Intervista cassinelli

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LIBERA PROFESSIONE NEL SERVIZIO SOCIALE Intervista di Valentina Cassinelli ad Ugo Albano

Quali sono i mezzi economici necessari per svolgere la libera professione e qual è l’impegno che questa richiede (tempo, responsabilità, carico di lavoro)? Dipende dal tipo di impresa e dal businessplan retrostante: una cosa è aprire una casa di riposo, altra cosa è offrire un servizio a domicilio delle persone. Ma facciamo un passo indietro: essendo il servizio sociale un’attività di tipo intellettuale, un investimento necessario che io consiglio è quello culturale: bisogna spendere soldi e tempo per specializzarsi in qualche settore, sto quindi parlando di studio-studio, cioè sui libri, nelle aule, negli stages. Ciò è uno dei (tanti) aspetti che differenziano un servizio sociale pubblico da uno di tipo privato: il primo, rivolgendosi a tutti, non può che essere generalista, il secondo deve invece necessariamente essere particolare, specializzato, “di nicchia”, per usare le parole del marketing. Personalmente contesto chi, parlando di libera professione nel servizio sociale, si riferisce alla sola partita IVA: la libera professione in Italia, per sue caratteristiche intrinseche, ha molteplici forme giuridiche di esercizio. Ciò per affermare che il tempo profuso dipende dal tipo di impresa messo in piedi: c’è chi nello studio ci sta da mattina a sera, chi invece si impegna a tempi limitati, se – per esempio – parliamo di collaborazione occasionale. Dal mio osservatorio desumo che il “tempo di lavoro” è elastico: chi opera in libera professione ha molto tempo libero, ci sono tempi “intensivamente stressanti”, ci sono poi però mesi di vacanza. Dipende dalle attività, beninteso. E questa è una delle tante caratteristiche che differenziano la dipendenza dal lavoro autonomo. Le responsabilità – giuridicamente parlando – sono ben diverse: se il dipendente ha dietro di sé un ente, il libero professionista


risponde direttamente dell’attività: egli firma un contratto col cliente, egli deve delle prestazioni a fronte del compenso e paga anche danni, se li cagiona. Il “carico di lavoro” ha inoltre differenti significati. Nella dipendenza esso è l’insieme delle attività conferite (ed oggi imposte oltre i limiti delle possibilità individuali) e spesso è sconnesso dalla retribuzione: avere cento o duecento casi, averli semplici o complessi non comporta alcunché sul piano retributivo. Nella libera professione il “carico” corrisponde invece all’insieme delle attività che il professionista garantisce di svolgere: se è troppo, egli semplicemente lo rifiuta. E' una grande libertà che il dipendente non ha!

Quali sono le forme con le quali si può esercitare la libera professione? (Consulenza, studio, rapporto di lavoro autonomo, società, impresa, servizio) Nel mio libro “servizio sociale e libera professione” (ed. Carocci) al cap. 5 allora elencammo le diverse tipologie di esercizio libero professionale, individuando da una parte quelle individuali (la maggioranza), dall’impresa individuale alla semplice collaborazione, e dall'altra quelle collettive (società, ONLUS, ecc.). La forma dipende dal tipo di business che si vuole perseguire: da soli o con altri? E questi altri sono colleghi altri professionisti? L'impresa ha un luogo fisico (che è anche domicilio fiscale) o assume caratteristiche aspaziali, tipo l'associazione? Da quel che osservo le società tra professionisti con colleghi non esistono, si delinea un certo numero di “studi privati” caratterizzati da ditte individuali, mentre tutto il resto è sparso nelle forme più varie, associazioni, collaborazioni individuali (sovente conferite a chi ha già un rapporto di dipendenza).


Quali sono le caratteristiche che connotano la libera professione e la differenziano dal lavoro subordinato (aspetti economici, organizzativi, di rischio, di autonomia, di prestigio sociale, di possibilità di confronto con altri membri della professione)? Le differenze sono tante, l'unico aspetto comune è l'oggetto di lavoro, che è l'essere umano con le proprie difficoltà di vita. Seguo la Sua scaletta per evidenziare le differenze. S ul piano economico la dipendenza ha un carattere di continuità (lo stipendio), mentre la libera professione ha natura discontinua; per converso, la dipendenza mette in evidenza (in Italia) bassi valori economici, mentre più alti sono gli introiti possibili nella libera professione. Sul piano organizzativo la dipendenza mette in evidenza un apparato – amministrativo ed operativo – di supporto all'assistente sociale, mentre la libera professione connota una “solitudine organizzativa” che sicuramente è anche la forza del collega. Idem il rischio, che nella dipendenza - ferme restanti le responsabilità civili e penali che sono individuali – ricadono sull'organizzazione, mentre nella libera professione interamente sul professionista. Per converso l'autonomia è all'opposto: il libero professionista è totalmente autonomo per l'esercizio d'impresa, mentre il dipendente “dipende” dalla propria line gerarchica, cui deve costantemente riferirsi. Il prestigio sociale è invece frutto dell'operatività: se quello del dipendente è tendenzialmente negativo (ci si accusa di rovinare le famiglie, di rubare i bambini, di non dare i contributi economici), quello liberoprofessionale è ancora tutto da capire. Le poche esperienze sono recenti e non hanno ancora prodotto effetti di prestigio sociale. La nota dolente è invece rappresentata dalle possibilità di confronto con altri membri della professione: premesso che la maggioranza degli assistenti sociali è dipendente e che


all'università – ahimè!- viene formato un professionista solo dipendente, le conseguenti possibilità di confronto sono al minimo. Gli stessi Ordini, seppur interessati “per statuto” a capire cosa sia la libera professione, faticano a recepirla e a valorizzarla. Ma non disperiamo: siamo all'anno zero e c'è ancora molto cammino da fare.

Quali sono i motivi che l’hanno spinta a scegliere la libera professione? Premesso che sono un dipendente, la mia libera professione si esplicita attraverso incarichi aggiuntivi allo stipendio. Quindi per me la libera professione non è un'alternativa, ma un “di più” che ha un limite intrinseco (per tempo ed energie). Ho colto come tanti colleghi tante opportunità che nel tempo si sono create. I motivi che mi hanno spinto in tal direzione sono squisitamente quelli di un esercizio professionale di “crescita”, cosa che la dipendenza di fatto poco permette. Per l'esercizio degli incarichi sacrifico finesettimana e ferie: è una scelta non solo necessaria per conciliare ciò con la dipendenza, ma anche per crearmi uno spazio imprenditoriale totalmente “mio”. Come si instaura il rapporto con il cliente (colloqui, contratti, impegni verbali, remunerazione)? Il tutto è legato alla libera contrattazione: all'inizio ci sono diverse interlocuzioni, normalmente orali che servono solo per negoziare il mandato. Stabilito questo si firma un atto contrattuale o un accordo in cui ci si impegna vicendevolmente, il professionista ad assicurare la prestazione, il cliente a pagare. Se la prestazione è erogata si incassa quanto pattuito. Nella mia pratica avviene spesso che dalle interlocuzioni orali non si arriva poi ad un atto formale per tanti motivi, anche economici, per cui il rapporto non si concretizza. Per facilitare il tutto e per ottimizzare i tempi ho ormai


dei preventivi standard con costi prestabiliti. In ciò il tariffario aiuta.

Perché il cliente si rivolge ad un libero professionista? Rivolgersi ad un libero professionista costa di più, perchè il prodotto è di qualità. Il cliente cerca flessibilità di tempi, servizi originali, innovatività che rispondono meglio ai propri bisogni. Il motivo principale è che l'utente è pagante: se paga ha davvero bisogno di quella prestazione. Quali sono le aree di bisogno sociale non tutelate dalla pubblica amministrazione? Sono tantissime, invito i giovani colleghi a saper vedere tutte le aree di bisogno che non hanno copertura pubblica. Premesso che i servizi pubblici oggi coprono - ahimè pure assai male!- solo parte dei bisogni di una fascia di popolazione a bassa potenzialità economica, resta tutto il resto della cittadinanza. Questa ha buona capacità economica e non è per nulla abituata ad accedere ai servizi pubblici, un po' anche per colpa di questi, definitisi in questi anni per i “meno abbienti”.

Quali sono i limiti che potrebbero condizionare la libera professione nella realtà sociale italiana? Di limiti non ne vedo affatto, anzi: ci sono tante aree di bisogno scoperte su cui da sempre c'è il mercato. Mi viene in mente il counseling, l'assistenza privata domiciliare di un anziano o il lavoro con i gruppi. Il problema, semmai, è l'assenza degli assistenti sociali da queste dinamiche: siccome il mercato non ammette vuoti di risposta a fronte di una domanda, tanti segmenti di libera professione squisitamente di competenza nostra sono passati ad


altri professionisti. L'esempio degli psicologi che in Italia non fanno psicoterapia ma counseling è emblematico! Quali consigli darebbe ad un assistente sociale che voglia intraprendere la libera professione per meglio orientarlo? Può sembrare paradossale, ma il primo consiglio che do è quello di svezzarsi nella dipendenza. Mi fanno paura francamente i giovani colleghi, senza esperienza, buttati allo sbaraglio sul mercato: al 99% chiudono per fallimento. I diversi assistenti sociali libero professionisti che reggono il mercato sono quelli che provengono dalla dipendenza e che poi hanno scelto l'autonomia. Tutti gli aspetti dell'imprenditoria – il rischio, la lettura del mercato, l'innovatività – richiedono “spalle forti”, cioè persone con esperienze, conoscenze e fortissima consapevolezza. Questa consapevolezza significa anche conoscere i propri limiti, come anche i punti di forza, entrambi aspetti che non si imparano dai libri, ma dalla vita. Quindi un altro consiglio che do è quello di agire professionalmente, anche nella dipendenza: è solo chi è un vero professionista che poi sa giocarsi nel mercato. Last, but not least: la specializzazione. Se tra x anni io mi offrirò al mercato per una certa competenza y, io devo lavorarci già da ora. Investire in un master, sviluppare delle metodologie di lavoro efficaci, specializzarsi con un certo tipo di utenza significa addestrarsi alla specificità, che è il cuore di ogni attività liberoprofessionale.


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