TrentinoMese ottobre 2019

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trentinoilcaso

Il sentiero che porta verso Nomesino, in Val di Gresta e, a destra, La Casa dei Turchi, a Rovereto, nei pressi del ponte sul torrente Leno

tivo, ma ricco di sentimento, sembra ora difficile pensare a un omicidio ad opera di quell’uomo che sembrava veramente innamorato. Tuttavia gli inquirenti sono di parere opposto, per cui sulla base dei numerosi indizi a suo carico si spalancano le porte del carcere di Rovereto al presunto omicida. Nei mesi successivi, l’istruttoria prosegue senza novità sostanziali, a parte il fatto che viene confermato che l’uomo notato sul sentiero, poco avanti la povera Chiarina, è sicuramente l’omicida. Infatti, i testimoni ricordano che costui portava con sé una lunga asta di ferro, quella che sarebbe stata poi usata per l’aggressione. “Un residuato di guerra a sezione triangolare - diranno le indagini dei carabinieri - divelto da una recinzione di campagna poco distante”. Circostanza, questa, che farà sfumare di colpo la fantasiosa “pista” del delitto di natura rituale o esoterica. Il Buzzacchi, proclamatosi sempre innocente e sinceramente legato alla vittima, nel frattempo rimane in cella in attesa di giudizio, sino a quando accade un colpo di scena. Infatti, vengono sentiti nuovi testimoni i quali dichiarano “di avere notato l’imputato a Rovereto la mattina del 30 ottobre dalle ore 10 alle 11.45”, esattamente alla stessa ora in cui, sopra Mori, veniva consumato il delitto. Neppure i testi che mesi prima avevano sostenuto con convinzione la somiglianza fra il Buzzacchi e l’uomo notato sul sentiero, sono ora così certi delle proprie dichiarazioni. In più, anche sul vestiario indossato quel giorno dall’assassino le risultanze dell’istruttoria sono discordi: chiaro il vestito e il berretto notati dai testimoni oculari; scuri entrambi quelli usati solitamente 60

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dal Buzzacchi, secondo quanto ribadito dalle ultime testimonianze. Alla fine di febbraio le accuse iniziano a scricchiolare e per questo motivo il Sostituto procuratore del Re, cav. Grisoli, formula la richiesta di immediata scarcerazione: per il Buzzacchi sembra finalmente giunta la liberazione, ma non è così. Nonostante il parere a lui favorevole resta ancora chiuso in carcere in quanto l’accusa, nient’affatto convinta del risultato, richiede un supplemento d’istruttoria. È interessante a tal proposito, un’accorata istanza di scarcerazione presentata dal difensore, l’avvocato napoletano Leone Ventrella del Foro di Rovereto, che si rivolge al Procuratore con queste parole: “Se chi ha mancato piega il capo di fronte alla pena; chi è innocente, come il Buzzacchi, rischia di impazzire vedendo persistere l’errore che non certo al Magistrato può ascriversi, ma che il Magistrato è l’unico capace di riparare”. Il ricorso dell’accusa tendente a rivedere l’orientamento degli inquirenti, una settimana più tardi viene tuttavia respinto “non essendo emersi nuovi elementi di reità che consiglino la riapertura dell’istruzione”. Si giunge in tal modo alla chiusura dell’istruttoria. In essa la Sezione d’Accusa presso la Corte d’Appella di Trento smonta pressoché tutti gli indizi a carico del Buzzacchi, in particolar modo l’accusa fatta in punto di morte dalla povera Chiarina, in quanto “seppur veridica nella sua obbiettività non può essere presa in seria considerazione atteso lo stato fisico della paziente e delle gravi lesioni alla testa”. “Per questi motivi - conclude il dispositivo - dichiara il non luogo a procedere per insufficienza di prove nei confronti

dell’imputato e ordina la sua immediata scarcerazione”. Così, Glauco Giuseppe Buzzacchi esce libero dal carcere il 19 aprile 1930, quasi sei mesi dopo il suo arresto. Qualche giorno più tardi prenderà le sue poche cose e all’insaputa di tutti salirà su di un treno con un biglietto di sola andata per la Francia dove rimarrà per vent’anni, forse nelle fila della Legione Straniera. Quello che è certo comunque - nella complicata incertezza di seguire le tracce di soggetti senza fissa dimora - è che il Buzzacchi rientrerà a Mantova nel 1953, ospite da lì in poi in strutture di accoglienza per persone con disagio sociale. Morirà nella città lombarda il 28 luglio 1961, all’età di 71 anni. Chiarina Beltrami, considerata da sempre madre esemplare, dopo la sua morte sarà invece condannata all’eterno oblio, colpevole di avere infranto le leggi della comunità intrattenendo una relazione clandestina con quell’uomo che molti, sin da subito, avrebbero voluto a tutti i costi condannato come capro espiatorio per lavare l’offesa e la vergogna gettata su quella povera famiglia e sull’intero paese. Ora sappiamo che le cose non andarono in quel modo. Per quanto riguarda la povera Chiarina, purtroppo per lei non ci fu mai giustizia e il dubbio se il suo amante fosse stato veramente anche il suo assassino sarebbe rimasto per sempre senza risposta. Un dubbio che, come il resto della storia, sarebbe ben presto svanito nelle pieghe del tempo e della memoria lasciando dietro di sé, a testimonianza di quell’assurda tragedia, solo una piccola lapide grigia, quasi illeggibile, lungo un ripido sentiero ormai perduto nel bosco. ■


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