



Gusto autentico e tradizione si incontrano nel Fior di Latte Sorì. Lenta maturazione, latte locale e metodi artigianali per un’esperienza unica. Provalo su pizza e altre mille ricette.



Gusto autentico e tradizione si incontrano nel Fior di Latte Sorì. Lenta maturazione, latte locale e metodi artigianali per un’esperienza unica. Provalo su pizza e altre mille ricette.
Il settore Horeca sta vivendo un periodo di trasformazione, con nuove tendenze emergenti nella ristorazione e nei consumi fuori casa. Tra queste, due delle aree che stanno attirando maggiore attenzione sono sicuramente i vini e la mixology. Mentre i consumatori diventano sempre più esigenti riguardo alle loro scelte di bevande, sia che si tratti di un buon bicchiere di vino o di un cocktail ben preparato, il mercato sta rispondendo con innovazioni che riflettono una crescente attenzione alla qualità, alla sostenibilità e all’esperienza sensoriale.
In questo numero esploreremo i principali trend che stanno plasmando il futuro di questi due mondi e le novità di prodotto che stanno invadendo il settore, offrendo ai professionisti del mondo Horeca una guida per rimanere aggiornati e rispondere alle nuove richieste dei consumatori. Con un consumo che si adatta alle nuove esigenze, il mondo vinicolo sta attraversando una fase di innovazione. Uno dei trend più rilevanti degli ultimi anni è la crescente domanda di vini biologici e naturali. I consumatori sono sempre più attenti agli aspetti ambientali e alla qualità dei prodotti che consumano, e il vino non fa eccezione. I produttori si stanno adattando a queste nuove preferenze, con un’offerta che comprende vini prodotti con uve da agricoltura biologica certificata o con pratiche sostenibili. La trasparenza è un altro aspetto fondamentale: i consumatori vogliono sapere esattamente da dove provengono le uve, come vengono coltivate e come vengono trattati i prodotti durante il processo di vinificazione. In risposta alla crescente consapevolezza del consumo responsabile e alla ricerca di opzioni più leggere, i vini a bassa gradazione alcolica stanno facendo il loro ingresso nei menù dei locali. Non si tratta più di limitarsi a vini “leggeri” come i bianchi o i rosati, ma di un’ampia varietà di etichette che offrono la possibilità di godere del gusto senza il sovraccarico di alcol. Questi vini sono realizzati utilizzando tecniche innovative che permettono di ridurre il contenuto alcolico senza compromettere il sapore, una vera rivoluzione per i consumatori che cercano alternative più equilibrate, ma ugualmente soddisfacenti. Per i locali Horeca, offrire vini a bassa gradazione può essere un modo per attrarre una clientela più giovane e attenta al benessere.
La mixology è un altro ambito che ha visto un’evoluzione notevole negli ultimi anni. Con un pubblico sempre più esigente e desideroso di nuove esperienze gustative, i barman e i mixologist si sono evoluti, portando la creazione di cocktail a un livello superiore. Da segnalare il mercato dei cocktail senza alcol che è in rapida espansione. Consumatori sempre più orientati a ridurre il consumo di alcol, ma che non vogliono rinunciare a un’esperienza sensoriale completa, sono alla ricerca di alternative creative. Questi cocktail “mocktail” non sono più solo una soluzione per chi deve evitare l’alcol, ma sono diventati una scelta di tendenza per molti. Le nuove ricette, caratterizzate da ingredienti freschi, erbe aromatiche, spezie e tecniche innovative come la fermentazione o l’affumicatura, stanno trasformando il mondo dei cocktail e bar e locali si stanno adattando, offrendo una vasta gamma di opzioni senza alcol che soddisfano le esigenze di una clientela sempre più attenta alla salute e al benessere.
Nella mixology, l’evoluzione degli spirits è un’altra delle principali novità. I produttori stanno creando nuove alternative ai liquori tradizionali, come gin, rum, vodka e whisky, utilizzando materie prime non convenzionali e metodi innovativi. Ad esempio, il gin a base di agrumi locali o il rum realizzato con zucchero di canna biologico, sono solo alcune delle novità che stanno arricchendo il panorama della mixology.
Le tendenze in atto nel settore del vino e della mixology mostrano un chiaro segnale di trasformazione nel settore Horeca. I consumatori vogliono esperienze uniche, che uniscano gusto, sostenibilità e innovazione. Per i ristoratori e i professionisti del settore Horeca, adattarsi a questi nuovi trend non è solo un’opportunità per ampliare la propria offerta, ma anche una necessità per restare competitivi in un mercato in continua evoluzione. Investire in prodotti di qualità, offrire nuove esperienze ai consumatori e puntare sulla sostenibilità sono le chiavi per il successo del futuro.
Buona lettura!
PROTAGONISTI
Intervista con il Maestro Pasticciere Luigi Biasetto
IN COPERTINA
Compagnia Italiana Sali: la nuova linea per il fuoricasa
DALLE AZIENDE
Molino Dallagiovanna: Uniqua Viola e Mordiqua
Casoni Aperitivo 1814 Non Alcolico
Certosa Alpestre di Onestigroup
SPECIALE VINO
Vino: evoluzione o rivoluzione?
Alta ristorazione: come sta cambiano l’approccio al consumo di vino
Evoluzione del ruolo della distribuzione nel panorama vinicolo
Focus sui vini dealcolati
Il ruolo della tecnologia: vino e Intelligenza Artificiale
Vino e Salute
Le prime fiere del vino 2025
AZIENDE
Babbi, un percorso gustativo per le strade del mondo
Fox Italia srl leader dell’aperitivo. Intervista con Antonio Pavone
San Giorgio e l’evoluzione del Frozen Bakery
SPECIALE MIXOLOGY
Bolle e Mixology, non solo Spritz
Cocktail 2025. Le nuove tendenze della Mixology
Mixology ZERO: la risposta alle nuove esigenze di consumo
Cocktail al caffè
Mixology made in Italy
Vermouth tra storia e sperimentazione
Vetrina prodotti Mixology
L’amaro e la Mixology
EVENTI
Centromarca: il Forum dedicato ai consumi fuoricasa
Coffee Fest
RISTORAZIONE
Il Fuoricasa cambia pelle
ASSOCIAZIONI
APCI, un nuovo slancio nel 2025
Luigi Biasetto nasce da genitori veneti in Belgio, a Bruxelles, città del cioccolato per eccellenza che, in qualche modo, segna il suo futuro. Gli anni della scuola scorrono tranquilli, caratterizzati da studi pret tamente scientifici, più consoni alla sua predisposizione per la logica e per i fenomeni della fisica. Finito il biennio delle scuole superiori e arrivato il momento di scegliere il percorso successivo, Luigi fa una scelta completamente diversa e si iscrive a soli 14 anni alla scuola per Mâitre Pâtissier Chocolatier Confiseur Glacier di Bruxelles consegue il diploma.
Una scelta di passione come racconta nell’intervista che segue.
Dalle scienze al cioccolato. Ci racconti questo passaggio?
Quando a 14 anni mi sono trovato di fronte alla scelta del percorso scolastico che avrei voluto pro seguire, è stato quasi naturale per me scegliere la scuola di pasticceria. Credo che la passione per questo mondo sia nel mio DNA mie nonne che, come tutte le nonne italiane, sa pevano cucinare come si deve e, una in particola re, sapeva fare i dolci con passione. In più, gli zii paterni erano pasticcieri e anche mio papà, che di mestiere faceva altro, amava molto la pasticceria, tanto che spesso aiutava i suoi fratelli in laborato rio. Potevo non diventare un pasticciere?
Era quindi una passione che ti portavi dentro e che hai saputo tirare fuori al momento giusto?
Direi proprio di sì e contro ogni aspettativa. A 5/6 anni avevo già le mani in pasta e preparavo i miei primi dolci, con grande sorpresa della mia fami glia che non mi vedeva predisposto, tanto che mio papà pensava che sarei stato più adatto a fare il macellaio. Pensa che un’estate mi fece lavorare in una macelleria, ma affettare bistecche e preparare salsicce non mi piaceva per nulla e durai appena due giorni. Mi toccò aspettare ancora un po’ pri ma di poter dire apertamente che volevo fare il pa sticciere e, fortunatamente, i miei genitori, che mi hanno sempre assecondato, mi lasciarono libero di inseguire il mio sogno.
Una volta ottenuto il diploma, cosa hai fatto?
In realtà, prima ancora di conseguire il diploma, è stata molto importante la mia prima esperienza sul campo, un periodo formativo obbligatorio previsto
proprio dal programma della scuola, ovvero uno stage presso una vera pasticceria da me scelta. Non sapendo come orientarmi, seguii il consiglio di un amico di famiglia che mi disse di fare richiesta a Wittamer . Si trattava della pasticceria più famosa allora in Belgio e una delle più importanti in Europa, che serviva la Corte Reale ormai da 50 anni. Pensa che io non la conoscevo per nulla, perché era una pasticceria per ricchi e noi eravamo una famiglia di immigrati, per carità benestanti, ma non ricchi. Si trovava nella zona centrale di Bruxelles, dietro al Palazzo Reale, nel ricco quartiere degli Antiquari. Mi presentai per chiedere di poter fare lo stage e fui accettato. All’inizio, come previsto dal programma scolastico, andavo una volta a settimana, il giovedì, ma poi al giovedì si aggiunsero venerdì e sabato, e poi ancora la domenica. Insomma, mi appassionai talmente da non poterne fare a meno e questa mia dedizione fu premiata perché, quando mi diplomai, decisero di assumermi.
Ad un certo punto, hai lasciato questa pasticceria per diventare consulente?
Sì, avevo 23 anni ma tanta esperienza, perché nel frattempo avevo partecipato e vinto la maggior parte dei concorsi di pasticceria che si svolgevano in Europa. Avevo vinto un campionato a Bruxelles, avevo vinto il concorso Arpajon a Parigi, poi la Coppa di Francia , la Coppa internazionale di pasta sfoglia , il primo Sigep d’Oro a Rimini e su questo ti devo raccontare un aneddoto. Questa gara era suddivisa nella categoria Junior e Senior. Non avendo più di 21 anni avrei dovuto partecipare nella prima, ma siccome volevo mettermi alla prova con i più grandi, barai sull’età e partecipai nella categoria senior. Vinsi, seguito da nomi come Iginio Massari e Rossano Boscolo, che non si facevano capaci di essere stati battuti da un ragazzino. Per fortuna, poi sono diventato amico di tutti e due e, devo dire, entrambi, riconobbero le mie competenze e capacità. Tutto questo fino al 1984. Nel 1987 vinsi il Campionato Europeo a Parigi e la Coppa di . Tutti questi riconoscimenti mi avevano dato una certa notorietà e la voce arrivò anche in Italia, dove venivo spesso a trovare la nonna Cesira e gli zii e poi perché ero innamorato del mio Paese di origine. Mi arrivarono, quindi, delle proposte di lavoro come consulente e così cominciai ad occuparmi di ristorazione, lavorando per locali importanti e ristoranti stellati.
Anche questo periodo fu di grande arricchimento, mi consentì di portare la mia idea di evoluzione della pasticceria, che in Italia era vista come molto moderna ed internazionale. Poi aprirono le prime scuole di pasticceria , come l'Etoile, la Cast Alimenti, l’Arte Dolci, l'Anfitrione ecc. e le prime associazioni un po’ su tutto il territorio nazionale, dalla Sicilia al Piemonte. Così iniziai a girare da Nord a Sud e questo mi diede modo di conoscere molto bene la pasticceria italiana e i suoi protagonisti. La mia fortuna è stata anche di collaborare con importanti industrie alimentari e di avere a lezione dei tecnologi. Tutto questo ha contribuito ad ampliare il mio punto di vista ed arricchire le mie conoscenze in uno scambio reciproco con i professionisti di questi settori.
Siamo alla fine degli anni ’90. È allora che partecipi alla Coppa del mondo?
Esatto, alla fine degli anni ‘90 mi viene proposto di partecipare alla Coppa del Mondo di Pasticceria Era da un po' che non facevo competizioni, perché ero alle prese con le consulenze, però la cosa mi interessava e avevo anche degli amici accade -
mici che, secondo la mia esperienza, potevano formare una squadra vincente per quella competizione. Così, stimolato da alcuni colleghi e dalla stessa organizzazione della Coppa del Mondo di Lione, decisi di accettare e di formare una squadra che avrebbe difeso i colori dell’Italia. Era il 1997 e, dopo sei mesi di allenamenti, partecipammo e vincemmo.
Sei stato tra i più giovani al mondo a vincere la coppa?
Sì, il più giovane e fu anche la prima volta per l'Italia. Ma non solo: abbiamo portato a casa tanti record, battendo la Francia che per la prima volta perdeva la sfida in casa pur avendo una squadra preparatissima, che temevamo, avendola vista lavorare durante gli allenamenti.
Il tuo è un esempio di quelli che ce l'hanno fatta grazie a impegno e costanza. Tra le figure di riferimento, chi ti è rimasto dentro e ti ha insegnato valori che poi hai applicato sul lavoro?
In primis e indubbiamente la famiglia , quindi a partire dai miei genitori e dal mio papà. Ma direi proprio la mia storia, che è la storia di una famiglia di immigrati che durante la guerra in un paese nemico per l'Italia doveva vivere un po’ nell’ombra, fare silenzio e rigare lungo i muri evitando di
disturbare. La parola d'ordine era dignità e rispetto e questi valori sono le cose che mi porto dentro e che vedo e cerco nelle persone che incontro.
E oltre alla famiglia?
Nel mio mondo, forse il primo ad ispirarmi è stato Joël Bellouet , che era un maestro francese della scuola di pasticceria di Gaston Lenôtre a Parigi. Quando ero ancora nella scuola di pasticceria a Bruxelles avevo partecipato a una sua lezione e mi era piaciuto molto il suo stile, perché era raffinato nelle lavorazioni e molto competente nella tecnica. Poi, è stato tutto un dare e avere. Così come ho insegnato a Iginio a lavorare lo zucchero ad un certo livello, lui mi ha insegnato a preparare le paste lievitate con il lievito madre, che io non conoscevo perché in Francia non si usava. Poi ancora Achille Zoia , che è stato importante per la mia crescita personale, un uomo da laboratorio che mi ha stimolato molto. Penso a un collega tedesco mio coetaneo, figlio di Carl Sindern, che mi ha insegnato a lavorare il marzapane, come pochi sanno fare. Pierre Hermé con il quale c’è stato un grande scambio di idee, di conoscenze, di amicizia. Con molti di questi siamo diventati amici, soprattutto con Jean-Michel Peruchon che è stato capo pastic -
ciere da Fauchon e Joël Bellouet, come dicevo prima, che è stato il mio primo ispiratore e punto di riferimento e poi siamo poi diventati amici, un’amicizia di cui entrambi siamo molto orgogliosi. Non posso non citare un amico fraterno che è Santi Palazzolo , un maestro dei prodotti siciliani dal quale mi ispiro, e il mio mentore Louis Briffaerts che, più che un maestro, è stato colui che mi ha insegnato a pensare oltre. Mi ricordo che ero un ragazzo e mi diceva “ Prova ad andare oltre, prova a capire cosa c'è ma che non vedi ”. Lui ha un carattere particolare, è un burbero fuori misura, di origine contadina e la sua tempra è stata già solo quella, un insegnamento per me.
Continuando il tuo tragitto di vita, quando è arrivata la pasticceria a Padova?
Dopo aver fatto per tanti anni il vagabondo assieme a mia moglie, che si occupava di prenotare gli alberghi, di organizzare le lezioni, di fare arrivare le materie prime, di prenotare i viaggi in aereo piuttosto che in treno, a un certo punto abbiamo pensato di metter su famiglia e di mettere radici. Massari mi aveva sempre detto che Padova non aveva la cultura di una pasticceria di un certo livello e in città mancava una pasticceria di qualità. Quindi ascoltai il suo consiglio e, visto che abitavamo non lontano da Padova, cominciammo a guardarci intorno.
Quindi tua moglie ha avuto un ruolo importante nel tuo percorso? Indubbiamente. L’ho conosciuta attraverso Rossano Boscolo , noto anche per l'apertura di tanti
Boscolo Hotel in Italia e in Europa. Ne aveva anche uno a Sottomarina di Chioggia, dove poi di fatto è stata aperta la prima scuola di pasticceria in Italia alla fine degli anni ‘80. Mi invitò a tenere una lezione nella sua nuova scuola e lì conobbi mia moglie che, parlando più lingue, era interprete nella scuola di pasticceria internazionale che aveva aperto Rossano Boscolo. Mi innamorai subito perché era socievole, bella, fresca, accogliente, parlava bene il francese. Insomma, un colpo di fulmine.
È stata la persona che ti ha dato una marcia in più nel tuo percorso professionale?
Intanto, mi ha sempre assecondato e puoi immaginarti quante donne e mogli di artigiani del nostro mondo possono essere succubi della passione devastante che domina le nostre vite. Lei ha sempre
compreso, ha saputo attendere con pazienza nei lunghi periodi in cui ero fuori per le gare, in totale apnea, completamente preso dalla professione. Poi mi ha fatto vedere il mondo sotto un altro punto di vista , perché io ero concentrato sulla mia passione e vedevo solo quella. In questo ha influito certamente il fatto di essere nato e cresciuto nel nord Europa, con delle regole e un modo di vivere estremamente rigido e preciso. In Italia, invece, c'è un approccio molto più creativo rispetto ai ritmi della vita e quindi lei sicuramente mi ha aiutato ad ammorbidirmi e a diventare più italiano.
Torniamo al tuo mondo e alla tua cura maniacale per gli ingredienti. Ce n'è qualcuno che ritieni sia più ostico da trattare in pasticceria?
La farina, perché di tutti gli elementi è il più vivo, a differenza dello zucchero che è l’estrazione del saccarosio presente in una radice e resta quel che è. La farina invece è un elemento vivo , che subisce variazioni con il passare dei mesi. Per farti capire, una farina appena macinata, secondo me, è impanificabile o trattabile con difficoltà. Una farina che invecchia, invece, si affina, matura. Allo stesso modo, una farina che ha superato i sei mesi diventa complicata da lavorare, ai limiti dell’imbarazzo. È l’ingrediente più indomabile e variabile.
Sono ormai 40 anni che hai intrapreso questo percorso. C'è qualcosa che tornando indietro andresti a correggere?
No, e con questo non voglio dire che non ho mai sbagliato, anzi credo di continuare a sbagliare. Ma credo che ogni esperienza fatta nella vita, giusta o sbagliata che sia, mi abbia permesso di fare un passo in più. Mi ha aiutato sicuramente a crescere.
Ti ritieni fortunato?
Sono stato sicuramente fortunato, tenace ma fortunato. La vita mi ha sempre donato ed io ho sempre
tenuto fede ai miei valori, alle cose che mi hanno insegnato. Non sono un traditore, né dei valori, né delle persone, che si tratti di mia moglie o di un amico. Allo stesso modo, cerco negli altri il rispetto dei valori e la coerenza e combatto per questi. Mia moglie che mi conosce bene mi chiama spesso Don Quixote, pronto a combattere fino in fondo per le cose in cui credo.
Se potessi tornare indietro ai tuoi 14 anni, inizieresti nuovamente questo percorso?
Rifarei tutto nello stesso modo. Se c’è un rammarico è di non essermi goduto certi momenti, questo sì. Quindi, se potessi rifare qualcosa, vorrei rivivere determinati momenti che non sono riuscito a godermi appieno per inesperienza, sia nella vita privata, parlo da marito e da papà, sia come giovane studente o come amico. Questo mi dispiace, ma se dovessi scegliere rifarei tutto nello stesso modo.
Un’ultima domanda: qual è il dolce al quale sei più legato?
Ogni dolce ha un suo significato. Per me una Setteveli vale come un panettone o una millefoglie.Quello che conta è che ogni dolce sia fatto bene, con materie prime di primissima qualità, ben conservato, ben dosato, ben decorato. Se proprio devo scegliere, direi che la millefoglie appena farcita non ha eguali.
Da oltre 50 anni Compagnia Italiana Sali produce e distribuisce un sale marino fresco e ricco di oligoelementi , 100% made in Italy , di notevole purezza e proveniente da una filiera produttiva controllata e totalmente sostenibile , capace di soddisfare ogni palato e rispondere alla sempre crescente richiesta di benessere e sostenibilità dei consumatori anche a tavola. Un prodotto di elevata qualità che, nel tempo, si è evoluto, grazie allo spirito di innovazione che ha sempre contraddistinto l’azienda, che ha saputo diversificare giorno dopo giorno la propria offerta, lavorando sui migliori prodotti del territorio e valorizzando la filiera, così da proporre una gamma sempre più ricca e completa di Sali, adatti a ogni gusto, ricetta ed esigenza. Accanto ai Sali classici , fine e grosso, e agli iodati, negli anni sono stati introdotti gli integrali di Sicilia e di Sardegna , sali non trattati che conservano intatto il patrimonio naturale di oligoelementi presenti nel mare; i Sali Gourmet – con il sale rosa dell’Himalaya , il sale grigio dell’Atlantico ,
il sale viola Kala Namak – e la linea Bicarbonato; e, ancora, i Fior di sale , da quello di Camargue a quello di Sardegna: cristalli pregiati, dalle proprietà organolettiche ineguagliabili, coltivati in oasi protette che accolgono una ricca varietà di animali e piante raccolti dai maestri Salicoltori, che tramandano il loro mestiere di generazione in generazione. Sali diversi per origine, sapidità, granulometria, ma tutti accomunati da un’elevata qualità e da una filiera conforme allo standard HACCP in base alla certificazione IFS Food e totalmente italiana : vaglio, lavaggio, essiccazione, iodatura e confezionamento avvengono, infatti, nello stabilimento di Porto Viro, in provincia di Rovigo, vera e propria avanguardia industriale ed esempio virtuoso di officina produttiva italiana, e nella Salina di Margherita di Savoia – la più grande d’Europa – e nello stabilimento attiguo, eccellenze e fiori all’occhiello del nostro Paese.
Tra le novità dell’ultimo anno spicca anche la nuova linea di prodotti dedicati all’ho.re.ca , pensata per portare valore aggiunto a un canale che sta vivendo nuovamente una fase di forte crescita e per sensibilizzare non solo i consumatori ma anche tutti i professionisti che lavorano nel mondo alimentare sull’importanza, per la salute e il benessere, di scegliere ingredienti di estrema qualità. Per il settore ho.re.ca, Compagnia Italiana Sali ha selezionato una serie di referenze, scelte tra le migliori di ogni sua Linea – dal Fior di Sale di Sardegna al sale rosa dell’Hima laya, passando per il bicarbona -
to e le pastiglie per lavastoviglie – per coprire ogni ambito, dalla cucina tradizionale a quella sperimentale , dall’igiene alla pulizia. Proprio di recente sono state inserite nella linea altre due referenze che, già dal packaging ispirato uno ai barocchi indiani e l’altro alle maioliche tradizionali pugliesi , richiamano il legame con il territorio d’origine: il sale in fiocchi del deserto del Thar, in barattolo di PET riciclabile contenente 400 g di prodotto, e il Fior di Sale di Puglia, in barattolo da 800 gr., un sale unico, raro e pregiato, raccolto all’alba dai salicoltori, come avveniva nei tempi antichi.
per assorbire la giusta quantità d’acqua, che lo rende più morbido e pronto per la molitura. Oltre alla Purple Edition, la linea include le farine di Tipo 1 Blu , Gialla , Bianca di forza decrescente , la Rossa 100% integrale , la Verde Tritordeum , cereale innovativo, incrocio naturale tra orzo selvatico e grano duro e le due referenze Magenta e Arancio di Tipo 2
Nel 2025 Molino Dallagiovanna celebra i 10 anni della linea Uniqua con la Purple Edition , la nuova farina integrale di grano tenero con germe di grano, ottenuta dalla macinazione di grani naturalmente pigmentati e lavati. Ricca di fibre e antiossidanti, è di media forza , ideale per pani rustici, focacce, pizze a media lievitazione, frolle, cakes e croissant dal gusto connotato e deciso e dal colore purpureo e violaceo. Disponibile in sacchi da 10 kg, pratici e facili da gestire e stoccare.
Uniqua Viola fa parte della linea Uniqua: 8 farine multiuso pensate per rispondere al desiderio di gusto e benessere del consumatore , da utilizzare singolarmente o da miscelare fra loro creando nuove ricette e nuovi colori del gusto. Uniqua rispecchia i sapori a tutto tondo di una volta, quando una era la farina e tanti i modi per utilizzarla. Come allora, mantiene inalterati tutti i componenti del chicco di grano, i macronutrienti e il germe.
Il nome nasce dalla fusione delle parole “Unica” e “Acqua” : Unica perché ogni farina della linea è multiuso e permette quindi di realizzare tutte le preparazioni dal pane alla pasta, dalla pizza alla pasticceria; Acqua per l’importanza che ricopre nel processo produttivo in Molino Dallagiovanna. Comune denominatore e punto di forza di tutte le farine dell’azienda molitoria piacentina è infatti il lavaggio a immersione del grano , che permette di ottenere un grano pulito, libero da tutte le impurità che lo ricoprono come terra, sassi, polvere e pronto
mordiQUA® è l’innovativa base per pizza e fo caccia che unisce croccantezza esterna, leggerezza interna e una consistenza irresistibilmente scioglievole al morso mordiQUA® è un prodotto precotto e abbattuto a -18°C , pensato per semplificare il lavoro dei professionisti del foodservice. Marchio registrato da Dallagiovanna Holding, mordiQUA® è disponibile nei canali Horeca/ foodservice in due varianti: Classica e Multicereale , con diversi formati per adattarsi ad ogni esigenza. La sua unicità? Materie prime 100% naturali : olio EVO, acqua, sale, Lievito Madre per una lievitazione naturale e farine di altissima qualità firmate Molino Dallagiovanna, ottenute da grano lavato e macinate lentamente a freddo. Versatile e personalizzabile , mordiQUA® è pensata per rispondere alle esigenze dei professionisti della ristorazione, offrendo una base ideale per creare piatti unici e sorprendenti: un alleato indispensabile per elevare ogni proposta gastronomica.
Calo dei consumi, nuovo codice della strada e sfide internazionali: il settore vitivinicolo italiano alla prova.
Il vino nel canale fuori casa in Italia sta vivendo un momento complesso. Formind rileva un 2024 che si è chiuso con un calo delle vendite del 7,65% a volume e del 2,19% a valore e un inizio 2025 in cui prosegue il trend negativo.
Analizzando nel dettaglio i luoghi di consumo, i dati del MindforHoreca di Formind rilevano che le perdite più rilevanti si sono avute all’interno della ristorazione (-10,3% a volume, -4,95% a valore)
seguita dai locali (-7,6 vol., -1,6%val.) e dai bar (-4,2% vol., +1,5% val.). Il dato all’interno della ristorazione risulta ancora più preoccupante se si considera che la cena è l’occasione più rilevante di consumo del vino (67%).
Il 2025 non è iniziato meglio.
A febbraio la flessione dei consumi del vino nell’OOH è stata del 14% a volume rispetto allo stesso mese del 2024.
Questa situazione è il frutto della somma di diversi fattori. In primis, l’aumento dei prezzi al consumo da parte degli operatori del fuori casa, che ha dato luogo a un’inflazione di canale superiore di un paio di punti percentuali rispetto al dato nazionale istat 2024 (+1,3%). Altri fattori sono l’ attenzione al bilancio familiare da parte dei consumatori, le campagne salutistiche contro il consumo di alcolici e, infine, l’inasprimen -
to delle sanzioni previste dal nuovo codice della strada entrato in vigore a dicembre.
A proposito di quest’ultimo aspetto, dall’analisi di Formind, emerge che a seguito delle nuove disposizioni, il 48% dei consumatori ha ridotto il consumo di alcolici , il 25% utilizza mezzi di trasporto alternativi, il 22% ha scelto di non guidare e il 5% ha rinunciato completamente al consumo di alcolici quando esce.
Nel momento in cui scriviamo quella dei dazi, paventati in campagna elettorale dal neoeletto Presidente degli Stati Uniti Donald Trump e rilanciati poche settimane fa, resta una spada di Damocle che pende sul futuro degli scambi commerciali con il principale mercato di sbocco extra europeo dei prodotti enoici del Bel Paese, e non solo. Secondo uno studio di Unione Italiana Vini, infatti, la perdita diretta stimata per la loro introduzione sarebbe di circa 472 milioni di euro che equivarrebbe a un crollo delle esportazioni del 25%, ma si allargherebbe, considerando anche gli altri Paesi investiti direttamente dalle nuove tariffe. Per tutti i paesi coinvolti sarebbero da preventivare rallentamenti economici se non recessione, come nel caso della Germania.
Il consumo di vino resta appannaggio soprattutto delle generazioni più mature, ma è interessante notare come a ridurre i consumi sono i giovani della generazione Z (18-25 anni) e gli over 45 della generazione X (46-55 anni ).
Il vino si confronta con la dimensione del bere responsabile, le scelte consapevoli del consumatore disegnano una nuova realtà, che potrà generare certamente nuove opportunità e nuove soluzioni.
Tra tendenze salutistiche e la curiosità di provare nuovi prodotti si inseriscono i vini dealcolati (già un successo negli Stati Uniti soprattutto tra i giovani) verso i quali le aspettative sono di una crescita d’interesse anche in Italia. Interrogato da Formind su questi prodotti, il 22% dei consumatori si dichiara disposto ad acquistarli . Le motivazioni principali dietro questa scelta sono diverse e riflettono un cambiamento nelle abitudini di consumo:
il 35% degli intervistati indica la volontà di non incorrere in sanzioni legate all'alcol come fattore determinante, mentre il 20% li sceglierebbe per motivi di salute, un 15% per restare sobrio e il 17% è spinto dalla curiosità di provare un prodotto innovativo. Tuttavia, il 13% indica "altro", suggerendo che esistono ulteriori motivazioni non specificate. Sebbene il vino dealcolato possa rappresentare un'opportunità per intercettare nuovi consumatori , resta da vedere se riuscirà a penetrare la diffusa cultura vinicola italiana, particolarmente radicata nelle generazioni più adulte, e se potrà davvero modificare abitudini di consumo consolidate.
Di fronte a un mercato interno in difficoltà e a un contesto internazionale sempre più complesso, Federvini, per voce della presidente del Gruppo Vini Albiera Antinori indica diversi fronti su cui intervenire: " È tutto il settore vitivinicolo europeo ad essere minacciato, occorre quindi una strategia politica coesa. Per continuare a competere sui mercati mondiali è necessario proteggere il nostro settore da normative frammentate e approcci ideologici che penalizzano il nostro patrimonio storico e culturale ". Antinori chiede quindi una forte semplificazione normativa , che renda più snello l’accesso ai contributi stanziati da Bruxelles e plaude all’apertura di nuovi sbocchi commerciali, compreso il Mercosur e l’India, sebbene l’accordo Ue-Mercosur necessiti di correzioni per garantire reciprocità sulle norme agricole.
Federvini richiede uno standard unico nazionale sulla sostenibilità , accompagnato da un logo distintivo, per evitare frammentazioni e disuguaglianze. Sulla questione dell’ etichettatura digitale , Antinori ha sottolineato l’opportunità di accompagnare i codici QR con simboli grafici anziché con testi obbligatori, rendendo l'accesso alle informazioni più immediato per i consumatori e semplificando la burocrazia per i produttori.
CIRCANA: L’INNOVAZIONE GUARDI AL CONSUMATORE
Il calo delle vendite di vino e spirits è un fenomeno che riguarda in generale l’ Europa . Circana evidenzia che il mercato delle bevande alcoliche nei sei principali paesi dell’UE, valutato 69 miliardi di euro e rappresentante il 43% delle vendite totali di bevande, sta registrando un calo delle vendite in volume dell’1,1% . In particolare, il vino ha subito una flessione dell’1,9%, mentre i superalcolici han -
no registrato un calo più marcato, pari al 4,4%.
Sebbene la crescita delle vendite in valore sia sostenuta dall’inflazione, la domanda organica rimane debole , il che mette chiaramente in evidenza l’urgenza di una trasformazione dell’intero settore. Ananda Roy, SVP Thought Leadership Europe e CPG Growth Advisor di Circana osserva che: “ sebbene il calo delle vendite e dei consumi di alcolici sia inequivocabile, l’aumento della domanda di prodotti premium, esperienze personalizzate di consumo e formati ridotti stanno contribuendo ad attenuarne l’im patto”.
Formind è una società di consulenza aziendale, da oltre 25 anni, segue il Cliente dal disegno strategico fino alla definizione e realizzazione operativa con un approccio “tailor made”. Grazie al suo background Formind contribuisce allo sviluppo delle aziende fornendo servizi di consulenza al mondo della produzione e all’universo della distribuzione.
Innovazione e tecnologia all’avanguardia gli strumenti a disposizione dei propri clienti sono parte integrante della filosofia aziendale, perseguita in tutte le aree di competenza della Nostra Società.
Dentro una bottiglia di BellusSì Blanc de Blancs non c’è spazio per i compromessi. Solo le uve Chardonnay del Trentino, solo millesimato extra brut, solo eccellenza. Ogni bolla racconta la scelta di puntare al meglio, senza mezze misure. Chi le riconosce, si mette in fila. Chi le sceglie, è già oltre.
di Angela Petroccione
Come sta evolvendo l’approccio al consumo di vino nel mondo dell’alta ristorazione e come incidono i nuovi trend, in particolare quello No-Low, sull’esperienza del pairing e della degustazione? Quali nuove competenze, anche relazionali, sono richieste al personale di sala per sostenere questo cambiamento? Abbiamo raccolto la testimonianza sul campo dei sommelier di tre ristoranti stellati, coprendo il territorio nazionale da Nord a Sud, che hanno raccontato il loro punto di vista sul tema.
Moena (TR) - Trentino
Antonio Gilli è sommelier del Malga Panna, storico ristorante stellato di Moena, in provincia di Trento, paese in cui è nato. Quella che cento anni fa era una antica stalla a pochi chilometri dal paese è oggi un’oasi del gusto che ha due primati: aver ricevuto il riconoscimento per ben 32 anni di seguito dalla “guida rossa” ed essere il regno dello chef Paolo Donei , l’unico ad aver ottenuto la stella all’inizio della sua carriera, a soli 19 anni. Classe 1995, Antonio dopo aver completato gli studi al liceo scientifico, frequenta un corso dell’Associazione Italiana Sommelier e si avvicina al mondo del vino innamorandosene, al punto di rinunciare al percorso universitario e dedicarsi alla sua passione. Diverse esperienze in Italia e all’estero prima di tornare ed iniziare la sua avventura tra le sale a 1.400 m di altitudine con una vista mozzafiato sulla Val di Fassa.
Come e cosa scelgono i clienti del Malga Panna e quanto gli scenari attuali influenzano i loro comportamenti nel consumo di vino? Questo è senza dubbio un periodo di grande cambiamento per quanto riguarda il settore della ristorazione e l’approccio al bere nello specifico. Da tempo c’è maggior attenzione per quello che si consuma, con tanto di “sfide” collegate
all’ astensione dall’alcool in favore di scelte alternative (vedasi i vari dry-January, sober-October, etc.). E se è vero che la vendita di bottiglie può essere leggermente calata, complice anche il clima di terrore seguito agli inasprimenti delle sanzioni relative al Nuovo Codice della Strada , la proposta al calice ha sempre maggior successo. Questo non solo per chi sceglie di rimanere più vigile ma anche per chi, spinto da curiosità, preferisce assaggiare cose diverse o magari per creare maggior sinergia tra food e beverage.
Dalla mia osservazione, il calo di vendita delle bottiglie si registra per lo più nella fascia intermedia , con le bottiglie di pregio che continuano col loro trend classico e, forse, anche un leggero aumento.
Come stanno cambiando le aspettative e i desiderata enoici?
È bello interfacciarsi con la clientela attuale perché c’è un grande pot-pourri di esigenze , cosa che spinge anche noi a dare il meglio per essere all’altezza di tutte le richieste: un tavolo ti chiede pet-nat, minimi interventi e fermentazioni spontanee, mentre il commensale a fianco vuole la certezza delle grandi case, con la terza fazione del no-alcool che continua a raccogliere consensi. Siamo rimasti piacevolmente soddisfatti dalle reazioni ai prodotti dealcolati , spesso accolti con qualche dubbio iniziale ma che cominciano a diventare sempre più competitivi, tanto che, come altri ristoratori, abbiamo cominciato a preparare un percorso di accompagnamento
attualmente composto
dealcolate e mocktail.
Credi si possa parlare di crisi del fine dining?
Posso dire che da noi non si è sentita in particolar modo. Forti della nostra lunga tradizione, infatti, abbiamo la fortuna di avere tanti clienti storici che passano a trovarci accanto a nuovi avventori che tendono a tornare. Questo è sicuramente il miglior segnale per un ristorante, perché significa che da te hanno trovato qualcosa di speciale , che non è unicamente il mangiar bene (siamo in Italia, difficile mangiar male), bensì lo star bene. Spesso non sono cose impegnative: basta un sorriso in più o una battuta leggera per creare quell’atmosfera rilassata che mette al centro dell’esperienza dell’ospite non solo i sapori, ma i suoi ricordi ed il suo sentirsi protagonista.
San Gimignano (SI) - Toscana
Cesario Delle Donne, classe 1986, originario di Calimera, piccolo paese in provincia di Lecce, vive il mondo della ristorazione dall’età di 14 anni. Inizia a studiare Scienze Politiche, ma il mondo del fine dining vince su tutto, diventando il suo percorso di vita. Sommelier e degustatore AIS, Cavaliere dello Champagne e Cavaliere del Tartufo e dei Vini d’Alba , ha collaborato con rinomati ristoranti. Oggi, al Linfa di San Gimignano, scrigno di eleganza arricchito da suggestive opere d'arte contemporanee, ricopre il ruolo di Head Sommelier . Sorriso sempre pronto e una curiosità innata per le piccole realtà e i vitigni rari, Cesario è molto attento nell’accompagnare i suoi ospiti in percorsi inaspettati e sorprendenti.
Come sta evolvendo l’approccio dei clienti dell’alta ristorazione?
Oggi i clienti sono sempre più curiosi e attenti alle loro scelte. Si lasciano guidare con fiducia alla ricerca di vini che sappiano raccontare una storia, emozionare e creare ricordi. Spesso scelgono etichette di piccoli produttori , attratti da quell’autenticità che rende ogni calice unico. Nei ristoranti stellati, l’esperienza enogastronomica sta cambiando profondamente , offrendo qualcosa di speciale e personale, un viaggio che valorizza il territorio e crea
un legame autentico tra cucina e chi versa il vino nel bicchiere. Un percorso sensoriale e culturale. Non è più solo una questione di grandi nomi o cantine blasonate: oggi si cercano qualità, identità e passione
Questo incide anche sul ruolo e sulle capacità comunicative richieste ad un sommelier?
Per il sommelier tutto questo significa andare oltre la semplice competenza tecnica. È necessario saper raccontare, coinvolgere, far nascere la curiosità. Ogni bottiglia ha una storia e il compito del sommelier è trasmetterla , facendo scoprire il filo che lega il vino alla filosofia dello chef e al piatto che si sta per gustare. L’abbinamento così diventa un dialogo vivo, un incontro tra sapori che a volte si armonizzano dolcemente, altre volte si sfidano con contrasti inaspettati, creando esperienze nuove e sorprendenti.
Tutto questo si traduce anche in un nuovo modo di intendere le carte dei vini?
Sì, anche le carte dei vini si stanno trasformando : si guarda alle piccole realtà, ai vitigni autoctoni, alle annate meno convenzionali, quelle che hanno qualcosa di speciale da raccontare. Cresce l’interesse per il servizio al calice , reso ancora più accessibile grazie a tecnologie come il Coravin, che permettono di offrire vini di pregio senza comprometterne la qualità. In questo nuovo scenario, il sommelier, crea il ponte tra tradizione e innovazione , regalando agli ospiti un’esperienza intima, su misura, fatta di sapori, racconti e scoperte.
ANNA COPPOLA - MAROTTA RISTORANTE
Anna Coppola è maître e sommelier del Marotta Ristorante, giovane realtà stellata di 5 tavoli a Squille, nell’entroterra della provincia di Caserta, con una carta dei vini dinamica che si aggira intorno alle 400 etichette, da sempre incentrata su piccoli produttori artigianali e per lo più vitigni autoctoni.
Classe 1987, laureata in lingua e letteratura cinese, inizia a lavorare nell’ambito della ristorazione per sostenere i suoi studi. L’incontro con il mondo del fine dining dopo aver conseguito il diploma di Sommelier l’ha conquistata e rapita, trasformandosi nella dimensione professionale prescelta. Perfetta padrona di casa, Anna accoglie gli ospiti con competenza ed eleganza, avendo dalla sua un grande spirito di osservazione.
Qual è l’approccio al vino dei clienti del Marotta Ristorante?
L’approccio al vino dei nostri ospiti è maggiormente di grande curiosità e di fiducia: spesso chiedono consiglio per una o due bottiglie da bere a tutto pasto oppure si affidano a me per il pairing col percorso degustazione. Anche gli appassionati si divertono, cercando un po’ di chicche che abbiamo in carta, come alcune referenze in produzione limitata. Ultimamente stiamo riscontrando un po’ di timore nel pensare di eccedere nell’assunzione di alcol durante il pasto: in coppia magari uno beve e l’altro no, oppure mi chiedono di avere meno calici rispetto al numero di portate. Qualcuno invece, a prescindere, preferisce bere solo acqua, nonostante la possibilità di accompagnare il pasto con bevande analcoliche.
E la vostra posizione rispetto alle emergenti istanze No-Low?
In realtà, ormai già da diversi anni, oltre alla possibilità di fare abbinamento totalmente analcolico, abbiamo aggiunto anche nel classico winepairing delle bevande come tè pregiati cinesi e giapponesi e Kombucha di nostra produzione , per “staccare” ogni tanto coi calici di vino, per evitare un eccessivo apporto di alcol e di conseguenza una relativa assuefazione delle papille gustative che potrebbe compromettere anche la degustazione dei piatti.
Da un annetto a questa parte, ci stiamo dedican -
do in modo sempre più approfondito al concetto di “ abbinamento analcolico ” proponendo anche succhi, estratti e preparazioni a base vegetale fatti da noi. Ad esempio, la scorsa estate abbiamo creato con chef Domenico Marotta e il mio collega di sala Domenico Votino uno “smoothie” stile latte e matcha, ma senza latte e senza matcha, utilizzando solo elementi vegetali. Per la base facciamo un estratto di mandorla al quale aggiungiamo della polvere di foglie di fico e qualche goccia di olio aromatizzato, fatto mettendo in infusione le foglie di fico tostate.
Abbiamo creato anche una bevanda da accompagnare ai dolci che ricorda il classico “latte e cacao” : facciamo un estratto di nocciole tostate di Giffoni, aggiungiamo della polvere di carrube e andiamo a dolcificare con della melassa di carrube in modo da non fare sprechi, utilizzando tutto l’ingrediente e senza aggiungere zuccheri.
Le nuove tendenze quindi incontrano la filosofia del ristorante o viceversa?
Nella cucina del Marotta l’elemento vegetale è il fil rouge che lega ogni piatto . Quindi per noi è stato naturale pensare a degli abbinamenti no alcol utilizzando frutta, verdura, erbe aromatiche e fiori, facendo succhi, estratti, centrifugati e infusioni. Siamo molto felici del riscontro che stiamo avendo con i nostri ospiti. Per noi questo è un modo per poter rendere quanto più inclusiva e sartoriale l’esperienza al Marotta.
di Angela Petroccione
Il mondo del vino attraversa una fase di profondi cambiamenti che si rispecchiano nella sua struttura, tenuta ad adeguarsi per rispondere a nuove sollecitazioni e tendenze determinate da emergenti dinamiche di mercato.
I consumatori sono più attenti agli aspetti economici, condizionati da un ridimensionamento del potere di spesa , e richiedono sempre più informazioni sulle aziende produttrici, sull’approccio alla viticoltura in termini di sostenibilità , andando a prediligere aziende più piccole e artigianali la cui conduzione avviene secondo logiche di pieno rispetto per l’ambiente. Sono in forte ridefinizione anche le preferenze che vedono le bollicine resistere ad ogni crisi , i vini bianchi e rosati sorpassare quelli rossi , soprattutto quelli più strutturati, storicamente in testa alle classifiche degli enoappassionati e oggi accantonati anche in virtù di un’idea di cucina che mette al centro il vegetale in nome della leggerezza. La tendenza ad abbracciare stili di vita improntati alla moderazione, al benessere e alla tutela della
salute che crea anche curiosità verso prodotti a basso contenuto alcolico o zero alcol , si riflette immediatamente nelle scelte di consumo che sia il mondo della ristorazione che quello produttivo sono tenuti ad osservare, avendo particolare attenzione alle nuove istanze.
In questo contesto, un ruolo strategico è svolto dalle realtà distributive che rappresentano sempre più un anello di congiunzione tra i diversi attori del mondo enoico, in grado di sostenere il cambiamento e di supportarlo anche erogando servizi funzionali al miglioramento delle performance in termini di efficacia ed efficienza.
Avendo la possibilità di monitorare costantemente le tendenze in atto, rispetto alla dimensione produttiva, l e aziende di distribuzione rappresentano infatti un punto di riferimento importante che, se da un lato può orientarne le scelte strategicamente, individuando punti di forza e debolezza dell’offerta, dall’altro può
dare anche risposte concrete, costruendo un ponte solido verso nuovi mercati che, soprattutto le aziende di più piccole dimensioni, difficilmente potrebbero raggiungere. In termini di efficientamento dei processi, in particolare sul fronte della logistica , i distributori rappresentano poi un partner essenziale. Lo si è visto soprattutto nel periodo pandemico e post pandemico e lo si può apprezzare anche oggi, se si pensa alle economie che consentono di conseguire, attraverso l’ottimizzazione delle risorse impiegate per la gestione del magazzino. L’Italia ha sicuramente ampi margini di crescita in tal senso, se si pensa che in Francia il vino venduto direttamente dalla cantina è pari a circa il 27-30% mentre nel nostro paese raggiunge circa il 70%, ma di fatto la percezione del valore aggiunto del servizio anche in termini economici già c’è.
Sul fronte del mondo Horeca , invece, il contributo è di diversa natura, andando a interessare sia la capacità di rendere accessibili in tempi brevi prodotti di piccole aziende anche in quantitativi limitati, ma soprattutto di poter offrire un ventaglio di alternative , da un lato molto ampio, dall’altro rispondente a stringenti criteri selettivi. Le realtà distributive creano infatti cataloghi che sono espressione di visione e valori rispetto ai quali ristoratori e rispettivi clienti possono trovare risposte in termini di prodotti ed etichette.
Ci sono selezioni che guardano agli stili di conduzione agronomica, alla filosofia che trova spazio in vigna e in cantina, ma anche alle tipologie di viticoltura come quella eroica o che si concentra sulla produzione di vini da vecchie vigne per citarne alcuni.
Ogni catalogo può oggi rappresentare un mondo in cui un ristoratore, un enotecario o un bar manager può trovare risposte mirate e coerenti rispetto a determinate coordinate con una copertura dell’intero territorio nazionale e l’individuazione di vere e proprie chicche che i distributori, da veri cacciatori di eccellenze, riescono a scovare e rendere accessibili.
Ultimo aspetto, e non per importanza, quello della formazione e quindi dell’impegno nella costruzione di una vera e propria cultura del vino e degli spirits. Ai gestori dei locali vengono sempre più proposti e offerti percorsi formativi per accrescere le competenze sui prodotti e sulla loro storia , andando oltre la selezione delle referenze e l’orientamento delle scelte strategiche.
Un impegno reso possibile da un’attività interna costante e continua di crescita delle risorse della rete vendita chiamata ad affrontare aspetti di natura divulgativa, sia nei confronti degli operatori del mondo Horeca che, in alcuni casi, degli stessi consumatori finali. Instillare curiosità, stimolare l’approfondimento, aprire alla scoperta del nuovo sono presupposti importanti per tenere viva la passione per il mondo del vino. E il mondo della distribuzione è in prima linea anche su questo fronte.
di Angela Petroccione
Con il Decreto del Ministero delle Politiche Agricole (MASAF) n. 672816 del 20 dicembre 2024 per la prima volta nell’ordinamento italiano sono state introdotte disposizioni normative dettagliate su produzione, denominazione ed etichettatura dei vini dealcolati , consentendo di ridurre, in modo parziale o totale, il contenuto alcolico di alcune categorie di prodotti vitivinicoli.
Il provvedimento tanto atteso si innesta in uno scenario globale caratterizzato dalla crescita del consumo di bevande No/Low alcol, segmento che secondo i dati dell’ International Wine & Spirits Research (IWSR) registrerà un incremento complessivo di oltre 4 miliardi di dollari entro il 2028. A spingere la tendenza i consumatori più giovani , attenti a salute, benessere e sostenibilità. Millenials e Gen - Z in particolare sarebbero infatti più propensi alla moderazione e ad esplorare con più apertura nuove categorie di prodotti.
Il ruolo da protagonista nella categoria No/Low ad oggi spetta alla birra, ma anche altre bevande ready to drink come cocktail e spirits si stanno facendo strada insieme al vino.
Stati Uniti, Gran Bretagna e Germania sono i paesi in cui il nettare di Bacco totalmente o parzialmente dealcolato sta conquistando sempre più i consumatori, mentre in Italia il processo è ancora molto lento . Le novità legislative da poco introdotte potrebbero avere un effetto, smuovendo gli equilibri del mercato.
DIFFERENZA TRA VINO, VINO DEALCOLATO E VINO PARZIALMENTE DEALCOLATO
In Italia, salvo alcune eccezioni legate a specifiche denominazioni, un prodotto può essere definito “vino” se presenta una gradazione alcolica di almeno il 9%.
Si definisce invece dealcolato (o dealcolizzato per usare la definizione della Direttiva Europea 2021/2117) se ha un tasso di alcol non superiore a 0,5% vol ., “parzialmente dealcolato” se ha un tasso alcolometrico compreso tra 0.5% e 8.5%.
Queste diciture devono essere riportate sull’etichetta, di seguito al nome della categoria del prodotto, in modo evidente e uniforme, con caratteri che abbiano un rilievo grafico equivalente rispetto alla denominazione del prodotto.
Secondo le nuove disposizioni, in Italia posso no essere sottoposti a processi di dealcolazione vini, vini spumanti, vini spumanti di qualità, vini spumanti di qualità di tipo aromatico, vini spumanti gassificati, vini frizzanti e vini frizzanti gassificati
Al momento, la legge esclude i prodotti vitivinicoli DOP e IGP che non possono essere soggetti a processi di dealcolazione, né parziale né totale. È possibile effettuare la dealcolazione solo in stabilimenti o locali appositamente destinati a questa attività, non intercomunicanti con strutture per la produzione o la detenzione di prodotti vitivinicoli non sottoposti a dealcolazione. Si tratta di locali che devono rispettare specifici criteri di tracciabilità e registrazione , con obbligo di comunicazioni preventive agli uffici competenti. Questi requisiti circoscrivono, almeno ad oggi, la diffusione di queste strutture alle grandi aziende, dal momento che sono richiesti investimenti economici importanti per la loro realizzazione.
Per ottenere un vino dealcolato sono tre le tecniche che possono essere impiegate: distillazione, tecniche a membrana, evaporazione sotto vuoto. Vi si può ricorrere singolarmente o congiuntamente attraverso impianti high-tech che usano tecniche miste.
Distillazione
La distillazione avviene in due fasi. Nella prima, il vino viene inserito in una colonna per la distillazione a una temperatura di 30°C che consente una delicata estrazione dei composti altamente volatili. Nella seconda, il processo viene ripetuto per la rimozione della componente alcolica.
Le tecniche a membrana (osmosi inversa)
Una membrana di nanofiltrazione a pressioni elevate consente di estrarre composti fenolici e aromatici che vengono prelevati prima della dealcolazione per distillazione, proprio perché siano preservati e poi reintrodotti nel vino. Per abbassare la gradazione alcolica complessiva, le quantità d'acqua ottenute attraverso questa tecnica vengono di nuovo aggiunte al vino.
Evaporazione sottovuoto
È un procedimento che avviene in un ambiente sottovuoto dove l’alcol viene messo in condizioni di evaporare attraverso la rotazione di coni e, abbassando la temperatura di evaporazione, si riesce a eliminare l’alcol senza rimuovere l’acqua. Solo una parte del vino viene completamente dealcolata per ridurre al minimo la perdita complessiva del corredo olfattivo.
Secondo un rapporto di Nomisma Wine Monitor , il mercato italiano dei vini a basso contenuto alcolico e dealcolati nel 2022 avrebbe rappresentato meno dello 0,5% del totale del mercato vinicolo
Nel 2023 solo il 5% degli italiani avrebbe consumato regolarmente vini dealcolati, rispetto a circa il 15% degli americani, un dato che non meraviglia considerato che, in un Paese dall’antica tradizione enoica, le resistenze sono mag -
giori, nonostante cresca la curiosità sia da parte di consumatori attenti alla salute, che delle nuove generazioni. Recenti sondaggi avrebbero infatti rilevato che il 36% degli italiani sarebbe interessato al consumo di bevande dealcolate , segno di un potenziale mercato in espansione. Il vero limite, e quindi la grande sfida, per questi prodotti, soprattutto nel Belpaese, è oggi nella percezione del livello qualitativo. Gli italiani vedrebbero il vino dealcolato di qualità inferiore , privo della complessità riconducibile alla componente alcolica. Attraverso i moderni processi di dealcolazione, come l’osmosi inversa e la distillazione sottovuoto, che permettono di preservare meglio gli aromi e la struttura del vino, si potrà lavorare in prospettiva per superare questo ostacolo. Sul fronte del tessuto produttivo e distributivo il tema resta ancora fortemente divisivo. C’è chi considera il mondo dei dealcolati in primo luogo estraneo e distante da quello enoico tout court - da qui l’opportunità di non adoperare la parola “vino” associata a questi prodotti - e chi invece vede in questa nuova frontiera la possibilità di ampliare l’offerta e raggiungere nuovi segmenti di mercato , soprattutto guardando oltre i confini nazionali, un’opportunità di business da cogliere senza lasciare che siano altri Paesi a conquistarla, facendo dell’Italia un attore di secondo piano.
di Angela Petroccione
Quello del vino è un mondo dalla tradizione millenaria che ha visto l’uomo con il suo lavoro quotidiano affrontare nel corso dei secoli cambiamenti cui è riuscito a far fronte attraverso osservazione, esperienza e rinnovate tecniche e pratiche agricole. Il ritmo evolutivo degli scenari è però cresciuto in modo esponenziale e gli effetti del cambiamento climatico, in particolare, rendono sempre più complesso lo scenario in cui si innesta l’attività vitivinicola: numerose le variabili cui fare riferimento e in crescita le incognite che rendono la pianificazione e le scelte sempre più foriere di crisi e conseguentemente di rischi.
È in questo contesto che si inserisce l’affermazione dell’Intelligenza Artificiale , con la sua capacità di analizzare dati complessi e predire risultati con precisione scientifica, alleata della viticoltura moderna per garantirne il miglioramento dei processi senza ridimensionarne l’identità, migliorare la qualità del prodotto preservando il legame con le tradizioni millenarie e aprire nuovi orizzonti di creatività e sostenibilità, delineandone il futuro.
Ad essere rivoluzionati sono il monitoraggio e la gestione dei vigneti , consentendo ai viticoltori di incidere sulla qualità del raccolto e ottimizzare le pratiche agronomiche, il tutto grazie agli strumenti avanzati per la raccolta di dati critici che, opportunamente elaborati e resi fruibili per una lettura mirata, consentono di prendere decisioni basate su informazioni certe , riducendo al contempo il rischio di errori e aumentando l’efficienza produttiva.
Sono diversi gli strumenti che vengono impiegati per il monitoraggio, la rilevazione dei dati da destinare alla successiva analisi. Il vigneto è scandagliato grazie all’impiego di droni equipaggiati con sensori multispettrali e termici che da diverse prospettive acquisiscono immagini ad altissima risoluzione, poi elaborate in tempo reale per fornire un feedback mirato sulla salute delle piante, che guarda sia alla eventuale diffusione di malattie che al livello di maturazione delle uve.
I sensori con cui sono equipaggiati i droni sono di tipo IoT (Internet Of Things), in grado di rilevare e trasmettere attraverso internet o altre reti wireless una vasta gamma di dati ambientali o di situazioni come temperatura, pressione, umidità, movimento, luminosità, gas, suono e molti altri parametri fisici.
L’intelligenza artificiale elabora i dati raccolti attraverso algoritmi avanzati di machine learning , che identificano pattern e andamenti significativi nelle condizioni del suolo, nell’umidità e nella salute delle piante, un’analisi di tipo predittivo che suggerisce interventi urgenti da porre in essere in tempo reale per anticipare problemi potenziali come l’irrigazione o il trattamento fitosanitario, migliorando la gestione delle risorse e la produttività, ma anche individuando il momento più adatto per la concimazione, la potatura o la vendemmia in rapporto alle condizioni metereologiche previste e alle caratteristiche del vigneto.
Un’altra ricaduta importante dell’impiego degli strumenti dell’IA è la razionalizzazione nell’uso delle risorse con effetti sul ridimensionamento dell’impronta carbonica e dell’impatto ambientale: ottimizzando l’impiego di acqua, contenendo l’uso di pesticidi attraverso interventi pianificati in modo chirurgico, e limitando il consumo energetico in senso più ampio, i sistemi basati sull’Intelligenza Artificiale contribuiscono a promuovere e implementare una gestione in ottica sostenibile del vigneto.
Le soluzioni di intelligenza artificiale arrivano anche ad investire il processo di vinificazione attraverso strumenti che consentono di intervenire su diverse fasi della produzione . La stessa capacità di raccogliere informazioni tra i filari può infatti essere traslata nell’ambito delle attività che si svolgono in cantina.
Durante la fermentazione, sensori avanzati e sistemi di controllo possono monitorare in tempo reale parametri come temperatura, pH e livello di zuccheri, consentendo di mantenere le condizioni ottimali attraverso, per esempio, l’attivazione di meccanismi di regolazione degli stessi.
Robot e macchine intelligenti possono essere impiegati per l’ automazione di fasi come l’imbottigliamento e l’etichettatura, migliorando l’efficienza dei processi e ridimensionandone i costi.
Anche con riferimento alla qualità e ai controlli di sicurezza, l’Intelligenza Artificiale permette di ispezionare le uve e le bottiglie con un altissimo livello di precisione e accuratezza rilevando, attraverso sistemi di imaging avanzati, contaminazioni, difetti o imperfezioni delle uve durante la selezione, garantendo così il massimo livello qualitativo delle stesse.
Grande il potenziale anche in materia di tracciabilità : i sistemi basati sull’IA infatti possono tracciare ogni fase del processo produttivo, dalla vendemmia all’imbottigliamento, garantendo origine e autenticità del prodotto finale.
Fine a qualche anno fa, il vino era pacificamente considerato dalla comunità scientifica tra gli elementi essenziali della Dieta Mediterranea, in grado di potenziarne gli effetti benefici nell’ambito di un regime alimentare equilibrato e vario e di uno stile di vita sano.
I famosi due bicchieri di rosso al pasto , grazie all’elevato contenuto di composti polifenolici estratti dalle bucce e dai semi dell’uva e di componenti come il resveratrolo, sono sempre stati definiti un toccasana in grado di aumentare il “colesterolo buono” (HDL), ridurre lievemente il “colesterolo cattivo” (LDL), fungere da fattore protettivo nei confronti delle malattie cardiovascolari, ridurre lo stress ossidativo e rallentare l’insorgere della demenza.
Un solo vincolo, anzi due: evitarne il consumo in gravidanza, rappresentando un rischio per la salute della donna e soprattutto del feto, e durante l’adolescenza, fase fondamentale per lo sviluppo e il mantenimento della salute dei neuroni, potenzialmente esposta a danni dal consumo di alcolici.
Nonostante i risultati di studi epidemiologici osservazionali convenzionali, condotti su differenti
popolazioni, sostengano di fatto questa visione, e diverse ricerche sullo stile di vita dei centenari abbiano equiparato il regolare consumo del nettare di Bacco al pasto, seppure in modo moderato, come elisir di longevità, oggi rimane aperta una forte controversia sul tema e si può dire che sono cresciute le voci secondo cui l’alcol andrebbe visto, senza se e senza ma, come una sostanza che può creare dipendenza e imporre enormi minacce per la salute pubblica.
L’idea che il vino possa ridurre il rischio cardiovascolare è stata infatti smentita dalla Federazione mondiale di Cardiologia e lo stesso Istituto Superiore di Sanità ne esclude il fondamento scientifico. Non esisterebbe dunque un livello di consumo sicuro, potendo anche piccole quantità avere effetti dannosi sulla salute. Non a caso, l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro classificherebbe l’alcol come sostanza tossica e cancerogena di gruppo 1, potendo incidere sul rischio di sviluppare vari tumori, tra cui quello al seno, al fegato, all’intestino e al colon retto e stima per l’Italia 10.000 nuovi casi di cancro ogni anno, correlati all’uso di qualunque tipo di bevanda alcolica, il 19,8%
dei quali causati dal consumo di quantità inferiori al bicchiere e mezzo (20 grammi di alcol).
In prima linea nella lotta al consumo di alcol oggi è soprattutto l’ Organizzazione Mondiale della Sanità individuata come promotrice di una vera e propria crociata neo-proibizionista. Secondo i dati diffusi attraverso l’ultimo rapporto dal titolo “ Global status report on alcohol and health and treatment of substance use disorders ”, l’alcol sarebbe responsabile di un decesso su 11 in Europa e potrebbe causare oltre 200 malattie, dall’infarto, all’ictus, al cancro, passando per problemi digestivi, il tutto da mettere in relazione alla quantità consumata e alla frequenza degli eccessi.
Oltre agli effetti intossicanti acuti tipici, gli effetti a breve e lungo termine dell’alcol , potrebbero essere gravi, estendendosi anche a terze persone, come dimostrato dalla incidentalità stradale, prima causa di morte prematura evitabile tra i giovani in Italia, o ai casi di violenza intra - ed extra-familiare e di criminalità agita sotto gli effetti dell’alcol.
Il codice europeo contro il cancro nell’affermare esplicitamente che non esistono livelli di uso sicuri per la salute, consiglia di limitare il consumo di qualunque tipo di bevanda alcolica, come già indicato dalle più importanti linee guida
Source:WHO
internazionali (che limitano a 2 drink a settimana l’uso) e formula come consiglio di prevenzione oncologica quello di non bere mai bevande alcoliche per escludere i rischi associati seppur minimi.
A sostegno di queste politiche la recente richiesta da parte dell’OMS di inserire etichette ben visibili su tutte le bevande alcoliche per informare i consumatori sui rischi correlati al consumo , come avviene per le sigarette.
L’obiettivo sarebbe quello di sensibilizzare l’opinione pubblica e veicolare il messaggio in modo ancora più forte e incisivo. Ad oggi, solo 3 dei 27 paesi UE implementano questo sistema e includere un’avvertenza specifica sarebbe secondo l’OMS un pilastro fondamentale del diritto alla salute, perché fornirebbe alle persone informazioni vitali per fare scelte ragionate sui danni che i prodotti alcolici possono causare.
Questo significa che non si dovrebbe più bere vino? Di fatto l’elemento essenziale ad emergere nell’ambito del dibattito sarebbe la consapevolezza. Il bevitore saggio e moderato nell’aver presente i rischi, dovrebbe poter effettuare scelte che tengano conto del giusto bilanciamento tra il piacere del consumo di una bevanda che da millenni accompagna l’uomo e i possibili danni collaterali che possono essere riconducibili, a ben vedere, solo al suo specifico profilo.
di Angela Petroccione
In un mondo del vino caratterizzato da incertezza, susseguirsi di nuovi trend ed evoluzioni repentine degli scenari, le fiere si confermano sempre più un’occasione per sondare e toccare con mano i cambiamenti ed individuare dal confronto e dagli scambi con altri operatori le opportunità da poter cogliere in base alle proprie coordinate e prospettive. È un discorso che va oltre la seppur centrale spinta commerciale ed attiene all’avere una vista più chiara sul mercato e sul futuro per poter orientare le proprie strategie.
Con padiglioni dedicati, masterclass, tavole rotonde che spaziano dal mondo dei vini biologici e biodinamici al trend No-Low Alcol, dalla Mixology ai liquori e distillati, dagli approfondimenti sugli effetti del cambiamento climatico all’impiego di strumenti di intelligenza artificiale, le fiere rappresentano sempre più una finestra importante alla quale affacciarsi per fare incetta di novità ed approcciare l’evoluzione anche culturale del mondo enoico.
Ma quali sono oggi gli eventi considerati imperdibili per un’azienda vitivinicola che voglia da un lato guardare al mercato interno dall’altro aprirsi ai mercati internazionali tradizionali ed emergenti sia interloquendo con buyers esteri che varcando fisicamente i confini nazionali?
Si può dire che sul podio degli appuntamenti più attesi si posizionano tre kermesse: Vinitaly, Wine Paris e ProWein
Con uno spazio espositivo di 180mila metri quadrati, 4mila espositori, 97mila visitatori di cui oltre 30mila operatori esteri provenienti da 140 paesi (dati 2024) Vinitaly è considerata oggi la principale piazza per il business internazionale del vino , tra aree dedicate al Walk Around Tasting e quelle destinate ai padiglioni a tema che raccontano i nuovi trend. Focalizzata sul vino italiano raccontato in tutte le sue sfumature, dalle grandi aziende ai piccoli produttori artigianali, e con tutto il territorio nazionale perfettamente rappresentato, il suo attuale posizionamento è il frutto di un rilancio che ha trasformato punti di debolezza in punti di forza. La città di Verona, che sembrava essere un limite per la fiera, è diventata ritrovo per appassionati di vino grazie al format Vinitaly and City , con eventi fuori salone che rappresentano un momento importante per il networking. La separazione tra grande pubblico e operatori in specifiche giornate dedicate ha fruttato una sempre maggiore partecipazione di top buyer (lo scorso anno 1200 provenienti da 65 paesi), risultato importante ottenuto anche grazie al programma di recruiting Veronafiere-Ice incentrato su manifestazioni fieristiche, preview e roadshow.
Wine Paris è la grande sorpresa degli ultimi tempi. Quella che si è presentata come una scommessa è oggi un evento chiave per molti operatori. La capitale francese è tornata in auge con il suo vino a fare da protagonista, dando grande spazio anche a quello italiano e spagnolo e a ben 50 paesi rappresentati. Il salone, organizzato da Vinexposium, ha registrato per il 2025 un incremento del 30% delle aziende presenti (in totale 5.300) e del 25% di visitatori (circa 50mila), una crescita determinata anche dall’ ampliamento dello spazio espositivo , in particolare quello dedicato alla produzione internazionale che ha registrato un +80% in termini di superficie occupata. Focus anche sui trend, con quello sii vini dealcolati che ha destato particolare interesse. Molte cantine d’Oltralpe hanno scelto di disertare definitivamente Düsseldorf, cosa che ha spinto molti buyer di Oriente e Occidente ad optare per Parigi e fare passo sulla fiera tedesca che, tempo per tempo, sta perdendo adesioni. A convincere è la risposta organizzativa improntata all’efficienza e funzionalità dei servizi e dell’offerta anche in termini di ospitalità, ma anche il ritorno sull’investimento attraverso il numero di contatti allacciati con buyer locali e internazionali che sembra far sempre più la differenza.
ProWein è una fiera di ampio respiro in cui tutte le regioni vitivinicole internazionali sono rappresentate. Messa a dura prova dalla crescita di Wine Paris, con espositori italiani e d’oltralpe in netto calo, per l’edizione 2025 ha attirato circa 42.000 visitatori specializzati provenienti da 128 Paesi, con 4.200 aziende espositrici, numeri ridimensionati rispetto alle precedenti edizioni.
È da sempre un evento anticipatore di nuovi trend . Ne è un esempio la creazione nel 2022 del primo padiglione a tema No-Low , il World of Zero e nel 2024 la creazione del marchio ProSpirits che è tornato anche nell’edizione 2025, concentrandosi in particolare su temi di tendenza come whisky, bevande a bassa gradazione alcolica, rum e acquaviti alla frutta.
In prospettiva, ProWein sembrerebbe destinata a rimanere una fiera di dimensione locale, testa di ponte in un mercato fondamentale per tante cantine italiane, come quello tedesco.
Nonostante la qualità dei suoi visitatori sia alta, con Asia e Stati Uniti ben rappresentati ed una presenza europea completa, negli ultimi anni ha peccato nei livelli dei trasporti e dell’ospitalità troppo onerosa, oltre ad una minore conversione dell’investimento in contatti.
Rimanendo in tema di fiere c’è un’ultima tendenza da segnalare , quella delle aziende che negli ultimi anni hanno scelto di abbandonarne il circuito, evitando di essere presenti con un proprio stand, operazione che richiede comunque la destinazione di una parte importante del budget di comunicazione. I “dissidenti” decidono di allocare risorse, umane e finanziarie, dove si ritiene ci sia maggiore potenziale di sviluppo , dai piani commerciali ad incoming premium, esperienze dirette e l’hospitality. Si tratti di importatori stranieri o consumatori, l’idea è quella di farli passeggiare tra le vigne, assaggiare i vini e i prodotti e vivere l’azienda a tutto tondo. È una scelta che deriva dal cambiamento del mercato e da un’esigenza di comunicazione più vicina possibile alla terra di origine.
Dai wafer agli ingredienti per gelateria e pasticceria artigianale, ogni prodotto Babbi nasce da un’attenta selezione delle materie prime e da una continua ricerca di abbinamenti innovativi, che fanno di questa azienda un esempio del saper fare italiano.
di Jessika Pini
Babbi , azienda romagnola fondata nel secondo dopoguerra, nel suo percorso di innovazione lungo oltre settant'anni, ha saputo trasformare una produzione stagionale in un'eccellenza dolciaria riconosciuta a livello internazionale
Con radici profonde nella tradizione artigianale e uno sguardo costante al futuro, Babbi si distingue oggi per la produzione di specialità gourmet , ingredienti per gelateria e pasticceria, coni e cialde che esporta nel mondo.
Fondata nel 1952 da Attilio Babbi a Cesena, l’azienda nasce con la produzione di coni e cialde. Resosi conto della stagionalità di questi prodotti e della conseguente difficoltà di assicurare un lavo -
ro tutto l’anno ai suoi dipendenti, l’imprenditore intravide la necessità di diversificare e nel 1958 viene installata la prima linea di specialità dolciarie. Nascono così Viennesi e Waferini , tutt’ora fiori all’occhiello della produzione dolciaria dell’azienda.
Babbi ha chiuso il 2024 con risultati molto positivi, trainati principalmente dal settore degli ingredienti per gelateria e pasticceria artigianale, seguito dalle specialità dolciarie. Negli ultimi anni l'azienda, giunta ormai alla quarta generazione familiare, ha registrato una significativa crescita, consolidando ulteriormente la propria presenza sui mercati internazionali grazie a partnership strategiche e punti vendita esclusivi in aree di prestigio come Giappone ed Emirati Arabi. Questo sviluppo globale è stato sostenuto anche da una strategia mirata di espansione, testimoniata dalle filiali operative in Spagna , a Barcellona, dal 2006 e in Germania , ad Augsburg, dal 2019.
La qualità rappresenta un principio cardine della filosofia Babbi, che gestisce internamente con rigorosi standard tutti i controlli sulle materie prime selezionate. Il reparto Ricerca e Sviluppo lavora costantemente alla creazione di prodotti innovativi per gelateria e pasticceria artigianale, progettati per soddisfare le esigenze degli operatori professionali e dei consumatori contemporanei. Cresce, in particolare, l'offerta di referenze vegan, gluten-free e senza zuccheri aggiunti , ben rappresentata dalla linea B-Free per ingredienti di gelateria e pasticceria. Tra le ultime novità dedicate al settore B2B spiccano Geloquick , un mix completo senza zuccheri aggiunti per geli di frutta; Nuvola , stabilizzante in polvere ideale per creare semifreddi dalla texture leggera e cremosa con estrema semplicità; il Mix per Crêpes , studiato appositamente per preparazioni senza glutine, e la Crema pasticciera al cioccolato , perfetta anche nella versione vegana.
Particolare cura è dedicata al pistacchio , materia prima d’eccellenza e protagonista assoluta della produzione Babbi. L’azienda ha instaurato solidi rapporti diretti con i produttori e dispone nei reparti produttivi di una linea esclusivamente dedicata al pistacchio, assicurando volumi ottimali e controlli rigorosi, liberi da contaminazioni con altra frutta secca. Da questa attenzione nasce l’esclusiva gamma di prodotti identificata dal marchio " Passione e Selezione Pistacchio Babbi ", che comprende paste pure al 100%, creme nobili, granelle selezionate e raffinati wafer con farcitura alla crema di pistacchio.
L’impegno per la qualità si affianca a una visione attenta alla sostenibilità : Babbi investe continuamente nella riduzione del proprio impatto ambientale, utilizzando energia fotovoltaica nei suoi stabilimenti di Bertinoro, limitando l’impiego di plastica negli imballaggi e valorizzando gli scarti produttivi per la generazione di biometano.
Nel corso degli ultimi anni, Babbi ha dato vita al progetto “ Ambasciatori del Gusto ”, un’iniziativa che vede il suo team di tecnici dimostratori esplorare i sapori del mondo alla ricerca di ingredienti e abbinamenti innovativi. Frutto di questo lavoro è la raccolta “ Around the World ”, che propone creazioni originali e ricette esotiche come il Dulce de Leche , una crema tipica sudamericana che unisce le note avvolgenti del caramello alla morbidezza del latte cotto; Messico & Nuvole , equilibrata combinazione di avocado, lime, sale marino e latte di cocco; e l’ Iced Matcha Latte , un’interpretazione gelato della celebre bevanda giapponese.
Babbi conferma inoltre il suo impegno nella formazione professionale attraverso l’ Attilio Babbi Academy , attiva in Italia, Spagna e Germania con corsi specifici per i professionisti della gelateria e della pasticceria. Oltre alla produzione di ingredienti e materie prime, Babbi si propone dunque come un partner a 360° , capace di innovare e valorizzare l’offerta e il know-how dei suoi clienti, supportandoli in ogni ambito.
“ Il settore della gelateria artigianale – afferma il direttore marketing Gian Luigi Babbi – presenta una specificità importante: i professionisti sono molto legati alle proprie ricette e alla propria identità, rendendo complesso il coinvolgimento del consumatore finale nella narrazione del brand dei fornitori. Babbi ha quindi adottato una strategia di comunicazione e design che valorizza il marchio senza risultare invadente, rispettando la discrezione richiesta dal mondo B2B. Il prodotto che porta il marchio dell’azienda al consumatore finale sono i coni wafer personalizzati con la stampa sulla cialda della firma “Babbi – Cesena ”.
L’azienda ha sviluppato un packaging minimalista, elegante e contemporaneo , progettato per essere esposto all'interno delle attività senza sovrastare il brand dei gelatieri e pasticceri. Un esempio di questa filosofia è la linea di pack personalizzati per i prodotti a base di pistacchio, che si presentano in secchielli e cartoni con un design distintivo. Un altro fiore all'occhiello della produzione Babbi è il mondo
dei Variegati Waferini , anch’esso caratterizzato da una comunicazione dedicata. Questa linea si distingue per un valore unico: Babbi è l'unica azienda del settore a produrre internamente tutti gli ingredienti , compresa la cialda wafer, garantendo un controllo totale sulla qualità.
Per consolidare la propria presenza nei laboratori e nelle gelaterie, Babbi ha sviluppato una comunicazione da banco raffinata , attraverso crowner di alta qualità che raccontano i prodotti con immagini ambientate di forte impatto estetico. Per avvicinarsi ulteriormente al consumatore finale e offrire un’esperienza diretta del proprio mondo, nel 2017 Babbi ha inaugurato il Babbi Café , il flagship store aziendale nel cuore di Cesena. Questo spazio è un omaggio alla città natale dell’azienda e una vetrina esclusiva, dove i clienti possono scoprire l’universo Babbi: osservare come i suoi prodotti vengono presentati, lasciarsi ispirare da nuove ricette e applicazioni creative, comprendere la versatilità degli ingredienti Babbi: da gusti gelato innovativi a torte scenografiche, dai semifreddi ai prodotti da forno, fino ai cocktail e ai caffè golosi.
Di Marco è una gamma completa di prodotti versatili al servizio dei professionisti della ristorazione: basi precotte con un impasto spianato artigianalmente, disponibile in diversi formati e modalità di conservazione, che lasciano spazio alla creatività dei professionisti. Una scelta pratica, per risultati di successo.
Come è cominciata l'avventura di Fox Italia?
Fox Italia nasce a cavallo tra la fine dell’89 e l’inizio del ’90, quando io ero manager di una multinazionale chimica americana, la Union Carbide , che aveva rilevato in Italia un'azienda di gas tecnici. Qui ho lavorato per 6 anni e ho imparato l'utilizzo dei gas tecnici nell'industria alimentare , intendo la CO2 per spillare la birra e per fare i vini frizzanti. In questo contesto, entro in contatto col mondo della frutta secca tramite un produttore di arachidi che si era rivolto a noi per rifornirsi di gas inerti, quelli che si utilizzano per confezionare gli snack.
Scopro, quindi, un mercato nuovo e, siccome conoscevo tutti quelli che producono e importano birra alla spina, mi viene un’idea. Riflettendo sul fatto che per vendere tutta questa birra, questi imprenditori avrebbero avuto sicuramente bisogno di snack, decido di mettermi a vendere arachidi.
Stiamo parlando degli anni d’oro, quelli dei pub e dei consumi della notte?
Esattamente. Io nei pub ci sono cresciuto. Ho vissuto gli anni della “ Baffo d’Oro e quattro bicchieri ”, quando ti servivano il vassoio con quattro bicchieri e la birra al centro; ho visto arrivare in Italia birre tedesche, birre inglesi, con la birra alla spina che si ricavava sempre più spazio. Di conseguenza, ho conosciuto i tanti importatori che, da illustri sconosciuti, grazie proprio alla birra alla spina , hanno creato un nuovo mercato, i vari GMA, Raso, Reale, Bora, Casadei e tanti altri. Il nostro ragionamento è stato semplice: per vendere 25 litri di birra, il proprietario del pub aveva necessità di stimolare questi consumi e quindi si è innescato il meccanismo degli snack forniti gratuitamente insieme al consumo della birra
Con quali prodotti siete entrati in questo nuovo mercato?
Con le arachidi e i cracker di riso , di cui siamo stati i primi importatori in Italia ed esclusivisti per nove anni, realizzando volumi importanti. Per farti capire, il volume attuale dei cracker di riso è suddiviso tra 15-20 aziende e non supera quanto vendeva la Fox da sola fino agli anni 2004-2005. In questo modo, ci siamo creati una nostra identità sul mercato del beverage, un posizionamento molto marcato, che crebbe ancora di più negli anni successivi, quando arrivarono l e birre messicane con tutto il movimento delle musiche latino-americane e dei ristoranti etnici. Per adeguarci a questa nuova realtà, inserimmo le tortillas chips , gli snack a base di granoturco, che prima in Italia non c'erano. E anche di questo trend diventammo market leader. Sono gli anni in cui si comincia a parlare di Horeca e Super Horeca, canali in cui lavoriamo oggi in maniera esclusiva, mantenendo la nostra posizione di rilievo.
Dopo il boom, arriva la crisi. Mi racconti questo passaggio?
Fino al 2010 siamo andati a gonfie vele, lavorando solo ed esclusivamente nel canale Horeca e Super Horeca, in cui avevamo acquisito una riconoscibilità importante. Poi sono arrivati i primi malesseri in questo settore, le prime cris i, che hanno costretto i grossisti di birra non strutturati a chiudere o a vendere , se non svendere, a distributori più grandi, dotati di risorse tali da permettergli di fronteggiare la crisi. Non dimentichiamo che, a fare da sfondo a questa situazione, c’è la crisi finanziaria globale degli anni che vanno dal 2010 al 2013, una crisi che tutti ricordiamo, con le banche che chiudevano e le aziende che saltavano nell’arco di due giorni. In quegli anni lì, di fronte a un mercato del beverage che si sgretolava sempre di più, abbiamo cominciato a perdere cliente dopo cliente e non perché passassero ad altro fornitore. Semplicemente perché i clienti non c’erano più: avevano chiuso o erano stati acquisiti. E questa situazione ci ha fatto perdere il 50/60% del nostro fatturato. Siccome la maggior parte dei nostri clienti era stata acquisita da Partesa , siamo diventati fornitori di risulta di Partesa stessa, che ancora oggi è un nostro importante cliente, insieme a Marr e Metro.
La vostra storia è legata a doppio filo al mondo della birra, ma altrettanto importante è quello delle chips. Quando avete inserito le patatine tra le vostre referenze?
Proprio in quel momento di crisi. A quel punto, io e mio fratello Massimo ci siamo chiesti cosa fare per recuperare il fatturato perso e abbiamo deciso di andare a vedere cosa stava succeden -
do nel nostro settore nel resto d’Europa. Ci siamo resi conto che le aziende emergenti nel segmento premium, quello in cui abbiamo sempre lavorato, erano le inglesi Kettle Chips e Tirrels , due multinazionali che oggi appartengono a dei fondi di private equity e che si erano inventate la busta di patatine da 40 grammi al prezzo di 2 euro. La cosa ci interessava, ma ci rendemmo conto che in Italia questo tipo di prodotto non avrebbe avuto fortuna, perché quello delle patatine da noi era un mercato povero. Ciò nonostante, eravamo convinti che quella sarebbe stata la nostra strada, anche se non sapevamo ancora come percorrerla.
Quando è arrivata la svolta?
La svolta si ebbe quando nel 2014 in Italia arrivarono le Lay’s di PepsiCo , distribuite da Ferrero, che scompigliarono il mercato mettendo in crisi i nostri leader, come Amica Chips, Pata e San Carlo. Non dimentichiamo che con Lay’s arriva anche un nuovo modo di fare comunicazione, che stimolò anche la concorrenza, arrivano le campagne con Messi, la sponsorizzazione della Champions League e così via. Noi capimmo che si stava aprendo un nuovo spazio proprio nel segmento premium e pensammo di sfidarlo, cercando di inserirci a modo nostro.
Che intendi?
Decidemmo di produrre una linea di patatine artigianale , avendo come lighthouse i colossi inglesi, utilizzando la loro tecnologia, ma introducendo i gusti italiani , i flavor a cui siamo abituati, come il rosmarino, il peperoncino, il pepe nero, l’aceto balsamico e così via e, in questo modo, abbiamo creato un must.
Mettendo la qualità al primo posto?
Assolutamente. Abbiamo stretto un accordo di filiera con una cooperativa agricola della Vallonia in Belgio, un accordo che oggi viene promosso come ESG, da cui ritiriamo tutto l’anno patate di qualità Levi Rosetta, sempre questa perché sappiamo che non possiamo sbagliare con le nostre patatine, la qualità deve essere eccellente e costante.
chi compra lo champagne per l’aperitivo non lo accompagna con patatine a buon mercato, ma sceglie un prodotto di qualità superiore ed è quello che offriamo noi.
L’aperitivo è quindi un lusso?
Grazie alla patatina vi siete rimessi in carreggiata? Ci eravamo rimessi in carreggiata, sembrava che tutto girasse per il verso giusto, finché non è arrivata la pandemia con tutto quello che ha comportato per il fuori casa e che ancora segna questo canale distributivo che per noi è fondamentale. Ad ogni modo, finita la pandemia, il mondo del fuori casa è completamente cambiato. La gente ha voglia di uscire, di incontrarsi, di tornare nei locali e dietro questo nuovo fenomeno ci sono due venti che soffiano: lo Spritz e il bere miscelato , grazie ai quali aziende come Campari hanno sottratto ettolitri alle birre, facendo in tutt’Europa una politica molto aggressiva con l' Aperol . Un progetto orange stupendo, un cavallo di Troia che fa da traino a molti prodotti come le acque toniche e i gin.
L'aperitivo diventa un momento fondamentale nella vita dei locali ma anche della vostra storia? Sicuramente, perché le aziende della grande distribuzione cominciano a mettere in associazione al beverage dedicato all’aperitivo un assortimento di patatine luxury dai gusti particolari e questa è stata la nostra fortuna. Con la crescita del momento aperitivo anche nei consumi domestici, il mercato è cresciuto e si è premiumizzato perché
Non direi. Piuttosto oggi, con l’inflazione che corre, andare al ristorante è un lusso, ma un aperitivo a 10 euro se lo possono permettere tutti e spesso diventa l’alternativa alla cena, che magari non ci si può permettere più. Possiamo definire l’aperitivo un lusso democratico che, se prima era una moda, oggi è diventata un’abitudine di consumo accessibile. Questo cambiamento ci permette di crescere a due cifre ogni anno, con un 2023-2024 che ha dato risultati eccezionali e un 2025 che si prospetta altrettanto positivo.
Nell’ultima edizione di Beer and Food Attraction avete presentato un progetto molto interessante rivolto prevalentemente ai pubblici esercizi. Di cosa si tratta?
Si tratta di un espositore alto e stretto che occupa uno spazio di 30x40 centimetri e alto 2 metri e 35. Questo ci consente di avere 7 livelli di esposizione dove possiamo mettere 7 gusti di chips diversi, per un totale di 140 pezzi . Il tutto sullo spazio di una mattonella. Questo perché l'obiettivo dei nostri clienti è di far sì che il consumato nel loro locale possa essere poi replicato a casa. Il concetto è: ho bevuto un ottimo vino nel bar X accompagnato dalle patatine al tartufo e quando faccio l'aperitivo a casa mia voglio replicare la stessa esperienza. Quindi ricompro il vino, ma anche le pata -
tine al tartufo o magari di un altro dei 7 gusti tra cui può scegliere attraverso il nostro totem. Succede così che al consumo sul posto si aggiunge uno scontrino da asporto , che accresce la redditività del locale, la redditività per metro quadro piuttosto che per posto a sedere.
Oltre alle patatine, quali sono le linee di prodotto più gradite?
Le arachidi sono il nostro primo prodotto e rappresentano il 20-25% del nostro volume d'affari, sono un must importante per il quale abbiamo un impianto da 1000kg/ora e continuiamo a produrle con grande felicità, non solo perché vendono tanto e questo ci rende felici, ma anche perché è un prodotto che dà felicità. Ora stiamo guardando con attenzione ai derivati del pane come i taralli . Sono prodotti definiti assorbitori di saliva, attivatori del consumo di bevande, perché stimolano artificialmente la sete senza irritare la suscettibilità del cliente.
Se dovessi dare una definizione di aperitivo, quali termini useresti?
Oltre che definirlo un lusso democratico, come l'aperitivo è femmina perché è un momento di consumo che piace alle
donne di tutte le età ed è foriero di socialità , di una socialità attualissima, figlia di questo tempo. Se vai a vedere il video con cui l’ICE, l’istituto italiano del commercio estero, promuove l'Italia nel mondo, noterai che per ben quattro volte appare uno Spritz e ciò dimostra che l'Italia che oggi tutti
vogliono non è più quella della pizza e degli spaghetti, ma è l'Italia del fashion food dedicato al leisure time, al divertimento, è il cibo alla moda per il tempo del piacere. È l'Italia di Flaiano, dei vitelloni della Dolce Vita, un ritorno ad un passato attualissimo. E noi ci inseriamo in questo trend.
Questo è l’oggi. E cosa vedi nel futuro dell'aperitivo?
È ovvio che la capacità predittiva non ce l'ha nessuno, ma i segnali vanno verso consumi di grande qualità ma con quantità limitate , nel senso che Si va sempre di più verso un aperitivo gourmet e su questo stanno spingendo molto i produttori di vino e di champagne. Un esempio è l'aperitivo con il pesce crudo, dove si usano le tortillas chips per adagiarci gli scampi crudi. In generale, vedo crescere situazioni di consumo legate al mondo del beverage in vetro, dove nasce l'esigenza di uno snack di qualità . Ecco, io vedo un orientamento verso l'alto non in termini di spesa ma in termini di qualità, ovvero il classico “poco ma buono” anzi buonissimo. E questo trend mi porta a pensare che ci siano ancora spazi di crescita.
di Nicole Cavazzuti e Stefano Fossati
Frizzanti, eleganti e irresistibili: gli sparkling cocktail hanno attraversato epoche e mode, conquistando generazioni di appassionati. Dai classici italiani come il Bellini e il Negroni Sbagliato fino al Mimosa , spesso confuso con un drink nostrano, questi cocktail sono oggi protagonisti della mixology moderna. Agli sparkling, ovvero ai drink "frizzanti”, appartengono tutte le miscele con una base di "bollicine" (spumante, prosecco o Champagne). Apprezzati in tutto il mondo da sempre, hanno conosciuto un boom prima con lo Spritz e oggi con la crescente richiesta di cocktail "low alcohol"
SPRITZ: PIONIERE DELLA TENDENZA LOW-ALCOHOL
Il più celebre drink sparkling italiano è lo Spritz. Nato ai tempi della dominazione austriaca a Venezia, inizialmente era solo vino bianco allungato con acqua frizzante. I soldati asburgici, poco abituati ai vini veneti, li rendevano così più leggeri. Col tempo, il vino bianco fu sostituito dal prosecco e, tra il 1919 e il 1920, comparve lo Spritz come lo conosciamo oggi, con l'Aperol a Padova o il Select a Venezia.
Negli ultimi anni, il successo dello Spritz ha aperto la strada a molte varianti regionali con diversi bitter e vermouth, contribuendo alla crescita della mixology a bassa gradazione alcolica.
BELLINI E VARIANTI:
L’ELEGANZA FRUTTATA
DELLA MIXOLOGY ITALIANA
A Venezia, poco più di dieci anni dopo, Giuseppe Cipriani dell’Harry’s Bar creò il Bellini, unendo prosecco e purea di pesca bianca. Il nome è un omaggio al pittore rinascimentale Giovanni Bellini e ai suoi colori delicati. Dalla sua invenzione, il Bellini ha dato vita a numerose varianti altrettanto raffinate, come: Rossini (con purea di fragole)
Puccini (con succo fresco di mandarino)
Tintoretto (con succo di melagrana)
NEGRONI SBAGLIATO:
L’ERRORE CHE HA FATTO LA STORIA
Più recente, ma ormai un classico, il Negroni Sbagliato nasce nel 1972 al Bar Basso di Milano . Mirko Stocchetto sostituì per errore (o forse per scelta consapevole) il gin del Negroni con lo spumante brut, creando una versione più leggera e frizzante del celebre cocktail. Perfetto per chi ama i sapori decisi, ma con una gradazione alcolica più contenuta.
MIMOSA: IL COCKTAIL CHE SEMBRA ITALIANO, MA NON LO È
Se il Bellini è l'orgoglio della mixology italiana, il Mimosa è il suo cugino francese. Spesso confuso con una variante italiana, questo cocktail nasce in Francia , probabilmente al Ritz di Parigi , dove il bartender Frank Meier lo inserì nel suo libro The Artistry of Mixing Drinks nel 1936. Nonostante le sue radici francesi, il Mimosa ha conquistato il mondo, diventando un must nei brunch internazionali e un cocktail amato da celebrità e reali britannici. Alfred Hitchcock, ad esempio, lo adorava e contribuì alla sua diffusione negli Stati Uniti.
BELLINI - ricetta IBA
Tecnica: Stir
Bicchiere: flute
Ingredienti:
100 ml prosecco
50 ml purea di pesca bianca
Preparazione: versare la purea di pesca bianca in un mixing glass con ghiaccio, aggiungere il prosecco quindi mescolare delicatamente e infine versare nella flute fredda.
Foto: Flores Cocteles Milano
MIMOSA - ricetta IBA
Tecnica: Build
Bicchiere: Flute
Ingredienti:
75 ml Champagne o spumante brut
75 ml succo d’arancia fresco
Preparazione:
versare il succo d’arancia fresco nella flute, quindi colmare con Champagne ben freddo e mescolare delicatamente.
SPRITZ - ricetta IBA
Tecnica: Build
Bicchiere: calice da vino
Ingredienti:
90 ml prosecco
60 ml Aperol
Spruzzata di soda
Garnish: fetta di arancia
Preparazione:
versare tutti gli ingredienti nel calice riempito di ghiaccio.
NEGRONI SBAGLIATO - bar Basso - Milano
Tecnica: Build
Bicchiere: Old Fashioned
Ingredienti:
30 ml spumante brut
30 ml vermouth
30 ml Campari
Garnish: fetta di arancia
Preparazione:
versare gli ingredienti nel bicchiere colmo di ghiaccio e mescolare bene con un bar spoon.
Drink del territorio a bassa gradazione o zero alcol, meglio se con poche calorie, in abbinamento al food e con riferimenti agli anni ’90: ecco i trend del bere miscelato.
Nei cocktail bar, l’attenzione alla qualità degli ingredienti, alla territorialità, alla sostenibilità e alla salute è cresciuta in modo significativo negli ultimi anni. Ecco, nel dettaglio, tutte le tendenze della mixology
"Il boom dei drink a bassa gradazione è una conseguenza della crescente consapevolezza dell’importanza di un’alimentazione sana e di un approccio al bere responsabile" , osserva Tommy Colonna, owner e bartender di Benni from Gambrinus, a Gravina in Puglia . Non si tratta di una moda passeggera, ma di un cambiamento culturale destinato a radicarsi. Nei menù, questo trend si traduce in un trionfo di Highball e nell’ uso massiccio di tonica, soda, tè, kombucha e caffè, ingredienti che abbassano la gradazione alcolica senza sacrificare il gusto.
Fino a quindici anni fa, l’aperitivo analcolico si limitava a Crodino & Co. o a miscele di succhi di frutta. Oggi, invece, i cocktail zero alcol ricevono la stessa attenzione dei drink tradizionali. In Italia. Uno dei primi a dedicare una sezione agli alcol free di alto livello è stato Luca Picchi a Firenze .
"Volevamo offrire alternative di qualità a chi, per scelta o necessità, evita l’alcol, come donne incinte, astemi o chi segue restrizioni religiose” , racconta Picchi.
La domanda oggi è esplosa, tanto che quasi tutti i cocktail bar propongono in carta almeno 2-4 mocktail, come vengono chiamati in gergo)
“Un cambiamento facilitato anche dall’arrivo sul mercato di bevande zero alcol, che evocano nel gusto i distillati classici, rendendo più semplice trovare nei menù versioni virgin di drink cult, dal Mojito al Gin Tonic, passando per Cuba Libre e Mint Julep” , puntualizza Hannette Lee, titolare di U’ Kor a Bari e ideatrice del kombucha al frutto della passione Peracotà
I cocktail raccontano sempre più il territorio e vedono protagonisti i prodotti locali : erbe aromatiche, liquori tipici e distillati autoctoni.
"Lo storytelling è fondamentale per avere successo: oggi un drink non deve solo essere buono e bello, ma anche raccontare una storia, meglio se legata alle proprie radici” , spiega Tommaso Romano, titolare del Tommy’s di San Severo
e ideatore dell’ aperitivo Meridies , a base di vino bianco Bombino di San Severo.
L’ abbinamento cocktail-cibo non è più un’esclusiva del vino. Sempre più locali offrono anche una proposta food, spesso in connubio con drink studiati in pairing per esaltare i sapori dei piatti. “ In caso di menù degustazione, è bene offrire drink a bassa gradazione alcolica. Consigli? Sour aiutano a pulire il palato dai sapori più intensi, mentre i cocktail dolci o speziati si sposano con dessert e pasticceria ”, suggerisce Hannette Lee
Ingredienti naturali e dolcificanti alternativi per ridurre le calorie : cresce la richiesta di skinny drink. “ Tra gli ingredienti chiave, ci sono estratti di frutta e verdura, miele, sciroppo d’agave e distillati con minori residui zuccherini. E ovviamente i soft drink senza zucchero, come la Red Bull sugar free ”, dice Daniele Gentili, bar staff program coordinator di Red Bull
Dopo la riscoperta dei cocktail degli anni ’20, ora è il turno di quelli degli anni ’90, come Sex on the Beach, Cosmopolitan e Blue Lagoon , di nuovo in scena con ingredienti di qualità superiore, una maggiore competenza nella preparazione e presentazioni moderne.
Il mondo del beverage sta attraversando una trasformazione profonda, guidata dalla crescente popolarità dei cocktail No/Lo (No Alcol, Low Alcol) e dal vino dealcolizzato. Questi cambiamenti stanno ridisegnando il modo di socializzare e di vivere il consumo di bevande, proponendo alternative che vanno oltre l’alcol.
RCR , un marchio di riferimento nel settore del design per il beverage, ha saputo cogliere questa evoluzione, lanciando il progetto Mixology
ZERO . Questo progetto si propone di offrire soluzioni pratiche e innovative per i consumatori che preferiscono alternative analcoliche , rispondendo in modo preciso alle esigenze di un pubblico sempre più attento alla scelta delle bevande.
RCR si distingue come partner strategico per il settore Ho.Re.Ca , offrendo soluzioni di design e packaging che rispondono alle esigenze di un mercato in continua evoluzione.
RCR, già noto per la sua collaborazione con l'International Bartenders Association (IBA) e l’Associazione Italiana Barmen e Sostenitori (AIBES), continua a sviluppare soluzioni innovative per i professionisti del settore. Ad esempio, l’azienda ha progettato bicchieri specifici per contenuti più densi e decorazioni più complesse, ideali per cocktail analcolici , utilizzando il vetro so -
noro superiore Luxion® . Questo tipo di vetro, noto per la sua qualità, garantisce un’esperienza premium anche nei cocktail senza alcol. L’azienda si posiziona come un innovatore capace di coniugare tradizione e innovazione, offrendo soluzioni di alta qualità, 100% Made in Italy , che rispondono perfettamente alle nuove esigenze del mercato.
L'autentico gusto dell'aperitivo italiano ora in versione analcolica.
L'aperitivo è un rito tutto italiano, un momento di convivialità e relax da vivere con amici e familiari. Ma cosa fare quando si desidera un aperitivo analcolico, senza rinunciare al gusto e alla qualità? La risposta è Casoni Aperitivo 1814 Non Alcolico , un prodotto che riprende la ricetta originale del classico Aperitivo 1814 di Casoni Fabbricazione Liquori, ma senza alcol. Casoni Aperitivo 1814 Non Alcolico si distingue per il suo colore rosso brillante e il p rofumo intenso di erbe aromatiche, agrumi e spezie .Al palato la dolcezza dell' arancia si fonde perfettamente con i sapori complessi e astringenti del rabarbaro , per un finale secco e deliziosamente rinfrescante. Ideale per creare cocktail , la versione analcolica dello spritz con 50% Casoni Aperitivo 1814 Non Alcolico, 50% acqua tonica, ghiaccio e una fetta d’arancia.
“Il momento dell'aperitivo continua a essere uno dei trend in maggiore crescita, con una domanda sempre più significativa di alternative analcoliche da utilizzare soprattutto in miscelazione" – afferma Manuel Greco, trade marketing manager di Casoni "Casoni Aperitivo 1814 Non Alcolico risponde alle tendenze internazionali che vedono una crescente domanda di analcolici. Casoni, forte di 210 anni di esperienza nella
produzione di liquori, ha lanciato la versione alcol free del suo Aperitivo 1814: una referenza innovativa che mantiene inalterate le caratteristiche del classico Spritz, frutto degli investimenti in ricerca e tecnologia fatti dall’azienda. Proprio grazie all’innovazione produttiva, Casoni è riuscita a realizzare un prodotto senza alcol, ma che vanta una shelf life di 18 mesi con l'obiettivo di aumentarla entro fine anno” .
Da diversi anni, Casoni investe in tecnologie all'avanguardia per la produzione di bevande analcoliche, garantendo competitività e rispetto degli standard qualitativi richiesti dal mercato europeo. A un anno dal lancio di Aperitivo 1814 senza alcol l’azienda ha consolidato la propria presenza all'estero ed è ora pronta a rispondere ai segnali d’interesse che nei primi mesi del 2025 si registrano anche sul mercato italiano.
Casoni: una storia di passione e tradizione La storia di Casoni Fabbricazione Liquori inizia nel 1814 a Finale Emilia (MO), quando la famiglia Casoni avvia la produzione di liquori e distillati. Nel corso degli anni, l'azienda si è affermata come leader nel settore, grazie alla qualità dei suoi prodotti e alla costante ricerca di innovazione. Oggi, Casoni è un marchio riconosciuto a livello internazionale, sinonimo di eccellenza e tradizione nel mondo dei liquori e degli aperitivi.Tra i prodotti più iconici di Casoni, spiccano: la linea degli Aperitivi 1814 composta da Aperitivo 1814, alcolico e non alcolico, Bitter 1814 e Vermouth 1814, Amaro del Ciclista Originale e POP e la linea di Gin Tabar, disponibile nella versione classica, bergamotto, ciliegia di Vignola IGP e london dry.
Dalla scelta della miscela alla tostatura, fino agli abbinamenti con i distillati: i consigli dell’esperta Cinzia Ferro e l’esempio innovativo di Urban Caffè
di Nicole Cavazzuti
I cocktail al caffè arricchiscono e valorizzano l’offerta del bar, soprattutto se l’oro nero viene trattato con attenzione già in somministrazione. Ma attenzione: è un ingrediente complesso da usare in miscelazione.
" Per creare ottimi drink, è imprescindibile padroneggiare materia prima, tostatura ed estrazione. A incidere sull’aroma, oltre alla miscela (blend o monorigine) e al Paese di produzione, sono soprattutto il tipo di tostatura, il metodo di estrazione e la temperatura ", spiega Cinzia Ferro, titolare di Estremadura Cafè di Verbania , tra le prime a sperimentare tutte le estrazioni del caffè per creare twist on classic e signature cocktail.
Metodo di estrazione
Per la miscelazione, il più semplice da usare è il cold brew, prodotto con un’estrazione a freddo, perché garantisce un gusto più morbido rispetto all’espresso.
Quantità
Non esistono regole rigide, ma in generale vale il principio del “less is more”. Il caffè va dosato con sapienza per evitare che il suo gusto sovrasti gli altri ingredienti.
Distillati da abbinare
La vodka è lo spirito che si sposa meglio con il caffè, come dimostra il classico Martini Espresso (5 cl di vodka, 3 cl di Kahlúa, liquore al caffè, 1 cl di sciroppo di zucchero, 1 espresso forte).
Tuttavia, con il giusto bilanciamento si possono creare varianti interessanti con tequila, mezcal, rum, gin, whiskey irlandese e whisky scozzese.
Tostatura
Il profilo aromatico del caffè può essere acido, amaro, dolce, salato o aspro, e il grado di tostatura è determinante. "Più la tostatura è chiara, più si percepisce l’acidità. Al contrario, una tostatura più scura riduce le note acide e aumenta quelle amare, oltre a sviluppare sentori di caramello, cacao, marzapane e mandorla" , spiega Cinzia Ferro.
FRESCO CARATTERE
RICETTA DI CINZIA FERRO
Tecnica: Shake & Strain
Bicchiere: Coppetta
Ingredienti:
• 2 cl caffè
• 1 cl giulebbe di zenzero
• 1 cl dry orange
• 2 cl gin
• 4 cl succo di arancia
• Top di ginger beer
• Velluto d’arancia, polvere di caffè e zenzero
Inaugurato nel maggio 2024 a Trieste, Urban Caffè è un format innovativo che ruota interamente attorno al caffè . Nato dalla collaborazione tra la micro-torrefazione RoaTS , specializzata in caffè monorigine e blend 100% arabica, e Walter Gustin , fondatore del gruppo 040 Social Food , il locale propone una drink list di drink al cold brew coffee , sia analcolici che low alcol. " Il caffè in mixology non è facile da gestire ", racconta la barlady Pamela . " Abbiamo dovuto sperimentare a lungo per trovare la miscela e il dosaggio giusti, così da ottenere drink equilibrati e armoniosi, pensati per chi cerca un’alternativa ai classici Spritz o Americano ".
L’Italia si sta affermando sempre più come protagonista della mixology internazionale. Non solo per il numero crescente di bartender italiani alla guida di cocktail bar celebri a Londra, Barcellona e Hong Kong, ma anche per la presenza di locali made in Italy nelle classifiche globali più prestigiose.
Tra i tanti indirizzi di livello, tre bar si distinguono per carattere e riconoscimenti: il Moebius a Milano , dove mixology e alta cucina si fondono in un’atmosfera industrial-chic; il Drink Kong a Roma , un locale che sembra uscito da Blade Runner, tra neon e suggestioni giapponesi; e L’Antiquario a Napoli , speakeasy dall’anima rétro che celebra l’arte della miscelazione classica.
Un ex magazzino tessile trasformato in un tempio della mixology e dell’alta cucina. A pochi passi dalla Stazione Centrale, il Moebius accoglie gli ospiti in un ambiente industrial-chic, dove l’elemento scenografico è un maestoso ulivo spagnolo di 700 anni che domina la sala. Il bancone è il cuore pulsante del locale: qui, tra scaffali ricolmi di bottiglie pregiate – la celebre “ libreria liquori ” con oltre 300 etichette – Giovanni Allario e il suo team danno vita a cocktail che spaziano dai grandi classici a creazioni innovative, sempre curate nei minimi dettagli.
Ma Moebius non è solo un cocktail bar: la cucina firmata dallo chef Enrico Croatti , insignita di una stella Michelin , è un viaggio tra sapori italiani e sperimentazione. Al piano terra, il bistrot propone tapas di ispirazione nostrana, mentre al livello superiore, una piattaforma sospesa a quattro metri d’altezza, si trova il ristorante gastronomico, dove la tradizione si intreccia con la ricerca.
La colonna sonora, tra jazz, bossanova e dj set, completa l’esperienza, rendendo Moebius uno degli indirizzi più affascinanti e cosmopoliti di Milano. Non a caso, nel 2024 è entrato nella prestigiosa classifica dei World’s 50 Best Bars (38° posto) e nei Top 500 Bars (43°).
Primo speakeasy partenopeo, L’Antiquario è stabilmente nelle classifiche dei migliori cocktail bar del mondo (78° nei World’s 50 Best Bars, 64° fra i Top 500), grazie al lavoro di Alex Frezza, tra i bartender più stimati d’Italia, e del suo team. Il locale, a Chiaia, si ispira ai jazz club anni ’30, con arredi in legno, velluto rosso, luci soffuse e un bancone con una ricca selezione di distillati di altissima qualità. Che cosa si beve? Classici impeccabili, twist eleganti e signature innovativi, sempre curati nei minimi dettagli. Per i clienti fedeli c’è anche una secret room al piano inferiore, un salottino intimo riservato a ospiti d’onore, eventi privati e degustazioni speciali.
Aperto nel 2018 da Patrick Pistolesi , Drink Kong è il cocktail bar italiano meglio posizionato nelle classifiche internazionali: attualmente 33° nei World’s 50 Best Bars e 20° nei Top 500 Bars Siamo nel rione Monti, in un locale allestito con neon, arcade e richiami orientali in stile Blade Runner dove il drink menù punta sui signature, ma dove si possono bere tutti i classici. Il menu food fusion di ispirazione giapponese e panasiatica è pensato per esaltare i drink, mentre la Camera Malto Prestige, inaugurata nel 2023, offre una selezione esclusiva di whisky scozzesi di alta gamma , in collaborazione con Diageo.
La riproposizione di antiche ricette e nuove interpretazioni raccoglie l’interesse di più generazioni di consumatori. La miscelazione resta la modalità di consumo principale, ma si fanno spazio la bevuta liscia e gli abbinamenti gastronomici.
di Jessika Pini
Negli ultimi anni, abbiamo assistito a un ritorno d’interesse verso il Vermouth grazie all'ingresso nel mercato di cantine e distillerie che hanno riportato in auge antiche ricette e proposto nuove interpretazioni. L'innovazione e la sperimentazione hanno dato vita a profili aromatici originali, valorizzando le specificità dei territori di produzione, e hanno attirato l’attenzione di un pubblico più ampio di giovani per l’uso che di questi prodotti viene fatto nella mixology Il vermouth ha tratto nuova linfa anche dal lavoro di promozione e valorizzazione storica svolto dal Consorzio del Vermouth di Torino Igp che, dopo un lungo percorso, si è costituito nel 2019 e oggi riunisce 45 aziende che, con circa 6,8 milioni di bottiglie da 0,75l nel 2024, rappresentano oltre il 96% della produzione totale ed esportano in 82 paesi. Per potersi fregiare del marchio consortile il vermouth deve essere prodotto con vini italiani, l a quantità minima di Artemisia utilizzata deve essere di 0,5g di pianta essiccata (sommità fiorite) per litro di prodotto finito e il titolo alcolometrico effettivo deve essere tra 16 e 22% vol. La tipologia Superiore si caratterizza per l’impiego di vini piemontesi almeno per il 50%, titolo alcolometri -
co minimo non inferiore al 17% e per l’impiego di altre erbe del Piemonte oltre l’Assenzio.
I dati testimoniano il successo di un prodotto che ha saputo rinnovarsi, mantenendo intatta la sua anima autentica: dal 2018 al 2024, la produzione di Vermouth di Torino ha registrato una crescita media annua del 24,7%, con un giro d'affari che è passato da 32 milioni di euro nel 2018 a 172 milioni di euro nel 2024.
Tra le attività portate avanti dal Consorzio, spicca l'impegno per la tutela e la promozione del Vermouth di Torino sia in Italia che all'estero. Un risultato significativo è stato il riconoscimento del marchio in diversi paesi, garantendo la protezione dell'Indicazione Geografica e valorizzando l'autenticità del prodotto sui mercati internazionali. Come ultimo importante risultato, il Consorzio ha ottenuto il marchio di certificazione dall'United States Patent and Trademark Office per la tutela del marchio negli Stati Uniti. Inoltre, nel 2023 sono stati nominati i primi " Ambasciatori Certificati " del Vermouth di To -
rino. Queste figure, scelte tra coloro che hanno dimostrato passione e competenza nella diffusione della conoscenza e dell'apprezzamento di questo prodotto, rappresentano il primo passo del progetto del Consorzio di creare una rete di speaker certificati e autorizzati a curare eventi dedicati al Vermouth di Torino Igp.
Il cuore storico della produzione del vermouth è in Piemonte . L’aromatizzazione del vino con erbe e spezie affonda le sue radici nella storia antica, ma la versione moderna del Vermouth si fa risalire al 1786 quando, a Torino, Antonio Benedetto Carpano creò la prima ricetta. Fratelli Branca Distillerie agli inizi degli anni '90 del secolo scorso ha rilevato Carpano e ha preservato le due ricette di Antonio Benedetto Carpano : la ricetta originale (con ingredienti pregiati come lo zafferano) di Antica Formula e quella più commerciale con ingredienti di più facile reperibilità, per l’epoca in cui nacque, che corrisponde al Carpano classico. A ciò si aggiunge Punt e Mes , nato nel 1870, un vermouth base carpano con l’aggiunta di mezzo punto di china.
“ La mixology ha sicuramente trainato la riscoperta del vermouth – afferma Martina Cerbone, marketing director di Fratelli Branca Distillerie –. Sul mercato italiano c’è spazio per fare cultura di prodotto a partire dalla formazione sui bartender perché ne diventino ambasciatori e sui consumatori perché si arrivi al livello di conoscenza raggiunto dal gin. Perciò stiamo lavorando anche con i grossisti organizzando attraverso i loro canali delle masterclass multisensoriali ”.
Tra Ottocento e l’inizo del Novecento furono molte le formulazioni proposte in area piemontese come quella dei Vermouth di Alpestre , distribuito da Onestigroup , frutto di un approfondito studio condotto da Fulvio Piccinino , ambasciatore del Vermouth di Torino, che ha dedicato tempo e passione al recupero delle antiche ricette dei frati maristi. Ispirandosi appunto alle formulazioni di inizio '900, ha sviluppato due versioni, rosso e bianco , che rispettano la tradizione del Vermouth di Torino, enfatizzando il perfetto equilibrio tra note amaricanti, balsamiche e floreali. I Vermouth di Alpestre sono stati pensati per dare il meglio in miscelazione, armonizzandosi perfettamente con gli altri prodotti della gamma, come nell’ Americano d’Oltralpe , una rivisitazione del classico cocktail con Vermouth Rosso Alpestre, Bitter Alpestre, soda) o il Negroni Alpino (Gin Alpestre, Vermouth Rosso Alpestre, Bitter Alpestre). Il Vermouth Bianco, invece, grazie alle sue note floreali e agrumate, esalta la freschezza balsamica dei gin Alpestre ed è perfetto anche per cocktail lowalcol come l’ AL Pink (Vermouth Bianco Alpestre, soda al pompelmo rosa, guarnito con una foglia di salvia), un drink leggero e raffinato che valorizza la purezza degli ingredienti.
Il valore aggiunto conferito dalla denominazione al Vermouth di Torino fa da apripista: lo scorso ottobre 12 produttori toscani, su iniziativa di Enrico Chioccioli Altadonna (Winestillery) , Tommaso Pieri (Duit) e del giornalista Federico Silvio Bellanca , hanno sottoscritto la Carta etica del vermouth toscano , un documento che riassume una comunione di valori e di caratteristiche produttive che vuole rappresentare una prima base verso un disciplinare e l’indicazione in etichetta della dicitura “Vermouth Toscano” e, successivamente, per intraprendere il percorso verso l’Igt. Anche in Toscana, l’usanza di fortificare i vini , in questo caso quelli rossi, affonda le radici nel XVIII secolo, come quello piemontese ed era utilizzato come medicinale per le sue proprietà stomatiche. Le regole che i sottoscrittori della Carta si sono imposti riguardano la provenienza del vino che deve essere unicamente toscano, così come devono restare nel territorio regionale anche la produzione e l’imbottigliamento. Storicamente la tradizione dei vini rossi fortificati Al momento, le aziende firmatarie sono: Winestillery, Duit, Nannoni Grappe, Distilleria Elettrico, Opificio Nunquam, Fermenthinks, Vermouth Del Mugello, Senensis Spirits, Mr Liquor, Tenuta Lenzini, La Selva, Giochi di Spiaggia provenienti dalle province di Firenze, Prato, Siena, Grosseto e Livorno.
In un momento in cui l'aperitivo resta l'occasione di consumo più frequentata dai consumatori italiani, anche dai target più giovani, Martini & Rossi , emblema dell'aperitivo italiano, rilancia la sua iconica immagine con una serie di novità . Il brand, parte del gruppo Bacardi, presenta per la prossima estate una nuova bottiglia dal design contemporaneo , ispirato ai portici di Torino e più sostenibile (il formato da 1l è più leggero di 30 g). Oggi il portfolio del brand include tipologie di vermouth per ogni occasione, tra cui: Martini Bianco, Rosso, Fiero ed Extra Dry, così come la gamma senz’alcol con le proposte Vibrante e Floreale. Con la bella stagione presenterà al mondo il Martini Bianco Spritz . Facile da preparare in tre semplici passaggi: 50 ml di vermouth Martini Bianco, 75 ml di Martini Prosecco, da completare con 25 ml di soda e servire con ghiaccio, menta fresca, fette di limone e fragola. Il tutto accompagnato da una campagna di marketing che punta a promuovere l’aperitivo diurno e a far vivere l’esperienza della Terrazza Martini di Milano in altre città d’Italia ed europee.
“ L’Italia è il più grande mercato mondiale per l’aperitivo ed è in continua crescita – afferma François in Albon, managing director di Bacardi per il Sud Europa –. Negli ultimi 5 anni, il
mercato è cresciuto mediamente dell’11% ogni anno, per un valore di oltre 670 milioni di dollari (IWSR 18-23 CAGR). Con la nostra scelta di investire nella reputazione di Martini stiamo investendo in tutta la categoria vermouth e nel futuro di un iconico brand italiano ”.
Fuori dalle tradizioni storiche, oggi il vermouth si produce da svariati vini e con diverse aromatizzazioni. Roteglia 1848 ha presentato Vermouth Diverso , il primo vermouth a base di Lambrusco di Sorbara , frutto della partnership con Paltrinieri che fornisce il suo Lambrusco di Sorbara Doc Eclisse. L’acidità e la nota fruttata del vino sorbara sostengono l’alcolicità e amplificano le sensazioni officinali della parte liquorosa, arrivando al perfetto equilibrio tra freschezza e aromaticità. Tra le spezie e le erbe, oltre il fondamentale assenzio, si ritrovano angelica, camedrio, salvia e timo per un sorso fresco, pulito, fragrante e persistente, avvolto da leggere sensazioni alcoliche.
“ Dal suo lancio nel 2023 a oggi – spiega la socia fondatrice di Roteglia 1848, Francesca Rivi – ci siamo divertiti nel testarlo in svariati abbinamenti gastronomici, a partire dalla Coppa piacentina, passando per una salsa di radicchio e noci, fino alle Nocciole del Piemonte Igp. Il nostro Vermut è Diverso non solo per la sua provenienza (il Vino Sorbara) ma anche per la poliedricità. Svariati Chef lo consigliano anche a tutto pasto, grazie alla struttura e alla freschezza della sua bevuta ”.
Tra le tante sperimentazioni scopriamo anche il primo Vermouth affumicato al mondo: Antica Bottega 1934 . Creato dal bartender milanese Fabio Cesareni per personalizzare con un tocco di affumicato i cocktail della golden age dei primi decenni del Novecento che spiega: " nel Boulevardier risolvo utilizzando un whisky torbato, ma dato che l’elemento primario della miscelazione di quegli anni è il vermouth ho pensato di colmare questo vuoto creandone uno affumicato. La base è un vino Cortese piemontese aromatizzato con vaniglia, cannella, fiori di sambuco, mentuccia, pepe di cubebe, cardamomo, scorze di agrumi di Sicilia e l’immancabile artemisia, affumicato e affinato 41 giorni in botte di legno di faggio ”. Si presenta con un colore dorato, come i ver -
mouth storici, e una bottiglia che richiama lo stile Belle époque con un gufo portafortuna disegnato in etichetta. Il sentore di affumicato risulta molto delicato e i diversi livelli di esplosione organolettica lo rendono adatto anche da bere liscio con ghiaccio, scorza d’arancio e abbinato a un pezzetto di cioccolato. Per la miscelazione, oltre all’utilizzo nei drink classici, Cesareni ha ideato dei signature cocktail gastronomici come il Negroni affumicato aromatizzato allo sciroppo di babà o il Negroni affumicato con sciroppo allo zafferano e pepe rosa. Antica Bottega è distribuito in Italia in esclusiva da San Geminiano.
Il nuovo distillato del brand Alpestre di Onestigroup nasce sulla base di unl’antica ricetta creata in Francia dai frati maristi. Un gusto deciso ed equilibrato perfetto anche in cocktail.
Novità assoluta sul mercato, ma erede di una tradizione antica, Certosa Alpestre è un liquore alle erbe nato dall’esperienza del brand Alpestre di proprietà di Onestigroup . Le sue origini affondano nella storia dei frati maristi, che già nell’Ottocento, nell’hermitage fra le Alpi nei pressi di Lione, nel sud della Francia, coltivavano erbe dalla cui macerazione e distillazione ricavavano liquori a scopi officinali.
Da quelle pratiche alchemiche derivavano prodotti che non solo deliziavano il palato, ma curavano il corpo e l'anima alla ricerca dell'elisir di lunga vita.
Così, nel 1857, nacque la formula originale di Alpestre, che raccoglie le proprietà benefiche di 34 erbe come timo, lavanda, tanaceto, finocchio, hypericum perforatum, mentha piperita, ocimum basilicum, angelica silvestris, salvia officinalis, anthemis nobilis e altre ancora. Su questa base è stata elaborata la ricetta della Certosa Alpestre, attraverso un’accurata selezione di estratti botanici naturali , altre erbe e un tocco di zucchero, senza alcuna aggiunta di coloranti, dando vita a un distillato originale, dal carattere e dall’identità ben distinti.
Una sintesi di tradizione e innovazione, quindi, per un elisir caratterizzato da una gradazione alcolica di 55% vol. e da un profilo organolettico complesso, in cui si intrecciano erbe fresche, agrumi e note balsamiche. Il risultato è gusto deciso, equilibrato e persistente, perfetta armonia di sentori dolci ed erbacei , che avvolge piacevolmente il palato dal primo sorso. Qualità che fanno di Certosa Alpestre un ingrediente perfetto per l’uso nella mixology, sia come base per la creazione di inediti signature, sia per dare un tocco di originalità ai cocktail classici, quali il Naked and Famous o il Last Word , come suggerisce la ricetta qui sotto.
Rispetto al classico Last Word, l’utilizzo di Certosa Alpestre dona al cocktail una piacevole nota di anice , valorizzandone la morbidezza e l’eleganza. Ecco la ricetta.
Tecnica: Shake and Strain
Bicchiere: coppetta a cocktail
Ingredienti:
22,5 ml London Dry Gin Alpestre
22,5 ml Certosa Alpestre
22,5 ml maraschino
22,5 ml succo di lime fresco
Preparazione: versare gli ingredienti in uno shaker, agitare vigorosamente, infine filtrare nella coppetta precedentemente raffreddata.
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CONTRATTINO
l’aperitivo erede di una tradizione centenaria
Contrattino è un aperitivo ready to drink in formato da 20 cl dalla bassa gradazione alcolica (5,5%) e dalla moderata quota calorica. Presentato in un’elegante bottiglia in stile Art Déco, è prodotto con alcol biologico e ingredienti amaricanti derivanti dalla china naturale e altre erbe, con una componente fresca data dagli agrumi . Per il lancio di Contrattino la cantina Contratto , fondata a Canelli nel 1867 e oggi di proprietà di Giorgio Rivetti, si è avvalsa della sinergia con Luca Gargano di Velier e Paolo Dalla Mora , già artefice di Gin Engine, Vermouth & Bitter Strucchi e Sgrappa, oltre che della collaborazione del noto chef Antonino Cannavacciolo in qualità di testimonial . Per un prodotto che è ideale erede di una tradizione che affonda le proprie basi negli anni Venti e Trenta del Novecento, l'età d'oro dei liquori italiani, quando Contratto lanciò sul mercato prodotti da miscelazione come il Contratto Bitter (1933) e il Contratto Aperitif (1935), antesignani dei moderni ready to drink, seguiti nel 1936 dal Tonico Normale Aperitivo G. Contratto Canelli.
NEIGE
il gin che porta il Monte Bianco nella mixology Portare essenze e sapori delle vette del Monte Bianco nella mixology: con questo obiettivo è stato creato Neige Noire , gin alpino frutto dell’intuizione dei fratelli Angelo e Matteo Sarica che dal 2024 arricchisce la selezione del distributore OnestiGroup . Risultato di un meticoloso processo produttivo, Neige Noire unisce a una base di ginepro selvatico i mirtilli selvatici della Val d’Aosta , che donano al gin il suo caratteristico colore nero, mentre menta alpina e gemme di pino ne esaltano il profilo aromatico. Tutta la lavorazione avviene con pura acqua del Monte Bianco e in alambicchi alimentati da energie rinnovabili. Grazie alla sua struttura aromatica, può essere gustato liscio o on the rocks, oltre a prestarsi alla realizzazione sia di twist su grandi classici quali Negroni, Gin Sour o Gin Tonic, sia alla creazione di cocktail originali , permettendo combinazioni con ingredienti freschi ed erbacei, amari complessi e note agrumate.
il nuovo rum giamaicano che sa di leggenda Hampden 1753 è il nuovo rum giamaicano che prende il nome dall’anno di fondazione della distilleria Hampden Estate , una delle più antiche al mondo. Anche perché la nuova referenza si basa sul metodo di produzione che, tramandato nei secoli, ha reso leggendari i rum di Hampden: l’utilizzo di acqua purissima , proveniente da una sorgente a pochi chilometri dalla distilleria, per diluire la melassa che arriva dallo zuccherificio di Long Pond; la fermentazione spontanea con lieviti naturali indigeni per periodi molto lunghi; la distillazione, che dura circa 7 ore, nei 6 alambicchi discontinui double retort in rame provenienti da ogni angolo del mondo; l’ invecchiamento tropicale ; l ’ assenza totale di zuccheri o coloranti aggiunti.
Invecchiato per 3 anni in botti ex Bourbon, Hampden 1753 - distribuito da Velier - è caratterizzato da un profilo aromatico complesso, ma è al tempo stesso accessibile e versatile grazie alla gradazione a 46% . Intenso e generoso al naso, con note di frutta tropicale matura accompagnate da delicati sentori affumicati, al palato si presenta riccamente fruttato e perfettamente equilibrato , per un lungo finale con delicati richiami floreali seguiti da sfumature erbacee e leggermente saline, mentre le note di agrumi, spezie dolci e frutta a polpa bianca aggiungono ulteriore complessità.
nuova bottiglia e nuovo cocktail
Debutta ad aprile in locali e punti vendita la nuova bottiglia dei prodotti Martini . Rinnovato il design, “ ispirato ai portici di Torino ” - sottolinea l’azienda del gruppo Bacardi - per valorizzare “ la qualità dell’artigianalità del liquore al suo interno ”.
La forma, più snella, è stata studiata con un occhio all’ impatto sull’ambiente : il peso del formato da 1 litro si riduce di 30 grammi (il 5% del totale), così da contenere le emissioni di gas effetto serra della sede Martini a Pessione (Torino). Più efficiente anche il trasporto , in quanto ogni pallet può comprendere 48 bottiglie da 75 cl in più (+8%). Il lancio della nuova bottiglia sarà accompagnato dalla campagna di marketing “ Martini Dare to Be ” nei principali mercati mondiali del vermouth e, in estate, sarà supportato dalla presentazione del cocktail Martini Bianco Spritz (50 ml di Martini Bianco, 75 ml di Prosecco Martini, 25 ml di soda, servito con ghiaccio, menta fresca, fette di limone e fragola): sarà inserito nella drink list ufficiale del brand accanto ad altri classici come l'Americano preparato con Martini Rosso.
il primo rum speziato cubano sul mercato globale Black Tears è il primo rum speziato cubano distribuito a livello globale, un'autentica espressione della tradizione dell'isola. Nato nel 2012, questo distillato è frutto di una meticolosa selezione di materie prime locali e di un metodo di distillazione che affonda le sue radici nella storia di Cuba. La base è un Silver Dry Rum , ottenuto dalla fermentazione e distillazione della melassa in alambicchi centenari, e successivamente invecchiato in botti per almeno due anni. A questo si aggiunge un sapiente blend di spezie cubane , tra cui spicca l'Aji Dulce, che regala una piacevole nota piccante. Il profilo aromatico è complesso e avvolgente, con sentori caldi di cioccolato e caffè che lo rendono perfetto per essere gustato liscio, magari con un cubetto di ghiaccio, ma anche ideale come base per cocktail originali e creativi. Distribuito in Italia da Rinaldi 1957 , è venduto a un prezzo al consumatore di 28-30 euro.
THE COCKTAIL DRAFT mixology di qualità ovunque e senza sprechi Primo marketplace e incubatore dei migliori brand italiani di cocktail ready to drink in bottiglia, lattina e fusti, The Cocktail Draft si propone di portare la mixology di qualità, a costi contenuti, in bar, catering, eventi, pizzerie, ristoranti, hotel e resort . I vantaggi? Non è necessario avere un professionista esperto di miscelazione, si eliminano sprechi e smaltimento dei residui di produzione, oltre a velocizzare i tempi del servizio: in un locale dai volumi elevati, un fusto da 20 litri garantisce circa 160 drink da 12 cl o 130 drink da 15 cl , a costi fissi e con un controllo preciso di dosaggi e porzioni. I cocktail sono così sempre identici a ogni servizio (eliminando qualsiasi possibilità di errore) e la velocità di spillatura – bastano 5 secondi a drink – se ne possono servire oltre 20 al minuto, evitando code e attese al bancone. Ed è possibile personalizzarli dedicando più tempo alla preparazione di side e decorazioni, anche se non si dispone di molto personale. In catalogo, The Cocktail Draft propone una varietà di cocktail da vino aromatizzato, cocktail con prodotti artigianali ma anche con major brand come Aperol o Bombay Sapphire. I formati vanno dal pre-batch in bottiglia da 100 ml alla lattina da 200 ml, fino ai fusti da 3 a 30 litri.
alcolici pronti da servire.
Scopri il gusto autentico dei cocktail a base di Vecchio Amaro del Capo, ora in lattina pronti da servire in un bicchiere colmo di ghiaccio e da guarnire con lime o limone. Prova il Capo Tonic, fresco e frizzante con un tocco agrumato, o il Capo Arrabbiato Spritz, fresco e frizzante con una nota piccante. Goditi un momento di rinfrescante piacere ovunque tu sia!
Negli ultimi anni, l’amaro ha conquistato un ruolo di primo piano nel mondo della mixology. Se un tempo era considerato esclusivamente un digestivo da fine pasto, oggi è diventato un ingrediente chiave nei cocktail contemporanei A dimostrarlo è anche l’apertura de Il Marchese , il primo amaro bar italiano, con sedi a Roma e Milano , che offre oltre 600 etichette e un’ampia selezione di drink incentrati su questo prodotto.
Tuttavia, il suo utilizzo in miscelazione non è sempre immediato. Alex Frezza, bartender e fondatore dell’Antiquario di Napol i, avverte: “ Non tutti gli amari sono adatti nei cocktail. Alcuni si sposano bene con i drink classici, altri sono più difficili da bilanciare ”.
Se in Italia l’amaro sta trovando nuova vita nei cocktail bar, negli Stati Uniti è già un fenomeno consolidato . Da New York a San Francisco, gli amaro bar sono diventati un trend di successo, con drink studiati per valorizzare queste etichette italiane. “ In America l’amaro è percepito come qualcosa di esotico ” spiega Frezza. “ Piace molto nella mixology, mentre liscio è lontano dalla loro cultura del bere .”
Uno degli esempi più celebri di cocktail a base di amaro è il Little Italy, creato da Audrey Saunders al Pegu Club di New York . Questo drink è una variante del Manhattan, dove il vermouth dolce viene bilanciato dall’amaro Cynar.
Ingredienti:
60 ml di rye whiskey
22,5 ml di vermouth dolce
15 ml di Cynar
Preparazione:
Mescolare con ghiaccio in un mixing glass e filtrare in una coppetta da cocktail, decorare con una ciliegia al maraschino.
Uno dei motivi del successo dell’amaro nella mixology è il crescente interesse per la glocal mixology , una tendenza che combina distillati internazionali con eccellenze locali e prodotti a Km 0. “ L’amaro si presta perfettamente allo storytelling ” spiega Fabrizio Valeriani, bar manager de Il Marchese . “ L’esperienza che proponiamo da Il Marchese mira ad ampliare nei nostri clienti la conoscenza di questo meraviglioso mondo, che incarna valori essenziali quali l’artigianalità, il made in Italy e il legame con il territorio d’origine attraverso la valorizzazione delle materie prime. Ecco perché siamo soliti portare al tavolo tre assaggi ripartiti nelle categorie dolce-agrumato, medio amaro e amaro ”.
L’amaro può essere impiegato in diverse tipologie di cocktail, ma la chiave del successo è bilanciare correttamente i suoi elementi . “ Manhattan e Old Fashioned sono le varianti più semplici ” afferma Frezza . “ Ma le vere sorprese arrivano con i Sour, dove è fondamentale trovare il giusto equilibrio con l’acidità .”
In generale, più la gradazione alcolica è alta, più è facile usarlo in miscelazione, spiega ancora il bartender. “ Ma non è solo questione di alcol: bisogna considerare il livello di zucchero e il tipo di amaro .”
CAVALIERE DI FRANCIACORTA DI FABRIZIO VALERIANI
Il Cavaliere di Franciacorta è un twist on Champagne Cocktail con il Franciacorta, il Tequila Cazadores, il Martini Riserva Vermouth Rubino, le note amaricanti dell'Amaro del Capo Red, succo di lime e sciroppo al mandarino.
Bicchiere: Coppetta
Tecnica:
Shake and Strain più top di Franciacorta
Ingredienti:
10 cl di Franciacorta
1,5 cl di Amaro del Capo Red
1 cl di Tequila Cazadores
1 cl di Martini Riserva Vermouth Rubino
1 cl di sciroppo al mandarino fatto in casa
Succo di mezzo lime
1 spruzzo di profumo alimentare di rosa
damascena
1 bocciolo di rosa alimentare essiccato
La filiera del fuori casa, un mercato al consumo da oltre 101 miliardi di euro, sta disegnando il suo futuro tra evoluzione della domanda, criticità strutturali e rivoluzione digitale. Priorità imprescindibili da affrontare per fornitori, canali distributivi e punti di consumo. È emerso nella sessione introduttiva dell’incontro " Consumi fuori casa: industria di marca, dinamiche di mercato e rapporti di filiera" organizzato da Centromarca a Milanofiori . Per due giorni oltre 250 manager delle più importanti aziende alimentari e non food hanno approfondito l’Away from home (Afh) dai lati della domanda e dell’offerta attraverso contributi scientifici e panel con operatori di primo piano del fuori casa come Autogrill, Beverage Network, Cateringross, Lekkerland, Metro e MyChef.
"Promuovendo il seminario vogliamo contribuire all’evoluzione della filiera Afh» , ha sottolineato
Francesco Mutti, presidente di Centromarca "Lo scenario richiede idee, innovazione, sostenibilità, efficienza logistica e digitalizzazione. Ci sono grandi opportunità per l’industria di marca: per coglierle dobbiamo superare, insieme ai distributori e ai canali di consumo, le criticità che frenano la creazione di valore e il miglioramento dell’offerta al consumatore" .
Le prospettive del mercato sono state illustrate da Bruna Boroni, direttore Industry Afh Trade Lab Nel 2024 il fuori casa ha registrato un rallentamento moderato, ma costante (-1,6%) della domanda interna in termini di visite. A ridurle in bar e ristoranti sono in particolare i giovani GenZ (-3,1%) e i Millennial (-6,9%) che escono meno e preferiscono trovarsi in casa con gli amici per un fattore economico e per la loro forte attenzione al benessere fisico.
Dal punto di vista geografico, soffrono l’area Nord (-2%) e le medie/grandi città (-4%): territori che in passato hanno contribuito in modo consistente allo sviluppo del mercato.
La colazione è l’unica occasione di consumo in crescita nel 2024 (+0,7%) : si sta trasformando in un momento sociale e social, amata dai giovani perché più economica e meno impegnativa rispetto alle occasioni serali.
Gli andamenti delle diverse tipologie di canale si rivelano disomogenei e la domanda si polarizza. Crescono , sebbene meno del passato, anche per una maggiore concorrenza dei format di prossimità della moderna distribuzione, le visite nelle catene della ristorazione commerciale (+2%) e nelle pizzerie (+4%); rallenta la ristorazione di fascia media generalista (-4%); cresce il segmento di ristorazione premium (+6%).
TradeLab per il 2025 , attraverso il modello di forecast “ Future Tracking ”, prevede una contrazione delle visite del -1,6% . Senza dubbio il contesto macro-economico, le modeste prospettive di crescita del nostro paese, l’incertezza del contributo del turismo internazionale e le nuove normative stanno impattando in modo significativo su un mercato resiliente, ma in forte evoluzione a tutti i livelli della filiera.
Le strategie per crescere dovranno essere guidate dalla ricerca di nuove opportunità attraverso un processo continuo di innovazione.
Da una parte gli effetti dell’invecchiamento della popolazione, dall’altra la debolezza del potere d’acquisto. Ne derivano modifiche degli stili alimentari, delle strategie industriali, dei canali distributivi e dei punti di consumo (bar, alberghi, ristoranti…). A casa, ha spiegato Emanuele De Faustino, responsabile Industria, retail e servizi di Nomisma , tra i fattori che influenzano i comportamenti prevalgono esigenze di risparmio e prodotti che contribuiscono al benessere, mentre fuori dall’ambiente domestico a guidare sono gusto e soddisfazione organolettica. Su entrambi i fronti entra in gioco la sostenibilità, declinata sotto forma di prodotti/ricette realizzate con materie prime che rispettano l’ambiente e la comunità. Nel processo di soddisfazione dei nuovi bisogni il digital è fondamentale per generare efficienza, ridurre i costi delle attività di filiera, affinare il coefficiente di servizio al consumatore indagando le sue scelte. La priorità è mettere a punto un’offerta adeguata al mutamento delle esigenze . Purtroppo l’innovazione va ancora troppo a rilento nel canale. Secondo quanto illustrato da Luciano Sbraga, vicedirettore generale Fipe , solo il 24,5% dei servizi di ristorazione utilizza sistemi di ordinazione/prenotazione online, il 9,5% sistemi Erp per condividere informazioni tra le aree funzionali, il 17,5% software di finanza e contabilità, l’l,9% software di customer relationship management. Un altro fronte problematico è la carenza di personale , in termini numerici e di preparazione professionale
Il turismo è una variabile tutt’altro che trascurabile per il fuori casa. Stefano Fiori, vicepresidente di Federturismo , ha sottolineato che il valore aggiunto sfiora i 100 miliardi di euro, pari al 13% del pil (dato Istat, 2019). Nel 2024 le presenze straniere negli esercizi ricettivi superano i 250 milioni e aumentano del 6,8% rispetto al 2023, rappresentando il 54,6% del totale.
A Centromarca, Associazione Italiana dell’Industria di Marca, fanno riferimento circa 200 tra le più importanti industrie operanti nel settore dei beni di largo consumo. Realtà italiane e multinazionali, alimentari e non alimentari, che rappresentano 2.400 marchi e complessivamente sviluppano un giro d’affari di 64 miliardi di euro, un valore condiviso di 87 miliardi di euro e occupano direttamente 97mila addetti.
San Giorgio guarda al futuro con un nuovo posizionamento di marca e prodotti innovativi. Tra questi, PROissant, il cornetto proteico che unisce gusto e benessere, segnando una svolta nel mondo del Frozen Bakery.
San Giorgio si rinnova e guarda al futuro con un approccio contemporaneo al mondo del bakery, proponendo prodotti innovativi pensati per rispondere alle nuove esigenze di consumo. Punto di riferimento nel settore del Frozen Bakery, l’azienda lancia PROissant, un cornetto proteico che coniuga gusto e benessere , segnando una nuova tappa nel percorso verso l’eccellenza. Fondata nei primi anni '80 da Sabato Bruno a Castel San Giorgio, in provincia di Salerno, San Giorgio è passata da un piccolo laboratorio di pasticceria a una grande azienda specializzata nella croissanterie per il mercato del food service . Con un forte legame alla tradizione campana e una costante attenzione all’innovazione, oggi si posiziona come uno dei principali protagonisti nel panorama internazionale del bakery Frozen. Con oltre 100.000 mq di stabilimento, più di 500 referenze e un export che raggiunge oltre 30 paesi, San Giorgio continua a crescere, puntando su prodotti di alta qualità e una visione moderna del mercato
Il recente rebranding, che ha portato l'azienda a passare da "San Giorgio Dolce e Salato" a " San Giorgio Italian Bakery House ", riflette una strategia di consolidamento e proiezione verso il futuro. L’adozione di un linguaggio visivo più contemporaneo, con il nuovo logo essenziale e distintivo , testimonia la volontà di innovare il settore bakery senza mai perdere di vista le proprie radici. Questo rinnovamento si accompagna a una strategia di comunicazione che rafforza la presenza del brand in un mercato in continua evoluzione.
PROissant: UNA NOVITÀ
NEL MERCATO DEL “PROTEIN FOOD”
Uno dei prodotti simbolo di questa trasformazione è PROissant , il cornetto proteico lanciato al Sigep di Rimini. Creato per offrire un’alternativa nutriente e gustosa in linea con le nuove tendenze alimentari, PROissant si distingue per
il suo alto contenuto proteico e per il 30% di grassi in meno rispetto a un cornetto tradizionale. Arricchito con semi di quinoa bianca , una fonte di proteine ad alto valore biologico, rappresenta una risposta concreta alle esigenze di un pubblico sempre più attento all’aspetto nutrizionale e alle diverse necessità legate agli stili di vita moderni.
Questo prodotto si inserisce in un trend globale che sta rivoluzionando il settore alimentare. Il mercato del protein food ha conosciuto una crescita esponenziale, alimentata dalla crescente consapevolezza dei consumatori sui benefici nutrizionali delle proteine. Non solo gli sportivi, ma anche chi cerca un’alimentazione equilibrata e funzionale, trova nei prodotti proteici una scelta quotidiana. PROissant è stato pensato per adattarsi a ogni momento della giornata, dalla colazione all’aperitivo. Inoltre, la sua versatilità lo rende ideale per farciture sia dolci che salate, rispondendo così alle necessità di chi desidera un prodotto nutriente, ma anche gustoso.
Lo sviluppo di PROissant ha richiesto oltre un anno di ricerca e innovazione, un impegno che è stato premiato con importanti riconoscimenti , tra cui il Lorenzo Cagnoni Award per la migliore innovazione nella categoria Frozen & Ready-Made Products a Sigep 2025 e il Superior Taste Award dell’International Taste Institute di Bruxelles.
A tal proposito, Marco Ciron, Direttore Generale Commerciale di San Giorgio SpA commenta: "I riconoscimenti ricevuti sono il frutto dell’impegno costante e della passione che mettiamo in ogni progetto. PROissant è la nostra risposta alle nuove esigenze del mercato e dei consumatori. La nostra continua ricerca di soluzioni innovative nel Bakery Frozen ci conferma come un’azienda in grado di cavalcare i trend, proponendo prodotti che combinano benessere e gusto. Il nostro reparto Ricerca & Sviluppo è la chiave per offrire soluzioni sempre più in linea con le tendenze moderne. Per questo motivo, continueremo a investire in nuovi prodotti. Allo stesso tempo, proseguiamo nel perfezionamento dei nostri grandi classici, con l’obiettivo di garantire qualità, eccellenza e un miglioramento continuo”
SAN GIORGIO SARÀ PRESENTE A TUTTOFOOD CON NUOVE PROPOSTE E PROGETTI DEDICATI AL SETTORE HORECA, CONFERMANDO IL SUO APPROCCIO INNOVATIVO E CONTEMPORANEO, IN LINEA CON LE ESIGENZE DEL MERCATO.
PAD. 7 - STAND E01
di Angela Petroccione
Mentre la spesa nel settore del food service torna ai livelli pre-Covid, nel mondo dei consumi fuoricasa si fanno spazio nuove dinamiche, con retail e ristorazione pronte a soddisfare, entrando in competizione, la crescente domanda di pasti pronti
Il mondo dei consumi fuoricasa attraversa una fase di trasformazione, sollecitato da abitudini consolidate durante la pandemia, in particolare il ricorso al take away e al delivery , con gli effetti di un approccio alla spesa prudenziale, determinato da un’inflazione ancora incombente e per la quale il consumatore tende sempre più a fare i conti prima di sedere al tavolo di un ristorante.
Se infatti, come evidenziato dai dati raccolti da Circana , il valore della spesa nel settore del food service per paesi come Italia, Francia, Germania, Spagna e Gran Bretagna è tornato ai livelli pre Covid passando dai 309 miliardi di euro del 2019 ai 336 miliardi attuali (+ 9%), il livello di visite ad esercizi commerciali legati al food non ha ancora recuperato del tutto
Ad essere penalizzato è il mondo del servizio completo, quello dei ristoranti, che registra un calo del
2,7%, mentre resta stabile quello del servizio veloce dei fast food. Ad impattare sull’attuale scenario l a crescita della spesa per ordini a domicilio (37 miliardi odierni a fronte dei 16 miliardi del 2019) sostenuta dal perdurare della diffusione del lavoro da casa o ibrido.
Grande crescita anche per i pasti dal consumo immediato che rappresenterebbero una quota importante degli 888 miliardi di euro di spesa in Food & Beverage da parte della popolazione
europea: ben il 37% destinato a snack, insalate, bevande, cibi caldi come lasagne, pollo arrosto e paella, acquistati non solo presso bar e ristoranti ma anche, questa la novità, attraverso canali alternativi come supermercati, alimentari e stazioni di servizio.
La linea di demarcazione tra ristorazione e retail si fa quindi sempre meno netta , con i consumatori alla ricerca di soluzioni che portino in dote valore, varietà, prossimità e accessibilità valutando anche alternative un tempo considerate opzioni secondarie come gli scaffali di pasti pronti di un supermercato.
Si spiega così lo sviluppo dei canali non commerciali come il retail che hanno registrato una crescita dal 21% del 2021 al 23% del 2024 (dato rilevato al 30 giugno) estendendo la loro offerta di pasti freschi e pronti, in alcuni casi anche convenienti, sfidando di fatto la ristorazione veloce tradizionale.
Sarebbe la Francia il paese con la percentuale più alta di spesa dei consumatori fuoricasa nel canale retail, pari al 6,8% con un incremento del 17,5%; a seguire il Regno Unito (6,6%) la Germania (5,8%) la Spagna (4,2%) e l’Italia (3,5%)
A determinare la crescita soprattutto la tendenza dei pasti ready to eat concentrata per il pranzo (+9%).
In questa ridefinizione di ruoli e confini anche nel Belpaese, se bar e ristoranti hanno iniziato a
puntare sul consumo domestico inserendo nell’offerta opzioni come il take away e il delivery, tradizionalmente appannaggio del retail, quest’ultimo si muove per creare opportunità, spingendo sui cibi pronti , come testimonia la presenza in alcune catene di aree dedicate al consumo immediato.
Il nuovo scenario richiede dunque un’attenta valutazione da parte degli attori del comparto per presidiare le proprie quote di mercato, mettendo in campo soluzioni in grado di soddisfare le esigenze emergenti
Considerato che l’inflazione è tornata a farsi sentire nei suoi effetti nell’ambito della ristorazione, allentando la morsa sulla spesa nella grande distribuzione, quest’ultima resterebbe oggi avvantaggiata, mentre nel mondo Horeca bisognerà dare sempre più valore aggiunto e aumentare l’appetibilità esperienziale per stimolare i consumatori e mantenere alto l’interesse, anche a frequentare fisicamente i locali.
Formazione, crescita professionale e spirito di rinnovamento per l’associazione presieduta da Roberto Carcangiu e diretta da Sonia Re, che affronta il 2025 con tanti progetti e mette solide basi per il 2026.
Mettersi in gioco, continuare a imparare, crescere insieme per migliorare il proprio mestiere. Sono queste le solide basi sulle quali A PCI – Associazione Professionale Cuochi Italiani punta per il 2025 e il 2026. Un progetto importante per far crescere i cuochi associati, aiutandoli nel loro percorso professionale, che ha costituito il cuore del recente simposio a Napoli, Le Stelle della Ristorazione Academy , riunendo cuochi da tutta Italia e confermando l’importanza di momenti di apprendimento e confronto.
Guidati da Gennaro Esposito, chef 2 stelle Michelin e dal pastry chef Carmine Di Donna , i partecipanti al simposio hanno avuto l’opportunità di approfondire tematiche chiave come la gestione del food cost, l’innovazione in cucina e l’integrazione tra tradizione e modernità.
La storia di Gennaro Esposito, della sua vita e della sua cucina, non è dissimile da quella di molti dei cuochi dell’associazione. Un percorso iniziato da giovanissimo, in famiglia, cresciuto grazie alla passione per questo lavoro, all’impegno e al sacrificio. “La grande cucina porta con sé il cuore e lo stoma -
co. Sa memorizzare e interiorizzare i sapori della tradizione, di casa, il gusto di ingredienti di prima qualità. Ma deve affiancarli alla scienza e alla tecnologia, per tendere a un risultato di grande impatto, che accompagni i clienti in un viaggio del gusto” , ha spiegato Gennaro Esposito. Ed è qui che il cuoco diventa parte di una filiera che coinvolge i produttori, gli artigiani locali, per sapere nobilitare ogni preparazione. Senza mai dimenticare che l’educazione del cuoco, il rispetto e il recupero del gesto etico in cucina sono fondamentali.
Etica e rispetto che sono alla base di moltissimi progetti che APCI sta sviluppando quest’anno, dove la formazione è sempre il punto chiave. Tra questi l’esperienza con Manpower Italia , che vede momenti di incontro tra cuochi e studenti degli istituti alberghieri in tutta Italia, con l’obiettivo di coinvolgere e formare le nuove generazioni di chef.
Rispetto e tutela della parità di genere sono inoltre al centro del protocollo siglato da APCI
con FIPE e la Polizia di Stato per la tutela e la sicurezza del mondo femminile all’interno del settore ristorazione.
“Il senso del nostro essere associazione -commenta Sonia Re- è quello di essere parte di una comunità che cresce e si sviluppa sulla linea dell’etica, del rispetto, della formazione continua, ma sempre insieme. Il riconoscimento non è necessariamente un premio, bensì un percorso da fare insieme, per migliorare sempre”
Questo è il principio alla base anche di APCI Chef Lab , il laboratorio di idee di APCI
Un percorso che continua a crescere, puntando su innovazione, sperimentazione e formazione, con un’attenzione costante alla qualità e all’ec -
cellenza. A partire da aprile, il team di APCI Chef Lab, rinnovato con nuovi importanti ingressi, riprende il suo tour attraverso l’Italia con un fitto calendario di appuntamenti, fino a dicembre, dedicati all’Edutainment, un format che unisce educazione e intrattenimento per coinvolgere ristoratori e professionisti della cucina.
A creare il percorso degli appuntamenti la nuova Squadra Nazionale APCI Chef Lab, composta da un mix di giovani cuochi, pronti a dare nuova linfa al progetto: Salvatore Andretta, Francesco Arena, Andrea Azzarito, Lorenzo Buraschi, Federico Costa, Nello De Riggi, Marco Di Mauro, Giovanni Gambuzza, Alberto Laterza, Fabio Lusetti, Onofrio Magarelli, Marcello Maggio e Andrea Vecchia
Il 2025 parte in crescita per APCI con l’ingresso di nuovi importanti delegati nella compagine associativa e con il consolidamento di alcune delegazioni all’estero, come per esempio APCI Nord America , che riunendo cuochi italiani al lavoro in Canada e Stati Uniti, riparte con nuovo slancio.
“La nostra cucina – commenta Sonia Re - è realmente un emblema del Made in Italy e i cuochi sono capaci, attraverso il rispetto delle tradizioni e il racconto che sanno fare con i propri piatti, di tenere alto il nome del nostro Paese nel mondo” .
Competenze che verranno messe a fattor comune anche sull’importante palcoscenico di TuttoFood , in programma a maggio a Milano Rho Fiera, vetrina del mondo agroalimentare italiano, frequentata dai più importanti buyer stranieri.
In questa occasione APCI gestirà l’area The Academy dedicata alla formazione e alla conoscenza . Un palinsesto di appuntamenti per raccontare i prodotti e le ricettazioni attraverso nuovi percorsi sensoriali, con particolare cura delle esigenze degli espositori coinvolti nel progetto, che avranno la possibilità di scegliere come personalizzare l’esperienza della platea, con offerte realizzate su misura. The Academy avrà un resident Chef APC I, che insieme alle aziende racconterà i prodotti e dimostrerà come utilizzarli al meglio. Insieme a lui ci saranno alcuni chef scelti dalle aziende e un presentatore a guidare il percorso.
In occasione di TuttoFood, APCI uscirà anche dalla fiera, organizzando un Temporary Restaurant nel cuore di Milano , nella suggestiva cornice di Brera, per offrire la possibilità di vivere al meglio l’esperienza della manifestazione. Ogni sera i menu saranno realizzati con referenze di eccellenza del comparto HoReCa, creando un connubio perfetto tra esperienza culinaria e ospitalità raffinata. Il Temporary Restaurant sarà aperto solo su invito.
Con una comunità sempre più attiva e una visione orientata alla crescita e alla condivisione, APCI si conferma un punto di riferimento per i cuochi e le aziende della filiera, con una prospettiva di crescita comune, in Italia e all’estero.
Garantiamo qualità, tradizione e passione che caratterizzano il nostro accurata delle migliori miscele. Con un impegno costante verso l’eccellenza, l’innovazione e la un’esperienza unica e memorabile per i nostri clienti.
Il caffè rappresenta una delle bevande più consumate al mondo, con circa 3 miliardi di tazzine bevute ogni giorno globalmente In Italia, si consumano circa 100 milioni di tazzine al giorno, un numero che sottolinea l’importanza di questo settore per l’economia nazionale. Oltre alla sua popolarità, il caffè è anche una delle commodities più scambiate a livello mondiale , subito dopo il petrolio, con un giro d'affari che in Italia supera i 6 miliardi di euro all’anno Questi numeri giustificano la creazione di eventi che celebrano e approfondiscono il mondo del caffè, come il COFFEE FEST 2025
L'IMPORTANZA DEL CAFFÈ A NAPOLI
Napoli, con la sua tradizione storica di caffè, si presenta come la città ideale per ospitare un evento di tale portata . Qui, il caffè è più di una semplice bevanda; è parte integrante della vita quotidiana, un simbolo di ospitalità e convivialità. Le caffetterie napoletane non sono solo luoghi dove consumare
il caffè, ma veri e propri centri di socializzazione , dove cittadini e turisti si incontrano per condividere momenti di vita. L'atmosfera che si respira a Napoli è unica: il caffè è una vera e propria cultura che permea ogni angolo della città
Con l’obiettivo di celebrare questa cultura del caffè e di valorizzare la filiera del settore, è nato il COFFEE FEST 2025. Questo evento si terrà a Napoli dal 17 al 20 settembre 2025 e si propone come un Salone Internazionale del Caffè, capace di diventare un punto di riferimento globale per il settore. Non si tratterà solo di una fiera, ma di una festa che coinvolgerà tutti gli aspetti della filiera del caffè , dalla torrefazione artigianale al caffè industriale di alta qualità.
Il COFFEE FEST 2025 sarà un evento che riuscirà a combinare due anime: una dedicata agli operatori del settore ( B2B ) e una al grande pubblico ( B2C ). Durante le prime ore della giornata (11.00 - 16.00), il salone ospiterà attività B2B, pensate per mettere in contatto produttori, tostatori, distributori e rivenditori. Sarà l’occasione per presentare nuove tecnologie, scoprire le tendenze del mercato e concludere affari Nel pomeriggio (16.00 - 21.00), il salone si trasformerà in un evento B2C, rivolto ai consumatori.
Sarà possibile degustare e acquistare caffè provenienti da diverse torrefazioni, partecipare a esperienze sensoriali immersive e interagire con i produttori. In questo modo, il pubblico avrà l’opportunità di approfondire la propria conoscenza del caffè, sperimentando le sue varie declinazioni e scoprendo nuovi gusti.
LOCATION STORICA E CENTRALE:
Il COFFEE FEST 2025 si svolgerà alla Stazione Marittima di Napoli , un’area centrale e ben collegata, che offre un contesto ideale per l’organizzazione di eventi internazionali. Questo terminal marittimo, costruito negli anni '30, è un esempio di architettura funzionale e moderna . Grazie alla sua posizione, vicino al centro storico di Napoli e facilmente raggiungibile anche con la metropolitana, il COFFEE FEST sarà un evento facilmente accessibile per visitatori ed espositori.
La Stazione Marittima è infatti un luogo ideale per eventi di grande portata con i suoi ampi spazi espositivi e il Centro Congressi che ospiterà numerosi appuntamenti, tra cui seminari e workshop per i professionisti del settore.
Il COFFEE FEST non si limiterà ad essere una semplice esposizione, ma offrirà una serie di eventi speciali che arricchiranno l’esperienza dei partecipanti. Tra le attività in programma, ci saranno mostre fotografiche, proiezioni cinematografiche e percorsi interattivi che offriranno ai visitatori la possibilità di esplorare il mondo del caffè da angolazioni diverse. Uno degli aspetti più innovativi sarà l’allestimento di “ aree interattive” in alcune piazze di Napoli , dove i visitatori potranno partecipare a giochi e sfide legate al caffè. In queste “isole di confronto”, sarà possibile interagire direttamente con i brand e le aziende , scoprendo le novità del settore e approfondendo tematiche legate alla sostenibilità e all’innovazione.
Un altro appuntamento fondamentale del COFFEE FEST 2025 saranno gli “ Stati Generali del Caffè ”, una serie di incontri e dibattiti che coinvolgeranno esperti, produttori, torrefattori, distributori e appassionati. Questi momenti di confronto permetteranno di esplorare le sfide future del settore, come la sostenibilità, l’innovazione tecnologica, e le nuove tendenze nella produzione e distribuzione del caffè .
Gli Stati Generali del Caffè rappresenteranno anche un’occasione per celebrare e promuovere le eccellenze italiane del caffè . Le migliori torrefazioni, i produttori di macchine e gli esperti del settore avranno la possibilità di presentarsi al pubblico e di creare nuove partnership
Oltre alla celebrazione del caffè come simbolo del “made in Italy”, il COFFEE FEST 2025 avrà un forte focus sulla formazione e sull’ innovazione . Saranno organizzati seminari e corsi di approfondimento per professionisti del settore e per i consumatori più appassionati. Temi come le tecniche di torrefazione, l’analisi sensoriale, e la storia del caffè saranno trattati in modo approfondito, per fornire strumenti concreti ai partecipanti. In particolare, il salone si concentrerà su come l’industria del caffè stia affrontando le sfide legate alla sostenibilità , con particolare attenzione alla riduzione dell’impatto ambientale e allo sviluppo di nuovi modelli di business.
Il COFFEE FEST 2025 si preannuncia come uno degli eventi più importanti del settore a livello mondiale. Grazie alla sua posizione strategica a Napoli, alle sue attività interattive e alle numerose iniziative di formazione, il salone diventerà un punto di riferimento per i professionisti e gli appassionati del caffè L’obiettivo è quello di rafforzare la posizione dell’Italia come leader mondiale nel mondo del caffè, promuovendo al contempo la cultura del caffè come patrimonio immateriale da preservare e valorizzare.
Il COFFEE FEST è destinato a diventare un appuntamento annuale , un evento capace di ispirare e sostenere l’intero settore, offrendo nuove opportunità di crescita, innovazione e connessione tra i protagonisti del mondo del caffè.
Periodico di informazione dell'Ho.Re.Ca. supplemento di www.horecanews.it Numero 7 - Mar/Apr/Mag 2025
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