Albero della vita n°4 2017

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L'albero della vita


L' Albero della vita L’ALBERO DELLA VITA

Anno 2 numero 4 Dicembre ­ Gennaio 2018 COORDINATRICE EDITORIALE Gabriella Madeyski REDATTORE CAPO Giuseppe Ragusa

L'Albero della Vita | dicembre ‐ gennaio 2018

REDAZIONE Cecilia Barbato Gabriella Bontà Albachiara Gasparella Donatella Grespi Dino Santarossa GRAFICA e versione on line Dino Santarossa HANNO COLLABORATO: Paolo Baldan Giancarlo Bontà Elsa Caggiani Mauro Cicero Lino Gatto Edo Guarneri Ernesto Prete Bruna Saro Nicolò Tron Michela Varola

In copertina 1A Foto da internet: http://www.maccanismi.it/2013/11/21 4A Acquerello:Veduta del Duomo di Mogliano V. di Pietro Giovecchi 2a 3a 4a 5a 6a 8a 9a 10a 11a 12a 13a 14a 15a 16a 17a 18a 19a 20a 21a 22a 23a

Sommario Editoriale Saluto della Presidente Elsa Caggiani Viaggiare è vivere Indietro nel tempo Il più bel regalo La nonna racconta:un regalo per Giulio Il piacere della lettura Premio Berto 2017 Biblioweek Il giardino delle muse: poesie Musica:Fryderyk Chopin Menu:cena della vigilia Breve storia del baccalà Medicina: Consigli dietetici dopo le feste I nostri lettori raccontano: Testimonianze di gioventù Una briciola di Risorgimento Attendendo il Natale Cinema, che passione La Grande Guerra e il miracolo del Natale Pala di Santa Cristina

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Editoriale Gabriella Madeyski Siamo di nuovo a Natale! Con il trascorrere degli anni, anche se abbiamo l’impressione che il tempo si accorci, l’entusiasmo con cui si aspetta questo giorno è sempre lo stesso. C'è qualcosa nel Natale che mi commuove ed inebria il cuore ancora oggi, come quando ero bambina. Ripenso a me alle prese con gli addobbi dell'albero di Natale ed il Presepe, in attesa di quel Babbo Natale (che già sapevo essere mamma e/o papà) che mi avrebbe portato tanti bei doni. Ed ancora, ripenso ai canti natalizi (Jingle Bells su tutti), alle pubblicità a tema di grandi catene alimentari, al colore rosso (senza non sarebbe Natale), al profumo dello zucchero a velo che scende copioso sul mio pandoro, al fuoco ed alle sue fiamme giallo­rosse che "scaldano" l'anima e "bruciano" i brutti pensieri, perché a Natale non ci si può permettere di essere tristi. Il fascino del Natale, infatti, è grande e magico; le sue luci, le decorazioni, i preparativi sembrano concorrere a trasmettere molta serenità. Un tempo si festeggiava il Natale in modo semplice, prevaleva la festa religiosa e la messa di mezzanotte riscaldava il cuore. Nelle famiglie c’era un presepe molto semplice e generalmente senza albero di Natale. I doni erano pochi ma regalavano tanta felicità. Il Natale era quindi il momento dell’anno in cui grandi e piccoli trovavano armonia e pace, era un’occasione per ritrovare i propri cari. Oggi il nostro è il Natale dell’opulenza e dei regali inutili. Anche quest’anno siamo tutti in giro per i negozi a pensare ai regali che dobbiamo fare e come al solito, forse senza volerlo, ci stiamo perdendo nel consumismo. Ormai c’è molto poco di religioso in questa festa e spesso si scorda che il Natale dovrebbe essere anche un periodo di riflessione. Sicuramente la prima cosa che si chiede a Natale è la gioia. Troppo spesso, nel mondo degli adulti, per trovarla ci si rivolge a doni, viaggi, vacanze e feste, per poi accorgersi alla fine che la gioia vera non c’è. Purtroppo, ancora oggi, dopo tanti progressi, e dopo tante guerre che hanno portato sofferenze e distruzione, ci ritroviamo a dire che il vero Natale è la pace fra gli uomini e che è necessario dare un senso al Natale. Probabilmente tutti noi ci chiediamo cosa possiamo fare per realizzare questa comune aspirazione; secondo me la prima cosa è avvertire la responsabilità di fare la propria parte per dare la serenità a tutti. Il Natale, infatti, è un momento di gioia, una testimonianza di amicizia, di sentimenti fraterni, di fede, di ricongiungimento familiare ma anche di responsabilità. Non è del tutto vero il detto “da grandi poteri derivano grandi responsabilità” anche noi, nel nostro piccolo, abbiamo la nostra responsabilità e non dobbiamo dimenticarci che già l’appartenere ad una associazione come l’Unitre apre alla collettività. Italo Calvino ha detto “le associazioni rendono l’uomo più forte e mettono in risalto le doti migliori, e danno la gioia che raramente s’ha restando per proprio conto….” Mi auguro che il Natale, con il suo significato più vero, possa dare a tutti la gioia di vivere, la gioia di guardare al futuro, il piacere e la serenità di incamminarsi verso il nuovo anno. A tutti auguro di cuore Buon Natale e Buon Anno e tanti auguri di pace, serenità e umana fratellanza.

Buon Natale Buon Natale perché? Perché la nascita di un bambino è la rinascita dell’umanità, è la vita che si rinnova nella sua purezza ancora immacolata. Perché Natale è il nostro ricordo della luce dei Natali passati, la gioia che si rinnova nell’abbraccio dei nostri cari, è la nostra speranza nel futuro. Perché Natale è la felicità dell’amore semplice, dell’amore gratuito, del calore della famiglia,. Perché Natale è amore. Perciò auguro a tutti Buon Natale

Elsa Caggiani 3


Don Milani Sacerdote di Frontiera

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Elsa Caggiani L’incontro con lo scrittore Mario Lancisi, che ha dato inizio al nostro anno accademico, mi ha indotto ad approfondire la conoscenza di Don Milani, di questo sacerdote di frontiera, un profeta dalla personalità forte e spigolosa, molto amato e molto odiato, combattuto in vita dalla gerarchia ecclesiastica ed ora rivalutato da Papa Francesco. Ho letto le sue tre opere fondamentali e i libri a lui dedicati da Michele Gesualdi (il suo miglior discepolo, divenuto addirittura presidente della provincia di Firenze) e da Mario Lancisi. Avevo già conosciuto la sua opera più famosa, tradotta in tutto il mondo, la “Lettera a una professoressa” nei miei primi anni d’insegnamento; essa mi aveva da una parte affascinata per la sua caratura profetica, dall’altro infastidita, soprattutto perché era divenuta la bandiera dei “sessantottini don milanisti” (criticati e combattuti anche da Gesualdi e Lancisi). “La lettera” era stata trasformata nel manifesto di una scuola facile, dove era assicurato il successo a tutti gli studenti, indipendentemente dal loro impegno di studio e da quanto appreso. Invece – e adesso è riconosciuto da tutti­ per Don Milani la scuola ha una funzione cruciale per la costruzione del cittadino consapevole, di una “massa colta”, non solo di una “dirigenza colta”, che egoisticamente pensi solo alla sua sopravvivenza. “La scuola siede fra il passato e il futuro e deve avere presenti entrambi. E’ l’arte delicata di condurre i ragazzi su un filo di rasoio: da un lato formare il senso della legalità, dall’altro la volontà di leggi migliori, cioè il senso politico”. Essa deve soprattutto aiutare gli studenti più deboli, provenienti da classi sociali povere e ignoranti, a conquistare il possesso di una cultura concreta e utile al riscatto sociale. La scuola deve insegnare ad “imparare”, e perciò deve essere seria, integrale, a tempo pieno, tutto il giorno, tutti i giorni dell’anno. Il testo è rivoluzionario anche nello stile: le parole e le frasi sono volutamente semplici e comprensibili a tutti, ed è frutto di un lavoro collettivo, a cui hanno collaborato Don Milani e tutti suoi studenti. “Esperienze pastorali” è la prima opera di Don Milani (1958), ma è stata conosciuta tardi, solo nel 2014, perché la Chiesa ne aveva proibita la diffusione, ritenendola “inopportuna”. In essa il “Sacerdote di frontiera” propugna una Chiesa povera, rivolta ai poveri, che rinunzi al potere per divenire fermento e lievito del mondo, e richiami tutti i fedeli –per prima se stessa­ alla coerenza profonda tra fede e azione. Anticipa perciò di dieci anni la grande riforma del Concilio Vaticano II, riforma ancora oggi in divenire. A Florit, cardinale di Firenze, che lo osteggiò fortemente, Don Milani disse poco prima della morte: “non possiamo andare d’accordo, perché io sono 50 anni avanti a Lei!”. E’ un testo faticoso da leggere, sia per la stampa anastatica, sia perché eccessivamente basato su dati e statistiche (alcuni poi sono confluiti nella “Lettera a una professoressa”). E’ però lucidissimo nel mostrare la superficialità e ipocrisia della fede cristiana popolare negli anni 50, e la vacuità del potere ecclesiastico tradizionale. Devo confessare, da donna, che sono stata turbata dal fatto che Don Milani, affermi che “per la donna il lavoro non casalingo va considerato una cosa innaturale”. Egli stesso però si pone il dubbio se questa sua concezione sia dovuta all’abitudine e alla tradizione, e auspica la piena parità di diritti della donna, pur nella “diversa funzione.” Però il testo che più mi ha colpito, perché ritengo sia di straordinaria attualità, è la “Lettera ai giudici”, che non avevo mai letto. Don Milani fu citato a giudizio per la sua difesa dell’obiezione di coscienza (che ancora nel 1967 era proibita in Italia) e condannato nel processo di appello. La pena non fu comminata “per morte del reo”. Non potendo presentarsi personalmente in tribunale perché gravemente malato, scrisse questa “Lettera”, in cui affronta il tema della pace e della guerra, della disobbedienza civile, richiamando al fondamentale primato della coscienza individuale sulla legge umana, e anche religiosa. L’obbedienza non deve essere la conformità passiva al potere dominante, sia quello della Chiesa, sia quello della società civile. Ma anche la disobbedienza può divenire sottrazione dalla propria responsabilità individuale, se non presuppone l’obbedienza a un'istanza superiore. In questi giorni è vivo nella nostra società il dibattito su questioni fondamentali che coinvolgono la nostra coscienza: il valore della vita e della morte, la distinzione fra cura medica doverosa e l’accanimento terapeutico, il testamento biologico, l’accettabilità o meno del suicidio assistito. E’ significativo che Michele Gesualdi, colpito da SLA, forte dell’educazione ricevuta dal Maestro Don Milani, sia intervenuto con una “Lettera” rivolta presidenti di Camera e Senato e ai capigruppo parlamentari per affrettare la legge sul testamento biologico. Don Milani è quindi non solo una voce profetica che ha parlato nel nostro recente passato, ma anche che continuerà a parlare nel futuro.

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Viaggiare è vivere Gabriella Madeyski Viviamo in un mondo veloce, dove il tempo sembra via via contrarsi: continuamente connessi, chiamati a rispondere in tempi brevi a e­mail tweet e sms, iper­sollecitati dalle immagini, in una frenesia visiva e cognitiva dai tratti patologici. La vita per tutti noi è diventata una corsa continua per dimostrare a se stessi, e agli altri, che siamo al passo con i tempi. Troppo spesso si dimentica che solo rifuggendo la velocità si può riacquistare il ritmo vero della vita, il senso dello spazio e del tempo. L’anno volge al termine, e i ricordi della caldissima estate 2017 si stanno affievolendo; è il momento di incominciare a programmare le nuove vacanze. Come è noto, una delle motivazioni storiche che spinge le persone a viaggiare e ad andare in vacanza è “vedere posti nuovi”. Ancora oggi gran parte delle persone giustifica con questa motivazione le proprie scelte di vacanza ma, sotto sotto, soddisfa la propria ambizione e spera di dimostrare come abbia viaggiato più degli altri. In realtà “vedere” posti nuovi, oltre che cambiare scenario, dovrebbe significare anche “scoprire” e “conoscere”, e in lunghe distanze fare bagni o ascensioni, ammirare paesaggi, monumenti, città. E’ anche venire a contatto con genti e civiltà diverse dalla nostra, capirsi e,

https://www.skuola.net/

possibilmente amarsi. Per questo bisogna liberarsi dello stereotipo del “turista culturale” inteso come persona che, in vacanza, ama passare da un museo all’altro, da un monumento a un castello, e che si sottopone a tour massacranti nelle città d’arte, e ricordarsi, invece, che la necessità della scoperta e della conoscenza che ogni uomo ha, invita a osservare e capire la cultura dei luoghi che si visitano, per trarre idee, spunti, stimoli…..nuove conoscenze appunto. E’ necessario, quindi, che la vita segua il tempo del nostro orologio interiore e non quello scandito dall’orologio della società frenetica e dell’ap­ parenza in cui siamo inseriti. Prendiamoci il tempo necessario per “vivere” il nostro viaggio, per apprezzare ciò che vediamo di diverso, per imparare da chi ci sembra migliore, per imparare ad accettare ciò che non condividiamo. In questo periodo in cui l’odio e la violenza riempiono le prime pagine dei giornali penso proprio che la conoscenza vera contribuisca a far vedere il mondo con occhi diversi, e sarà sicuramente meglio che continuare a disprez­ zarci…..senza conoscerci affatto.

viaggi/vacanze­maturita/

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Indietro nel tempo Un viaggio in Treno a Vapore Nicolò Tron

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La vecchia ed elegante locomotiva a vapore, regina madre delle locomotive moderne entra in stazione a Mestre salutando, con un prolungato fischio, i passeggeri che ammirati e incuriositi la attendono sotto la pensilina. Per molti di questi, particolarmente per i più giovani, è il primo incontro con un treno a vapore. Altre persone guardano sorprese questa affascinante e bella Signora di tanti anni fa che, vestita di una lucente livrea nera, avanza maestosa ed elegante, lasciando dietro di sè uno strascico di velato fumo grigio­azzurro. Su binari accanto, scintillanti e colorati treni di ultima generazione fanno da corona a questa austera nonna come dei giovani nipoti. Ho festeggiato da qualche giorno il mio settantaquattresimo compleanno e dopo più di sessanta anni mi accingo a viaggiare, ancora una volta, in un treno a

vapore! E’ una magia ! E’ come viaggiare a ritroso nel tempo, viaggiare nei primi anni cinquanta del secolo scorso quando, poco più che un bambino, andavo a trovare gli zii di Vicenza con i miei genitori. Che siano trascorsi più di sessanta anni da quegli eventi me ne accorgo al momento di salire i ripidi scalini del vagone, e se non fosse per gli amici che chi tirandomi per le braccia e chi spingendomi da terga mi aiutano a salire in vettura, forse sarei rimasto in stazione a Mestre. La vettura che (nata nel 1928 e chiamata “centoporte”) fino alla data del 1956 6


era un vagone di III classe e suc­ cessivamente, con l’abolizione democratica di questa classe destinata ai poveri, è stata promossa a II classe (così da far sentire i poveri meno poveri), potrebbe ,vista l’età, aver anche portato al fronte i soldati Italiani nella seconda guerra mondiale. E’ un vagone spartano nella sua semplicità; i sedili e portabagagli sono in legno, le strutture portanti in ghisa smaltata, i finestrini a ghigliottina con tende spesse, che lasciano passare poca luce e hanno l’odore del fumo proveniente dal fumaiolo, il blocca/ sblocca finestrino in ottone lucente e zigrinato ed il freno a mano a volano con maniglia. Tutto come allora, a metà del secolo scorso, e per qualche momento anche le emozioni sono quelle di allora. Lungo il percorso da Mestre a Vittorio Veneto molti curiosi affollano le stazioni intermedie. A Mogliano Veneto una breve sosta consente a molti cittadini di ammirare questa macchina ormai diventata un reperto storico. A Treviso si fa il pieno di acqua necessario alla locomotiva. Anche i passeggeri placano la loro arsura utilizzando una tanica, posta sopra un bagagliaio, che eroga del vino (rabosello), messo a disposizione da uno dei partecipanti. Datosi che il vagone è per lo più frequentato da studenti allievi della Università della terza età (UNITRE di Mogliano Veneto), in gita scolastica, tutti “baldi giovani” ultra sessantenni, non mancano i momenti di cultura dove vengono citati brani , poesie e altro. Cultura e vino; buona la cultura e buono il vino. I compagni e le compagne di viaggio sono simpatici ed allegri ma fantastici sono i loro cestini da viaggio pieni di golosità salate e dolci destinati al consumo all’arrivo a Vittorio Veneto. Qualcuno, però, oltre che placare la sete, durante il viaggio, placa anche un accenno di appetito dando inizio agli assaggi. Arrivati a destinazione, sotto un gazebo nei giardini antistanti la stazione ferroviaria, ci si abbandona ad una semi­abbuffata assaggiando un po’ da tutti i cestini. Ed erano tanti! E tutti prelibati. A fine abbuffata piccola passeggiatina e poi caffè al bar dove la docente Sabina Ferro fa svolgere un piccolo esercizio di scrittura autobiografica. Al ritorno ci si diverte come all’andata. Si ripetono i momenti di cultura e quelli gastronomici dando fondo all’ultimo goccio di vino. Questa gita scolastica è stata più divertente di quelle fatte quando eravamo ragazzini, perché a settanta anni si apprezza di più ciò che quotidianamente il tempo concede.

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Il più bel regalo

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Albachiara Gasparella Con l’autunno è arrivato anche il momento del cambio degli armadi e, come ogni anno, le scatole con i golfini e i maglioni di lana sono sistemate sopra il mio letto. Il rituale è sempre lo stesso ormai da tante, tante stagioni: apro le scatole, sfilo i capi dai sacchetti di cellophane, affondo il naso nella loro morbidezza e catturo la fragranza di lavanda che li ha conservati per tutta l’estate. Già assaporo il caldo piacere di quando li indosserò! Prima di riporli nell’armadio però, li spiego, li controllo, li valuto e, sempre a malincuore, qualche volta capita che decida di eliminare proprio quelli che avevo salvato in extremis al momento di riporli. C’è solo un GILET che da più di quarant’anni supera indenne questa inevitabile selezione! E’ un oggetto troppo prezioso per me e dal quale non mi separerò mai perché è un ricordo legato a mia madre che lo abbellì in poche ore ,la sera dell’ultimo dell’anno del 1973. Per quella notte speciale, non avevo nessun programma; il mio ragazzo era di guardia alla caserma dove prestava il servizio di leva perciò avrei aspettato l’arrivo del nuovo anno a casa con i miei genitori, tranquilla e con la consolazione che la circostanza mi aveva risparmiato l’acquisto di un vestito nuovo per la festa di Capodanno. Nel tardo pomeriggio, arrivò una telefonata che rivoluzionò i miei piani: il servizio di guardia era stato revocato e il mio ragazzo mi avrebbe raggiunta in serata per portarmi alla festa in casa di amici. La notizia mi gettò nel panico e non seppi dire altro che: “ Oddio! E adesso cosa mi metto?” ed ancora, rivolgendomi verso mia madre, affaccendata in cucina: “ Mammaaa, ti prego, aiutami!” Mia madre capì al volo la situazione, sciolse il nodo del grembiule da cucina che gettò con noncuranza sopra una sedia, mi prese sottobraccio sussurrandomi: “ Stai calma, vieni con me”. Insieme cominciammo a rovistare negli armadi, frugammo nei cassetti e alla fine riuscimmo a mettere insieme una “mise” accettabile anche se piuttosto classica: una camicia bianca, un paio di pantaloni neri a zampa di elefante ed un mini gilet nero di lana fine. Però…mancava un dettaglio. Forse una spilla ,un nastro, un ricamo… Non perse tempo mia madre, perché si mise subito a cercare qualche filo dorato o argentato nel suo cestino da lavoro, rovesciò sul tavolo persino le scatole dei bottoni e alla fine, forse colta da un lampo di genio, mi gridò di portarle la collana di perline bianche a dieci fili che avevo ricevuto in regalo per il compleanno. Io non fiatai, obbedii soltanto. Col mio consenso, sacrificò un solo filo, con abilità sfilò piano le perline e con ago e filo iniziò a fissarle sul gilet senza seguire uno schema, così come la sua fantasia e il desiderio di farmi felice le dettavano in quel momento. Continuò a capo chino il suo lavoro, non rispondendo affatto alla raffica di domande che continuavo a farle, mentre una piega gentile e furbetta andava formandosi ai lati della sua bocca socchiusa. A poco a poco, sul nero e anonimo gilet, una dopo l’altra si accesero quattro meravigliose stelle di perline bianche che brillavano come i suoi occhi che incrociarono i miei altrettanto lucidi di commozione e amore. Abbracciandola e baciandola avidamente le dissi che mi aveva fatto il più bel regalo della mia vita e dal quale non mi sarei separata mai. Allo specchio poi, mi vidi bellissima proprio come Cenerentola pronta per il ballo a corte. Anche nella mia vita era entrata una fata. Per sempre.

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La nonna racconta:un regalo per Giulio Donatella Grespi Nella casa di Babbo Natale, lassù in Lapponia, c'è un laboratorio dove si trovano centinaia e centinaia di giocattoli. Già in autunno la grande stanza si riempie di folletti che si mettono a lavorare giorno e notte. C'è chi apre le buste, chi legge le lettere inviate dai bambini, chi registra le richieste su un librone, chi costruisce i giochi, chi si aggira tra gli scaffali alla ricerca di un determinato regalo, chi confeziona i pacchetti. È come una catena di montaggio che non si ferma mai. Babbo Natale legge personalmente ad una, ad una, le letterine che gli arrivano, poi controlla che tutto proceda per il verso giusto. La sera della Vigilia prepara la slitta, la attacca alle sue fidate renne, mentre i folletti vanno e vengono con le braccia cariche di regali. I più giovani lo aiuteranno nel suo viaggio perché il mondo è grande e i doni da consegnare sono tantissimi. Finalmente, quando tutto è pronto, partono volando nel cielo blu e si allontanano di corsa fra le stelle luccicanti. Il più anziano dei folletti, di nome Tino, resta sulla soglia e, con un pizzico di nostalgia, pensa a quando anche lui poteva partire assieme ai suoi compagni. Rientra un po'triste. Nella casa, dopo mesi e mesi di febbrile lavoro, è calato il silenzio. Si aggira tra le stanze, raggiunge il laboratorio che adesso è desolatamente vuoto, il suo sguardo vaga da uno scaffale all'altro. Ma ad un tratto ecco che qualcosa attrae la sua attenzione, una sagoma indistinta posta sotto ad un bancone. Quando si avvicina si accorge che è il modello di una automobile, una macchinina di metallo rosso fiamma, caduta e ...dimenticata.

http://www.wundernest.com/2012/12/eravamo­a­casa­di­babbo­natale/

"Sicuramente quel bambino che l'ha chiesta non avrà il suo regalo" pensa fra sé e, immaginandone la delusione , decide di provvedere al più presto. In fretta consulta il registro e gli è facile scoprire a quale indirizzo deve recarsi. Confeziona un bel pacchetto con una carta argentata, poi raggiunge il recinto dove Alcide, la sua renna, ormai vecchia anche lei, sta sonnecchiando. " Mia cara, mi spiace svegliarti, ma dovremo fare un bel viaggetto stanotte". I due anziani amici partono alla volta di Mogliano Veneto,una graziosa cittadina che si trova in Italia, tra Venezia e Treviso. E anche se ci metterà tante ore è sicuro di arrivare a destinazione prima dell'alba così quando Giulio si sveglierà potrà trovare accanto al suo lettino,oltre ad altri regali, anche l'automobilina che aveva tanto desiderato.

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Il piacere della Lettura

Cheryl Strayed ­ "Wild" ( Edizioni PIEMME Milano 2015) E' la storia autobiografica in cui l'autrice descrive la straordinaria esperienza di un percorso di vita difficile da lei vissuto in una famiglia problematica. Dopo la morte della madre e il divorzio, a soli 26 anni, la protagonista decide di dare una svolta alla sua esistenza decidendo di percorrere a piedi, in solitaria, il cammino sul "Pacific Crest Trail", difficilissimo tragitto ad alta quota tra le vette della California e l'Oregon. Tra mille pericoli e in condizioni climatiche estreme, la sua volontà si rafforza, giorno dopo giorno, nel portare a termine questo progetto con grande coraggio. Questa impresa rappresenta l'emblema della sua determinazione nella riscoperta dei valori della vita. In tre mesi riesce a realizzare l'impresa percorrendo ben 1680 chilometri nonostante un'attrezzatura necessariamente minimale per la sopravvivenza. Pensava di perdersi e si è ritrovata!

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Gabriella Bontà KENT HARUF ­Le nostre anime di notte. (NN Editore Milano 2015) In questo numero vi presentiamo un unico autore, ma vi vorremmo coinvolgere nella lettura di quattro tra i suoi romanzi. Si tratta di Kent Haruf, uno dei maggiori scrittori contemporanei statunitensi, venuto a mancare nel 2014 e la cui rivelazione in Italia è avvenuta soltanto nel 2015 grazie alla casa editrice NNE che ha pubblicato appunto le quattro opere che abbiamo scelto per voi. Il numero dei volumi proposti non dovrà allarmarvi e farvi desistere dalla lettura perché Kent Haruf vi conquisterà con la sua prosa immediata e cinematografica e con la potenza delle sue descrizioni della natura che qui è aspra e selvaggia. HOLT è un piccolo borgo rurale immaginario del Colorado ( USA ), ma che potrebbe essere benissimo una qualsiasi cittadina della pianura americana; è il palcoscenico in cui si muovono (in tutti e quattro i romanzi) personaggi dalle vite ordinarie, ma per alcuni altrettanto straordinarie per la purezza della loro umanità che si manifesta sia nelle piccole quotidiane complicazioni, sia nei momenti più drammatici. Ed ancora, leggendo, vengono in mente i quadri di Edward Hopper, famoso per i suoi ritratti della solitudine: infatti, la solitudine è un altro elemento che caratterizza i nostri personaggi che sembrano soli, ma che nella realtà del romanzo, alla fine, trovano conforto e illuminazione proprio nella e dalla solitudine degli altri. Questo tema emerge soprattutto nel romanzo postumo * “ Le nostre anime di notte”. Una vedova settantenne, chiede al suo vicino di casa, anche lui vedovo, di farle compagnia la notte. Nient’altro che compagnia! Inizia una storia di complicità, solidarietà ed infine amore. Ma la provincia bacchettona e in particolare il figlio di lei, non accettano questa relazione giudicata scandalosa… * “ Le nostre anime di notte” è diventato un film con Robert Redford e Jane Fonda.

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Premio Berto 2017: la cinquina finalista Nicola De Cilia, Uno scandalo bianco ­ Rubbettino, Catanzaro Cosa succede a un uomo quando tutto il suo mondo di valori viene travolto, e insieme a esso, i suoi beni più preziosi: la famiglia, gli amici, il lavoro? E se quest'uomo è un uomo di fede profonda, come sopporterà questa prova? Dubiterà di sé, della Storia, di Dio? Angelo Cossalter, dopo una vita spesa in politica per la sua comunità, è coinvolto in uno scandalo finanziario che lo porterà verso la rovina. Angelo lotterà con tutte le sue forze, metterà in gioco il suo prestigio e il suo impegno, sarà costretto a fare i conti con la menzogna e il male, con l'inganno e il tradimento; insieme dovrà constatare la profonda mutazione del mondo rurale ­ siamo agli inizi degli anni '80 ­ mentre nella società e in politica si affermano nuovi protagonisti spregiudicati e cinici. In questa tempesta che gli sconvolge la vita, con il venir meno di ogni certezza, Angelo dovrà per ultimo fare i conti con il silenzio di Dio, per approdare dolorosamente alla rivelazione del suo destino. Nicola De Cilia, nato a Treviso nel 1963, è docente di materie letterarie presso il Liceo “G. Berto” di Mogliano Veneto. Collaboratore storico in qualità di critico letterario delle riviste Lo straniero e Gli asini, ha pubblicato per le Edizioni dell’asino il libro­inchiesta Pedagogia della palla ovale. Un viaggio nell’Italia del rugby (2015).

Andrea Inglese, Parigi è un desiderio ­ Ponte alle Grazie, Milano Fin da quando era molto giovane, Andy ha sognato Parigi: il luogo in cui le «abitudini», tiranne implacabili nella sua Milano, possono finalmente essere sconfitte; il luogo in cui la letteratura è qualcosa di concreto, che si incontra nei salotti o fra i tavolini di un bar; e il luogo, certamente, dove vivono le parigine. Ma i miti giovanili sono per loro natura destinati a crollare, e forse è proprio nel conseguente spaesamento che si può arrivare a una specie di «maturità», all’accettazione dello spaesamento stesso, alla costruzione di rapporti reali, quindi incerti, coi luoghi, con le persone. Il narratore di questo eccezionale romanzo si mette impietosamente in scena in prima persona, e il suo costante, inquieto rimuginare su sé stesso, sulla sua relazione con una città, sulle storie d’amore che nascono, finiscono o semplicemente si immaginano, queste riflessioni al tempo stesso lucidissime e stralunate arrivano a toccare, con grande leggerezza, le corde più profonde dell’esistenza, quelle legate agli affetti fondamentali e alle nostre più intime aspirazioni alla felicità. Con una scrittura stupefacente, perennemente tesa, percussiva e raziocinante, capace di alternare con incredibile coerenza avventure picaresche e ragionamenti incisivi, sempre venati dell’ironia di chi sta constatando la comica insensatezza delle cose e la natura mai del tutto chiara, mai del tutto autentica dell’essere umano. Andrea Inglese (1967) originario di Milano, vive oggi nei pressi di Parigi. Ha scritto saggi di teoria e critica letteraria e sette libri di poesia, fra cui ricordiamo La distrazione (Luca Sossella, 2008), La grande anitra (Oèdipus, 2013) e Lettere alla Reinserzione Culturale del Disoccupato (Italic Pequod, 2013). È uno dei membri fondatori di Nazione Indiana, fa parte del comitato di redazione di alfabeta2 e collabora col Manifesto. È il curatore del progetto Descrizione del mondo (www.descrizionedelmondo.it), per un’installazione collettiva di testi, suoni & immagini. Questo è il suo primo romanzo.

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Biblioweek

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Giancarlo Bontà La XVII edizione della settimana per la promozione delle biblioteche è iniziata, lo scorso 13 ottobre, con un incontro presso la Biblioteca Comunale di Mogliano Veneto. L’occasione era quella della donazione di libri stampati a grandi caratteri, su iniziativa della Biblioteca Italiana per ipovedenti, B.I.I. Onlus, con la partecipazione del suo Presidente Giuseppe Marinò. Presenti le Autorità comunali di Mogliano Veneto, il Presidente della Onlus B.I.I. ha illustrato le finalità della stampa e della diffusione, presso le biblioteche del territorio, dei libri a grandi caratteri. Questi libri particolari sono stampati con caratteri idonei ad essere letti non solo da persone affette da patologie che determinano la ipovedenza, ma anche da soggetti affetti da forme di dislessia e, in aggiunta, da tutti quegli anziani che soffrono di varie forme di riduzione del visus. Riuscire a mettere in condizione queste persone affinché possano continuare a leggere è l’obiettivo che la Onlus B.I.I. si è posta. Si stima che in Italia circa 13 milioni di persone rientrino in queste categorie che altrimenti sarebbero costrette a rinunciare al piacere della lettura. Grazie ad un buon contributo da parte dello Stato è stato possibile stampare i primi titoli con caratteri e spaziature idonei. La Biblioteca Comunale di Mogliano Veneto ha ricevuto un congruo numero di questi volumi che ora sono a

disposizione di chiunque desideri usufruirne a titolo completamente gratuito. Ampliare questa gamma di testi particolari, ha spiegato il Presidente G. Marinò, si scontra con la difficoltà ad ottenere le autorizzazioni necessarie per la loro pubblicazione, da parte di Autori ed Editori. La Biblioteca Comunale, tra le prime nel Veneto, viene così dotata di queste speciali edizioni. E’ noto che la nostra Biblioteca è molto attiva: oltre ad essere una delle realtà regionali e nazionali con un più ampio numero di ore aperte al pubblico, offrendo un luogo idoneo allo studio per gli studenti di tutti i livelli, ora punta decisamente ad ampliare le sue attività ed opportunità di incontri con eventi che stimolino l’aggregazione di tutta la Comunità comunale e non solo. Con questo scopo si stanno moltiplicando le varie iniziative a partire dagli incontri per bambini e ragazzi con letture di fiabe e racconti, a gruppi di lettura per adulti, a incontri con Autori, ecc., che enfatizzano lo scopo primario della Biblioteca stessa. Questi eventi sono anche possibili a Mogliano grazie al concorso importante di alcune Associazioni di volontariato del territorio, fra le quali spicca il contributo dei Soci dell’Università delle Tre Età (UNITRE), che consentono l’ampliamento delle ore di apertura al Pubblico per questo importante servizio.

http://www.uicipa.it/2017/05/15/trascrizione­dei­testi­scolastici­

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Il giardino delle Muse La Poesia TRA STELLE DI NATALE (al “Miramonti”)

PRESTO SARA’ NATALE E’ spento e senza luce un nuovo giorno, aliti lievi fatti di gelo coprono il tutto, la natura riposa dopo l’estate e l’autunno: è stanca, il suo desiderio è una coltre bianca.

Occhi di donne lucidi, ridenti sotto luci di vetro stile liberty. Giovani in grigio ragazze in minigonna. Parole in allegria risa sospese tra stelle di Natale. Voci d’uomini e donne insieme a guizzi acerbi di bambini. Un’atmosfera satura d’affetti. Tintinnano i bicchieri il vino scorre.

Ecco all’improvviso scendere candidi e lievi fiocchi bianchi: è neve. Neve da dove vieni, forse dalle ali degli angeli che stanno lassù nei cieli per augurarci Buon Natale, per dirci siate sereni e in pace chè la Natura dorme e tutto tace.

Dietro i vetri appannati la nebbia, i tetti rossi e la trama struggente di un ciliegio. CONCERTO DI MUSICA SACRA orchestra e coro "Quodlibet" Trema dalle radici il duomo a solenni armonie.

Gabriella Bontà

Ora di bronzo i suoni ora cristallo o argento ( impeto di cascate tuoni profondi a scuotere le membra e brividi). Rapito è il cuore in dialogo muto con il coro potente intarsio di tenebre e fulgori. Sembra lo spazio immenso il tempo fermo. La gloria del Signore si rivela nel Sacro che ci sfiora.

paperthisandthat.blogspot.com

Cecilia Barbato 13


MUSICA: Fryderyk Chopin, Notturno op.9 n°2

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Edo Guarneri Interprete del più auten co Roman cismo fu il polacco Fryderyk Chopin che legò indissolubilmente la sua produzione musicale al pianoforte. Egli abbandonò gli schemi classici della musica per pianoforte, come era a quei tempi intesa, a favore di forme musicali generalmente brevi, armoniche: fu inarrivabile maestro nel legato, nel tocco, nella sfumatura dinamica, riuscendo a creare un suono pianis co totalmente nuovo, in mo e vellutato. Chopin seppe trarre dal pianoforte ogni possibile risorsa poe ca, e per questo mol lo accostano a Leopardi: li accomuna l’inquietudine del vivere, la sos tuzione dell’arte alla vita, il more della realtà, l’anelito insoddisfa o ai sogni. Come genere musicale, il No urno proviene dall’ambiente s lis co del classicismo viennese (Mozart e Haydn), dove era alla stregua delle Serenate, Diver men , Cassazioni, quindi una musica da suonare all’aperto, alle feste, tra i circoli della nobiltà. Possiamo dire che il No urno non aveva alcunché di no urno: non c’era traccia dei misteri, delle emozioni, delle sensazioni che la no e, anche poe camente, ha sempre portato con sé. Fu il compositore irlandese John Field a creare il no urno pianis co, pensato come una pagina lirica sen mentale, malinconica, in mis ca, Foto:https://commons.wikimedia.org/ organizzata su melodie accompagnate da semplici accordi arpeggia , e a questo s le si ispirò Chopin. I No urni sono l’essenza stessa del pianismo roman co di Chopin. Stru uralmente sono spesso divisi in più sezioni tema che contrastan : infa troviamo accostate varie espressioni di sta d’animo (dolci, tenere, sognan , ma anche violente). Temi ricorren sono lo spirito polacco e il Belcanto italiano: secondo il grande pianista Maurizio Pollini, essi sono come una sorta di "diario in mo, che a raversa la sua vita". Il No urno più famoso è il No urno op. 9 n°2, dall’andamento sognante, fra i pezzi più conosciu del repertorio pianis co, un brano molto amato dallo stesso Chopin, che negli anni di composizione (1829‐30) si trovava in Austria, deluso e amareggiato per un’accoglienza non calorosa da parte dei viennesi, malato di nostalgia per la patria. Il tema è unico e si svolge lentamente ar colandosi in due frasi: una prima tenera e in mis ca, una seconda più aperta e discorsiva. Questo brano è luminoso, quieto, cantabile, e infonde in chi ascolta, già dalle prime ba ute segnate da irresis bili scelte melodiche, un senso di calma e serenità. Chopin eseguiva spesso questo no urno, con con nui nuovi interven sugli abbellimen che insegnava agli allievi, tanto che oggi possediamo di esso almeno qua ordici varian . I No urni sono sta incisi da tan grandissimi pianis . Per l’appassionato musicofilo chopiniano, è fondamentale l’interpretazione di Alfred Cortot, uno dei più grandi pianis del secolo scorso, considerato l'ul mo esponente di una corrente di pensiero che prediligeva uno s le personale e sogge vo all’uso più rigido di una tecnica precisa. Splendidi i No urni suona da Vladimir Horowitz, uno dei migliori pianis di sempre, dalla spe acolare dinamica, con passaggi da pianissimo a for ssimo tecnicamente quasi impossibili, note riba ute ad una velocità sovrumana, virtuosismo intriso di una sensibilità, chiarezza ed espressività ineguagliabile, ed è incredibile che sia riuscito a suonare in quel modo fino a 86 anni. Altre splendide interpretazioni sono quelle di Arthur Rubinstein e di Krys an Zimerman, polacchi di nascita e par colarmente espressivi, ma hanno un loro fascino anche le esecuzioni di Vladimir Ashkenazy e di Daniel Baremboim. Infine ci sono No urni suona da Maurizio Pollini, che presenta una delica ssima leggerezza di tocco ‐ che nulla toglie alla musicalità anzi ne accentua la cantabilità. Il suo approccio a Chopin è di infinito rispe o, senza le esagerazioni istrioniche piche dei nuovi pianis cinesi come Yund Li, Lang Lang o Yuja Wang. Sono sue le più belle sonorità che si possano o enere dal pianoforte. Cosa dirvi? Ve le consiglio tu e …

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Menù Cena della Vigilia Donatella Grespi A Venezia la cena della Vigilia è rigorosamente a base di pesce. Questo è (a parte l'aperitivo) un menù tipico. Aperitivo : Hugo Antipasto : Baccalà mantecato e Acciughe marinate su crostini di polenta Primo piatto: Risotto di Ghiozzo (Gò) Secondo piatto: Anguilla alla griglia Dolce: Bussolai buranelli Aperitivo Hugo ­ Ingredienti per una persona: 3 cl di sciroppo di Sambuco, 6 cl di prosecco, un pizzico di acqua frizzante, 1 o 2 fettine di lime, 1 rametto di foglioline di menta, ghiaccio se piace. Per chi non ama l'alcool c'è la versione analcolica sostituendo il prosecco con l'acqua minerale. Baccalà mantecato ­ Ingredienti per 4 persone: 300 grammi di stocafisso, 1 litro di latte,olio evo q.b.,1/2 spicchio di aglio. Mettere lo stoccafisso a bagno per due giorni cambiando spesso l'acqua. Pulirlo accuratamente dalla pelle e dalle spine. Sminuzzarlo. Farlo lessare nel latte. Una volta lessato scolarlo bene e metterlo in una ciotola capace dove con una frusta deve essere sbattuto a lungo aggiungendo man,mano l'olio a filo. Si deve ottenere una spuma bianca e morbida. Aggiungere sale e pepe e, per chi gradisce, l'aglio a pezzettini. Va servito su crostini di pane o su fette di polenta arrostite in precedenza. Acciughe marinate ­ Ingredienti per 4 persone: 400 grammi di acciughe, 200 grammi di limoni, 1 mazzetto di prezzemolo, 1 spicchio di aglio. Aprire le acciughe a libro e pulirle delle interiora e delle lische. Disporle stese in un piatto coperte dal succo dei limoni. Lasciarle varie ore in frigo. Alla fine colare il succo dei limoni in eccesso, condire con olio, aglio (se piace), prezzemolo, sale e pepe. Servirle su crostini di pane o di polenta. Risotto di Gò ( i Gò o Ghiozzi in italiano erano un tempo pesci poco pregiati che si davano ai gatti. Oggi sono stati rivalutati e, in effetti, il risotto è squisito) Ingredienti per 4 persone: 400 grammi di riso, 800 grammi di Gò, 1 spicchio d'aglio, olio q.b. cipolla e sedano, sale e pepe, prezzemolo tritato. Pulire bene il pesce privandolo delle interiora e delle lische. Essendo molto spinoso potete farvi aiutare dal pescivendolo. Farlo bollire a lungo con sedano e cipolla finché risulterà spappolato. Toglierlo dalla pentola ,salare e pepare, poi filtrare bene il brodetto ottenuto. Fare un soffritto di olio e aglio, versare il riso e iniziare a mescolare aggiungendo via via il brodetto di pesce. A cottura quasi ultimata aggiungere i pezzettini di pesce. Mantecare bene. Prima di servire una manciata di prezzemolo tritato. Anguilla alla griglia,­ 1 grossa anguilla fatta aprire a libro dal pescivendolo e fatta tagliare a tranci di circa 6 centimetri. Metterla su una griglia rovente e cuocerla finché non raggiunge un bel colore dorato. Servirla con sale, pepe e foglie di alloro. I Bussolai buranelli bisogna comprarli perché la loro esecuzione difficilissima e quasi segreta si tramanda da madri a figlie. Buona cena di Natale!

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Breve storia del Baccalà

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Lino Gatto La storia del baccalà è strettamente legata alle quattrocentesche vicende del nobiluomo veneziano Pietro Querini, di potente famiglia patrizia. Egli, nell’isola di Candia (Creta), facente parte dello Stato da Mar Veneziano già dal ‘200, controllava i feudi di Castel di Temini e Dafnes, famosi per la produzione di vino Malvasia che commerciava specialmente con le Fiandre del nord Europa. Il 25 aprile 1431 era salpato con la sua caracca (nave da carico) “Querina” con 800 botti di “Malvagìe”, il dolcissimo vino dell’isola, oltre a cotone, spezie, cera e altre mercanzie di valore, per un carico di oltre 500 tonnellate. L’equipaggio era composto da 68 uomini e due luogotenenti. Passato lo stretto di Gibilterra, la navigazione fu costellata da numerose difficoltà e il 14 settembre, superato il Capo Finistèrre (il punto più a nord­ovest della Francia), violente e ripetute tempeste spinsero la nave verso ovest al largo dell’Irlanda. Il timone si ruppe per ben due volte e uno scoglio aprì una falla nello scafo. Con le vele strappate e disalberata, la Querina, ben presto ridotta a un pontone, andò per settimane alla deriva nell’Atlantico trasportata dalla Corrente del Golfo. Il 17 dicembre 1431 il relitto fu abbandonato: 18 uomini si imbarcarono su una scialuppa e di essi non si ebbe più notizia, gli altri su una lancia più grande, ma anche per costoro la sorte non fu propizia. Andarono alla deriva tra razionamenti di viveri e morti continue finché, fortunosamente, il 14 gennaio 1432 raggiunsero un’isola rocciosa deserta vicino a Rost nell’arcipelago norvegese delle Lofoten, oltre il Circolo Polare Artico: erano sopravvissuti soltanto 16 marinai. I naufraghi avevano percorso oltre duemila miglia di oceano! Malnutriti, vestiti di stracci e infestati da pidocchi, Querini e i suoi vissero per quasi due settimane in questo ambiente ostile, nutrendosi di molluschi e accendendo fuochi per salvarsi. Qui furono avvistati e soccorsi da alcuni pescatori dell’isola di Rost che li ospitarono nelle proprie case, ponendo fine alle loro sofferenze: i pochi abitanti del luogo erano dediti alla pesca e soprattutto all’essiccazione del merluzzo e i veneziani poterono conoscere la pescosità di quelle acque e il metodo di conservazione di questo pesce, seccato al sole e al vento. Dopo tre mesi e mezzo, il 15 maggio del 1432, Pietro Querini intraprese la via del ritorno con gran parte dei superstiti giungendo a Venezia il 12 ottobre successivo. La conoscenza del baccalà o, più esattamente, dello “stoccafisso” ebbe grande successo e diffusione presso lo Stato Veneziano, sia per la sua bontà che per la sua caratteristica di cibo a lunga

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conservazione. Trattandosi di un “cibo magro”, divenne poi uno dei piatti consigliati per la dieta cattolica in tempo di Quaresima e nei giorni di magro fissati dal Concilio di Trento (1563). Oggi il mercato italiano è la piazza più importante per le esportazioni norvegesi del merluzzo. Il termine Baccalà è di etimologia discussa e sembra derivare dall’olandese antico Bakeljauw, il quale deriva a sua volta da Kabeljauw che poi, per un procedimento metatetico di inversione delle sillabe, diventa Bakeljauw. Da questo termine si passa allo spagnolo Bacalao, al portoghese Bacalhau e all’italiano Baccalà. Ed è dal termine iniziale Kabeljauw invece che arriva il francese Cabillaud o Cabliau. Il termine Stoccafisso, usato dal Querini nella sua dettagliata relazione scritta per il Senato Veneziano, oggi conservata in copia nella Biblioteca Apostolica Vaticana, deriva dalla voce tedesca Stockfisch che, a sua volta, viene dall’antico termine olandese Stockvish, cioè Pesce (Visch) seccato sul Bastone (Stock).

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Medicina: Feste e diete Giuseppe Ragusa Gli esperti stimano che in Italia, durante le feste natalizie, vi sia una assunzione media/persona di 15.000­20.000 chilocalorie in più (equivalenti ad aumento di peso di circa 2 Kg) per l’effetto combinato del maggior consumo di cibi ipercalorici (soprattutto panettoni, pandori, torroni, cioccolatini, frutta secca) abbinato a bevande zuccherate (bibite), alcolici e superalcolici. Alcuni esempi: una fetta di panettone (in media pesa circa 150 grammi) apporta 542 Kcal; il Pandoro è ancora più calorico, 410 Kcal ogni 100 grammi; 100 gr di torrone alle mandorle 479 Kcal. Smaltire gli effetti di questi peccati di gola natalizi deve essere fatto con giudizio: il mio compito con questo articolo è di darvi qualche utile suggerimento, per evitare che una dieta fai da te risulti più disastrosa dello stesso eccesso di alimentazione. Innanzitutto, se decidete di mettervi a dieta, è necessario consultare il proprio medico curante, che vi darà le indicazioni corrette, che tengano conto di eventuali patologie cardiocircolatorie o metaboliche presenti. Non cercare risolvere il problema, digiunando. Il digiuno è dannoso, perché non consumare un pasto significa avere maggiore fame in quello successivo e la conseguenza nefasta è mangiare più del dovuto. Dopo il giorno di Natale o di Capodanno una dieta leggera, mangiando solo un frutto, un po’ di verdura e bevendo del tè, è già una buona soluzione, ma ­ ribadisco – non saltate i pasti! Nei giorni non propriamente festivi, limitarsi ai pasti principali. Il pranzo insieme alla colazione sono i pasti più importanti della giornata, e ­ senza eccessivi ­ si possono smaltire con le normali occupazioni. Meglio limitare le porzioni a cena, mangiando solo un minestrone di verdure (senza legumi, patate, pasta o pane). Ricordarsi che è importante mangiare lentamente e masticare a lungo il cibo per facilitare il lavoro del sistema digerente ed ottenere cosi una digestione più facile. Preferire gli ortaggi a foglia larga e verde, come la lattuga, che sono molto depurativi. Non mangiare fuori pasto. Va bene un frutto alla mattina e uno yogurt nel pomeriggio: si arriva meno affamati ai pasti. Se si è colti da un improvviso bisogno di cibo, bere un bicchiere d’acqua e attendere a una qualche occupazione che distragga. Non eliminare i carboidrati. Tagliare del tutto i carboidrati (zuccheri) non serve, occorre sempre immetterne una quantità adeguata nell’alimentazione. Diminuirne piuttosto il consumo, riducendo pasta e pane, o preferirne la versione integrale. L’idratazione è fondamentale per mantenere un buon funzionamento dei reni e del fegato: la dose consigliata è di 2 litri di acqua oligominerale al giorno. Anche alcune bevande calde (non zuccherate!) come tè, tisane, orzo e caffè contribuiscono a ricoprire il fabbisogno idrico, mentre invece vi raccomando di limitare l’assunzione di bevande zuccherate (cola, aranciata, tè freddo, succhi di frutta, ecc.) ed alcooliche. Mangiare light? Non tutti i prodotti definiti light, il cui successo dipende da strategie marketing ben studiate, hanno in effetti una ridotta quantità di calorie. La scritta “senza zucchero” sulle confezioni non significa che quei prodotti siano poco energetici: infatti il fruttosio (zucchero naturale della frutta) e i polioli (sorbitolo, mannitolo) usati come dolcificanti al posto dello zucchero classico forniscono tante calorie quante quest’ultimo (4 kcal/g). Infine, la sensazione di sazietà non dura a lungo ed è altrettanto possibile che si mangino porzioni più grandi giustificandosi con il ridotto contenuto calorico. Rimettiamo in moto il nostro corpo. Manteniamoci dinamici praticando attività fisica: passeggiare, andare in bici o fare un po’ di cyclette davanti alla TV sono attività alla portata di tutti, ed andrebbero eseguite tutti i giorni per almeno 30 minuti. Per i più giovani ed i più attivi, via libera agli sport ad intensità più elevate (sempre con adeguato controllo medico).

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I nostri lettori raccontano ... Testimoniante di gioventù Ernesto Prete

L'Albero della Vita | dicembre ‐ gennaio 2018

Sono nato nell'anno 1935, la casa natale si trovava a cento metri dalla Chiesa di Zerman. Come si usava in quegli anni, il parroco invitava tutti i bambini a fare i chierichetti: quelli che abitavano più vicino alla Chiesa, come il sottoscritto, dovevano essere disponibili nelle prime ore del mattino e la prima Messa di solito era dalle 5,30 alle 6,00. Premetto che in quel tempo la Chiesa non era riscaldata ed il freddo lo sentivamo eccome, però eravamo felici. lo, essendo per mia natura un po' curioso, cercavo di partecipare a tutte quelle cose che la mia età di bambino consentiva. Nei giorni prima di Natale, i più grandi preparavano il Presepe ed il mio contributo era portare del muschio e dei ciottoli. Ero felie. Per me, il giorno di Natale degli anni dal 1939 al 1943 è stato sereno e gioioso. A rendere quel clima magico erano il suono delle campane, i cori natalizi, la musica dell'organo ed i vetri della Chiesa colorati. Il cibo quel giorno era abbondante, c'era la carne ed il pane, e per i bambini anche il mandorlato. Dal 1944 e nel periodo del dopo­guerra, il Natale era diventato un giorno di tristezza e malinconia, la carestia e la fame avevamo spento il sorriso della gente, la vedevo cupa e pensierosa. L’altruismo e la gioia di vivere erano spariti. Anche in un piccolo paese come Zerman, avvennero episodi molto gravi. Venne oltraggiata la Chiesa, il clima di violenza regnava dappertutto. Ricordo una bomba esplosa a 200 metri dalla Chiesa che mandò in frantumi tutti i vetri nel raggio di 500 metri, compresi i vetri colorati della Chiesa che mi rallegravano. Vennero sostituiti ma i nuovi trasmettevano luce bianca, che mi facevano sentire freddo. Il 5 gennaio 1945 avvenne un evento drammatico. Alle 5 del mattino venne fatto un rastrellamento, che portò oltre 500 persone di fronte l'edificio Opere Parrocchiali. Erano tutti vestiti con gli indumenti della notte, e la temperatura era 5 gradi sotto zero. Davanti, a 50 metri, c'era l'autoblindato con sopra una mitraglia puntata contro di loro. Noi bambini eravamo liberi di portare loro indumenti caldi. Rimasero lì per ben 7 ore.. Quando un bambino di quell'età vive un'esperienza del genere, il ricordo gli rimane indelebile.

http://www.spaziopadova.com/SalvaVeneto

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I nostri lettori raccontano ... Una Briciola di Risorgimanto sul muro esterno della chiesa di S. Maria Assuta Mauro Cicero Mi è capitato, tempo fa, di sfogliare un libro che mi fu regalato dal mio maestro di scuola nel lontano 1961. Si tratta delle memorie di Placido Aldighieri, un veterano mestrino della guerra austro­veneta del 1848­49. Nato nel 1828, il giovane Placido non resistette al fascino dell’ondata rivoluzionaria e patriottica che allora agitava l’Italia e, in particolare, la vicina Venezia e si buttò con slancio nella disperata impresa di difendere la Repubblica di San Marco, proclamata il 22 marzo 1848. Nei giorni successivi, il Maresciallo Radetzky ritirava le truppe austriache, bisognose di rinforzi, da Milano insorta, mentre la Lombardia veniva invasa dai soldati piemontesi. In questo periodo sconvolgente veniva conquistato da un gruppo di volontari mestrini, tra i quali l’Aldighieri, il Forte di Marghera, già costruito nel 1806 da Napoleone non lontano da Mestre, un forte che, opportunamente armato e gestito, avrebbe costituito l’ultimo caposaldo di Venezia nella terraferma. La nuova Repubblica Veneta, che comprendeva Venezia, Treviso, Padova, Vicenza, Belluno, Rovigo e il Friuli, cercò di organizzare una difesa militare, che si rivelò poco efficace, utilizzando un’armata composta da ex soldati austriaci di nazionalità italiana e volontari civili che, pur numerosi, spesso erano male armati e comandati, e tra di loro si infiltravano anche avventurieri e delinquenti comuni. In pochi mesi gli Austriaci si ripresero e, oltre a cacciare i Piemontesi dalla Lombardia, rioccuparono tutti i territori veneti liberi, tranne Venezia che si preparò da sola ad una disperata resistenza. Lo stato maggiore imperiale se ne aspettava una lunga e tenace, ma non fu così. Il 4 maggio 1849 iniziò l’attacco al Forte di Marghera e per ben 22 giorni l’artiglieria austriaca lo martellò con decine di migliaia di proiettili, provocando tra i difensori centinaia di vittime. I veneti del Forte, quasi senza cibo e costretti a dissetarsi con l’acqua fuoriuscita dai pozzi bombardati, ricevettero l’ordine di evacuazione il 26 maggio. Venezia restava isolata dalla terraferma sotto il tiro della flotta nemica che provvide a sparare sui capisaldi nelle isole della Laguna e poi sulla città stessa. L’epidemia di colera e la fame misero definitivamente in ginocchio la Repubblica che capitolò il 24 agosto 1849; il 30 Radetzky entrò trionfalmente in Venezia accolto dal solenne Te Deum di ringraziamento cantato dal Patriarca per glorificare colui che aveva restituito la città al suo legittimo sovrano. L’Aldighieri sopravvisse e qualche decennio dopo decise di raccontare per iscritto questa sua memorabile avventura. A testimonianza di quella storica impresa esistono a Mestre alcune iscrizioni murarie e quella che può essere letta sul muro esterno della chiesa di S. Maria Assunta a Mogliano: la Storia è fatta anche da eroi sconosciuti ai più, ma non meno grandi di quelli ricordati sui testi scolastici. 19


I nostri lettori raccontano ... Attendendo il Natale!

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Michela Varola Si annuncia e si fa attendere tra luci sfavillanti, alberi decorati con palline di mille colori e impreziositi da nastri argentati, tintinnii di campanelli e facce sorridenti: è il Natale. È quel momento dell’anno in cui tutti ci sentiamo più buoni, il momento che ci unisce, nei propositi e nei pensieri, a chi ci è caro anche se lontano; è la ricorrenza che ci fa riscoprire le nostre emozioni. Cori natalizi, suoni e musiche, ci invitano ad uscire ed è splendido andare per le strade dove negozi allestiti con i tradizionali addobbi catturano l’attenzione e, molte volte, favoriscono gli acquisti. Così fa piacere andare alla ricerca di un presente per le persone alle quali siamo più legati e non saranno cose appariscenti e costose, ma sicuramente qualcosa di speciale. Un pensiero che, inaspettato, dimostri quanto, con attenzione e nel tempo, abbiamo ascoltato i desideri, le speranze e i gusti dei destinatari. Perché bello è ricevere regali, ma ancora più bello è donare e vedere negli occhi di chi riceve quella scintilla che ti fa capire quanto il dono sia gradito, desiderato, atteso. Ai bambini raccontiamo storie fantastiche di gnomi, folletti e di un delizioso vecchio dalla barba bianca e con il vestito rosso che, con la sua slitta magica trainata da renne che volano, gira il mondo portando doni a chi è stato buono. E siamo così convincenti che, a volte, ci ritroviamo a guardare all’insù persino noi. Sono altri, però, i doni che desidereremmo davvero e non solo per noi: salute e lavoro per tutti, pace e tranquillità economica e poi tanto amore, speranze in una società più attenta alle esigenze degli emarginati e pronta e caritatevole con i più deboli. E alla fine nel silenzio un dono per noi: la forza per essere benevoli, pazienti e pronti a saziare la fame di affetto di chi ne ha bisogno per tenere sempre vivo il calore umano che ci circonda. Quando arriva finalmente il giorno di Natale le famiglie si riuniscono attorno a tavole preparate con grande ricercatezza; dalle cucine provengono profumi aromatici e stuzzicanti di cibi appetitosi e gustosi e tra allegre chiacchiere ci si scambia auguri fraterni. E’ questa l’occasione offerta per appianare i contrasti, dal cuore ci nascono parole cariche di vero affetto e le espressioni dei volti si addolciscono. L’incanto pieno di emozioni prosegue anche sotto l’albero, quando in una festosa e affettuosa atmosfera avviene lo scambio dei doni. La dolcezza di questo giorno racchiude un grande senso di intimità anche quando, passata l’euforia della festa, è il momento di guardarci dentro e, silenziosamente, abbandonarsi al ricordo di chi non è più fisicamente con noi, ma resta sempre parte di noi.

http://www.emiliaromagnamamma.it/2016/12/

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Cinema, che passione! Giuseppe Ragusa Un’interessante novità dello scorso anno è stata il Corso di linguaggio cinematografico. Se pensate che l’organizzazione di un qualsiasi Corso che contempli una o più proiezione cinematografica sia semplice, ebbene vi sbagliate! Innanzitu o occorre essere ben informa delle rigide norme di Legge che regolano le proiezioni dei film. Il passo successivo è reperire un relatore che abbia una competenza non superficiale di cri ca cinematografica, e che sappia creare con il pubblico un feeling par colare di interesse e dialogo, che vada ben oltre la mera esposizione di interpre , regia e trama. Il terzo e più complesso passo è il passaggio alla fase esecu va. Si crea una lista di film da proporre per il Corso, e si procurano i dvd, ma – a enzione! ‐ non quelli che si noleggiano o acquistano nei negozi, che nascono per la visione domes ca e non possono essere proie a in pubblico (qualsiasi altro luogo che non sia la propria casa è considerato pubblico!). Per poterli proie are, bisogna avere l’autorizzazione dell’autore o del distributore (e si paga la tariffa); infine, visto che in ogni film sono presen musiche, bisogna conta are la SIAE territoriale e pagare i diri musicali. Ma, alla fine, siamo par e non ci fermeremo neanche in questo nuovo anno...! Nel primo ciclo abbiamo cominciato con cinque film europei e statunitensi (di cui uno d’animazione) che hanno in comune il filone della commedia. Abbiamo imparato che è ridu vo iden ficare la commedia con il termine “comico”, tu ’altro: la commedia è uno strumento di conoscenza spesso cri ca e di approfondimento su costume, a ualità, storia, persone, e la visione di ques film, corre amente “guidata” dalla nostra relatrice, Eugenia Ferrari, ci ha fa o conoscere mol la “oscuri” dei film (coloritura dei personaggi, situazioni par colari, fraintendimen , dinamiche, ecc.) Perché questo Corso? Ne parliamo con la nostra Relatrice, che così ci spiega: «Guardiamo un film per passatempo, diver mento, talvolta per conoscere qualcosa che ci è estraneo, per commuoverci ed emozionarci… Il cinema, come ogni forma d'arte, ha un suo linguaggio e a raverso i suoi "codici" realizza quell'effe o che noi cerchiamo. Conoscere questo linguaggio significa arricchire la propria visione, cogliere aspe ina esi, appassionarsi. Lo scopo non è diventare esper , ma avere qualche strumento per sfru are opportunità che altrimen non sarebbero accessibili...insomma per diver rci, conoscere, emozionarci ancora di più.»

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La Grande Guerra e il miracolo del Natale La Redazione

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Con la Prima Guerra Mondiale l’esercizio della violenza e dell’odio hanno fatto un salto di qualità. Il fenomeno non si spiega solo con l’aumentata potenza delle armi, ma risiede nello scatenarsi degli istinti più reconditi dell’uomo contro i propri simili, le cui cause sono state inutilmente studiate. Nazioni apparentemente civili si abbandonarono per la prima volta a condotte bellicoso­criminali che non si erano mai osservate, sin dalla più lontana antichità, in associazione a eventi militari regolati da patti. La violenza e l’odio si abbatterono sugli eserciti, sui singoli, e per la prima volta anche sui civili, e ciò oltre ogni ragionevole necessità strategica.

https://ascuoladitolleranza.wordpress.com

Non stupiscono, dopo l’esperienza della Grande Guerra, le angosce sul destino dell’uomo moderno né le considerazioni sul declino della civiltà occidentale, sulla fine del progresso, sulla crisi della ragione, sulla possibilità stessa, per l’uomo moderno, di costruire una civiltà capace di allontanare definitivamente lo spettro della barbarie dalla vita individuale e collettiva. Mai nel corso della storia umana era accaduto, ai contemporanei di qualsiasi epoca, di vivere in un periodo così breve l’esperienza catastrofica del naufragio di una civiltà che, appena un decennio prima, aveva celebrato il primato della sua universalità, dominando nel mondo con la potenza delle armi, della ricchezza, della scienza

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e della cultura. Per tutto ciò si è portati a pensare alla guerra come ad un avvenimento violento, dove due contendenti combattono fino all'eliminazione del proprio avversario senza mostrare nessun segno di pietà. La realtà però, per fortuna, è stata qualche volta diversa: i soldati di tutti i Paesi, accomunati dallo stesso destino, dalle fatiche quotidiane della vita in trincea e da un senso di umanità ancora vivo, furono in grado di stabilire dei contatti pacifici con i nemici e di "proclamare", in certe occasioni, delle tregue. La più celebre tra queste fu senza dubbio la cosiddetta "Tregua di Natale del 1914" quando sul fronte occidentale i soldati inglesi e tedeschi si scambiarono gli auguri di Natale e dei piccoli doni, sospendendo i combattimenti per una settimana. Quella tregua, che venne definita “il miracolo di Natale”, venne vista come la dimostrazione che gli uomini sono fondamentalmente buoni e che erano stati spinti alla guerra da governi stupidi e irresponsabili, tanto che appena liberi di farlo avevano scelto la pace e la fratellanza. A testimonianza di quanto detto riportiamo uno stralcio della lettera ,scritta ai genitori, dal caporale Leon Harris del 13° battaglione del London Regiment “…E’ stato il Natale più meraviglioso che io abbia mai passato. Eravamo in trincea la vigilia di Natale e verso le otto e mezza di sera il fuoco era quasi cessato. Poi i tedeschi hanno cominciato a urlarci gli auguri di Buon Natale e a mettere sui parapetti delle trincee un sacco di alberi di Natale con centinaia di candele. Alcuni dei nostri si sono incontrati con loro a metà strada e gli ufficiali hanno concordato una tregua fino alla mezzanotte di Natale. Invece poi la tregua è andata avanti fino alla mezzanotte del 26, siamo tutti usciti dai ricoveri, ci siamo incontrati con i Tedeschi nella terra di nessuno e ci siamo scambiati souvenir, bottoni, tabacco, e sigarette. Parecchi di loro parlavano inglese. Grandi falò sono rimasti accesi tutta la notte e abbiamo cantato le carole. E’ stato un momento meraviglioso e il tempo era splendido, sia la vigilia che il giorno di Natale, freddo e con le notti brillanti per le luna e le stelle.” (Liberamente tratto da “christamastruce.co.uk”)


Pala di Santa Cristina Lorenzo Lotto 1480 ­ 1556 Paolo Baldan La pala fu dipinta tra il 1505 e il 1506, e raffigura la Madonna, seduta su un trono sopraelevato che sorregge il Bambino in piedi poggiante sul suo ginocchio. Sotto a destra della Vergine, sono ritratti Santa Cristina con la ruota del martirio e San Pietro; di fronte a questi due Santi e, sullo stesso piano, sono rappresentati San Liberale con il plastico della città di Treviso sulla mano sinistra, e San Gerolamo. Il tutto è racchiuso in un piccolo tempio illuminato dalla luce che proviene da una sola apertura sulla destra. Nella parte superiore la pala termina con una lunetta dove il Cristo morto è seduto sull'orlo del sarcofago, sostenuto da due angeli. Il cardellino, che poggia sull'avambraccio del Bambino, rappresenta le spine della corona della passione di Cristo ed il tralcio di vite, raffigurato sul mosaico del catino absidale, indica la Resurrezione. Il percorso terreno del Cristo è così completamente rappresentato. La composizione è avvolta da una luce tagliente che rivela volumi precisi, l'atmosfera è vivida, cristallina, i colori sembrano smalti che evidenziano più che avvolgere, il segno deciso e spezzato crea pieghe spigolose nelle vesti e nei manti: una tortuosità che denota un profondo disagio esistenziale. Le figure sono animate e pervase da un pathos intenso, da un sentimento sofferto e da una religiosità non scontata ma pensosamente ricercata e vissuta. E' un'opera che, pur essendo del periodo giovanile, rivela quell'inquietudine sempre dignito­ samente sopportata, che rende l’autore partecipe delle difficoltà della vita. Una vita ed un'esistenza non serena né felice per lui costretto ad emigrare da Venezia per l'incomprensione della sua gente e a peregrinare in città e regioni diverse.La forza creatrice del Lotto era l'antitesi a quelle serene ed auliche novità veneziane legate all’ atmosfera tonale fatta di quella luce vellutata e ambrata che incanta. Mai prima di allora a Venezia si era visto un realismo così sentito e vissuto che troverà poi riscontro nel secolo successivo con Caravaggio. Lotto è stato definito il più straniero dei pittori veneziani, indubbiamente è stato un genio che ha certamente tenuto in considerazione la componente nordica del Durer, la forma della scuola toscana di Piero della Francesca 1410/1420,­ 1492, la preziosità e la meticolosità fiamminga. https://it.wikipedia.org/wiki/Pala_di_Santa_Cristina_al_Tiverone#

L'opera si trova presso la Chiesa Parrocchiale di Santa Cristina di Quinto (TV)

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