematografica. C.S.
La guerra dei mondi
Dopo essere stata oggetto di dibattiti politici e aver attirato l’attenzione delle cronache locali, con Andrea Pennacchi l’invasione dei granchi blu nei litorali veneti diventa repertorio per uno spettacolo teatrale di impatto sociale. Di questa specie di crostacei che infesta la laguna, così come del Siluro diventato endemico nel Po e di altre creature non autoctone, parla Alieni in laguna : un bestiario teatrale di creature invasive che popolano il nostro ecosistema fragile e ne mettono a repentaglio la biodiversità.
Pennacchi esce dal piccolo schermo, dove ha trovato la popolarità tra fiction televisive e i monologhi virali del suo celebre personaggio caricatura del veneto medio, per tornare alle origini sul palcoscenico portando in tournée un nuovo testo scritto a più mani assieme a Marco Gnaccolini, Marco Segato e Raffaele Pizzatti Sertorelli. Una produzione teatrale realizzata col sostegno di Arte Sella, museo immerso nella natura trentina, dove Pennacchi è stato accolto in residenza artistica per la realizzazione del primo studio dello spettacolo. Immancabile, infine, la presenza sulla scena del cantautore padovano Giorgio Gobbo che con le sue musiche originali accompagnerà dal vivo la recitazione di Pennacchi.
In un ecosistema sempre più compromesso e vulnerabile quale ruolo determinante giocano i cambiamenti climatici accelerati? Quale la responsabilità dell’intervento umano nella diffusione massiva di queste specie aliene invasive? Non è certamente la prima volta che Andrea Pennacchi presta il suo teatro civile e la sua pungente comicità a questioni ambientali urgenti e temi sociali contemporanei e, come è tipico delle sue narrazioni, con Alieni in laguna lo fa partendo da ciò che conosce intimamente, da cause che riguardano lui così come i suoi spettatori da vicino, nel quotidiano.
Con la sua inconfondibile abilità di alternare sapientemente comicità e dramma, leggerezza e profondità, Andrea Pennacchi indaga l’impatto devastante delle specie non autoctone e porta in scena una narrazione teatrale che oscilla tra la magia nostalgica della memoria collettiva e la cruda realtà dei cambiamenti climatici inesorabili, tra il passato e il presente in continua trasformazione. I racconti delle specie aliene diventano così una metafora teatrale dei conflitti sociali e culturali contemporanei, invitando il pubblico a riflettere profondamente sul concetto stesso di “alieno” e sulla necessità urgente di ridefinire il nostro rapporto con l’ambiente. Diletta Rostellato
Il talento di Rosaura
Un classico del teatro goldoniano che segna un punto di svolta, un’attrice italiana dallo charme d’oltralpe, un’elegante messinscena visiva, una regia solida e di esperienza. Dal 18 al 23 novembre la Stagione del Teatro Toniolo di Mestre, dopo i primi appuntamenti dedicati al musical, alla danza e alla drammaturgia di parola, ospita un evento imperdibile per gli amanti del teatro classico: La vedova scaltra di Carlo Goldoni, con protagonista Caterina Murino, ed Enrico Bonavera nel ruolo di Arlecchino. Fondendo tradizione goldoniana e suggestioni contemporanee, lo spettacolo si propone di risvegliare l’ironia, il fascino e le contraddizioni di una Venezia urbana, mondana, in bilico tra leggerezza e tensione interiore. Rosaura – la vedova protagonista – si trova al centro di un mondo dominato da intriganti corteggiatori stranieri, ognuno alla ricerca di conquistarla tramite regali, promesse e giochi di seduzione: sono l’inglese Milord Runebif, il francese Monsieur Le Bleau, Don Alvaro di Castiglia dalla Spagna e l’italiano Conte di Bosco Nero. Chi le regala un diamante, chi una lettera appassionata. Ma Rosaura, sagace Mirandolina ante litteram, ha le sue carte da giocare: con intelligenza, ironia e consapevolezza tiene le fila della commedia, facendosi guidare dalla razionalità più che dai sentimenti. È con questa pièce che Goldoni compie la sua riforma, tracciando il passaggio dal teatro delle maschere e dei caratteri stereotipati a una drammaturgia più psicologica e moderna. Tradizionalmente considerata la “prova generale” della celeberrima Locandiera, La vedova scaltra celebra l’astuzia, l’autodeterminazione femminile e il potere del linguaggio, sullo sfondo di una Venezia animata da intrighi, travestimenti e giochi d’amore, ben rappresentata sul palco dalle scene di Fabiana di Marco e dai costumi di Stefano Nicolao, assieme alle suggestive videoproiezioni di Francesco Lopergolo che ricreano i fondali pitturati in uso nei teatri del Settecento. La regia e l’adattamento sono firmati da Giancarlo Marinelli, attento conoscitore della materia goldoniana, che riconosce in questo testo «una contemporaneità lacerante e straordinaria: mai come in questi tempi, il tema dell’emancipazione femminile è tornato al centro». Dopo il debutto dell’anno scorso a Parigi come La veuve rusée, lo spettacolo è pronto per affrontare la tournée italiana per poi ritornare in Francia, con Murino protagonista indiscussa di entrambe le versioni, in un ruolo che mescola fascino, ironia e profondità. Livia Sartori di Borgoricco
La vedova scaltra 18-23 novembre Teatro Toniolo-Mestre www.comune.venezia.it
Chi ha ucciso Mozart? Ha un taglio da cold case il nuovo allestimento della celebre opera di Peter Shaffer, Amadeus, che i registi Ferdinando Bruni e Francesco Frongia mettono in scena per il Teatro dell’Elfo di Milano, ora in tournée sui grandi palcoscenici italiani (a Mestre al Teatro Toniolo il 26 e il 27 novembre), trascinando il pubblico nella riapertura del “caso Mozart”.
La storia si basa su una diceria divenuta leggenda: Antonio Salieri, uomo pio e generoso, affermato musicista alla corte dell’imperatore d’Austria alla fine del XVIII secolo, stringe un patto con Dio a cui consacra la sua opera in cambio del riconoscimento di genio musicale. Quando scopre che l’Onnipotente ha preferito a lui il giovanissimo Mozart decide di vendicarsi. La storia della rivalità tra i due musicisti, poco più che un pettegolezzo circolato alla morte del grande compositore di Salisburgo, divenne materia per Puskin che, nel 1830, dalla mala voce ricavò il suo dramma Mozart e Salieri. Un’opera da cui oltre un secolo dopo trasse ispirazione Shaffer per quello che oggi è un classico del teatro e del cinema.
Quando Amadeus di Peter Shaffer debuttò al National Theatre di Londra, nel novembre 1979, ricevette commenti entusiastici di pubblico e critica con gli spettatori londinesi che si mettevano in fila alla biglietteria dalle sei del mattino per assistere allo spettacolo. Un successo confermato anche a New York dove debuttò nel teatro di Broadway l’anno successivo, ma ciò che rese universalmente celebre l’opera fu il film di Miloš Forman (alla cui sceneggiatura lavorò anche Shaffer), che quarant’anni fa si aggiudicò otto premi Oscar. «Nella fucina dell’arte la bontà non conta niente». È la frase pronunciata da Salieri, in scena impersonato da Ferdinando Bruni, in cui si racchiude il senso dell’opera: un apologo che parla dell’invidia ma anche dell’ammirazione mista a sgomento che prende l’essere umano al cospetto di un genio capace di superare i confini laboriosi e prevedibili del talento.
Sul palco, accanto a Ferdinando Bruni, Daniele Fedeli, l’attore-rivelazione di Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte, nel ruolo del giovane e irriverente Mozart e una compagnia di interpreti: Riccardo Buffonini, Matteo de Mojana, Alessandro Lussiana, Ginestra Paladino, Umberto Petranca, Luca Toracca e Valeria Andreanò, la più giovane del cast.
Antonio Marras firma i costumi e veste gli interpreti con sontuosi abiti di un ‘700 immaginario dagli inserti molto contemporanei. La scena è un salone che il delirio di Salieri trasforma in labirinto, il ritratto di un passato non più ricomponibile attraverso la ragione, dal quale i personaggi emergono come marionette. Diletta Rostellato
Amadeus 26, 27 novembre Teatro Toniolo-Mestre www.comune.venezia.it
Caso irrisolto
theatro
NUOVA STAGIONE
Sguardi incrociati
Peter Stein inaugura la stagione al Teatro del Parco con C ˇ echov
Il Teatro del Parco di Mestre inaugura la nuova stagione 2025/26 il 28 ottobre con Crisi di nervi. Tre atti unici di Anton C ˇ echov diretto dal celebre regista tedesco Peter Stein, con Maddalena Crippa protagonista. Lo spettacolo, già premiato con il Premio Le Maschere 2024 e che ha valso a Stein il Premio Internazionale Flaiano 2025 per la miglior regia teatrale, mette in scena L’orso, I danni del tabacco e La domanda di matrimonio, opere che lo stesso C ˇ echov definiva “scherzi scenici”. In questi drammi brevi, dove il paradosso e l’assurdità convivono con la comicità sottile, Stein riesce a restituire la vitalità e la modernità dell’autore russo, guidando un’eccellente compagnia che alterna momenti di intensa bellezza visiva a sequenze narrative dal ritmo calibrato. I personaggi, preda di crisi nervose, malattie e litigi, si confrontano con situazioni che oscillano tra il comico e l’introspezione psicologica: ne L’orso, un duello si trasforma in proposta di matrimonio; ne I danni del tabacco, un oratore racconta la propria vita misera; ne La domanda di matrimonio, un aspirante sposo affronta eventi comici che rivelano la tensione tra desiderio e convenzione. La regia di Stein esalta questi atti unici, offrendo al pubblico un’esperienza teatrale di rara intensità, sostenuta dal talento dei singoli interpreti.
Si apre nel segno dei grandi classici TOP - Theatre Of the People, la stagione che Pantakin, ha scelto di offrire al pubblico nell’anno in cui festeggia il trentesimo anniversario della Compagnia. In sinergia con Tadan, sotto la direzione artistica di Michele Modesto Casarin con Manuela Massimi ed Emanuele Pasqualini, TOP si articola in dieci spettacoli, arricchiti da un programma di laboratori multidisciplinari e
attività collaterali. Degno di nota è il carattere solidale della rassegna: gli incassi degli spettacoli verranno devoluti a favore di un’associazione locale impegnata in progetti sociali.
Dopo l’apertura con Stein, il 13 novembre il Teatro del Parco ospita Il turno di notte di Gianpiero Francese, con la regia dello stesso autore. Lo spettacolo racconta la vita della classe operaia metalmeccanica in Italia attraverso la vicenda di sette protagonisti rinchiusi in uno spogliatoio. L’azione mette in luce le tensioni interne e i rapporti di forza tra operai e dirigenti, mescolando realismo, ironia e una sfumatura grottesca che permette di riflettere senza rinunciare al coinvolgimento emotivo. Il cast, composto da Gabriele Grano, Simona Ianigro, Giuseppe Ranoia, Manola Rotunno ed Erminio Truncellito, dà vita a un equilibrio tra dimensione sociale e drammaturgia vivace, offrendo una visione lucida e al tempo stesso accessibile della realtà dei luoghi di lavoro. Il cartellone di novembre prosegue il 25 con L’Oreste di Francesco Niccolin, regia di Giuseppe Marini, con Claudio Casadio e le illustrazioni di Andrea Bruno. Lo spettacolo affronta temi delicati come l’abbandono, l’amore negato e la malattia mentale, alternando momenti drammatici a sequenze di comicità delicata. L’animazione grafica, utilizzata come strumento narrativo, contribuisce a creare un’esperienza visiva di forte impatto, permettendo al pubblico di seguire il percorso interiore del protagonista in modo originale e immediato. Claudio Casadio, con la sua interpretazione, dà corpo e voce a un personaggio complesso, rendendo tangibile la riflessione sull’imprevedibilità e sulla durezza della vita.
Dai vaudeville di Cechov al realismo operaio e alla poesia visiva di L’Oreste, i primi titoli di TOP - Theatre Of the People delineano un cartellone che unisce linguaggi differenti e lascia intravedere molteplici possibilità di sguardo. C.S.
Crisi di nervi. Tre atti unici di Anton Cechov - Photo Tommaso Le Pera
theatro
Musa infinita
Un tour guidato attraverso la bellezza e le sfide della vita di Frida Kahlo. Con Frida, secondo spettacolo in cartellone per la nuova stagione del Toniolo dal 7 al 9 novembre, la Eva Duda Dance Company mescola musica, arti visive e danza per esprimere l’appassionata natura della vita interiore dell’artista messicana. Traducendo in movimento le tensioni della sua pittura e ripercorrendo i momenti decisivi della sua vita, la coreografia diretta dall’artista ungherese Eva Duda esplora il rapporto tra dolore e creatività che ne ha caratterizzato l’intera esistenza. Non una semplice trasposizione della biografia di Frida Kahlo dunque, ma una visione teatrale di un mondo sensibile e pieno di colore, ispirato al percorso di vita dell’artista che, tra sfide e tragedie affrontate, ha molto da insegnare sull’amore, il potere e la fede nella vita stessa.
La danza contemporanea diventa strumento per raccontare una figura che ha trasformato la sofferenza in arte, creando un ponte tra il Messico del Novecento e la sensibilità di oggi. Lo spettacolo rievoca l’atmosfera del Sud America attraverso immagini forti, incarnando il Realismo Magico, le storie d’amore appassionate e la straordinaria cultura che hanno segnato i momenti decisivi della vita di Frida Kahlo. Coreografa e regista pluripremiata, Eva Duda è nota per la creazione di spettacoli teatrali, coreografie di danza contemporanea, sfilate di moda, video musicali, musical e spettacoli d’opera. Frida si inserisce nel repertorio della Eva Duda Dance Company che, riconosciuta come uno dei gruppi di arti performative indipendenti più affermati in Ungheria e noto in tutta Europa, da quindici anni sviluppa un linguaggio che combina forme classiche, danze popolari con elementi di nuovo circo e musica dal vivo. In scena Eleonora Accalai e Tibor Kováts, accompagnati dai ballerini della compagnia. I costumi sono di Kató Huszár e Julcsi Kiss, mentre le scene portano la firma della stessa Eva Duda. Diletta Rostellato
DANZA Pokemon Crew | Hashtag Déclic 10, 11 ottobre Teatro Malibran www.teatrolafenice.it
Sul palco del Teatro Malibran, la Pockemon Crew trasforma l’hiphop in esperienza visiva e sensoriale. In Hashtag Déclic, prima assoluta 2025, la compagnia guidata da Riyad Fhgani esplora il corpo contemporaneo plasmato dagli schermi: gesti automatici, posture rigide, ritmi imposti dalle tecnologie diventano materia scenica, senza perdere calore umano. La musica originale di Alice Orpheus, le luci di Rudy Muet e i video di Angélique Paultes creano un universo in bilico tra reale e virtuale, accelerato e sospeso, in cui ogni movimento racconta la tensione tra connessione digitale e desiderio di contatto autentico.
Fondata alla fine degli anni Novanta sul piazzale davanti all’Opéra di Lione, la Pockemon Crew è oggi uno dei collettivi di breakdance più premiati al mondo. Dal 2004, sotto la guida di Fhgani, ha elaborato un linguaggio coreografico sofisticato che unisce tecnica impeccabile, energia irrefrenabile e poesia dei corpi. Con dodici coreografie prodotte e tournée in oltre cinquanta Paesi, la compagnia ha conquistato più di un milione di spettatori, attraversando stili e culture costruendo una fortissima cifra identitaria.
Hashtag Déclic è un viaggio tra ritmo e immagini, un’indagine sul corpo digitale che restituisce centralità al calore del gesto umano, immergendo lo spettatore in un mondo di sorprendente familiarità. Con questa nuova produzione Pockemon Crew conferma la propria capacità di fondere innovazione e poetica della danza urbana, restituendo energia e misura al nostro tempo tecnologico. C.S.
ENG On the stage of Teatro Malibran, Pockemon Crew transforms hip-hop into a visual and sensory experience. In Hashtag Déclic, a 2025 world premiere, the company led by Riyad Fhgani explores the contemporary body shaped by screens: automatic gestures, rigid postures, and tech-driven rhythms become choreographic material, without losing human warmth. Original music by Alice Orpheus, lighting by Rudy Muet, and video by Angélique Paultes create a world suspended between real and virtual. Founded in the late ‘90s in Lyon, Pockemon Crew is now one of the most awarded breakdance collectives globally. With twelve productions and tours in over fifty countries, the dance company sold over a million tickets to their shows. Hashtag Déclic is a poetic, rhythmic journey of urban dance that reclaims the human gesture in a tech-saturated world.
Calore umano
Due atti per Venezia Grandi capolavori al Malibran per il festival firmato Tocˇnadanza
Michela Barasciutti e la sua Compagnia Tocˇnadanza riescono ancora una volta a regalare al pubblico veneziano due momenti di eccellenza nella danza, confermando la vocazione della compagnia a sostenere la qualità italiana in dialogo con il mondo. Siamo alla 17. edizione di VeneziainDanza, che si terrà in due weekend tra fine novembre e inizio dicembre al Teatro Malibran: il festival più longevo ospitato a Venezia e organizzato da una compagnia di danza privata. Produzioni spesso create ad hoc per l’occasione o presentate in prima assoluta in Italia, tutte con allestimenti curati e nomi prestigiosi. La prima rappresentazione è Carmina Burana del Balletto Nazionale del Kosovo, il cui debutto è avvenuto lo scorso giugno a Pristina. Cinque sezioni che contengono un totale di 25 movimenti, tra cui il celeberrimo O Fortuna : uno dei capolavori musicali e scenici del Novecento, con l’ambientazione medievale e la musica corale e ritmica di Carl Orff. Nel parlarne, Michela Barasciutti si commuove e confessa che si tratta del primo balletto visto da bambina, forse la spinta primigenia che l’ha condotta a diventare una delle danzatrici italiane più acclamate.
Punto centrale di questa rappresentazione è la coreografia di Toni Candeloro, nome di spicco della danza italiana, ballerino a Verona, Zurigo, Bonn, San Pietroburgo (è stato anche partner danzatore di Rudolf Nureyev), ma anche colto coreografo, curatore di mostre, ricercatore e pedagogo. È conosciuto come specialista nella ricostruzione dei classici di Marius Petipa e del repertorio dei Ballets Russes di Diaghilev. Una danza neoclassica sostenuta da musica di forte dimensione ritmica, con richiami al folklore popolare, ma arricchita da luci moderne, laser ed effetti speciali. In scena sedici solisti e ventotto danzatori del corpo di ballo.
Il secondo appuntamento è in doppia serata: Giulietta e Romeo, una lettura contemporanea ma rispettosa delle musiche originali di Prokof’ev, firmata dal Balletto di Roma. Con oltre cinquanta repliche e 200.000 spettatori, è ormai un classico imperdibile. Fabrizio Monteverde, nato attore e poi divenuto regista e coreografo, ne è l’anima immaginifica. Non siamo né nel Medioevo scaligero di Luigi da Porto né alla fine del Cinquecento, come nella tragedia di Shakespeare, ma nell’oscuro e cupo periodo del dopoguerra. Lo spettatore potrebbe avere l’impressione di trovarsi in pieno cinema neorealista. Non a caso Monteverde ha lavorato anche per il teatro e il cinema: sue le coreografie di La luna incantata (1992), film televisivo diretto da Vittorio Nevano e prodotto dalla Rai, con Alessandra Ferri e il Balletto di Toscana, premiato con il Palmarès d’oro al Festival della Televisione di Cannes. Ci attende una narrazione potente e lirica, ma al tempo stesso crudele. Loris Casadei ENG Michela Barasciutti and her company Tocˇnadanza once again offer the Venetian audience two outstanding dance performances, reaffirming their mission to promote Italian excellence in dialogue with the world. Now in its 17th edition, VeneziainDanza returns across two weekends between late November and early December at Teatro Malibran, making it the longest-running dance festival in Venice produced by a private company. The first performance is Carmina Burana by the Kosovo National Ballet, choreographed by renowned Italian dancer and choreographer Toni Candeloro. Sixteen soloists and twenty-eight corps dancers bring Carl Orff’s rhythmic masterpiece to life with neoclassical choreography and modern lighting effects. The second event is Romeo and Juliet by Balletto di Roma, a powerful and lyrical reinterpretation by Fabrizio Monteverde, set in a postwar world echoing Italian neorealism. A moving tribute to dance as narrative and resistance.
Una magica Sfera
A Padova il Festival Internazionale La Sfera Danza apre la sua XXII edizione il 4 ottobre con una insolita presenza al Complesso universitario di via Beato Pellegrino. Sabrina Cipolletta, ordinaria di psicologia sociale, guiderà il dibattito sulla raffinata produzione di Giacomo De Luca ((MO!))
La dimensione onirica e psico-cinematografica si adatta perfettamente all’ambiente, così come il testo tratto da Giornale notturno di Jan Fabre. L’artista ha già partecipato al College di Biennale Danza nel 2022. Ne Sarebbe stato felice spettatore il grande antropologo Ernesto De Martino, nel seguire questo indagare non convenzionale volto a trovare il fremito che incarna l’espressione radicata nel Centro Sud del titolo. Divertente e colorata sarà l’esibizione degli spagnoli di Alicante del gruppo Wako (11 ottobre), e ancora più esilarante sarà, in caso di maltempo, potervi assistere nell’austera sede del Circolo Unificato dell’Esercito in Prato della Valle, che, grazie all’intelligente direttore, si sta sempre più aprendo alla città. Nel pomeriggio, le piazze saranno invase dai giovani del Padova Dance Project, con il loro “filo rosso”, scatenati nel coinvolgere spettatori e rispettabile cittadinanza impegnata nello shopping per le vie del centro. Per ovvie ragioni di spazio rimando al sito per la consultazione del ricchissimo cartellone, ma per gusto personalissimo non posso non citare Artemis Danza, che affronta la sfida di uno spazio ridottissimo nell’Oratorio di San Giorgio in Basilica del Santo sabato 18 ottobre con Sacro, una danza-preghiera ispirata al Cantico di San Francesco e circondata dal ciclo pittorico del 1384 di Altichiero da Zevio. Non va trascurato neppure Il Canto di Orfeo (1 novembre) dei danzatori Piuzzo e Quagliotti, all’Oratorio di San Michele vicino alla Torlonga: qui gli affreschi di Jacopo da Verona di fine Trecento assisteranno alla discesa di Orfeo, ripreso dalle Georgiche di Virgilio. Un tema d’attualità, visto anche nel bel film di Villoresi alla recente Mostra veneziana. Dopo sedici performance e dieci presenze nella Showcase Vetrina di giovane danza d’autore alla presenza di direttori artistici e giornalisti da ogni dove, la chiusura è affidata a The Codarts Dance Company di Rotterdam, che, al Teatro Verdi il 23 novembre presenta vari brani di famosi coreografi, fra i quali non poteva mancare Sir Wayne McGregor, direttore (con grandi meriti, lasciatemelo dire) da quattro anni della Biennale Danza. Loris Casadei
Passione totale
Intervista Gabriella Furlan Malvezzi
Direttrice Artistica Padova Festival Internazionale La Sfera Danza di Loris Casadei
Con Gabriella Furlan Malvezzi la danza italiana ha una guida attenta e appassionata. Ballerina prima, insegnante e coreografa poi, ha attraversato teatri e palcoscenici nazionali e internazionali, portando sempre con sé la curiosità e la passione che oggi guidano la sua direzione artistica. Dal 2019 dirige il Festival Internazionale La Sfera Danza di Padova, portandolo a esplorare coreografie italiane e internazionali, mescolando tradizione e innovazione, spazi teatrali e luoghi insoliti della città. In questa conversazione racconta il suo percorso, i progetti più recenti e la visione che anima la 22esima edizione del festival, con uno sguardo attento all’inclusione, alla sostenibilità e al dialogo tra generazioni e culture.
Il Festival si propone di valorizzare l’identità italiana in Italia e all’estero. Ma si può ancora parlare di un’identità italiana?
Sì, perché l’artista italiano possiede uno stile e un linguaggio unico: risalta la passione e il cuore nello spettacolo, rispetto alla tecnica dei performers del Nord, ad esempio. L’obiettivo del Festival è intercettare questa passione e offrire agli artisti l’occasione di presentarsi. Sempre di più oggi, poi, il danzatore e il coreografo coincidono, o il coreografo si arricchisce del contributo partecipativo dei danzatori.
Photo Arash Nikkhah
Photo Bettina Stöss
Uno degli obiettivi del Festival è presentare un vasto panorama di danza, mescolando proposte coreografiche innovative e tradizionali.
Il cartellone è volutamente molto vario. Ho voluto differenziare sia nella scelta dei luoghi – aprendo spazi mai utilizzati prima per la danza – sia nelle tipologie di performance. Per “tradizionale” intendo uno stile che lavora sulle tecniche corporee o tende a creare spettacolo ma non osa; per “innovativo” ciò che esplora nuove aree, sceniche, coreografiche o tematiche.
E per quanto riguarda sostenibilità e inclusione?
Abbiamo stabilito un legame con realtà del territorio che sostengono persone con problemi familiari, che parteciperanno attivamente alle nostre rappresentazioni. In particolare, nel Padova Dance Project guidato da Jessica D’Angelo, saranno coinvolte anche persone affette da autismo. Sarà un’esplorazione urbana tra bisogno di libertà e necessità di cooperare e creare connessioni.
Le sedi degli spettacoli sono molto varie, oltre ai teatri e alle piazze cittadine.
Utilizziamo università, siti UNESCO, spazi legati all’esercito… L’obiettivo è valorizzare non solo l’esecuzione della performance, ma anche il luogo stesso, in un’ottica di reciprocità. I luoghi sacri, un tempo pieni di vita, rischiano oggi di essere musealizzati: l’arte moderna, il movimento dei danzatori possono aprire una nuova visione per il pubblico, restituendo ai luoghi un senso di magia e mistero. Peccando di presunzione, è un po’ come riportarli a vivere.
Questione d’imprinting
Intervista Maria Cargnelli | danzatrice e performer
di Loris Casadei
Tra le numerose prime del Festival La Sfera Danza, domenica 26 ottobre al Teatro Quirino De Giorgio a Vigonza c’è quella italiana di Signe-moi l’éphémère, della Compagnia francese BitterSweet. Coreografa Perle Cayron, interprete a sorpresa Maria Cargnelli, veneziana doc, figlia di genitori artisti: ballerina la madre, Kurator il padre. Dopo i primi studi a Venezia, Maria si trasferisce a Cannes alla Scuola Superiore di danza e oggi vive a Marsiglia, mentre la sede della Compagnia è a Versailles. Lo spettacolo esplora la fugacità dell’istante, il carattere effimero della vita e la fragilità dei ricordi. Persa in un mare di fotografie, la danzatrice ci conduce in un viaggio emozionante attraverso memorie personali e momenti di vita altrui, svelando un percorso dove l’effimero diventa tangibile.
Maria, raccontaci di cosa parla la tua performance.
Parla dei ricordi, di come noi stessi siamo frutto dei nostri ricordi e dei ricordi dei nostri cari. La vita scorre veloce e viene vissuta guardando al futuro, ma può essere raccontata e compresa solo grazie al passato. La performance si compone di tre capitoli, ognuno introdotto da una rappresentazione fotografica sullo sfondo. Il primo narra di come una piccola bimba vive la separazione dei genitori. Gli altri… beh, lasciamo un poco di mistero per gli spettatori.
Perché ti troviamo in Francia e non in Italia?
L’avvio della mia carriera è stato casuale: ho partecipato a diverse audizioni e in Francia ho trovato subito una compagnia che mi valorizzasse. Avevo solo quindici anni e i miei genitori mi hanno sostenuta. Ho ottenuto il primo contratto con il Balletto Nazionale di Marsiglia. Inoltre, la Francia offre diversi aiuti economici che permettono di dedicarsi completamente alla danza. L’aria che si respira qui è davvero diversa.
Ma è vero secondo te che esiste una specificità italiana nella danza?
Lo dico col cuore e non saprei razionalizzare, ma sì, imprinting, intensità, calore permettono in genere di individuare un artista italiano tra gli altri.
Signe-moi l’éphémère 26 ottobre Teatro Quirino De Giorgio-Vigonza www.lasferadanzafestival.it
Photo Helene Le-Goff
GIOIELLI NASCOSTI DI VENEZIA
SCALA DEL BOVOLO
San Marco 4303
COMPLESSO DELL’OSPEDALETTO
Barbaria de le Tole, Castello 6691
CHIESA DELLE PENITENTI
Fondamenta Cannaregio 890
ORATORIO DEI CROCIFERI
Campo dei Gesuiti, Cannaregio 4904
theatro COMICI
KATIA FOLLESA
No vabbè mi adoro
Katia Follesa torna sul palco con No vabbè mi adoro, il suo nuovo spettacolo da solista. Attrice e comica tra le più amate, nota per la brillante carriera televisiva e teatrale, porta in scena il suo umorismo travolgente fatto di ironia, osservazioni taglienti ed energia contagiosa. Tra relazioni, abitudini moderne e piccole follie quotidiane, Katia trasforma situazioni comuni in momenti di puro divertimento, alternando leggerezza e riflessione con il suo inconfondibile stile. «Sono sempre stata giudicata per la mia bellezza, che per carità mi ha aiutato tanto, soprattutto all’inizio. Ma passare dalle sfilate e shooting alla comicità non è stato facile. Con questo spettacolo voglio dimostrarvi che, oltre a essere indiscutibilmente bella, faccio anche ridere!». Un autoritratto ironico e liberatorio che segna una tappa importante del percorso artistico di Katia Follesa e restituisce al pubblico la forza ironica e intelligente della sua comicità.
14 novembre h. 21.15 | Teatro Corso-Mestre
LUCA BIZZARRI
Non hanno un dubbio
Dopo il successo di Non hanno un amico, Luca Bizzarri torna in scena con Non hanno un dubbio, nuovo capitolo di un percorso che intreccia teatro, satira e attualità. Ispirato al podcast e al libro che hanno conquistato un vasto pubblico, lo spettacolo conferma il talento dell’attore genovese nel trasformare la cronaca politica e sociale in un racconto tagliente e irresistibile. Nato come ritratto ironico di una campagna elettorale, il progetto si è presto imposto come fenomeno di costume, passando dalla pagina scritta al web e infine al palcoscenico, dove la sua forza trova la dimensione più autentica. In un’epoca in cui la Storia accelera senza tregua, anche lo sguardo di Bizzarri si rinnova costantemente, cogliendo con irriverente intelligenza le storture del presente e restituendole al pubblico in uno specchio impietoso e mai banale. 15 novembre h. 21 | Teatro Toniolo-Mestre
SABINA GUZZANTI Liberidì Liberidà
Con Liberidì Liberidà Sabina Guzzanti torna al monologo, mescolando satira feroce e critica sociale. Al centro c’è la libertà, parola abusata e smarrita in un’era di cambiamenti convulsi, tra politica urlata, lavoro precario e tecnologia affidata a pochi esaltati irresponsabili. Da anni impegnata in un immaginario dialogo con leader come Meloni e Schlein, Guzzanti racconta con ironia il paradosso di chi cerca di “attenuare il danno” senza alcun ritorno, se non quello di trasformare l’esasperazione in spettacolo. Nascono così le sue conferenze–show, che i più giovani chiamano stand up comedy, ma che mantengono intatta la sua cifra più autentica: il sarcasmo impietoso, la lucidità nel cogliere le ambiguità della realtà, l’arte di ribaltare l’ovvio. Attrice, autrice e icona della satira, Guzzanti non consola e non addolcisce: smonta la retorica e la riconsegna al pubblico sotto forma di un’irresistibile risata amara. 21 novembre h. 21.15 | Teatro Corso-Mestre
YOKO YAMADA Stellina Scintillina
Yoko Yamada, comica nata a Brescia da madre italiana e padre giapponese, ha scoperto la stand-up comedy nel 2017 e da allora non ha più lasciato il palco. Con Stellina scintillina porta in scena uno spettacolo che alterna leggerezza e provocazione, affrontando temi scomodi con ironia disarmante. Le domande che la tormentano di notte diventano spunti brillanti e corrosivi: cosa fare se la scrittrice preferita è transfobica, se l’attore di culto molesta i ragazzini o se il pittore amato era un razzista? A metà strada tra riflessione e nonsense, Yoko intreccia attualità, feste di compleanno per bambini, Chat GPT e orde di salmoni, smontando certezze e tabù con lucidità irriverente. Un viaggio comico intelligente e imprevedibile che mette in discussione icone, tradizioni e paradossi del nostro presente, senza paura di ridere anche dell’indicibile. 28 novembre h. 21 | Teatro Toniolo-Mestre
www.dalvivoeventi.it
BIOPOLITICA DEL CORPO
Bombardati, schiacciati, deformati, corrotti: sono i corpi della contemporaneità, aggrediti dalla biopolitica esercitata su scala molteplice, dalla dimensione globale a quella intracellulare. Il corpo come campo di significati, centrale nelle riflessioni contemporanee da Foucault ad Agamben, è l’orizzonte di senso da cui parte il gesto artistico di Thomas Schütte, la cui personale Genealogies, in corso fino al 23 novembre a Punta della Dogana, ora viene arricchita da una rassegna cinematografica di ricerca sul medesimo tema curata dal grande critico francese Dominique Païni, ospitata al Teatrino di Palazzo Grassi. Otto giorni per sedici titoli che spaziano dal muto ai territori più promettenti del cinema attuale, in un percorso che induce lo spettatore a insistere con lo sguardo sui corpi e ancor più sulla loro deformazione, interpretando così tanto il gesto di Schütte quanto la personalissima varietà di stili, approcci, materiali e tecniche con cui l’artista ha esplorato un tema tanto centrale quanto drammaticamente attuale. Lungi dal promuovere uno sguardo morboso per eccesso di vicinanza, l’arte di Schütte adopera il filtro salvifico dell’ironia schelegeliana: un distacco che diventa necessario appello al soggetto, richiamo continuo alla presenza, alla fruizione partecipe e fertile. Così il cinema scelto da Païni non è un’illustrazione pedissequa dei temi trattati dal maestro tedesco, quanto una ricerca a latere per immagini in movimento del medesimo tema nel tessuto del cinema. Cioè del dispositivo più innervato dalle tensioni profonde della contemporaneità. Ci sono la sproporzione e la fisicità alterata, connesse alla comicità e al grottesco, da Il testone di Pierrot a Buonasera - Testa di donna, dell’epoca del muto, prodiga di esperimenti sui simulacri dei corpi. C’è la deformazione intenzionale o meno, come nel Frankenstein di Whale o in The Fly di Cronenberg, passando per il B movie Radiazioni BX: distruzione uomo di Arnold. Sul tema si pronunciano due film recenti di culto, Titane di Ducournau e la commedia affettuosamente surreale Vi presento Toni Erdman di Ade: storie di abuso di corpi a opera delle tensioni prodotte dalla vita contemporanea, dal potere che insiste nelle dinamiche relazionali. Corpi costretti, contenuti, compressi: come nel pigmalionico Cantico dei cantici di Mamoulian, con una Dietrich al massimo dell’espressività fisica, o come nell’irresistibile e profetico Mio zio di Tati, dove il corpo del protagonista è costretto ad adattarsi a una modernità che amplifica l’inadeguatezza dell’umano e il riso nasce dal distacco ironico, da una lucida, programmatica quanto agghiacciante, distanza. Corpi come terreno di abusi, come nella favola nera Earwig di Hadzihalilovic o nel feroce ed elegante Un angelo alla mia tavola di Jane Campion, dove la dimensione psichica e quella fisica appaiono saldate e lo sguardo femminile e femminista diventa indispensabile per comprendere il dramma del controllo. Il cinema come indagatore della contemporaneità attraverso l’indagine sui corpi trova la sua summa concettuale in Stalker di Tarkovskij, sci-fi metafisico che considera il corpo come soglia spirituale, tramite per raggiungere una dimensione insondabile, sconfinata, libera dalla prigione della materia.
Bombed, crushed, deformed, corrupted: these are the bodies of our time, assaulted by biopolitics operating on multiple scales, from the global to the intracellular. The body, as a field of meaning and a central theme in contemporary thought from Foucault to Agamben, is the horizon of significance from which Thomas Schütte’s artistic gesture emerges. His solo exhibition Genealogies, on view until November 23 at Punta della Dogana, is now enriched by a curated film series on the same theme by renowned French critic Dominique Païni, hosted at the Teatrino di Palazzo Grassi.
Over eight days, sixteen films, ranging from silent cinema to the most promising territories of contemporary film, invite viewers to focus on bodies and, even more so, on their deformation. This mirrors both Schütte’s artistic approach and the wide variety of styles, materials, and techniques he uses to explore a theme as central as it is urgent. Far from promoting a morbid gaze through excessive closeness, Schütte’s art employs the salvific filter of Schlegelian irony: a necessary detachment that becomes a call to the subject, a continuous invitation to presence and engaged, fertile reception. Païni’s film selection is not a literal illustration of Schütte’s themes but a parallel exploration of the same subject through moving pictures, with cinema being the medium most deeply infused with the tensions of our time. From grotesque physicality in silent films to intentional or accidental deformation in Frankenstein, The Fly, or BX: Destroyer of Men, the series spans genres and eras. Cult films like Julia Ducournau’s Titane and Maren Ade’s Toni Erdmann explore bodily abuse under contemporary pressures, while My Uncle and Song of Songs reflect on constrained bodies in modernity. Films like Earwig and An Angel at My Table highlight the abuse of bodies through a feminist lens.
Thomas Schütte, le metamorfosi del corpo 15, 22, 29 ottobre; 5, 12, 19, 26 novembre, 3 dicembre Teatrino di Palazzo Grassi www.pinaultcollection.com
di Riccardo Triolo
PROGRAMMA
15 ottobre
Grandi e piccoli
h. 18
The Fly (1986, 96’), David Cronenberg
h. 20
Radiazioni BX: distruzione uomo (1957, 81’), Jack Arnold
22 ottobre
Uomini usciti dalla terra
h. 18
Fatty a Parigi (1920, 39’’), Anonimo
Risate e lacrime (1902, 52’’), Anonimo
Frankenstein (1931, 70’), James Whale
h. 20
Il testone di Pierrot (1900, 35’’), Anonimo
Buonasera - Testa di donna (1910, 14’’), Anonimo
Il Golem – Come venne al mondo (1920, 76’), Paul Wegener
29 ottobre
Giochi di società
h. 18
La morte ti fa bella (1992, 104’), Robert Zemeckis
h. 20
Vi presento Toni Erdmann (2016, 162’), Maren Ade 5 novembre
Forme dell’informe
h. 18
Titane (2021, 108’), Julia Ducournau
h. 20
The Abyss (1989, 140’), James Cameron
12 novembre
Redivivi
h. 18
Nightmare – Dal profondo della notte (1984, 91’), Wes Craven
h. 20
Solo gli amanti sopravvivono (2013, 123’), Jim Jarmusch 19 novembre
Infanzie inquietanti
h. 18
Earwig – La bambina con i denti di ghiaccio (2021, 114’), Lucile Hadzihalilovic
h. 20
Un angelo alla mia tavola (1990, 158’), Jane Campion
26 novembre
Uomini a casa
h. 18
Mio zio (1958, 116’), Jacques Tati
h. 20
Stalker (1979, 162’), Andrei Tarkovski
3 dicembre
Vedere e toccare
h. 18
Il cantico dei cantici (1933, 90’), Rouben Mamoulian
h. 20
Showing Up (2022, 107’), Kelly Reichardt
Solo gli amanti sopravvivono di Jim Jarmusch (2013)
cinema
PRIME VISIONI
La donna dietro il mito
Intervista Teona Strugar Mitevska
di Marisa Santin
Film di apertura della sezione Orizzonti alla scorsa Mostra del Cinema di Venezia, Mother di Teona Strugar Mitevska ripercorre un episodio poco noto della vita di Madre Teresa, restituendo l’immagine di una donna complessa, determinata e profondamente umana. In questa intervista la regista macedone riflette sulla costruzione del personaggio, sui contrasti di una città come Calcutta e sulla collaborazione con Noomi Rapace e Sylvia Hoeks, protagoniste di un’opera che intreccia storia, fede e questioni contemporanee di genere e potere.
Cosa l’ha portata a concentrarsi su un momento così particolare e poco noto della vita di Madre Teresa?
Sono i dettagli a rivelare o a costruire un personaggio; sono i momenti a fare una vita. Per me era chiaro fin dall’inizio che girare un film su una figura storica significasse scegliere un momento cruciale che definisce chi è e come cambia nel tempo. Ma la mia ricerca va oltre: volevo fare un film su una persona, non su una santa. La donna dietro il mito. Quindici anni fa realizzai una serie documentaria, Teresa and I. Fu allora che scoprii la ricchezza e la complessità del personaggio di Madre Teresa, così diverso da ciò che abbiamo visto e sentito nei media. Mi innamorai della sua forza di carattere, della sua determinazione, della sua ambizione. Ed è questo che credevo il mondo avesse bisogno di scoprire e conoscere. Da lì in poi si trattava di trovare il formato giusto per la storia, un formato che potesse includere tutte le idee per me fondamentali: femminilità, sorellanza, colonizzazione, sfruttamento capitalistico…
Come ha lavorato per rendere la complessità interiore della protagonista e allo stesso tempo l’atmosfera di Calcutta nel 1948?
I due mondi raccontati nel film sono agli antipodi, il contrasto è netto e doloroso: il caos delle strade di Calcutta contro la serenità del convento di Loreto a Entally, luce contro oscurità, silenzio contro rumore assordante, sicurezza e abbondanza contro morte e povertà. Il periodo storico era caratterizzato da grandi cambiamenti: la fine del dominio coloniale britannico, la spartizione dell’India e le conseguenze ancora vive della carestia bengalese. Madre Teresa, allora giovane donna, fu testimone di tutto ciò. Le regole erano chiare: avrebbe dovuto restare racchiusa nel paradiso artificiale del convento di Loreto, una condizione che non riusciva più a sopportare. L’uso attento e calibrato di questo contrasto, unitamente alla cornice temporale di sette giorni, ha contribuito a intensificare la sua vita interiore. Attraverso la narrazione in flusso di coscienza, lo spettatore può vedere il mondo attraverso i suoi occhi, entrando in contatto diretto e vivido con un personaggio di un’altra epoca.
Nei suoi film spesso racconta storie di donne che sfidano le convenzioni. Vede un filo conduttore che collega Mother a titoli come Dio è donna e si chiama Petrunya o The Happiest Man in the World ?
È vero, tutte le mie protagoniste femminili fanno proprio questo, e anche Mother, la più audace di tutte. Era una CEO, un generale d’armata, una ribelle e una Robin Hood. Non vedo il suo carattere così distante da chi sono io, una donna di oggi. La sfida era proprio quella: incorporare questo aspetto contemporaneo nel suo personaggio. La storia si svolge quasi un secolo fa, eppure lei non è diversa da te o da me. È la prova che le donne hanno sempre combattuto e si sono ribellate, allora come oggi. Portando questi personaggi sul grande schermo, rivendico il nostro diritto a essere: imperfette, bellissime e libere. Paragonerei il processo di costruzione del film all’intrecciare un labirinto: riguarda tanto la costruzione della storia quanto il rapporto tra noi sceneggiatori (Goce Smilevski e Elma Tataragic´) e il mio desiderio di affrontare i punti che ci stanno a cuore. Il film solleva questioni intellettuali serie e urgenti: potere, ambizione, ruoli di genere. Fin dall’inizio era fondamentale proporre un personaggio storico femminile senza cadere nella trappola delle solite nozioni romantiche della donna o madre perfetta, ma mostrando invece un’entità complessa e sfaccettata.
Nei suoi film i luoghi sembrano avere la stessa importanza dei personaggi. Pensando a Calcutta in Mother, o a Skopje e Sarajevo nei suoi lavori precedenti, cosa significa per lei “filmare un luogo”?
Filmare un luogo significa raccontare una storia, ed è uno dei momenti più belli del mio lavoro di regista. Mi è capitato di cambiare intere scene a causa di una location. Ma per Mother è stato diverso: diverso da tutto quello che avevo fatto prima. Stavo girando in una terra nuova, dentro una cultura che conoscevo appena. Ad esempio, il loro concetto di “adesso”, la loro percezione del tempo è completamente diversa dalla nostra. È facile, da occidentale, cercare di imporre le proprie idee, presentarsi come superiore – in fondo il co-
Mother di Teona Strugar Mitevska Dal 16 ottobre al cinema
The woman ENG behind the myth Volevo fare un film su una persona, non su una santa
Mother by Teona Strugar Mitevska revisits a little-known episode in Mother Teresa’s life, portraying a complex, determined, and deeply human woman. In this interview, the Macedonian director reflects on building the character, the contrasts of Kolkata, and her collaboration with Noomi Rapace and Sylvia Hoeks.
What made you focus specifically on this little-known moment in Mother Teresa’s life?
I wanted to make a film about a person like you and me, not a saint – the woman behind the myth. Fifteen years ago, I made a documentary series, Teresa and I. It was then that I fell in love with the strength of her character, her drive, her ambition. Everything after that was about finding a format that would include all the ideas I find dear: womanhood, sisterhood, colonization, capitalist exploitation…
How did you work to convey both the inner complexity of the protagonist and the atmosphere of Kolkata in 1948?
The two worlds portrayed stand as complete opposites: the chaos of the streets of Kolkata versus the serenity of the Entally Loreto convent, light versus dark, quiet versus unbearable noise, security and plentitude versus death and poverty. This was a moment of great change: the end of the British colonial rule, the division of India, the leftovers of the Bengali famine. Mother Teresa, then a young woman, was a witness to it all. The careful modulation of this contrast, together with the seven-day time frame helped intensify Mother ’s inner life.
lonialismo si è fondato proprio su questo. Ho dovuto fare un grande sforzo per mettere da parte i miei preconcetti, per iniziare a vedere e ad ascoltare come fanno loro, per imparare. Solo allora ho iniziato davvero a filmare il luogo. E naturalmente rivedere tutti i film di Satyajit Ray non mi ha fatto per niente male: è stata una vera lezione di umiltà.
Questo è il suo primo film in inglese e con un cast internazionale, guidato da Noomi Rapace e Sylvia Hoeks. Come ha vissuto questa esperienza? Ho sempre desiderato girare un film in una lingua diversa dalla mia e ho preparato a lungo questo momento. Si tratta di avere la sicurezza di sentirsi pronti. Ora che ho fatto il salto, mi chiedo perché non l’abbia fatto prima. È straordinario lavorare con attrici della statura di Noomi e Sylvia. Con Noomi abbiamo preparato il personaggio per un anno e mezzo. Non si trattava tanto di provare, quanto di lavorare sull’incarnare davvero il personaggio. Dal punto di vista della regia, è stato impressionante vivere la sua trasformazione completa. Non dimenticherò mai il momento della rivelazione: mi chiamò con una voce tremante, immersa in una fragilità che non avevo mai percepito prima. Aveva paura. E proprio allora capii che era arrivata: aveva incarnato pienamente il personaggio, persino la paura più profonda. Trovare la fragilità dentro la forza del personaggio di Mother fu l’ultimo passo. Ancora oggi ricordo con emozione l’istante esatto in cui capii che eravamo arrivate a un punto di convergenza tra tre percorsi di vita: quello di Noomi, il mio e quello di Mother. Eravamo una cosa sola. Sylvia arrivò un po’ più tardi. Cercavo qualcuno che potesse essere l’opposto di Noomi, sia fisicamente che emotivamente. Nella mia mente continuava a tornare l’immagine di un salice piangente. Quando incontrai Sylvia, sentii immediatamente che era lei: lei il dolore, Noomi la forza dell’Uno.
You often tell stories of women who challenge conventions. Do you see a common thread connecting Mother with your previous films? All of my female characters do exactly that, and so does Mother, the most audacious of them all. She was a CEO, a general of an army, a rebel and a Robin Hood. I do not see her character as too far from who I am, a woman of today. A proof that women have always rebelled, then as well as now. By putting these characters on the big screen, I claim our right to be: imperfect, beautiful, and free.
In your films, places seem to carry as much importance as the characters themselves. What does “filming a place” mean to you? Filming a place is telling a story, and it is one of the most beautiful moments of my job. But Mother was unlike anything I had done before. I was shooting in a new land, within a culture I hardly knew. I had to make a deliberate effort to go against my pre-conceived notions, to start seeing and listening as they do. Only then did I truly start filming the place. And of course, reviewing all of Satyajit Raj’s films did me no harm...
This is your first film in English and features an international cast led by Noomi Rapace and Sylvia Hoeks. How was this new experience? I had always wanted to make a film in a language other than my own, and I had been planning this moment for a long time, and now that I have jumped into the water, I wonder why I didn’t do it earlier. It is amazing to work with actors of the stature of Noomi and Sylvia. With Noomi, we prepared the character of Mother for a year and a half. It was striking living through Noomi’s full transformation. I will never forget the moment she called me with a trembling voice, within a fragility I have never felt before. She was afraid, and it was then that I knew she had arrived. Finding frailty within the strength of Mother ’s character was the final step. That was when I knew we had reached a point of convergence of three life paths, Noomi’s, mine and Mother’s. Sylvia joined the picture a bit later. I was looking for someone who would stand as the opposite of Noomi, both physically and emotionally. When I met Sylvia, I immediately felt that she was the one: she as the sorrow, Noomi as the strength of a One.
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PRIME VISIONI
Come un padre
Guillermo del Toro ha inseguito il suo Frankenstein per oltre vent’anni. Ne è nato un film di maturità, intimo e consapevole, lontano dai territori più cupi e visionari dei lavori precedenti. Non è un horror in senso stretto, ma, come dice il regista, «una storia su cosa significa essere padre, essere figlio». Al centro c’è il legame tra Victor Frankenstein, scienziato-artista tormentato (Oscar Isaac), e il suo ‘figlio’ imperfetto (Jacob Elordi), che chiede solo di essere riconosciuto come umano. Il film insiste sulla fragilità di entrambi, sull’abisso che separa creatore e creatura, sull’impossibilità di colmare quel vuoto. Accanto ai due protagonisti, Mia Goth è splendida nel ruolo di Elizabeth, eterea e imbronciata come un ritratto preraffaellita, figura di amore e sacrificio, mentre Christoph Waltz, pur carismatico, rimane un po’ ai margini. La sua presenza è un tocco di classe che avrebbe meritato più spazio narrativo. Lontano dai suoi toni gotico-fiabeschi, il regista sceglie un passo più classico in cui però l’estetica rimane impeccabile, sostenuta da scenografie sontuose, luci che scolpiscono i volti, trucco prostetico al posto della CGI per dare ai corpi densità e peso. La storia resta quella di Mary Shelley, ma il regista ne esalta l’anima tragica e umana: l’uomo che osa creare la vita e la creatura che paga il prezzo dell’abbandono. Se il film ha un limite è la tendenza a spiegare troppo la simbologia del mito prometeico, talvolta spingendosi in declinazioni cristiane. Ma Frankenstein è anche, e soprattutto, un racconto sulla condanna della vita: per la Creatura, il vero orrore non è essere nata mostruosa, ma non poter morire. La morte, qui, diventa misericordia negata. Nel suo corpo imperfetto, la Creatura è un essere fragile, dolente, che guarda il mondo con lo stupore di un bambino e la fatica di un vecchio. Vorrebbe soltanto finire, ma il dono della vita ricevuto da Victor Frankenstein l’ha resa eterna prigioniera. È in questa pena senza scampo che Del Toro trova la sua nota più straziante, costruendo un film di ombre e compassione dove il vero orrore è restare vivi, quando la vita diventa intollerabile. Marisa Santin
Gioco di specchi
Arriva al cinema After the Hunt, appena passato alla Mostra del Cinema di Venezia nella sezione Fuori Concorso, che vede Luca Guadagnino avventurarsi su un terreno minato: quello delle accuse di molestie sessuali nell’era post #MeToo. Il regista di Call Me by Your Name propone un affresco teso e ambiguo, in cui le certezze si sgretolano tra alleanze mutevoli e desideri contrastanti. La storia si svolge a Yale, dove Alma (Julia Roberts), professoressa di filosofia prossima alla cattedra, vede vacillare sia la sua carriera che la sua intimità. Maggie (Ayo Edebiri), studentessa brillante e privilegiata, accusa Hank (Andrew Garfield), collega e amante di Alma, di aggressione sessuale. Alma si trova così in una posizione insostenibile: credere alla sua allieva o difendere l’uomo che ama. In questo dilemma si gioca l’intera trama del film: come conciliare empatia, lealtà, giustizia e desiderio quando ogni scelta sembra tradire una parte di sé? Guadagnino filma queste fratture con un’eleganza formale innegabile, ma anche con un’ironia tagliente, evocando talvolta un tono alla Woody Allen. Julia Roberts domina il film, offrendo un’interpretazione intensa di donna brillante, dura, ma profondamente incrinata. La sua Alma incarna la collisione tra una generazione forgiata dal femminismo accademico e una gioventù che, armata di un linguaggio nuovo, ridefinisce i rapporti di potere. Ciò che colpisce in After the Hunt non è tanto l’intrigo giudiziario, quanto il terreno in cui si sviluppa: quello del linguaggio. Il film è costellato di riferimenti filosofici – da Adorno ad Arendt – che non sono banali richiami accademici, ma strutturano gli scambi tra i personaggi. Alma crede ancora nel potere della conversazione come mezzo per sciogliere i dilemmi e tentare di arrivare a una verità.
Ma Guadagnino mostra anche l’impotenza di questo metodo di fronte a una generazione per la quale la parola è un atto politico, un’arma più che uno strumento di dialogo.
Julia Roberts è magistrale in questo ruolo: filosofa formata a pensare l’universale è travolta da affetti intimi che offuscano il suo giudizio, il suo ultimo confronto con Ayo Edebiri condensa lo scontro tra due modi opposti di concepire il dibattito… Delphine Trouillard
Frankenstein di Guillermo del Toro Dal 22 ottobre al cinema
After the Hunt di Luca Guadagnino Dal 16 ottobre al cinema
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SPECIAL SCREENINGS
La città che dorme René Clair porta la sua Parigi sospesa a Palazzetto Bru Zane
Immaginate Parigi, un secolo fa. Certo non vi aspettereste di vedere la Torre Eiffel svettare su una città immobile, sospesa nel tempo. Circa cento anni fa accadde davvero, ma solo in un film: Paris qui dort è lo spiazzante debutto di uno dei massimi geni della cinematografia francese, René Clair. Partendo da uno spunto fantascientifico, Clair si prese la libertà di trasformare Parigi in un palcoscenico onirico mescolando commedia, surrealismo e critica sociale. Il guardiano della Torre Eiffel si sveglia mentre Parigi, per la follia di uno scienziato, si è immobilizzata. La città diventa allora il parco giochi della sua fantasia e di quella dei suoi festosi compagni sfuggiti al ‘raggio diabolico’.
Opera insieme irriverente ed elegante, piena di spirito e di poetica allegria, Paris qui dort porta un vento di libertà contagiosa che riesce a oltrepassare il tempo e giungere fino a noi. Palazzetto Bru Zane ci invita il 13 novembre alle 19.30 ad una speciale proiezione del film, esattamente un cine-concerto, a cura di Marco Bellano, in cui le immagini mute di una Parigi in bianco e nero dialogano con il repertorio pianistico del romanticismo francese, eseguito dal vivo da Gabriele Dal Santo, creando un’atmosfera letteralmente senza tempo. Paris qui dort recupera la magia del cinema con una semplicità che ricorda Sherlock Jr. (1924) di Buster Keaton. Con questo primo film René Clair osa, per citare le sue parole, «riportare il cinema alle sue origini, per liberarlo da tutta la falsa arte che lo soffoca». Il film fu girato in economia di mezzi nel 1923, ma uscì nelle sale nel 1925. Nel primo montaggio si vedono ancora circolare alcuni passan-
ti. Un’altra versione, in cui tutto appare immobile, sarà distribuita in Inghilterra nel gennaio del 1925, poco prima dell’uscita del film a Parigi.
«Paris qui dort si presenta come un vero e proprio repertorio di tecniche e procedimenti cinematografici, la stasi e il movimento, il rallentato, l’accelerato, l’inversione. Una specie di manifesto catalogo di tutte le possibili regole grammaticali e sintattiche che il cinema, svincolato dalla letteratura e dal teatro, poteva utilizzare» (Giovanna Grignaffini, René Clair ). Composto in gran parte da riprese documentaristiche di Parigi, dei suoi famosi monumenti, dei suoi abitanti, dei veicoli che percorrono le sue strade, il film di Clair, nonostante tutte le sue longueurs e i suoi difetti di esecuzione, offre la visione originalissima di un altro, meraviglioso mondo.
ENG Imagine Paris a century ago: not bustling, but frozen in time beneath the Eiffel Tower. This surreal vision comes to life in Paris qui dort, the striking debut of French cinema master René Clair. Blending sci-fi, comedy, surrealism, and social critique, Clair transforms the city into a dreamscape. A watchman atop the Eiffel Tower awakens to find Paris immobilized by a mad scientist’s ray, turning the city into a playground for him and a few unaffected companions. Elegant and irreverent, the film radiates poetic joy and timeless freedom. On November 13 at 7:30pm, Palazzetto Bru Zane presents a film and concert event curated by Marco Bellano, where Clair’s silent images meet live performances of French Romantic piano music by Gabriele Dal Santo. Shot in 1923 and released in 1925, Paris qui dort is a cinematic manifesto of movement and stillness, echoing Buster Keaton’s Sherlock Jr. and Clair’s desire to free cinema from theatrical constraints.
Un cinema che va oltre la visione: la Casa di The Human Safety Net presenta una nuova stagione di INVOLVED! MovieLab for Sustainable ChangeMakers, rassegna in cui le immagini diventano strumenti di empatia, consapevolezza e partecipazione. Curato da Francesco Della Puppa, sociologo e docente all’Università Ca’ Foscari, il ciclo di proiezioni offre film tratti da storie vere che invitano a osservare la complessità del presente, trasformando la visione in esperienza attiva e comunitaria. Ogni incontro è occasione per riflettere su temi e valori centrali del nostro tempo, materia su cui si concentrano le attività della Casa di The Human Safety Net – migrazioni, diritti, lavoro, memoria, relazioni, sostenibilità, comunità –, attraverso narrazioni quotidiane capaci di farsi universali. Non un cinema “su” qualcuno, ma un cinema “con” qualcuno, che apre prospettive, pone interrogativi e restituisce dignità a voci spesso invisibili. Il primo MovieLab è il 22 ottobre, nell’ambito dell’evento Sports Arts and Human Rights del Global Campus for Human Rights, con la proiezione del cortometraggio The Right to Race, che racconta la storia di Dominic Lobalu, atleta originario del Sudan del Sud. Dopo la visione seguirà un momento di confronto sui temi dello sport, dei diritti umani e dei rifugiati, accompagnato da un cocktail di networking.
Come sottolinea il curatore Dalla Puppa: «Guardare il reale, oggi, è già un atto rivoluzionario. Con questa rassegna vogliamo costruire, visione dopo visione, una comunità che osserva, si interroga, si emoziona. Un invito ad abitare il presente con attenzione, a riscoprire la responsabilità dello sguardo e la potenza dell’ascolto».
ENG A cinema that goes beyond watching: The Human Safety Net presents a new season of INVOLVED! MovieLab for Sustainable ChangeMakers, where images become tools of empathy, awareness, and engagement. Curated by sociologist Francesco Della Puppa, the series features films based on true stories that invite reflection on key contemporary issues: migration, rights, work, memory, sustainability, and community. The first MovieLab, on October 22, screens The Right to Race, the story of South Sudanese athlete Dominic Lobalu, followed by a discussion on sport, human rights, and refugees.
INVOLVED! MovieLab | The Right to Race 22 ottobre Casa di The Human Safety Net, Piazza San Marco www.thehumansafetynet.org
Osservatorio sul futuro
Dal 14 al 17 ottobre torna per la terza edizione il BAIFF – Burano
Artificial Intelligence Film Festival, primo festival europeo dedicato al cinema realizzato con l’ausilio dell’intelligenza artificiale. Nato a Burano, il festival approda quest’anno alla Fondazione Querini Stampalia per le prime tre giornate e alla Casa di The Human Safety Net per la cerimonia di premiazione il 18 ottobre, consolidando il suo respiro internazionale e il legame con la città.
Il BAIFF si propone come laboratorio in cui arte e tecnologia si fondono, presentando cortometraggi e opere sperimentali capaci di ridefinire linguaggi e modalità narrative. I corti selezionati esplorano scenari inediti, dove l’AI diventa strumento creativo per ampliare i confini dell’immaginazione visiva.
Accanto alle proiezioni che concludono ogni giornata dalle ore 18 alle 19.30, il programma prevede un fitto calendario di conferenze e workshop. Si apre il 14 ottobre con Elvis Tusha, divulgatore e Senior Associate nel team AI di PwC Italy, noto per i suoi contenuti sui social dedicati a intelligenza artificiale e deep fake.
Il 15 ottobre sono protagonisti Massimo Toniato, autore di AI killed the video star, riflessione sull’impatto dell’IA nei media, e Manuel Macadamia, che conduce un laboratorio sul processo creativo del video. Il 16 ottobre interviene il professor Nicola Donti, filosofo e docente capace di unire divulgazione e stimolo al pensiero critico, mentre il 17 ottobre è la volta di Giancarlo Orsini, Training & Learning Manager di Banca Mediolanum e autore di GO, Chiudi gli occhi e guarda il tuo futuro, il primo libro in realtà aumentata. Il 18 ottobre alla Casa di The Human Safety, prima della cerimonia di premiazione, ospite d’eccezione è Roberto Pedicini, attore e doppiatore che ha dato voce a Jim Carrey, Kevin Spacey e a personaggi amatissimi come Pippo e Gatto Silvestro.
In attesa di conoscere i nomi dei vincitori non resta che godersi la ricca programmazione gratuita, approfittando del privilegiato osservatorio sul futuro e le nuove tecnologie che l’edizione 2025 di BAIFF offre al pubblico. C.S.
ENG The third edition of BAIFF – Burano Artificial Intelligence Film Festival and Europe’s first festival dedicated to films created with AI, will be back on October 14 to 17. It will open at Fondazione Querini Stampalia and conclude with an awards ceremony at The Human Safety Net on October 18. BAIFF is a lab where art and tech merge, showcasing short films and experimental works that redefine storytelling. Alongside daily screenings, the program includes talks and workshops with experts like Elvis Tusha, Massimo Toniato, Nicola Donti, and Giancarlo Orsini. On October 18, special guest Roberto Pedicini joins before the awards. The 2025 edition offers a rich, free program and a unique window into the future of creativity and technology.
3. BAIFF – Burano Artificial Intelligence Film Festival 14-18 ottobre Fondazione Querini Stampalia, Casa di The Human Safety Net baiff.eu
The Right to Race, still
Courtesy BAIFF – Burano Artificial Intelligence Film Festival 2025
Profondità di campo Fondazione di Venezia celebra il cinema di tutti i giorni
Venezia è stata fin dalla nascita del cinematografo una meta ambita dai cineasti di tutto il mondo, prova ne sia che gli stessi fratelli Lumière mandarono nel 1896 i loro operatori per filmare la città lagunare. Tuttavia è con l’uscita nel 1922 della Pathé Baby e del formato a ‘passo ridotto’, con la pellicola 9,5mm, che il cinema diventa ‘casalingo’, permettendo il proliferare dei cosiddetti film familiari. Grazie alla coppia di studiosi Nicoletta Traversa e Giuseppe Ferrari, fondatori dell’Archivio Ri-Prese, da qualche anno anche a Venezia si è incominciato a raccogliere le pellicole amatoriali, nei vari formati che si sono avvicendati negli anni (9,5mm, 16mm, 8mm, Super8) e a digitalizzarle. Con la messa online di RI-VE | Mappa di comunità, la nuova piattaforma interattiva ideata e realizzata da Archivio Ri-Prese insieme a Cineclub Venezia e sostenuta dalla Fondazione di Venezia attraverso il Bando Cultura, siamo di fronte ad una meravigliosa finestra spazio-temporale sulla storia dei film di famiglia amatoriali girati nella città lagunare.
Qui sono disponibili oltre mille filmati, per un totale di ventidue ore di riprese su più di seimila metri di pellicola. L’archivio, patrocinato da Veneto Film Commission, dà la possibilità di riscoprire gli angoli più nascosti di Venezia, anche quella minore molto amata da Francesco Pasinetti, e vedere parti della città che non esistono più, come il Ponte degli Scalzi in ferro, la Terrazza del Blue Moon al Lido o la piscina Rari Nantes – Ferrovieri.
Questo straordinario patrimonio filmico, destinato a crescere nel tempo, viene valorizzato da iniziative collegate alla Fondazione Home Movies – Archivio Nazionale del Film di Famiglia di Bologna
che dal 2002 si occupa del recupero, della salvaguardia e del riuso artistico dei film amatoriali: il festival Archivio Aperto, arrivato alla 18ª edizione, ne è un esempio e anche le piattaforme Memoryscapes ed Home Movies 100.
Oltre ad una testimonianza storica, i film familiari possono elevarsi in alcuni casi a forma artistica, sia attraverso la tecnica di riutilizzo ( found footage ), sia per la qualità intrinseca data dall’autore dietro la cinepresa. Un esempio emblematico sono i lavori degli anni ‘60 di Massimo Bacigalupo, cineasta underground fortemente influenzato dal New American Cinema: all’interno della Cooperativa Cinema Indipendente si occupò anche della divulgazione e della fruizione delle opere dei membri. All’epoca tradusse in italiano per Feltrinelli il libro di Stan Brakhage Metafore della visione e Manuale per riprendere e ridare i film (1970) un testo-viaggio di coscienza alla Joyce, fondamentale per il cinema underground e sperimentale.
Andrea Zennaro
ENG Since the birth of cinema, Venice has been a coveted destination for filmmakers worldwide. Even the Lumière brothers sent operators to film the lagoon city in 1896. But it was with the release of the Pathé Baby in 1922 and the 9.5mm format that cinema became “domestic”, sparking the rise of family films. Thanks to scholars Nicoletta Traversa and Giuseppe Ferrari, amateur films in formats like 9.5mm, 16mm, 8mm, and Super8 are now being collected and digitized in Venice. The new interactive platform RI-VE | Mappa di comunità, supported by Fondazione di Venezia, offers a time-traveling window into Venice’s amateur film history, with over 1,000 clips totalling 22 hours. The archive reveals hidden corners of the city and vanished landmarks, and it celebrates amateur film as both historical record and artistic expression.
More than words
La 44ª edizione delle Giornate del Cinema Muto di Pordenone, la decima diretta dallo storico e critico cinematografico Jay Weissberg, è, come di consueto, un’importante finestra sul cinema del passato come specchio per il presente e dà l’opportunità agli studiosi ed ai cinefili di tutto il mondo di scoprire e riscoprire gemme del florido e fervido periodo del muto, tutte rigorosamente orchestrate dal vivo. Jane Fleischer Reid, nipote di Max Fleischer, pioniere dell'animazione, e figlia del regista Richard Fleischer è l’ospite di quest’anno e, in suo onore, vengono proposti 16 cortometraggi con KoKo il Clown realizzati tra il 1920 e il 1928 dal nonno.
La kermesse si apre con il film italiano diretto da Augusto Genina, Cirano di Bergerac del 1922 e si chiude con Our Hospitality di Buster Keaton, codiretto nel 1923 con John G. Blystone. Il tradizionale evento di metà settimana, dal sapore antimilitarista, consiste in un montaggio di cinegiornali della grande guerra dal titolo Palestine - A Revised Narrative, per non distogliere lo sguardo dal genocidio in corso, abbinato al documentario The German Retreat and Battle of Arras. Da non perdere, domenica 5 ottobre, la proiezione dei kami firumu, 29 cortometraggi giapponesi degli anni Trenta realizzati su carta, spesso a colori, recuperati grazie al lavoro di preservazione di Eric Faden della Bucknell University della Pennsylvania, responsabile del Japanese Paper Film Project. Si riscopre la carriera attoriale della diva italiana Italia Almirante Manzini mentre, quest’anno, è la Liguria la regione che viene mostrata attraverso le pellicole di fine Ottocento e, tra i classici restaurati e rivisitati, sono presenti opere dei grandi maestri del muto tra cui Abel Gance con Le droit à la vie del 1916, Maurice Tourneur con The White Heather del 1919, Fritz Lang con Der müde Tod / Destino del 1921 oltre ai cortometraggi di Louis Feuillade. Andrea Zennaro
Muto 4-11 ottobre Pordenone www.giornatedelcinemamuto.it
È passato quasi inosservato alla Mostra veneziana il delicato film di Ana Cristina Barragán. Nella sezione Orizzonti ha tuttavia conquistato il premio per la miglior sceneggiatura. La trama è esile: una giovane ragazza è costretta dai familiari ad abbandonare il figlio, nato da una gravidanza non desiderata, in orfanotrofio. Si ritroveranno diciotto anni dopo. Ma la tecnica cinematografica è raffinata, piena di primi piani, attenti a cogliere sguardi così intensi che sembra di percepire l’odore dei corpi. Il titolo è Hiedra, ovvero Edera. La regista spiega la scelta del titolo per i caratteri contrastanti della pianta: tossica, ma seducente, lotta strenuamente per sopravvivere, capace di rigenerarsi anche nell’ombra e in condizioni ostili. È un racconto sospeso tra desiderio, identità e riconoscimento. L’incesto, mai consumato, ma possibile, rimane sempre sospeso. «I search something unordered in desire, unresolved...and always in search of what resists categorization. I’m drawn to the power of ambiguity...The jolt of the arm when it is the elbow that gets hit, the face that warms with anxiety…».
Il film mi ha ricordato la sensibilità del primo racconto della Yourcenar sul tema, Anna, pubblicato nel 1981 o, ancora prima, l’autocensurato Sangue Welsungo di Thomas Mann del 1905.
L’incesto. Tralasciamo la lunga sequenza di film dedicati a Beatrice Cenci, almeno sette, dal 1909 al 1969. Spesso tema morboso camuffato in storia. Abbandoniamo anche il troppo noto Malizia
Il primo film sul tema degno di attenzione è Soffio al cuore di Louis Malle del 1971. Suscitò scalpore, ma si trattava sopratutto di una storia di iniziazione, di trapasso dal mondo infantile a quello adulto. L’atto peccaminoso avviene dopo un’ora e cinquanta minuti di pellicola ed occupa gli ultimi 15 minuti. Filologicamente interessanti sono le letture del giovane studente (il film è ambientato nel 1954, anno della sconfitta di Dien Bien Phu della guerra d’Indocina): Il mito di Sisifo di Camus, Erlkönig di Goethe, Proust ma anche La Marquise d’O, bensì Pauline Réage.
Yorgos Lanthimos porta il tema a Cannes nel 2009 con Dogtooth. Andrebbe rivalutato. La chiusura di una famiglia diviene evidente paradigma del fallimento di una società riavvitata su se stessa e il cinema viene indicato quale forza sovversiva (è un VHS a far entrare il mondo esterno e a portare la realtà). Anche qui l’incesto come atto fisico entra con delicatezza estrema, quasi accennato. Altro film ingiustamente dimenticato, ma di grande forza sul tema è Dronningen ovvero Queen of Hearts di May-el-Toukhy. L’attrice Trine Dyrholm con grande recitazione veste i panni di una avvocatessa di successo che resta ammaliata dal giovane figlio che il marito ha avuto in un precedente matrimonio. Anche qui non vengono analizzate le motivazioni. Il pericolo è avvertito, ma tutto succede. Il perché non è indagato e il saper raccontare con un continuo variare di inquadrature, ora sin troppo nette, ora sfuocate, ora immerse in una oscurità quasi totale, è il pregio del buon cinema. Incesto, tema scottante, ma la Via Lattea da dove nasce? Zeus ed Era? E ancora prima, i Titani Crono e Rea? Leggendo la Bibbia, Abramo e Sara o Lot e le figlie? Loris Casadei
Giornate del Cinema
Hiedra
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CINEFACTS
a cura di Marisa Santin
TALES FROM ROME
La Festa del Cinema di Roma (5-26 ottobre) celebra vent’anni nel segno della continuità: grande pubblico, sedi diffuse ma cuore all’Auditorium Parco della Musica, proiezioni, mostre, incontri e la collaborazione con Alice nella città. Il Premio alla carriera va al regista iraniano Jafar Panahi, mentre il riconoscimento per una personalità dell’industria (novità di quest’anno) sarà assegnato al produttore britannico David Puttnam. A Paola Cortellesi il compito di guidare la giuria. Infine, un omaggio al fotografo Franco Pinna nel centenario della nascita: sua l’immagine ufficiale e tre mostre dedicate. Qui una nostra personale short list dei film in Concorso.
L’accident de piano
di Quentin Dupieux
Magalie, insensibile al dolore, è una star del web per le sue imprese estreme, ma nasconde un trauma legato a un incidente accaduto in passato. Una giornalista e due fan la spingeranno al limite. Dupieux crea uno dei suoi personaggi più inquietanti, che Adèle Exarchopoulos interpreta con grande coraggio e intensità.
Wild Night, Tamed Beasts
di Wang Tong
Un debutto che intreccia thriller, romance e dramma sociale trasformando l’ansia per l’invecchiamento in un racconto teso e intimo. Protagonisti un guardiano di zoo e una badante dolce ma implacabile, che assiste il padre malato. Un film sull’isolamento di anziani e giovani, che sceglie l’empatia sul moralismo.
Good Boy
di Jan Komasa
Dopo una notte di eccessi, Tommy, diciannove anni, si risveglia incatenato nel seminterrato di una famiglia rispettabile che vuole ‘rieducarlo’. Ciò che inizia come punizione diventa un percorso ambiguo che scombina il confine tra vittima e carnefice. Un thriller psicologico che esplora controllo, redenzione forzata e autonomia, combinando tensione claustrofobica e inquietudine morale. Nel cast Stephen Graham ( Adolescence ) e Andrea Riseborough,
Gli occhi degli altri
di Andrea de Sica
Ispirato al delitto Casati Stampa del 1970, il film racconta la passione e la morte della coppia in chiave decadente e voyeuristica. Filippo Timi e Jasmine Trinca incarnano personaggi spudorati e amorali, tra erotismo noir e riferimenti a Kubrick e Hitchcock, in un mondo barocco e decadente che non sembra conoscere pudore.
Our Hero, Balthazar
di Oscar Boyson
Per conquistare visibilità sui social e impressionare una ragazza, Balthazar denuncia la gun culture americana, finendo per intercettare un troll pronto a una strage scolastica. Parte per il Texas per fermarlo, scoprendo una realtà diversa da quella attesa. Con humour nero e lucidità, Oscar Boyson e il co-sceneggaitore Ricky Camilleri mostrano lo scontro tra Manhattan e l’America periferica.
Vaporetto: Ca’D’Oro - Madonna dell’Orto www.fondationwilmotte.fr fondation@wilmotte.fr
Intervista Francesco Danesi della Sala
CREATURE DI LAGUNA
Il punto è indiscutibilmente politico, e mostra ancora una volta l’urgenza di ripensare il cambiamento climatico come un tema non solo tecnico-scientifico, ma essenzialmente culturale
Dottore di ricerca in Antropologia culturale e sociale, Francesco Danesi della Sala si occupa di temi legati all’ambiente e alla crisi climatica. È fondatore e direttore editoriale di Alea, rivista indipendente di pratiche antropologiche, e autore di Nature ribelli. Viaggio nella metamorfosi climatica alle foci del Po, suo esordio editoriale, pubblicato lo scorso settembre con wetlands.
Il libro nasce da un lungo lavoro di ricerca etnografica nella comunità di Goro, nel Delta del Po, dove le conseguenze del riscaldamento globale si manifestano con particolare evidenza. Tra vongolari e pescatori, rivoluzioni scientifiche e crisi ambientali, la laguna si rivela come palcoscenico di una metamorfosi al tempo stesso eclatante e inquietante, popolata da presenze spettrali e specie ribelli – dalle vongole filippine al granchio blu. Un microcosmo in cui si riflettono i limiti di un modello estrattivo ormai insostenibile, ma anche la possibilità di immaginare forme alternative di convivenza con il vivente.
Nature ribelli è il suo esordio editoriale. Come nasce questo libro e quale percorso l’ha portata a raccontare proprio un microcosmo così particolare come la Laguna di Goro?
Il libro è l’esito divulgativo del mio dottorato di ricerca in antropologia culturale, iniziato nel 2020 presso l’Univer-
sità degli Studi di Milano-Bicocca sotto la supervisione del Prof. Mauro Van Aken. Per la verità, il mio lavoro guardava al Vietnam e all’impatto sociale del cambiamento climatico nella regione deltizia del fiume Mekong. La pandemia da Covid-19 ha reso impraticabile il viaggio e la ricerca, così ho deciso di “ripiegare” sulla geografia italiana e sul Delta del Po, un territorio per cui già nutrivo un grande interesse. Spesso, nella ricerca antropologica sul campo, gli accidenti e gli imprevisti segnano scoperte e incontri tanto inaspettati quanto fertili. Così è stato per Goro e Gorino, comunità piccole e apparentemente “marginali”, in cui tuttavia, come ho cercato di raccontare nel libro, la complessità culturale ed ecologica della crisi climatica affiora in modo nitido e spiazzante. Qui ho soggiornato per quasi un anno tra il 2021 e il 2022, e negli anni seguenti – anche dopo il dottorato – ho continuato a frequentare la laguna e i dintorni, osservando le attività di pesca e acquacoltura, duramente colpite dal surriscaldamento globale di origine antropica e dalla portata accelerata dei cambiamenti ambientali in atto. La storia recente di Goro e della sua industria della vongola è a mio parere emblematica, in quanto mostra chiaramente un fatto fondamentale, cioè che un certo modo di rapportarci all’ambiente e al vivente – che possiamo definire “estrattivo” – è sostanzialmente fallibile, miope e nocivo.
E di riflesso, i cortocircuiti esistenziali, politici ed ecologici che questo modello ha innescato rendono altrettanto manifesta l’impasse immaginativa cui siamo approdati, tale per cui riesce difficile pensare e situarsi in un’alternativa. In questo microcosmo, tuttavia, ho trovato anche le tracce di saperi e sensibilità che sono convinto possano riabilitare la necessità e la possibilità di questa alternativa.
Il suo libro si inserisce nel filone delle Environmental Humanities. Cosa rappresenta per lei questo approccio e come si riflette nel suo lavoro?
Il presupposto comune ritengo vada cercato nel cambio di prospettiva che gli studi antropologici – e i saperi umanistici tout court – hanno saputo esercitare nell’ultimo decennio, facendo del cambiamento climatico e del cosiddetto Antropocene un problema essenzialmente culturale. Se da un lato l’evidenza di un clima perturbato a causa delle economie fossili, estrattive e intensive è oramai sotto gli occhi di tutti, dall’altro continua a esserci una scarsa permeabilità sociale e una certa indifferenza politica – per usare un eufemismo – rispetto alla questione climatica. Un quadro tanto più peculiare se pensiamo alla sovrabbondanza di evidenze scientifiche con cui gli effetti del surriscaldamento globale sono descritti, misurati e quantificati. Se i “numeri” non bastano è perché al cuore della crisi climatica vi è un immaginario culturale problematico e contraddittorio, quello dell’ultra-modernità, che ha fatto della capitalizzazione dell’ambiente attraverso i saperi tecnico-scientifici il principio ordinatore del mondo. Nel mio lavoro ho provato a far emergere le ambiguità e gli impliciti di questo paradigma in cui siamo quotidianamente immersi e che a Goro, in particolare, è deflagrato in una congiuntura di crisi che non ha riguardato unicamente la tenuta dell’industria locale, ma ha reso del tutto inservibile la bussola culturale e identitaria con cui la comunità si rapportava alla laguna, resa irriconoscibile da maree spaventose, proliferazioni di macroalghe e “invasioni” di specie alloctone come il granchio blu dell’Atlantico (Callinectes sapidus). Un altro piano di lettura poi è quello che riguarda le scale del problema: quanto accade a Goro e nel Delta padano travalica la dimensione locale e difficilmente può essere letto da questa sola prospettiva. La laguna, nel libro, è intesa allora come uno dei tantissimi nodi in cui si intrecciano e confluiscono storie, geografie e idee plurime, dalla colonizzazione del Delta negli anni Cinquanta agli esperimenti con la vongola filippina alla fine degli Ottanta, fino alle eclatanti migrazioni di habitat e specie balzate agli onori della cronaca recente. Ecco, un tratto fondamentale della mia ricerca riguarda l’angolatura con cui ho avvicinato questa trama di vicende, provando cioè a conferire dignità di protagonisti attivi – e reattivi – al fiume, al mare, alle vongole filippine e ai vari soggetti non umani che si muovono e abitano nella Sacca di Goro. Nature plurali, per l’appunto, ribelli agli sforzi umani che cercano di addomesticarle e silenziarle per renderle docili e sfruttabili.
L’incontro con la casa editrice veneziana wetlands: come è nato il dialogo che ha portato alla pubblicazione di Nature ribelli ? Che cosa l’ha convinta a scegliere questa realtà editoriale e in che modo ritiene che il lavoro di wetlands risuoni con i temi e le urgenze del suo libro?
Già da tempo guardavo al lavoro di wetlands con grande interesse. Tanto per la cura editoriale con cui stanno riuscendo a rendere
accessibile una certa saggistica umanistica, quanto per la capacità di costruire connessioni e dialoghi molto fecondi a partire da un forte radicamento territoriale e sociale, legato appunto a Venezia e a tutto ciò che la attraversa nel presente. Da parte mia, avvertivo l’esigenza di restituire alla dimensione pubblica, e alla comunità locale cui devo molto, il senso e lo sguardo del mio lavoro di ricerca: lavorando dunque sulla sensibilità narrativa, su un linguaggio non eccessivamente codificato e, sostanzialmente, su una forma saggistica in grado di tessere e attivare relazioni. A ciò aggiungo un’altra considerazione: considerati i limiti del discorso scientifico sul cambiamento climatico e sulle forme di crisi che ha innescato, ritengo vitale la circolazione di prospettive e studi che muovono da posizionamenti critici inediti – e in questo Wetlands fa un lavoro eccellente. Il nostro incontro, da questo punto di vista, è stato per me del tutto naturale e sin dalla prima proposta testuale c’è stata grande sintonia. Sintonia tra persone, ci tengo a sottolinearlo: Clara Zanardi, ad esempio, è stata un’editor attentissima che ha saputo cogliere sfumature non banali, e di questo le sono davvero grato.
Goro e Venezia condividono la condizione di ambienti lagunari, pur con storie, economie e dinamiche ecologiche molto diverse. Quali analogie o differenze ritiene più rilevanti tra queste due realtà?
Prima della mia ricerca sul campo nel Delta padano, non mi era mai capitata l’occasione per avvicinarmi a Venezia. In tal senso, il lavoro degli ultimi anni mi ha portato a frequentare maggiormente la laguna veneta e la città, la cui storia e il cui presente condividono evidentemente dinamiche e problematiche comuni a quelle delle comunità deltizie. In fin dei conti, la rivoluzione dell’acquacoltura scientifica, negli anni Ottanta, trova come primo punto di approdo proprio Venezia. E analogamente a quanto accaduto a Goro e nel Delta, l’industrializzazione del mare, delle vie d’acqua e degli ecosistemi lagunari si inserisce in un processo di scala globale di cui oggi, pur con esiti diversificati, osserviamo i limiti e soprattutto gli impatti ecologici anche nel veneziano. Il mare, poi, si alza a Venezia come nel Delta, dischiudendo per entrambe le realtà un temibile futuro “atlantideo”. Certo, Venezia è poi un mondo con un diverso gradiente di complessità, dove il globale emerge e si rende leggibile – e si fa problematico – in molti altri modi: l’iperturismo, l’industria culturale, le grandi opere, le grandi navi, la commodification esasperata dello spazio pubblico e dell’identità locale, e via dicendo. È un tessuto socio-ambientale decisamente più nodoso, dove certe circostanze discusse nel libro – penso alla cosiddetta “invasione” del granchio blu – intersecano una dimensione urbana e stratificata che non è equiparabile a quella della laguna di Goro. Al tempo stesso, a Venezia c’è una vivacità scientifica, comunitaria e anche attivistica che deve essere apprezzata e riconosciuta, soprattutto per la capacità di penetrare nel dibattito pubblico con una grande pluralità di voci e prospettive generative. Nel Delta seguo con interesse alcune progettualità culturali inedite che stanno iniziando a esprimere questo indirizzo, a partire da quelle che sono però le specificità e le visioni locali. D’altronde, non bisogna dimenticare che la regione deltizia è stata per lungo tempo terra –e soprattutto acqua – di contesa e subalternità tra forme di potere, statali o private, esterne al territorio… Tra cui Venezia!
In generale, quali sfide incontra come antropologo nello studio delle crisi ambientali e come pensa che la cultura e la ricerca possano contribuire a comprenderle e affrontarle?
Devo articolare la mia risposta su due piani. Per quanto riguarda la ricerca antropologica nella crisi climatica, la sfida principale è quella di riuscire a ricostruire l’ampia trama di vicende storiche, politiche, economiche e culturali da cui emergono specifiche forme di cambiamento o crisi ambientale. Il lavoro di immersione, osservazione e partecipazione sul campo è fondamentale per dare una profondità situata e critica a questo tipo di analisi, poiché l’antropologia muove per l’appunto dal punto di vista del “nativo”. Ciò detto, quello dell’antropologo è un posizionamento fragile: nei nostri incontri ci portiamo dietro il “chi siamo”, con tutti i connotati del caso, che inevitabilmente si riflettono sulla possibilità o meno di accedere a certi spazi, a certi interlocutori e via dicendo. E per forza di cose, c’è un aspetto etico e umano che è in costante tensione con lo sguardo critico e scientifico di cui siamo portatori: il testo antropologico ha un’autorialità tutt’altro che unitaria, le voci dei nostri interlocutori e dei paesaggi in cui ci muoviamo sono la linfa che anima il nostro lavoro e in quanto tali meritano le più opportune forme di riconoscimento o tutela. La restituzione della ricerca, in tal senso, è tutt’altro che distesa o priva di scrupoli: parzialità, disaccordi, fraintendimenti… Bisogna accettarli, trasformandoli se possibile in interstizi che aprano a nuovi dialoghi. Altro discorso è quello del contributo che la ricerca può dare nell’affrontare la metamorfosi climatica: è fondamentale per attivare la sfera pubblica e le comunità locali, specialmente quelle più a rischio, creando i presupposti per un sapere socio-ambientale condiviso, consapevole di quelle che sono le responsabilità sistemiche, politiche ed economiche. Ed è fondamentale che continuino a esserci spazi, realtà e progettualità dal basso che credano in questo. D’altra parte, perché questo avvenga, la ricerca deve essere supportata materialmente e valorizzata all’interno di una visione politica di lungo termine. Le riforme recenti vanno in tutt’altra direzione, precarizzando ulteriormente ricercatori e ricercatrici, e privando la società tutta di quell’immaginazione non solo scientifica, ma specialmente culturale di cui tanto abbiamo bisogno.
Lei è fondatore e direttore editoriale di Alea, rivista indipendente di pratiche antropologiche nata nel 2020, che esplora in modo critico il divenire incerto di società e culture attraverso il lavoro sul campo. Può raccontarci com’è nato questo progetto, quali sono le linee guida che orientano la selezione dei contributi e quale ruolo spera possa avere oggi per l’antropologia contemporanea?
Alea è figlia della pandemia da Covid-19. È figlia di uno spaesamento che, condiviso tra un ristretto gruppo di amicizie, si è subito trasformato in qualcosa di generativo. La sensazione, senz’altro ingenua e umorale, era infatti che l’antropologia stesse rimanendo ancora una volta ai margini del discorso pubblico, anche e soprattutto per una scarsa predisposizione a sperimentare linguaggi e codici comunicativi inediti. Di lì, il passo è stato breve: si è costituita un’associazione e una redazione, piccola ma sparsa in tutta la penisola, con l’obiettivo di realizzare la prima rivista indipendente di antropologia culturale. Una rivista che posizionasse però l’antropologia all’interno di una tessitura plurale, in cui diversi saperi, esperienze e prospettive dovevano necessariamente entrare in dialogo reciproco intorno a un tema comune. Non tanto per risolverne il senso, ma per dimostrare che, fatta la tara delle grandi narrazioni mediatiche e mainstream, le domande che possiamo porre al presente sono innumerevoli – alcune inaspettate, altre fastidiose, altre ancora controverse. In tre anni, abbiamo realizzato un primo ciclo di sei volumi, quattro tematici e due speciali a cura della redazione, che hanno avuto una ricezione sorprendente in tutta Italia. Frutto sicuramente di una visione editoriale che ha creduto sin dall’inizio nell’apertura, tramite lo strumento dell’open call, alle proposte di autori e autrici esterni, che di fatto ci hanno permesso di consolidare poi un rapporto di comunità con lettori e lettrici. Ciò detto, Alea non è una rivista scientifica e tanto meno intende porsi in antitesi ad esse. È uno spazio di sperimentazione, ludica anche, perché in fondo la creatività comunicativa trae immensi benefici dal divertirsi a sparigliare codici, linguaggi e convenzioni di forma. È un’enfante terrible, ecco! Il nuovo ciclo, contando sulle collaborazioni internazionali che siamo riusciti a costruire, sarà composto di volumi annuali in doppia lingua, italiano e inglese. E per chi ci conosce già, sarà senz’altro sorprendente in termini di contenuto e impostazione – Alea non resta mai uguale a sé stessa! “Il lungo addio”, primo di questo nuovo corso, è nelle sue ultime fasi di lavorazione ed è previsto per dicembre.
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FESTIVAL & MORE
Uno sguardo dall’alto
«Montagne, pianure, fiumi, mari, dove ritrovare serenità ed equilibrio; al punto che viene da pensare che la violenza, l’angoscia, il malvivere, l’apatia e la solitudine, siano da imputare in buona parte all’ambiente generato dalla nostra civiltà». Così scriveva il grande scrittore
Mario Rigoni Stern in Uomini, boschi e api nel 1983. La sua profonda riflessione sul rapporto uomo-natura, sul vero significato della parola “ecologia”, sul ruolo salvifico dell’ambiente e dei luoghi è il focus della mostra che inaugura il 24 ottobre a Palazzo Bomben di Treviso, Mario Rigoni Stern. Ecologia, impegno civile e cura dei luoghi, organizzata dalla Fondazione Benetton Studi Ricerche in collaborazione con il Comune di Asiago, a cura di Massimo Rossi e Gianbattista Rigoni Stern e con progetto di allestimento e comunicazione grafica di BLab Design.
Attraverso un sistema di comunicazione multimediale organizzato attraverso light-box, videoproiezioni a parete, campane sonore, pannelli didascalici a parete e teche espositive, la mostra offre al pubblico un ambiente immersivo e un’esperienza multisensoriale per rendere fruibili e immediatamente manifesti i materiali provenienti dall’Archivio dello scrittore che documentano la sua attività intellettuale, il rapporto con gli artisti, i numerosi interventi su quotidiani e riviste, le lezioni magistrali, le interviste, la collaborazione con la Regione del Veneto per la redazione della Carta di Asiago. Ne emerge una figura non solo di scrittore, ma di intellettuale a tutto tondo, il cui pensiero unito al suo instancabile impegno civile appare oggi di stringente modernità. La sua grandezza emerge netta, una figura dalle molte sfaccettature che sia pubblicamente che privatamente ha raccontato il suo profondo amore per la montagna, la natura, l’ambiente, indagandone la relazione tra individuo e territorio e sostenendo la promozione di un vero e proprio attivismo ambientale. Alla base, come filo rosso che ha legato tutte le sue azioni, affetti e relazioni, la scrittura fondamento del suo pensiero, vissuta da Rigoni Stern come esigenza esistenziale.
Durante il periodo di apertura della mostra avranno luogo incontri di approfondimento, iniziative per la scuola, presentazioni di libri e proiezioni pubbliche. M.M.
Il giardino dei sensi
Selezionando la visione satellitare su Venezia, quello che emerge in modo evidente è come la città sia ricca di giardini, di parchi e in generale di alberi e di piante, nascosti alla vista il più delle volte da alti muri di mattoni. Vi sono grandi aree verdi e giardini come quelli Reali che sono dei veri e propri monumenti, altri sono silenziose e magnifiche pertinenze di conventi o di ex conventi ora divenuti parte di alberghi prestigiosi o ancora giardini nascosti e decisamente inaspettati di storici palazzi. Difficile quindi poter accedere e visitare queste meraviglie, ma una volta all’anno il Festival dei Giardini Veneziani è un vero viaggio di scoperta e privilegio.
Promosso e sostenuto da Wigwam Club Giardini Storici Venezia, con l’adesione di AIAPP Associazione Italiana di Architettura del Paesaggio, sezione Triveneto - Emilia Romagna, la XXI edizione del Festival quest’anno si svolge dal 3 al 5 ottobre con il titolo Venezia è un giardino dei sensi. Tre giornate con un fitto programma di visite guidate e performance, per conoscere vicende storiche, caratteristiche paesaggistiche e botaniche dei vari giardini. In particolare questa edizione vuole invitare a porsi in ascolto di ogni messaggio del giardino, percependolo con ogni senso e godendo non solo della bellezza di fiori e alberi, e del sapore dei frutti, ma anche dello stormire delle foglie, del canto degli uccelli, del ronzio degli insetti, del contatto dei piedi con la terra, delle luci e delle ombre, degli aromi delle erbe, della ruvidezza delle cortecce, della flessuosità degli steli, della solidità dei tronchi. Oltre che dell’armonia architettonica e naturalistica che abbraccia ogni giardino di Venezia e della laguna. Tutte le visite sono introdotte da Mariagrazia Dammicco, presidente del Wigwam Club, arricchite da letture e improvvisazioni al clarinetto con Oreste Sabadin e guidate dagli stessi proprietari. Il Festival si apre il 3 ottobre con In cucina con i fiori presso l’hotel Ca’ di Dio, con la visita guidata all’orto segreto e il successivo incontro con il giornalista Claudio Porchia, per riflettere sull’evoluzione della cucina floreale e scoprire che quella che sembra una sperimentazione culinaria è in realtà un ritorno a tradizioni rurali. Il 4 e il 5 ottobre è possibile visitare grazie all’apertura straordinaria quattro spazi privati molto diversi fra loro: il Giardino Bellinato, il Giardino Cinque Teste, il Giardino di Nina e l’OrtoGiardino di Ca’ Nane.
Mario Rigoni Stern. Ecologia, impegno civile e cura dei luoghi 25 ottobre-21 dicembre Palazzo Bomben-Treviso fbsr.it
XXI Festival dei Giardini Veneziani 3-5 ottobre www.giardini-venezia.it
Photo Loic Seron
Immagina. La via dei Talenti… La settima edizione del Festival delle Idee prosegue per tutto il mese di ottobre con un florilegio di appuntamenti e tanti ospiti
con un’unica missione: mostrare dove può portare
l’immaginazione
quando si accompagna al talento
MIRKO ARTUSO | GIOVANNI DELL’OLIVO
SERENA CATULLO
Armonie di sale e pepe
Lo spettacolo Armonie di sale e pepe vede in scena Mirko Artuso con l’accompagnamento musicale di Giovanni Dell’Olivo e Serena Catullo: letture che intrecciano storie di pescatori, vetrai e ricamatrici, mestieri che appartengono alla memoria veneziana. L’appuntamento è ospitato all’interno del Salone dell’Alto Artigianato Italiano e sarà preceduto, alle ore 11, da un incontro dedicato a storia e prospettive delle produzioni locali tradizionali, con ospiti trasversali della cultura, della sanità, dell’imprenditoria, del mondo accademico e economico veneto.
5 ottobre h. 14 | Torre di Porta Nuova, Arsenale
JACOPO VENEZIANI
Perfette sconosciute: artiste che la Storia ha preferito tacere
Quanti di noi saprebbero citare, senza esitazione, dieci artiste donne? Eppure, la storia dell’arte è costellata di talenti femminili che hanno lasciato un segno indelebile, sfidando pregiudizi e stereotipi di genere. Donne di talento e immaginazione, di cui Jacopo Veneziani ci svelerà il cammino spesso invisibile eppure fondamentale. Perché l’arte al femminile non è una nota a margine della storia, ma una delle sue colonne portanti.
10 ottobre h. 20.30 | Teatro Toniolo-Mestre
JAN BROKKEN
Immaginazione: l’istante che rende eterno il talento
Jan Brokken, tra i più apprezzati narratori europei, intreccia viaggi e vite eccezionali in pagine che uniscono ricerca storica e sguardo poetico. Nel nuovo libro La scoperta dell’Olanda ci porta in un villaggio sospeso tra acqua e cielo, specchio di un immaginario che si sublima nell’arte. In dialogo con Angelo Pittro, direttore di Lonely Planet Italia, lo scrittore olandese condivide storie che restituiscono al talento la forza dell’eternità.
12 ottobre h. 20.30 | Teatro Toniolo-Mestre
PAOLO RUFFINI
Immagina, il nostro presente
Uno sguardo puro e spontaneo sul mondo e sui grandi temi dell’esistenza. In un presente che sarà ricordato più per i suoi limiti che per le virtù, Paolo Ruffini porta in scena uno spettacolo in cui “sono le storie a fare la storia” e l’immaginazione diventa la chiave per ritrovare consapevolezza e possibilità di cambiamento. Tra ironia e riflessione, un invito a ripensare il futuro attraverso le donne e gli uomini che scelgono di trasformarlo.
15 ottobre h. 20.30 | Teatro Toniolo-Mestre
Programma completo su festivalidee.it
ASCOLTA!
Come spesso accade, le occasioni di riflessione si presentano in modo estremamente semplice e soprattutto inaspettato.
L’ultima, che mi ha fatto anche sorridere, mi è accaduta proprio qui a Venezia, nel modo più comune, oserei dire banale. Camminavamo con un amico in una calle stretta e, da buoni veneziani, per non intralciare il “traffico”, eravamo posizionati in fila indiana, uno dietro l’altro. Come al solito discutevamo dei grandi problemi che attanagliano il mondo, convinti di trovare proprio noi le soluzioni che potevano apparire le più semplici, logiche, pratiche, se non, talvolta, evidenti. Ad un certo punto, da dietro, una sua decisa esortazione mi ha raggiunto con illuminante nitore: “ascolta!”, mi ha detto, prima di esporre il frutto del suo ultimo ragionamento. Confesso che mi sono soffermato sul suo imperativo, più che a proseguire nella valutazione delle sue riflessioni. Ascoltare. Sembra un concetto normale e facilmente leggibile da tutti, ma in che cosa effettivamente consiste? La cosa merita qualche attento pensiero. Anzitutto: si tratta semplicemente di un’operazione apparentemente passiva, che coinvolge soltanto le nostre orecchie, oppure di qualcosa di assai più profondo che richiede la collaborazione anche delle orecchie? Inutile dire che tra le due opzioni è la seconda quella che più ci deve coinvolgere. “Ascoltare”, infatti, è un’operazione assai complessa che coinvolge soprattutto la nostra volontà di sospendere per qualche momento la vulcanica attività produttiva del nostro cervello, per consentirgli di mettersi in stand by al fine di recepire a fondo il significato delle altrui parole, del pensiero dell’interlocutore (anche se talvolta dovesse faticare ad esprimere concetti complessi e raffinati). Qualche volta questa pausa dal nostro istintivo egocentrismo ci consente di soffermarci, di cogliere le espressioni degli altri nel loro vero significato, nel loro valore autentico, soffocando quel naturale desiderio di interromperne, in modo intempestivo, l’altrui esposizione per esprimere subito il nostro pensiero, spesso differente, critico, e forse, diciamocelo, per farlo prevalere piuttosto di far sì che esso contribuisca costruttivamente a rendere possibile ed utile un onesto confronto. Non solo, ma l’attesa “paziente” e corretta della completa esposizione del pensiero altrui consente anche di connettersi emotivamente alla
persona che illustra il suo ragionamento, consentendole di sentirsi ascoltata, di avvertire un interesse effettivo verso il proprio enunciato, il che la stimola ad argomentare con migliore trasporto i propri contenuti, in particolare quelli connotati da una certa complessità. Sembra quasi che il nostro istinto egoistico preferisca fermarsi ad una immediata censura piuttosto che attendere l’altrui completamento espositivo e rimandare a quel momento una corretta valutazione finale, con tutti gli elementi che ci sono stati progressivamente offerti ed illustrati.
Questa disposizione relazionalmente nociva, questa urgenza anche poco rispettosa di interrompere, trova la sua apicale esaltazione nei dibattiti televisivi, nei cosiddetti talk show. In questi contesti, infatti, alla parte istintiva si aggiunge quella scenica, che purtroppo molto di frequente prevale assumendo un ruolo determinante, soverchiando il senso profondo delle parole, delle idee e opinioni espresse. Tutti noi abbiamo potuto notare quanto i partecipanti ad un dibattito televisivo regolarmente e platealmente interrompano i rispettivi interlocutori, arrivando persino ad impedire loro di terminare le frasi. In tal modo pensano di contestare le altrui esposizioni, spesso elevando progressivamente anche il tono della voce in un deplorevole crescendo che trasforma quindi in volgare sceneggiata ciò che in origine dovrebbe essere una civile discussione, un fervido confronto di idee differenti. E non di rado, durante l’appassionato crescendo “rossiniano”, non si riescono neppure a distinguere le singole parole pronunciate dagli astanti. In tal modo il dibattito scade e si riduce a una disdicevole rissa. Questa pessima abitudine ha reso necessario modificare la figura del conduttore della trasmissione in quella di un autoritario “moderatore”, costretto a frenare la scarsa educazione (va proprio detto!) di taluni partecipanti, sollecitando il ritorno a un dibattito civile, per consentire un corretto equilibrio espositivo di pensieri differenti, in modo che gli ascoltatori possano crearsi un panorama di idee più vasto e interessante, sposando gli argomenti che più li persuadono. Qualche altra volta, invece, e il caso purtroppo non è raro, con avvilente tristezza per lo spettatore, si assiste da parte di chi interviene alle discussioni durante i dibattiti televisivi alla recita “preconfezionata” del pensiero
PAROLE a cura di Renato Jona
ASCOLTA!
del proprio partito di appartenenza in luogo di libere riflessioni e sereni ragionamenti da parte di persone colte, dalla lunga esperienza nel campo specifico oggetto del dibattito. In questi casi il telespettatore fortunatamente è dotato di telecomando, che viene utilizzato come pura arma difensiva per cambiare tempestivamente canale. Assai di rado, invece, ci è capitato di poter davvero ascoltare soggetti che, grazie alla loro competenza, alla lunga esperienza e chiarezza di idee, sono in grado di offrire serenamente esposizioni anche di materie complesse con spiegazioni semplici, alla portata di tutti, fornendo in egual modo divulgativo le motivazioni profonde che stanno alla base delle loro argomentazioni.
Merita poi da ultimo soffermarci qualche momento su una modalità di ascolto decisamente più rara, quanto importante e produttiva, nonché delicata: l’ascolto empatico. Esso consiste nella volontà e capacità di ascoltare l’interlocutore in modo autentico, con l’intenzione di comprendere non solo le singole sue parole, ma i concetti, i ragionamenti e, soprattutto, il suo punto di vista complessivo su un determinato tema, magari riuscendo anche ad avvertire le sue emozioni durante l’esposizione.
Sentire e ascoltare, infatti, non sono esattamente dei sinonimi. I rumori si sentono anche non intenzionalmente, involontariamente, talvolta addirittura non vengono neppure rimarcati, né poi quindi ricordati. Manca l’interesse all’ascolto verso di essi, interesse che è elemento fondamentale per stimolare il processo del ricordo. Si pensi invece alla posizione di chi va a teatro per ascoltare (e vedere) una commedia o un concerto, oppure di chi va al cinema per godersi un film. La disposizione mentale è completamente diversa: è quella di chi è interessato profondamente a ciò che ascolta e vede. Gli insegnanti a scuola, poi, costituiscono una categoria a parte. Essi sanno quanto sia difficile ottenere un buon ascolto da parte degli allievi. Per ottenerlo ricorrono alla loro esperienza, alla loro sensibilità, al fine di meglio valutare se e come la materia da insegnare trova in un dato momento un terreno fertile al proficuo ascolto e quindi all’apprendimento. Un altro frutto dell’ascolto che spesso sottovalutiamo, ma che pure sussiste, è quello che ci consente di considerare interessanti parti-
colari non sempre del tutto marginali: per esempio quando l’oratore è emozionato, oppure si esprime con cadenze dialettali accentuate, quando parla con voce flebile (quasi incomprensibile), o quando, viceversa, declama a tutta voce, preoccupandosi più della bella figura che della sostanza delle parole.
Non va dimenticata infine una categoria di ascolto speciale, professionalmente molto importante, quella del medico. Per stabilire l’esistenza o il grado di sviluppo di una malattia deve concentrarsi in un ambiente silenzioso e, con la sua competenza professionale, ascoltare le tonalità amplificate di certi delicati suoni emessi dagli organi interni del paziente. La cosa è così delicata che il nostro verbo, in casi del genere, si arricchisce qui di una vocale in grado di restituire l’accresciuta profondità dell’atto sensoriale di cui stiamo discorrendo: si dice infatti che il medico “ausculta”.
Quante cose possono influire su un buon ascolto: il tono di voce (magari sgradito) dell’interlocutore, l’espressione del viso, la postura, il ricorso ad una gestualità eccessivamente pronunciata… La nostra vita è un continuo esprimerci ed ascoltare: attraverso queste due facce della stessa medaglia comunichiamo con gli altri, formuliamo pensieri, esprimiamo sentimenti, soddisfiamo necessità e, reciprocamente, conosciamo quelle altrui. Così comunicando apprendiamo immediate nozioni pratiche indispensabili per vivere nella nostra società: un semplice, sintetico annuncio ci consente, ad esempio, di scendere dai mezzi di locomozione alla fermata desiderata o di trovarli in partenza nel posto corretto all’ora prestabilita.
Leonardo da Vinci, il genio, ha osservato: saper ascoltare significa possedere, oltre al proprio, il cervello degli altri!
Persino la saggezza popolare, che di solito sintetizza pensieri e li riformula in poche parole, qualche volta anche in rima, per un più facile apprendimento, si è espressa in proposito: «Parla poco e ascolta assai e giammai non fallirai».
A questo punto mi viene un dubbio: non vorrei che questo proverbio fosse rivolto proprio a me!
Sarà più prudente, quindi, fare tesoro del suggerimento e… a risentirci alla prossima Parola.
art, architecture, film, music, sport, theatre and traditions
SAPER FAR, FAR SAPER
L’Arsenale
con i suoi spazi pubblici recuperati e resi disponibili in forma temporanea e non vincolante, diventa un luogo di incontro e confronto tra realtà produttive locali e operatori nazionali e internazionali. È un modello virtuoso che valorizza le eccellenze del territorio, favorisce relazioni professionali e culturali, e promuove attività pienamente coerenti con i principi di sostenibilità, inclusione e rigenerazione urbana
Fabrizio D’Oria
Mani, occhi e storie : questi gli elementi autentici di un racconto di successo che non è mera vetrina, ma necessaria messa a sistema di una tradizione secolare, quella dei mestieri, espressione di una identità profonda e riconosciuta attraverso la quale l’Italia in modo capillare, e Venezia con sue modalità peculiari, sono state protagoniste indiscusse nel panorama internazionale dei manufatti artigianali. Il Salone dell’Alto Artigianato Italiano, giunto alla sua terza edizione che si svolge dal 2 al 5 ottobre negli spazi dell’Arsenale Nord, riveste un ruolo fondamentale nella valorizzazione del “saper fare”, nella riscoperta di mestieri più o meno dimenticati e, conseguentemente, nella trasmissione corretta degli stessi. Il Salone, infatti, oltre a mostrare incredibili manufatti rigorosamente realizzati a mano, prodotti finiti provenienti da tutta Italia, punta a dare spazio al confronto tra operatori, pubblico e istituzioni rendendosi ponte generazionale e culturale, senza perdere la propria essenza originaria, ossia quella di saper traghettare e rivisitare in chiave contemporanea questi saperi e queste abilità altrimenti destinati all’estinzione. La volontà, senza retorica né auto-celebrazione, è quella semplicemente di lavorare, creare, innovare puntando sulla formazione, sulla trasmissione di saperi e sul dialogo tra tradizione e innovazione per un artigianato “autentico” che sappia guarda al futuro senza mai perdere l’anima e le radici del proprio profondo sapere. Il Salone è dunque non solo un mercato, ma soprattutto un’opportunità di guardare più lucidamente e virtuosamente verso il futuro.
L’iniziativa, promossa dal Comune di Venezia e organizzata da Vela Spa, si inserisce nel più ampio progetto Venezia e la sua laguna: gestione e valorizzazione dei flussi turistici sostenuto dal Ministero del Turismo, progetto che ha l’obiettivo di tutelare e rilanciare i Comuni a vocazione turistico-culturale legati al patrimonio Unesco. Partner della manifestazione sono Regione Veneto, Camera di Commercio Venezia e Rovigo, CNA Venezia, Confartigianato, Fondazione Musei
Civici Venezia, Venis, AVM Spa, Gruppo Veritas, Intesa Sanpaolo, Generali Italia e Consorzio di Tutela della DOC Prosecco.
Il visitatore viene condotto in un luogo già di per sé magico e tradizionalmente produttivo come lo storico Arsenale lungo un itinerario fatto di emozioni e bellezza. Un viaggio nel tempo e nello spazio, da nord a sud, da est a ovest, dove si incontrano epoche e territori, conoscenze antiche e innovazioni contemporanee. Le aree espositive dell’Arsenale si ampliano per accogliere l’incredibile varietà e qualità dell’artigianato italiano: oltre 160 maestri artigiani, ciascuno con la propria storia, il proprio segno, la propria visione, con la presenza di ben 40 veneziani, a ben restituire la profondità del legame tra la città e il saper fare.
Non solo gioielli e accessori, sculture e opere artistiche, arredo e complementi, rilegatura e lavorazione della carta, illuminazione e lavorazione dei metalli, lavorazione del marmo e delle pietre, arte del vetro, merletti e tessitura, restauro artistico e conservativo, rivestimenti artistici, liuteria, alta sartoria e lavorazione della cartapesta, pianoforti, ombrelli, calzature: l’edizione 2025, infatti, accoglie anche nuove eccellenze con più di 90 dimostrazioni dal vivo. È il caso, per esempio, dei maestri nell’intreccio vegetale di salice e midollino e degli artigiani che plasmano rivestimenti in pelle per arredi di lusso, i quali prendono per mano i visitatori in quello che è a tutti gli effetti un autentico viaggio sensoriale. In mostra anche le corde degli strumenti musicali, invisibili protagoniste di ogni concerto, e molte altre meraviglie, tutte unite da un unico filo conduttore: l’eccellenza. Non poteva in questo contesto naturalmente mancare il Consorzio Promovetro Venezia, ambasciatore delle tecniche vetraie muranesi, che qui porterà in scena il savoir-faire dei suoi maestri, custodi di una tradizione secolare capace di stupire il mondo. Accanto a loro, le impiraresse, depositarie di un mestiere tramandato di generazione in generazione, e le merlettaie, interpreti di una raffinata tecnica artigianale che ha radici profonde nella storia lagunare.
Il Salone è un racconto corale fatto di mani che sanno mirabilmente plasmare, di occhi che sanno vedere oltre l’orizzonte quotidiano, di materiali che si lasciano trasformare in bellezza.
Di settimana in settimana , Venezia si mostra nelle sue molteplici specificità: architettura, cinema, vetro e ora design, fashion e cocktail. Anticamente conosciuta in ogni dove per la sua capacità di creare e far sue eccellenze in tutti i campi dell’alto artigianato artistico, la città mostra oggi, proprio attraverso queste “settimane” intense di scambi e di presentazioni di “creazioni” in forma di evento, la strada da intraprendere per essere nuovamente il polo creativo dell’eccellenza a carattere internazionale. La vocazione è nel DNA e le dimensioni della città sono perfette per lo sviluppo (o il recupero) di un tessuto artigianale a carattere industriale, che ancora resiste ma che potrebbe ampliarsi mirando a crescere come settore produttivo, volano di economie e di residenzialità. Non solo vetrina, anzi energia pura per la città: la forza arriva dalle idee e Venezia dimostra con queste iniziative private, promosse dalla capacità di singoli o di associazioni, di voler ritrovarsi proprio in queste “settimane” per recuperare le originali e incredibili radici di città unica al mondo.
VENICE DESIGN WEEK, organizzata dall’Associazione Culturale Arte e Design, ruota in questa 16. edizione attorno al tema Tempora, animando dall’11 al 19 ottobre il tessuto cittadino con mostre, talks, workshop, eventi e tour dedicati. Il tema evoca una visione dell’atto creativo che collega passato e futuro, dove il design diventa un punto d’incontro tra epoche, culture e sistemi di conoscenza. Gli oggetti di design emergono da un processo dinamico che si sviluppa all’interno di un ecosistema collettivo, multiforme e inclusivo, caratterizzato dalla collaborazione interdisciplinare e interculturale. In questo contesto, il design non è più un gesto creativo singolare, ma un contributo a una narrazione in evoluzione, un dialogo continuo con l’ambiente naturale, le tecnologie emergenti e le persone che interagiscono con esse. Ogni idea e ogni prodotto diventano parte di un flusso condiviso che onora la memoria del passato, guarda al futuro e abbraccia la diversità come fonte di ispirazione. Designer da tutto il mondo, artigiani, architetti e pubblico sono invitati a portare il loro contributo. Le sedi espositive, musei, gallerie, hotel, concept store e laboratori artigianali, sono disseminate per Venezia, con specifici percorsi tematici dedicati al design di prodotto, d’interni, dell’illuminazione e per esterni. www.venicedesignweek.com
VENICE FASHION WEEK. La parola “fashion”, dal Middle English fare, forma e apparenza, deriva dal francese antico façon, che a sua volta affonda le sue radici etimologiche nel latino facere. “Fashion” è un concetto che caratterizza il tempo in cui stiamo vivendo e da cui tutti i campi, economici e non, attingono. Dal 20 al 26 ottobre Venice Fashion Week 2025, ideata e organizzata da Venezia da Vivere, promuove Venezia come laboratorio internazionale per chi guarda al futuro della moda e del design con una prospettiva etica, artigianale e sperimentale. Sette giorni di eventi, sfilate e mostre dedicati alla moda consapevole, tra essi da non mancare: la conversazione con Dries Van Noten, che dialoga con Sara Sozzani Maino, Adele Re Rebaudengo e Antonio Mancinelli su come supportare le nuove generazioni di creativi e artigiani; i nuovi fashion designer alle Galeries Bartoux all’ex Cinema Accademia; la celebrazione dei 150 anni di Bevilacqua con il lancio di un nuovo progetto creativo; gli Atelier Aperti nelle botteghe artigiane e negli spazi dell’arte; le Colazioni con i Designer. www.venicefashionweek.com
VENICE COCKTAIL WEEK. Il fenomeno “Cocktail Week” nasce a Londra nel 2008 e si è diffuso con il tempo in alcune città iconiche del mondo. La regola aurea è ineludibile: bere responsabile e di qualità. L’anima di Venice Cocktail Week parte dalla città e la attraversa per esplorare un itinerario tra Bar d’Hotel, Cocktail Bar e location esclusive in un’esperienza davvero unica. Cocktail creati ad hoc, bellezza e piacere, ma anche approfondimento e sperimentazione sono gli elementi fondamentale di un successo che ora è pronto a rinnovarsi nella quarta edizione dal 22 al 26 ottobre. Incontri, masterclass, tasting, aperitivi e ospiti di fama nazionale e internazionale creano l’atmosfera inimitabile di una Week da non perdere. Founder e creative director, Paola Mencarelli, in continua ricerca delle nuove tendenze nel settore food & drink. venicecocktailweek.it
VENICE PHOTO LAB, mostra fotografica diffusa, quasi incastonata nel tessuto urbano cittadino, torna a Venezia con la sua settima edizione, dal 10 al 24 ottobre. Il tema scelto per il 2025 è Life, filo conduttore che attraversa le sei sezioni del festival – Street, Fashion, Portraits, Landscapes, Architecture, Reportage – offrendo a oltre sessanta fotografi internazionali l’occasione di raccontare, attraverso il proprio sguardo, la vitalità, le contraddizioni e le trasformazioni del nostro tempo.
Il percorso espositivo si sviluppa in diverse sedi espositive e luoghi della città. Alla Scuola Grande Confraternita di San Teodoro è allestita una collettiva di numerosi fotografi internazionali, mentre Arte Spazio Tempo ospita un’altra selezione collettiva che mette a confronto linguaggi diversi. Alla Scuola Grande San Giovanni Evangelista – Spazio Badoer si trova Inspired By The People di Stefano Lotumolo, dedicata all’intimità dei soggetti ritratti nei diversi angoli del mondo. Alla 193 Gallery di Dorsoduro si potrà visitare la mostra di Nina Papiorek & Mark Fearnley, tra fotografia, architettura e design, mentre Palazzo Contarini Polignac accoglie Witches In Exile di Ann-Christine Woehrl, un percorso visivo immersivo che celebra i ritratti femminili. Nei vari negozi e punti vendita Majer Venezia saranno inoltre esposti ulteriori progetti fotografici, piccole “tappe” da seguire attraverso la città. Tutte le mostre sono a ingresso libero, perseguendo l’obiettivo di Venice Photo Lab di trasformare Venezia in un grande museo a cielo aperto, accessibile a tutti.
Al grido di Life!, il festival invita appassionati e visitatori a scoprire come la fotografia abbia il potere sempre di raccontare, con forza e immediatezza, la vita in tutte le sue sfumature.
Venice Photo Lab 10-24 ottobre www.venicephotolab.it
San Teodoro, Anita Szirbek, Budapest - Courtesy Venice Photo Lab
Vento di passioni Venezia chiude la stagione con due regate d’eccezione
La stagione del remo volge al termine, ma non temete, arrivano le attese regate veliche d’autunno ad animare la laguna, una vera e propria sailing week dal 16 al 19 ottobre.
Archiviata la Barcolana 57, che andrà in scena a Trieste il 12 ottobre, i maxi yacht protagonisti della regata muovono verso sud, direzione Venezia. Qui ad attenderli c’è grande fermento con una competizione nata undici anni fa, esattamente nel 2014, da un’intuizione di Mirko Sguario, presidente dello Yacht Club Venezia, divenuta da subito un classico: stiamo parlando della sfida tra gli hotel nella Venice Hospitality Challenge –Gran Premio Città di Venezia, quest’anno il 18 ottobre. È l’unica regata al mondo che si svolge in un circuito cittadino riservata ai Maxi Yacht, gioielli dell’architettura navale e tra le imbarcazioni più potenti mai costruite. Realizzati su misura, in carbonio per essere leggerissimi, gli scafi sono lunghi dai 60 ai 100 piedi (da 18 a 30 e più metri), con un corredo infinito di vele e un equipaggio che varia da 20 a 30 persone a bordo e molte altre di appoggio a terra. La spettacolarità è data dalla loro agilità alla manovra nonostante le dimensioni gigantesche, tanto che la distanza tra l’uno e l’altro al traguardo resta incredibilmente minima. La sfida della Venice Hospitality Challenge è singolare e al contempo molto sentita, perché vede scendere “in acqua” l’hotellerie cinque stelle della città, che si contende l’ambito cappello del Doge, realizzato dalla storica vetreria muranese di Simone Cenedese. Nel campo di regata delineato tra il Bacino San Marco e il Canale della Giudecca ‘combattono’ a suon di vele e strambate skipper di fama internazionale ed
equipaggi a rappresentare The Gritti Palace, Ca’ Sagredo Hotel, Hotel Danieli, Ca’ di Dio VRetreats, Hotel Excelsior, Londra Palace, JW Marriott, Nolinski Venezia, Palazzina Grassi, St. Regis, SINA Centurion Palace, Palazzo Venart Luxury Hotel e Alajmo Ristorante Quadri. La regata riassume in una perfetta sintesi l’immagine di ospitalità d’eccellenza di Venezia e la sua vocazione marinaresca tramandata da oltre mille anni.
Come sempre, la regata sarà visibile dalle rive delle Zattere, dalla Punta della Salute, da Riva degli Schiavoni e da Riva Sette Martiri, mentre i Maxi Yacht saranno all’ormeggio ai pontili costruiti ad hoc alle Zattere, proprio di fronte alla Fondazione Scuola Piccola Zattere. A regata conclusa, la festa si accende con eventi e cocktail di gala, quest’anno ospitati dalla prestigiosa galleria d’arte all’Accademia, Galeries Bartoux.
Ma non è finita qui, il 19 ottobre, si chiude in bellezza con la Veleziana 2025, organizzata dalla Compagnia della Vela, classica regata che si snoda su un percorso che parte dal mare davanti al Lido e si conclude in Laguna davanti a Piazza San Marco. Non solo una kermesse, ma una regata vera e propria che richiede tattiche particolari proprio perché si svolge in ambienti e condizioni molto diversi tra loro: il passaggio dal mare alla laguna, con le sue correnti, strettoie e salti di vento, è per navigatori esperti, ma giungere a vele spiegate verso Piazza San Marco è certamente un premio ineguagliabile. Uno spettacolo allo stato puro per regatanti e spettatori, che amplifica il forte legame fra lo sport della vela e Venezia, ribadendo una volta di più la sua centralità nel panorama nautico dell’Adriatico.
Stra a Venezia, 42 chilometri di sfiancante bellezza
La maratona è la corsa podistica per eccellenza. Certamente faticosa, sfiancante, ma ancor di più emozionante. Al centro di tutto regna la sfida, contro sé stessi e contro la natura, una conquista graduale di uno “stato metafisico” che permette di superare passo dopo passo il limite personale precedente e che pone il tempo come elemento assoluto per chi la gara la vuole correre per davvero.
L’obiettivo-maratona è il punto di partenza di una disciplina sportiva che coinvolge un vero popolo di appassionati, di anno in anno sempre più numerosi, per i quali il fascino di questa prova sta proprio nel suo spirito di ‘impresa epica’ e che per questo si allena quotidianamente. Stiamo parlando di un popolo di autentici posseduti della corsa che discutono nei vari forum e blog, che testano materiali tecnici, che si confrontano su prestazioni e tempi, che si scambiano consigli e che soprattutto girano il mondo intero a caccia di emozioni. Sì, perché il contagio è mondiale e non vi è città che non organizzi una sua maratona.
Naturalmente poi c’è La Gara, quella dei runner professionisti. Quelli che frantumano ad ogni maratona pezzetti di record, la cui bellezza atletica e la scioltezza nel correre rappresenta un assoluto spettacolo sportivo e visivo. Assistere al finale di una maratona con atleti che sprintano dopo oltre 42 km corsi a perdifiato è un qualcosa di assolutamente unico. E le grandi classiche anche questo regalano, oltre alla straordinaria festa popolare che mettono in scena. Tra queste rientra naturalmente anche la Venicemarathon, giunta quest’anno alla sua 39. edizione. Come sempre l’ultima domenica di ottobre, quest’anno il 25, vedrà il clou di una kermesse podistica che dura poco meno di una settimana tra corse amatoriali come la family run, mezze maratone, 10 km, fiere sportive e quant’altro. Solo il ciclismo tra i grandi sport popolari può forse eguagliare come numero di partecipanti e di praticanti questa straordinaria disciplina sportiva, che fa della semplicità dei mezzi per essere praticata, della convivialità, dello spirito autenticamente solidale il suo verbo primo, la sua grammatica.
Inutile dire che anche su questo fronte sportivo Venezia rimane un unicum mondiale. Il profilo della città, con i suoi innumerevoli
campanili, si distingue già all’orizzonte, alla fine dei 4 interminabili chilometri del Ponte della Libertà, che arrivano dopo aver macinato decine e decine di km nello straordinario scenario delle ville venete del Brenta e dopo aver attraversato l’area urbana di Marghera e Mestre. Il lungo ponte che conduce alla Serenissima è probabilmente il tratto più impegnativo del percorso, quello dove la solidità psicologica degli atleti viene messa a dura prova, e dove, spesso, si opera la selezione decisiva all’interno del gruppo di testa.
Alla fine del ponte inizia la parte più spettacolare ed emozionante della gara, l’ultimo tratto sui masegni con ben 14 ponti da superare, tra i quali quello di barche appositamente costruito per collegare Punta della Dogana con Piazza San Marco, dove inizia il rush lungo Riva degli Schiavoni fino a Riva Sette Martiri, scenario di uno sprint finale senza pari davvero nel mondo.
Insomma, un autentico spettacolo per tutti, anche per chi, pigramente, decide di stare a bordo strada semplicemente per applaudire e godersela questa meravigliosa corsa nella grande bellezza. ENG Marathons are the ultimate running event: grueling, exhausting, yet deeply thrilling. At its core lies a challenge: against oneself and nature, a gradual conquest of a “metaphysical state” where each step pushes past personal limits, and time becomes the defining element for those truly racing. The marathon goal is the starting point for a sport that gathers a growing community of passionate runners, drawn by its epic spirit and committed to daily training. This is a tribe of running enthusiasts who share tips, test gear, compare performances, and travel the world chasing emotion. The fever is global, with every city hosting its own marathon.
And then there’s The Race, for elite runners who shatter records and turn athletic grace into visual spectacle. Watching a sprint finish after 26 miles is unforgettable. Among the greats is the Venicemarathon, now in its 39th edition. On October 25, it crowns a week of events: fun runs, half marathons, expos, and more. Only cycling rivals its popularity. And Venice, with its iconic skyline, offers a unique setting: from the long causeway to the mainland to the final stretch over 14 bridges, ending with a sprint along Riva degli Schiavoni. A true spectacle, even for those cheering from the sidelines.
VILLA PISANI - STRA DOLO
MIRA
VENEZIA
ORIAGO
MARGHERA
MESTRE PARCO SAN GIULIANO
agenda
MUSICA , CLASSICA, TEATRO, CINEMA
OttOct
03
venerdì Friday
FILIPPO GRAZIANI
Ivan Graziani tribute
Teatro Goldoni h. 21
04
sabato Saturday
JAN GARBAREK
TRILOK GURTU
Jazz
“Incroci in Musica 2025“
Teatro Goldoni h. 18
TULLIO DE PISCOPO
World music
“Bissuola Live“
Teatro del Parco h. 20
05 domenica Sunday
DANÛK
Musica curda
“Candiani Groove“
Centro Culturale Candiani-Mestre h. 18
07 martedìTuesday
ARTI 5IVE
Rap
Gran Teatro Geox-Padova h. 21
09
giovedìThursday
SALMO
Rap
Fiera di Padova h. 21
SIMONA MOLINARI
Jazz
“Dal Vivo“
Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 20
10
venerdì Friday
RAPHAEL GUALAZZI
Jazz
“Venezia Jazz Festival - Fall Edition“
Teatro Goldoni h. 21
11 sabato Saturday
ARBENZ X ARBENZ
JERJEN
VISTEL / VISTEL
Jazz
“Venezia Jazz Festival - Fall Edition“
Teatro La Fenice h. 21
16
giovedì Saturday
ENSEMBLE SYMPHONY
ORCHESTRA
Morricone tribute
“Dal Vivo“
Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 20
18
sabato Saturday
ENRICO PIERANUNZI
ALDO DI CATERINO
Jazz
“Venezia Jazz Festival - Fall Edition“
Teatro La Fenice h. 21
19
domenica Sunday
THE ZAWOSE QUEENS
Musica africana
“Candiani Groove“
Centro Culturale Candiani-Mestre h. 18
20
lunedì Monday
NICCOLÒ FABI
Musica d’autore
Gran Teatro Geox-Padova h. 21
25
sabato Saturday
VENEZIA SOUNDS
Serata tributo in memoria di Tomaso Cavanna
Tese delle Nappe, Arsenale di Venezia h. 18
26
domenica Sunday
LUCA FORMENTINI
MARIO PIAVOLI
Musica elettronica
“Venezia Jazz Festival - Fall Edition“
Teatrino di Palazzo Grassi h. 21
27
lunedì Monday
ROSE VILLAIN
Rap
Gran Teatro Geox-Padova h. 21
29
mercoledìWednesday
MODÀ
Pop
Kioene Arena-Padova h. 21
30 giovedìThursday
PAOLO BIRRO
STEFANO OLIVATO
Jazz
“Venezia Jazz Festival - Fall Edition“
Teatro La Fenice h. 21
MODÀ
Pop
Kioene Arena-Padova h. 21
NovNov
01
sabato Saturday
GIANLUIGI TROVESI
UMBERTO PETRIN
Jazz
“Venezia Jazz Festival - Fall Edition“
La Casa di The Human Safety Net h. 21
06
giovedìThursday
URI CAINE TRIO
MARK HELIAS & BEN PEROWSKY
Jazz
“Padova Jazz Festival“ Centro Altinate San Gaetano-Padova h. 21
07
venerdì Friday
NICA’S DREAM
Jazz
“Candiani Groove“ Centro Culturale Candiani-Mestre h. 18
I MUSICI DI GUCCINI
LODO GUENZI
Guccini tribute
“Bissuola Live“
Teatro del Parco h. 18
ROBERTO GATTO NEW QUARTET
Jazz
“Padova Jazz Festival“
Centro Altinate San Gaetano-Padova h. 21
SIMPLY RED
Pop
Kioene Arena-Padova h. 21
MARCO MASINI
Musica d’autore
Gran Teatro Geox-Padova h. 21
08
sabato Saturday
HAKAN BASAR TRIO
Jazz
“Venezia Jazz Festival - Fall Edition“
Teatro La Fenice h. 21
MAX IONATA & HAMMOND GROOVERS
Jazz
“Padova Jazz Festival“ Centro Altinate San Gaetano-Padova h. 21
09
domenica Sunday
REDI HASA RAMI KHALIFÉ
BIJAN CHEMIRANI
Musica contemporanea persiana “Incroci in Musica 2025“ Teatro La Fenice h. 18.30
VINICIO CAPOSSELA
Musica d’autore Teatro Malibran h. 21
ROBERTO TAUFIC & FAUSTO BECCALOSSI
Jazz
“Padova Jazz Festival“ Caffè Pedrocchi-Padova h. 11.30
11 martedìTuesday I CANI
Indie Gran Teatro Geox-Padova h. 21
12
mercoledìWednesday
CARMEN CONSOLI
Musica d’autore Gran Teatro Geox-Padova h. 21
13
giovedìThursday
ALFREDO RODRIGUEZ TRIO
Jazz
“Padova Jazz Festival“ Sala dei Giganti-Padova h. 21
FRANCESCO DE GREGORI
Musica d’autore
Gran Teatro Geox-Padova h. 21
14
venerdì Friday
MANO MANJARI
PARTHO SAROTHY
Musica tradizionale indiana
“Incroci in Musica 2025“
Auditorium De Michelis-Mestre h. 20
OBLIVION
World music
“Dal Vivo“
Teatro Goldoni h. 20
ROBERTO FONSECA
QUARTET
Jazz
“Padova Jazz Festival“
Sala dei Giganti-Padova h. 21
15 sabato Saturday
ANGELO BRANDUARDI
World music
“Dal Vivo“
Teatro Goldoni h. 20
HIROMI
Jazz
Gran Teatro Geox-Padova h. 21
16 domenica Sunday
VANESSA MORENO & SALOMÃO SOARES
Jazz
“Candiani Groove“ Centro Culturale Candiani-Mestre h. 18
SARA LONGO
ALVISE SEGGI
Beatles tribute
“Padova Jazz Festival“ Caffè Pedrocchi-Padova h. 11.30
18 martedìTuesday
ANNALISA
Pop
Kioene Arena-Padova h. 21
20 giovedìThursday
STANLEY CLARKE BAND
Jazz
“Padova Jazz Festival“ Teatro Verdi-Padova h. 21
RKOMI
Pop Gran Teatro Geox-Padova h. 21
21
venerdì Friday
CAMILLA GEORGE
Jazz
“Padova Jazz Festival“
Teatro Verdi-Padova h. 21
RAF
Pop Gran Teatro Geox-Padova h. 21
22
sabato Saturday
FRANCESCO BEARZATTI
FEDERICO CASAGRANDE
Jazz
“Venezia Jazz Festival - Fall Edition“
Auditorium Lo Squero h. 21
ELIO
Musica d’autore
“Dal Vivo“
Teatro Goldoni h. 20
CÉCILE MCLORIN SALVANT
Jazz
“Padova Jazz Festival“
Teatro Verdi-Padova h. 21
26
mercoledìWednesday
NOEMI
Pop
Gran Teatro Geox-Padova h. 21
27
giovedì Saturday
DINO BRANDÃO
MEL D TRIO
Musica elettronica
“New Echoes System“
Teatrino di Palazzo Grassi h. 19
30 domenica Sunday
FOUR ON SIX
Musica sinti
“Candiani Groove“
Centro Culturale Candiani-Mestre h. 18
INDIRIZZI
AUDITORIUM DE MICHELIS
M9 - Museo del ‘900-Mestre www.m9museum.it
AUDITORIUM LO SQUERO
Isola di San Giorgio Maggiore www.m9museum.it
CAFFÈ PEDROCCHI
Via VIII Febbraio-Padova www.padovajazz.com
CENTRO ALTINATE SAN GAETANO
Via Altinate 71-Padova www.padovajazz.com
CENTRO CULTURALE CANDIANI
Piazzale Candiani 7-Mestre www.venetojazz.com
FIERA DI PADOVA
Via Tommaseo 59-Padova www.zedlive.com
GRAN TEATRO GEOX
Via Tassinari 1-Padova www.zedlive.com
KIOENE ARENA
Via San Marco 53-Padova www.zedlive.com
LA CASA DI THE HUMAN SAFETY NET
Procuratie di Piazza San Marco www.venetojazz.com
SALA DEI GIGANTI
Palazzo del Liviano-Padova www.padovajazz.com
TEATRINO DI PALAZZO GRASSI
Campo San Samuele 3231 www.venetojazz.com
TEATRO DEL PARCO
Via Sergio Gori 11-Mestre www.comune.venezia.it
TEATRO GOLDONI San Marco 4650/B www.venetojazz.com
TEATRO LA FENICE
Campo San Fantin 1965 www.venetojazz.com
TEATRO MALIBRAN
Campiello del Teatro 5873 www.teatrolafenice.it
TEATRO MARIO DEL MONACO
Corso del Popolo 31-Treviso www.venetojazz.com
TEATRO VERDI Via dei Livello 32-Padova www.padovajazz.com
TESE DELLE NAPPE
Arsenale di Venezia www.medicinerocks.it
agenda
MUSICA, CLASSICA , TEATRO, CINEMA
OttOct
03
venerdì Friday
DUO CONTRASTE
Cyrille Dubois tenore
Tristan Raës pianoforte
Musiche di Chaminade, Christiné, Danglas, Lecocq, Renard
“Parigi, romantica pop”
Ingresso/Ticket € 15/5
Palazzetto Bru Zane h. 19.30
05
domenica Sunday
IGOR LEVIT pianoforte
Orchestra del Teatro La Fenice
:classica l
Musiche di Beethoven, Schumann, Chopin
“Musikàmera 2025”
Ingresso/Ticket € 75/50
Teatro La Fenice h. 20
09
giovedìThursday
JEAN-BAPTISTE DOULCET
pianoforte
Musiche di Chaminade, Chopin, Bonis, Fauré e Déodat de Séverac
“Parigi, romantica pop”
Ingresso/Ticket € 15/5
Palazzetto Bru Zane h. 19.30
RICCARDO MUTI
Orchestra giovanile Luigi Cherubini
Karl-Heinz Schütz flauto
Musiche di Beethoven, Mozart
Ingresso/Ticket € 190/15
Teatro La Fenice h. 20
10
venerdì Friday
SILVANA TORTO soprano FILIPPO FAES pianoforte
Musiche di Gabriel Fauré, Debussy, Duparc, Reynaldo Hahn, Charles Gounod
“Musikàmera 2025”
Ingresso/Ticket € 35
Sale Apollinee, Teatro La Fenice h. 20
12
domenica Sunday
EMMA BRUMAT
ALESSANDRO DEL GOBBO pianoforte
Musiche di Debussy, Boulez
“Sulle note del secolo. I maestri del ’900”
Ingresso/Ticket € 10/7
M9 - Museo del ‘900-Mestre h. 17
16
giovedìThursday
LIDIJA E SANJA BIZJAK
pianoforte a quattro mani
Musiche di Hervé, Messager, Offenbach e Serpette
“Parigi, romantica pop”
Ingresso/Ticket € 15/5
Palazzetto Bru Zane h. 19.30
17
venerdì Friday
WOZZECK
di Alban Berg
Direttore Markus Stenz
Regia Valentino Villa
Maestro del Coro Alfonso Caiani
Piccoli Cantori Veneziani
“Stagione Lirica e Balletto 2024-25”
Ingresso/Ticket € 230/20
Teatro La Fenice h. 19
19
domenica Sunday
WOZZECK
(vedi venerdì 17 ottobre)
Teatro La Fenice h. 15.30
CARLO MARIA VIANELLO
MIRABELLO pianoforte
ERGI CANE pianoforte
XIAONAN WANG flauto
ELISA RIGHI violino
QINGXUAN ZHAO pianoforte
YUN ZHANG pianoforte
Musiche di Ysaÿe, Fišer, Martinu, Hindemith, Dutilleux, Stravinskij
“Sulle note del secolo. I maestri del ’900”
Ingresso/Ticket € 10/7
M9 - Museo del ‘900-Mestre h. 17
21
martedìTuesday
WOZZECK
(vedi venerdì 17 ottobre)
Teatro La Fenice h. 19
RAFFAELE LA RAGIONE mandolino
FRANÇOIS DUMONT pianoforte
Musiche di Chaminade, Messager, Thomé, Gounod, Bizet, SaintSaëns
“Parigi, romantica pop”
Ingresso/Ticket € 15/5
Palazzetto Bru Zane h. 19.30
22
mercoledìWednesday
MASSIMILIANO FERRATI pianoforte
ENSEMBLE MARK ROTHKO
Carlo Lazari violino
Benjamin Bernstein viola
Marianna Sinagra violoncello
Giorgio Di Giorgi flauto
Nicoletta Sanzin arpa
Musiche di Robert Schumann, Guido Alberto Fano “150° dalla nascita di Guido Alberto Fano”
Ingresso/Ticket € 35
Sale Apollinee, Teatro La Fenice h. 20
23
giovedìThursday
WOZZECK
(vedi venerdì 17 ottobre)
Teatro La Fenice h. 19
24 venerdì Friday
MARKUS STENZ direttore
Musiche di Haydn e Brahms Orchestra del Teatro La Fenice “Stagione Sinfonica 2024-25”
Ingresso/Ticket € 130/15
Teatro La Fenice h. 20
25
sabato Saturday
MARKUS STENZ direttore
(vedi venerdì 24 ottobre)
Teatro La Fenice h. 20
26
domenica Sunday
WOZZECK
(vedi venerdì 17 ottobre)
Teatro La Fenice h. 15.30
STELLA GOLINI pianoforte
ELIDA FETAHOVIC pianoforte
Musiche di Schönberg, Ligeti, Ambrosini, Šostakovic, Berio “Sulle note del secolo. I maestri del ’900”
Compagnia Larreal - Real Conservatorio Profesional de Danza Mariemma
“Stagione di Lirica e Balletto
2024/25”
Ingresso/Ticket € 45/20
Teatro Malibran h. 19
04 sabato Saturday
ESPAÑA
(vedi venerdì 3 ottobre)
Teatro Malibran h. 19
05 domenica Sunday
ESPAÑA
(vedi venerdì 3 ottobre)
Teatro Malibran h. 17
08
mercoledìWednesday
JUANA FICCIÓN (2024)
Performance La Ribot Direzione d’orchestra Asier Puga Musiche originali di Iñaki Estrada Ingresso libero/Free entry
Teatrino di Palazzo Grassi h. 18
10
venerdì Friday
#HASHTAG DÉCLIC
Associazione Qui fait ça? Kiffer ça! – Compagnia Pockemon Crew
Théâtre Théo Argence – Ville de Saint-Priest
Direttore artistico Riyad Fghani
“Stagione di Lirica e Balletto 2024/25”
Ingresso/Ticket € 45/20
Teatro Malibran h. 19
11
sabato Saturday
#HASHTAG DÉCLIC
(vedi venerdì 10 ottobre)
Teatro Malibran h. 17
21
martedìTuesday
7 SPOSE PER 7 FRATELLI
Libretto di Lawrence Kasha & David Landay
Regia e coreografie di Luciano Cannito
Fabrizio di Fiore Entertainment & FdF GAT
“Stagione di Prosa 2025/26” Ingresso/Ticket € 32/15
Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30
22
mercoledìWednesday
7 SPOSE PER 7 FRATELLI
(vedi martedì 21 ottobre)
Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30
23
giovedìThursday
7 SPOSE PER 7 FRATELLI
(vedi martedì 21 ottobre)
Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30
PERFETTI SCONOSCIUTI
di Paolo Genovese
con Dino Abbrescia, Alice Bertini, Marco Bonini, Paolo Calabresi, Massimo De Lorenzo, Lorenza Indovina, Valeria Solarino
“Stagione di Prosa 2025/26”
Ingresso/Ticket € 39/5
Teatro Del Monaco-Treviso h. 20.30
24
venerdì Friday
7 SPOSE PER 7 FRATELLI
(vedi martedì 21 ottobre)
Teatro Toniolo-Mestre h. 21
PERFETTI SCONOSCIUTI
(vedi giovedì 23 ottobre)
Teatro Del Monaco-Treviso h. 20.30
25
sabato Saturday
7 SPOSE PER 7 FRATELLI
(vedi martedì 21 ottobre)
Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30
PERFETTI SCONOSCIUTI
(vedi giovedì 23 ottobre)
Teatro Del Monaco-Treviso h. 20.30
26
domenica Sunday
7 SPOSE PER 7 FRATELLI
(vedi martedì 21 ottobre)
Teatro Toniolo-Mestre h. 16.30
PERFETTI SCONOSCIUTI
(vedi giovedì 23 ottobre)
Teatro Del Monaco-Treviso h. 16
28 martedìTuesday
CRISI DI NERVI
Tre atti unici di A. Cechov
da Anton Cechov
Regia di Peter Stein
Con Maddalena Crippa,Sergio
Basile
“TOP | Theatre Of the People”
Teatro del Parco-Mestre
29 mercoledìWednesday
BACCANTI da Euripide di Anagoor con gli allievi dell’Accademia Carlo Goldoni “Fuoriserie 2025/26”
Teatro Del Monaco-Treviso h. 20.30
NovNov
04
martedìTuesday
IL GABBIANO
di Anton Cechov
Regia di Filippo Dini
Con Giuliana De Sio, Filippo Dini
“Stagione di Prosa 2025/26”
Ingresso/Ticket € 39/5
Teatro Verdi-Padova h. 19
05
mercoledìWednesday
BESTIARIO IDRICO
di e con Marco Paolini
scritto con Giulio Boccaletti
“Stagione di Prosa 2025/26”
Ingresso/Ticket € 39/8
Teatro Goldoni h. 20.30
IL GABBIANO
(vedi martedì 4 novembre)
Teatro Verdi-Padova h. 20.30
06
giovedìThursday
BESTIARIO IDRICO
(vedi mercoledì 5 novembre)
Teatro Goldoni h. 19.30
IL GABBIANO
(vedi martedì 4 novembre)
Teatro Verdi-Padova h. 19
07
venerdì Friday
BESTIARIO IDRICO
(vedi mercoledì 5 novembre)
Teatro Goldoni h. 19.30
FRIDA
Regia e coreografia Eva Duda
Con Eleonora Accalai e Tibor Kováts
Eva Duda Dance Company “Stagione di Prosa 2025/26”
Ingresso/Ticket € 30/10
Teatro Toniolo-Mestre h. 21
IL GABBIANO
(vedi martedì 4 novembre)
Teatro Verdi-Padova h. 20.30
08
sabato Saturday
BESTIARIO IDRICO
(vedi mercoledì 5 novembre) Teatro Goldoni h. 19
FRIDA (vedi venerdì 7 novembre)
Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30
IL GABBIANO (vedi martedì 4 novembre)
Teatro Verdi-Padova h. 20.30
09
domenica Sunday
BESTIARIO IDRICO
(vedi mercoledì 5 novembre) Teatro Goldoni h. 16
FRIDA (vedi venerdì 7 novembre) Teatro Toniolo-Mestre h. 16.30
IL GABBIANO (vedi martedì 4 novembre) Teatro Verdi-Padova h. 16
11 martedìTuesday
ALIENI IN LAGUNA di e con Andrea Pennacchi Musiche originali e dal vivo di Giorgio Gobbo “Stagione di Prosa 2025/26” Ingresso/Ticket € 30/10
Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30
12
mercoledìWednesday
BACCANTI da Euripide di Anagoor con gli allievi dell’Accademia Carlo Goldoni “Fuoriserie 2025/26” Teatro Goldoni h. 19
ALIENI IN LAGUNA (vedi martedì 11 novembre) Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30
13
giovedìThursday
ALIENI IN LAGUNA (vedi martedì 11 novembre) Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30
IL TURNO DI NOTTE di Gianpiero Francese Regia di Gianpiero Francese Con Gabriele Grano, Simona Ianigro, Giuseppe Ranoia, Manola Rotunno, Erminio Truncellito “Top Ten – Stagione Teatrale” Teatro del Parco-Mestre
IL GABBIANO
di Anton Cechov
Regia di Filippo Dini
Con Giuliana De Sio, Filippo Dini
“Stagione di Prosa 2025/26”
Ingresso/Ticket € 39/5
Teatro Del Monaco-Treviso h. 20.30
CRISI DI NERVI
Tre atti unici di A. Cechov da Anton Cechov
Regia di Peter Stein
Con Maddalena Crippa,Sergio
Basile
“TOP | Theatre Of the People”
Teatro del Parco-Mestre
14
venerdì Friday
OBLIVION
Tuttorial di e con gli OBLIVION
“Dal Vivo”
Ingresso/Ticket € 43,5/32
Teatro Goldoni h. 21
KATIA FOLLESA
No vabbè mi adoro di e con Katia Follesa
Ingresso/Ticket € 35/40
Teatro Corso-Mestre h. 21.15
IL GABBIANO
(vedi giovedì 13 novembre)
Teatro Del Monaco-Treviso h. 20.30
15
sabato Saturday
LUCA BIZZARRI
Non hanno un (amico) dubbio
“I Comici 2025/26”
Ingresso/Ticket € 30/20
Teatro Toniolo-Mestre h. 21
IL GABBIANO
(vedi giovedì 13 novembre)
Teatro Del Monaco-Treviso h. 20.30
16
domenica Sunday
IL GABBIANO
(vedi giovedì 13 novembre)
Teatro Del Monaco-Treviso h. 16
18
martedìTuesday
LA VEDOVA SCALTRA
di Carlo Goldoni
Regia di Giancarlo Marinelli
Con Caterina Murino e Enrico Bonavera
“Stagione di Prosa 2025/26”
Ingresso/Ticket € 30/10
Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30
19 mercoledìWednesday
LA VEDOVA SCALTRA
(vedi martedì 18 novembre)
Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30
20 giovedìThursday
LA VEDOVA SCALTRA
(vedi martedì 18 novembre)
Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30
21 venerdì Friday
LA VEDOVA SCALTRA
(vedi martedì 18 novembre)
Teatro Toniolo-Mestre h. 21
SABINA GUZZANTI
Liberidì Liberidà di e con Sabina Guzzanti
Ingresso/Ticket € 39/25
Teatro Corso-Mestre h. 21.15
22 sabato Saturday
ELIO
Quando un musicista ride Drammaturgia e regia di Giorgio Gallione Arrangiamenti musicali Paolo
Silvestri
“Dal Vivo”
Ingresso/Ticket € 51/40
Teatro Goldoni h. 21
LA VEDOVA SCALTRA
(vedi martedì 18 novembre)
Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30
23 domenica Sunday
LA VEDOVA SCALTRA
(vedi martedì 18 novembre)
Teatro Toniolo-Mestre h. 16.30
THE CODARTS DANCE COMPANY
“XXII Festival La Sfera Danza” Ingresso/Ticket € 15/7
Teatro Verdi-Padova h. 20.45
25 martedìTuesday
L’ORESTE
Quando i mori uccidono i vivi di Francesco Niccolin
Regia Giuseppe Marini
Con Claudio Casadio
“TOP | Theatre Of the People”
Teatro del Parco-Mestre
LA GATTA SUL TETTO
CHE SCOTTA
di Tennessee Williams
Regia Leonardo Lidi
Con Valentina Picello
“Stagione di Prosa 2025/26”
Ingresso/Ticket € 39/5
Teatro Verdi-Padova h. 19
26
mercoledìWednesday
LA GATTA SUL TETTO
CHE SCOTTA
(vedi martedì 25 novembre)
Teatro Verdi-Padova h. 20.30
AMADEUS
di Peter Shaffer
Uno spettacolo di Ferdinando Bruni
e Francesco Frongia
“Stagione di Prosa 2025/26”
Ingresso/Ticket € 30/10
Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30
SIGNE-MOI L’ÉPHÉMÈRE
Coreografia Perle Cayron
Regia Franck Cayron
Danza Maria Cargnelli
Cie BitterSweet
““XXII Festival La Sfera Danza”
Ingresso/Ticket € 10/7
Teatro Quirino De Giorgio-Vigonza h. 19
27
giovedìThursday
LA GATTA SUL TETTO
CHE SCOTTA
(vedi martedì 25 novembre)
Teatro Verdi-Padova h. 19
AMADEUS
(vedi mercoledì 26 novembre)
Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30 28
venerdì Friday
IL GABBIANO
di Anton Cechov
Regia di Filippo Dini
Con Giuliana De Sio, Filippo Dini
“Stagione di Prosa 2025/26”
Ingresso/Ticket € 25/17
Teatro Goldoni h. 19.30
YOKO YAMADA
Stellina scintillina
“I Comici 2025/26”
Ingresso/Ticket € 30/20
Teatro Toniolo-Mestre h. 21
LA GATTA SUL TETTO
CHE SCOTTA
(vedi martedì 25 novembre)
Teatro Verdi-Padova h. 20.30
29 sabato Saturday
IL GABBIANO (vedi venerdì 28 novembre)
Teatro Goldoni h. 19
CARMINA BURANA
Balletto Nazionale del Kosovo Cantata scenica di Carl Orff
Coreografia Toni Candeloro “VeneziainDanza 2025” Ingresso/Ticket € 30
Teatro Malibran h. 20
LA GATTA SUL TETTO CHE SCOTTA
(vedi martedì 25 novembre)
Teatro Verdi-Padova h. 20.30
30 domenica Sunday
IL GABBIANO
(vedi venerdì 28 novembre)
Teatro Goldoni h. 16
LA GATTA SUL TETTO CHE SCOTTA
(vedi martedì 25 novembre)
Teatro Verdi-Padova h. 16
INDIRIZZI
TEATRO CORSO
Corso del Popolo 30-Mestre www.dalvivoeventi.it
TEATRO GOLDONI San Marco 4650/B www.teatrostabileveneto.it
TEATRO MALIBRAN San Marco 5873 www.teatrolafenice.it
TEATRO MARIO DEL MONACO
Corso del Popolo 31-Treviso www.teatrostabileveneto.it
TEATRO DEL PARCO
Parco Albanese-Mestre www.culturavenezia.it
TEATRO QUIRINO DE GIORGIO
Via Luciano Manara 10-Vigonza www.lasferadanzafestival.it
Via dei Livello 32-Padova www.teatrostabileveneto.it
agenda
MUSICA, CLASSICA, TEATRO, CINEMA
OttOct
02
giovedìThursday
PALAZZO GRASSI INVITA THE INTERNATIONAL FESTIVAL OF FILMS ON ART 2025
Dahomey regia di Mati Diop (2024) a seguire
So Surreal: Behind the Masks di Neil Diamond e Joanne Robertson (2024)
Teatrino di Palazzo Grassi h. 18
03
venerdì Friday
PALAZZO GRASSI INVITA THE INTERNATIONAL FESTIVAL OF FILMS ON ART 2025
The Story of Ne Kuko regia di Festus Toll (2024) a seguire
No More History Without Us di Priscilla Brasil (2024)
Teatrino di Palazzo Grassi h. 18
04
sabato Saturday
PALAZZO GRASSI INVITA
THE INTERNATIONAL FESTIVAL OF FILMS ON ART 2025
Fiume o morte!
Regia di Igor Bezinovic (2025)
Teatrino di Palazzo Grassi h. 17
05 domenica Sunday
PALAZZO GRASSI INVITA THE INTERNATIONAL FESTIVAL OF FILMS ON ART 2025
Soundtrack to a Coup D’Etat
Regia di Johan Grimonprez (2024)
Teatrino di Palazzo Grassi h. 17
13
lunedì Monday
STRADE PERDUTE
Regia di David Lynch (1997)
“IMG Rassegne”
IMG Cinemas Candiani-Mestre
NOSFERATU, IL PRINCIPE
DELLA NOTTE
Regia di Werner Herzog (1979)
“IMG Rassegne”
IMG Cinemas Candiani-Mestre
L’ENIGMA DI KASPAR
HAUSER
Regia di Werner Herzog (1974)
“IMG Rassegne”
IMG Cinemas Candiani-Mestre
14
martedìTuesday
3. BAIFF
BURANO ARTIFICIAL
INTELLIGENCE FILM FESTIVAL
Prima giornata di proiezioni
Fondazione Querini Stampalia h. 18
STRADE PERDUTE
Regia di David Lynch (1997)
“IMG Rassegne”
IMG Cinemas Candiani-Mestre
NOSFERATU, IL PRINCIPE
DELLA NOTTE
Regia di Werner Herzog (1979)
“IMG Rassegne”
IMG Cinemas Candiani-Mestre
L’ENIGMA DI KASPAR
HAUSER
Regia di Werner Herzog (1974)
“IMG Rassegne”
IMG Cinemas Candiani-Mestre
15
mercoledìWednesday
GRANDI E PICCOLI
The Fly (1986, 96’), David Cronenberg a seguire:
Radiazioni BX: distruzione uomo (1957, 81’), Jack Arnold
“Thomas Schütte, le metamorfosi del corpo”
Teatrino di Palazzo Grassi h. 18
3. BAIFF
BURANO ARTIFICIAL
INTELLIGENCE FILM
FESTIVAL
Seconda giornata di proiezioni
Fondazione Querini Stampalia h. 18
STRADE PERDUTE
Regia di David Lynch (1997)
“IMG Rassegne”
IMG Cinemas Candiani-Mestre
BRENTA CONNECTION
Regia di Cristian Tomassini (2025)
“Paesaggi che cambiano”
Auditorium Palazzo Bomben-Treviso h. 20.30
16
giovedìThursday
3. BAIFF
BURANO ARTIFICIAL INTELLIGENCE FILM
FESTIVAL
Terza giornata di proiezioni
Fondazione Querini Stampalia h. 18
17 venerdì Friday
3. BAIFF
BURANO ARTIFICIAL INTELLIGENCE FILM FESTIVAL
Quarta giornata di proiezioni
Fondazione Querini Stampalia h. 18
LIFE CHRONICLES OF DOROTHEA ÏESJ S.P.U
Film e audioracconto realizzato da ALMARE
Teatrino di Palazzo Grassi h. 18.30
18 sabato Saturday
3. BAIFF
BURANO ARTIFICIAL INTELLIGENCE FILM FESTIVAL
Cerimonia di premiazione
La Casa di The Human Safety Net h. 18
20 lunedì Monday
PUSH
Regia di Fredrik Gertten (2019)
“CinemARTa – Zone di Contatto”
Teatro Ca’ Foscari, Santa Marta h. 19
21 martedìTuesday
RITORNO AL FUTURO DAY
40° Anniversario
Regia di Robert Zemeckis (1985) “IMG Cult” IMG Cinemas Candiani-Mestre
22
mercoledìWednesday
THE RIGHT TO RACE
Regia di Richard Bullock (2023, 33’)
“INVOLVED! MovieLab for Sustainable ChangeMakers ”
La Casa di The Human Safety Net, Piazza San Marco h. 18
GIOCHI DI SOCIETÀ
La morte ti fa bella (1992, 104’), Robert Zemeckis a seguire:
Vi presento Toni Erdmann (2016, 162’), Maren Ade
“Thomas Schütte, le metamorfosi del corpo” Teatrino di Palazzo Grassi h. 18
IN CAMMINO PER L’ACQUA
Regia di Marco Pavan (2025)
Intervengono il regista Marco Pavan, l’attivista Michele Facen e Cristiana Santambrogio “Paesaggi che cambiano” Auditorium Palazzo Bomben-Treviso h. 20.30
24 venerdì Friday
OBIETTIVO TURCHIA
Una storia sociale attraverso il cinema
Proiezione di: Suçlular Aramızda (1964) di Metin Erksan
Uçurtmayı Vurmasınlar (1989) di Tunç Bas¸aran Zerre (2012) di Erdem Tepegöz
Introduce Vera Costantini (Università Ca’ Foscari Venezia) Al termine della proiezione si svolgerà una discussione con il regista Enis Rıza Sakızlı Teatro Ca’ Foscari, Santa Marta h. 14
29 mercoledìWednesday
LA RELIGIONE DELLA LIBERTÀ
Regia di Marco Zuin e Giulio Todescan (2025)
Intervengono gli autori Marco Zuin e Giulio Todescan “Paesaggi che cambiano” Auditorium Palazzo Bomben-Treviso h. 20.30
30
giovedìThursday
FRANKENSTEIN JUNIOR
Halloween Party
Regia di Mel Brooks (1974) “IMG Cult” IMG Cinemas Candiani-Mestre
31 venerdì Friday
FRANKENSTEIN JUNIOR
Halloween Party
Regia di Mel Brooks (1974) “IMG Cult” IMG Cinemas Candiani-Mestre
NovNov
03 lunedì Monday
UNA STORIA VERA
Regia di David Lynch (19979 IMG Cinemas Candiani-Mestre
04 martedìTuesday
UNA STORIA VERA
Regia di David Lynch (1997) IMG Cinemas Candiani-Mestre
05
mercoledìWednesday
FORME DELL’INFORME
Titane (2021, 108’), Julia Ducournau a seguire:
The Abyss (1989, 140’), James Cameron
“Thomas Schütte, le metamorfosi del corpo”
Teatrino di Palazzo Grassi h. 18
UNA STORIA VERA
Regia di David Lynch (19979 IMG Cinemas Candiani-Mestre
10
lunedì Monday
VIALE DEL TRAMONTO
Regia di Billy Wilder (1950)
“IMG Cult”
IMG Cinemas Candiani-Mestre
11
martedìTuesday
VIALE DEL TRAMONTO
Regia di Billy Wilder (1950)
“IMG Cult”
IMG Cinemas Candiani-Mestre
12
mercoledìWednesday
REDIVIVI
Nightmare – Dal profondo della notte (1984, 91’), Wes Craven a seguire:
Solo gli amanti sopravvivono (2013, 123’), Jim Jarmusch
“Thomas Schütte, le metamorfosi del corpo”
Teatrino di Palazzo Grassi h. 18
VIALE DEL TRAMONTO
Regia di Billy Wilder (1950)
“IMG Cult”
IMG Cinemas Candiani-Mestre
RITRATTI. MARIO RIGONI STERN
Regia di Carlo Mazzacurati e Marco Paolini (1999)
Intervengono Francesco Bonsembiante, produttore Jolefilm e Massimo Rossi, geografo (Fondazione Benetton)
“Paesaggi che cambiano” Auditorium Palazzo Bomben-Treviso h. 20.30
17
lunedì Monday
MORIRE A PALERMO
Regia di Caterina Pasqualino (2024)
“CinemARTa – Zone di Contatto” Teatro Ca’ Foscari, Santa Marta h. 19
QUEI BRAVI RAGAZZI
35° Anniversario
Regia di Martin Scorsese (1990)
“IMG Cult”
IMG Cinemas Candiani-Mestre
18
martedìTuesday
QUEI BRAVI RAGAZZI
35° Anniversario
Regia di Martin Scorsese (1990) “IMG Cult” IMG Cinemas Candiani-Mestre
19
mercoledìWednesday
INFANZIE INQUIETANTI
Earwig – La bambina con i denti di ghiaccio (2021, 114’), Lucile Hadzihalilovic a seguire:
Un angelo alla mia tavola (1990, 158’), Jane Campion
“Thomas Schütte, le metamorfosi del corpo”
Teatrino di Palazzo Grassi h. 18
QUEI BRAVI RAGAZZI
35° Anniversario
Regia di Martin Scorsese (1990)
“IMG Cult”
IMG Cinemas Candiani-Mestre
23
domenica Sunday
THOMAS SCHÜTTE.
GENEALOGIES
Documentario a cura di Sky Arte
Teatrino di Palazzo Grassi h. 17/18/19
24
lunedì Monday
MULHOLLAND DRIVE
Regia di David Lynch (2001) IMG Cinemas Candiani-Mestre
25
martedìTuesday
MULHOLLAND DRIVE
Regia di David Lynch (2001) IMG Cinemas Candiani-Mestre
26
mercoledìWednesday
UOMINI A CASA
Mio zio (1958, 116’)
regia di Jacques Tati a seguire:
Stalker (1979, 162’)
regia di Andrei Tarkovski
“Thomas Schütte, le metamorfosi del corpo”
Teatrino di Palazzo Grassi h. 18
MULHOLLAND DRIVE
Regia di David Lynch (2001)
IMG Cinemas Candiani-Mestre
FESTIVAL DI MUSICA DA CAMERA CONFERENZE
14.10.2025
ORE 18
Hervé e lo spirito francese conferenza di Carla di Lena
06.11.2025 ORE 18
Locandine e grafica da Parigi all’Italia conferenza di Elisabetta Pasqualin
CINA Repubblica Popolare Cinese Magazzino delle Vergini
CROAZIA Artiglierie
EMIRATI ARABI UNITI Sale d'Armi
FILIPPINE Artiglierie
GRANDUCATO DI LUSSEMBURGO Sale d'Armi
IRLANDA Artiglierie
Repubblica del KOSOVO Artiglierie
LETTONIA Artiglierie
LIBANO Sale d’Armi
Repubblica di MACEDONIA DEL NORD Sale d’Armi
Regno del MAROCCO Artiglierie
MESSICO Sale d'Armi
Sultanato dell’OMAN Artiglierie
PERÙ Sale d'Armi
SINGAPORE Sale d'Armi
Repubblica di SLOVENIA Artiglierie
TURCHIA Sale d'Armi
UCRAINA Sale d'Armi
Repubblica dell’UZBEKISTAN
Tese Cinquecentesche
PADIGLIONE ITALIA
Tese delle Vergini
AROUND TOWN
National Participations
Repubblica di ARMENIA
Tesa 41, Fondamenta Case Nuove, Castello 2738/C
Repubblica dell’AZERBAIGIAN
Campo della Tana, Castello 2127/A (opposite the Arsenale entrance)
BULGARIA
Sala Tiziano, Centro Culturale Don Orione Artigianelli Dorsoduro 909/A
Repubblica di CIPRO
Associazione Culturale Spiazzi, Castello 3865
ESTONIA
Riva dei Sette Martiri, Castello 1611
GRENADA
La Toletta Spazioeventi, Fondamenta Borgo Dorsoduro 1134
ISLANDA
Ramo de la Tana, Castello 2125 (opposite the Arsenale entrance)
KUWAIT
Tesa 42, Fondamenta Case Nuove, Castello 2738/C
LITUANIA
Chiesa di Santa Maria dei Derelitti
Complesso dell’Ospedaletto
Barbaria de le Tole, Castello 6691
MONTENEGRO
ArteNova, Campo San Lorenzo, Castello 5063
PAKISTAN
Spazio 996/A, Fondamenta Sant’Anna Castello 996/A
PORTOGALLO
Fondaco Marcello, Calle del Traghetto
San Marco 3415
QATAR/2
ACP - Palazzo Franchetti, San Marco 2847
ROMANIA/2
New Gallery of Istituto Romeno di Cultura
e Ricerca Umanistica
Palazzo Correr, Campo Santa Fosca
Cannaregio 2214
SANTA SEDE
Complesso di Santa Maria Ausiliatrice
Fondamenta San Gioachin, Castello 450
THAILANDIA
Castello Gallery, Castello 1636/A
Repubblica del TOGO
Squero Castello, Salizada Streta, Castello 368
AROUND TOWN
Collateral Events
DOCKS CANTIERI CUCCHINI
Catalonia in Venice_Water
Parliaments. Projective Ecosocial Architectures
San Pietro di Castello 40/A
PALAZZO ZORZI
Deep Surfaces. Architecture to enhance the visitor experience of UNESCO sites
UNESCO Regional Bureau for Science and Culture in Europe, Castello 4930
PALAZZO MORA
EUmies Awards. Young Talent 2025
Intelligens . Talent
Palazzo Mora, Strada Nova, Cannaregio 3659
PALAZZO DELLE PRIGIONI
NON-Belief.
Taiwan Intelligens of Precarity
Castello 4209 (next to Palazzo Ducale)
CAMPO DELLA TANA/1
Parallel Worlds.
Exhibition from Macao, China
Castello 2126/A (opposite the Arsenale entrance)
CAMPO DELLA TANA/2
Projecting Future Heritage.
A Hong Kong Archive
Castello 2126 (opposite the Arsenale entrance)
ABBAZIA DI SAN GREGORIO
Rooted Transience
AlMusalla Prize 2025
Dorsoduro 172 (next to Chiesa della Salute)
PALAZZO DIEDO
The Next Earth
Computation, Crisis, Cosmology
Berggruen Arts & Culture, Cannaregio 2386
Ti prometto che crescerai
con Il tuo lascito a Terre des hommes dai un futuro migliore ai bambini e alle bambine del mondo.
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exhibitions
NOT ONLY BIENNALE
AROUND TOWN
Not Only Biennale
CA’ PESARO/1
GASTONE NOVELLI (1925–1968)
15 novembreN ovember-1 marzo March, 2026
Galleria Internazionale d’Arte Moderna Santa Croce 2076
CA’ PESARO/2
TERRY ATKINSON. L’artista è un motore di significati
15 novembreN ovember-1 marzo March, 2026
Galleria Internazionale d’Arte Moderna (Sale Dom Pérignon), Santa Croce 2076
CA’ REZZONICO
GUSTO NEOCLASSICO
L’Album Cicognara
26 settembre September-12 gennaio January, 2026
Museo del Settecento Veneziano, Dorsoduro 3136
CASA DEI TRE OCI
BERGGRUEN ARTS & CULTURE
MATTHIAS SCHALLER Controfacciata
Fino Until 23 novembre November
Berggruen Institute Europe, Fondamenta Zitelle Giudecca 43
CASA SANLORENZO
Breathtaking. An Installation by Fabrizio Ferri
Fino Until 23 novembre November Dorsoduro 170
CENTRO CULTURALE CANDIANI
MUNCH. La rivoluzione espressionista
30 ottobre October-1 marzo March, 2026
Piazzale Candiani 7, Mestre
CHIESA DI SANTA MARIA DELLA VISITAZIONE VERONIKA PSOTKOVÁ. Perpetuo
Fino Until 23 novembre November Fondamenta Zattere ai Gesuati, Dorsoduro
COLLEZIONE PEGGY GUGGENHEIM
Mani-Fattura: le ceramiche di LUCIO FONTANA
11 ottobre October-2 marzo March 2026
Palazzo Venier dei Leoni, Dorsoduro 701 EMERGENCY VENEZIA
HUMANITY LOVERS
Fino Until 31 ottobre October Giudecca 212
ESPACE LOUIS VUITTON CLÉMENT COGITORE. The Evil Eye
Fino Until 23 novembre November San Marco 1353
EUROPEAN CULTURAL CENTRE (ECC)/1
PALAZZO MORA | PALAZZO BEMBO
GIARDINI DELLA MARINARESSA
TIME SPACE EXISTENCE
Fino Until 23 novembre November
Palazzo Mora, Strada Nova, Cannaregio 3659
Palazzo Bembo, Riva del Carbon, San Marco 4793
Giardini della Marinaressa
Riva dei Sette Martiri, Castello
EUROPEAN CULTURAL CENTRE (ECC)/2
PALAZZO MORA
TIME SPACE EXISTENCE
Portal by A INTERIORS
Fino Until 23 novembre November
ECC-Palazzo Mora, Strada Nova, Cannaregio 3659
EUROPEAN CULTURAL CENTRE (ECC)/3
PALAZZO BEMBO
TIME SPACE EXISTENCE
Henriquez Partners Architects
Fino Until 23 novembre November
ECC-Palazzo Bembo, Riva del Carbon San Marco 4793
FONDATION VALMONT
TELEMACHUS. The Quest for Self
Fino Until 22 novembre November
Palazzo Bonvicini, The Intimate Museum Santa Croce 2161/A
FONDATION WILMOTTE
PRIX W 2025
The Abbey of Montmajour. Winning Projects
Fino Until 23 novembre November
Fondamenta de l’Abazia, Cannaregio 3560
FONDAZIONE BEVILACQUA LA MASA GRANDA
Atelier d’Artista 2024-2025
5 ottobre October-23 novembre November
Gallerie di Piazza San Marco, San Marco 71/C
Palazzetto Tito, Dorsoduro 2826
FONDAZIONE DELL’ALBERO D’ORO
DI STORIE E DI ARTE. Tre secoli di vita a Palazzo Vendramin Grimani
Fino Until 23 novembre November
Palazzo Vendramin Grimani, San Polo 2033
FONDAZIONE PRADA DIAGRAMS
A project by AMO/OMA
Fino Until 24 novembre November
Ca’ Corner della Regina, Santa Croce 2215
FONDAZIONE QUERINI STAMPALIA/1
JOHN BALDESSARI
No Stone Unturned. Conceptual Photography
Fino Until 23 novembre November
Campo Santa Maria Formosa, Castello 5252
FONDAZIONE QUERINI STAMPALIA/2 DAVIDE RIVALTA
Leoni in campo | Lions on the Field
Fino Until 23 novembre November
Campo Santa Maria Formosa, Castello 5252
FONDAZIONE QUERINI STAMPALIA/3 MARTÍ GUIXÉ
Q Spot. Seat, read, think, repeat
Fino Until 23 novembre November
Campo Santa Maria Formosa, Castello 5252
FORTE MARGHERA
ARTEFICI DEL NOSTRO TEMPO 2025
Fino Until 31 dicembre December
Padiglione 29, Via Forte Marghera 30, Mestre
GALLERIA ALBERTA PANE
JOÃO VILHENA
Predizione Perdizione
Fino Until 22 novembre November
Calle dei Guardiani, Dorsoduro 2403/H
GALLERIE DELL’ACCADEMIA/1
STUPORE, REALTÀ, ENIGMA
Pietro Bellotti e la pittura del Seicento a Venezia
Fino Until 18 gennaio January, 2026
Campo della Carità, Dorsoduro 1050
GALLERIE DELL’ACCADEMIA/2
Tristano di Robilant. InAcademia
Fino Until 24 novembre November
Campo della Carità, Dorsoduro 1050
IKONA GALLERY
WILLIAM KLEIN
Fino Until 30 novembre November
Campo del Ghetto Nuovo, Cannaregio 2909
ISOLA DI SAN GIORGIO MAGGIORE/1 BASILICA DI SAN GIORGIO MAGGIORE
LUC TUYMANS. Due nuove tele del grande artista belga per l’altare di San Giorgio Maggiore
Fino Until 24 novembre November
Abbazia di San Giorgio Maggiore - Benedicti Claustra Onlus, Isola di San Giorgio Maggiore
ISOLA DI SAN GIORGIO MAGGIORE/2 FONDAZIONE GIORGIO CINI
CASANOVA e l’Europa
Opera in più atti
17 ottobre October-2 marzo March, 2026
Sala Carnielutti e Piccolo Teatro, Isola di San Giorgio
ISOLA DI SAN GIORGIO MAGGIORE/3 LE STANZE DEL VETRO
1932-1942 Il vetro di Murano e la Biennale di Venezia
Fino Until 23 settembre September
Fondazione Giorgio Cini, Isola di San Giorgio Maggiore
ISOLA DI SAN GIORGIO MAGGIORE/4 LE STANZE DELLA FOTOGRAFIA ROBERT MAPPLETHORPE
Le forme del classico
Fino Until 6 gennaio January, 2026
Isola di San Giorgio Maggiore
ISOLA DI SAN GIORGIO MAGGIORE/5 LE STANZE DELLA FOTOGRAFIA ANDREA FRANCOLINI. Eye2Eye
11 ottobre October-23 novembre November
Isola di San Giorgio Maggiore
ISOLA DI SAN GIORGIO MAGGIORE/6
VATICAN CHAPELS. Andrew Berman, Francesco Cellini, Javier Corvalan, Eva Prats and Ricardo Flores, Norman Foster, Terunobu Fujimori, Sean Godsell, Carla Juaçaba, Smiljan Radic, Eduardo Souto de Moura, Francesco Magnani and Traudy Pelzel
Fondazione Giorgio Cini
Parco dell’Isola di San Giorgio Maggiore
ISOLA DI SAN SERVOLO
SEA BEYOND. Ocean Literacy Centre
Isola di San Servolo
M9 – MUSEO DEL ‘900
IDENTITALIA. The Iconic Italian Brands
Fino Until 15 febbraio February, 2026
Via Giovanni Pascoli 11, Mestre
MAGAZZINO GALLERY
NO DOUBT ABOUT IT
Projects from Armenia, China, Georgia, Germany, Latvia, and Poland
Fino Until 23 novembre November Palazzo Contarini Polignac, Dorsoduro 874
MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE
MICHELA CATTAI. ArcheoMateria
30 ottobre October-30 novembre November
Cortile dell’Agrippa and Sala V Piazzetta San Marco 17
MUSEO CORRER/1
IL CORRER DI CARLO SCARPA 1953-1960
Fino Until 19 ottobre October Quadreria, San Marco 52
MUSEO CORRER/2 Dialoghi canoviani
KAREN LAMONTE. Nocturnes
23 ottobre October-febbraio February, 2026 San Marco 52
MUSEO DEL VETRO
Storie di fabbriche.
Storie di famiglie
FRATELLI TOSO
Fino Until 24 novembre November Fondamenta Giustinian 8, Murano
MUSEO DI PALAZZO MOCENIGO CASANOVA 1725-2025. L’eredità di un mito tra storia e cinema
Fino Until 2 novembre November Santa Croce 1992
MUSEO DI STORIA NATURALE
GIANCARLO LIGABUE
UN OSTRIARIUM ROMANO
NELLA LAGUNA DI VENEZIA
Fino Until 2 novembre November Santa Croce 1730
MUSEO FORTUNY
ANTONIO BEATO. Ritorno a Venezia
Fotografie tra viaggio, architettura e paesaggio
15 ottobre October-12 gennaio January, 2026 San Marco 3958
MUNAV – MUSEO STORICO NAVALE
GIULIA PISCITELLI
Chiave terrestre
Fino Until 29 novembre November
Riva S. Biasio, Castello 2148
NICOLETTA FIORUCCI FOUNDATION
TOLIA ASTAKHISHVILI
Fino Until 23 novembre November Dorsoduro 2828
OCEAN SPACE
NADIA HUGGINS | TESSA MARS otras montañas, las que andan sueltas bajo el agua [altre montagne, dissolte sotto l’acqua]
Fino Until 2 novembre November
Chiesa di San Lorenzo, Castello 5069
PALAZZO BAROVIER&TOSO
Barovier&Toso ARTE
VLASTIMIL BERÁNEK
Stillness in Motion
Fino Until 12 novembre November
Sala dell'Acqua, Fondamenta Manin 1/D, Murano
PALAZZO CAVANIS
ALPS. ARCHITECTURE. SOUTH TYROL
Fino Until 23 novembre November Fondamenta Zattere, Dorsoduro 920
PALAZZO CINI
CASANOVA e Venezia
Fino Until 2 marzo March, 2026
Campo San Vio, Dorsoduro 864
PALAZZO DIEDO
BERGGRUEN ARTS & CULTURE
New site-specific installations UNTITLED (FLOOR) by Piero Golia SENZA TITOLO by Marcantonio Brandolini d’Adda
Fino Until 23 novembre November Cannaregio 2386
PALAZZO FERRO FINI
GIANMARIA POTENZA
Elaborating New Codes
Fino Until 17 ottobre October
Consiglio Regionale del Veneto, San Marco 2322
PALAZZO GRASSI
TATIANA TROUVÉ
La strana vita delle cose
Fino Until 4 gennaio January, 2026
Campo San Samuele, San Marco 3231
PROCURATIE VECCHIE/1
The Human Safety Net A WORLD OF POTENTIAL
Procuratie Vecchie, Piazza San Marco 105
PROCURATIE VECCHIE/2
The Human Safety Net
DREAMS IN TRANSIT
Fino Until 15 marzo March, 2026
Procuratie Vecchie, Piazza San Marco 105
PUNTA DELLA DOGANA
THOMAS SCHÜTTE. Genealogies
Fino Until 23 novembre November Dorsoduro 2
SCUOLA PICCOLA ZATTERE
FOSBURY ARCHITECTURE
Design x ABC Zattere
GAËLLE CHOISNE.
Temple of Love. Cœur
Fino Until 12 ottobre October Dorsoduro 1401
SMAC
SAN MARCO ART CENTRE
The Quantum Effect
Fino Until 23 novembre November
Procuratie Vecchie, Piazza San Marco 105
TANARTE / SPAZIO TANA
The Shape of What Remains:
Six gestures of repair across broken geographies
4 ottobre October-2 novembre November
Fondamenta della Tana, Castello 2111
THE VENICE VENICE HOTEL
M’ART&CRAFT DESIGN STUDIO
Venice M’Art Gallery, Cannaregio 5631
ALMA DAL CO SCHOOL ON COLLECTIVE BEHAVIOUR
Venezia 29.9–4.10.2025
presenta due incontri aperti al pubblico con ingresso libero
Venerdì 3 ottobre h. 18
Palazzo Franchetti
Istituto Veneto di Scienze Lettere ed Arti, San Marco 2847, Venezia
VENEZIA E LA LAGUNA
• Considerazioni su Venezia nel mondo che cambia del prof. Andrea Rinaldo presidente dell’Istituto Veneto di Scienze Lettere ed Arti
• Venezia e la laguna regolata, lettura del prof. Francesco Musco, presidente del CORILA e prorettore alla ricerca dello IUAV
• Aperitivo
• Sabato 4 ottobre h. 17
Sala Concerti
Conservatorio Benedetto Marcello, San Marco 2810, Venezia
CONVERSAZIONE SCIENZA E MUSICA
• il musicologo Sandro Cappelletto conduce la Conversazione con il filosofo Massimo Cacciari, la neuroscienziata Daniela Perani, e l’incontro - concerto con i Dottorandi del Conservatorio e con il saluto del Cardinale Matteo Zuppi
La School è organizzata con Istituto Veneto di Scienze Lettere ed Arti
con il sostegno di Fondazione Cariparo
Università di Padova
Università di Losanna
American Physical Society-DBIO
ICTP
Agli incontri hanno contribuito
Allianz-Bank Financial Advisors
Conservatorio Benedetto Marcello CORILA
European Cultural Centre
Fondazione Ugo e Olga Levi Venice Gardens Foundation
Mensile di cultura, spettacolo e tempo libero Numero 303 - Anno XXIX Venezia, 1 ottobre 2025
Con il Patrocinio del Comune di Venezia
Autorizzazione del Tribunale di Venezia n. 1245 del 4/12/1996
Direzione editoriale Massimo Bran
Direzione organizzativa Paola Marchetti
Relazioni esterne e coordinamento editoriale Mariachiara Marzari
Redazione
Chiara Sciascia, Davide Carbone
Speciali Fabio Marzari
Coordinamento editoriale
TheBAG, Daily Mostra del Cinema, Redazione Web, Newsletter Marisa Santin
Grafica Luca Zanatta
Hanno collaborato a questo numero
Katia Amoroso, Maria Laura Bidorini, Loris Casadei, Michele Cerruti But, Federico Jonathan Cusin, Mario Dal Co, Maurizio De Luca, Elisabetta Gardin, Nicolò Ghigi, Renato Jona, Michela Luce, Franca Lugato, Irene Machetti, Alberto Marzari, Diletta Rostellato, Giovanni Santarelli, Livia Sartori di Borgoricco, Sara Abra Carrol Smersu, Adele Spinelli, Fabio Di Spirito, Camillo Tonini, Delphine Trouillard, Riccardo Triolo, Luisa Turchi, Andrea Zennaro
Si ringraziano
Maxime Denuc, Aleksi Perälä, Mabe Fratti, Christian Fennesz, Filippo Dini, Giovanni Bonotto, Francesco Danesi della Sala, wetlands, Gabriella Furlan Malvezzi, Maria Cargnelli, Emanuela Caldirola e Marta Zannoner
Traduzioni
Andrea Falco, Patrizia Bran, Richard McKenna
lo trovi qui:
Bookshop Gallerie dell’Accademia; Qshop (c/o Querini Stampalia, Santa Maria Formosa); Alef (c/o Museo Ebraico, zona Ghetto); Mare di Carta (Fondamenta dei Tolentini); Studium (zona S. Marco); Toletta, Toletta Cube e Toletta Studio (zona Campo San Barnaba) e in tutte le edicole della città.
Direttore responsabile Massimo Bran
Guide spirituali
“Il più grande”, Muhammad Alì Il nostro “Ministro della Fantasia”, Fabio Marzari