VARESEFOCUS 5/2020 - SETTEMBRE

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ANNO XXI · N.5

SETTEMBRE 2020

VARESEFOCUS

Gli scalini per risalire Poste Italiane SpA - Spedizione in Abbonamento Postale - 70% LO/VA


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EDITORIALE

I gradini da scalare per tornare a crescere Vittorio Gandini

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uesto nuovo numero di Varesefocus che vi apprestate a sfogliare è come una sorta di “Ritorno al Futuro”. Abbiamo voluto immaginarci e proporre ai nostri lettori una visione di come potremo essere tra qualche anno. E quali traiettorie potrebbero avere i percorsi obbligati verso cui dobbiamo incamminarci per arrivare a trasformarci nel Paese che noi tutti sogniamo da anni: un’Italia che sappia valorizzare il merito dei giovani; che possa contare su una politica in grado di guardare lontano e non solo al prossimo tweet pensato per spostare di uno zero virgola il grado di consenso misurato con il sondaggio di giornata; con uno stato sociale moderno e all’avanguardia nella protezione dei più deboli; con istituzioni efficienti capaci di mettere al sicuro da qualsiasi rischio il modello di “democrazia liberale” per cui tanto ci siamo battuti; con un debito pubblico che non opprima più qualsiasi ambizione generazionale. Tutti fronti su cui il pericolo di un declino è oggi più che mai tangibile. Allo stesso tempo, però, nonostante le mille difficoltà, l’economia italiana, la sua società, le sue imprese hanno tutte le qualità e le conoscenze necessarie per farcela, per risalire la china un gradino per volta. L’importante è capire quali siano gli scalini giusti da affrontare e con quale grado di intensità e forza nelle gambe. In questa edizione del nostro magazine è ciò che abbiamo provato a fare, partendo dall’analisi di cosa ci attende nei prossimi mesi. Non tanto in termini di possibili tassi di crescita o decrescita del Pil. I numeri, almeno per questa volta, li abbiamo voluti lasciare un attimo da parte, perché pensiamo che in questo frangente qualsiasi previsione sia quasi impossibile e perché più che l’andamento congiunturale misurato mese per mese, sia più importante individuare e comprendere quali siano i trend di medio e lungo periodo verso cui si stanno incamminando i principali settori economico-produttivi presenti sul territorio. Perché è così che si difende il lavoro e se ne crea di nuovo. Non bastano reti di protezione. Serve guardare avanti e impostare politiche sia micro (a livello aziendale e di settore), sia macro (a livello economico e di sistema) in grado di agganciare le grandi e piccole trasformazioni in atto, che ogni crisi porta con sé. Quella scatenata dalla pandemia da Coronavirus non fa eccezione. Se ci accontentiamo di gestire le difficoltà del presente, rischiamo di perdere le opportunità che ci potremmo aprire sul futuro

se avessimo il coraggio di fare delle scelte su mirate politiche di sviluppo. Quando diciamo mirate intendiamo un modello alternativo a quello, pur necessariamente emergenziale, adottato finora: fatto di aiuti a pioggia, spalmati sulla più ampia platea di beneficiari. Le imprese, viceversa, guardano a un modello costruito, appunto, sulle scelte. Che in quanto tali rischiano di essere impopolari da un lato, quello del breve periodo. Ma portatrici di crescita duratura e sviluppo sostenibile dall’altro, quello del lungo periodo. Insomma, bisogna impostare oggi una politica che ci traghetti verso la modernità, ma i cui risultati tangibili e concreti potrebbero arrivare solo dopo mesi o, in alcuni casi, anni. Non tutti i gradini da scalare sono uguali. Alcuni ci possono portare più in alto. Altri potrebbero accontentarci subito, ma, in prospettiva, relegarci ai piani più bassi di un’emarginazione internazionale. Il problema sta qui. Il nostro sistema politico ha questo coraggio? È abbastanza ambizioso? Oppure pensa solo alla prossima tornata elettorale? E con quale scopo poi? Per una sopravvivenza al potere fine a se stessa? La visione di Alcide De Gasperi è perfetta per i nostri tempi: “Un politico guarda alle prossime elezioni. Uno statista guarda alla prossima generazione”. Sia chi ci governa, sia chi ambisce e si propone a prenderne il posto dovrebbe essere più temerario del dibattito politico oggi in corso. Per non essere mal interpretati in ambito nazionale, si potrebbe fare un ricorso storico oltre confine. Quello inglese di Winston Churchill: non promise mai scelte semplici per il suo Paese che riuscì a trascinare alla vittoria della Seconda Guerra Mondiale, garantendo un futuro di libertà e prosperità per generazioni. Churchill, tuttavia, perse poi le elezioni del luglio 1945. Il suo nome è, però, scritto in maniera indelebile sui libri di storia. Quanti si ricordano il nome di chi lo sconfisse a quel voto post-conflitto? Non ce ne voglia la memoria di un politico, comunque di spessore, quale fu Clement Attlee. Il senso del paragone è solo quello di far capire al nostro sistema politico la posta in gioco: il nostro futuro.

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ANNO XXI · N.5

SETTEMBRE 2020

VARESEFOCUS

Gli scalini per risalire Poste Italiane SpA - Spedizione in Abbonamento Postale - 70% LO/VA

S O M

Periodico di economia, politica, società, costume, arte e natura in provincia di Varese. Presidente Roberto Grassi Direttore editoriale Vittorio Gandini Direttore responsabile Davide Cionfrini Direzione, redazione, amministrazione Piazza Monte Grappa, 5 21100 Varese T. 0332 251.000 - F. 0332 285.565 M. info@varesefocus.it

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reg. n. 618 del 16/11/1991 - Trib. Varese

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www.varesefocus.it Progetto grafico e impaginazione Paolo Marchetti Fotolito e stampa Roto3 srl Via per Turbigo 11/B 20025 Castano Primo (Mi) T. 0331 889.601 Gestione editoriale Univa Servizi srl Via Vittorio Veneto, 8/E 21013 Gallarate (VA) - T. 0331 774.345

PUBBLICITÀ Univa Servizi srl M. commerciale@univaservizi.it T. 0331 774.345 Questo numero è stato chiuso il 3 settembre 2020. Il prossimo numero sarà in edicola con Il Sole24Ore il 26 ottobre 2020. “Varesefocus” ospita articoli e opinioni che possono anche non coincidere con le posizioni ufficiali dell’Unione Industriali della Provincia di Varese. Valore di abbonamento annuo Euro 20,00 (nell’ambito dei servizi istituzionali dell’Editore).

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Cosa accadrà nei prossimi mesi? 10 La visione di Confindustria 14 La reazione del mondo al Covid-19

18 “È il momento di riforme storiche” 21 Le opportunità (e i rischi) del Green Deal europeo 23 La formazione come leva di sviluppo

Interventi e contributi di: Alberto Bortoluzzi, giornalista; Andrea Camunari, giornalista; Mario Chiodetti, giornalista; Andrea Della Bella, giornalista; Cristina Di Maria, Alessandra Favaro, giornalista; Ian M. Mackay, Paola Margnini; Luisa Negri, giornalista; Stefania Radman, giornalista. In redazione: Davide Cionfrini, Silvia Giovannini, Alessia Lazzarin, Chiara Mazzetti, Maria Postiglione. Segreteria di redazione: Barbara Brambilla, Viviana Maccecchini. Fotografie di: Alberto Bortoluzzi, Alessandra Favaro, G. Mesturini, R. Morelli, Alberto Sironi.


M A R I O ECONOMIA

SCIENZA

26 La Varese del turismo che non si ferma 28 Parasacchi e la bobina green

39 Perché il sapone funziona così bene sul Coronavirus?

▶ Gita a 62 Musei taglia baby

TERRITORIO FORMAZIONE 30 Si torna a scuola

UNIVERSITÀ

42 “Io e il Titanic” 46 L’uomo del mulino di Cunardo 48 La rinascita del cinema

▶ Arte 65 Marion Baruch e la sua patria senza confini 68 La casa museo Pogliaghi, tra novità e ultimi restauri

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32 La ripresa dell’industria lombarda sarà piu rapida

VITA ASSOCIATIVA 70 Mostre e Appuntamenti

34 Trasformazione digitale, siamo a metà strada 53 La musica di Varese che conquista il mondo 56 Professione volontario soccorritore

34 36 Come nasce una filiera al servizio del Paese

▶ Sport 72 Varese torna a volare alto

RUBRICHE

▶ In libreria 76 Tappeti rossi e poesie nerazzurre

▶ Provincia da scoprire 59 Le curiosità della vendemmia varesina

▶ Dal Web 78 La nuova vita di Twitter


FOCUS

Cosa accadrà nei prossimi mesi? Bando alle previsioni numeriche da sfera di cristallo. Con una pandemia ancora in corso nel mondo rimane difficile fare proiezioni sull’andamento degli indici economici. Meglio concentrarsi su analisi qualitative dei modelli di comportamento, di consumo, di risparmio, di stili di vita in profonda trasformazione. È qui che si intravedono in filigrana i rischi di declino e gli spazi di opportunità per i settori più radicati sul territorio varesino

su come andranno le cose da qui a fine anno sta, però, in due piccole

Paola Margnini (*) parole: “ceteris paribus”. Ossia: se tutto andrà avanti così, a parità di

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n mondo in bilico”. “Una recessione profonda che amplia le divergenze”. Questi sono rispettivamente i brevi ed incisivi commenti del Fondo Monetario Internazionale (giugno) e della Commissione europea (luglio) alla pubblicazione dei dati di scenario. In poche sintetiche parole è contenuta tutta la difficoltà di fare previsioni, numeriche, in un quadro economico continuamente variabile e tenuto in sospeso dall’evoluzione sanitaria. La credibilità di qualsiasi proiezione statistica oggi

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condizioni che però nessuno al momento, in una situazione pandemica, senza ancora un vaccino e con i timori di una seconda possibile ondata di Covid, è in grado di garantire. Quindi prima ancora che a scenari realizzati con complicati modelli econometrici, è ora il momento di concentrarsi su “previsioni” basate sul cambio dei modelli di comportamento, di consumo, di risparmio, di stili di vita. Perché è lì che si possono meglio comprendere le basi del declino o,

(*) Responsabile Ufficio Studi Univa


viceversa, si possono sviluppare idee di opportunità. Da dove ripartire quindi e cosa (non quanto) attenderci per il futuro? Lasciamo dunque da parte le proiezioni numeriche ed introduciamo alcune “proiezioni” qualitative incrociando macrotendenze e specializzazioni settoriali a partire da quanto sta succedendo in alcuni (gli altri verranno analizzati in una seconda puntata sul numero di ottobre) comparti presenti nel territorio della provincia di Varese. Seguendo una logica di mercato di consumo o di investimento finale.

MODA― Iniziamo da uno dei settori più esposti agli effetti del Covid, secondo solo al turismo ed i servizi di trasporto: il settore della moda, tessile abbigliamento ed accessori (occhiali compresi). Si tratta di un comparto che nel mese di aprile in Italia ha su-

FOCUS

Previsioni per la moda: ritardo di 9-12 mesi nel riavvio produttivo. Abbassamento dei volumi anche a regime. Spostamento verso canale online. Ridisegno della filiera. Crescita della domanda di “tessile sanitario”

bito un crollo della produzione dell’81% su base annua e che si è confrontato con un crollo del consumo di pari entità. Gli esperti del settore rimarcano che si è persa una intera collezione primavera-estate, rimasta invenduta quest’anno e che potrebbe bloccare il riassortimento del 2021. A questo si aggiunge che in molti casi non si sono potuti realizzare i campionari per la collezione invernale che andava preparata nei mesi del lockdown. Insomma, i soli effetti di trascinamento tecnico portano l’orizzonte di una ripresa a pieno titolo in là di quasi un anno. Nel frattempo, bisogna assicurare la business continuity attraverso la crescita dell’e-commerce e la riconversione (leggi camici e mascherine nell’emergenza) in attesa che il consumatore torni a “fare il suo mestiere”, ossia ritorni a consumare. Anche se, va detto, non tutto sarà come prima. Previsione: ritardo di 9-12 mesi nel pieno riavvio produttivo. Abbassamento dei volumi anche a regime. Spostamento verso canale online. Ridisegno della filiera. Crescita della domanda di “tessile sanitario”. Valorizzazione del modello slow fashion verso il fast fashion. Valorizzazione del tessile ecocompatibile da economia circolare.

AUTOMOTIVE― Lasciando il mondo del tessile e passando ai beni di consumo discrezionali si segnala la grande difficoltà del comparto automotive che da solo conta 175.000 addetti ed un fatturato di 53 miliardi a livello italiano. Si tratta di una filiera complessa e molto articolata considerato che le parti montate su

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FOCUS

un’auto possono arrivare ad essere anche ventimila. Una filiera che conta tanti componentisti anche in provincia di Varese, che impiegano almeno 7.000 addetti, tenendo conto anche delle produzioni per moto. Parliamo di fornitori di particolari tecnici in gomma plastica, ma anche pezzi già assemblati come parti di sistemi frenanti, assali, allestimenti di interni, antifurti (di cui siamo storico distretto) e sistemi ultramoderni di assistenza alla guida, con lo sviluppo di tecnologie digitali in cui Varese è all’avanguardia. Un indotto che già prima della pandemia stava facendo i conti con la grande rivoluzione verso l’elettrico e che ora è costretto ad incrociare uno stock elevatissimo di invenduto ed un differimento di programmi di investimento. Previsione: la domanda di auto si avvia troppo lentamente al miglioramento dopo un crollo del 46% delle immatricolazioni italiane del primo semestre. Si dovrà comunque fare i conti con la transizione verso i segmenti ibrido elettrico e con un

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diverso uso dell’auto (share) a partire dalle nuove generazioni ed un aumentato tasso di risparmio del consumatore che rallenterà il ricambio dell’auto. Opportuno accompagnare il settore con misure di incentivi alla rottamazione.

MECCANICA― Passando dal consumo ai beni di investimento e strumentali, tra gli effetti riguardanti il comparto macchinari che catturano circa il 20% dell’export della provincia, si deve rilevare uno stop delle esportazioni del -10% nel primo trimestre che equivale a circa 54 milioni in meno rispetto al 2019. Va meglio in provincia di Varese, anche rispetto al resto d’Italia, la componentistica meccanica che costituisce una delle maggiori specializzazioni dell’industria locale (del 24% la quota di export) e, unica tra i vari comparti metalmeccanici, a mantenere almeno nel primo trimestre un export positivo (+2%). Tuttavia, per questi settori hanno pesato particolarmente sia il blocco della capacità pro-


duttiva nei mesi di aprile e maggio, sia la limitazione nei movimenti che hanno impedito l’acquisizione di nuovi ordini ed anche l’assistenza post-vendita, fondamentale per la fidelizzazione del cliente. Previsione: domanda di macchinari ed attrezzature e componenti sconterà ancora nei prossimi mesi il rallentamento nel ciclo degli investimenti mondiali bloccati dalla pandemia. Si temono gli effetti di una crisi che se non si saprà bloccare con interventi tempestivi di rilancio degli investimenti, di ammodernamento/digitalizzazione e di avvio di cantieri, creerà forti problemi di sovracapacità produttiva in Italia e nel mondo.

TRASPORTI, LOGISTICA E FILIERA CONNESSA― Mai nella storia dell’uomo come in questi anni ci si era spostati con tale frequenza sulle lunghe distanze. Il lockdown ha fatto cadere questa percezione di vivere in un “mondo corto”. Non sarà semplice tornare velocemente indietro. Il trasporto aereo rappresenta circa il 2,4% del Pil mondiale con 1.800 miliardi di dollari ed oltre 10 milioni di occupati diretti, in Italia la filiera del trasporto aereo rappresenta circa l’1,8% della produzione e dell’occupazione nazionale. Nella sola provincia di Varese, la LIUC – Università Cattaneo ha stimato che Malpensa tra impatto diretto, indiretto e indotto dia lavoro a 40mila persone per un valore economico generato di 10 miliardi all’anno. Si valuta che per effetto del Covid nel solo mese di marzo si siano persi 106 milioni di passeggeri. Nello scalo varesino nello stesso periodo i viaggiatori sono calati dell’88,2% rispetto a marzo 2019. Naturalmente ne ha risentito tutta la filiera: dai gestori aeroportuali, alle compagnie aeree, con un carico particolare sui vettori locali e gli effetti di medio-lungo periodo si stanno trasmettendo a monte anche alla produzione di aeromobili per il comparto civile e a valle al settore turistico. Gli effetti sono di catena lunga e toccano la logistica sino ad arrivare alla plastica (per esempio i sistemi di imballaggio). Previsione: il settore dovrà confrontarsi con il cambiamento delle abitudini di volo (minor frequenza ed intensità) e solamente con il ritorno alla fiducia dei consumatori si potrà di nuovo viaggiare con le prenotazioni a lungo termine, fondamentali per il business model del settore trasporti. I prossimi mesi quindi saranno cruciali per il comparto, che ha costi di struttura particolarmente elevati ed in parte incomprimibili. Bene sarebbe per il territorio iniziare a

CHI FA ECCEZIONE― Infine, tra i settori che hanno tenuto in questo periodo, le migliori prospettive riguardano i comparti che maggiormente sono stati attivati nell’emergenza, in primis il settore farmaceutico e scienze della vita, che svolgono un ruolo fondamentale per fronteggiare e bloccare la crisi sanitaria. Tengono naturalmente i consumi alimentari anche se in lieve rallentamento rispetto al periodo del lockdown dove esercitavano un’azione compensativa. Sempre forte la dinamica delle telecomunicazioni e della richiesta di connettività, che si deve confrontare con nuove intensità di utilizzo e di conseguenza adeguare i propri modelli di gestione e business. Insomma, le previsioni sono funzione diretta di quanto ci metteremo a tornare ad una normalità sostenibile e di quanto la stessa sarà differente dall’assetto precedente. Sicuramente ci aspetteranno mesi non facili in cui le fragilità di sistema accumulate in passato peseranno. Quanto prima si sarà capaci di intervenire per rialzare la fiducia del Paese, rioccupare in sicurezza le persone sottratte alla normalità lavorativa e riattivare una domanda “ad effetto immediato”, meno ci faremo del male. Gli interventi dovranno essere “pochi,” “concentrati” e “subito”.

FOCUS

Previsioni per il trasporto aereo: i prossimi mesi saranno cruciali. Il territorio deve iniziare subito a progettare interventi per una valorizzazione dello scalo di Malpensa e dell’area e delle attività connesse

progettare interventi che vedano una valorizzazione dell’aeroporto e dell’area ad esso connessa (come per esempio l’istituzione di un’area speciale o zona logistica semplificata) per garantirne un possibile sviluppo. È questo il momento di tenere le posizioni e reinvestire in mesi che vedranno un forte riassetto competitivo su scala globale ed europea.

Prima puntata, la seconda riguardante altri settori come la plastica, il terziario avanzato e l’aerospazio è prevista sul numero di ottobre di Varesefocus. Fonti per approfondire: FMI outlook, European Commission Economic Forecast, CSC Confindustria, Univa-Studi, Studi settore C.D.P. Luiss – EY, CeRST-LIUC , Prometeia.

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FOCUS

La visione di Confindustria Rilancio degli investimenti pubblici e privati a sostegno del recupero tecnologico e dell’efficienza dello stato sociale. Piano di riduzione del debito pubblico. Difesa della democrazia liberale (“oggi a rischio”) attraverso la valorizzazione dei corpi intermedi. Nel libro “Italia 2030”, le premesse e gli obiettivi del Piano strategico di medio-lungo periodo che il Presidente degli industriali, Carlo Bonomi, presenterà in autunno per rilanciare il Paese nei prossimi 10 anni spiegare i possibili percorsi che potrebbero portarci a questo de-

Davide Cionfrini clino è il libro “Italia 2030 – Proposte per lo sviluppo”. Un volume

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mmaginate un Paese emarginato dall’Europa che conta e schiacciato da un debito pubblico ingovernabile. Dove ogni pezzo della società si concentra solo, perché non gli è rimasto altro, “sulla salvaguardia dei suoi residui, ma sempre più miseri, privilegi economici”. Con l’unico obiettivo di vivere di rendita. Almeno finché dura. Di fronte a questo scenario, da una parte gli anziani cercano di mettere al sicuro le proprie ricchezze, senza investire sul futuro di un Paese in cui non credono più, dall’altra i giovani di talento, per lo stesso motivo, se la danno a gambe, fuggendo. In mezzo le imprese che “si troverebbero così ad operare in un ambiente economico-sociale semCarlo Bonomi pre più problematico sia in termini di sbocchi di mercato”, sia di assenza delle necessarie risorse umane per affrontare le sfide della modernità. Sullo sfondo, un sistema politico e istituzionale sempre più inefficiente che spingerebbe gli elettori verso la tentazione di “ricorrere a un leader politico, a cui affidare velleitarie speranze di protezione e di sicurezza”. Un salvatore della patria improbabile che come priorità avrebbe quella della cancellazione del ruolo “dei corpi intermedi”. È questo che ci aspetta? È questo ciò che è destinata a diventare l’Italia tra 10 anni? Siamo condannati alla “frantumazione della società italiana”? Alla “cancellazione di ogni coesione sociale”? Non è detto. Ma il rischio c’è. A delinearlo e a

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edito da Assolombarda, con prefazione del Presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, che rappresenta una sorta di manifesto sulla visione di Viale dell’Astronomia. In realtà, le 368 pagine di analisi e proposte scritte con il contributo di 10 tra i più autorevoli economisti e sociologi italiani, il coordinamento scientifico di Marcello Messori e un Comitato di garanti composto da nomi del calibro di Giuliano Amato (giudice costituzionale), Luca Bressan (vicario episcopale), Elio Franzini (Rettore dell’Università degli Studi di Milano), non suonano il de profundis per l’Italia. Anzi proprio “i punti di forza del nostro Paese” e “le capacità di reazione della popolazione”, è la chiosa del libro, permettono all’economia e alla società italiana “di accettare la sfida” di un futuro fatto di un ritorno alla crescita “nella convinzione di poterla vincere”. Ad un patto però: che in autunno venga avviato subito un piano di politica economica e sociale che contenga proposte “realistiche ma al contempo radicali”. Il libro lo definisce “un disegno strategico e sistematico” da varare subito. Come dire: la fotografia di un Paese in declino non è stata ancora sviluppata. Ci sono margini di tempo, strettissimi, per lavorare in camera oscura e cambiare l’immagine del rullino e ridare al Paese un’istantanea più coerente con le proprie potenzialità. Scrive Bonomi nella prefazione: “Ogni tentativo di perseguire soluzioni nel breve periodo attraverso bonus a tempo, interventi a margine nel sistema fiscale o nuova spesa sociale con improvvi-


FOCUS sati nuovi strumenti che si sommano confusamente alla congerie esistenti, si è rilevata un’illusione negli anni alle spalle. Ed è un’illusione ancor più temibile oggi”. Serve un piano di lungo periodo secondo il Presidente di Confindustria. Ma da dove partire? Dopo aver analizzato nei vari capitoli i temi dei processi di innovazione, della sostenibilità, gli aspetti economico-sociali dello sviluppo e gli assetti istituzionali del Paese, nelle conclusioni, Marcello Messori, indica 3 direttrici su cui l’Italia deve concentrare le risorse per tornare a crescere. La prima è il rafforzamento dell’educazione e della formazione, finalizzato ad “arricchire le risorse umane” e a sconfiggere la disoccupazione giovanile. La seconda è la ripresa degli investimenti pubblici e di quelli privati. Bando agli sprechi. Gli obiettivi devono essere pochi e mirati: recuperare il ritardo tecnologico e organizzativo del sistema produttivo, rendere più efficiente lo stato sociale. La terza direttrice è, invece, quella di una più equa redistribuzione della ricchezza, ridando centralità ai redditi da lavoro “a scapito delle posizioni di rendita”. Le risorse sono centellinate e anche quelle, storiche per consistenza e modalità di finanziamento, che arriveranno dall’Europa devono concentrarsi sull’aumento della spesa pubblica in pochi e precisi investimenti di medio-lungo periodo. Basta con le leadership politiche interessate solo a perseguire “obiettivi di brevissimo periodo che sacrificano l’interesse pubblico”. Serve investire su

punti dal basso grado di consenso politico, ma dall’elevata capacità di creare condizioni di crescita diffusa: educazione e ricerca universitaria applicata, infrastrutture materiali e immateriali, riduzione dei divari produttivi e sociali, riassestamento idrogeologico dei territori, sviluppo delle città digitali, riorganizzazione e digitalizzazione della Pubblica Amministrazione, riforma della giustizia civile. Tutti settori della società in cui negli ultimi anni “lo Stato italiano ha speso poco e/o male”. Perdendo di vista sempre e sistematicamente, tra l’altro, la vera zavorra al nostro sviluppo: l’abnorme debito pubblico. Nessuno si è mai prefissato di ridimensionarlo. Troppo impopolare. Su questo, invece, Bonomi non lascia margini di manovra: “È forte la nostra convinzione

“È forte la nostra convinzione che sia del tutto errata la volontà politica di affrontare la voragine della crisi senza darsi un’immediata ma credibile prospettiva pluriennale di riduzione del debito entro medie europee” 11


FOCUS

che sia del tutto errata la volontà politica di affrontare la voragine della crisi senza darsi un’immediata ma credibile prospettiva pluriennale di riduzione del debito entro medie europee”. Il Paese, su questo, deve darsi un orizzonte decennale ecennale fatto di “avanzi primari sostenibili”, pari al 2,5% % all’anno fra il 2023 e il 2037, per arrivare re così ad un rapporto debito/Pil del 100%, %, scendendo dunque drasticamente dai livelli che presto raggiungerà, superando do quota 160% a fine 2020. Riforma della spesa pubblica, individuaazione di vere priorità, piano di rientro del debito pubblico, ma non solo. Per evitare il declino occorre intervenire anche sul lato to delle riforme istituzionali. Qui il pensiero di Confindustria proposto da Bonomi è radidicale, è una presa di posizione a difesa della lla democrazia liberale, oggi minacciata e del ruolo dei corpi intermedi: “C’è bisogno di ciò che in questo volume viene descritto tto come ‘una democrazia negoziale’, costruita ta e radicata su una grande alleanza pubblicooprivata su cui il decisore politico non ha delega insindacabile per mandato elettorale, ma con cui esso dialoga incessantemente attraverso le rappresentanze del mondo dell’impresa, del lavoro, delle professioni, del terzo settore, della ricerca La sede di Confindustria a Roma

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e della cultura”. La “ricostruzione nazionale” passa anche da qui. Per evitare che la politica della disintermediazione “costruita su leadership personali e partiti carismatici”, come li definisce Bonomi, sfoci nel rischio che Messori delinea nelle conclusioni dell dello “sbocco finale a qualche forma di populismo autoritario” e la conseguente “canau cellazione di ogn ogni coesione sociale e la progressiva imposizione di nuove norme da rispettare senza essere discusse e condivise”. In pratica: “La frantumazione della so società italiana”. Tanti rischi, un’unica certezza: il libro “Italia 2030” un’u è solo una premessa necessaria. Il primo tassello prem che imprime una un visione, quella di Confindustria. A cui, in autunno, autunn seguirà la vera e propria presentazione di quello quell che Bonomi nello stesso libro annuncia come “un Piano strategico 2030-2050 da condividere con tutte le forze vive della società italian italiana, per definire un quadro volto a riorientare l’intero Paese verso crerior scita del lavoro, del reddito, della s produttività e dell’innovazione”. p Capace di recuperare in un paio di Ca anni an anche ciò che a livello produttivo non era stato an ancora riguadagnato dalla perdita della crisi del 2008. Ed incamminarsi così su un percorso che ci porti entro il 2030 verso un decennio di sviluppo sostenibile.


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FOCUS

La reazione del mondo al Covid-19 Da un’analisi del Centro Studi di Confindustria emerge come la risposta di politica economica dell’Italia al Coronavirus sia stata lenta e frammentata rispetto ai provvedimenti adottati da Francia, Germania e Stati Uniti solvibilità – e di salvaguardare il reddito disponibile delle famiglie

Alessia Lazzarin per sostenere la domanda aggregata. Ma l’Italia, in questo scena-

L’

Italia a confronto con gli altri Paesi? “Lenta e frammentata”. Così il Centro Studi di Confindustria (Csc) definisce la risposta del Governo italiano all’emergenza economica scoppiata con la pandemia se confrontata con quella messa in campo dalle altre cancellerie. Il blocco dell’offerta e il crollo della domanda, causati dal diffondersi del Coronavirus, hanno fatto sprofondare le imprese in una drammatica crisi di liquidità dovuta alle mancate entrate connesse alla compressione dei fatturati. A repentaglio è la sopravvivenza di intere filiere. Ma per cercare di contenere gli effetti, che si sono sparsi come una macchia d’olio, di questo shock senza precedenti, i governi nazionali hanno adottato politiche di bilancio espansive con l’obiettivo di potenziare i sistemi sanitari, preservare il tessuto produttivo – evitando che una crisi temporanea di liquidità finisca per diventare una crisi di

L’Italia ha approvato il primo provvedimento organico a carattere nazionale 23 giorni dopo aver registrato i primi 100 casi di Covid-19, mentre sono stati sufficienti 15 giorni negli Stati Uniti, 12 in Francia e 8 in Germania 14

rio “bellico”, come ha reagito? Qual è stata la risposta? E rispetto agli altri Paesi ha fatto abbastanza? Incognite a cui risponde, in modo approfondito, l’analisi svolta dal Csc. Il metro di paragone dello studio vede protagonisti Stati Uniti, Germania e Francia. I provvedimenti accolti si distinguono in due macrocategorie. Da una parte sono state attuate misure di impulso fiscale, quelle che i beneficiari non dovranno rimborsare. E dall’altra parte misure per la liquidità che vanno, invece, ripagate. Tra le “azioni cura” rivolte alle aziende, il valore che i governi dei Paesi Ue hanno notificato alla Commissione europea nell’ambito del regime temporaneo sugli aiuti di Stato è il seguente: in Germania è stimabile in 28,9 punti di Pil 2019, in Italia in 16,9 punti e in Francia in 13,7 punti. “Le differenze nel valore delle misure adottate, nella tipologia delle stesse e nei tempi di implementazione, rispetto all’intensità della crisi subita, comporteranno una diversa capacità e rapidità dei Paesi di ripresa – afferma il Csc – con ovvie ripercussioni sui livelli di crescita che tenderanno a divergere con interventi differenziati tra i Paesi membri per sostenere le imprese. Per questo, non si può prescindere da un’azione consistente portata avanti a livello europeo, l’unica in grado di attenuare eventuali squilibri tra Paesi”.

La risposta dell’Italia Burocrazia lenta e complessa. Ritardi cronici. Sono queste le criticità con cui ha dovuto combattere il Paese durante tutto il periodo di emergenza sociosanitaria. “I tempi di adozione e implementazione delle misure ‘salva Italia’ sono stati lenti e hanno gravato pesantemente sulla buona riuscita delle azioni ipotizzate”. Il ritardo italiano non ha competitors, è ampio rispetto agli altri Paesi. “Il Governo – spiega il Centro Studi di Confindustria – ha approvato il primo provvedimento organico a carattere nazionale


FOCUS

Palazzo Chigi a Roma

Il governo tedesco ha approvato un ambizioso piano di rilancio dell’economia da 130 miliardi. Tra i punti, un piano di sviluppo per la modernizzazione e la digitalizzazione della Germania 23 giorni dopo aver registrato i primi 100 casi di Covid-19, mentre sono stati sufficienti 15 giorni negli Stati Uniti, 12 in Francia e 8 in Germania per la medesima reazione. Ciò è dovuto alla difficoltà politica di trovare un accordo tra le forze della maggioranza, ma anche all’enorme complessità dei provvedimenti legislativi che si adottano in Italia”. Tanto per fare un esempio, il “Decreto Legge Rilancio” è composto da 266 articoli e richiede 90 provvedimenti attuativi. Questa complessità, unita alle difficoltà operative della Pubblica Amministrazione conferma, anche in queste circostanze, il ritardo incurabile nell’implementazione delle misure. Il Fondo di Garanzia ha permesso di stanziare, in 3 mesi, quasi 34 miliardi di euro (a quasi 63mila beneficiari). Una somma che non può minimamente competere con le proposte del governo ame-

ricano che in 2 mesi ha erogato 512 miliardi di dollari di prestiti (a oltre 4,5 milioni di beneficiari). Numeri così commentati dagli economisti di Confindustria: “La difficoltà nella trasmissione al sistema economico delle decisioni politiche rappresenta un grande ostacolo allo sviluppo del Paese, che richiede di essere affrontato con interventi straordinari”.

La risposta della Francia Di tutt’altro impatto è stato il piano d’attacco francese. Oltre a fisco e liquidità, rilevante importanza è stata data anche alla sanità e, più in generale, agli aspetti sociali. L’istituzione di Fondi di Garanzia ha permesso di snellire gli aspetti più macchinosi e burocratici, per garantire una risposta pronta ed efficiente. Tra le diverse strategie, la creazione di un fondo di solidarietà di circa 7 miliardi di euro costituito da Stato, Regioni e compagnie assicurative, destinato alle piccole imprese (fino a 10 dipendenti) e ai lavoratori autonomi che potranno ottenere un sussidio fino a 1.500 euro. La creazione di un fondo di 4 miliardi di euro per il potenziamento del sistema sanitario nazionale. Un fondo di 8 miliardi dedicato al settore automotive per incentivare il rinnovo del parco veicolare in chiave ecologica e per la modernizzazione e digitalizzazione dei processi produttivi. Il rinvio e la temporale sospensione del versamento dei contributi e dell’Iva per gli imprenditori sono stati concreti aiuti per smorzare il soffocamento fiscale in un momento di liquidità che potremmo definire “piatto”. 15


FOCUS

La risposta della Germania Il governo tedesco ha previsto lo stanziamento più consistente della storia della Repubblica federale. Al centro dell’azione: l’economia del Paese. Le imprese hanno rappresentato il perno intorno al quale muovere la strategia di ripresa. Facilitazioni per gli ammortizzatori sociali, tutele ai lavoratori ma anche agli imprenditori attraverso liquidità erogata direttamente dal governo, come nel caso dell’agenzia federale del lavoro, la Bundesagentur für Arbeit, che ha pagato per intero i contributi sociali dovuti dal datore di lavoro che utilizza il Kurzarbeit (normalmente il datore paga l’80% dei contributi). Inoltre, il governo tedesco ha approvato un ulteriore ambizioso piano di rilancio dell’economia da 130 miliardi. Tra i punti, un piano di sviluppo per la modernizzazione e la digitalizzazione della Germania. Partendo, per esempio, da una base di 5 miliardi per costruire una rete 5G nazionale.

La risposta degli Stati Uniti “Families First Coronavirus Response Act” e Cares (Coronavirus Aid, Relief, and Economic Security Act): le risposte da parte degli Usa al Coronavirus prendono questi nomi. Il primo strumento pre-

vede lo stanziamento di circa 108 miliardi di dollari, in particolare per l’ampliamento del congedo per malattia (propria o dei familiari) ed è rivolto sia ai dipendenti delle imprese con meno di 500 dipendenti, sia per congedi per assistere familiari malati che può durare fino a 12 settimane. Il secondo provvedimento si concentra, tra le varie proposte, su rimborsi fiscali a favore di persone fisiche e sulla creazione di un pacchetto molto ampio, di circa 150 miliardi, di aiuti agli stati federali. Giusto per citarne un paio, data la complessità e strutturazione del Cares.

Le conclusioni del Csc Quello svolto dagli economisti di Confindustria è, dunque, un confronto fatto sulle diverse strategie di attacco delle cancellerie che mette in luce quanto sarebbe stato utile, funzionale e importante adottare un’unica azione consistente, portata avanti a livello europeo e internazionale. “La mancata coesione in tal senso – è la chiosa del Centro Studi – non ha fatto altro che rimarcare lo squilibrio tra i Paesi colpiti dall’emergenza. Aumentando quindi, anche i tempi di rinascita sociale ed economica di un sistema mondiale colpito nel profondo”.

La sala stampa della White House a Washington

Il Bundestag a Berlino

Palais de l’Élysée a Parigi

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“È il momento di riforme storiche” Di fronte alle forti preoccupazioni degli industriali varesini per la tenuta sociale del territorio e del Paese, il Presidente di Univa, Roberto Grassi, auspica “una forte proposta comune ConfindustriaSindacati” e investimenti delle risorse europee in poche ma strategiche voci: “Scuola, digitalizzazione, Pubblica Amministrazione, infrastrutture, sostenibilità, formazione” dare al mondo intero un’immagine diversa dell’Italia. Basta con

Davide Cionfrini un consenso politico di breve periodo raccolto con incentivi a

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iù che l’autunno caldo temiamo quello freddo dal lato degli ordinativi, ad oggi del tutto congelati”. È in un gioco di parole che il Presidente dell’Unione degli Industriali della Provincia di Varese, Roberto Grassi, riassume le preoccupazioni delle imprese per la ripresa delle attività dopo la pausa estiva: “Purtroppo l’estate non è andata come speravamo. È vero che si sono registrati dei miglioramenti sul lato dell’utilizzo degli impianti e un aumento del consumo di energia da parte delle imprese. Segnali, però, che non colmano il crollo subito dall’arresto produttivo del lockdown, con un gap che si aggiunge a livelli che, comunque, anche prima dello scoppio della pandemia, erano ancora al di sotto di quelli pre-crisi del 2008. Aggiungiamo crisi a crisi e ogni volta riusciamo a rialzare la testa giusto per respirare, perdendo comunque un pezzettino della nostra competitività. Solo che questa volta i rischi di tenuta sociale del Paese e del territorio sono altissimi”.

Quale sono le leve su cui fare forza per uscire dalla crisi? O, se preferisce, quali i gradini da risalire per tornare a crescere? L’obiettivo deve essere quello di cambiare il Paese investendo sul futuro e rimuovendo una volta per tutte i freni strutturali al nostro sviluppo. Ci sono ingenti risorse europee a disposizione. Storiche e senza precedenti. Utilizziamole tutte. Servono per ripensarci e 18

pioggia, polverizzati per fare contenti un po’ tutti. Concentriamo le risorse su pochi ma precisi driver di sviluppo in grado di guardare alle prossime generazioni: scuola e formazione, digitalizzazione di imprese e città, riforma della Pubblica Amministrazione, investimenti infrastrutturali (per noi Malpensa, Malpensa e ancora Malpensa!), efficienza energetica, incentivi alla sostenibilità sociale ed ambientale”. Più nel concreto quali sono gli interventi che Univa ritiene strategici? Occorre prevedere un piano di riduzione del cuneo fiscale per abbattere il costo del lavoro alle imprese e aumentare il reddito dei lavoratori. Bisogna sbloccare i cantieri per realizzare quelle Roberto Grassi infrastrutture strategiche attese da anni. Serve rendere strutturale il Piano Industria 4.0 per traghettare fuori dal guado le imprese che hanno avviato il proprio percorso di piena maturazione digitale. Dobbiamo ritenere prioritario anche un piano nazionale di intervento per l’ammodernamento dell’edilizia scolastica di cui oggi, mai come prima, sentiamo la necessità, al fianco di investimenti per l’innovazione della didattica. Bisogna poi guardare all’Europa con fiducia e sapendo coglierne le opportunità, non solo sul fronte del Mes e del Recovery Fund, ma anche di quel Green Deal lanciato dalla Commissione Ue che offre importanti risorse e opportunità alle imprese e alla loro riconversione verso un’economia sostenibile. Tema dirimente, di cui si è persa ogni traccia nel dibattito politico, così come non si fa mai incredibilmente accenno alla gestione del nostro debito pubblico.


Su questo qual è la posizione degli industriali varesini e del Sistema Confindustria in generale? Bisogna lavorare per la sostenibilità di lungo periodo del nostro debito pubblico che, anche a causa delle politiche resesi necessarie per affrontare questa emergenza, rischia di andare fuori controllo. Occorre anche in questo caso avere una visione di lungo periodo e saper guardare alle future generazioni. È ciò che fanno gli statisti d’altronde. Serve dunque una risposta forte all’esigenza atavica di un efficientamento nell’allocazione delle risorse anche a parità di spesa pubblica che deve essere concentrata su quelle voci in grado di innescare una crescita sostenuta con conseguente aumento del prodotto interno e, dunque, un miglioramento del rapporto debito/Pil. Non è vero che occorre spendere di più per essere più competitivi e per aiutare la ripresa. Molto può essere fatto a saldi invariati e lavorando a quelle riforme a costo zero che chiediamo da tempo: come per esempio sui fronti della riforma della Pubblica Amministrazione e liberando risorse con semplificazioni e una seria sburocratizzazione del contesto in cui si muovono le imprese. In questa visione, che ruolo possono rivestire le parti sociali come le associazioni datoriali e i sindacati? Come parte sociale siamo chiamati a giocare il nostro ruolo: come Univa crediamo sia necessario continuare il confronto con le organizzazioni sindacali per integrare il Patto per la Fabbrica, condividendo linee di intervento su temi di interesse comune che possano essere proposte, recepite e trasformate in azioni politiche da chi ha

La situazione occupazionale è il vero nervo scoperto su cui si concentrano i maggiori timori in termini di perdita di posti di lavoro. E rimarrà tale se non si interviene in maniera diversa sul mercato del lavoro. Non bastano gli strumenti di sostegno al reddito. Bisogna invertire il trend occupazionale e sostenerlo reintroducendo maggiore flessibilità ripristinando anche i vecchi meccanismi dei contratti a termine cancellati dal Decreto Dignità e riorientando le risorse dagli ammortizzatori sociali verso le politiche attive del lavoro su cui stiamo investendo troppo poco. Abbiamo bisogno di porre la formazione al centro della creazione di quelle competenze strategiche per la crescita delle imprese, oggi in gran parte mancanti anche tra quei tanti giovani alla ricerca di un’occupazione. È così che si difende il lavoro, dandogli valore e dignità, quella vera, non quella che passa attraverso un assistenzialismo incapace di garantire un futuro alle persone.

FOCUS

“L’obiettivo deve essere quello di cambiare il Paese investendo sul futuro e rimuovendo una volta per tutte i freni strutturali al nostro sviluppo. Ci sono ingenti risorse europee a disposizione. Storiche e senza precedenti. Utilizziamole. Servono per ripensarci e dare al mondo intero un’immagine diversa dell’Italia”

il compito di governare il Paese, valorizzando così l’importanza dei corpi intermedi. Come in altre fasi critiche della sua storia l’Italia ha bisogno di una forte proposta comune Confindustria-Sindacati.

Come saranno i prossimi mesi per l’industria varesina? Ci aspetta una fase difficile in cui a dettare il ritmo della ripresa produttiva sarà ancora l’andamento dei contagi. Non mi riferisco solo all’Italia e al consumo interno. La pandemia che ancora perversa nel mondo è un freno alla nostra capacità di esportazione su cui si poggia il 50% dei fatturati della nostra manifattura. Non fatturiamo perché non produciamo. Non produciamo perché non ci sono ordini. Non ci sono ordini perché il commercio internazionale, già messo a dura prova da una miope visione protezionistica, è fermo a causa di un mondo ancora letteralmente malato. Crede veramente che il SistemaPaese abbia in sé capacità di ripresa e di cambiare pelle? Quando tutto sarà finito sul lato sanitario, torneremo a crescere, ma i tassi con cui lo faremo dipenderanno da quanto investiremo su quei fattori che incidono sul nostro punto debole da anni: la produttività. Tutti dobbiamo diventare più efficienti e più produttivi se vogliamo difendere e creare nuovo lavoro: questo deve essere l’obiettivo. Tutti, politica e sistema istituzionale e amministrativo compreso. Poco valgono i tentativi di predire il futuro. Più che preoccuparci di definire il prossimo autunno con previsioni economiche ad alto rischio di smentita, dovremmo lavorare perché sia una stagione di grandi e storiche riforme. È di questo che abbiamo bisogno.

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FOCUS

Le opportunità (e i rischi) del Green Deal europeo Mes, Recovery Fund, Quantitative Easing, ma non solo. L’Italia non deve perdere di vista anche l’occasione offerta dai 1.000 miliardi di fondi che la Ue metterà in campo nei prossimi anni per la transizione del continente verso un’economia sostenibile gli obiettivi dell’Europa verso la riduzione dell’impatto umano

Davide Cionfrini sull’ambiente”.

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es o non Mes? Che tipo di Recovery Fund, per quali somme e a quali condizioni? Per quanto il Paese potrà ancora contare sulla coperta al proprio debito pubblico garantita dal Quantitative Easing? In estate il dibattito politico italiano sui fondi europei a disposizione per la ripartenza si è concentrato su questi nomi e sigle, perdendo di vista un’altra importante opportunità per gli investimenti del futuro economico e industriale: quel Green Deal presentato dalla nuova Commissione Ue il giorno dopo il proprio insediamento. Un documento di programmazione di risorse messe a disposizione dell’innovazione del sistema economico europeo, di cui poco si conosce a livello di opinione pubblica italiana. “Il Green Deal – spiega il varesino Matteo Borsani, Direttore della Delegazione di Confindustria presso l’Unione Europea – è il faro della Commissione guidata da Ursula von der Leyen, che ha improntato fin da subito la propria azione politica sui temi della sostenibilità. I nuovi commissari, in particolar modo il Vicepresidente olandese Frans Timmermans, stanno mostrando grande sensibilità per orientare

Quali sono i tempi di applicazione del Green Deal europeo? La scadenza del Green Deal è soprattutto una: la neutralità climatica al 2050. L’obiettivo è chiaro a tutti ed è stato deciso nel 2015, con lo storico accordo di Parigi sul clima. Siamo tutti concordi sulla necessità di rallentare e fermare il cambiamento climatico. Non abbiamo ancora trovato una strada da percorrere a livello globale. L’Ue sta sceLa sede della Commissione gliendo in questi mesi UE a Bruxelles cosa fare. Nel gennaio di quest’anno, poco prima che scoppiasse la crisi Covid-19, la Commissione europea ha presentato un Piano d’investimenti per il Green Deal, con l’obiettivo di mobilitare almeno 1.000 miliardi di euro d’investimenti nel periodo 2021-2030. Poi tutto è cambiato. Il 27 maggio la Presidente von der Leyen ha presentato due nuove proposte: il rafforzamento del Quadro Finanziario Pluriennale 2021-27 e uno strumento temporaneo di emergenza, il “Next Generation EU” (che comprende il “recovery plan”) da 750 miliardi di euro, in buona parte sussidi a fondo perduto e prestiti agli Stati membri. È una grande sfida per l’Europa e per tutti noi: la ricostruzione dell’economia europea dovrà necessariamente passare per i nostri settori strategici e per quelli più colpiti dall’emergenza. 21


FOCUS

La “green transition” è uno dei concetti chiave del discorso della Presidente von der Leyen ed è stato proposto di destinare almeno il 30% del budget europeo alla transizione climatica. Il Green Deal, insieme al Recovery Plan, occuperà tutta la legislatura europea e nei prossimi mesi proseguiranno le proposte, legislative e non, delle istituzioni europee. È un grande cantiere in corso per costruire l’economia europea del futuro. Quali sono le opportunità e i rischi del Green Deal per un Paese fortemente industriale e trasformatore come l’Italia? L’Italia ha già fatto molto in termini di sostenibilità. L’economia circolare è uno dei nostri punti di forza. Anche sull’efficienza energetica La sede del Parlamento l’Italia ha già fatto molto e siamo riEuropeo a Bruxelles usciti a raggiungere i target europei con largo anticipo sui tempi. Il Green Deal è un’occasione per proseguire questo percorso che ci ha già visto protagonisti. Le risorse finanziarie a sostegno del cambiamento climatico sono notevoli e tutto lascia pensare che le prime tranche saranno disponibili in tempi brevi. È ovvio che ogni occasione presenta anche dei rischi. Ne considero soprattutto due, uno esterno ed uno interno. Il primo è l’isolazionismo: l’Ue ha scelto di essere capofila nella lotta al cambiamento climatico e la sua forza politica ed economica le consente una scelta del genere. Tuttavia, l’Ue contribuisce solo per il 9% delle emissioni di gas serra a livello globale e senza un impegno parallelo dei nostri principali partner strategici, come Cina e Stati Uniti, la lotta europea rischia di essere inutile e controproducente, perché le nostre imprese subiranno anche una concorrenza sleale dovuta al dumping ambientale. Il secondo rischio è un approccio ideologico: il Green Deal europeo deve

Matteo Borsani, Direttore della Delegazione di Confindustria presso l’Ue: “La green transition è uno dei concetti chiave del discorso della Presidente von der Leyen ed è stato proposto di destinare almeno il 30% del budget europeo alla transizione climatica”

essere sostenuto da analisi di impatto rigorose, accompagnate da evidenze scientifiche e tenendo conto dell’impatto economico delle decisioni proposte. In altre parole, alla sostenibilità ambientale devono essere affiancate quella sociale e quella economica. Il Green Deal europeo coinvolge solo il sistema delle grandi imprese o può essere un’opportunità di ripensamento anche per le Pmi? Le esigenze delle piccole e medie imprese nell’affrontare la transizione verso la neutralità climatica sono ampiamente riflesse nell’attività di policy making in sede Ue. In particolare, la Strategia europea per le Pmi adottata dalla Commissione europea il 10 marzo è fortemente ancorata al Green Deal europeo e alle opportunità che da esso discendono. Specifiche azioni sono previste per sostenere gli investimenti in tecnologie verdi da parte delle piccole e medie imprese; tra queste, una green tech investment initiative sarà lanciata per aggregare risorse pubbliche (europee e nazionali) e private al fine di aumentare l’accesso al finanziamento azionario per le Pmi innovative e le startup che sviluppano e adottano soluzioni tecnologiche verdi. Nell’ambito del programma per R&I Horizon, dopo la pubblicazione a maggio 2020 di un bando dello European Innovation Council diretto a finanziare progetti di Pmi e startup volti a raggiungere gli obiettivi del Green Deal con un budget di 300 milioni di euro, un nuovo bando da 1 milione di euro sarà pubblicato a settembre 2020 per progetti di ricerca e innovazione collegati al Green Deal, aperto a tutte le imprese, incluse le Pmi. In parallelo, sarà perseguito il potenziamento dell’Enterprise Europe Network (EEN) attraverso l’inclusione negli sportelli della rete di Sustainability Advisors a supporto delle Pmi.

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Nella scalata verso una ritrovata capacità competitiva sui mercati, un ruolo fondamentale lo giocherà anche l’aggiornamento delle risorse umane. Una sfida per le imprese, ma anche per le società di servizi delle associazioni imprenditoriali e per i fondi interprofessionali come Fondimpresa

FOCUS

La formazione come leva di sviluppo

14.500 allievi attraverso i fondi interprofessionali Fondimpresa e

Silvia Giovannini Fondirigenti, senza contare le attività di formazione a pagamento,

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n processo che ha accelerato i tempi del cambiamento, ma che non ci ha trovati impreparati”. Marco De Battista, Presidente di Univa Servizi, la società di servizi alle imprese dell’Unione degli Industriali della Provincia di Varese, commenta così il rapido passaggio alla digitalizzazione che ha caratterizzato anche il mondo della formazione durante il periodo del lockdown. Un processo che, inevitabilmente, apre nuovi scenari anche per i mesi a venire, quelli decisivi per la ripresa economica del Paese, in cui la valorizzazione del capitale umano giocherà un ruolo determinante. “Se da una parte ci siamo dovuti velocemente adeguare alla situazione, come tutti, con rapide soluzioni che ci hanno permesso di lavorare in modalità smart, in un momento così complesso, è pur vero che la nostra società stava già vivendo un forte impulso verso il digitale. Questo ci ha permesso di rendere più rapido il percorso, per poter restare vicini alle imprese, anche da lontano. Così è stato, ma non si torna indietro: la digitalizzazione è la chiave per la ripartenza. Ora dobbiamo guardare al futuro per superare la crisi: la formazione è sicuramente uno degli strumenti più importanti per raggiungere l’obiettivo”, spiega De Battista. Un’attività, quella di Univa Servizi che, solo per dare qualche numero, nel 2019 ha gestito oltre 35.300 ore di formazione finanziata coinvolgendo

la consulenza in diversi campi (salute e sicurezza sul lavoro, ambiente, sistemi di gestione, trattamento dei dati e modelli organizzativi 231), la consulenza specialistica per l’energia, l’assistenza alle imprese per la partecipazione a bandi o l’ottenimento di voucher digitali. Grazie a quest’ultima attività, in particolare, ammontano a 148mila euro i contributi ottenuti dalle imprese. Per quanto riguarda nello specifico la formazione, sono diverse le novità messe in cantiere da Univa Servizi per venire incontro alle esigenze delle imprese. Come quelle, ad esempio, di una realtà affermata sui mercati internazionali come Vibram: “Il nostro desiderio – racconta Sara Bardelli, Responsabile delle Risorse Umane dell’azienda di Albizzate – era proprio quello di un catalogo di contenu-

Elvio Mauri, Fondimpresa: “Il valore della formazione oggi si misura in rapporto non al tempo impiegato, ma al numero di soluzioni e di risultati raggiunti” 23


FOCUS 24

ti formativi che ci permettessero di progettare percorsi su misura. Non si tratta di un bisogno sorto a causa dallo stato di emergenza in cui ci siamo trovati. Già da qualche tempo, infatti, stavamo pensando di lasciare ai singoli lavoratori la possibilità di scegliere parte della loro formazione in azienda su base volontaria. Perché ciascuno possa avere una visione più ampia possibile, quasi imprenditoriale, per promuovere le interconnessioni e l’approfondimento. È poi ovvio che le nuove esigenze legate al contesto abbiano fatto nascere innovative modalità di fruizione, come è successo anche per noi, negli ultimi mesi. Per quanto riguarda il futuro della formazione è ragionevole immaginare una situazione ibrida che veda, accanto alle modalità che favoriscono il contatto e l’empatia, quelle online con altri vantaggi”. Non esclude nessuna possibilità nemmeno Manuela Meroni, Responsabile HR della Rodolfo Comerio di Solbiate Olona: “Da noi la formazione è prassi consolidata, un sistema: lo conferma il fatto che abbiamo in azienda una sala ad hoc. Periodicamente raccogliamo i bisogni formativi e realizziamo un piano adeguato. Va da sé che, come azienda meccanica, l’attività è prevalentemente tecnica e persino mista del tipo ‘learning by doing’. Tuttavia, cerchiamo di cogliere ogni occasione. La formazione a distanza, ad esempio: già ben prima del lockdown la usavamo per i dipendenti che sono spesso in trasferta. L’importante, in generale, è che i percorsi siano sempre mirati sul contesto e sulle persone. Con questa premessa, si possono contemplare tutte le possibilità che arriveranno in futuro”. Ma con quali novità Univa Servizi si presenta in autunno alle imprese? “Il rallentamento operativo è stato un’opportunità di accelerazione notevole. Oltre che in digitalizzazione, abbiamo investito in progettualità – spiega Paolo Praderio, Responsabile dell’Area Formazione –. Due importanti novità saranno le Pillole formative online e l’E-learning. Abbiamo poi sul tavolo i piani strategici relativi agli avvisi di Fondimpresa, un progetto di circular economy con Fondirigenti, la formazione continua della Regione Lombardia e la competitività di Fondimpresa”. Proprio l’esperienza di Fondimpresa conferma come la digitalizzazione “forzata” non abbia trovato impreparate le realtà coinvolte nella formazione, che anzi hanno colto l’occasione per lavorare allo snellimento di alcuni processi. “Di questo periodo così particolare mi sento di poter sottolineare tre aspetti”, racconta Elvio Mauri, Direttore Generale di Fondimpresa, il fondo interprofessionale per la formazione continua più importante in Italia. “La prima è che abbiamo lavorato fin da subito per non far perdere opportunità alle imprese durante il lockdown: da una parte ci siamo attivati per offrire una proroga e posticipare di 6 mesi i termini stabiliti per la conclusione delle attività formative previste, dall’altra per garantire la possibilità alle aziende, già affaticate dalla situazione, la possibilità di non stornare le proprie risorse del Conto

Marco De Battista, Univa Servizi: “Non si torna indietro: la digitalizzazione è la chiave per la ripartenza. La formazione è sicuramente uno degli strumenti per superare la crisi” formazione e poterle poi usare per la programmazione futura. Da subito, poi, abbiamo deliberato la possibilità di convertire tutte le modalità classiche di aula frontale in tele-formazione in accordo con Anpal (l’Agenzia Nazionale Politiche Attive del Lavoro, ndr). La terza considerazione è di visione per il futuro. Abbiamo ereditato una formazione stile anni ‘80 molto standardizzata. Oggi non è più così e bisogna agire di conseguenza. C’è una linea di confine labile tra chi lavora e chi studia: le persone si aggiornano continuamente, e ovunque, per la propria crescita personale. Servono modalità nuove e smart, a partire dalla formazione a distanza, con pillole formative, aule virtuali, webinar interaziendali o altre soluzioni flessibili, che spazino in diverse e ampie tematiche, perché le imprese possano scegliere la forma più vicina ai propri obiettivi, anche in modalità asincrona. Ci stiamo impegnando per dare vita ad un Conto Formazione Digitale che permetta di ragionare in maniera del tutto nuova tenendo conto del fatto che oggi il valore della piattaforma si deve misurare in rapporto non al tempo impiegato, ma al numero di soluzioni e di risultati raggiunti. Questo ovviamente implica un cambio di testa ma anche della normativa: lo stiamo già perseguendo con grande serietà e obiettivi chiari insieme ad Anpal”.


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ECONOMIA

La Varese del turismo che non si ferma Il rilancio dell’attrattività varesina passa da strutture come il Palace Hotel e da progetti ambiziosi come il recupero del Grand Hotel Campo dei Fiori. Intervista a Mauro Morello, Ad del Gruppo GHP Srl che sulla vocazione turistica del territorio scommette e raddoppia Silvia Giovannini

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a situazione sanitaria ha colpito il nostro Gruppo come tutto il settore alberghiero nazionale, ma questo non ci ha fatto desistere dalla volontà di sviluppo e di investimenti nei nostri hotel, anzi...” Le parole chiarissime sono quelle di Mauro Morello, Ad del Gruppo GHP Srl, che gestisce il Grand Hotel Palace di Varese. La curiosità è legittima: in questo momento di criticità, ma anche di voglia di ripresa, l’idea di investire nel turismo in generale è interessante. E lo è ancora di più a Varese, meta di riferimento per il viaggiatore business, ma con legittime, e non sempre Il Palace Hotel a Varese

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attese, aspirazioni da meta a tutto tondo. Il recente progetto IPalazzi è la risposta esemplare a questa curiosità. Si tratta, infatti, di un’iniziativa, innovativa nella forma, che punta ad offrire alla clientela un’esperienza all’interno di strutture di altissimo profilo, gli Historic Experience Hotels di Varese, Venezia e Siena, associata ad un mix di proposte altrettanto alte, congiunte o iperlocal. Un progetto pensato prima della pandemia, che potrebbe venir messo in discussione. “Ora più che mai occorre lucidità”, spiega Morello. “Bisogna pensare al capitale umano delle aziende che è il valore da preservare. In primis, vanno messi in sicurezza i posti di lavoro, perché le aziende sono le persone che le compongono, soprattutto in settori come quello alberghiero. L’oggi è un momento che impone riflessioni, impone di essere analitici, di


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stenibile: mobilità dolce, sviluppo green e la rinascita della cremagliera di proprietà pubblica. Un’oasi a 50 chilometri da Milano e a un passo dalla Svizzera, una terrazza sulla bellezza. La sua riattivazione non può che essere di beneficio per tutte le attività del territorio, comprese quelle ricettive, ma occorre una reale unione di intenti tra pubblico e privato, a partire dalla funicolare che costituisce una infrastruttura indispensabile per raggiungere l’hotel. È ovvio che, visto il contesto e le peculiarità della struttura, gli Enti pubblici coinvolti a vario titolo dovranno impegnarsi per quanto di loro competenza, ma il nostro Gruppo, sostenuto anche da altri imprenditori internazionali del settore, è pronto ad investire ed il Campo dei Fiori con il Grand Hotel ha tutta la dignità per divenire meta e brand. Non possiamo dare oggi numeri per l’investimento, ma è ovvio che impegnerà risorse importanti per diversi anni. L’eccessiva fretta può compromettere un risultato, ma altrettanto può fare un eccessivo immobilismo”. E per quanto riguarda il sogno di una Varese meta non di solo business? “Non è un segreto che VaIl colonnato del Palace Hotel rese stia scoprendo, solo negli ultimi anni, una avere sempre presente il valore sociale del fare impresa, ma anche di vocazione al turismo leisure. Inutile negare che ci sia molto da lavoessere visionari, cercare di intuire il dopo, di capire come non demor- rare, soprattutto sul concetto di ospitalità da parte del territorio e degli dere dagli obiettivi prefissati, ben sapendo che, per raggiungerli, sarà attori, pubblici e privati, coinvolti. Quello che abbiamo notato, però, necessario lavorare per offrire un prodotto migliore alle persone che negli ultimi 3 anni da un punto privilegiato come il Palace Grand vorranno viaggiare e che sceglieranno con maggiore attenzione desti- Hotel (che nel 2019 ha avuto oltre 42.000 ospiti) è che nel periodo nazioni e location”. Per offrire un prodotto migliore, occorre dunque maggio – settembre si ha la maggiore occupazione dell’anno, con un investire. Ma come in un momento simile? “A luglio con il nostro staff pubblico rappresentato da famiglie e over 50 che scelgono la location abbiamo rivalutato le tempistiche che ci eravamo prefissati in fase per trascorrere un lungo weekend o addirittura un periodo di vacanpre-Covid – continua l’Ad –. Anche il Palace Grand Hotel sarà de- za sui laghi, nel verde, a pochi passi da Milano. Con il contributo dei stinatario di profondi interventi strutturali che ne esalteranno le qua- fondi europei, con ogni probabilità, chi sarà al governo della nazione lità che da oltre un secolo gli ospiti apprezzano. Sarà adeguato ad un avrà una capacità di fuoco per la ripartenza enorme e mai vista. Nel turismo internazionale che, però, dovrà trovare nella nostra città una caso, occorrerà che questi capitali non vadano dispersi con una dimeta all’altezza: Varese potrà e dovrà dimostrare quanto vale. Siamo stribuzione a pioggia, bensì arrivino alle imprese che creano lavoro convinti che le crisi vadano sempre affrontate con il coraggio di nuove e che le istituzioni pubbliche locali e i privati siano insieme pronti progettualità: ora il territorio, pur con le limitazioni in essere, ha come a cogliere l’opportunità con progetti di valore e d’impatto. Varese non mai l’occasione di mostrarsi. Il nostro Gruppo continuerà nel lo ha già fatto nel 2008 dimostrando di poter essere una meta per suo posizionamento con il brand IPalazzi perché siamo convinti che ciclismo e canottaggio, anche quando in pochi ci credevano: ora per competere la dimensione e l’identità saranno imprescindibili. Il deve fare un passo più grande. Se saprà sfruttare la posizione, che Palace da solo non avrebbe la forza di interlocuzione con gli operatori, la vede con il ‘suo’ hub del sud Europa al centro di un triangolo con che ha invece un Gruppo, che già oggi offre strutture ricettive interna- ai vertici brand internazionali come Como, Stresa e Milano e saprà zionali di livello anche a Venezia e Siena, che peraltro ci permettono valorizzare le peculiarità che la rendono splendida, potrà vincere la sfida anche in un momento complesso come questo. Come Grupcontaminazioni continue che accrescono il nostro know-how”. La curiosità, però, ci spinge oltre, vola in alto, letteralmente, è il caso po abbiamo lavorato seminando per 4 anni: ora è come se fosse di dirlo. Fino al Campo dei Fiori. Come si pone il tema dell’Hotel in arrivata una tremenda gelata, ma non possiamo non rimboccarci le questa visione? “Il Grand Hotel Campo dei Fiori, dal momento del maniche e riprendere a seminare nuovamente; se saremo attenti e suo acquisto, effettuato 4 anni fa come atto di responsabilità verso la non prigionieri dei vecchi schemi mentali, il raccolto arriverà e allocittà, è una delle nostre priorità”, spiega ancora Morello. “L’idea è re- ra semineremo di nuovo per uno ancora più grande”. cuperare la storia dell’edificio e del parco, per una superficie di circa ipalazzihotels.com 370mila metri quadrati di montagna, per proiettarla in un futuro so-

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ECONOMIA

Parasacchi e la bobina green 75 anni e non sentirli: l’azienda di Oggiona con Santo Stefano cambia pelle e guarda al futuro anche con un progetto di economia circolare Silvia Giovannini

La bobina si fa arredo

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a regina delle bobine. È Luisa Parasacchi, Titolare dell’omonima azienda di Oggiona con Santo Stefano a raccontarcene la storia. Un percorso che rappresenta molto bene sia il comparto che, più in generale, l’economia varesina. È, infatti, una storia di una famiglia che, dal secondo dopoguerra ad oggi, porta avanti la specializzazione di un prodotto molto particolare, la bobina industriale di plastica e continua a farlo con una costante attenzione al cambiamento. Vediamo come. Sono 75 anni quest’anno (si festeggeranno precisamente il 20 novembre 2020), che la Parasacchi Srl è un riferimento assoluto sul mercato. “Si contano sulle dita di una mano le imprese in Italia, ma anche in Europa, che producono bobine a livelli importanti. Riforniamo ogni parte del mondo per diversi settori: principalmente i nostri prodotti servono per l’avvolgimento di fili di rame, cavi elettrici, fili di acciaio, fili sintetici, tubi in gomma e tubi medicali”. Per chi non conosce il settore, di fronte a queste parole verrebbe da chiedersi: con questo livello di leadership e con un prodotto che sembrerebbe già perfetto così, come possano esserci grandi margini di innovazione per un’azienda matura. In realtà il 75esimo anniversario della Parasacchi si inserisce perfettamente in un percorso da azienda giovane, che Luisa ha di recente cambiato Parasacchi pelle, come fosse una startup. “Da un anno e mezzo abbiamo avviato una grande evoluzione”, racconta Luisa, terza generazione Parasacchi, con la consapevolezza di chi conosce bene l’azienda e, insieme, la grinta da sportiva che non si arrocca sui risultati ottenuti. “Aveva-

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mo bisogno di nuova linfa: sentivo la necessità di un salto di qualità. Grazie alla preparazione tecnica e al rigore, oltre che all’intuito, di un nuovo direttore di stabilimento (Marco Rossi) abbiamo iniziato un processo di innovazione per obiettivi. Concreti, quantificabili. Cose apparentemente semplici, rivelatesi poi geniali e capaci di generare importanti traguardi”. Gli esempi pratici non mancano: “Dal miglioramento della gestio-

L’anniversario dell’impresa si inserisce perfettamente in un percorso da realtà giovane, che ha di recente cambiato pelle, come fosse una startup: “Da un anno e mezzo abbiamo avviato una grande evoluzione”, racconta Luisa, terza generazione in azienda


La Parasacchi premiata per il passaggio generazionale

ne del parco macchine all’introduzione di nuove abitudini nelle relazioni in azienda, come il briefing del mattino che è diventato un appuntamento quotidiano, ai corsi di formazione fino ad una maggiore responsabilizzazione di tutti. Ogni persona in azienda va, infatti, valorizzata e stimolata. Questo nuovo modo di vivere l’impresa ci ha permesso di affrontare con una certa serenità anche l’emergenza Coronavirus. Noi non abbiamo mai chiuso, essendo tra i produttori di beni essenziali (Parasacchi rifornisce anche il medicale, ndr) e questo ha ovviamente implicato una serie di attenzioni. In realtà, però, ancora prima dei protocolli, ci eravamo attrezzati anticipando

ECONOMIA

regole come ad esempio la rilevazione della temperatura che poi è diventata un obbligo”. Ma la seconda vita della Parasacchi avviata a 75 anni dalla fondazione non è fatta solo di innovazione sul lato dell’organizzazione del lavoro. Coinvolge anche il prodotto: “Con un miglioramento di processi e relazioni aumenta proporzionalmente la qualità di ciò che produciamo. Ma avevamo anche un’altra precisa ambizione”, spiega l’imprenditrice. “Il prodotto è davvero migliore solo se si limitano al massimo gli scarti. In meno di un anno e mezzo siamo riusciti a ridurli dal 6/7% al 3%. Ma non solo. Abbiamo creato letteralmente un nuovo brand registrato che è perfetta sintesi di economia circolare. Ecoblack (così si chiama il marchio) è un prodotto nuovo che nasce per soddisfare due obiettivi: rispettare l’ambiente e massimizzare la redditività del cliente, perché presenta un costo inferiore rispetto alle omologhe versioni realizzate con materiali di prima scelta. La linea, infatti, è composta da bobine prodotte con materiali riciclati da prodotti post-industriali. Si tratta di scarti che arrivano in gran parte dal settore automotive, che utilizza all’origine materie molto nobili”. Una sensibilità sicuramente in linea con quella del mercato ma anche spinta da una vocazione personale: Luisa è anche nota, infatti, per aver ideato, in anticipo sui tempi della moda, una linea di arredo design, personalizzabile ed eco-friendly, dal nome Parasacchi Home che vede protagoniste proprio le bobine.

La storia della Parasacchi srl Parasacchi nasce nel ‘45 a Cavaria dall’intuito di Marcello Parasacchi, che inizia l’attività con la produzione di particolari tecnici in plastica per il settore elettrico. Il fondatore scompare prematuramente a metà degli anni ‘60 ed il figlio Franco inizia un processo di sviluppo rilevante: al reparto di stampaggio materie plastiche viene affiancato quello per la fabbricazione di mobili in acciaio. È di questi anni la costruzione di un capannone ad Oggiona. La lungimiranza dell’imprenditore lo porta ad orientare il business verso la produzione di bobine in plastica per l’avvolgimento di cavi e fili. Investe, quindi, in macchinari ed in personale, portando l’azienda ad affermarsi a livello nazionale. Grazie alla qualità dei manufatti e alla notevole credibilità acquisita, l’azienda diventa leader anche a livello internazionale. Dal 2016 è la figlia Luisa ad assumere le redini dell’impresa. Nel 2019 è finalista del premio “Di padre in figlio”, importante evento organizzato dall’Università Cattolica di Milano inerente i passaggi generazionali in azienda. Marcello Parasacchi

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FORMAZIONE

Si torna a scuola Dopo 6 mesi, la campanella ricomincia a suonare per migliaia di studenti varesini che rientrano finalmente in aula. Con quali regole e novità? La parola ai dirigenti scolastici del territorio con le autorità sanitarie. È stato definito pertanto un protocollo di

Maria Postiglione intervento con Ats Insubria che prevede l’immediato isolamen-

Giuseppe Carcano Dirigente dell’Ufficio Scolastico Territoriale di Varese Come le scuole varesine stanno affrontando la riapertura? La sfida della riapertura ha rilanciato per le scuole varesine la necessità del lavoro di rete perché mai come oggi gli istituti si devono interfacciare con tutti i portatori di interesse. Penso innanzitutto al rapporto con gli enti locali proprietari degli edifici e ai tanti tavoli di lavoro a livello comunale e provinciale in cui si sono definiti gli interventi sulle strutture per allargare le aule, moltiplicare gli ingressi, individuare nuovi spazi fisici per la Giuseppe didattica dentro e fuori gli edifici, Carcano definire gli orari dei trasporti scolastici alla luce delle limitazioni imposte anche al sistema della mobilità. Grande poi è stato l’impegno dei Collegi dei Docenti e dei Consigli d’Istituto per ridefinire le modalità di erogazione dell’offerta formativa adottando ad esempio la modulazione dell’unità oraria, la programmazione di turnazioni di classi o gruppi di allievi, l’integrazione (ma solo per il secondo ciclo di istruzione) di didattica in presenza e a distanza, la sostituzione dei banchi e delle sedie con nuovi arredi più funzionali e meno ingombranti. Quale sarà a suo avviso la difficoltà più grande? Fino a quando non sarà possibile una vaccinazione di massa, le scuole avranno il grande problema di gestire le insorgenze febbrili negli alunni che potrebbero essere dovute al Covid ma anche essere semplicemente malanni di stagione come sempre avveniva in passato e questo rende fondamentale il rapporto 30

to dell’alunno con sospetto Covid, lo screening veloce con tampone che, se sarà purtroppo positivo, porterà all’isolamento dei suoi contatti. C’è quindi il rischio serio di avere una didattica in presenza a singhiozzo e quindi fondamentale sarà la tempestività degli interventi e il tracciamento più preciso possibile dei contatti dentro e fuori la scuola, in maniera da ridurre al minimo i disagi.

Daniele Marzagalli Dirigente Scolastico Isis “Isaac Newton” di Varese Avete pensato a incrementare per il nuovo anno scolastico piattaforme e modalità di didattica a distanza? I nostri indirizzi di studio di tipo tecnologico e tecnico professionale necessitano di una funzionale erogazione didattica “in presenza”, per consentire agli studenti di svolgere in particolare le attività dei laboratori ed officine di indirizzo, che impegnano gran parte del monte ore curriculare e progettuale dei ragazzi. La “didattica a distanza” introdotta e svolta in “lockdown” ha di per sé una funzione emergenziale e temporanea, necessaria a sopperire all’impossibilità di recarsi fisicamente a scuola. Non può essere proposta a noi come modalità alternativa ed equivalente a quella “in presenza”, per cui senz’altro la ridurremo al minimo indispensabile. La nostra scuola per tradizione pluriennale svolgeva già una modalità di “formazione a distanza”. Abbiamo ormai a regime ben sperimentata la piattaforma G-Suite for education di Google, molto valida, cui tutti gli studenti e gli insegnanti sono abilitati e formati. Daniele Marzagalli

Intravede delle difficoltà per fare i tirocini nelle imprese?


Cristina Boracchi Dirigente Istituto di Istruzione Secondaria “Daniele Crespi” di Busto Arsizio Quali misure organizzative, di prevenzione e di protezione ha messo in atto? Gli esami di Stato sono stati il banco di prova di procedure di accesso e di controllo che da settembre sono su vasta scala, visto che dobbiamo gestire più di 1.300 studenti su Cristina due sedi. Le scelte operate ad Boracchi oggi per il rientro costituiscono un piano che - come credo negli altri istituti del territorio - potrebbe mutare nel tempo alla luce degli sviluppi epidemiologici, delle indicazioni ministeriali e governative, delle linee di sicurezza dettate da Ats Insubria. Ad oggi, quindi, ingressi differenziati (4) controllati con rilevazione temperatura, passaggio di badge per presenza, adesivi in ingresso e nelle aule per il controllo del distanziamento fisico e gel disinfettante in tutti gli spazi sono la base, credo comune, a tutte le scuole per un’accoglienza in sicurezza che avviene comunque in orari differenziati, vista la necessità di concordare, come è stato fatAmanda to, una tempistica di un’ora e mezza/due Ferrario fra i turni di accesso per i trasporti pubblici che, se dovranno mantenere ancora i parametri attuali, saranno tenuti a parità di mezzi ad assicurare più corse con l’igienizzazione dovuta tra una corsa e l’altra.

Come dirigente di un istituto comprensivo (primaria, secondaria) e di un istituto superiore trova delle differenze nella gestione, nella collaborazione e nella consapevolezza di studenti e famiglie? Le esigenze sono diverse e poco omologabili, dipendendo non solo dal ciclo di istruzione ma anche dalla collocazione dei plessi rispetto al centro, alle periferie, ai quartieri, ognuno dei quali ha le proprie problematicità anche in termini sociale e familiari. La consapevolezza di studenti e famiglie va comunque ancora costruita, non si può dare per scontata: uno strisciante negazionismo e la dimensione ottativa dell’adolescenza che porta a sottovalutare i rischi per sé e per gli altri non sono infatti funzionali al rientro in sicurezza. Pure, le problematiche sono per il primo ciclo molto più evidenti: la creazione di gruppi classe più esigui per numero comporta la necessità di avere più organico, visto che nelle scuole dell’infanzia e del primo ciclo è prevista la didattica in presenza per tutti.

FORMAZIONE

Sono ottimista. I Dpcm e le Ordinanze regionali emergenziali hanno sospeso fino al 14 giugno 2020 lo svolgimento “in presenza” dei tirocini ordinari, con l’unica deroga per quelli di Regione Lombardia art. 43, che però per l’Istituto Superiore “Newton” di Varese erano molto pochi e legati alle modalità di servizio delle aziende dove i ragazzi lavoravano; sono stati regolarmente conclusi. Per le classi Iefp in parecchi casi abbiamo sopperito con project works. Dalla metà di giugno la nostra scuola ha ripreso le esperienze di tirocinio volontario estivo, per gli studenti interessati. Dal mese di settembre dovrebbero riprendere l’organizzazione e lo svolgimento ordinari dei percorsi di tirocinio Pcto e dei progetti didattici collegati, per tutte le classi Ipsia e Iefp a partire dalla seconda e per le classi del triennio dell’Itis. Per esperienza non prevedo particolari problematiche in merito, attenendoci scrupolosamente ai protocolli sanitari.

Amanda Ferrario Dirigente Ite “Enrico Tosi” di Busto Arsizio Quale è a suo avviso l’aspetto più innovativo previsto dalle linee guida? A mio avviso le linee guida ci danno la possibilità di usare appieno l’autonomia, progettando curricoli innovativi e adatti al contesto di riferimento dell’istituto. Innovare significa osare. Dare più competenze che guardino al mondo del lavoro e dell’università, più lingue, più capacità di risolvere i problemi di analisi e sintesi, di lavorare in gruppo e saper fare squadra. È il momento di introdurre nuove metodologie e personalizzare i percorsi di apprendimento. Come avete gestito spazi e tempi del rientro? Abbiamo abbattuto pareti divisorie tra un’aula e l’altra creando ambienti di apprendimento innovativi e duttili, divisi da pareti mobili che, all’occorrenza, possono essere aperte e chiusi per rimodulare gli spazi. Abbiamo acquistato nuovi arredi, sedute ergonomiche e banchi di nuova generazione. Faremo scienze motorie all’aperto introducendo, ad esempio, nuove discipline quale il nordic walking. Sfrutteremo gli spazi all’aperto e useremo una didattica mista. Una parte in presenza e l’altra a distanza. Le tecnologie e le metodologie all’avanguardia del Tosi ci permetteranno di mantenere altissima la qualità e i livelli di apprendimento, rimodulando modi e tempi delle lezioni.

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UNIVERSITÀ

La ripresa dell’industria lombarda sarà piu rapida

Le imprese della Lombardia reagiranno alla crisi economica innescata dalla pandemia prima e più di quelle di altre aree del Paese. A spiegare il perché sono le stime dei ricercatori della LIUC – Università Cattaneo, che commentano e inquadrano a livello territoriale uno studio dell’Istat Chiara Mazzetti

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e imprese italiane come hanno affrontato e come stanno tutt’ora affrontando la pandemia da Covid-19 che ha così duramente colpito il sistema economico del nostro Paese? Qual è l’impatto finanziario e occupazionale che il Coronavirus ha avuto sul mondo industriale italico? A dare risposta a questi e a molti altri quesiti è un’analisi condotta dall’Istat rinominata “Situazione e prospettive delle imprese nell’emergenza sanitaria Covid-19”. Un titolo che è tutto un programma. La rilevazione, divisa per regioni e

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macro-aggregati territoriali, ha lo scopo di tracciare il quadro delle misure introdotte dalle imprese per superare la crisi sociosanitaria. Serve inoltre a tratteggiare la loro visione strategica e a valutarne il grado di fiducia nelle prospettive di ripartenza della domanda e del ciclo economico globale. Ciascun territorio è stato, perciò, analizzato in termini di adattamento e resilienza, stimando quanto il Covid abbia impattato sulle aspettative di sviluppo dei diversi tessuti produttivi regionali. “Analisi di questo tipo sono importanti per delineare le dinamiche di transizione del sistema economico nel breve periodo e consentire ai responsabili delle politiche di intervenire per riorientarle laddove necessario. Possono anche rappresentare un valido strumento di benchmarking per


I dati dell’analisi Istat Dall’analisi Istat emerge che nella fase 1 dell’emergenza sanitaria (tra il 9 marzo e il 4 maggio) il 45% delle imprese italiane con 3 e più addetti (458mila, equivalenti al 27,5% degli addetti per il 18% del fatturato) ha sospeso l’attività. Oltre la metà delle aziende prevede una mancanza di liquidità per far fronte alle spese che si presenteranno fino alla fine del 2020. Il 38% segnala rischi operativi e di sostenibilità della propria attività e il 42,8% ha richiesto il sostegno per liquidità e credito. Le principali opzioni adottate per fronteggiare la crisi sono riorganizzazione di spazi e processi (23,2% delle imprese) e modifica o ampliamento dei metodi di fornitura dei prodotti/servizi (13,6%). A livello settoriale, sono soprattutto le imprese delle costruzioni e dei servizi ad aver sospeso l’attività, rispettivamente il 58,9% e il 53,3%. Oltre il 70% delle imprese dichiara una riduzione del fatturato nel bimestre marzoaprile 2020 rispetto allo stesso periodo del 2019: nel 41,4% dei casi il fatturato si è più che dimezzato, nel 27,1% si è ridotto tra il 10% e il 50% e nel 3% dei casi meno del 10%. Nell’8,9% delle aziende il valore del fatturato è invece rimasto stabile.

La Lombardia e l’internazionalizzazione Un quadro, quello delineato dall’Istituto nazionale di statistica, in cui la regione Lombardia e le sue imprese emergono come le maggiormente colpite dalla pandemia. Massimiliano Serati, Professore Associato di Politica Economica della LIUC, chiarisce le molteplici dinamiche innescate dalla crisi a livello locale. “L’analisi Istat evidenzia come la differente esposizione ai mercati internazionali possa giocare un ruolo decisivo in questa fase e ci restituisce un quadro del diverso approccio alla globalizzazione dei sistemi produttivi settentrionali, con il Nord-Est più preoccupato dai possibili contraccolpi sulla domanda estera e il Nord-Ovest concentrato sugli effetti della trasformazione delle catene del valore internazionali. In particolare, si distinguono le evidenze raccolte per la Lombardia, i cui imprenditori si mostrano convinti che l’impatto portato dalla riduzione della domanda proveniente dall’estero risulterà moderato, mentre appaiono i più preoccupati dalla contrazione dei mercati di approvvigionamento e dal conseguente aumento dei costi degli input”.

Adattamento e resilienza Secondo Fausto Pacicco, ricercatore LIUC, la strategia delle imprese lombarde sembra orientata ad un trasferimento di risorse dalle funzioni di produzione alle funzioni di vendita. “Con particolare focus sull’ampliamento e il rinnovamento della rete di fornitura, che si accompagna ad una rimodulazione al ribasso degli ordinativi di materie prime e semilavorati. Infatti, il 14,2% degli imprenditori lombardi si dichiara intenzionato a modificare o ampliare i canali di vendita o i metodi di fornitura/consegna dei prodotti o servizi

La LIUC riparte dagli investimenti “Dietro la ripresa delle lezioni c’è un lavoro meticoloso, svolto in condizioni di forte incertezza dal professor Ravarini, dal gruppo Nuova Didattica e dal learning and teaching hub della LIUC. Abbiamo lavorato tutta l’estate, simulando la capacità ricettiva delle aule: attualmente siamo attorno alle 1.500 presenze, rispettando normative e distanziamenti, per una capacità produttiva di circa il 50%”, spiega il Rettore della LIUC – Università Cattaneo, Federico Visconti. Ma non di sola Amuchina e di scanner vive un ateneo. È necessario spostare l’attenzione sulla didattica: “Che sarà in presenza, ma anche a distanza, con modalità innovative, ci saranno video a supporto delle lezioni, esercitazioni online – precisa Visconti –. Al centro dell’attenzione c’è e ci sarà sempre il tempo dello studente. Siamo stati stimolati ad innovare i metodi: tutti i docenti, me compreso, sono stati sollecitati a modelli innovativi. La vera sfida è un ateneo che cambia alla ricerca di un nuovo equilibrio di medio periodo”. Ma per innovare, si sa, servono i fondi: “Abbiamo deliberato un piano di investimenti per tecnologie a supporto delle aule, come telecamere e app per la rilevazione delle presenze. È stata un’occasione per rimettere in fila l’importanza degli investimenti nelle infrastrutture”, conclude il Rettore LIUC.

UNIVERSITÀ

imprenditori e manager, dando loro modo di confrontare il proprio orientamento strategico con quello del sistema produttivo cui appartengono”, commenta Federico Visconti, Rettore della LIUC – Università Cattaneo e recentemente nominato membro del Consiglio dell’Istat, che insieme ai professori e i ricercatori dell’Ateneo di Castellanza ha inquadrato a livello territoriale lo studio.

(contro una media del 13,7% nel Nord-Ovest e 13,6% in Italia). L’8,7%, invece, punta sulla modifica della quantità di ordini di fattori di input (8,1% la media nel Nord-Ovest, del 7,6% in Italia)”. A ulteriore dimostrazione delle capacità di adattamento e resilienza agli shock negativi dell’economia lombarda, c’è la quota di imprese pari al solo 8,9% che, come conseguenza dell’emergenza da Covid per il 2020, prevede di ridurre il proprio personale (contro una media Nord-Ovest del 9,3% e quella italiana ben più alta dell’11,8%). Anche la previsione della chiusura di una o più sedi operative è più bassa in Lombardia che in altre parti d’Italia: la quota regionale è dell’1,1% contro l’1,9% del Nord-Ovest e la media nazionale dell’1,6%. Morale, i dati portano alla conclusione che le ripercussioni sulla traiettoria di sviluppo delle imprese della regione Lombardia saranno più contenute che altrove. In altre parole, la ripresa dell’industria lombarda sarà più rapida.

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VITA ASSOCIATIVA

Trasformazione digitale, siamo a metà strada Il bilancio delle attività svolte in questi 3 anni dal Digital Innovation Hub Lombardia dà una fotografia del grado di digitalizzazione delle imprese del territorio e, più in generale, del Paese ca effettuata dalla Commissione Desi (The Digital Economy and

Alessia Lazzarin Society Index) e ripresa dalla rivista di Viale dell’Astronomia, mette

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e dovessimo misurare la crescita e lo sviluppo digitale delle imprese italiane su una scala da 1 a 5, dove si posizionerebbe il Paese? E rispetto all’Europa a che punto siamo? Domande la cui risposta, almeno in parte, è rintracciabile in una monografia della rivista “Politica Economica” redatta da Confindustria con focus su uno dei dibattiti che, dopo la crisi sociosanitaria da Covid-19, ha mosso l’opinione pubblica: la trasformazione digitale. Una ricer-

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a confronto i paesi dell’Unione Europea con Stati Uniti e Cina, considerati i principali colossi della digitalizzazione. L’Italia, secondo i dati emersi dall’analisi, può essere ritenuta a tutti gli effetti il fanalino di coda. Sono troppi e notevoli i ritardi verso la modernizzazione. Per il Desi, infatti, il Paese si colloca al ventiquattresimo posto in Europa, posizione praticamente invariata dal 2014. Le tecnologie digitali rappresentano lo snodo e la leva attorno ai quali stanno ruotando tutti i principali filoni evolutivi. La stagnazione produttiva, che ha colpito e tutt’ora colpisce l’Italia, è il segnale che è arrivato


il momento di una svolta. E una soluzione c’è. Il processo di digitalizzazione delle imprese manifatturiere può essere la giusta strada per rilanciare l’economia italiana e ridurre il gap rispetto all’Europa. Ma c’è un divario da colmare. Dal lato dell’offerta il ritardo italiano è riconducibile alla minore copertura della rete fissa, in particolare di quella ultraveloce, solo in parte compensata da quella mobile. Dal lato della domanda, invece, pesano la struttura frammentata del settore produttivo, le scarse competenze digitali della popolazione e delle pubbliche amministrazioni. Per animare ed alimentare il processo che favorisce l’adozione e la promozione di tecnologie avanzate in un’ottica “4.0”, sono stati istituiti i Digital Innovation Hub. Centri costruiti per il territorio, che, grazie all’appoggio del Sistema Confindustria, nelle sue varie declinazioni locali e di categoria, aiutano le Pmi a cercare nuove porte d’accesso all’innovazione. Nati per necessità, anche secondo le richieste presentate nel “Piano Industria 4.0” istituito nel 2017, i “Dih”, per definizione, fanno da collante tra imprese e ricerca. Le aziende che si appoggiano ai “Digital Hub”, sono coinvolte e accompagnate nella relazione con università, centri di ricerca e di eccellenza. In questo modo i Dih si pongono come asset strategici per la crescita e lo sviluppo, in termini economici e industriali. È in questa rete che si inserisce il Digital Innovation Hub Lombardia, l’hub regionale dei servizi legati all’industria 4.0, creato da Confindustria Lombardia, insieme alle Associazioni industriali territoriali lombarde e che, per quanto riguarda la provincia di Varese, opera a livello locale per il tramite dell’Area Digitale dell’Unione Industriali varesina e di Univa Servizi. “È importante riconoscere l’identità dell’ecosistema in cui ci troviamo, innovativo e digitale”, afferma il Presidente del Dih lombardo Gianluigi Viscardi. Questo concetto è “indipendente dalle dimensioni o dalla Industry di appartenenza. Per lavorare bene e nel modo giusto, sarà fondamentale una piena collaborazione, ad ogni livello, con la rete dei Competence Center, con i Cluster tecnologici regionali, le università, Regione Lombardia, solo per citarne alcuni”. A seguito di tutte queste considerazioni, è arrivato il momento di rispondere, con numeri alla mano, alla domanda che ci siamo posti all’inizio. L’Italia come si colloca rispetto a questo processo evolutivo? Secondo le ricerche di Confindustria e prendendo in considerazione l’intero territorio nazionale “sono più di 700 le aziende la cui maturazione digitale è stata misurata in valori numerici dai Dih regionali”. Concentrandosi solo sullo spaccato lombardo

VITA ASSOCIATIVA

“su un metro di valutazione che va da 0 a 5, dove 0 è il livello più basso, mentre 5 esprime la piena maturità digitale di una impresa – si legge nella ricerca – la capacità delle aziende, fino ad oggi passate al vaglio del Dih Lombardia, di essere delle smart factory si ferma ad una media di 2,7”. Un risultato che dimostra da un lato il successo del Dih Lombardo a 3 anni dalla sua fondazione, ma dall’altro rappresenta una spinta per fare ancora meglio. A livello di singoli settori, quello più avanzato (e quindi con voti abbondantemente superiori al 3) riguarda la filiera dell’automotive, dell’industria gomma e materie plastiche, dell’industria elettronica, elettrica ed ottica. Tra i settori più indietro sembrano, invece, esserci l’industria petrolchimica e del carbone e quella dei materiali da costruzione. Ampi margini di miglioramento si riscontrano invece nell’industria tessile, dell’abbigliamento e prodotti in pelle. Un altro strumento di valutazione del livello di digitalizzazione è dato “dal modello ‘tailor-made’ a disposizione di ogni singola impresa – continua Viscardi – che, partendo dal livello di maturità dell’azienda, suggerisce la definizione di una roadmap di implementazione che prende in considerazione non solo il contesto della singola azienda, ma anche i trend di settore a cui l’impresa appartiene”. Con la roadmap, il Dih Lombardia è “in grado di accompagnare successivamente le imprese ai Competence Center, con la possibilità di progettare attività specialistiche”, chiosa il Presidente Viscardi. A queste iniziative bisogna poi aggiungere le missioni all’estero tramite le TechMission organizzate per conto del Dih Lombardia dall’Unione degli Industriali della Provincia di Varese, come quelle svolte nel 2018 negli Usa e nel 2019 in Cina. Dare una nuova e spiccata identità all’ecosistema in cui viviamo, utilizzando la trasformazione digitale come strumento per creare opportunità di networking tra impese e territorio, in una visione 4.0. È questo l’obiettivo di medio-lungo periodo a cui l’Italia deve ambire, per superare la soglia del “livello 2,7” e raggiungere, se non superare, quella del “livello 5”. Il guanto di sfida del Dih Lombardia è lanciato.

La capacità delle aziende, fino ad oggi passate al vaglio del Dih Lombardia, di essere delle smart factory si ferma ad un voto medio di 2,7, su una scala massima di 5. I settori più avanzati risultano essere automotive, gomma e materie plastiche, elettronica 35


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Come nasce una filiera al servizio del Paese In un’infografica dell’Ufficio Studi Univa il racconto di come in provincia di Varese l’industria tessile (e non solo) si sia riconvertita alla produzione di mascherine e Dpi per affrontare l’emergenza Covid-19. Con una capacità di reazione senza precedenti e con pochi paragoni in Italia ture, maglifici, ricamifici), ma anche tintorie e stamperie, aziende

Cristina Di Maria produttrici di tessuto e realtà che operano per la sua nobilitazione

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eanche 6 mesi fa leggevamo su tutti i quotidiani l’appello alle aziende del capo della Protezione Civile Angelo Borrelli per produrre mascherine, in particolare chirurgiche, da destinare soprattutto agli operatori sanitari, sollecitando il “reinsediamento delle filiere sul territorio” per fronteggiare quella che il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha definito “la più grande e profonda emergenza degli ultimi 60 anni”. Così le istituzioni a tutti i livelli si sono accodate lanciando appelli alle aziende per fronteggiare la pandemia che in Europa si è manifestata duramente, per prima, proprio nel nostro Paese. L’Italia ha dunque recepito, con il Decreto “Cura Italia” del 17 marzo, anche le raccomandazioni della Commissione Europea che invitava a “garantire che l’offerta di Dpi e di dispositivi medici […] soddisfacesse la domanda […] pur senza pregiudicare un livello adeguato di protezione della salute e della sicurezza degli utilizzatori”. Abbiamo così imparato a distinguere tra mascherine chirurgiche (che l’Istituto Superiore di Sanità è stato incaricato di validare in deroga), Dpi – Dispositivi di Protezione Individuale (come le mascherine FFP2-3, che l’Inail è stata incaricata di validare in deroga) e mascherine per la collettività. In tutta Italia numerose aziende si sono dimostrate disponibili a riconvertirsi. La provincia di Varese, dalla tradizione tessile centenaria e con una notoria filiera nel settore, non è certo stata da meno: rispondendo ad una survey lanciata dall’Unione degli Industriali della Provincia di Varese a metà marzo, circa 90 imprese si sono mostrate interessate alla riconversione. Aziende appartenenti a tutta la filiera. Non solo realtà industriali che ragionevolmente potevano operare come confezionisti (tessi-

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(trattamenti e finissaggio). Non sono mancate interessanti eccezioni anche fuori dal settore tessile: un’azienda con il core business nei macchinari ha iniziato a produrre anche Tnt (utilizzato per le mascherine chirurgiche); un altro esempio ancora è quello di un’impresa che normalmente opera nel campo delle soluzioni per l’additive manufacturing e che ha riconvertito le proprie competenze per realizzare mascherine in 3D. Il fiume di idee, intraprendenza e ingegno imprenditoriale che caratterizza il tessuto industriale varesino è sfociato in un mare di idee in mesi di disperazione. Molte le realtà che hanno investito, non solo acquistando confezionatrici e macchinari per la saldatura, ma anche in ricerca, facendo ad esempio testare in laboratori privati prototipi, materiali e trattamenti innovativi. All’interno di questa filiera meritano un novero particolare le aziende che hanno riconvertito la produzione per realizzare mascherine chirurgiche, ottenendo o la marcatura CE o l’autorizzazione alla commercializzazione dall’Iss. Per queste aziende la strada non è stata in discesa: realizzare delle mascherine chirurgiche significa produrre dei dispositivi medici che rispondano a stringenti requisiti di salute e sicurezza, realizzati implementando un sistema di gestione della qualità che implica un controllo sull’intero processo di produzione per garantire che quei requisiti di sicurezza vengano sempre mantenuti su tutti i prodotti. La complessità del processo di riconversione è dimostrata anche dal fatto che dall’entrata in vigore del Decreto che derogava l’Iss per la validazione, al pieno rodaggio del sistema è passato più di un mese (lo dimostra la distribuzione temporale delle autorizzazioni rilasciate). Sta di fatto che sul territorio nel giro di poche settimane si è creata una nuova filiera produttiva. Le imprese hanno dato prova di una capacità di reazione imponente, che ha fatto di Varese la quarta provincia in Italia per numero di autorizzazioni rilasciate dall’Iss.


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SCIENZA

Perché il sapone funziona così bene sul Coronavirus? L’acqua non è molto efficace da sola nel lavare via il virus dalle mani. Prodotti a base di alcol funzionano meglio. Ma nulla batte il sapone. È a questa conclusione che si arriva dopo un viaggio tra chimica supramolecolare, nanoscienze e virologia Ian M. Mackay (*)

L’

immagine è tratta da “Fields Virology” (6th Edition), dal blog di Edward Nirenberg “SARS-CoV-2 and the lessons we have to learn from it”: il sapone dissolve la membrana grassa e il virus cade a pezzi come un castello di carte e “muore”, o meglio, dovremmo dire che diventa inattivo poiché i virus non sono realmente vivi, ma possono essere attivi al di fuori del corpo per ore, persino per giorni. Disinfettanti o liquidi, salviette, gel e creme contenenti alcol (e sapone) hanno effetti simili, ma non sono così efficaci come il normale sapone. A parte l’alcool e il sapone, gli “agenti antibatterici” di questi prodotti non influenzano molto la struttura del virus. Di conseguenza, molti prodotti antibatterici sono di fatto solo una versione costosa del sapone in termini di azione sui virus. Il sapone è il meglio, ma le salviette imbevute di alcol sono utili nelle situazioni in cui il sapone non è pratico o comodo (come per esempio reception e uffici). Ma perché esattamente il sapone è così buono nella lotta al Coronavirus? Per spiegarlo, occorre fare un viaggio attraverso la chimica supramolecolare, le nanoscienze e la virologia.

Come si comporta un virus La maggior parte dei virus è costituita da tre elementi chiave: RNA (ci sono anche virus di DNA), proteine e lipidi. L’RNA, le proteine e i lipidi si autoassemblano per formare il virus. Non ci sono forti legami “covalenti” che tengono insieme queste componenti. L’autoassemblaggio virale si basa su interazioni deboli di tipo “non covalente”. Le parti sembrano unite come un velcro, quindi è molto difficile rompere una particella virale “autoassemblata”. Tuttavia, noi possiamo farlo (per esempio, proprio

con il sapone). La maggior parte dei virus, incluso il Coronavirus, è compresa tra 50-200 nanometri, quindi si tratta effettivamente di “nanoparticelle”. Le nanoparticelle hanno interazioni complesse con le superfici su cui si trovano. Lo stesso vale per i virus. Pelle, acciaio, legno, tessuto, vernice e porcellana sono superfici molto diverse. Quando un virus invade una cellula, l’RNA del virus effettua una

(*) Dottore in Virologia e scienziato, Professore Associato all’Università del Queensland, Brisbane, Australia Traduzione di Piero Sandroni. Versione integrale su https://blog.sandroni.it

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SCIENZA sorta di “dirottamento” della macchina cellulare, esattamente come un virus informatico nel computer. E obbliga la cellula a dare origine a molte nuove copie del proprio RNA e delle proteine che compongono il virus. Queste nuove molecole di RNA e di proteine si “autoassemblano” con i lipidi (di solito presenti nella cellula) per formare nuove copie del virus. Il virus non si fotocopia da solo, ma crea copie dei blocchi che si auto-assemblano in nuovi virus. Tutti questi nuovi virus alla fine “sopraffanno” la cellula, la quale muore (esplode), rilasciando molti virus che procedono a infettare molte altre cellule. Nei polmoni, alcuni virus come Sars-CoV-2 finiscono nelle vie aeree e nelle mucose circostanti. Quando tossisci, o specialmente quando starnutisci, piccole goccioline (droplets) possono volare dalle tue vie aeree fino a 10 metri di distanza! Si pensa che i dropltes più grossi siano i principali trasportatori di Coronavirus e possano arrivare ad almeno 2 metri. Queste goccioline finiscono sulle superfici e spesso essiccano rapidamente. Ma i virus sono ancora attivi! Quel che accade da questo momento in poi è tutto fondato sulla chimica supramolecolare e su come nanoparticelle autoassemblate (come i virus) interagiscono con il loro ambiente circostante. 40

Quando la superficie è la tua pelle La pelle è una superficie ideale per un virus. La pelle è “organica” e proteine e acidi grassi delle cellule morte sulla sua superficie interagiscono con il virus attraverso legami idrogeno ed interazioni idrofiliche “grasso-simili”. Quindi, quando tocchi una superficie di acciaio sulla quale si è depositata una particella di virus, la particella si attaccherà alla tua pelle, trasferendosi così sulle tue mani. Ma – fortunatamente – non sei (ancora) infetto. Se però ti tocchi il viso, il virus potrà trasferirsi dalle tue mani al viso. Ora il virus è pericolosamente vicino alle vie respiratorie e alle mucose attorno e all’interno di occhi e bocca. Quindi il virus può entrare... e voilà! Sei infetto (a meno che il tuo sistema immunitario non uccida il virus). Quando il virus è sulle tue mani, puoi trasmetterlo stringendo la mano di qualcun altro. Con i baci è abbastanza ovvio. Ed è chiaro cosa accade se qualcuno ti starnutisce proprio in faccia. Quanto spesso ti tocchi il viso? Si è scoperto che la maggior parte delle persone tocca il viso una volta ogni 2-5 minuti! Quindi devi considerare di essere ad alto rischio ogni volta che il virus ti finisce sulle mani, a meno che tu non riesca a lavar via il virus attivo il prima possibile.


Proviamo ora a lavare via il virus con solo acqua. Potrebbe funzionare. Vi è però competizione fra i legami idrogeno dell’acqua “da sola” e le forti interazioni (legami) fra virus e pelle. Il virus è alquanto “appiccicoso” ed è molto probabile che non venga affatto asportato dall’acqua. L’acqua, quindi, da sola non basta. L’acqua contenente sapone è completamente diversa. Il sapone contiene sostanze, simili ai grassi, conosciute come sostanze anfifiliche, alcune strutturalmente molto simili ai lipidi della membrana del virus. Ecco che in questo caso le molecole di sapone “competono” con i lipidi nella membrana del virus. Di fatto è più o meno il modo in cui il sapone deterge, ovvero rimuove la normale sporcizia della pelle. Le molecole di sapone competono anche con molti altri legami non-covalenti che sono alla base dell’unione fra proteine, RNA e lipidi del virus. Il sapone è effettivamente in grado di “dissolvere” il cemento che tiene insieme il virus. E a tutto ciò si aggiunge l’acqua. Il sapone è in grado di vincere anche le interazioni tra virus e superficie della pelle. Quindi, molto rapidamente i virus si staccano dalla pelle e si sfaldano come un castello di carte, a causa dell’azione combinata di acqua e sapone. Il virus è letteralmente sparito! La pelle è piuttosto ruvida e rugosa, motivo per cui hai bisogno di una buona quantità di sfregamenti e ammollo per garantire che il sapone raggiunga tutti i meandri sulla superficie della pelle in cui potrebbero nascondersi virus attivi. (Questa è la ragione per la quale ci consigliano sempre di strofinare le mani insaponate per almeno 20 secondi: non è il tempo che il sapone impiega a demolire il virus, ma quello che impiega il sapone a giungere nella profondità delle rugosità della pelle, nelle quali il virus piccolissimo si è presumibilmente annidato,. ndt). Il sapone non è a portata di mano? L’alcol ci viene in soccorso. I prodotti a base di alcol, inclusi tutti i “disinfettanti” e i prodotti “an-

tibatterici”, contengono una soluzione alcolica ad alto contenuto di alcol, in genere il 60-80% di alcol etilico (etanolo), a volte anche con un poco di alcol isopropilico (isopropanolo), oltre ad acqua e un poco di sapone. L’etanolo e altri alcol non solo formano facilmente legami idrogeno con il virus ma, come solventi, sono più lipofili dell’acqua. Quindi l’alcol dissolve anche la membrana lipidica e interrompe altre interazioni supramolecolari nel virus. Serve però una concentrazione abbastanza elevata di alcol (dal 70 al 90%, ndt) per ottenere una rapida dissoluzione del virus. Vodka o whisky (di solito al 40% di alcol etilico) non dissolveranno il virus così rapidamente! Quasi tutti i prodotti antibatterici contengono alcol e un poco di sapone e questo aiuta a “uccidere” i virus. Alcuni includono anche agenti attivi contro i batteri. Ma questi, tuttavia, non fanno praticamente nulla al virus.

SCIENZA

Sapone distruttore di virus

Nulla batte il sapone Per riassumere, i virus possono essere quasi considerati piccole nanoparticelle di grasso. Possono rimanere attivi per molte ore sulle superfici e quindi essere raccolti nel toccare con le mani queste superfici. Dopo di che, i virus si avvicinano pericolosamente alla nostra faccia e possono infettarci perché la maggior parte di noi si tocca il viso abbastanza frequentemente. L’acqua non è molto efficace da sola nel lavare via il virus dalle mani. Prodotti a base di alcol funzionano meglio. Ma nulla batte il sapone. Chimica supramolecolare (il modo in cui le molecole interagiscono tra loro) e nanoscienza ci dicono molto su come il virus si è autoassemblato costituendo una minaccia funzionale attiva, ma anche su come possiamo battere i virus con qualcosa di molto semplice come il sapone.

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TERRITORIO

“Io e il Titanic” Con all’attivo una ventina di pubblicazioni dedicate alla vicenda del noto transatlantico britannico affondato nel 1912 durante il suo viaggio inaugurale, il gallaratese Claudio Bossi è uno dei più importanti studiosi ed esperti al mondo in materia. Ecco come è nata quella che lui stesso definisce una vera e propria “ossessione” vano gli altri su questa storia. E da allora il Titanic è diventata la

Stefania Radman mia “ossessione”, oltre che a essere oggi un lavoro vero e proprio

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laudio Bossi, gallaratese (“Più precisamente, abito ad Oggiona con Santo Stefano ma risiedo a Gallarate, dove sono nato” precisa) è una piccola autorità internazionale che la nostra provincia può vantare. Ma l’argomento di cui tratta non è uno di quelli che ci si aspetta da queste parti: non è un imprenditore, né un ciclista, né un inventore. Scrittore e storico, Bossi è uno dei più grandi esperti al mondo del Titanic, il transatlantico britannico naufragato il 15 aprile 1912 durante il suo viaggio inaugurale, a causa della collisione con un iceberg. Una passione che ha incominciato a colpirlo fin da piccolo e si è concretizzata con il ritrovamento del relitto. Finché, nel 2012, non è diventata la sua occupazione principale, che l’ha portato in giro per il mondo (il suo prossimo appuntamento internazionale è ad Atene a novembre, mentre ad ottobre sarà a Biella e a Siena) e gli ha fatto scrivere, ad oggi, una ventina di libri. “Dal primo marzo di quest’anno sono in pensione, così posso dedicarmi al Titanic a tempo pieno – spiega –. Perché di tempo ne ho bisogno parecchio, visto che tutto quello che scrivo arriva da documentazioni tratte da archivi: niente copia e incolla dal web. Quando ho cominciato a studiare il Titanic, Internet nemmeno esisteva”. Com’è nata la passione per il Titanic e quando è diventata così concreta? Ero un bambino quando vidi un film sull’argomento. Si chiamava: “Titanic, 41° Latitudine Nord”. Già allora rimasi affascinato da quella tragica vicenda. Poi quando, nel 1985, l’oceanografo Robert Ballard, che sarebbe poi diventato mio amico, scoprì il relitto, capii che ne dovevo sapere di più di quello che ne sape-

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che mi impegna a scrivere articoli, libri e tenere conferenze in ogni angolo del mondo. Perché ancora oggi la storia tragica del Titanic colpisce la fantasia e il cuore di molte persone? Se penso alle navi coeve del Titanic e non faccio l’elenco perché sarebbe lungo e noioso, tutte loro si sono ridotte a diventare piloni di ferro, ponti o quant’altro. Il Titanic nella sua massa ferruginosa e anche un po’ sinistra se vogliamo, a 3.810 metri sotto la superficie dell’oceano c’è ancora ed è ancora in assetto di navigazione. E ogni tanto la nave dalla sua profonda tomba rilascia una bolla di verità sulla sua tragica fine. In buona sostanza, il Claudio Bossi (Ph. @BBruno) Titanic ancora respira. Lei ha lavorato molto per “ritrovare” i nomi italiani di quel naufragio: un lavoro ben lungi dall’essere concluso. Qual è la parte più faticosa o che la mette più alla prova? Ha detto giusto: un lavoro ben lungi dall’essere concluso. Ogni tanto, tra i vecchi fogli d’archivio, sbucano nomi di chiara dizione italiana ma che italiani non erano, almeno secondo i documenti. Sta allo storico certificare il tutto. Il lavoro di assemblaggio delle informazioni è senz’altro il più arduo. Tutto deve combaciare: nomi, date e luoghi, altrimenti è tutto da rifare. A parte quei pochi, 9 in tutto, che erano passeggeri e che quindi erano emigranti che andavano o tornavano in America e che avevano già un ruolo ben preciso nella società, tutti gli altri italiani erano camerieri di bordo. Camerieri però di un certo livello qualitativo, se è vero, come è vero, che erano stati chiamati per servire al fastoso ristorante di prima classe, gestito da un italiano. Qui i nostri connazionali, oltre al normale servizio di cucina e di sala, dovevano versare Champagne nelle coppe delle ricche


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Il Titanic in costruzione

nobildonne, porgere sedie a sederi aristocratici e offrire sigari a facoltosi milionari. Era insomma un’Italia che si faceva valere nel lavoro e che viaggiava in prima classe. Chi le è stato particolarmente di aiuto nelle ricerche in questi anni? Qui non ci sono dubbi: serbo un particolare ricordo delle ragazze che, con molto garbo e gentilezza, mi hanno servito e seguito nelle mie ricerche d’archivio. Penso espressamente al personale dei National Archives di Kew, dei Proni di Belfast, dei National Archives di New York e Washington. Come non dimenticare poi quella graziosa ragazza, capelli pel di carota e piena di lentiggini in tutto il viso di nome Jane, che con tanta solerzia mi ha aiutato a districarmi tra i carteggi del Coroner nei Nova Scotia Archives di Halifax? Può sembrare banale ma debbo poi sicuramente ringraziare mia moglie Cicci (sono 38 anni che siamo insieme e sono 35 anni di Titanic) per il suo sostegno e la sua infinita pazienza. Certamente non immaginava, all’inizio, che il Titanic avrebbe invaso la sua vita, abusato della sua ospitalità, occupato la sua casa e preso ostaggio suo marito. Qual è il suo lettore tipo? I lettori dei miei libri sono persone di tutte le età, dal ragazzino delle scuole medie ai “diversamente giovani” che, quando erano in età più verde, avevano sentito menzionare in casa dai loro genitori di questa sfortunata nave. Il tutto passando per i laureandi e le persone di mezza età. Noto però, con un certo disappunto, che mentre il sito e i miei canali social sono seguiti in larga maggioranza da giovani, questi non partecipano in egual misura alle mie conferenze, dove sono solito confrontarmi con ben altre

realtà anagrafiche. Peccato, perché è una forma di relazione che è più nelle mie corde. Quali sono le domande più usuali e più curiose rivolte al suo sito internet (www.titanicdiclaudiobossi.com)? Gliene cito una per tutte: “Claudio Bossi, come fa a sapere quanti capelli aveva la pulce che stava tra i peli del cane che era sul Titanic?” Naturalmente era uno scherzo: il giornalista che me l’ha fatta intendeva chiedermi perché sapessi così tante cose sull’argomento. Le più gettonate invece sono: “Si può recuperare il relitto?” oppure “Mai stato a vedere un relitto?”, “È veramente il Titanic lì sotto?”, “Il capitano Smith notoriamente è morto con la nave, ma c’è qualcuno che l’ha visto. Vero o falso?” Della risposta a tutti questi quesiti ne ho pure scritto un libro, intitolato “Gli enigmi del Titanic”. A chi sono destinati i suoi libri? Io scrivo per chi ama leggere, non per me stesso. E non scrivo per gli accademici, ma per il lettore comune, che si affascina alla storia come ne sono stato affascinato io. Uno dei suoi libri parla addirittura di numerologia... È uno dei miei ultimi libri, realizzato insieme a Ada Piccaluga, esperta numerologa, che ha concepito l’idea di abbinare le due cose. E per la numerologia il destino della nave era già segnato in partenza. E il prossimo libro di cosa parlerà? Del rapporto tra Germignaga e il Titanic. Ma non vi dico di più, per ora.

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L’uomo del mulino di Cunardo Da Napoleone Bonaparte, attraversando due conflitti mondiali fino ad arrivare ai giorni nostri: ne è passata di acqua sotto le ruote del frantoio e delle macine del “Molino Barzago”, fedelmente custodito da Riccardo Rigamonti da quasi 70 anni Andrea Camunari

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ivoluzione Francese e post sui social; Restaurazione, Novecento fino ad arrivare ai nostri giorni. Ne è passata tanta di acqua del Margorabbia fra le pale del mulino Rigamonti, gioiello d’ingegneria da secoli che ancora oggi si può ammirare in un piccolo mondo antico dai colori intensi, fra il cielo della Valganna e le “gibigiane” dei giri d’acqua riflesse sui muri a secco. Scrive Mario Carmagnola, proprio sulla fornitissima pagina social del mulino di Cunardo: “È passato Napoleone, le guerre di indipendenza, è passato Garibaldi, le due guerre mondiali, ma l’acqua della gora ha sempre alimentato le ruote del frantoio e delle macine sin dal 1787, quando divenne di proprietà dei Rigamonti assumendo il nome di ‘Molino Barzago’. Tant’è che Riccardo, l’ultimo della dinastia dei ‘Barzag mugnai’, continua la tradizione di famiglia nonostante la globalizzazione, le multinazionali, la grande distribuzione. Prima di aprire il cancello di ingresso al negozio storico, con secoli di storia alle spalle, apre la porta dove le oche trascorrono la notte, lasciandole libere sino a sera quando richiude il cancello e le chiama per riportarle a dormire. Le due oche del mulino sono da anni la miglior insegna per un’attività che è garanzia di competenza e genuinità dei prodotti”.

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È proprio questo che si respira ogni giorno da quelle parti e Riccardo Rigamonti, classe 1937, ha una vita da raccontare perché lui, per tutti, è l’uomo del mulino. Primi ricordi? “Beh, ero piccolo, molto piccolo: ricordo il grande lavoro delle macine governate da papà Ettore e zio Luigi, che morì appena dopo la guerra. Allora erano in tanti, tutti a lavorare i campi. C’era bisogno di cibo e si lavorava la terra. Nel momento del raccolto del frumento e del mais venivano a macinare qui e c’era tantissimo lavoro”. Archiviate le “tre commerciali”, alle soglie degli anni ‘50 ecco che Riccardo entra in azienda. “Ad esser precisi i Rigamonti sono proprietari di questo mulino dal 1785. Abbiamo ancora le carte custodite da una delle mie tre figlie, documenti originali vergati con inchiostro e penna d’oca: siamo sempre stati qui a macinare, da generazioni, anche se i tempi sono cambiati”, racconta il mugnaio della Valganna mentre dà una mano nell’inaspettato ruolo di parcheggiatore. L’allarme sanitario ha fatto irruzione anche nella vita di questo solido artigiano della farina imponendo misure strette per la gestione degli spazi: “Non più di 5 auto alla volta nel parcheggio del piazzale, così vuole la legge”. E la legge si rispetta anche per chi deve fare un salto a comprare il terriccio per il giardino o le piantine di pomodoro. “Sì, vendiamo anche questi prodotti da qualche tempo e offriamo ai nostri clienti anche materiale per giardinaggio o per l’orto, il lavoro è molto cambiato nell’arco degli ultimi anni”. E il racconto non può che passare dai fatti attraversati dall’economia di una


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Riccardo Rigamonti nel suo mulino

terra di frontiera. “Tanti da queste parti a partire dagli anni ‘60 hanno scelto la Svizzera, lasciando i campi: meglio un lavoro in franchi che la fatica delle sveglie all’alba, magari le bestie, il caldo e i lunghi inverni. E anche la nostra attività di conseguenza ha seguito questo ritmo. Prima il lavoro era incentrato solo sulla macinazione e avevamo anche un torchio per l’olio. Ai tempi si faceva con mandorle, ravizzone, nocciole e noci. Col passare degli anni tutto è cambiato, il torchio è stato eliminato perché ogni volta prima delle lavorazioni era necessario chiamare la Finanza da Como per farlo piombare e spiombare: era diventata una pratica macchinosa e lo abbiamo dismesso. Oggi in pochissimi vengono a far macinare il frutto dei loro campi, succede ancora per pochi agricoltori della Valcuvia che portano il gran turco, quello per fare la polenta, per intenderci. Il frumento è sparito, mentre una volta arrivavano i carri coi sacchi, per tornare a ritirare la farina bianca”. Oggi il mulino, che continua a funzionare ad acqua per muovere la macina a due palmenti prosegue instancabile nel suo lavoro, ma il mais viene acquistato dai grossisti “a seconda delle esigenze richieste dal mercato”. Un pezzo di storia in carne ed ossa è Riccardo, mentre in pietra e acqua è la sua creatura viva e vegeta dopo oltre due secoli di servizio e tornata preziosissima anche ai tempi del lockdown. “Abbiamo

lavorato molto in questi mesi. La farina non si trovava nei supermercati e non abbiamo mai chiuso. Anzi, abbiamo rifornito tante famiglie anche col servizio di consegne a domicilio”. Sì, la polenta, piatto che fino a pochi mesi fa era visto come calda fonte di gioia per i buongustai è tornata in questi mesi come sicuro ripiego sulle tavole dell’incertezza, magari proprio guardando anche al risparmio per un piatto ricco e al contempo accessibile e alla portata di ogni tasca come è stato per generazioni di varesini che trovavano sostentamento da questo cibo del colore del sole. E ora, come allora, il mulino di Riccardo è sempre lì.

Un pezzo di storia in carne ed ossa è Riccardo Rigamonti, mentre in pietra e acqua è la sua creatura viva e vegeta dopo oltre due secoli di servizio e tornata preziosissima anche ai tempi del lockdown 47


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La rinascita del cinema Da Excelsiored, la prima sala cinematografica varesina nata nel 1907 all’interno di un albergo in corso Roma, alle 8 sale degli anni ‘50, fino all’avvento delle emittenti private e al noleggio delle videocassette un trentennio più tardi. Nel corso di pochi decenni le realtà in cui ammirare a Varese la settima arte sono sorte e scomparse, seguendo il perenne ed incessante progresso tecnologico. A sopravvivere all’avvento dell’era digitale sono stati solamente il Multisala Impero Varese e Film Studio 90 Alberto Bortoluzzi

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ndrea Cervini gestisce il Multisala Impero Varese, conosciuto al pubblico come Miv. È lui a svelare ai lettori di Varesefocus il “dietro le quinte” dell’organizzazione del lavoro e della programmazione di un cinema sempre più digitale. Andrea Cervini

Com’è nata l’idea di un multisala? Abbiamo acquisito il cinema teatro Impero alla fine degli anni ‘80. Il cinema era stato costruito nel periodo fascista dallo stesso architetto che aveva progettato piazza Montegrap48

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on solo multisala. Il cinema può essere sostenibile, anche se di nicchia. Giulio Rossini, gestore di Film Studio 90, spiega ai lettori di Varesefocus la nascita e lo sviluppo di un progetto che da anni organizza importanti rassegne e manifestazioni culturali a Varese e in tutta la provincia. Giulio Rossini

Come nasce Film Studio 90? Tutto ha avuto inizio nel 1985 quando con la collaborazione di alcuni amici e l’allora assessore alla cultura del Comune di Varese Salvatore Caminiti, ha preso il via il progetto “Estate Varesina”, iniziativa firmata dall’Arci e dall’Aics, con proiezione di 6 film e spettacoli di teatro e musica. L’anno seguente,


Come si gestisce un multisala, rispetto a un cinema tradizionale? È una gestione completamente diversa. Qui abbiamo diverse sale da gestire, bisogna studiare per ogni sala quale sia la fascia più produttiva per ogni film e saper invertire la programmazione da una sala all’altra, nell’arco della giornata, in caso di necessità. Vanno poi studiati gli orari di inizio e fine di ogni spettacolo, per evitare una congestione all’ingresso del cinema e dare il tempo al personale di fare le pulizie nelle varie sale. All’interno del multisala poi, abbiamo anche da gestire un bar, un angolo popcorn e il Laser Game che sta ottenendo un grande successo.

visto il successo di “Estate Varesina”, abbiamo organizzato al cinema Rivoli “Cinema Città”, che non solo ha riscosso un grande successo, ma è stato prolungato per altri 2 anni. Nel 1988 con la collaborazione del Comune di Varese, è nata la rassegna “Esterno notte”, con proiezioni serali all’aperto. Ed eccoci al 5 dicembre del 1990, quando con Maurizio Masieri, Teresa Ussia, Ida e Patrizia Sandrini, fondiamo Film Studio 90. Le nostre prime proiezioni sono state fatte all’Enaip, (ente nazionale Acli istruzione professionale). Utilizzavamo un vecchio proiettore 35 mm, comprato da una sala cinematografica di Voghera che aveva da poco chiuso i battenti. Oltre all’Enaip, cominciavano le collaborazioni anche con il cine-

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pa: Mario Loreti. Nei primi anni di gestione, quando ancora non era stato costruito il teatro di piazza della Repubblica, assolvevamo anche a questa funzione. Proprio in quel periodo ci siamo resi conto che delle nostre 2 sale cinematografiche all’interno del cinema, la più piccola, chiamata sala blu, di soli 70 posti, faceva da sola un terzo del fatturato, rispetto a quella rossa che ne conteneva 1.000. È così che appena abbiamo potuto, abbiamo rivoluzionato il cinema, creando 9 sale cinematografiche, su 7 piani, con capienze diverse.

Sala proiezioni di Via de Cristoforis

Un altro elemento, molto importante per un multisala è la programmazione. La programmazione è un aspetto fondamentale della gestione di un multisala. Per le proposte dei film da proiettare, ci avvaliamo di un vero esperto del settore: Enrico Signorelli. Enrico il lunedì ci manda una lista dei film a disposizione. Con il nostro capo del personale, Kastriot Karaj, facciamo una prima scelta, in funzione del contenuto, della durata e della pubblicità che dobbiamo inserire prima dell’inizio della pellicola. In base a questi elementi, vediamo come suddividerli nelle varie sale, non prima di esserci consultati nuovamente con Signorelli per un suo giudizio finale. La programmazione ha inizio il mercoledì e finisce il giovedì della settimana successiva. I film ci arrivano via satellite il martedì e vengono abbinati ai server delle varie sale. Il mercoledì ci arrivano i codici di sblocco per ogni server, che hanno una durata pari al noleggio del film. Quanti proiezionisti avete? Per 13 anni, fino a che si proiettava in pellicola, avevamo un proiezionista ogni 3 sale, più un supervisore generale. Oggi con l’avvento del digitale, riusciamo a gestire tutto da una sola sala di regia, ma abbiamo sempre tra le maschere qualcuno in grado di far funzionare i proiettori. La pandemia per il vostro settore è stata un vero disastro. Non ci voleva. Venivamo da un anno da incorniciare e anche fino al 24 febbraio di quest’anno, giorno in cui tutto si è bloccato, stavamo andando benissimo. L’interesse per il cinema sembra comunque essere rimasto alto. Durante la chiusura

ma Garden di Gavirate. Con l’utile ricavato dalle proiezioni estive, abbiamo restaurato totalmente il salone Macchi in via De Cristoforis 5 a Varese, trasformandolo in una sala da proiezione. Tutto è stato fatto in economia, le sedie per esempio le abbiamo comprate di seconda mano e ci siamo costruiti da soli una cabina di proiezione. L’affitto del Cinema Nuovo risale al 2006. Il cinema non aveva più una gestione e rischiava di chiudere i battenti. Grazie a questo nuovo spazio, l’associazione ha potuto allargare i suoi interessi, che ora comprendono anche spettacoli teatrali e concerti musicali. 49


In cosa si differenzia la vostra gestione rispetto a quella del multisala? Direi che il fattore più importante è la sostenibilità delle nostre iniziative. Purtroppo, i biglietti che vendiamo per i nostri spettacoli, non bastano a coprire le spese. È quindi per noi di vitale importanza il reperimento di fondi: per questo motivo partecipiamo a bandi ministeriali e cerchiamo contributi dagli enti locali.

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Una delle sale del MIV

E per quando riguarda la programmazione, in che modo vi differenziate dal Multisala Impero Varese? Loro si appoggiano ai distributori delle major, riuscendo ad ottenere film di cassetta. Noi invece a distributori indipendenti, le cui proposte sono sicuramente di qualità, ma certamente più di nicchia e meno remunerative di quelle delle major. Negli anni abbiamo fidelizzato un pubblico di intenditori che viene a vederci spesso sulla fiducia.

abbiamo ricevuto tante telefonate di persone che ci hanno chiesto quando avremmo riaperto. Quali normative avete dovuto seguire per la riapertura? Le disposizioni vigenti contemplano il distanziamento e l’uso della mascherina. Abbiamo stimato che questo ci comporterà una riduzione circa del 50% degli utenti per ogni sala, oltre a quelli che per timore non frequenteranno più il cinema. Ma il vero problema sarà la mancanza di pellicole da proiettare. I grandi distributori hanno rimandato l’uscita di film importanti, come James Bond, Top Gun e l’ultimo di Carlo Verdone. Noi comunque in qualche modo ce la caveremo e rimaniamo fiduciosi che il pubblico di Varese continuerà a sostenerci in futuro, come ha fatto in passato.

Andrea Cervini, Miv: “Abbiamo diverse sale da gestire, bisogna studiare per ognuna di esse qual è la fascia più produttiva per ogni film e saper invertire la programmazione da una all’altra, nell’arco della giornata, in caso di necessità” 50

Anche voi sarete stati sicuramente penalizzati dalla pandemia. È stata una bella batosta, la nostra sala in via De Cristoforis già di per sé piccola, con le nuove disposizioni si è ristretta ulteriormente. Nello stesso tempo non abbiamo numeri di pubblico sufficienti per portare film minori al Cinema Nuovo, dove i costi di gestione sarebbero molto più alti; mettici poi che le previsioni dicono che un 20% degli spettatori attuali verranno persi per sempre e i conti sono presto fatti. Nonostante questo, siamo fiduciosi, come lo siamo stati sempre, altrimenti oggi non saremmo qui!

La sala del Cinema Nuovo



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GIOVEDÌ 22 OTTOBRE | ORE 10.00 Smart

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La musica di Varese che conquista il mondo È sempre difficile il ruolo del profeta in patria. Anche per il giovane maestro di fama internazionale Enrico Saverio Pagano, varesino d’adozione che con la sua orchestra “Canova” continua a mietere successi ovunque, ma con la speranza, un giorno, di potersi esibire anche nella sua città stente di Alessandro Quarta, leader di Concerto Romano e diret-

Mario Chiodetti tore artistico della Federazione italiana di Musica antica, impegnato

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arlare con Enrico Saverio Pagano è come respirare un soffio di aria pulita, essere contagiati da un entusiasmo schietto abbinato a una solida professionalità, sorprendente per la sua giovane età, 25 anni da poco compiuti, frutto di anni di intenso studio e lavoro, che lo porterà a breve a diplomarsi anche in composizione, al Conservatorio di Como. Nato a Roma da una famiglia di origine salernitana, Pagano è varesino dal 2006, quando il giovane musicista si iscrive al “Puccini” di Gallarate, allievo di Andrea Scacchi per il violoncello, di Carla Rebora per l’armonia e Giacomo Mezzalira per il solfeggio, con in testa l’idea di diventare direttore d’orchestra, dopo che i genitori, entrambi melomani, lo avevano indirizzato a 8 anni allo studio del violoncello, strumento in cui si diplomerà al Conservatorio di Brescia nel 2016. Allievo per la direzione d’orchestra di Gilberto Serembe e Umberto Benedetti Michelangeli, nipote del celebre pianista, Enrico si diploma l’anno successivo per poi perfezionarsi al Royal Conservatoire of Scotland e al Royal Welsh College of Music. In precedenza, nell’estate del 2016, era stato uno dei due direttori selezionati per partecipare al Curtis Summerfest del Curtis Institute of Music di Philadelphia. Lo scorso anno Enrico Saverio Pagano è stato assi-

nelle opere “Aci e Galatea” di Händel e “L’empio punito” di Alessandro Meloni, un compositore romano degli anni ottanta del ‘600. Ma già dal 2014 Pagano era a capo di un’orchestra, la “Ildebrando Pizzetti”, fondata a Varese con un gruppo di giovani musicisti desiderosi di dare alla città un’immagine musicale nuova e dinamica, con un occhio rivolto al classicismo musicale senza trascurare il ‘900 e la musica contemEnrico poranea. Saverio Da allora l’orchestra ha fatto molta straPagano da e, lo scorso anno, ha cambiato nome e pelle, trasformandosi in “Canova”, sia per un omaggio al grande scultore sia per l’idea di una “cà nova”, un luogo dove mettere a dimora le proposte musicali di qualità concertate con il Presidente dell’ensemble, il musicologo e discografico Mario Marcarini. L’orchestra, dall’età media di 25 anni, conta su musicisti provenienti dall’Accademia della Scala e dai conservatori di Milano, Como e Novara, con alcuni professori varesini, come il contrabbassista Marco Di Francesco, la violinista Michela Carù e il violista Michele Rinaldi. La collaborazione con Mario Marcarini ha portato il primo frutto, il progetto discografico a lunga scadenza dedicato a composizioni inedite o poco eseguite di Giovanni Paisiello e la registrazione del primo cd, con il Concerto per pianoforte e orchestra n. 2 in fa maggiore, eseguito da Ginevra Costantini Negri, quattro Sinfonie 53


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dalle opere “Ipermestra”, “La Finta amante” (utilizzata come traccia “promo” del cd), “La Disfatta di Dario” e “L’Orfana riconosciuta” e due arie, “La donna quando è in furia” e “Quell’ardor quel dolce foco”, tratte da “La Semplice fortunata” e cantate dal mezzosoprano Manuela Custer. “Il disco, pubblicato da Concerto Classics, sarebbe dovuto uscire a febbraio con tanto di presentazione alla Palazzina Liberty di Milano, ma il Covid-19 ha bloccato tutto e ora speriamo di averlo per ottobre e presentarlo dagli Amici del Loggione alla Scala di Milano. Per raccogliere il materiale per il primo cd ho compiuto lunghe ricerche sui manoscritti originali alla biblioteca Marciana e a quella del Conservatorio ‘Benedetto Marcello’ di Venezia. L’ultima alluvione a Venezia ha causato danni irreparabili a molti dei manoscritti, purtroppo custoditi al piano terreno del conservatorio, ma più che ‘vantarsi’ di avere fatto a tempo a lasciare una testimonianza in disco di quelle musiche, è importante riflettere su come in Italia siano conservati i manoscritti musicali. Basti pensare che quelli da noi studiati alla Marciana erano stati consultati l’ultima volta negli anni dieci del ‘900 e non erano mai stati catalogati al computer”, dice Pagano. Il giovane maestro ammira incondizionatamente l’arte di Teodor Currentzis, il direttore greco-russo che ha portato una ventata nuova nel modo di interpretare autori di culto come Beethoven, Verdi, Mozart, Purcell o Mahler: “Non ci si può che inchinare davanti alla sua intelligenza musicale, non è mai banale e il lavoro che ha fatto a Perm con la sua orchestra Musica Æterna dimostra il suo genio direttoriale. Un’operazione del genere è quasi impensabile qui, dove la musica è considerata quasi un’arte minore, perciò per noi è importante l’appoggio della Iuc di Roma”. Le dolenti note, per Enrico Pagano e l’orchestra arrivano dai mesi di chiusura forzata per la pandemia. La Canova vive con gli incassi dei concerti, in questo momento il piatto piange e le preoccupazioni

Lo scorso anno Enrico Saverio Pagano è stato assistente di Alessandro Quarta, leader di Concerto Romano e direttore artistico della Federazione italiana di Musica antica, impegnato nelle opere “Aci e Galatea” di Händel e “L’empio punito” di Alessandro Meloni crescono: “Siamo un gruppo ormai consolidato, abbiamo suonato a Malta e a dicembre ci torneremo, registriamo ottime critiche, il quotidiano ‘La Repubblica’, nel suo canale tv, ha prodotto una serie di mini-documentari dedicati a Beethoven con gli interventi dei nostri musicisti. Contiamo sul supporto di una casa discografica prestigiosa come Concerto Classics che ha ottenuto importanti premi internazionali. Suoniamo ovunque, tranne che a Varese. Facciamo appello al Comune perché ascolti le nostre richieste e valorizzi le enormi capacità musicali della città”. Nell’orizzonte di Enrico Pagano c’è un ciclo di concerti, con la collaborazione tra l’Orchestra Canova e il sassofonista Jacopo Taddei, con musiche di autori del ‘900 come Eric Satie ma anche un guizzo nel ‘700, complice la sapienza di Mario Marcarini. In attesa, un giorno, di poter ascoltare l’ensemble varesino nella città di origine, magari, se le promesse si trasformeranno in fatti, in un nuovo teatro.

L’Orchestra Canova

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Professione volontario soccorritore È solo con un gioco di parole che si può spiegare la grande e approfondita preparazione che hanno tutti gli operatori dell’Unità di Soccorso Tecnico di Varese. Volontari sì, ma dalle elevate competenze e dotazioni tecnologiche Varese è un territorio ipogeo con la presenza di ambienti molto

Andrea Camunari diversi tra loro e per questo non deve mai essere sottovalutata.

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all’età di 16 anni si occupa di volontariato, è stato fondatore e Presidente dell’A ssociazione Pronto Intervento Protezione Civile Busto Arsizio. Oggi Davide Piovesan, Direttore Scuola Tecnici “SaR” dell’Unità Soccorso Tecnico (Ust) racconta con orgoglio di questa realtà preziosa quanto ancora poco conosciuta. Quando nasce l’Ust e con quali scopi? Nasciamo nel 2013 con l’obiettivo di intervenire per la ricerca ed il soccorso delle persone. Siamo accreditati presso il Ministero dell’Interno – Ufficio Persone Scomparse e riconosciuti da Regione Lombardia con iscrizione all’albo regionale del volontariato. Ust è soggetto sottoscrittore del Piano Provinciale della Prefettura di Varese e di Monza per la ricerca delle persone scomparse.

In quali contesti operate? L’ambito principale è quello della ricerca e soccorso delle persone. Sono circa 15 le attivazioni annue con casistiche che vanno dalla ricerca del minore allontanatosi per litigi famigliari, all’escursionista o al cercatore di funghi o a seguito di richiesta da parte delle autorità di polizia giudiziaria. Alcune ricerche durano anche 3 giorni, altre poche ore. Ogni evento è un caso diverso dall’altro e la provincia di 56

Quanti siete? Una ventina di tecnici tra quelli operativi e in formazione. Non siamo e non possiamo essere una realtà che punta ad un gran numero di operatori perché da noi contano qualità e formazione accurata. Si inizia con il “tecnico di ricerca”, che si forma con quasi un anno di lavoro per poter intervenire sugli scenari di ricerca persona. Deve formarsi sulla cartografia


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curezza e movimentazione in ambiente e materiale necessario per la propria gestione in outdoor. Ust Varese fornisce gran parte di questo materiale, considerando che la dotazione completa personale arriva ad un valore di circa 1.200-1.500 euro in base alla specializzazione. Uno sforzo notevole dal punto di vista economico. Per le attività di ricerca vengono impiegati Gps e radio digitali in grado di trasmettere anche la propria posizione, permettendo una precisa rete di comunicazione nell’area di intervento. Sempre dal punto di vista tecnologico sfruttiamo la dotazione di una termocamera binoculare in grado di avvistare una fonte di calore anche ad 1 chilometro e un visore notturno per le attività di ricerca in punti specifici. Da chi dipendete dal punto di vista operativo? Il Protocollo della Prefettura per la ricerca delle persone prevede che sia il Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco a coordinare e attivare tutte le risorse firmatarie del Piano per la ricerca degli scomparsi. e orientamento, navigazione terrestre, uso del GPS, tecniche di ricerca diurne e notturne, nozioni di sicurezza in ambiente e gestione in outdoor, psicologia dello scomparso, movimentazione su terreni ostili e uso di materiali e tecniche basi alpinistiche. Dopo circa 2 anni di attività è possibile arrivare alle qualifiche di “tecnico di fune” di primo e secondo livello con competenze nella gestione di tecniche di squadra o in autonomia per la calata o il recupero di persone mediante funi, conduzione di barelle e trasporto di feriti su terreni impervi. Poi ci sono il “direttore di ricerca” e infine il “tecnico cinofilo”. Ust Varese è inoltre una delle pochissime realtà di volontariato in Italia ad avere tecnici con la qualifica di “elisoccorritore”. Come si diventa volontari? L’ammissione è subordinata al superamento di una selezione che consiste in prove per l’accertamento delle buone condizioni fisiche su percorsi di montagna, capacità di movimentazione su terreni ostili; poi si accede al corso di formazione della durata di circa 9 mesi tra moduli teorici e pratici e il periodo di tirocinio, con una valutazione finale per poter ricevere il brevetto di tecnico di ricerca. Dov’è la vostra sede? Abbiamo sempre avuto sede a Busto Arsizio, ospiti inizialmente della Protezione Civile. Da 3 anni il Parco Regionale del Campo dei Fiori ci ha assegnato una sede presso il Villaggio Cagnola, alla Rasa di Varese. La nostra presenza è finalizzata anche ad una collaborazione sancita col Parco per servizi di assistenza a manifestazioni nelle zone considerate più critiche per la presenza di sentieristiche esposte a rischi di caduta o difficili da raggiungere in caso di soccorso. Ogni settimana svolgiamo 2 turni stazione, uno serale ed uno diurno nel weekend, con una rotazione regolare di nuclei di tecnici. Con quali attrezzature operate? Ogni tecnico ha una propria dotazione necessaria per la sua si-

Nell’immediato state sviluppando qualche nuovo servizio? Dal mese di giugno Ust e Avt (Azienda Varesina Trasporti) hanno siglato una convenzione per l’assistenza ai passeggeri della funicolare che collega la città di Varese con il Sacro Monte. L’accordo, steso in ottemperanza alla disposizione ministeriale per gli impianti a fune, prevede l’intervento di una squadra di Tecnici dell’Ust in caso di guasto all’impianto con l’arresto delle vetture in punti particolarmente pericolosi per via della pendenza del percorso. L’intervento è richiesto in casi di non reale urgenza per i quali resta necessario attivare i Vigili del Fuoco per il tramite del 112, ma per tutte quelle situazioni in cui disabili, anziani o persone non autosufficienti non riescano a scendere dalla vettura bloccata, che in alcuni punti può toccare altezze vicino ai 3 metri tra piano di calpestio e interno della vettura. La convenzione prevede altresì una serie di fasi formative e addestrative che la Scuola Tecnici “SaR” dell’Ust Varese organizza con i propri istruttori a favore del personale della funicolare. Nello specifico tale personale viene formato per le attività di lavoro in quota e per l’attuazione delle procedure di evacuazione nei casi di competenza, primo soccorso e uso del defibrillatore. Quali sono i progetti per il futuro? Purtroppo, durante il lockdown è stato rubato il quad dell’A ssociazione comprato grazie ad un bando della Fondazione del Varesotto. Il mezzo era nato proprio per rispondere agli interventi di ricerca e soccorso all’interno del territorio montano del Parco Campo dei Fiori dove spesso i normali mezzi non riescono ad arrivare. Quindi il quad consentiva a due Tecnici di avvicinarsi il più possibile all’area di soccorso, percorrendo anche sentieri più stretti e aree di bosco trasportando barelle e kit per il recupero. Questo furto ha rappresentato per l’Ust una vera ferita perché i costi di acquisto e allestimento non possono più essere sostenuti. Ci auguriamo quindi di trovare aziende o persone in grado di aiutarci a ripristinare questo servizio di assistenza prezioso per gli sportivi durante le gare di trail sulle nostre montagne.

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▶ PROVINCIA DA SCOPRIRE RUBRICHE

Le curiosità della vendemmia varesina La storia dei padri nobili che hanno permesso al territorio di ritrovare la propria vocazione vitivinicola. Le cantine da visitare per delle degustazioni nella natura. La nascita di nuove filiere locali virtuose. La produzione di vino all’ombra delle Prealpi è ricca di suggestioni oggi, che un tempo rappresentavano un’eccellenza per l’affina-

Alessandra Favaro tura dei formaggi e l’allevamento di bestiame. Un passato che

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na stagione che vale una scoperta: etichette pluripremiate e ambasciatrici di una cultura locale mai veramente scomparsa da vivere nel momento clou: la vendemmia. Oltre al volto di eccellenza industriale e di versatile destinazione turistica, c’è un altro aspetto meno conosciuto della provincia di Varese: quello del suo passato agricolo. Un trascorso che si intuisce negli alpeggi e nei vecchi mulini, alcuni ancora funzionanti

alcuni imprenditori locali hanno fatto rivivere negli ultimi anni e che con l’inizio della stagione autunnale si racconta in tutta la sua bellezza: la viticoltura. Vigneti e vendemmia, cantine aperte e degustazioni, sono chicche rare che contraddistinguono soprattutto alcune zone della provincia affacciate sull’acqua, laghi ma anche il fiume Ticino. L’inizio dell’autunno è il periodo ideale per perdersi tra vigneti e sorsi di vini autoctoni, tanto stimati nelle guide di settore quanto ancora troppo poco conosciuti nella realtà locale.

I vigneti di Angera

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RUBRICHE

Travedona Monate

Visitare le cantine Molte cantine varesine organizzano eventi e momenti di degustazione per scoprire territori e vini locali. A Morazzone, Cascina Ronchetto è un’elegante casa rustica dove vengono organizzate iniziative per godersi territorio e terroir. La tenuta Tovaglieri, a Golasecca, è un vero e proprio agriturismo e Wine Farm nel Parco del Ticino, ottimo punto di arrivo o di partenza per immergersi nei sentieri del parco, tra calici profumati e foliage. L’azienda agricola ha aderito anche al progetto della “Produzione Controllata a marchio Parco del Ticino” che indica rispetto dell’ambiente e delle fasi di produzione e di lavorazione. Cascina Piano di Angera è entrata a fare parte del Movimento Turismo del Vino e durante l’anno organizza spesso degustazioni ed è meta privilegiata, soprattutto in autunno e primavera, di tour alla scoperta di colori e sapori del territorio circostante.

Filiere virtuose Alle radici dell’Igt dei vini varesini Se l’Igt varesina avesse dei genitori, tra loro ci sarebbe Franco Berrino, ex dirigente d’azienda divenuto poi per passione patron di Cascina Piano, cantina vitivinicola gestita da un gruppo di soci, da cui proprio su spinta di Berrino ed altri sognatori è partito il lungo percorso verso l’Indicazione Geografica Tipica. Correva l’anno 2005 quando il ministero delle Politiche agricole emanò il decreto che riconosceva l’Indicazione Geografica Tipica (Igt) dei vini Ronchi Varesini ed approvava il relativo disciplinare di produzione. L’Igt ha rappresentato una tappa storica per le organizzazioni agricole che si sono impegnate in questo progetto (Coldiretti, Unione Agricoltori e Cia), per i produttori che ci hanno creduto, per l’Università Statale di Milano e per la Camera di Commercio di Varese e la Provincia. Per tutto il territorio, insomma, è stato un traguardo di fondamentale importanza strategica perché ha annunciato la rinascita ufficiale della viticoltura in nome della qualità, dopo oltre un secolo d’abbandono, attraverso il recupero e l’ampliamento dei vigneti storici. A questo sogno realizzato è stato dedicato un documentario presentato durante l’ultima edizione di CortoMaggiore, intitolato “Earth Rebels”. Berrino infatti tornò alla terra per passione e per amore del suo territorio. “All’inizio nessuno ci credeva, io ci ho sempre creduto. Tengo molto a questo progetto non tanto dal punto di vista economico, quanto culturale”. Oggi Berrino guarda alla nuova generazione della cantina e auspica in nuove leve, soprattutto giovani, che possano proiettare i vini varesini nel futuro. In passato d’altronde, come spiegano testi storici ed esperti, la produzione di vino nel Varesotto e delle aree sul Lago Maggiore era rinomata: poteva contare, tra il XVIII e XIX secolo su 10mila ettari di terreno vitato. La battuta d’arresto si ebbe con il progressivo abbandono dell’attività, prevalentemente determinato dal devastante arrivo della filossera alle soglie del XX secolo. Testimonianze del passato vitivinicolo della zona si possono osservare anche alla Rocca di Angera, dove è custodito un antico torchio medioevale, che serviva proprio a pigiare le uve e ottenere dopo diversi passaggi meccanici, il primo mosto per produrre il vino. 60

Le microproduzioni vinicole della provincia hanno dato il via a piccole filiere virtuose e alla rinascita di piantagioni locali. Come Cantina Filip, di Travedona Monate, che ha ripreso la tradizione vitivinicola di famiglia iniziata nel 1868 e che ha avviato anche il recupero del “Klinten” (Clinto), uva della tradizione contadina locale. Cantina Torrerossa, a Gazzada, ha investito invece nei cosiddetti “vitigni resistenti/super biologici” denominati Piwi e nel 2019 ha impiantato le prime vigne di Bronner e Solaris. Le vinacce di alcune cantine vengono conferite a una distilleria della provincia, la Rossi di Angera, per produrre una grappa a “chilometro Varese”. Filiere virtuose che coinvolgono anche enti turistici e locali di ristorazione della zona, che inseriscono le cantine tra le mete da visitare o tra i calici protagonisti di degustazioni guidate. I piccoli vigneti affacciati sono parte del panorama varesino e sono scrigni di etichette spesso premiate dalle riviste di settore. Molte etichette si rifanno a opere, affreschi, località e nomi che fanno parte del passato varesino. Immagini e nomi di cui è divertente scoprire il significato e ritrovare poi in chiese o scoprire in itinerari del verde a due passi dal vigneto.

Nel 2005 il riconoscimento dell’Igt ai vini Ronchi Varesini ha rappresentato una tappa fondamentale di importanza strategica per tutto il territorio, perché ha annunciato la rinascita ufficiale della viticoltura in nome della qualità dopo un secolo di abbandono


Noi ci siamo!

Seguici

A luglio 2020 il Gruppo di Varese contava 215 iscritti: un gruppo multiforme per genere, età ed appartenenza dell’impresa al gruppo merceologico e dal cui confronto emerge un Movimento dinamico e attivo.

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romuovere la cultura d’impresa e migliorare la competitività imprenditoriale, sostenere lo sviluppo economico e valorizzare il ruolo sociale dell’imprenditore, favorire il confronto costruttivo di esperienze, idee e opinioni, agevolare il dibattito positivo e dialettico con un coinvolgimento attivo e formativo. È questa la mission del Movimento perseguita con diverse iniziative: dalla cultura d’impresa alla formazione, dall’orientamento alle visite aziendali, dalla vita associativa a quella interassociativa.

Attività che il recente lockdown dovuto alla pandemia non ha fermato. A partire da quelle sul fronte Education come racconta la Presidente del Gruppo, Giorgia Munari: “Nostro compito è da sempre quello di promuove le attiviXª HM SVMIRXEQIRXS EP ǻRI HM GSRXVMFYMVI alla formazione della classe dirigente del domani e, anche in un contesto così delicato, abbiamo scelto di metterci in gioco supportando la didattica a distanza. Ne siamo felici perché gli Istituti del Territorio e gli studenti hanno risposto con entusiasmo e partecipazione aderendo numerosi al progetto”. In particolare, sono state due le attività di education portate avanti, la simulazione dei colloqui di lavoro e gli incontri di orientamento: “nelle due iniziative rivolte agli studenti dell’ultimo anno delle scuole superiori abbiamo creato QSQIRXM HM VMǼIWWMSRI WYP QSRHS HIP lavoro e avvicinato il mondo scuola al mondo impresa: attraverso le nostre XIWXMQSRMER^I ² WXEXS TSWWMFMPI HMǺSRdere la cultura d’impresa tra i giovani che, seppure virtualmente, sono entrati in azienda approfondendone i ruoli, le competenze e le progettualità” racconta Jacopo Novello, Vice Presidente del Gruppo con delega all’Education. Il Gruppo ha organizzato diversi incontri formativi in modalità webconference dedicati alla Comunicazione, allo Smart working e, in collaborazione con

Il Gruppo Giovani Imprenditori ì ƚĹ aŅƴĜĵåĹƋŅ ÚĜ ŞåųŸŅĹå ÏŅŸƋĜƋƚĜƋŅ ĹåĬĬű±ĵÆĜƋŅ ÚåĬĬű ĹĜŅĹå FĹÚƚŸƋųĜ±ĬĜ ÚĜ ±ųåŸå Ĭ± ÏƚĜ ±ŞŞ±ųƋåĹåĹDŽ±Ø åŸŞų域ĜŅĹå ÚĜ ƚĹűĜĵŞųåĹÚĜƋŅųĜ± ÚĜűĵĜϱ å ŞųŅŞŅŸĜƋĜƴ±Ø ʱ ϱų±ƋƋåųå ŞåųŸŅűĬå× Giovani, ŞåųÏĘæ ÚĜ åƋº ÏŅĵŞų埱 Ƌų± Ĝ Ŏí å Ĝ ĉLj ±ĹĹĜ Imprenditori, ŞåųÏĘæ Şåų ü±ųĹå Ş±ųƋå ì ĹåÏ域±ųĜŅ ±ƴåųå ųåŸŞŅĹŸ±ÆĜĬĜƋº ÚĜ čåŸƋĜŅĹå ĹåĬĬűĜĵŞųåŸ±Ø ųåčŅĬ±ųĵåĹƋå ĜŸÏųĜƋƋ± ±ĬĬű ĹĜŅĹå

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la società di servizi dell’Unione, Univa Servizi, all’approfondimento degli aspetti legati alla maturità digitale nelle aziende. “Il nostro Gruppo punta molto sulla formazione con molteplici obiettivi: migliorare le competenze e le abilità degli iscritti, creare QSQIRXM HM GSRJVSRXS I VMǼIWWMSRI ETTVSfondire tematiche e argomenti di interesse ed attualità”, così Martina Giorgetti, Vice Presidente con delega alla Formazione.

RS HM RSM EFFME EǺVSRXEXS GSR HIXIVminazione i cambiamenti necessari”. Il prossimo appuntamento sarà in autunno con un corso sul “Futuro Anteriore”. L’obiettivo? Guidare gli iscritti attraverso le dinamiche peculiari del GEQFMEQIRXS I TVIǻKYVEVI RYSZM WGIREVM EǺVSRXERHS PI HMǽGSPXª I QERXIRIRdo l’attenzione centrata sui vantaggi. Un argomento di attualità da poter applicare immediatamente nelle azioni quotidiane.

A completare il quadro delle attività alcuni incontri virtuali nei quali gruppi di giovani si sono confrontati sui cambiamenti, PI RSZMXª I PI GVMXMGMXª HM UYIWXS HMǽGMPI periodo: un’occasione di aggregazione e di conoscenza da cui sono emerse visioni variegate come sostiene la Vice Presidente Vanessa Barea con delega al Marketing: “Sono stati incontri molXS ETTVI^^EXM HEM TEVXIGMTERXM ǻREPM^^EXM a confrontarci e agevolare il dibattito in un momento così delicato. Interessante vedere come ogni realtà aziendale abbia gestito la situazione e come ognu-

Il Movimento a livello nazionale vanta un totale di circa 13.000 iscritti e Riccardo Di Stefano è il Presidente neoeletto dei Giovani Imprenditori di ŅĹĀĹÚƚŸƋųĜ±ţ ų±ŸüŅųĵ±DŽĜŅĹå ÚĜčĜƋ±ĬåØ üŅųĵ±DŽĜŅĹå ÏŅĹƋĜĹƚ±Ø ÏŅĵŞåƋĜƋĜƴĜƋº å ŸŅŸƋåĹĜÆĜĬĜƋºØ a±Úå ĜĹ FƋ±ĬƼ å ϱƋåĹå čĬŅƱĬĜ ÚåĬ ƴ±ĬŅųå× ŧƚåŸƋå Ĭå Ş±ųŅĬå ÏĘĜ±ƴå ÚåĬĬå ĬĜĹåå ŞųŅčų±ĵĵ±ƋĜÏĘå ÚåĬĬ± ĹƚŅƴ± ŞųåŸĜÚåĹDŽ±ţ

SEI UN GIOVANE AMBIZIOSO E CURIOSO DEL MONDO IMPRENDITORIALE? CONTATTACI! ȉȴȴȶ ȶȍȦȉȉȉ . ;LEXW&TT ȴȴȏ ȴȉȏȉȏȮȟ . WIKVIXIVME KKM%YRMZE ZE MX . [[[ KKM YRMZE ZE MX

@GiovaniImprenditoriVarese


RUBRICHE

▶ GITA A

Musei taglia baby C’è chi trasforma l’archeologia in un divertimento, chi offre alle famiglie angoli appositi per allattare e per il cambio del pannolino, chi organizza eventi ad hoc durante l’anno per far vivere (e giocare con) la storia anche a chi la trova noiosa sui libri. Una breve guida ai musei varesini a misura di bambini e famiglie ben altro. I musei ideali da visitare con tutta la famiglia in provin-

Alessandra Favaro cia di Varese sono numerosi e ormai quasi ogni galleria esposi-

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er famiglie, con percorsi pensati per i più piccoli, punto di ritrovo per adolescenti. Gli spazi espositivi museali diventano sempre più esperienza per varie fasce d’età, facendo “vivere” arte e storia, anche ai più piccoli. Sempre più a misura baby, anche se le tematiche sembrano a volte suggerire

tiva ha adattato i suoi spazi e i suoi percorsi per essere apprezzati e vissuti da tutte le età. Persino il Castello di Somma Lombardo è family friendly, con area per fasciatoio e allattamento, mentre la città di Malnate, che si fregia del titolo “Città dei Bambini” ha percorsi appositi nei suoi musei. C’è chi trasforma l’archeologia in un divertimento, chi offre alle famiglie angoli appositi per allattare e il cambio del pannolino, chi organizza eventi ad hoc durante l’anno per far vivere (e giocare) la storia anche a chi la trova noiosa sui libri. Con i primi freddi e le giornate che si accorciano una gita al museo si candida a diventare un appuntamento adatto per tutta la famiglia in autunno, un’avventura dove proiettarsi in mestieri ed epoche diverse, imparando tantissime cose, semplicemente giocando. Vediamone alcuni da non perdere.

Volandia, il parco Museo del Volo

Il MaBa di Angera

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Immerso nel parco del Ticino, a pochi passi (letteralmente) dall’aeroporto di Malpensa, tra gli hangar e i capannoni che fecero la storia del volo in Italia, in Lombardia e in provincia, oggi trovano spazio di nuovo attività legate all’aeronautica e alla sua storia. Un museo tutto da vivere e percorrere, con la possibilità


di curiosare dentro aeroplani di vario tipo, divertirsi con le aree giochi esterne, sognare di essere un’astronauta nel padiglione spazio, scegliere un giochino o un gadget allo store per ricordarsi della bella giornata. Volandia è quel posto in cui tornare periodicamente, per vedere i nuovi mezzi in esposizione o come sono cresciute le diverse aree. Oltre 100 metri quadri di aree gioco, aree didattiche, eventi periodici durante l’anno ad hoc per famiglie, simulatori di volo. Distanziamento garantito per gli ampi spazi e la possibilità di prendere il biglietto direttamente online, senza code o dover aspettare di più una volta arrivati. (www.volandia.it)

Museo Tattile di Varese Tappa tra le più amate dai bimbi. Un gioco che insegna quanto anche con gli altri sensi si possa “vedere” e conoscere. Il Museo Tattile di Varese è speciale perché il suo percorso avviene a occhi bendati. Supportati da operatori, i ragazzi e le ragazze sono invitati a toccare e a scoprire così, con il senso del tatto, opere e oggetti. Le restrizioni imposte dall’emergenza sanitaria non fermano le sue attività. Semplicemente ora è visitabile esclusivamente Il Museo Tattile su prenotazione, con ma- di Varese scherine e distanze di sicurezza. La bella notizia è che si possono continuare a toccare opere e oggetti. I visitatori vengono forniti di guanti usa e getta per procedere in sicurezza, finché le disposizioni lo renderanno necessario, per salvaguardare la salute di tutti. (www.museotattilevarese.it)

Ma*Ga di Gallarate Il museo d’arte moderna e contemporanea di Gallarate è un ambiente fatto di ampi spazi luminosi e aree per i giovani. Durante l’anno si alternano eventi dedicati a ragazzi e adolescenti

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Persino il Castello di Somma Lombardo è family friendly, con area per fasciatoio e allattamento, mentre la città di Malnate, che si fregia del titolo “Città dei Bambini” ha percorsi ad hoc nei suoi musei

e durante l’estate 2020 è stato anche campus estivo. Nel suo edificio sono ideati spazi ad hoc per laboratori didattici e una sala convegni. La grande sala lettura del piano terra, annessa al bar, è da sempre punto di incontro tra giovani studenti che si trovano lì per studiare e ripassare, circondati dall’arte. Non solo: al museo gallaratese si può organizzare anche il proprio baby compleanno, in sale riservate, con la supervisione di due operatrici (il personale del dipartimento educativo del Ma*Ga è forte di oltre 10 anni di esperienza). I bambini sono accompagnati dal personale educativo alla scoperta del museo e delle mostre in corso e possono partecipare a un laboratorio creativo progettato proprio per loro. Non mancano poi il momento del rinfresco, la torta e l’apertura dei regali sempre accompagnati da personale qualificato. (www.museomaga.it)

MaBa di Angera Il MaBa è un angolo del Museo Archeologico di Angera dedicato ai bambini e alle loro famiglie. È un piccolo allestimento permanente fornito di attività ludico-didattiche sempre a disposizione dei visitatori. Un angoletto colorato con tavolo e seggioline, libreria e mobiletto con giochi a tema che i bambini potranno fare sempre accompagnati dai loro genitori e sotto la loro responsabilità. È dotato di balocchi pensati per “bambini” dai 3 ai 99 anni, a prescindere dalle loro doti, talenti o capacità: qui i testi dei pannelli e le istruzioni dei giochi sono sempre bilingue e con font ad alta leggibilità, specifico per dislessici. Questo allestimento vuole essere un luogo dove esplorare, leggere, giocare e scoprire giochi antichi, pensato per tutti coloro che hanno curiosità verso l’archeologia, la preistoria, la storia locale e il mondo antico. E poi ci sono i giochi a tema! Dallo Scavapuzzle al Domino Tattile, ai materiali di Archeo-Io dove i bimbi possono realizzare il proprio souvenir da portare a casa oppure farsi una foto con elmo e corazza. Ci sono alcuni giochi per bambini ipovedenti (realizzati all’Istituto dei Ciechi di Milano), ma anche chi non soffre di disturbi visivi potrà giocarci ugualmente, magari bendato, affidandosi al tatto e sperimentando una forma di privazione sensoriale. Per ogni vetrina e per il lapidario sono state realizzate schede iconografiche per rendere alcuni oggetti immediatamente comprensibili a bambini di tutte le nazionalità indipendentemente dall’età. A dire la verità le schede con sole immagini sono state apprezzate anche da alcuni adulti un po’ pigri... (www.angera.it)

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▶ ARTE RUBRICHE

Marion Baruch e la sua patria senza confini Da Bucarest a Gallarate, passando per Parigi e Gerusalemme, sempre sulle ali dell’arte, filo conduttore di una vita intera. L’artista di origine rumena, nota in tutto il mondo, espone al Ma*Ga alcune opere rappresentative del suo percorso artistico, in una collettiva in programma fino a novembre Luisa Negri

M

arion Baruch, artista di fama internazionale (ha esposto nei più quotati spazi di Italia ed Europa) è nata a Bucarest nel 1929, ma la sua patria non ha confini. Bucarest o Gerusalemme, Roma o Parigi o Milano, infine Gallarate, la città dove attualmente risiede e opera, sono solo alcune delle località che l’hanno vista amare, studiare e lavorare. Tessendo un filo di relazioni personali e professionali e anche di fantasia e di magia, è riuscita a vivere inseguendo, lo dice lei, la sola cosa che sa fare: il suo lavoro. Cioè dar forma estetica, ma soprattutto un contenuto vitale e umano a quelle idee che la fanno sentire testimone partecipe del suo tempo. A quale terra si sente più legata? Non mi sono mai sentita legata a una terra. Sono cresciuta durante la Seconda Guerra Mondiale e non esisteva la madre terra, esistevano le bombe. Mi sento più legata alle lingue. Ho imparato a parlarne tante, sono loro la mia terra. Le lingue sono un valore sociale, culturale e umano che mi emoziona sempre. Vede, dopo tanto viaggiare, sono al momento ospite in una struttura assistita della provincia: giorni fa un’infermiera mi ha dato un bacio salutandomi. “Sarò qui tra 2 settimane”, vado in Romania mi ha detto. Non sapevo arrivasse dalla mia terra natale, parla un perfetto italiano. La Romania che vedrà oggi la mia amica è, certo diversa da quella dei miei anni d’infanzia.

Marion Baruch

Ha nostalgia della sua patria? Quali ricordi conserva? Da bambina con la mia famiglia per alcuni mesi di guerra fui ospite in una comunità di contadini. Vivevo all’aperto, andavo nei campi con loro, mangiavamo polenta e latte. Ero felicissima. Quella felicità era la mia terra. E lì avevo cominciato a disegnare, tutti i giorni. Avevo una piccola stanza con dei mobili scolpiti che ricordavano il folclore rumeno, io disegnavo e certo pensavo e vedevo in modo diverso, ma se non avessi respirato quell’aria e non avessi abitato in quella stanza, chissà? Forse la mia libertà e creatività sono nate proprio lì. 65


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Gerusalemme cosa ha rappresentato per lei? Ho soprattutto legato il ricordo di questo periodo di vita al mio primo amore. Era ebreo come me (io lo sono per parte di madre e di padre) ed era sopravvissuto ad Auschwitz. Ma lui solo, perché la sua famiglia era stata annientata. Non parlò però mai di questo con me e nel tempo mi sono sempre dispiaciuta di non avergli fatto io delle domande. Forse eravamo giovani e volevamo vivere. L’ho rivisto poi negli anni, si era laureato in filosofia ed era insegnante universitario. Solo una volta mi disse che gli dispiaceva una cosa in particolare: che suo padre non avesse mai saputo che lui si era salvato. La sua scelta di essere artista fu in qualche modo assecondata dalla sua famiglia? Sicuramente, è così, ho respirato arte fin da subito. Mia madre era musicista e compositrice e dunque la sua personalità mi ha portata ad essere a mia volta ispirata dall’arte. Ricordo un patio da cui arrivava un suono incantevole. Credo che quella musica mi sia entrata dentro e non mi abbia più abbandonata. Quelle note e le partiture di mia madre hanno tirato il filo della mia vita, come in un incantesimo. Il mio lavoro non poteva che essere quello di inseguire l’arte. Artisticamente è stata vicina al movimento Fluxus, oggi come si sente collocata? Sì, certo ho conosciuto e frequentato Fluxus e i suoi protagonisti, ma il luogo dell’arte, quella che senti e poi porterai alla luce, è già dentro di

Marion Baruch: “Ciò che conta è il dialogo che il tuo lavoro riesce a instaurare con gli altri. L’arte è la chiave per incontrarsi e avvicinarsi alle persone, è la sola cosa veramente esportabile, se non scatta tutto questo, non hai raggiunto lo scopo” 66

Installazione luminosa “Name diffusion” al Museo di Lucerna

te. Anche il discorso estetico è importante, ma ciò che conta è il dialogo che il tuo lavoro riesce a instaurare con gli altri. L’arte è la chiave per incontrarsi e avvicinarsi agli altri, è la sola cosa veramente esportabile, se non scatta tutto questo, non hai raggiunto lo scopo. Gallarate è stata una scelta di vita familiare: cosa ha trovato qui? Sono venuta qui da Parigi dunque non era facile il cambiamento. Ma ho trovato un ambiente vivo e attivo. Il compagno della mia vita operava nell’imprenditoria tessile. Ero ansiosa di conoscere il suo mondo, di crescere i miei figli. Mi sono inventata così anche una “enterprise fiction” e nel tempo ho registrato un marchio alla Camera di Commercio, Name Diffusion, perché desideravo che altri nomi e artisti operassero con me, condividendo nuove esperienze. Ha instaurato anche ottimi rapporti con la Gam e poi con il Ma*Ga, dove fino a novembre è in corso una collettiva che riguarda anche la sua opera. Ho esposto più volte alla Gam diretta dal carissimo Silvio Zanella e in anni più recenti anche nella nuova sede museale, al Ma*Ga: dove è in corso fino a novembre la collettiva in cui sono parte (“La fantasia è un posto dove ci piove dentro”, ndr). Nel 2018 mi era stata ancora data la possibilità di esporre. Devo ringraziare Emma


La sua installazione filiforme “Abbraccio lo spazio e lo attraverso” era un punto di arrivo, quasi sublimazione dell’arte in una rappresentazione di levità calviniana. Sì, è proprio così. Tutto quello che fai in una vita d’artista si sedimenta in te giorno dopo giorno, poi tutto ritorna fuori. E ne esce sublimato nella sua essenzialità espressiva. Nella mostra di Gallarate ho cercato di utilizzare scarti di tessuti, il mio materiale da sempre prediletto, ritagli di importanti manifatture destinati allo smaltimento, dandogli una rappresentazione essenziale, come mai prima avevo fatto. Mi ero accorta dapprincipio che questi resti avevano una forma, una vita di per sé ma avevo cercato di riferirmi ai maestri dell’arte, Matisse, Kandinsky, Brancusi. Accompagnavo alle mie opere i nomi dei grandi. Poi ho capito che le mie opere, cioè quelle forme che intravedevo negli scarti attraverso i miei occhi, erano cresciute dentro di me e io con loro e dunque potevano, potevamo finalmente circolare in autonomia. Come sta vivendo questo difficile anno? É davvero un brutto momento. Tutto si è fermato. Avevo in corso diverse mostre, tra cui una a Lucerna al Kunstmuseum, curata da Noah Stolz, peraltro ancora aperta. La considero molto importante, perché ripropone una parte essenziale della mia attività artistica. È

una retrospettiva e ci sono anche installazioni che avevo ideato nei miei anni parigini, come la “Chambre vide” e “Tapis volant”. I Tapis erano il senso di un confronto sociale e culturale in cui mi stavo impegnando: quello coi Sans Papier, persone senza identità, cioè inesistenti agli occhi del mondo. Un tema di una realtà che è purtroppo ancora di piena attualità. Così nella installazione mi inventai un gioco capace di unire, creando un dialogo tra le persone. La “Chambre vide” rappresentava invece la stanza vuota di Parigi che stavo per lasciare prima di rientrare in Italia. L’avevo concepita in quel particolare momento: mi allontanavo dalla capitale ed entravo in una realtà diversa per ricominciare da capo. E così l’ho riempita, da vuota, con amici in carne e ossa. Oggi a Lucerna, nella riproposizione della “Chambre vide”, ci sono invece i farmaci accumulati in passato, mai usati, che rappresentano le incertezze di salute degli anni che avanzano.

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e Sandrina Bandera perché mi avevano permesso di muovermi con la massima libertà.

Ma anche quelle di un mondo in lotta con un virus che incalza l’umanità intera? Sì, certamente. E, proprio in riferimento alle difficoltà attuali, era pronta una mia rassegna ad Hong Kong, che si è dovuta rimandare. Ci tenevo a portare fuori dall’Europa, dove ho esposto ormai quasi ovunque, una mia mostra. Ma non mi sono fermata. Ho già cominciato a mettere sulla carta altre idee: anziché ai tessuti guardo al plexiglass. È questo materiale trasparente e leggero, di cui si è parlato, ad attrarmi, dandomi spunti per nuovi incontri e creazioni.

Inaugurazione della retrospettiva di Marion Baruch al Museo di Lucerna con i curatori Fanni Fetzer e Noah Stolz

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▶ ARTE RUBRICHE

La casa museo Pogliaghi, tra novità e ultimi restauri Una collezione archeologica composta da circa 600 oggetti e una artistica fatta di 1.500 opere: il Sacro Monte varesino è custode di un gioiello che rappresenta la meta ideale per gli amanti della storia, dell’Oriente, dell’Occidente, dell’arte e della geografia. Fedele espressione del pittore, scultore, architetto, scenografo, ma soprattutto collezionista milanese che ne fece il suo rifugio prediletto 1857, avesse indicato il 1557, aveva risposto, usando il dialetto che

Luisa Negri tanto gli piaceva sfoggiare: “Hoo ming sbagliaa a scriv, hoo sbaglia

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er chi non lo conoscesse o desiderasse ritornarci, vale sicuramente la visita uno dei più bei musei varesini. Si tratta della casa museo di Lodovico Pogliaghi, al Sacro Monte di Varese, che porta il nome di questo importante artista e collezionista del secolo scorso. Milanese di ottimi natali, noto per la sconfinata cultura e attività, a un certo punto della sua vita decise di ritirarsi per sempre nella casa studio da lui costruita, in origine solo laboratorio e deposito delle sue ricche collezioni d’arte (oggi 1.500 opere) e archeologiche (circa 600 oggetti). Il Pogliaghi divenne così nel tempo Sacromontino a tutti gli effetti. Tanto che si occupò anche della realizzazione dell’altare del Santuario dedicato alla Vergine, nonché della sistemazione architettonica del cimitero locale, dove è sepolto accanto alla consorte Maria Rizzi. Era pittore, scultore, architetto e scenografo apprezzato e ancora raffinato decoratore (suoi i mosaici per la tomba di Giuseppe Verdi a Milano, così come gli stucchi della Basilica di San Vittore in Varese). Aveva insomma una competenza paragonabile a quella degli artisti del Rinascimento. Tanto che, avendogli qualcuno fatto notare che in un documento, anziché scrivere come data di nascita il

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a nass”, ovvero “Non ho sbagliato a scrivere, ma a nascere”. Tornando alla casa laboratorio, divenne nel tempo quell’ampio museo che oggi si offre al godimento di chi la visita. Corpo principale del complesso è la Villa ottocentesca, da lui poi costruita, che si staglia alta sul profilo del paesaggio con ingresso dalla parte

Tra i pezzi di maggior richiamo sono due sarcofagi egizi che vi portò lo stesso Pogliaghi, soddisfacendo la sua passione archeologica. E attorno ai quali il museo ha di recente costruito un particolare percorso dedicato alle scuole


alta della via Sacra. Si accede dal coreografico giardino tra mura in sasso e scenografie classicheggianti di statue romane. Il secondo edificio rustico in legno, e primo studio, è ancora oggi luogo espositivo, visitabile a richiesta. La dimora, con timpano dorato realizzato a mosaico, ha loggiati con volumi simmetrici ma diseguali. E di sala in sala rivela al piano nobile, nella disposizione estrosa che ricalca in pieno quella originale voluta dal Pogliaghi, la varietà di interessi del collezionista. Per la geografia e la storia, espressa attraverso oggetti di utilità ed estetica molto diversi tra loro: vetri, tappeti, tessuti, mobili antichi dell’Occidente e dell’Oriente collezionati in anni di ricerca. Tra i pezzi di maggior richiamo sono due sarcofagi egizi che vi portò lo stesso Pogliaghi, soddisfacendo la sua passione archeologica. E attorno ai quali il museo ha di recente costruito un particolare percorso dedicato alle scuole. L’opera artistica più interessante della collezione è una scultura greca, un Dioniso di scuola prassitelica in marmo bianco, che lui stesso identificò come tale e restaurò, dopo l’acquisto nel 1893 dalla collezione Borghese. Altri due interessanti pezzi sono lo Stamnos (recipiente per liquidi) a figure rosse e nere, rinvenuto a Tarquinia, probabilmente reperto scovato tra vasi attici provenienti dai ricchi centri etruschi. Del Morazzone, gloria pittorica del’600, è il Cristo eucaristico, con firma dell’artista, parte di un tabernacolo ligneo realizzato quasi certamente negli anni di lavoro che lo portarono a operare nelle chiese varesine, in primis in Basilica e poi alla Via Sacra.

Figlio di una musicista e pittrice e di un ingegnere ferroviario, il Pogliaghi aveva in gioventù assecondato l’amore per l’arte, coltivato in famiglia intraprendendo studi alla Accademia di Brera, dove conobbe Giuseppe Bertini. Con lui collaborò in lavori di decorazione, riallestimento e restauro al museo Poldi Pezzoli di Milano. Sempre per Milano realizzò la imponente porta centrale del Duomo dedicata alla Vergine, con splendidi motivi gotici. É stata di recente oggetto di restauro, da parte del laboratorio San Gregorio, la copia della stessa in gesso (10 metri di altezza per 6 di larghezza), prodotta dall’artista durante i lavori preparatori, tra le testimonianze di maggior interesse del museo Sacromontino. Il restauro è stato promosso dalla Parrocchia di Santa Maria del Monte in partnership con la veneranda Biblioteca Ambrosiana di Milano e il sostegno di Fondazione Paolo VI, Fondazione Pogliaghi, Arcidiocesi di Milano, Università degli Studi dell’Insubria, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e Regione Lombardia. Che ha coperto il 70/% delle spese. La copertura totale è arrivata poi da privati visitatori e aziende. Donato alla Santa Sede per volontà dell’artista, il museo è dal 1937 posto sotto il patrocino della Veneranda Biblioteca Ambrosiana. Dopo la morte di Pogliaghi, nel giugno del 1950, il 5 luglio del 1952 fu aperto per la prima volta al pubblico. Seguì un restauro a cura di Alberto Ferrari, Giorgio Invernici e Silvano Colombo, grazie alla fondazione Cariplo e alla Ambrosiana, che permise poi dal 2005 l’alternanza di mostre temporanee. La sua riapertura definitiva è datata 2014 e ora è parte integrante del circuito museale Sacromontino, insieme con il museo Baroffio e del Santuario e la cripta dello stesso, in un unico itinerario di arte e di fede.

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Esedra dei marmi

Per informazioni su aperture e prenotazioni biglietti: casamuseopogliaghi.it info@casamuseopogliaghi.it 328 837 7206 L’ingresso della casa museo Pogliaghi

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a cura di Maria Postiglione

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AMICI DI PIERO CHIARA PREMIO CHIARA FESTIVAL DEL RACCONTO 2020 XXXII EDIZIONE Un calendario fitto di personaggi di rilievo che porteranno le loro interessanti testimonianze. Sabato 19 settembre ore 21.00, Piazzetta Cinema Garden, Gavirate Gavirate tra letteratura e musica. Grammatica della fantasia di Gianni Rodari Concerto e lettura con Francesco Giacosa pianoforte, Elgi Zulli sax soprano, Stefano Aldovisi voce Domenica 20 settembre ore 16.00, Cortile Municipio, Azzate Gianni Rodari “Favole al telefono”. Letture con Betty Colombo Venerdì 25 settembre ore 21.00, Sala Triacca, Proloco Azzate Maria Grazia Ferraris “L’altro Rodari”. Introduce Romano Oldrini Sabato 3 ottobre ore 16.30, Salone Estense, Varese Incontro con i finalisti Premio Chiara Giovani 2020 – Presentazione del volume “Acqua” Domenica 4 ottobre ore 17.00, Villa Recalcati, Varese “La speranza al tempo del Covid-19”. 31 racconti per andare oltre il Coronavirus Premiazione concorso letterario della Scuola Media Vidoletti Giovedì 8 ottobre ore 18.00, Biblioteca Civica, Varese Alda Merini “L’eroina del caos” ed. Cairo. L’autrice Annarita Briganti intervistata da Andrea Giacometti Sabato 10 ottobre dalle 9.00 alle 13.00, Villa Recalcati, Varese Seminario di scrittura “Come scrivere una fiaba”. Con Beatrice Masini Giovedì 15 ottobre ore 21.00, Biblioteca Frera, Tradate Andrea Vitali “Andrà tutto bene”, ebook Garzanti. Dialoga con Maurizio Lucchi, direttore de La Prealpina Venerdì 16 ottobre ore 21.00, Villa Recalcati, Varese Marco Crepaldi “Mio figlio prigioniero volontario”. Hikikomori intervistato da Michele Mancino Sabato 17 ottobre dalle 9.00 alle 13.00, Villa Recalcati, Varese Seminario di lettura espressiva “Fai vivere la tua voce”. Con Claudia Donadoni e Nicola Tosi Ore 17.30, Biblioteca Cantonale, Lugano Presentazione Finalisti XXXII Premio Chiara. Maria Attanasio, Ermanno Cavazzoni, Valerio Magrelli Domenica 18 ottobre ore 11.00, Museo Maga, Gallarate Presentazione Finalisti XXXII Premio Chiara. Maria Attanasio, Ermanno Cavazzoni, Valerio Magrelli Premiazione Premio Chiara Giovani e Premio Chiara Inediti 2020. Premiazione Vincitore Premio Chiara 2020 Martedì 20 ottobre ore 17.00, Museo Maga, Gallarate Apertura Mostra fotografica FINIS TERRAE di Maria Cristina De Paola, vincitrice Premio Prina 2019 Ore 18.00 Intervista con la fotografa e la curatrice. Conduce Bambi Lazzati, con proiezioni Gli appuntamenti saranno realizzati nel rispetto delle disposizioni di sicurezza sanitaria, l’accesso al pubblico sarà solo su prenotazione tramite il sito www.premiochiara.it oppure tel. 0332 335525 - 335 6352079 70


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▶ SPORT

Varese torna a volare alto

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Ph. Alberto Sironi

I primati personali e il podio nella gara a squadre al recente mondiale di volo a vela in Australia. I progetti che hanno riportato la struttura di Calcinate del Pesce alla ribalta internazionale degli alianti. L’impegno per le attività paralimpiche. Intervista a Margot Acquaderni, Presidente dell’Aeroclub “Adele Orsi”


Ne scelgo due in particolare. Una delle cose che più mi ha dato sod-

Andrea Della Bella disfazione è stata quella di essere riuscita a riportare l’aeroclub sulla

Margot Acquaderni, tutto ciò che ha realizzato nel campo del volo a vela ha un punto di partenza ben preciso: il quartier generale di Calcinate. Partiamo quindi da lì. Dai risultati che ha fin qui ottenuto da Presidente. Quali le stanno più a cuore?

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Ovvero? Calcinate ormai ospita in maniera costante una tappa del Grand Prix. Poi ricordo un seminario internazionale rivolto alle donne pilota di alianti di tutto il mondo, due raduni vintage, i Campionati Italiani e gli stage di Alta performance. Insomma, dal 2013, quando sono diventata Presidente, ad oggi sono stati anni intensi, faticosi, ma anche esaltanti. E il secondo progetto di cui accennava? La definirei una vera perla. Unica e della quale andare tutti fieri. Siamo diventati il primo centro paralimpico di volo in aliante. E la cosa straordinaria è che lo spunto è arrivato quasi per caso. Come? Un socio del nostro aeroclub mi ha parlato del desiderio di un suo amico, costretto sulla sedia a rotelle a causa di un incidente, di voler prendere il brevetto. “Perché non provarci” ci siamo detti e così abbiamo iniziato a lavorare a questo progetto.

Ph. Alberto Sironi

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on si sa esattamente da dove partire. Se dalla lunga sequela di record ottenuti in una carriera sportiva da voloavelista, che potrebbe regalare altre grandi soddisfazioni oppure dai progetti, molti dei quali veri e propri fiori all’occhiello, concretizzati dal Presidente dell’Aeroclub di Calcinate del pesce. Sta di fatto che Margot Acquaderni, primo Presidente donna di un aeroclub e oggi al secondo mandato alla guida dell’Adele Orsi, vola sempre. Alto. Anche quando ha i piedi ben piantati per terra. Senza contare i riconoscimenti personali quali la Pelagia Majewska, medaglia che porta il nome della voloavelista polacca assegnata all’Acquaderni nel 2016 dalla Federazione aeronautica internazionale, per la fondazione delle Pink fly, un club di pilota tutto al femminile; il Paul Harris, massimo riconoscimento dei Rotary per il progetto disabili e la nomina in una commissione internazionale per lo sviluppo del volo femminile (non soltanto del volo a vela), arrivata nel 2018 dopo che a Calcinate è stato ospitato un evento internazionale importantissimo: il Fly Donna.

scena internazionale. L’apice di questo percorso è stato sicuramente la finale mondiale del Grand Prix del 2015, quando nei cieli di Varese hanno gareggiato i migliori voloavelisti al mondo. Un banco di prova importante che non si è esaurito lì.

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Risultato? Abbiamo acquistato un dispositivo che rimanda l’utilizzo della pedaliera alla barra, così che l’aliante si possa pilotare solo con le mani. E Igor Macera ha potuto prendere il brevetto e realizzare il suo sogno. E posso garantire che vedere una persona con disabilità volare e pilotare un aliante è un’emozione grandissima. Perché appena stacchi dal suolo i limiti imposti dalle problematiche fisiche, essi vengono lasciati a terra.

Acquaderni, idealmente, ci porti con lei sul suo aliante: l’ultima impresa che ha messo a segno quale è stata? Quest’anno a gennaio ho partecipato ai Campionati del Mondo in Australia. Un po’ delusa dal risultato personale, sono arrivata decima, ma speravo in qualcosa di meglio. La soddisfazione però è arrivata dalla squadra: siamo riuscite a salire sul podio e a mettere dietro Germania, Francia, Stati Uniti, Repubblica Ceca e Austria, nazioni sulla carta molto più forti e attrezzate di noi.

Cos’ha lasciato al club questo brevetto speciale? Tantissimo. Sia sotto il profilo umano, sia sotto l’aspetto più legato all’attività sportiva. Ora siamo un centro paralimpico. Certo non abbiamo grandi numeri, ma anche sotto questo profilo siamo un punto di riferimento. Non solo. Portiamo avanti anche una collaborazione con l’Unità spinale dell’ospedale Niguarda di Milano, dove teniamo incontri di promozione del nostro sport in nosocomio, ma poi ospitiamo a Calcinate le persone coinvolte.

Lei ha solcato i cieli di tutto il mondo. E dall’alto ha visto montagne e deserti. E l’Australia? Rovente. I mondiali si sono disputati a Lake Keepit, dove in genere c’è un lago enorme e tantissimo verde. Ma a gennaio scorso è stato il periodo della grande siccità e dei roghi. La nostra zona per fortuna non era interessata, ma il vento portava il fumo e quindi spesso mi sono trovata immersa in queste nubi. Con un caldo torrido che ha raggiunto anche i 50 gradi. Ecco gareggiare in queste condizioni per 10 giorni di fila è stata un’impresa nell’impresa. Alla fine, ero fisicamente provata. E dire che sono arrivata all’appuntamento super allenata.

Alla fine del secondo mandato manca ancora un anno. Qual è il progetto in pista di decollo che vorrebbe far partire? Il sogno è quello di creare un centro di allenamento voli di performance. Abbiamo le strutture per farlo e anche le competenze. Vorrei sfruttare la fortuna di avere tra i nostri soci Stefano Ghiorzo, tre volte Campione del Mondo oltre a un prestigioso palmares di livello internazionale. E giusto per non farci mancare nulla, vorrei consolidare ancor di più la nostra presenza sullo scenario internazionale. Il Covid purtroppo non ci ha dato una mano, ma ora per venire a volare a Varese e partecipare alla tappa del Grand Prix che organizziamo c’è davvero la corsa tra i voloavelisti. Bello.

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A livello personale invece l’ultimo record a quando risale? Al 2019: 680 chilometri in triangolo. Un volo geometrico: per farmi intendere, con il mio aliante ho dovuto “disegnare” un triangolo equilatero sorvolando le Alpi. Sono stata la prima donna a stabilire questo primato.


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Il cinema della “New Hollywood” tra storia, arte e psicologia. Il giornalista varesino, Direttore di Rete55, si 76

cimenta in un lavoro dedicato ad una delle sue passioni: il cinema. Che voi siate amanti dei film da divano, voraci fruitori di commedie su Netflix o raffinati frequentatori delle pellicole d’annata, la settima arte raccontata dalla raffinata penna di Inzaghi vi incanterà. “Gli anni della New Hollywood – si legge nella presentazione – sono uno spartiacque storico e culturale prima ancora che artistico. Registi visionari, attori carismatici e sceneggiatori anticonformisti conquistano il successo con un elenco di titoli che hanno il sapore della sfida epocale: codici e linguaggi del cinema vengono reinventati attraverso film di rottura che scardinano l’approccio classico, introducono un nuovo modo di guardare e interpretare la realtà. Dalla tragedia del Vietnam al Watergate. Questo libro racconta quella svolta: dalla prima pallottola agli ultimi cancelli”. Con l’introduzione di Antonio Maria Orecchia.

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“Poche parole e un respiro, profondo: ‘Chi ha bisogno di Willy’ mi consente di incontrarmi anche con un altro bisogno e provare a dargli risposta, insieme. Quello di uscire, trovarsi dopo questi mesi difficili e provare a costruire un po’ di fiducia nel futuro anche grazie a un libro. Willy mi aiuta un po’ a leggere i tempi, lui che di tempo se n’è preso per venire alla luce, sfidando il mio pudore e muovendosi per la propria strada”. Così scriveva sul suo blog la nota giornalista bustocca, in occasione delle prime presentazioni del libro, con la sua personalissima capacità di condividere emozioni in parole. Un romanzo uscito in tempo di ripartenza, un omaggio alla natura di casa nostra, una storia che sa di tenerezza e speranza. Violetta si rifugia su una collina vicino al Lago Maggiore in cerca di pace. Ama la natura e scrivere storie di animali. Un giorno incontra un bambino che la strappa alla sua solitudine. Ma il piccolo scompare. Seguendone le tracce, dovrà cercare anche se stessa, con alleati insospettabili.

marilenalualdi.it


DAI SAPERI DISCIPLINARI ALLE COMPETENZE Il Mulino, 2020

Strategie organizzative per la progettazione del curricolo. In un momento così complesso e di transizione per la scuola si inserisce una pubblicazione tecnica sull’approccio educativo e sul sapere. “Nella scuola italiana – si legge nella presentazione – si è sviluppato da tempo un dibattito tra i sostenitori del valore fondante delle discipline e l’approccio pedagogico delle competenze e i due punti di vista sono stati percepiti in modo antitetico. Il testo propone una possibile risposta centrata sul processo di progettazione, erogazione e controllo del servizio didattico, che vede nelle discipline la risorsa fondamentale per lo sviluppo delle competenze”. Una vera e propria guida alla progettazione del curricolo. Un testo diviso in tre parti: “I fondamenti epistemologici”, “Il modello di progettazione” e “Le applicazioni nei diversi ambiti”.

mulino.it

Francesco Muzzopappa

IL PRIMO DISASTROSO LIBRO DI MATT De Agostini, 2020

Alberto Brambilla

IL VERDE È SOMMERSO IN NERAZZURRI Nomos, 2020 IN LIBRERIA

Luisa Ribolzi, Claudio Gentili, Angelo Maraschiello, Paola Benetti, Vittoria Gallina

Matt ha 12 anni, un ciuffo nero ostinatamente in disordine e una spiccata tendenza per i guai. Stavolta però l’ha combinata davvero grossa… Ma d’altra parte, cosa poteva saperne che i razzetti, se innescati e posizionati vicino ai cespugli, sono in grado di incendiarli? Cosa poteva saperne? Cosa? Una storia per ragazzi e ragazze mai cresciuti con nota legata al territorio. È, infatti, stampato a La Tipografica Varesina. Con le illustrazioni di Matteo Boila e di Sio, celebre disegnatore e youtuber. Una recensione fatta bene? Eccone una scovata su Amazon e che dice tutto: “Mi sarebbe piaciuto mettergli un milione di stelle ma purtroppo il massimo era 5. In una frase ho riso 100.000.000.000 volte. Lo consiglio a tutti i ragazzi che abbiano compiuto 9 anni”. Matteo, 9 anni.

Vittorio Sereni e lo sport: scritti 19471983. Una pubblicazione che è un vero e proprio gioiellino perché rilegge la figura del celebre poeta e scrittore in chiave originale e a tinte colorate: nerazzurre per la precisione. Sfegatato tifoso interista, fervente ammiratore del campionissimo Coppi, Sereni ha amato lo sport. Lo sport, non a caso, è tra i materiali popolari più usati per costruire, frammento dopo frammento, la sua complessa poesia. Il volume si apre con una guida critica a questi percorsi poetici che coinvolgono e dialogano anche con scritti in prosa, come si dimostra nella seconda parte del libro. Chiude un’ampia sezione antologica. “Appare così un Sereni sorprendente e in parte sconosciuto, che disquisisce con sapienza di tattiche calcistiche, fa della tecnica di Meazza un modello ideale di bellezza, oppure trasforma una banale cronaca in un sofferto bilancio esistenziale”.

deaplanetalibri.it

nomosedizioni.it

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DAL WEB

La nuova vita di Twitter Sembrava uno strumento obsoleto e, invece, no. Il social media dei cinguettii ritorna popolare e, soprattutto, continua a fare opinione. Un aspetto da non sottovalutare, soprattutto, in questo momento storico ne del report finanziario.

Silvia Giovannini Ma qual è la forza del mezzo? Molto bene scriveva Riccardo

È

morto. No, è solo moribondo, agonizzante, in pratica più di là che di qua... No, aspetta, si è ripreso. Respira. È vivo. Sta benone! Parliamo del Blog. E della Newsletter. E di Twitter... La comunicazione, si sa, non è una scienza esatta, non ce ne vogliano sedicenti influencer spararegole. Quante volte vi hanno sconsigliato di lasciar perdere uno strumento perché superato, per poi scoprire che sarebbe stato perfetto per la vostra situazione? Ecco, in un ambito in cui tutto cambia in fretta, questo è ancora più vero. La storia ci insegna che le previsioni possono lasciare il tempo che trovano e strumenti e idee che sembravano vecchie mummie, in realtà erano i jolly del mazzo. Ed è così che, dopo aver dato per spacciato il social media cinguettante, ci ritroviamo a farci un’opinione – politica, economica, sulla salute e, ovviamente, calcistica e musicale – a forza di frasi da 280 caratteri. Che non restano lì, ancorate nel feed, per dirlo alla twittera, ma prendono il volo, non a caso, e vengono rilanciate sugli altri social e persino nei giornali e nei Tg. Come fonti certe, come i buoni vecchi virgolettati, tanto cari ai giornalisti e spesso difficili da reperire altrimenti. Ancora nel 2020. Ottimo stato di salute, quindi? Sicuramente una vita nuova. Senza scomodare troppo i numeri, che crescono sì, ma non come quelli di Facebook. Un paio di sani punti percentuali annui (secondo l’aurea analisi targata Wearesocial), che comunque sono una buona garanzia della salute del paziente. Volava alto anche il dato economico prima del lockdown: nel quarto trimestre 2019 il social media ha registrato la crescita trimestrale più alta di sempre (+21%) di utenti attivi giornalieri con relativo balzo del titolo a Wall Street alla pubblicazio-

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Esposito già nel 2015: “Twitter serve a fare amicizia”. A leggere i tweet di gente che si insulta a male parole e si augura anche lì una morte lenta e dolorosa, non ci si crede. Invece, la sintesi di Esposito è chiara: Twitter è il social perfetto per fare rete, creare relazioni e, quindi, far sentire la propria voce alle persone giuste. Lo sanno i politici che ormai da anni usano questo mezzo con più o meno capacità, ciascuno secondo il proprio stile (o mancanza di stile). Lo sanno gli esperti in diversi campi: non a caso i virologi si sono misurati sul campo a colpi di tweet in questo periodo. E per le aziende? Il consiglio è di inserire Twitter in una buona campagna di marketing? Ni. Il consiglio è di stare alla finestra, di farsi un’opinione del social che fa opinione. La storia, anche quella recente, ci si insegna che tutto cambia ed è bene sapere quali prospettive e obiettivi può avere ogni singolo strumento di comunicazione. Per non perdere un’occasione. Mentre scriviamo, lo stesso canale sperimenta nuove funzionalità. Intanto potete seguire l’Unione Industriali e Varesefocus su Twitter (@univa_stampa). Un domani chissà.

Quante volte vi hanno sconsigliato di lasciar perdere uno strumento perché superato, per poi scoprire che sarebbe stato perfetto per la vostra situazione?


solo su

Le ultime notizie sulle #ImpresediVarese dal web e dai social network

solo su

univa.it

varesefocus.it

Call for digital

Storie d’impresa da ascoltare

Per supportare le imprese nella scelta di fornitori in ambito tecnologico e digitale, soprattutto in risposta ai numerosi bandi legati all’innovazione pubblicati per l’emergenza Covid-19, l’Unione Industriali varesina ha avviato una “Call for Digital”. Sul sito Univa è presente un elenco delle imprese associate che hanno aderito e che corrispondono ai requisiti più diffusi per i fornitori di tecnologie ammesse nei bandi.

C’era una volta, all’inizio del secolo scorso, un ragazzo con due passioni: la montagna e la gomma. Un giorno, mentre guidava alcuni escursionisti sulle Alpi, una tempesta fece morire i suoi compagni per assideramento. Tornato a casa, ideò una soluzione affinché quella tragedia, secondo lui legata alla pericolosità delle scarpe, non si ripetesse più. Con ingegno, talento e un amico speciale di cognome Pirelli inventò la suola che rivoluzionò il mondo. Questa e altre affascinanti storie d’impresa le trovate nella rubrica “Buongiorno Impresa” sotto forma di podcast sia sul blog di Varesefocus sia sull’omonimo canale Spreaker della nostra rivista.

Riccardo Di Stefano è il nuovo Presidente dei Giovani Imprenditori di Confindustria: l’imprenditore si unisce alla squadra di Confindustria come Vicepresidente di diritto.

DAL WEB

Obiettivo Innovazione

Luca Spada, Amministratore Delegato di Eolo e Antonio Calabrò, Direttore di Fondazione Pirelli e Vicepresidente di Assolombarda, entrano nel Consiglio di Amministrazione della LIUC.

“Se la Lombardia non riparte, resterà ferma anche l’Italia”. Il Presidente di Confindustria Lombardia Marco Bonometti interviene a Innovation Days organizzato da Il Sole 24 Ore. 79


Dalle

DAL WEB

#ImpresediVarese

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I colori della ripartenza: una selezione di post di Instagram delle imprese di Varese. L’account dell’Unione degli Industriali della Provincia di Varese è #generazionedindustria.


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