001 newsletter ideolab n 1 2013

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NUMERO 1 - ANNO 2013

IDEE, PROGETTI E PROPOSTE PER LO SVILUPPO

Domenico Barone: “L’idea è già stata testata con grande successo nel 1932”

La “moneta deperibile”, una ricetta per liberare l’Italia dal debito pubblico Si tratta di un buono che perde valore ogni anno spingendo tutti a disfarsene spendendo, così da rimettere in moto l’economia

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ome liberare il Paese dal debito pubblico? Se lo è chiesto, fra gli altri, Domenico Barone, medico legale di professione ma attento osservatore dei fatti economici e sociali. Senza volersi sostituire a chi fa l’economista per mestiere, Barone si è limitato a scongelare una vecchia idea applicata con successo già nel 1932, anno in cui il mondo viveva una crisi simile a quella attuale. continua a pag. 2

Ambiente

Carta da macero, rifiuto o materia prima? Una proposta per risparmiare 2 miliardi e mezzo ogni anno

Parla Domenico Imperato, titolare della cartiera palermitana, l’ultima delle tre rimaste nell’Isola, che dopo quasi 160 anni di attività rischia di chiudere i battenti per via degli ostacoli burocratici e delle ambiguità legislative a pag. 4

Newsletter a cura di Valerio Droga (coordinatore Ideolab) - ideolab.it@gmail.com


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notizie

La proposta di Barone in una parola: “moneta deperibile”

Cancellare il debito pubblico e riattivare l’economia italiana

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’idea è quella della “moneta La relazione di Barone si è tenu- divenendo una fonte di ricchezza deperibile”, nome che non ta nel corso dell’ormai consueto per noi e non più per le banche?”. può non destare curiosità. Il appuntamento quindicinale di Come, con quali soldi? Con la momento economico che stia- Ideolab, in cui si confrontano moneta deperibile, o meglio, mo vivendo è caratterizzato non idee, progetti e proposte per lo quantomeno per i creditori strada una incapacità produttiva: sviluppo economico e sociale. nieri, con gli euro, ma emettenci sono fabbriche, imprendito- Dopo una breve premessa stori- do, al contempo, la stessa quanri, operai anche specializzati, ci ca sull’importanza della moneta, tità di moneta deperibile. sono insomma tutti i mezzi di strumento utilissimo per rendere Nel concreto si tratterebbe di produzione e c’è anche un baci- più fluidi gli scambi commercia- emettere buoni garantiti dallo no di consumatori vasto quanto li rispetto al baratto, Barone ha Stato (accettabili quindi anche il numero di abitanti. Cos’è allora sottolineato come la fine della per pagare le tasse), una sorta di che frena gli acquisti, che lascia convertibilità dollaro-oro, avve- moneta complementare ma neli magazzini pieni di merce inven- nuta nel 1971, se da una parte ha la quantità del debito pubblico duta, che costringe i commer- svincolato la moneta dalle riser- e che perderanno, per esempio, cianti e i produtil 10% del protori a indebitarsi “Ci rimetterebbe solo chi specula, in borsa, prio valore ogni e a licenziare il In dettasull’accumulazione di capitale, perché questo anno. personale? Semglio si potrebbe non sarebbe più remunerativo plice, la scarsità pensare a un di denaro o per anzi risulterebbe del tutto svantaggioso”. periodo transilo meno la scartorio di cinque sa velocità di circolazione della ve auree consentendole di aderi- anni, in cui si stamperebbero moneta. re alla reale produzione di beni e buoni del valore di 400 miliardi Come agirebbe la moneta depe- servizi di un paese, ha, di contro, l’anno, coi quali lo Stato potrebribile? Come dice la parola stes- eliminato la possibilità di avere be pagare parte delle pensioni, sa, si tratta di soldi che perdono in cambio della moneta qualco- degli stipendi pubblici e coprire valore nel tempo, spingendo sa di tangibile, dando inizio alla quindi anche la previdenza. Lo chi li detiene a liberarsene il più cosiddetta “finanza creativa”, Stato italiano in una sola mossa presto possibile, spendendoli, l’illusione che il denaro possa annullerebbe il debito pubblico e acquistando quindi beni e servi- creare altro denaro. Tra gli effetti si troverebbe 400 miliardi all’anzi, mettendo così in moto l’eco- di questa grande bugia c’è il de- no da potere spendere. La sola nomia. bito pubblico, che oggi in Italia condizione è che, dice Barone, L’idea può farci sorridere, come ha toccato i duemila miliardi di “questi soldi vengano spesi in fece sorridere gli abitanti di Wör- euro, divenendo uno strumento modo virtuoso, risolvendo alcuni gl, la piccola cittadina del Tirolo di ricatto per gli Stati da parte problemi strutturali del Paese”. I in cui per la prima volta venne dei grandi creditori, interessati a cittadini pagherebbero puntualapplicata. Ma si sa, ride bene chi mantenere questo regime deflat- mente le tasse, prima che la moride ultimo, e ben presto tutti gli tivo, cioè di scarsità di moneta neta perda valore, aumentando abitanti, i paesi del circondario circolante. ulteriormente le entrate fiscali. e perfino il fior fiore dei macro- Barone ci tiene a dirlo: “L’idea Ma se lo Stato e i cittadini haneconomisti dell’epoca dovette non è mia, è del teorico tedesco no tutto da guadagnarci, chi ci ricredersi su questo esperimento Silvius Gesell e il merito di aver- rimetterebbe? “Solo chi specula, voluto dal primo cittadino del pa- la applicata va al borgomastro in finanza, sull’accumulazione ese. In piena depressione inter- di Wörgl”. La novità, tuttavia, sta di capitale, perché questo non nazionale, Wörgl iniziò a prospe- proprio nel voler rendere opera- sarebbe più remunerativo anzi rare: la disoccupazione si ridusse tivo il progetto per azzerare il de- svantaggioso”, risponde Domedrasticamente, aumentarono le bito pubblico. “Solo di interessi nico Barone, sottolineando come entrate fiscali e si avviò un pia- paghiamo 80-100 miliardi all’an- “la reale ricchezza non è data no di opere pubbliche. Perfino la no - ha detto - allora perché non dal denaro bensì dalla produziobanca ne trovò vantaggio. comprare il nostro stesso debito ne e dal lavoro”.

“È una fortuna che la gente non capisca il nostro sistema bancario e monetario, perché, se lo facesse, credo scoppierebbe la rivoluzione prima di domani”. (Henry Ford)

La lampada dentata. Quando l’idea si fa lavoro L aboratorio di idee, progetti e proposte per lo sviluppo. Questo è in poche parole Ideolab, ma come sintetizzarlo in una sola immagine? Ci abbiamo provato con la rappresentazione di una lampadina dalla sagoma a ruota dentata, quindi l’idea che si muove, diventa azione concreta, genera lavoro e sviluppo. La ruota dentata è, come nell’emblema della Repubblica italiana, l’immagine del lavoro e del progresso, e la nostra visione del lavoro è proprio quella sancita dalla Costituzione (artt. 1 e 4), ovvero fondamento dello stato di diritto, fonte di realizzazione personale e di servizio per la collettività. L’immagine richiama anche le ‘rotelle’ del cervello e sottolinea quindi l’importanza del lavoro mentale che sta dietro a un’idea. I denti sono al tempo stesso l’immagine dei raggi luminosi che si propagano verso l’esterno, dato che non vogliamo essere un gruppo autoreferenziale e le nostre proposte si rivolgono a tutti coloro che le vogliano prendere in considerazione. Sono cinque, in particolare, per richiamare un altro elemento dell’emblema repubblicano, la stella vespertina, simbolo italico, perché le nostre proposte, pur nascendo nel seno della Sicilia, vogliono essere di respiro nazionale. L’apertura delle idee e del gruppo, infine, sono anche dati dal tratto, appunto non chiuso e a mo’ di schizzo, suggerendo l’idea di realtà in movimento, di cantiere di idee, appunto di laboratorio.


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La moneta deperibile riattivò l’economia del paese durante la grande depressione

Il “miracolo” di Wörgl e la fine della crisi

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rano gli anni della seconda grande depressione, quella inaugurata dalla crisi del dollaro nel ‘29. Il denaro in circolazione era sempre di meno, di conseguenza i prezzi calavano e il valore della moneta aumentava, spingendo i consumatori a ritardare i propri acquisti in previsione di ulteriori ribassi, con vantaggio dei risparmiatori e a danno dei debitori. Le imprese produttrici e i commercianti abbassavano i prezzi per svuotare i propri magazzini, spesso non riuscendo neppure a rifarsi dei costi, non riuscendo a far fronte ai propri debiti, iniziando a fare tagli al personale e, presto o tardi, a chiudere baracca, con un esercito di disoccupati sempre più numeroso e agguerrito e con un avvitamento su se stesso. Era il circolo vizioso della deflazione. Accade poi che la bilancia dei pagamenti inizia a pendere verso le importazioni, con ulteriore fuga dei capitali, a cui si aggiunge la borsa, che orienta i risparmi delle famiglie verso mercati più redditizi. Delocalizzazioni, deindustrializzazione, fuga dei cervelli ed emigrazione di forza lavoro fanno il resto. Le crisi deflattive, frutto dell’apertura incontrollata dei mercati internazionali, al contrario delle carestie dell’era preindustriale, consistono in un eccesso di produzione rispetto alla quantità di moneta circolante o, meglio, una carenza di moneta rispetto alla produzione. Come si risolve una situazione simile? Di norma si cade nella trappola della chiusura improvvisa dei mercati, con l’aggravio della crisi, aumento delle tensioni internazionali anche come valvola di sfogo alle tensioni sociali interne, ascesa di movimenti populisti e nazionalisti e una bella guerra mondiale che ridà ossigeno all’economia. C’è però un modo meno cruento ma che incontra l’opposizione dei grandi creditori, gli stessi che muovono i mercati, gli unici soggetti che hanno vantaggi in regime di deflazione: riappropriarsi della moneta da parte dello Stato (moneta sovrana) creando una leggera inflazione capace di fare aderire la quantità di moneta circolante ai livelli produttivi. Serve, cioè, un sistema a inflazione controllata. Ma torniamo alla nostra storia. Era il 1932. Lo scenario è quello di un piccolo paesino austriaco del Tirolo, Wörgl, di appena 4000 abitanti, di cui 1500 senza un lavoro. Il borgomastro, Michael Unterguggenberger (ex meccanico e ferroviere), dopo un attento studio, individuò la ragione della crisi nella bassissima velocità di circolazione della moneta: non mancavano infatti né le competenze né la forza lavoro né gli imprenditori né i potenziali consumatori per far girare l’economia: c’erano cioè sia la domanda che l’offerta ma non la moneta per farle incontrare. Propose allora la creazione di una moneta deperibile, che perdesse valore progressivamente.

stare in municipio un bollo al costo dell’1% del suo valore, determinando, di fatto, una perdita di valore dell’1% mensile ovvero del 12% annuo. Per fare un esempio, per rendere valido un buono da 10 scellini scaduto, occorreva acquistare un bollino di 10 centesimi. Il Comune garantì la nuova emissione sia accettandola per il pagamento delle imposte sia depositando nella banca locale l’equivalente in veri scellini, in modo tale che chiunque ricevesse un certificato di lavoro potesse riscuoterlo, con una penalità del 2%, trattenuto dalla banca per il servizio. Essendo però il doppio del costo di detenzione, nei fatti, nessuno effettuò il cambio. Questa non fu la sola cosa sorprendente, dopo una prima fase di scetticismo, i commercianti iniziarono ad accettare la nuova ‘moneta’. Come una patata bollente la gente si affrettava a liberarsene, così da riattivare l’economia. Perfino le tasse vennero pagate di buon grado, spesso in anticipo, per non dover pagare il bollo. Alcuni, per lo stesso motivo, depositarono i propri risparmi in banca (dove la moneta non perdeva valore ma non generava interessi), la quale vide un’inversione di tendenza, con un sorpasso dei deposiL’utopista tedesco Silvius Gesell ti sui prelievi e, a sua volta, se ne liberava in fretta sia pagando salari e servizi sia prestanaltro denaro, con un distacco tra la finanza doli a chi voleva investire. Si instaurò ben pree l’economia reale. Ci ricorda niente? Allora sto un circolo virtuoso di aumento sui fronti pensò di renderne svantaggioso l’accumulo, del lavoro, investimenti e gettito fiscale. imponendone un costo, ovvero una tassa La velocità di circolazione del denaro aumensulla detenzione di capitale, un bollo per l’e- tò incredibilmente, scambiandosi circa 500 sattezza, scoraggiandone il fermo inoperoso. volte in 14 mesi, contro le 6-8 volte dello scelBene, pensò il primo cittadino di Wörgl, per- lino nazionale, muovendo beni e servizi per ché non far diventare questa idea realtà? Nel oltre due milioni e mezzo. suo discorso pubblico disse: “Come interme- Infine, il Comune, non solo poté porre rimediaria di scambi, la moneta progressivamente dio al proprio debito, pagare i suoi impiegasparisce dalle mani dei lavoratori, filtra inve- ti, ma si vide tornare nelle casse venti volte ce negli alvei dove scorre l’interesse, finendo l’ammontare dei primi stipendi pagati, ossia con l’accumularsi nelle mani di pochi, che non il 2000%, avviando un piano di opere pubblila riversano sul mercato per acquistarvi beni che: furono asfaltati sei chilometri di strade, e servizi; la trattengono per specularvi su”. costruito un ponte sul fiume Inn, rinnovata la rete fognaria e quella elettrica, piantati nuovi Si avviò un piano di opere pubbliche: alberi nel bosco circoasfaltate strade, costruito un ponte, un stante e si avviarono i trampolino da sci per turisti, rinnovate rete lavori per un trampolino da sci per turisti: niente fognaria ed elettrica e piantati nuovi alberi. male per un paesino di 4000 abitanti! Il Comune emise quindi una moneta comple- Arrivarono presto giornalisti, macroeconomimentare allo scellino nazionale, con la carat- sti europei e americani: tutti volevano la riteristica di perdere valore nel tempo ma in cetta per porre rimedio alla crisi globale. L’emaniera programmata e controllata. Si avvi- sperimento stava contagiando altre cittadine de bene dal chiamarla “moneta”, definendola della provincia. La Banca nazionale d’Austria, semplicemente “certificato di lavoro”. ente privato, fece valere il suo diritto monoCome funzionava? Il meccanismo era sempli- polista di batter moneta ponendo fine all’ece: a fine mese questo buono lavoro diventa- sperimento il 15 novembre 1933. Tornarono va carta straccia. Per fargli riprendere il suo inesorabilmente disoccupazione, miseria e valore originario, il detentore doveva acqui- povertà e una nuova guerra era alle porte.

L’idea era stata elaborata da Silvius Gesell, un commerciante tedesco che, nel 1890 si era trovato a vivere sulla propria pelle gli effetti della prima grande depressione, in particolare la crisi dell’Argentina, paese dove aveva spostato i suoi affari. L’utopista tedesco notò come la sola merce che non si consumava, che non perdeva valore, fosse la merce con cui si possono barattare tutte le altre merci, cioè la moneta. Individuò in questo privilegio la causa della deflazione, dovuta all’accumulo di moneta senza rimetterla sul mercato, consentendo di fatto al denaro di produrre


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Imperato: “Ecco come i cittadini possono risparmiare 2 miliardi e mezzo di euro”

Carta da macero, da rifiuto a risorsa

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utto cominciò con la definizione legislativa di ‘rifiuto’”. Domenico Imperato, della storica cartiera palermitana, l’unica rimasta in Sicilia occidentale, non ha dubbi nell’individuare l’elemento che ha prodotto il business dei rifiuti con conseguente impennata della relativa tassa, sovraccarico delle discariche ed emergenza ambientale. La legge definisce rifiuto tutto ciò di cui ci si intenda disfare. Detto così, tutto può essere considerato rifiuto, perfino un’auto o un vestito che si voglia vendere o regalare. La legge definisce, come è giusto, che per disfarsi di un rifiuto ci si debba rivolgere ad enti autorizzati e si debba produrre una documentazione specifica, in particolare il formulario rifiuti. Il punto è: può la carta destinata al macero definirsi rifiuto? La risposta di Imperato è ferma: “Dal momento che non è destinata alla discarica ma al riciclo è risorsa e quindi non dovrebbe essere richiesto il formulario rifiuti”. Così, però, non avviene. Sono tanti gli uffici pubblici e privati, fra cui guardia di finanza, questura, carabinieri, prefettura e presidenza del consiglio dei ministri, che conferiscono i propri documenti cartacei da distruggere alla cartiera, ma non sono pochi neppure quelli che dicono di no, pretendendo appunto il formulario rifiuti, che può rilasciare soltanto la cosiddetta piattaforma. Tra questi, oltre ai

vari uffici del Comune e della Regione, la sede palermitana della Banca d’Italia, che di recente, per questa ragione, su direttiva del responsabile nazionale, ha preferito rivolgersi all’Amia per il ritiro della carta, considerando questa un rifiuto, perché, secondo legge, “qualcosa di cui ci si voglia disfare”. Tuttavia, se fosse così, anche i vestiti usati e le auto di seconda mano dovrebbero passare dalla piattaforma! “Tutto questo, tra spese di ritiro, trasporto e contributi pubblici dati alla piattaforma la quantità dichiarata di carta ricevuta, costa al contribuente un euro al chilogrammo, circa due miliardi e mezzo all’anno”, afferma Imperato. “Questi inutili passaggi continua - per quanto riguarda la carta potrebbero essere bypassati conferendo la materia direttamente in cartiera, la quale per legge non può ricevere carta con formulario rifiuti ma è la sola che può produrre la dichiarazione di macero, documento che dimostra che la materia ha compiuto la fase finale del suo ciclo”. Va anche detto che la carta che proviene dalle piattaforme, quantomeno quella che arriva dalla raccolta differenziata delle famiglie (attraverso le cosiddette campane) spesso risulta inutilizzabile perché non risponde alla normativa europea UNI EN 643, che fissa i parametri per carta e cartone da macero. In particolare, le impurità non devono

superare l’1%, il che, per intenderci, significa sì ai quaderni con le spille o i taccuini e i libri con la colla della brossura, ma non ai raccoglitori con copertine in plastica né tantomeno tovaglioli e fazzoletti con residui organici, che andrebbero invece nella frazione dell’“umido”. Molta di questa carta, perciò, va a finire in discarica o esportata in Cina (forse la sola cosa che Pechino acquista da noi). Si consideri anche che la carta rappresenta quasi il 40% del volume dei rifiuti urbani e che quindi il pieno riciclo di questa porterebbe a un notevole alleggerimento delle discariche. Con lo spreco e l’esportazione della carta da macero, le nostre cartiere si trovano a dover utilizzare la cellulosa, di cui non siamo produttori, importandola

dall’estero, con uno squilibrio della bilancia dei pagamenti e conseguente fuga di capitali. In Italia metà della carta prodotta proviene da cellulosa che per ben il 92% è di importazione. Inoltre, la cellulosa costa circa 1 euro al chilo, contro i 3-10 centesimi della carta da macero. La normativa europea ha però un merito: definisce la carta come materia prima e non più rifiuto, quindi non un peso bensì una fonte di ricchezza, tanto che Paesi come la Cina la importano. Sulla stessa lunghezza d’onda è il decreto legislativo 205/2010, che definisce la categoria “sottoprodotto” come quel prodotto riutilizzabile e riciclabile, distinguendolo di fatto dal rifiuto. Inoltre, il decreto introduce la priorità della prevenzione dei rifiuti, vale a dire la prescrizione di fare il possibile in tema di riduzione, riutilizzo e riciclo dei prodotti. “Nonostante ciò continua il business dei rifiuti sulle spalle dei contribuenti”, afferma Imperato. La soluzione? Sul piano dell’educazione ambientale serve una maggiore informazione (sia per preferire la carta riciclata a quella da cellulosa sia per evitare che carta inutilizzabile finisca nelle campane). Su quello legislativo, conclude Imperato, “sarebbe sufficiente un semplice decreto interpretativo che tolga ogni ambiguità e definisca, una volta e per tutte, cosa sia rifiuto e cosa materia prima”. (Foto di Clara Palazzolo)


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