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PAESAGGI URBANI, LA STORIA E IL NUOVO 1
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Rivista quadrimestrale maggio-dicembre 2012 anno XII, numero 33-34 Direttore responsabile Laura Facchinelli Direzione e redazione Cannaregio 1980 – 30121 Venezia Via Venti Settembre 30/A – 37129 Verona e-mail: info@trasportiecultura.net laura.facchinelli@alice.it per invio materiale: casella postale n. 40 ufficio postale Venezia 12, S. Croce 511 – 30125 Venezia Comitato Scientifico Giuseppe Goisis Prof. Ord. di Filosofia Politica, Università Ca’ Foscari, Venezia Cristiana Mazzoni Parigi - Prof. HDR, Ecole Nationale Supérieure d’Architecture, Strasburg Marco Pasetto Prof. Ord. di Strade, ferrovie e aeroporti, Università di Padova Franco Purini Prof. Ord. di Composizione Architettonica, Università La Sapienza, Roma Enzo Siviero Prof. Ord. di Tecnica delle costruzioni, Università IUAV, Venezia Maria Cristina Treu Prof. Ord. di Urbanistica, Politecnico di Milano
5 PAESAGGI URBANI, LA STORIA E IL NUOVO di Laura Facchinelli
7 TORINO: INFRASTRUTTURE DI TRASPORTO E RINNOVAMENTO URBANO di Cristina Marietta e Matteo Tabasso
15 MILANO, GLI INTERVENTI DI PORTA NUOVA E NELL’AREA STORICA DELLA FIERA di Maria Cristina Treu
27 VENEZIA, TRASFORMAZIONI FRA STAZIONE FS E TERMINALI AUTOMOBILISTICI
91 LA DECIMA EDIZIONE DEL PREMIO TRASPORTI E CULTURA 99 BIENNALE 2012, L’ARCHITETTURA É UNO SPAZIO COMUNE di Laura Facchinelli
107 GLI SPAZI URBANI RISUONANO di Ricciarda Belgiojoso
111 IL TRACOLLO DELL’URBANISTICA: FOTOGRAFIA DELL’ITALIA DAL DOPOGUERRA di Laura Facchinelli
di Renzo Ferrara e Piero Michieletto
35 FIRENZE E IL NODO DELL’ALTA VELOCITÁ di Riccardo Renzi
47 PERUGIA, OLTRE IL MINIMETRÓ di Andrea Vignaroli e Paolo Belardi
La rivista è sottoposta a referee Traduzioni in lingua inglese di Olga Barmine
55 MARSIGLIA, DA CITTÁ PORTUALE A METROPOLI EUROPEA di Oriana Giovinazzi
La rivista è pubblicata on-line nel sito www.trasportiecultura.net 2012 © Laura Facchinelli Norme per il copyright: vedere nell’ultima pagina Editore: Laura Facchinelli C.F. FCC LRA 50P66 L736S Pubblicato a Venezia nel mese di dicembre 2012 Autorizzazione del Tribunale di Verona n. 1443 del 11/5/2001
ISSN 2280-3998
67 IL CENTRO STORICO DI GRAZ, UN’ARMONIA DI CONTRASTI di Alessandro Tricoli
77 RICOSTRUZIONE DEL CASTELLO DI BERLINO COME HUMBOLDTFORUM di Franco Stella
85 PAESAGGIO, CITTÁ, ARCHITETTURA Cinque domande a Franco Purini e Laura Thermes a cura di Monica Manicone e Laura Zerella
Questo numero della rivista è stato realizzato in collaborazione con l’arch. Oriana Giovinazzi di Venezia.
TRASPORTI & CULTURA N.33-34
Paesaggi urbani, la storia e il nuovo di Laura Facchinelli
Il tema di questo numero è al centro del nostro interesse. Riguarda infatti la città, il nostro spazio costruito, espressione della nostra civiltà. Riguarda la grande storia dell’Italia, che significa bellezza della natura e dell’architettura. Ma riguarda anche lo sviluppo che, fra ‘800 e ‘900, ha segnato grandi trasformazioni del territorio (in particolare con la realizzazione delle grandi infrastrutture di trasporto), ma negli anni ultimi 50 anni si è fatta rapidissima e stravolgente, per le ragioni che abbiamo scritto molte volte, in queste pagine. Dobbiamo guardare al futuro, ma senza dimenticare il nostro nobile passato. Dobbiamo attrezzare le nostre città per nuovi servizi, e accogliere nuove forme architettoniche e nuovi materiali, ma con prudenza, con consapevolezza. Con cultura. Respingendo gli interventi che siano frutto di ignoranza o di interessi personali contrastanti col bene collettivo. L’equilibrio fra conservazione e innovazione non è una regola aritmetica: va ricercato caso per caso. Nelle pagine che seguono ci sono alcuni esempi molto diversi l’uno dall’altro, così da proporre una molteplicità stimolante. A Torino il rinnovamento urbano passa attraverso le infrastrutture, ed è un bell’esempio di vitalità e capacità decisionale da parte della città che è stata la prima capitale dell’Italia unita. Anche a Milano si stanno realizzando lavori importanti, che in certe zone porteranno, con la modernizzazione, evidenti mutamenti. Mutamenti che si prospettano anche a Venezia, e in questa città preziosa e delicatissima si imporrebbero attenzioni particolari, progetti adatti e rispettosi del contesto… Gli esempi di Milano e Venezia verranno presentati nell’ambito di un convegno che abbiamo organizzato a Venezia, proprio sul tema “Paesaggi urbani, la storia e il nuovo”. Anche Firenze sta vivendo una stagione di trasformazioni legate alle infrastrutture: in questo caso si tratta delle ferrovie, col rinnovamento della stazione-monumento di Santa Maria Novella e la costruzione del nuovo terminale dell’Alta Velocità. E poi c’è il caso di Perugia, altra città d’arte straordinaria, che si è dotata di un moderno minimetrò. Tre città europee – Marsiglia, Graz e Berlino – offrono prospettive interessanti. Se l’evoluzione di Marsiglia, da città portuale a metropoli europea, è assai dinamica e ricca di stimoli, gli altri due esempi sono sorprendenti. La città austriaca ha maturato esperienze significative nell’ambito dell’architettura, con interventi che hanno lasciato segni molto evidenti, soprattutto nell’ultimo decennio. Concepire una demolizione nel cuore del centro storico per costruire un edificio di metallo e vetro che somiglia a un’immensa bolla, può essere un passo discutibile, oppure un’idea geniale. Va riconosciuto che quella “cosa” è bellissima. Ma allora un intervento può (talvolta) essere stravolgente, purché di alto profilo! Il caso di Berlino, al contrario, riguarda la ricostruzione di un castello che era stato prima danneggiato dagli eventi bellici e successivamente abbattuto. Il progettista, italiano, spiega le ragioni di questa operazione che - se disattende i principi del restauro dell’antico e quelli del progetto del nuovo - tuttavia risponde all’esigenza di recuperare un edificio-simbolo, di eccezionale importanza civile e politica per la comunità nazionale. A noi, questa, sembra una ragione valida. E sosteniamo che comunque, dopo la perdita traumatica di un edificio storico o di un intero centro abitato, quando si deve scegliere fra il “com’era, dov’era” e la soluzione contemporanea, la decisione spetta alla comunità. Ed è apprezzabile – per ragioni legate ai sentimenti - anche un rifacimento della forma perduta. Proprio per conoscere ed approfondire una molteplicità di esperienze in tema di infrastrutture e di paesaggio, la nostra rivista organizza il Premio Trasporti & Cultura per libri di saggistica. Nella sezione “Cultura” ne raccontiamo il decennale.
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Torino, infrastrutture di trasporto e rinnovamento urbano di Cristina Marietta e Matteo Tabasso
Torino si colloca oggi tra le prime 15 città in Italia per flusso di turisti (fonte Istat, 2010 1) e da una recente indagine, svolta dal sito TripAdvisor, risulta addirittura al primo posto in Italia e al terzo in Europa per incremento di turisti tra le nuove mete. Il dato evidenzia la notevole inversione di tendenza nella percezione della città: solo vent’anni fa sarebbe stato per lo meno azzardato associare la sua immagine all’idea di turismo e qualità del paesaggio urbano. Cos’è dunque successo in questi anni, da trasformare la grigia città della Fiat in una “città vivibilissima”, “centro di storia, arte, cultura, sport?” 2
Struttura territoriale Nella sua storia, Torino non ha mai avuto un’identità statica ma ha spesso alternato periodi di grande successo a periodi di crisi. Le fasi che hanno caratterizzato la città negli ultimi due secoli - quella di capitale del Regno prima e di città industriale poi - si rispecchiano nella struttura della città dove, a un centro storico segnato da architetture e monumenti di carattere aulico, si contrappone un immediato intorno caratterizzato da quartieri residenziali di massa e numerose aree industriali adiacenti alla ferrovia. La linea ferroviaria è una cesura che attraversa da nord a sud la pianura su cui la città si è sviluppata, compresa tra le montagne (a ovest) e la collina (a est) e attraversata dal Po e dai suoi affluenti (Dora, Stura e Sangone). Sulla pianura torinese si innestano le direttrici provenienti dalle valli montane, tra le quali quella della Valle di Susa, storico punto di accesso per chi proviene dalla Francia.
Un po’ di storia Dopo aver perso il ruolo di Capitale nel 1865, la città aveva saputo tradurre le competenze maturate nel campo dell’organizzazione militare e della produzione di armi investendo nella imprenditoria industriale. L’industria dell’auto vede la luce con la Fabbrica Italiana Auto fondata a Torino nel 1899 (poi denominata FIAT per l’assonanza con il beneaugurante termine latino), ma accanto a quella che dagli anni ’50 diventerà la prima fabbrica in Italia, a Torino sono presenti moltissime realtà produttive: grandi 1 Movimento degli esercizi ricettivi - anno 2010, Istat (tav. 2.13). 2 Giudizi su Torino registrati su http://rete.comuni-italiani.it/ desc/geo/001272 tra agosto 2010 e maggio 2012.
Turin: transport infrastructures and urban renewal by Matteo Tabasso After ceding its role as the capital of Italy in 1865, the City of Turin reinvented itself to become the capital of the automotive industry, led by FIAT. This specialization was short-lived, and the industrial crisis in the early 1990s again forced Turin to redefine its role. The city Master Plan, approved in 1995, rose to the challenge with four integrated fields of action: the reuse of brownfields; the preservation of green areas with the creation of a park system; the preservation of undeveloped areas; Compact-city and Transit-oriented development. The huge number of abandoned industrial sites within the city, strategically located along the railway line, were turned from problem into opportunity. The main Master plan project, which soon became a driving force for the development of the entire city, focused on the ‘Spina Centrale’ (“Central Backbone”), a fifteen-kilometre central axis along which the rail infrastructures were relocated and buried to enable the creation of a new urban boulevard, with the renovation of the public spaces and brownfield sites along its edges. This project was based on the integration of two main principles: the empowerment of the railway line as an efficient sustainable urban transport mode and the regeneration of abandoned areas with the creation of new urban centralities, each of which featured a railway station. Today the new infrastructure has led to a better urban transportation system: the Spina Centrale is a pleasant modern boulevard that has reconnected two parts of the city once divided by the railway, and re-vitalized an important brownfield area.
Nella pagina a fianco: in alto: la centralissima Piazza San Carlo, pedonalizzata, diventa il “salotto” di Torino; in basso: morfologia dell’area torinese.
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1 - Lavori di interramento del Passante Ferroviario e realizzazione della “Spina”.
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fabbriche tessili, importanti industrie metalmeccaniche e metallurgiche, birrifici, manifatture, fabbriche di cioccolato e dolciumi, opifici, tintorie e concerie, industrie ferriere, industrie di macchinari di precisione e cuscinetti a sfera. Il passaggio da città-capitale, quindi prevalentemente terziaria e “di rappresentanza”, a città industriale comporta una forte trasformazione fisica: tra il XIX e XX secolo, a ridosso della antica cinta daziaria e attorno a precedenti nuclei rurali, artigianali e commerciali - a nord, a sud e a ovest senza distinzioni con l’unico limite della collina che cinge Torino sul lato orientale - sorgono piccoli e grandi stabilimenti produttivi. Questo carattere di città industriale per eccellenza, che andrà rafforzandosi con il crescere del colosso FIAT, contribuisce fortemente alla storia civile collettiva di Torino: dalla nascita dei movimenti antifascisti nelle fabbriche, alle battaglie sindacali degli anni ’70, dai movimenti per la casa legati agli ingenti flussi migratori dal meridione, all’educazione alla convivenza e all’integrazione di lavoratori provenienti da lidi sempre più lontani. Negli anni ’80, Torino patisce la crisi del modello economico industriale: la FIAT inizia un ridimensionamento dei dipendenti che vedrà il numero degli addetti ridursi progressivamente da 150.000 a 15.000 in vent’anni. Come conseguenza, nel giro di 30 anni la città perde circa 300.000 abitanti, per lo più a favore della prima cintura. Vengono chiusi a mano a mano molti storici stabilimenti (Lingot-
to, Officine Savigliano, Ferriere Piemontesi-Teksid, Michelin). Progressivamente si svuotano grandi tasselli, anche molto centrali rispetto alla conformazione attuale della città, con il conseguente impoverimento della qualità urbana di molti spazi: la città si trova a dover gestire non solo l’emergenza sociale legata alla trasformazione del mercato del lavoro, ma anche il mutamento del proprio paesaggio urbano: a metà degli anni ’90 si contano circa 3 milioni di metri quadrati di aree industriali dismesse.
Costruzione del progetto La crisi dell’industria richiede un radicale ripensamento delle politiche e delle prospettive cittadine: è infatti necessario mettere a fuoco una nuova vocazione, cercare al più presto un carattere identificativo, una nuova identità per evitare la progressiva disaggregazione sociale e la perdita di competitività sul piano nazionale e internazionale. L’agenda dell’Amministrazione per affrontare questa nuova sfida rispondendo alle nuove esigenze della città, apre la strada al processo di terziarizzazione della città e si fonda sull’interazione di diversi elementi, che si ritrovano tra le linee guida proposte dal Piano Regolatore, approvato nel 1995: - il riuso delle aree dismesse, - la salvaguardia delle aree verdi e creazione di un sistema di parchi,
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la salvaguardia delle aree inedificate, il tema della città compatta e del Transit Oriented Development (TOD). Il recupero delle periferie e la leva per la metamorfosi della città è proprio l’infrastruttura ferroviaria, ma nel quadro di una nuova vocazione della città. Il principale progetto di rinnovo urbano che caratterizza il Piano, la cosiddetta Spina Centrale si incardina sull’integrazione di due principi: - il potenziamento dell’infrastruttura ferroviaria a servizio di un’adeguata mobilità pubblica, che si estende all’area metropolitana e regionale; - il recupero dei vuoti urbani, dovuti soprattutto alla dismissione industriale, che si concentrano lungo il sedime ferroviario con la creazione di un adeguato mix funzionale e sociale volto alla qualificazione di queste nuove centralità. Torino riscopre e investe sul proprio capitale storico, architettonico, artistico, sul pregio dell’urbanistica romana e barocca e sulla bellezza dei propri paesaggi naturali. Proprio in virtù di questa nuova vocazione, oltre ai due elementi indicati il Piano individua un’altra “assialità”, rappresentata dalla valorizzazione e messa in sicurezza del fiume Po, concepito come asse della qualità paesaggistica. Dal 1998, un vasto gruppo di esperti, professionisti, operatori, amministratori della città metropolitana, vengono riuniti in un processo volto a focalizzare, anche operativamente, le azioni che
2 - Alternativa 2, aerofoto del Passante.
3 - Alternativa 1, schema SFM e metro.
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4 - Schema del Servizio Ferroviario Metropolitano; fonte: Agenzia Mobilità Metropolitana.
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traghetteranno Torino su un panorama internazionale, oltre la fase industriale: il risultato sarà il Primo Piano Strategico in Italia, pubblicato nel 2000. I risultati di questo nuovo approccio non si fanno attendere e, nel 1999, Torino ottiene l’assegnazione dei XX Giochi Olimpici invernali 2006. Questa visibilità dà ulteriore impulso alla trasformazione in programma. Dal punto di vista infrastrutturale, in un quadro di accessibilità nazionale e internazionale, Torino si trova penalizzata da un sistema in cui Porta Nuova, la principale stazione cittadina, è di testa e collegata in modo inefficiente alle direttrici per Milano e per la Valle di Susa (binari in trincea, sovrapposizione del traffico passeggeri e merci sui medesimi binari, etc.); la mobilità urbana è organizzata attorno all’autoveicolo privato e al servizio pubblico su gomma. Il primo progetto di potenziamento del nodo torinese mira a modernizzare e semplificare la questione dell’attraversamento della città, al fine di non escludere Torino dai tracciati Europei e Nazionali dell’Alta Velocità, oltre che offrire una risposta alla domanda di mobilità dei lavoratori pendolari. Dal punto di vista operativo, si tratta di interrare e moltiplicare i binari di accesso alla città attraverso la grande opera del Passante Ferroviario, i cui obiettivi sono:
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l’integrazione del nodo torinese nella nuova rete veloce italiana (collegamento Torino - Milano) e quindi europea; - l’incremento della quantità dei servizi ferroviari; - la creazione di un sistema regionale di trasporti funzionalmente separato, ma fisicamente interconnesso al resto della rete e incentrato sulla città; - la ricomposizione della frattura tra le porzioni di città originariamente separate dalla ferrovia a raso o in trincea. Con quest’ultimo punto si evidenzia la particolarità della trasformazione torinese: intrecciare il progetto infrastrutturale con i progetti di trasformazione urbanistica. La Spina Centrale, progetto che rimodella in superficie la città intervenendo sulle aree ferroviarie e industriali dismesse, diventa l’intervento di punta della nuova Torino, giacché ciascun ambito di trasformazione viene dotato di una stazione. In corrispondenza delle stazioni, ispirandosi al concetto di Transit Oriented Development (TOD), il Piano prevede lo sviluppo di nuovi quartieri, caratterizzati da elevate densità e da un adeguato mix di funzioni al fine di garantirne una opportuna vitalità. Ciò consente di attivare una vera e propria rigene-
razione strategica dei “vuoti urbani”, che diventano così le nuove centralità. Il Passante Ferroviario si sviluppa lungo 12 km dentro la città, di cui circa 7 in galleria coperti dal nuovo viale della Spina. La nuova linea Passante è prevista per differenziare il traffico nazionale a lunga percorrenza da quello regionale e metropolitano, rendendo possibile un notevole aumento dell’offerta di trasporto e la realizzazione di un vero sistema di mobilità integrato con le altre modalità di trasporto.
L’attuazione Il Servizio Ferroviario Metropolitano (SFM) e le nuove centralità - Attivando le stazioni passanti, incrementando il numero dei binari, la sicurezza e la velocità dei tragitti in città, il nodo torinese si predispone ad una riorganizzazione del servizio che si evolve presto in un sistema ad attestamenti incrociati fino a costituire un vero e proprio sistema ferroviario rete. Col Passante, la città è attraversata, in sottosuolo, da diverse linee ferroviarie - dall’alta velocità alle linee sovracomunali - che percorrono la medesima tratta, pur avendo destinazioni e provenienze diverse.
Il Servizio Ferroviario Metropolitano è costituito da 5 linee operanti entro un raggio di 50 km da Torino: FM1 Chieri-Rivarolo-Pont; FM2 Pinerolo-Ceres; FM3 Avigliana–Torino Stura; FM4: CarmagnolaChivasso–Ivrea; FM5 Orbassano Torino Stura. A regime, il sistema prevede di far circolare 72 treni/giorno su ogni tratta (uno ogni mezz’ora nelle due direzioni, per 18 h/giorno) e di organizzare i passaggi dei treni del SFM con quelli dei treni regionali con fermate in tutte le stazioni cittadine in modo che, tra le 6.00 e le 22.00, treni opportunamente cadenzati servano 6 stazioni FS del Passante con una frequenza assimilabile a quella di una linea di metropolitana (4-6 minuti nella tratta su cui si sovrappongono tutte e 5 le linee FM). Le stazioni sono poi pensate come poli intermodali, in cui il SFM possa intersecare la nascente rete metropolitana (è in progettazione la linea 2) e la linea ad alta velocità nel nodo di Porta Susa, vera e propria cerniera di un sistema a più livelli. Un sistema così concepito mira a incentivare l’uso del mezzo pubblico, intervenendo faticosamente sulla mentalità di generazioni (anche di pianificatori) cresciute con il culto della mobilità privata e dell’auto.
5 - Sezione della nuova stazione di Porta Susa – Silvio d’Ascia (AREP) e Agostino Magnaghi. 6 - L’allestimento realizzato su Spina 2 per le celebrazioni di Italia 150.
La nuova mobilità - La mobilità pubblica torinese, per anni orientata al trasporto su gomma, si orien11
TRASPORTI & CULTURA N.33-34 ta verso una mobilità su ferro attraverso il Servizio Ferroviario e la Metropolitana. Inaugurata nel 2006 e completata nel 2011, la linea 1 della Metropolitana, da Collegno a Lingotto (con un ulteriore sviluppo in direzione sud previsto entro il 2013) è percorsa dai piccoli ma frequenti vagoni della VAL (Veicolo Automatico Leggero), metropolitana automatica di ultima generazione, pensata per intercettare il traffico che normalmente affluiva da ovest e da sud verso il centro lungo due delle principali arterie cittadine. Il percorso intercetta edifici o funzioni che si caratterizzano per essere polo di attrazione di traffico privato: la zona ospedali, il Centro Polifunzionale del Lingotto, la Stazione Internazionale di Porta Susa e la centralissima Porta Nuova. La metropolitana, luminosa nelle stazioni e lungo i tunnel, risulta molto amata dai Torinesi per i quali diventa motivo di orgoglio. Dal 2008 Torino ha integrato il proprio servizio di mobilità pubblica con 116 postazioni di bike sharing e oltre 1200 bici a disposizione degli abbonati, premendo così sul tasto della compatibilità geomorfologica e della qualità paesaggistica che rendono la città adatta alla mobilità su due ruote. L’iniziativa ha ottenuto una risposta molto incoraggiante, poiché ad oggi sono stati rilasciati oltre 18.000 abbonamenti e giornalmente si contano circa 6.000 prelievi. I pass per turisti emessi sono stati fino ad ora circa 2.000. Il servizio inoltre è integrato con alcuni comuni dell’hinterland: Collegno, Grugliasco, Venaria Reale, Alpignano e Druento, e la fruizione da parte degli studenti è agevolata grazie alla possibilità di attivare l’abbonamento fruendo della propria tessera universitaria.
7 - L’interno delle Officine grandi Riparazioni prima dell’allestimento per Italia 150.
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La Spina Centrale: come si modifica il paesaggio urbano - Le aree di trasformazione della Spina Centrale costituiscono il più rilevante complesso di aree industriali dismesse individuate dal Piano Regolatore Generale e si estendono per una superficie che supera i 2.000.000 di m². Gli interventi previsti si propongono di riqualificare aree industriali dismesse localizzate nel settore centrale della città, da nord a sud, creando nuove condizioni di centralità urbana, integrando fisicamente, funzionalmente e morfologicamente parti di città storicamente separate dal tracciato ferroviario. Dal punto di vista del paesaggio urbano, la copertura del Passante e la realizzazione della Spina rappresenta una rivoluzione: le trincee ferroviarie vengono trasformate in viali importanti, con vasti spazi destinati alla mobilità pedonale e ciclabile, aiuole e opere “d’arte pubblica” di artisti quali Merz, Penone, Anselmo, Kirkeby, Kounellis, Mainolfi, Paolini, Pichler, Pistoletto, Rickriem e Zorio. I viali sono elementi propri della conformazione di Torino, città romana e barocca, costruita su assialità riconoscibili ed enfatizzate dalle architetture auliche e dalle prospettive visuali. La Spina è, invece, un viale “sui generis” perché su di essa affacciano i retri degli isolati un tempo volti alla ferrovia e molta architettura recente (non sempre di eccellente qualità); in attesa che crescano gli alti platani, il segno verticale della Spina è rappresentato da un particolare sistema di illuminazione pubblica, costituito da strutture appositamente disegnate al fine di costituire una vera e propria architettura urbana in grado di costituire un segno riconoscibile e unitario attraverso tutta la città. I quattro ambiti in cui la Spina è suddivisa, numerati in ordine crescente da Sud a Nord, presentano
ciascuno un carattere particolare, o una struttura significativa dal punto di vista della fruizione pubblica. A ridosso del Lingotto dovrebbe nascere il polo amministrativo della Regione Piemonte, a completare un complesso sistema congressuale, commerciale, terziario espositivo già presente. In Spina 1 l’intervento ha visto realizzare una grande quantità di spazi verdi e per la mobilità ciclopedonale, vaste piazze a servizio di nuovi insediamenti, significative installazioni artistiche. In Spina 2 l’edificio protagonista è la nuova stazione di Porta Susa, ormai in avanzata fase di completamento, che si affianca al grattacielo della Banca Intesa-San Paolo, la cui costruzione sta a testimoniare come, anche per gli operatori privati, Spina 2 sia riconosciuto come polo attrattore a forte accessibilità. In Spina 3, la più significativa zona industriale nel cuore della città (oltre 1 milione di m²), gli interventi spaziano dal residenziale al terziario, con particolare spinta sul terziario tecnologico: la riqualificazione, infatti, è iniziata con il progetto volano di Environment Park, parco tecnologico con vocazione sulle tematiche dell’ambiente e della sostenibilità, realizzato tra il 1997 e il 2000. Attorno sono sorti progetti interessanti che lavorano proprio sul mantenimento delle vestigia dell’industria che ha caratterizzato la zona: la chiesa del Santo Volto, sede operativa della curia torinese, il cui campanile è ricavato da una ciminiera; il parco Dora di 450.000 m², che corre anche sotto le tettoie dell’enorme capannone dello strippaggio delle vecchie ferriere, dove si crea una vasta piazza coperta e attrezzata per lo sport. È forse questo l’ambito in cui il paesaggio denuncia con maggiore evidenza il percorso della città, da fumoso polo industriale a rigenerato centro di tecnologia e innovazione sostenibile. Infine, in Spina 4, l’intervento si concentrerà sul ruolo della stazione Rebaudengo come centro rivitalizzante per un quartiere ad alta complessità quale quello di Barriera di Milano. L’attenzione allo spazio pubblico sarà soprattutto legata alla copertura del trincerone ferroviario e alle possibilità di interazione con la futura Linea 2 della metropolitana. La nuova vita delle aree industriali dismesse - Le aree industriali dismesse, specie quelle nella porzione più centrale della città, vivono una riconver-
TRASPORTI & CULTURA N.33-34 sione marcatamente culturale. Nel processo di terziarizzazione, Torino ha infatti scelto di investire in cultura, riscoprendo non solo la bellezza dei propri scorci aulici, ma anche investendo su musei e poli di formazione di ogni genere: Museo di Arte Contemporanea di Rivoli, Museo del Cinema e Museo Egizio sono tre eccellenze, che si affiancano a molte altre realtà rilevanti; Castelli, Fondazioni, Palazzi, Musei tradizionali ed interattivi, sono disseminati sul territorio cittadino e nei comuni limitrofi. Un punto di forza del rilancio della città è nell’Università, polo attrattore e motore dell’internazionalizzazione. Sulle grandi aree dismesse hanno trovato posto sia spazi espositivi sia culturali: è il caso delle Officine Grandi Riparazioni (OGR), un complesso di grande fascino costruito nel 1864 per la riparazione dei convogli ferroviari e rimasto attivo fino al 1992. Il complesso è costituito da due edifici paralleli lunghi quasi 200 metri e collegati trasversalmente da una terza costruzione più bassa. L’interno è scandito da file di grandi pilastri di ghisa che suggeriscono l’effetto di un susseguirsi di imponenti navate. Dopo lunghi dibattiti e svariate proposte sul destino di questa strabiliante cattedrale industriale, l’edificio è rimasto inutilizzato per molti anni; motivazioni politiche o più frequentemente economiche hanno evitato che si mettesse mano alla struttura con opere di riconversione a nuove destinazioni. Negli ultimi anni, l’imponente piazza coperta delle OGR è stata utilizzata per esposizioni temporanee, registrazioni di trasmissioni, spazio teatrale, convegni. Ridotti interventi di recupero e messa in sicurezza hanno permesso di trasformare il complesso in un polo espositivo, valorizzando gli oltre 20.000 m², che sono stati nel 2011 il cuore pulsante delle celebrazioni torinesi per il 150 anniversario dell’Unità d’Italia. Più di mezzo milione di persone hanno visitato dal 2011 la mostra di punta del 150enario (Esperienza Italia150) allestita nella suggestiva cornice di questa immensa cattedrale industriale. Le OGR sono dunque ormai una sede riconosciuta della struttura culturale-espositiva cittadina: si tratta di un interessante esempio di come interventi minimi, non caratterizzando la struttura in funzione di nuove destinazioni d’uso, ne potenzino la valenza, moltiplicando la flessibilità e l’adattabilità a usi futuri.
Prospettive, questioni aperte e problemi attuali Nonostante lo sviluppo del progetto del Passante si trovi in fase di avanzata realizzazione, affinché il progetto di sviluppo urbano lungo l’asse ferroviario possa completarsi nella sua interezza, mancano ancora diversi tasselli. In direzione nord, la scelta di proseguire con interramento della linea ferroviaria anche oltre il fiume Dora, se da un lato testimonia il successo di una strategia di ricucitura di due lembi di città storicamente separati, dall’altro ha prodotto uno spostamento degli orizzonti temporali, un incremento sostanzioso dei costi e ha reso difficoltoso il collegamento diretto con la linea che porta all’Aeroporto di Caselle, imponendo la realizzazione di una nuova linea interrata di collegamento. Inoltre, nella parte più a nord, la Stazione Rebaudengo e l’intero ambito denominato Spina 4 sono oggetto di una nuova Variante legata alla realizzazione della seconda linea di Metropolitana, destinata a mutare profondamente l’aspetto di una porzione di città. Analogamente spostandoci verso sud, lo sviluppo territoriale che dovrebbe accompagnare l’infrastrutturazione ferroviaria risulta ancora ampiamente incompleta, con la stazione Lingotto inadeguata a rappresentare la porta sud del Servizio Ferroviario Metropolitano, non ancora collegata con il polo terziario residenziale dove sorgerà il futuro palazzo dell’Amministrazione Regionale e, soprattutto, priva di collegamento diretto con la fermata della Metropolitana. Inoltre, con l’entrata in funzione del Passante ferroviario la stazione di Porta Nuova, by-passata della nuova infrastruttura, vedrà un progressivo ridimensionamento del proprio ruolo, tanto che negli anni passati ne era stata addirittura ipotizzata l’eliminazione con il trasferimento delle funzioni di servizio nelle aree della Stazione Lingotto3 . Le imponenti trasformazioni che hanno riguardato la città di Torino negli ultimi 15-20 anni consentono di rendere coerente, all’interno della città, il sistema infrastrutturale con l’uso del suolo. Tuttavia, se si esce dai confini cittadini, non si riscontra una coerenza altrettanto marcata tra i programmi di sviluppo del territorio e il sistema infrastrutturale. Per quanto riguarda, infine, la risposta dei cittadini al progetto del Passante ferroviario di Torino, nonostante il progetto del Passante sia ormai in fase di avanzata realizzazione, pare scarsa la consapevolezza che l’attivazione del Servizio Ferroviario Metropolitano potrà rappresentare un nuovo servizio di trasporto collettivo, assimilabile ad una linea di metropolitana. Sarà pertanto auspicabile, con l’approssimarsi della messa in esercizio delle prime linee di servizio ferroviario metropolitano, prevedere una campagna di comunicazione e sensibilizzazione verso i cittadini in modo che un progetto di tale portata venga apprezzato e utilizzato come merita. Riproduzione riservata ©
3 Uno studio svolto da SiTI in collaborazione con RFI ha però rilevato l’esigenza del mantenimento di alcune linee di attestamento, che verrebbero interrate, e di parte delle funzioni ferroviarie della stazione.
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Milano, gli interventi di Porta Nuova e nell’area storica della Fiera di Maria Cristina Treu
Tra la fine del ‘900 e l’inizio del 2000 Milano, in ritardo rispetto altre grandi città europee e del mondo, ha attivato un processo di riqualificazione urbana e di rilancio del proprio ruolo economico e sociale attraverso il rinnovamento dell’immagine della propria forma insediativa e del mix funzionale di molte zone urbane. Due di queste iniziative sono particolarmente significative perché anche se interessano aree certamente molto diverse, le rispettive proposte di sviluppo sono tra loro collegate. Tali aree sono posizionate entrambe lungo la direzione Nord-ovest Sud-est di sviluppo della città di Milano: la prima area insiste su un nodo centrale del Passante ferroviario, la seconda, sull’area storica della Fiera della città su un nodo di due reti metropolitane.
Gli interventi e la nuova immagine urbana Il programma di interventi che coinvolge Porta Garibaldi, oggi Porta Nuova, è l’esito della lunga storia di una porzione urbana, un tempo, denominata Isola-Garibaldi e di proposte di piano avviate e più volte interrotte su un’area contesa tra più soggetti e che, nel frattempo, pur assumendo una progressiva centralità connessa alle dotazioni infrastrutturali e all’insediamento di grandi funzioni direzionali e terziarie, si presentava come un vuoto urbano connotato da elementi di degrado fisico e di marginalità sociale. Le proposte di riorganizzazione dell’area storica della Fiera di Milano hanno una storia più recente e sono collegate alla decisione di realizzare in un’area esterna alla città un nuovo centro espositivo di interesse sovranazionale e all’ipotesi di completare un quartiere urbano, con nuovi insediamenti multifunzionali e di alta qualità attorno a un parco urbano, collegato con un nuovo tratto di metropolitana al nodo infrastrutturale della stazione Garibaldi. Porta Nuova è, oggi, una delle aree urbane più accessibili della città, posizionata tra le stazioni Centrale e Garibaldi e servita dal Passante ferroviario e da due linee metropolitane. Il suo futuro è quello di assumere il ruolo di un nuovo Polo Finanziario urbano connotato dalla compresenza di grandi funzioni direzionali e amministrative private e pubbliche, con centri per attività collegate alla moda e all’arte e con quote di residenzialità. L’immagine è quella di un paesaggio connotato da una sequenza di grattaceli che si distinguono per la ricerca di soluzioni tecnologiche innovative e di forme spettacolari. E dalla presenza di un grande
Milan, the projects for Porta Garibaldi and the historic Fiera district by Maria Cristina Treu Between the end of the 1990’s and the early 2000’s, lagging behind many other European and international cities, Milan activated a process of urban regeneration and revitalization of its economic and social role by renewing the image of its urban form, and the functional composition of many areas in the city. Two of these initiatives are particularly significant because, though they involve areas that are certainly very different, the respective development projects are in fact connected. These areas are both located along the North-west South-east development axis of the city of Milan: the first is for the area of Porta Garibaldi, now known as Porta Nuova, and involves a central hub of the Railway Link, the second involves the historic area of the Fiera at the intersection of two subway lines. The author reconstructs the history and characteristics of the two zones, and explains how the two projects developed over time, from the early concepts, to the design competitions and the operative programmes. The project for Porta Nuova includes a hub, the City of Fashion and the Campus; the urban fabric is reconstructed with a pedestrian circulation system. The projects for the historic area of the Fiera begin when the regeneration of the internal Hub area is connected to the promotion of the external Hub. City Life is an ambitious project distinguished by compact urban volumes surrounding three skyscrapers.
Nella pagina a fianco, in alto: l’immagine di presentazione del Programma di Intervento su Porta Nuova; in basso: l’immagine di presentazione del progetto Citylife.
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1 - Il ponte pedonale sulla ferrovia dai Bastioni verso il quartiere Isola (data incerta).
2 - Il ponte della Sorgente verso il quartiere Isola e l’attuale piazza Lagosta (1957).
parco. Un’immagine diversa dalla forma compatta della città dell’Ottocento, anche se insiste nella zona più “americana” di Milano, quella che si apre dalla piazza della Stazione Centrale e si completa, passando da via Vittore Pisani, in Piazza della Repubblica. Qui, nel tempo, sono sorti molti edifici che hanno sperimentato nuove altezze, nuove tecniche costruttive e nuovi materiali. Come il grattacielo Pirelli dell’architetto Giò Ponti del 1961, quelli precedenti della Torre Breda dell’architetto Mattioni all’incrocio tra Piazza della Repubblica e viale Tunisia del 1954 e la Torre Galfa di Melchiorre Bega del 1959 e poi l’edificio passante su via Melchiorre Gioia dei Servizi Tecnici Comunali del 1966 e i primi due edifici, realizzati con strutture in ferro, e posizionati come due elementi di porta verso la città storica, all’inizio di via Turati. Anche le nuove costruzioni sull’area storica della Fiera sono l’esito di un programma di sviluppo di una zona urbana con nuovi complessi residenziali e terziari e con la realizzazione di un grande parco pubblico reclamizzato dal concorso come l’aspetto distintivo del progetto unitamente alla propo16
sta di insediare in corrispondenza della nuova stazione metropolitana tre grattacieli centrali e una funzione museale. Il progetto suscitò obiezioni soprattutto per le quantità volumetriche previste, per le altezze delle costruzioni e per il rischio di una eccessiva messa in ombra del parco. L’immagine pubblicizzata è comunque quella di un grande impatto mediatico sia per la forma dei grattacieli sia per il raccordo con i parchi presenti più a nord, quelli dell’area del Portello, del quartiere QT8 e del Monte Stella. Queste due iniziative sono, entrambe, in fase di avanzata di realizzazione e sono rappresentative del cambiamento del paesaggio della città che a qualcuno ha fatto dire che finalmente anche Milano ha il suo nuovo centro finanziario, il suo down town, ad altri ha sollevato il dubbio che questo paesaggio non appartenga alla storia della città e alla morfologia insediativa ereditata dal suo passato, relativamente recente, in cui l’immaginario sociale urbano sembra ancora riconoscersi. Tuttavia le città, come il paesaggio urbano, si esprimono, oltre che con la forma delle loro costruzioni, con la diversità delle attività insediate e
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3 - La prima stazione Cadorna della Società Anonima Ferrovie Nord.
4 - La stazione Cadorna nel dopoguerra.
con la presenza di più comunità culturali e sociali. In questo senso, l’immagine fisica di queste nuove centralità urbane sta assumendo una morfologia assimilabile a quella dei centri più reclamizzati di tante altre città mondiali. L’ incognita è il significato che questi nuovi tessuti sapranno assumere, ovvero quello che gli abitanti e gli utenti dei nuovi centri sapranno dare al paesaggio del luogo attraverso un nuovo modello di urbanità, distinto e integrato con quello della città del passato.
Storia e caratteri delle due zone Porta Nuova comprende una zona un tempo denominata Isola, situata alla periferia nord orientale della città di Milano e facilmente riconoscibile perché rimase a lungo separata dal resto della città a causa dei Bastioni, una barriera fisica e un importante confine amministrativo, e della linea ferroviaria. Gli stessi abitanti raccontavano che …”una volta in fondo a via Borsieri c’era un ponte in ferro che attraversava la ferrovia e che andava in Corso 17
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5 - La Variante al PRG del 1953 per Garibaldi-Isola con la ferrovia Milano-Varese.
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Como. In Carlo Farini, dove ora c’è il ponte sopraelevato, c’era il ponte della Sorgente, che quando pioveva e il Seveso usciva, si allagava tutto e non passava più nessuno. L’Isola rimaneva così isolata e ci si poteva arrivare solo a piedi attraverso il ponte in ferro”. Alla zona fu poi aggiunto il nome di Garibaldi per distinguerla da altre “isole” presenti in città, in memoria di quando, nel 1848, Garibaldi, divenuto Generale del Governo provvisorio, fece sostare in un campo di quella zona i volontari del Battaglione Anzani. Nell’ Isola, negli anni tra il 1880 e il 1915, si insediano numerose fabbriche, tra cui la più famosa fu certamente la Tecnomasio Brown Boveri (TIBB), e crescono agglomerati di case e di osterie per classi sociali meno abbienti, incastonati tra il cimitero della Mojazza, oggi Piazzale Lagosta, il Santuario Santa Maria alla Fontana e la fonderia Napoleonica Eugenia, quella dove fu fusa la sestiga dell’Arco della Pace che fa da sfondo dello skyline del Parco della Pace e la statua equestre di Vittorio Emanuele II, posizionata al centro di Piazza Duomo. Negli stessi anni, Milano si trasforma da realtà provinciale a centro propulsivo del paese nel contesto europeo e, mentre le porte dei Bastioni venivano ancora chiuse all’imbrunire come il Tombone di San Marco, dove attraverso il canale della Martesana, passavano i barconi di approvvigionamento delle merci, entra in esercizio la prima linea ferroviaria tra Milano-Porta Nuova e Monza, poi quella per Venezia. Nel 1865 inizia anche la storia del rilevato delle Varesine, quando si realizza il collegamento di due fasci ferroviari, quello verso Varese e Como che partiva da Porta Nuova e quello verso
Porta Venezia che partiva da Porta Tosa-Vittoria, con una stazione passante di nuova costruzione. Negli stessi anni entra in servizio anche lo scalo merci di Porta Garibaldi, con una piccola stazione situata più a ovest della stazione di Porta Nuova sul raccordo della linea per Monza dove sono disposti anche i magazzini di materiale fisso e il deposito delle locomotive e delle officine. Contestualmente i lavori coinvolgono anche una vasta area a nord del Castello dove, nel 1883, vengono costruite una nuova stazione e due nuove linee, quella di Milano-Saronno e di Milano-Erba, su progetto dell’Ufficio Tecnico Comunale e della Società Anonima Ferrovie Nord Milano. Questi tracciati si attestano lungo il confine della vasta Piazza d’Armi dove, accanto a nuovi quartieri residenziali, sorgerà il primo nucleo della Fiera Campionaria di Milano, e si prolungano verso il centro della città, dove, a fine ‘800, demolita l’originaria stazione in stile Chalet Alpino, ne sarà costruita una nuova, poi ricostruita nella forma attuale dopo il bombardamento del 1943. Nei primi anni del 1930, quando viene completata l’organizzazione della cintura ferroviaria e viene adottato il PRG del 1934, la città si espande a raggiera differenziandosi nel suo paesaggio con le specializzazioni funzionali e produttive e con la costruzione delle prime palazzine residenziali della borghesia industriale e con le prime case a reddito, le case economiche con più alloggi dove il disimpegno viene risolto senza ricorrere al ballatoio. La zona dell’Isola-Garibaldi si conferma come un’area industriale e popolare fortemente caratterizzata per la presenza di circoli ricreativi, cooperativi e
TRASPORTI & CULTURA N.33-34 parrocchiali e delle prime associazioni dei partiti della sinistra; inoltre fino al 1964 con l’entrata in servizio nell’attuale posizione della stazione Garibaldi, la sua immagine fu caratterizzata anche dal terrapieno delle Varesine, dove i treni per Varese rimangono in servizio anche dopo il 1931, quando viene demolita la prima stazione centrale per essere ricostruita a meno di un Km di distanza come stazione di testa. D’altro canto, l’area della Fiera Campionaria di Milano, costruita sulla Piazza d’Armi del demanio comunale e inaugurata nel 1906 in occasione dell’apertura del traforo del San Gottardo, rappresenterà con la crescita della sua attività lo sviluppo industriale della regione e, con il quartiere residenziale costruito attorno a un imponente piazzale d’ingresso allo stesso polo fieristico, la morfologia insediativa della nuova borghesia manifatturiera.
ti problemi, da quelli sollevati dalle Ferrovie dello Stato che accettano solo una parziale demolizione del rilevato delle Varesine (quella che permetterà di tracciare il Viale della liberazione), a quelli sollevati dal Comitato del quartiere Volta Garibaldi e dal Comitato Quartiere Isola. Il progetto viene messo in ombra dall’impostazione del PRG del 1975, approvato nel 1980, che, con il Piano di Inquadramento Operativo del 1978, sovverte le indicazioni del PRG precedente ipotizzando per le funzioni direzionali e terziarie localizzazioni fuori città. A fine secolo sembra confermata, nonostante un ulteriore concorso promosso nel 1979 da Casabella e dal Comune, la rinuncia a un progetto unitario di ricomposizione morfologica all’area. A metà anni ’80 le Ferrovie dello Stato vendono l’intera area delle Varesine e nel 1998 viene chiuso
6 e 7 - Il programma degli interventi per l’area di Porta Nuova.
Dalle ipotesi del Centro Direzionale ai progetti per l’area dell’Isola-Garibaldi e per l’area storica della Fiera Nel secondo dopoguerra, la città entra in una fase di industrializzazione e di crescita insediativa diffusa e di forte crescita anche della popolazione: fenomeni che richiedono di rivedere il piano del 1934. Accantonata la proposta del piano, presentata nel 1947 all’amministrazione provinciale da De Finetti e accantonati anche i progetti del concorso di idee del 1948, il nuovo piano, approvato definitivamente nel 1953, suddivide la città in aree funzionali, tra cui quella che avrebbe dovuto accogliere il Centro Direzionale. L’origine della proposta viene fatta risalire alle indicazioni contenute nel piano degli Architetti Riuniti; questi scrivevano che per alleggerire la pressione insediativa del terziario nel centro storico si sarebbe dovuto prevedere un vasto quartiere di uffici che avrebbe dovuto svilupparsi da via Mario Pagano, in corrispondenza della Ferrovia Nord e dell’attuale Fiera Campionaria, sino alla zona dove il piano colloca l’incrocio di due nuovi assi, l’area dell’Isola-Garibaldi, e dove avrebbe dovuto sorgere un quartiere modello con particolare facilità d’accesso da qualunque punto della città e della regione. Per l’area dell’Isola Garibaldi, il progetto del PRG del ’53 prevedeva la demolizione del ponticello pedonale in ferro con la realizzazione del Cavalcavia Don Eugenio Bussa parte di un asse di scorrimento che avrebbe dovuto collegare via Mario Pagano con Piazzale Lagosta e viale Zara passando attraverso il Borgo degli Ortolani, quindi la demolizione del Ponte della Sorgente con la costruzione dell’attuale Cavalcavia di via Farini e l’arretramento della Stazione Garibaldi. La proposta, rivisitata dall’Ufficio Tecnico Comunale, conferma l’asse attrezzato con edifici alti sul prolungamento di Viale Tunisia, il raccordo ferroviario con la stazione di Greco da cui prende la forma arrotondata il quartiere Isola, l’edificio comunale e sullo sfondo la nuova stazione e l’asse proveniente da viale Zara. Nel frattempo, le attività terziarie continuano a insediarsi nel centro storico e ai margini dell’area destinata al Centro Direzionale. Una seconda proposta, formalizzata nel 1967, tenta la ridefinizione del Centro Direzionale e ripropone un sistema di assi attrezzati sulle ferrovie con una seconda linea della metropolitana. Le proposte incontrano mol19
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8 - IL rendeing del polo finanziario di Porta Nuova.
9 - Il nuovo paesaggio urbano di Porta Nuova.
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10 - Le residenze verso via Como.
definitivamente il Parco divertimenti, presente dal 1960, e viene realizzata la copertura della Martesana lungo Melchiorre Gioia; compaiono molti altri vuoti urbani, mentre rimane il quartiere della Ligera, quello della microcriminalità diffusa e della stecca degli artigiani. La svolta avviene con il Passante ferroviario, quando fu chiaro che in questa parte della città si sarebbe giocata la possibilità di costruire un’immagine convincente della città con il supporto di una rete di connessioni locale ed extralocale. Tra il 1984 e il 1985 viene predisposto un Progetto d’area e poi una Variante, che continua a sollevare perplessità per l’eccesivo peso insediativo e per le destinazioni funzionali. Il cambiamento viene definitivamente confermato con il concorso di idee per la progettazione dell’area Garibaldi-Repubblica del 1991/92, avviato dalla l’Amministrazione Comunale con l’Associazione Interessi Metropolitani, e che individua un vincitore per le indicazioni nel merito dei problemi di mobilità e per la proposta di architetture fortemente significative. A metà degli anni ’90 anche l’area della Fiera campionaria viene interessata da una serie di proposte finalizzate ad affrontare la riqualificazione dell’area vasta che gravita attorno ad essa, interessata da dismissioni e sostituzioni di funzioni e da un traffico crescente in contraddizione con il tessuto residenziale di quel comparto urbano. Dal 1950 in avanti, la Fiera aveva sviluppato più settori espositivi, da quelli delle attività più innovative a quelli dei grandi macchinari e delle grandi attrezzature e aveva accentuato la frequenza delle esposizioni con gli esiti inevitabili sul traffico indotto e sugli impatti nell’intorno. Questi problemi fanno maturare l’ipotesi di un nuovo sito espositivo dove
poter trasferire l’attività espositiva e si apre il dibattito sull’opportunità o meno di privare la città di una funzione di così grande interesse e sul destino dell’area che si sarebbe liberata. Con il sostegno della Regione viene scelto di localizzare la nuova attività espositiva tra i comuni di Pero e Rho, su un‘area che avrebbe dovuto essere sottoposta a bonifica ma che si presenta connotata da una grande accessibilità intermodale. D’altra parte si prospetta la possibilità di mantenere in città gli eventi espositivi meno impattanti e di insediare sull’area che sarebbe stata liberata dai padiglioni storici un nuovo e prestigioso quartiere residenziale e terziario unitamente alla restituzione alla città di un parco urbano e di un museo d’arte contemporanea, direttamente accessibili da una nuova stazione metropolitana.
Dai concorsi di progettazione ai programmi operativi Il progetto per l’area di Porta Nuova diventa operativo nel 2001 con la relazione finale del Master Plan della città della moda, con l’aggiudicazione delle opere tra il 2002 e il 2004 e con la stipula della convenzione attuativa tra Comune, privati e Astaldi, conseguente alla rivisitazione dell’accordo di programma degli interventi anche per le interferenze della nuova linea Metropolitana MM5. Su una superficie costruita di circa 340.000 m², il 35% delle superfici viene destinato a funzioni direzionali pubbliche (Regione e Comune), il 28% a funzioni direzionali private, il 20% a residenza, il 10% alla moda e funzioni ricettive, il 7% al commercio. 21
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TRASPORTI & CULTURA N.33-34 11 Nella pagina a fronte, in alto: la sequenza delle proposte sull’area storica della Fiera. 12, 13, 14 - Nella pagina a fronte, al centro e in basso: i rendering del progetto d’insieme e delle nuove residenze sull’area Citylife.
15 - In questa pagina: le funzioni approvate con la Variante 2008.
I lavori, avviati nel 2007 e da concludersi nel 2012, sono in gran parte già attuati. L’area interessata è quella compresa tra le due stazioni rinnovate, Garibaldi e Centrale, e prevede tre parti: un polo istituzionale dove, dopo un concorso internazionale vinto dallo studio Pei di New York, è realizzata la sede della Regione; la Città della moda, assegnata alla società privata Hines su Master Plan dell’arch. Cesar Pelli; il Campus assegnato tramite concorso per il progetto Giardini di Porta Nuova a Inside/Outside, Mirko Zardini. Ci sono poi altre tre aree interessate da interven-
ti governati da altri strumenti e procedure urbanistiche: l’area Ex Varesine, per cui la variante del PRG, prevede la riqualificazione dell’area tramite concessione concordata con l’arch. De Mico; l’area Isola-De Castilla/stecca degli Artigiani e Giardini De Castilla dove è previsto un PII per realizzare nuovi uffici, residenze e parcheggi previa demolizione della stecca degli artigiani e dei giardini; l’area Isola-De Castilla da riqualificare con un Piano Integrato di recupero. Il nuovo distretto, che si connota come un Polo finanziario e che rinuncia all’intervento destinato alla moda, si avvale di più
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16 - In alto: la tratta metropolitana M5 dalla Stazione Garibaldi fino a Citylife. 17 - In basso: La vista d’insieme di Citylife con sullo sfondo gli interventi di Porta Nuova.
Fonti delle immagini: - Casabella-Continuità: rivista internazionale di architettura, n. 199, del 1953/54 e n.294/295,del 1964/65 (foto storiche) e Domus n.1, gennaio 1928; - siti web: storia del quartiere Isola, http://vecchiamilano. wordpress.com/ - Urbanistica n.18 del 1956 (estratto PRG di Milano) Domus n.73 del 1994 (programmi di intervento City Life e Porta Nuova). - Per le viste in corso d’opera e per i rendering i siti: Fotografie di Milano,www. skyscrapercity.com; Fotografie di Milano, www.miol.it/ stagniweb e Fotografie di Milano, http://www.urbanfile.it - Sito specifico di www.city-life.it, www.porta-nuova.com/ - Tesi laurea di Luca Albertini e Paolo Sandrini, L’uso della fotografia. Tecniche, autori e applicazioni, a.a. 2011/2012, relatore prof. Maria Cristina Treu.
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TRASPORTI & CULTURA N.33-34 progettisti e prevede edifici di notevole altezza destinati a funzioni terziarie, a residenze e al commercio e ad attività culturali. Il progetto complessivo ricompone il tessuto urbano dell’area della Stazione Garibaldi e di più quartieri esistenti (da ciò la nuova denominazione di progetto per Porta Nuova) avvalendosi di un sistema pedonale continuo formato da aree verdi residenziali, piazze, ponti ciclopedonali e un parco di collegamento, e i giardini di Porta Nuova estesi per circa 100.000 m². L’immagine è quella di un paesaggio di grande interesse con una piazza centrale chiusa nell’edificio circolare, oggi sede dell’Unicredit, il simbolo del potere finanziario che si erge più alto della più alta guglia del Duomo, quella della Madonnina, e un’area verde sopraelevata che permette la connessione, da un lato, con ciò che resta del popolare quartiere Isola e con la nuova sede della Regione e la sede operativa del Comune di Milano e, dall’altro lato, attraverso una sequenza di residenze su via Como con un tratto inclinato, probabilmente obbligato dal passaggio della sottostante metropolitana. Sull’area verde sono previsti due edifici destinato a funzioni espositive e culturali. Verso il quartiere Isola il paesaggio urbano è arric-
chito, oltre che dalle due torri della Ferrovia, rinnovate nelle finiture delle facciate, da due edifici rivestiti di un sistema verde verticale e dalla preesistenza di un complesso residenziale di raccordo con il manufatto storico, sede della Fondazione Catella. Verso Piazza Repubblica gli interventi si addensano con una doppia sequenza di edifici terziari e residenziali lungo la prosecuzione di via Tunisia sull’area delle ex Varesine, quella un tempo utilizzata come Luna Park. Nel 1994, si avviano anche le proposte per l’area storica della Fiera con la stipula dell’accordo di programma quando la riqualificazione dell’area del Polo interno viene collegata alla promozione del Polo esterno. Sette anni dopo, nel 2003, istituita la Fondazione della Fiera e trasferita la proprietà dell’area del Polo urbano, viene sottoscritto il protocollo d’intesa da parte del Comune e della stessa Fondazione e viene stabilito l’utilizzo delle aree del polo urbano. Con un Programma Integrato di Intervento sono fissate le quantità e la ripartizione delle funzioni da insediare sulla base di un Indice di Utilizzazione Territoriale pari a 1,15 m²/m² e un’area da destinare a Parco e a servizi pubblici pari ad almeno il 50% della superficie territoriale. La scelta del progetto vincitore del concorso cade su quello che permette una maggiore quantità volumetrica; in seguito con una Variante, adottata nel 2008, sono messe in coerenza le scelte del planivolumetrico con l’interramento di una parte delle superficie commerciale e con la riduzione della superficie destinata ai parcheggi pubblici in connessione con la fermata della MM5, le Tre Torri, ipotizzata in adiacenza dei tre grattacieli. Contestualmente per rispondere alle richieste del comitato di zona, vengono riviste le altezze delle residenze ai bordi del comparto per una maggiore coerenza con l’edificato esistente e la rete di connessione del Parco urbano di City Life con l’area verde del Portello, con quello dello storico quartiere QT8 e con il parco del Monte Stella. Inoltre, per rispondere alle richieste della Sovrintendenza, è stato previsto il mantenimento delle due Palazzine dell’ingresso storico alla Fiera Campionaria e del Palazzo delle Scintille da destinate le prime alla sede della fondazione Fiera e il secondo a funzioni espositive e a servizi urbani. Oggi il progetto di City Life sta assumendo una sua configurazione compiuta: l’esito è l’immagine di una sequenza di volumi urbani compatti che sembrano avvolgere in un abbraccio lo spazio centrale dove dovranno sorgere i tre grattacieli e il nuovo centro museale espositivo ipotizzato per il design, con sullo sfondo l’architettura del polo fieristico urbano e con un collegamento, quello della metropolitana MM5, che riprende, seppure con forme diverse, l’originaria proposta del piano degli Architetti Riuniti di uno sviluppo interconnesso tra Porta Nuova e City Life. Riproduzione riservata ©
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Venezia, trasformazioni fra stazione FS e terminali automobilistici di Renzo Ferrara e Piero Michieletto
La porta di accesso dalla terraferma a Venezia è costituita da due vie: il ponte translagunare ferroviario , costruito sotto la dominazione austriaca, derivante dai progetti dell’ingegnere Noale, e dal ponte stradale progettato nel 1931 dall’ingegnere Miozzi, “mitico” progettista del Comune di Venezia. Restano pur sempre due porte di servizio come scrive Thomas Mann in Morte a Venezia, perché l’autentica porta di ingresso rimane il bacino di S. Marco. Proprio lo scrittore–saggista ha vissuto quel periodo di fulgore nel quale la zona ferroviaria aveva spostato tutto il traffico merci verso ovest rivitalizzando quella parte della città che sotto il dominio austriaco era destinato a zona marginale non ben definita. Per decenni, dopo la cessione della Serenissima da parte del giovane generale Napoleone agli Asburgo, Venezia era decaduta, i traffici del suo porto crollati. Di conseguenza i commerci subirono un rallentamento tale che degenerarono nell’impoverimento generale della città. Solo a partire dalla seconda metà dell’Ottocento a seguito della costruzione del ponte ferroviario translagunare, al rilancio del porto avvenuto con l’annessione di Venezia all’Italia, con la costruzione della stazione Marittima a servizio del porto, si ebbe il rilancio della zona, con importanti insediamenti industriali e con la costruzione di abitazioni per i lavoratori impiegati. Primo fra tutti il Cotonificio Veneziano, oggi sede della Facoltà di Architettura della Università IUAV di Venezia. Dalla seconda metà dell’Ottocento fino ai primi anni ’70 tutta la zona era viva e attiva. A partire dagli anni ’70 con il decadimento della Stazione Marittima, a parte la fabbrica Università la zona è ridiventata marginale, quasi una zona di servizio subordinata a piazzale Roma. sede di parcheggi a servizio del porto turistico. Una zona precipitata in un desolante caotico disordine, che mette in evidenza la tipica, cronica ed esclusivamente italiana mancanza di pianificazione e programmazione, unita ad una mancanza di conoscenza della Storia. Purtroppo siamo un popolo che mangia la propria storia e non ne fa tesoro, un popolo che non tiene conto del passato e come tale siamo destinati ad una misera fine. In questa porta di accesso a Venezia dalla terraferma sono state realizzate opere spot, senza alcun legame tra di loro, senza alcuna progettualità o pianificazione che le integrasse e le rendesse un unicum a servizio della collettività e ad abbellimento della città. Proprio sulla base di queste considerazioni emergono concetti strettamente ferroviari, sulla organizzazione dei flussi, evitando il concentramento in un’unica zona depauperando le altre: come è
Venice, the transformation between the Railroad Station and the automobile terminals by Renzo Ferrara and Piero Micheletto The entrance portal from the mainland to Venice offers two different routes: the nineteenth-century cross-lagoon railway bridge and the roadway bridge built in the 1930’s. Through the 1970’s this area was lively and active, but later became marginal and chaotic as the result of poor planning. The issue is to organize pedestrian circulation between the terminal and the historic city centre, taking into account evolving needs and avoiding concentration in one single area to the detriment of the others. The automobile terminal of Piazzale Roma was never completed, and has always made do with temporary road structures and buildings. The new island of the Tronchetto is also incomplete. The author explains that these infrastructures were left incomplete because of the complexity of the projects and the constant evolution of the development model for Venice which was translated into city planning tools by the many municipal councils that have governed the city from the ‘60s to the present day. Recently two new projects have been completed: the People Mover, a cable transportation system that is practically unused, and the new “Constitution Bridge” which created a more immediate connection between Piazzale Roma and the train station, damaging the commercial activities along the previous routes. Construction is now underway to connect the mainland to the Terminal of Piazzale Roma with an electric streetcar system, which will replace most of the buses. Nella pagina a fianco: veduta area dell’area stazione FSpiazzale Roma in una foto degli anni Sessanta.
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1 - Pianta di Venezia di Jacopo de’ Barbari, 1500. Particolare della zona nord-ovest, con le chiese del Corpus Domini e di Santa Lucia.
successo per il ponte della Costituzione meglio noto come “ponte di Calatrava”, che praticamente ha diviso in due la Città. Scopo principale, a nostro modesto avviso, è quello di bilanciare i vari flussi in modo tale che la città sia permeata dai movimenti delle persone e dei traffici. Venezia non è solo il percorso da Santa Lucia, attraverso la Strada Nuova fino a S. Marco. Perdendo capolavori come la basilica dei Frari, la chiesa di S. Rocco e la relativa Scuola Grande, campo S. Margherita con la chiesa dei Carmini e l’adiacente Scuola Grande. Venezia è una città da vivere e da vedere negli angoli più remoti perché riesce ad offrire sempre sensazioni e sentimenti nuovi. Venezia merita di essere vista con gli occhi di John Ruskin: “autentiche mura di marmo si ergevano fuori dal mare salmastro, coperte di schiere di granchi all’esterno e di Tiziani all’interno.” Una città in preda all’assedio della natura, forte della sua arte predominante su tutto. La consapevolezza di una città eternamente in lotta contro la natura, per questo fragile se non opportunamente difesa. Orbene difenderla vuol anche dire regolare i flussi di accesso, facilitarne la fruizione vuol dire renderla libera e quindi forte. Più le persone la vivono più la città fiorisce. Con i flussi diversificati, la città vive. Tre possono essere le direttrici di penetrazione dal punto squisitamente ferroviario. Il primo resta quello della stazione di S. Lucia, principalmente per i residenti che usufruiscono del treno nell’ambito dei sestieri di Cannaregio, San Polo e per i turisti che definiremo stanziali, quei turisti che si fermano per una settimana o più. 28
Il secondo destinato ai crocieristi: quei turisti che usufruiscono del maggior porto del Mediterraneo, utilizzando la vecchia stazione Marittima ed i binari ad essa afferenti. Sia che il porto rimanga nell’attuale zona, sia che venga spostato “off-shore”, quindi come terminale per i mezzi pubblici acquei, questi potrebbero raccogliere i turisti e trasportarli all’imbarco. Il terzo una nuova stazione a S .Basilio, dedicata ai pendolari ed agli studenti: agli studenti è facile comprenderlo, vista la concentrazione di Istituti in quella zona; ai pendolari, perché e facile con i mezzi acquei trasportarli verso la zona di S. Marco, la Giudecca e il Lido. Non c’è nulla di nuovo in questa proposta: le infrastrutture sono tutt’ora esistenti, sono cambiate solo le necessità, le esigenze. Oseremo affermare le priorità. Aspettare ancora vorrebbe dimostrare una miopia nei confronti della storia. Non saper sfruttare risorse esistenti e forse travolgere un quadro infrastrutturale così concepito, ci darebbe una ulteriore conferma della tipica cronica ed esclusivamente italiana mancanza di pianificazione e programmazione.
I terminal automobilistici Il terminal automobilistico di Piazzale Roma è posto in linea d’aria a breve distanza dalla stazione FS di Santa Lucia, a sud di quest’ultima ma non direttamente raggiungibile per la presenza del Canal Grande. A proposito del terminal automobilistico
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di Piazzale Roma, Eugenio Miozzi scriveva a metà degli anni’50: “prima del 1933 a Venezia si poteva pervenire o per ferrovia o per vaporino; il 27 luglio 1931 furono iniziati i lavori per l’allacciamento stradale con la terraferma e furono ultimati il 25 aprile 1933, dopo solo ventuno mesi di tempo. Fu un’opera grandiosa: il ponte attraversante la laguna misura infatti quattro chilometri di lunghezza ed è largo venti metri; altri quattro chilometri di strada furono costruiti sui terreni pantanosi delle barene per raggiungere l’abitato di Mestre: il detto ponte per parecchi anni rimase il più lungo ponte al mondo e richiese trecento chilometri di palafitte, ventimila metricubi di calcestruzzo, venti milioni di mattoni, quarantacinquemila tonnellate di pietra da taglio; tanto che il Podestà Alverà, nella cerimonia di inaugurazione, poté dire che questa era l’opera più grande compiuta dopo la caduta della Repubblica, e che poteva stare alla pari con i famosi Murazzi. Insieme alla creazione del ponte si provvide alla sistemazione urbanistica della viabilità interna, ……; si provvide anche alla costruzione del più grande garage del mondo, …. “.1
L’Autorimessa comunale, esempio di architettura razionalista, realizzata a sei livelli più terrazza, con rampe elicoidali, con capienza all’epoca di oltre 2.000 autovetture, di superficie utile del piano tipo di 7.100 m², con riscaldamento dei piani 1 Miozzi E., Venezia nei secoli – La città – vol. I, Libeccio, Venezia, 1957
autorimessa ad aerotermi, fu realizzata dall’INA (Istituto Nazionale delle Assicurazioni) in due fasi successive: 1933-34 e 19502. Il confronto tra la capienza di 2.000 autovetture del Garage comunale di Venezia e i 700–950 posti riscontrabili a metà del secolo scorso nei principali garages europei del tipo a rampe elicoidali (ad esempio Raboisen ad Amburgo – Mont des Arts a Bruxelles) può dare l’idea della dimensione dell’opera.
2 - Veduta aerea della stazione FS e del palazzo compartimentale in una foto degli anni Sessanta.
Non è certo se, all’epoca, le due opere veneziane fossero effettivamente “le più grandi del mondo” ma certamente rappresentavano per dimensioni e tempi di realizzazione un primato che poneva Venezia all’avanguardia come dotazione e qualità delle sue infrastrutture. Ma già all’epoca si poteva riscontrare un certo modo di operare, programmare, realizzare, e non completare le opere che è poi diventato una consuetudine a Venezia. Un esempio è il piazzale del terminal automobilistico che non fu mai completato e che ha funzionato fino ad oggi con viabilità, forme e manufatti provvisori, più volte sostituiti e modificati. Anche il fronte acqueo sul Canal Grande, demolito per la realizzazione del piazzale del terminal automobilistico, è rimasto incompiuto per oltre mezzo secolo ed è tuttora incompiuto. Altro elemento da sempre incompiuto del sistema Terminal automobilistico di Venezia è l’Isola nuova 2 Carbonara P., Architettura pratica, vol IV, tomo III, sez. XII “Comunicazioni, trasporti, servizi”, Unione Tipografico–Editrice Torinese, Torino, 1970, pagg. 988-991
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3 - La facciata della stazione ferroviaria di Venezia Santa Lucia.
del Tronchetto. Il 20 dicembre 1950 la SAFI (società per azioni frigoriferi industriali) già proprietaria di un complesso frigorifero a Venezia presenta il progetto di massima per la realizzazione di una nuova isola in località Tronchetto per parcheggi, mercati e attrezzature sportive. L’operazione Tronchetto verrà di seguito portata avanti dalla SVIT (Società Veneta Isola Tronchetto), ma la funzione di terminal automobilistico specializzato stenterà a lungo ad avviarsi. A rendere incompiute queste infrastrutture hanno partecipato numerose cause a partire dalla complessità degli interventi per finire con l’evoluzione continua del modello di sviluppo di Venezia che è stata tradotta in strumenti urbanistici dalle varie giunte comunali veneziane succedutesi dagli anni ’60 ad oggi. Gianni De Michelis assessore all’urbanistica della giunta eletta il 3 febbraio del 1969, precisava relativamente al sistema Piazzale Roma – Isola Nuova del Tronchetto – San Giuliano: “la loro sistemazione urbanistica è stata concepita unitariamente al fine di un’organizzazione coordinata dell’interscambio terra-acqua lungo l’unico percorso di collegamento stradale che Venezia manterrà con la terraferma. Obiettivo prioritario è quello della sdrammatizzazione di Piazzale Roma e del progressivo arretramento verso la terraferma del punto principale di interscambio che è oggi appunto Piazzale Roma. Piazzale Roma deve restare praticamente come punto di transito per i mezzi di servizio pubblico, come terminal per le vetture private di particolari categorie di pendolari terraferma-centro storico (..) e da ultimo come luogo di ricovero per le automobili di quella parte dei veneziani che abita nelle zone pedonabilmente collegate con il piazzale … L’Isola nuova del Tronchetto sarà il capolinea principale dei servizi pubblici terrestri, il luogo di ricovero per le automobili della restante parte degli abitanti di Venezia, la sede degli uffici dello stato legati all’attività portuale, il centro principale dell’interscambio terra-acqua per le merci destinate al centro storico.”
Qualche anno dopo, Romano Chirivi, uno dei più appassionati protagonisti dei mesi di fervida 30
produzione d’idee urbanistiche che caratterizza la gestione assessorile di De Michelis, afferma; in contrasto a quanto sopra, che i previsti interventi a Piazzale Roma e al Tronchetto “nella sostanza ritardano l’obiettivo di minimizzare, o sopprimere, l’arrivo dell’automobile privata nell’isola di Venezia, sviluppando invece le prospettive del sistema metropolitano e delle teste di ponte automobilistiche ai margini lagunari”3. La Variante al Piano regolatore comunale relativa alla viabilità per i terminal Tronchetto, Piazzale Roma e San Giuliano viene adottata dal Consiglio comunale il 28 luglio 1972 assieme al Piano particolareggiato per l’Isola nuova del Tronchetto. Questi strumenti urbanistici trasmessi alla Regione saranno da questa approvati solo cinque anni più tardi. Il Piano particolareggiato di Piazzale Roma viene redatto nel 1969 da un gruppo di progettazione coordinato dall’architetto Valeriano Pastor e composto dagli architetti Daniele Mozzetti Monterumici, Alessandro Scarpa e Marino Vallot.4 Appare interessante la lettura dei luoghi fatta all’epoca dal gruppo di progettazione che conclude la relazione dello stato di fatto: “l’elemento dominante l’esperienza di chi entri in contatto con la realtà di Piazzale Roma è senza dubbio il disorientamento. É totalmente perduto il significato che dovrebbe assumere il terminal quale elemento di mediazione nei confronti del tessuto urbano circostante. Si colgono immediatamente emergenze fisiche della struttura: la massa grande del garage comunale, l’albergo Santa Chiara come una vestigia isolata sopra un insieme informale di bancarelle, ecc. I caratteri dominanti sono quelli della grande mobilità e disorganizzazione nelle ore di afflusso pieno, e dell’assoluto abbandono nelle ore notturne. Qualsiasi forma con capacità percettiva risulta assente”.
L’attualità di questa descrizione fatta nel 1969 dal gruppo di progettazione dell’architetto Pastor 3 Scano L., Venezia: terra e acqua, ed. Corte del Fontego, Venezia, 1985 4 Scano L., idem
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4 - Il vecchio palazzo compartimentale FS, oggi sede di uffici e di attività commerciali.
5 - Il nuovo ponte della Costituzione.
è sconcertante. Poco ad oggi è cambiato se non l’aggiunta della sagoma scura del fabbricato del tribunale a fianco del Garage San Marco e della gradinata del Ponte della Costituzione oltre al riordino dei chioschi commerciali. Invece che mutare le forme e le funzioni dei terminal, dal ‘69 in poi muteranno solo i programmi contestualmente all’insediarsi di ogni nuova giunta e perfino durante la gestione di una stessa giunta, con esecuzione solo di alcuni interventi puntuali per nulla contestualizzati nell’esistente. Per i due terminal automobilistici di piazzale Roma e del Tronchetto ogni amministrazione sempre riconfermerà le funzioni di terminal con volontà di trasferire sul Tronchetto i flussi turistici e successivamente di trasferirli in terraferma:
“In termini di tempo, la trasformazione di piazzale Roma sarà attuata per prima, spostando gli autobus turistici al Tronchetto per il tempo necessario alla realizzazione dei terminal di terraferma. Poi il traffico turistico su gomma sarà interamente tolto dalla testa di ponte. All’Isola del Tronchetto resteranno i pendolari, collegati con il marciapiede mobile, l’accesso al garage esistente, l’interscambio delle merci e gli insediamenti terziari che facciano sistema con quelli che costituiscono il nuovo centro della città bipolare”. 5
Un interessante tentativo di ridare forma ed identità al terminale viabilistico di Piazzale Roma è stato 5 Benevolo L. (a cura di), Venezia, il nuovo piano urbanistico, Laterza, 1996
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6 - Il people mover in arrivo nel capolinea di Piazzale Roma.
il Concorso internazionale “Una porta per Venezia”. Bandito in collaborazione tra Settore Architettura della Biennale e Amministrazione Comunale di Venezia - Assessorato all’Urbanistica all’inizio degli anni ’90, il concorso “si è posto come obiettivo minimo quello di fornire indicazioni atte a trasformare l’ambiente caotico dell’attuale piazzale in un’area dotata di servizi per lo meno accettabili”6. Il concorso, oltre a riconfermare la vocazione di terminal automobilistico, ha evidenziato fortemente, sia a livello di bando che in tutti i progetti presentati, la necessità di un fronte edificato sul Canal Grande, dai magazzini Parisi all’hotel Santa Chiara. Un problema emerso fin dai primi studi urbanistici è stato il progressivo concentrarsi di funzioni nelle zone più prossime ai due terminal e l’intensificarsi della mobilità pedonale sia di pendolari che di turisti in arrivo e partenza. Contrastare questa tendenza e ridistribuire i flussi pedonali e acquei è sempre stato un obiettivo presente in ogni piano formulato. In particolari occasioni (ad esempio nei periodi di Carnevale o in occasione della festività del Redentore) la viabilità pedonale ha mostrato i suoi limiti nell’area Marciana e nei percorsi prossimi ai terminal. Alcuni studi scientifici per il controllo dei flussi pedonali, attuati e già sperimentati sul campo, sono stati sviluppati dall’Università IUAV di Venezia assieme all’Università di Bologna. Il progetto”per-ven-ire” ha avuto come obiettivo la formulazione di un modello per la E-governance della mobilità a Venezia Centro Storico. Esso è in grado di rilevare i flussi di traffico pedonale in punti nevralgici, ad esempio la viabilità circostante i terminal, elaborarli e formulare in tempo reale previsioni attendibili per l’intero sistema urbano. Potrebbe anche essere un valido ausilio ad una riprogettazione finalizzata a riequilibrare i flussi pedonali tra terminal e città storica7. Il progetto 6 Dal Co F., Concorso internazionale una porta per Venezia, Electa, Venezia, 1991 7 Mamoli M. et altri, Venezia città pedonale: grandi eventi e normalità, Pomi, Vicenza, 2011
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“per-ven-ire” permetterebbe di simulare la ridistribuzione dei pedoni nelle zone circostanti i terminal al variare degli scenari di fermata dei mezzi di trasporto e del distributivo dei percorsi interni ai terminal stessi. Ma, come consuetudine, i risultati della ricerca nelle università italiane, pur essendo a costo zero per le amministrazioni non sono oggetto di interesse. In epoca recente è stato attuato un miglioramento dell’accessibilità veicolare Ponte della libertà - terminal automobilistico dell’isola del Tronchetto e della mobilità pedonale Isola del Tronchetto - Piazzale Roma tramite sistema di trasporto a funicolare denominato People Mover. Il sistema, che ha richiesto un investimento di 16 milioni di euro, offre due treni da 200 persone l’uno che viaggiano su un viadotto trainate da una fune d’acciaio, con capacità massima di trasporto di 3.000 persone all’ora per direzione. Ma i ritardi e variazioni di programma nel completamento del Terminal dell’Isola Nuova del Tronchetto rendono di fatto inutilizzato questo sistema di trasporto. Un ulteriore intervento, sempre però di tipo puntuale, finalizzato a migliorare la mobilità pedonale è stata la realizzazione del quarto ponte sul Canal Grande denominato “Ponte della Costituzione” che collega direttamente la fondamenta di Santa Chiara con la fondamenta della Stazione Ferroviaria. A prescindere dalla sua indiscussa qualità architettonica, l’intervento è stato per lungo tempo oggetto dell’attenzione dei media per le note vicende legate ai tempi di realizzazione, alla accessibilità dei diversamente abili, alla fruibilità pedonale in genere e per le proteste di cittadini e commercianti che sono stati direttamente interessati dalle variazioni dei flussi di traffico pedonale, sia turistico che pendolare. Come introdotto all’inizio del capitolo, prima della costruzione del Ponte della Costituzione il Terminal ferroviario ed il Terminal automobilistico erano già rapidamente collegati “dal battello” (il mezzo di trasporto pubblico acqueo) e da un percorso pedonale costituito da: un tratto della Fondamenta di Santa Chiara, un primo ponte sopra il
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7 - Il garage comunale di Piazzale Roma.
Rio Nuovo, un tratto della Fondamenta della Croce prospiciente i giardini di Papadopoli, un secondo ponte sul Rio dei Tolentini, la Fondamenta di San Simeone piccolo sul Canal Grande ed il Ponte degli Scalzi che, superando il Canal Grande, porta sulla Fondamenta di Santa Lucia presso la scalinata di accesso al fabbricato viaggiatori FS. La realizzazione del Ponte della Costituzione crea ora un collegamento pedonale diretto tra la Fondamenta di Santa Lucia e la Fondamenta di Santa Chiara, più breve e rettilineo da percorrere, con superamento di un solo ponte. I flussi pedonali, turistici e pendolari, che storicamente si erano consolidati sulla fondamenta di San Simeone Piccolo e che da questa si distribuivano nelle calli retrostanti verso San Polo, i Frari, i Tolentini, campo Santa Margherita, si sono spostati sull’asse del Ponte della Costituzione con danno delle attività commerciali consolidate sui vecchi percorsi. Forse, in fase “studio di fattibilità” o “documento preliminare” del nuovo ponte, l’utilizzo di strumenti di simulazione avrebbe permesso di valutare più precisamente le conseguenze di scelte progettuali così importanti e irreversibili per la città e di programmare per tempo opportuni interventi di mitigazione. Sono attualmente in corso i lavori per collegare la terraferma al Terminal di piazzale Roma tramite tram elettrico su gomma che utilizza un sistema guidato di tipo Translohr ad una sola rotaia: correrà lungo il Ponte della Libertà e avrà la stazione terminale sul piazzale, posta parallelamente al prospetto principale del Garage comunale. Anche se il tram si sostituirà per buona parte agli autobus di trasporto pubblico tradizionale e quindi non dovrebbe modificare più di tanto i flussi in arrivo e partenza da Piazzale Roma, al momento non sono noti gli studi svolti e gli strumenti di simulazione adottati dall’Amministrazione comunale e da PMV; tantomeno sono noti quali saranno gli effetti sulla viabilità pedonale all’intorno di piazzale Roma e sulle attività commerciali. È difficile dire a cosa o a chi siano da imputare i ritardi e le attuali carenze di forme e funzioni dei
due terminal: burocrazia, procedure amministrative, normativa amministrativa e tecnica sempre più complessa, l’avvicendarsi degli Amministratori, etc. Cosa certa è che Venezia non detiene più il primato di Città collegata alla terraferma dal “ponte più lungo del mondo” e tantomeno di avere il “garage più grande del mondo”, come vantava negli anni ’30. Riproduzione riservata ©
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Firenze e il nodo Alta Velocità di Riccardo Renzi
Il presente scritto offre un’occasione di ricordo per la recente scomparsa di Gae Aulenti che, oltre ad essere molto legata alle vicende fiorentine a più riprese1, risulta ad oggi una delle pochissime figure tra quelle che hanno potuto operare grazie ai propri progetti, scelte urbane nell’immutabile clima architettonico della città. Il nuovo accesso alla stazione di Santa Maria Novella realizzato nel 1990 è infatti una struttura tutt’ora capace di formulare l’interessante quanto mai fertile relazione tra rete ferroviaria, città e presenza storica, non a caso l’architetto milanese fu chiamata per risolvere un punto strategico e di primario interesse coniugando le complesse conformazioni dei luoghi originari. Lo sviluppo del sistema ferroviario fiorentino, nato a partire da metà Ottocento2 ed entrato all’interno del perimetro murario a seguito di decreto granducale3, ebbe come effetto quello di portare in quota elevata il sistema ferrato rispetto alla viabilità stradale attorno ai bastioni della cinquecentesca Fortezza da Basso, creando di fatto una cesura tra più parti di città, risolta successivamente dai sottopassaggi in corrispondenza dei principali viali di scorrimento. L’intervento della Aulenti risolse questo salto di quota creando un nuovo accesso a collegamento tra la stazione ed il livello più basso del bastione sangallesco, ed anche grazie alla presenza di nuovi spazi parcheggio e di sosta breve, il progetto serve ad oggi, a diminuire il carico veicolare degli intasati viali di accesso alla stazione. Ma non solo. Esso sviluppa in lunghezza un brano di città che per sessant’anni era stato negato proprio da quegli interventi necessari a portare in quota la via del ferro. Potendo di fatto percorrere a piedi la distanza tra stazione e Fortezza a livello rialzato, il progetto del nuovo accesso di Gae Aulenti permise di scoprire un’alternativa via pedonale di grande utilità che prima era negata. Questo tema, fondamentale nella contemporaneità, viene intuito dal progetto di Foster per il nuovo polo-stazione Alta Velocità collocato nell’area degli ex macelli. Il grande intervento, previsto infatti esattamente in linea d’aria con il tracciato ferroviario esistente, sorgerà a distanza di circa un chilometro rispetto alla stazione di Santa Maria Novella con cui inizialmente era previsto un collegamento diretto che avrebbe utilizzato la ferrovia di superficie rimasta libera dopo lo spostamento a livello 1 Autrice anche della riqualificazione della Stazione Leopolda ed è inoltre membro di giuria che proclama vincitore il progetto di Norman Foster per la stazione Alta Velocità di Firenze. 2 Il 5/4/1841 venne rilasciata la prima licenza di costruzione per una strada ferrata in Toscana. 3 Decreto del Granducale del 22/01/1846 che permette l’introduzione delle stazioni ferroviarie entro le mura cittadine.
Florence and the High-Speed railway system by Riccardo Renzi The current situation in Florence with regards to the High-Speed Railway system has catalyzed the engagement of citizens in relation to the bold and momentous works required for the complete development of the node, which will run underground across the entire city for a length of seven kilometres. The Firenze Belfiore/Macelli High-Speed Railway Station designed by English architect Norman Foster is perhaps the last real opportunity for the city to build an element of contemporary architecture, given the failure of almost every other project approved over the past ten years, none of which were built. The new station also introduces a new overground subway line, which could solve the serious traffic problem that daily afflicts the city. The Santa Maria Novella station will also be renovated, like other major Italian stations, with a project designed by architect Marco Tamino for the new entrance to the underground floor directly from the gallery at the fore, which will make it possible to reach the existing underground shopping centre and the main parking garage, also underground.
Nella pagina a fianco, in alto a sinistra: il rapporto tra l’intervento di Gae Aulenti nel percorso di accesso alla stazione Santa Maria Novella ed il bastione sangallesco della Fortezza da Basso; a destra: progetto della stazione di Firenze Belfiore; in basso: veduta della galleria di testa nella stazione di Santa Maria Novella: sul fondo l’affresco di Giampaolo Talani del 2006.
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1 e 2 - Due particolari del progetto della stazione di Firenze Belfiore.
interrato dei treni a percorrenza veloce. In base agli accordi del 2011 tra Rete Ferroviaria Italiana e Comune di Firenze4 però tale progetto di microconnessione, che avrebbe avuto come sede una nuova stazione di superficie nei pressi della stazione Belfiore, è stato soppresso, affidando alla nuova costruzione della linea 2 della tramvia cittadina il compito di connettere i due importanti nodi5. 4 Accordi con RFI del 3/8/2011. 5 Che passerà all’interno dell’edificio di angolo progettato da Mazzoni negli anni ‘30 e ricostruito malamente nel dopoguerra. Si veda L.Macci, A.Baratelli, N.Novelli, V.Orgera e C.Zanirato Infra Toscana ed. Otto editore Torino 2003
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La condizione architettonica attuale della città è del tutto ferma, soffre ovvero di una stasi per tutte quelle opere che, progettate ed approvate negli ultimi tempi, tardano ad essere realizzate se non addirittura rischiano di non vedere nemmeno la posa della prima pietra. In un articolo di quasi dieci anni fa a commento del progetto di Foster per la stazione Alta Velocità, Prestinenza Puglisi prevedeva per Firenze una favorevole stagione prospera di architetture contemporanee: al tempo, si ricorda, apparivano, tra le altre, la pensilina degli Uffizi di Arata Isozaki, il progetto per l’area ex-fiat Belfiore di Jean Nouvel, la passerella di Santiago Calatrava ed i nuovi interventi affidati a giovani
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progettisti nell’area ex Fiat di via di Novoli. Ad oggi la città affida al progetto di Norman Foster una grande occasione, forse l’unica6, di incontro con le articolate linee del progetto contemporaneo.
I temi proposti dalla nuova stazione portano in grembo affinità con la città e con il concetto stesso di ferrovia dalle sue origini: ad esempio nella copertura vetrata si trova la rievocazione di quelle architetture di ferro e vetro ottocentesche7 e nelle
6 Ad eccezione del Teatro del Maggio Musicale di ABDR.
7 Si vedano ad esempio le stazioni di Porto e di Milano.
3 - In alto: veduta dei lavori nell’area della futura stazione Belfi ore. 4 - In basso: schema delle linee e delle stazioni ferroviarie in città.
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5 - In alto a sinistra: intervento di Gae Aulenti su viale Filippo Strozzi, 1990 6 - In alto a destra: accesso dal piano stradale della Fortezza da Basso al piano del ferro di Santa Maria Novella. Gae Aulenti, 1990. 7 - A centro pagina: vista aerea di Firenze. Fonte: Bing Maps.
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strutture di servizio si trovano paralleli con scenari urbani presenti in capitali e grandi città. Proprio nel tema interrato le attività che si svilupperanno avranno il compito di saper intrigare i cittadini verso nuovi utilizzi e nuovi modi di concepire il tema del viaggio. Il progetto per la nuova stazione vede concretizzarsi la migliore delle ipotesi tra quelle proposte dal concorso del 2002, sicuramente la più fattibile dal punto di vista di realizzazione, e pone l’accento sulla necessità che la città ha rispetto a nuove forme per rappresentare il panorama contemporaneo. Con la nuova stazione Belfiore inoltre si vuole risolvere un brano di tessuto cittadino che, evolutosi nel tempo, da area macelli ottocentesca a centrale del latte novecentesca, rappresenta una delle tappe comuni a quasi tutti i centri europei con caratteristiche similari, ovvero quello della sostituzione di aree di origine indu-
striale nate a margine dei centri cittadini e ad oggi divenute nuclei interni allo sviluppo urbano come soggetti estranei. Firenze nella fattispecie ha avuto come esempio l’area ex Fiat compresa tra viale Guidoni e via di Novoli, le cui sorti, segnate dai piani guida degli anni ‘80, hanno prodotto una delle tante occasioni mancate nel panorama architettonico contemporaneo italiano.
I lavori dell’Alta Velocità Le problematiche del nodo Alta Velocità sono state per lungo tempo studiate dal Dipartimento di Progettazione, oggi di Architettura, dell’Università degli Studi di Firenze in un piano nazionale di ricerca denominato Infra coordinato dal professor
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8 - Veduta aerea della stazione di Santa Maria Novella.
9 - Vista dei lavori nell’area della futura stazione Belfiore, particolare dei lavori del pozzo costruttivo nord e del fiume Mugnone nei pressi della piazza Puccini.
Aimaro Isola ed i cui risultati sono stati oggetto di diverse pubblicazioni. Gli aspetti che hanno portato alla decisione di interrare la stazione dei treni Alta Velocità sono molteplici e rimandano tutti alla struttura fisica della città che, grazie alle decisioni ottocentesche confermate poi nel Novecento con il concorso per il nuovo fabbricato viaggiatori, vedono la posizione della stazione ferroviaria entro il cuore cittadino come elemento di testa. Tale assetto obbliga anche oggi i treni ad un insieme di manovre rallentando le operazioni complessive di arrivo e partenza, sullo stesso schema nativo su cui la stazione Leopolda8 e la stazione Maria Antonia9 funzionavano in passato. Non a caso l’attuale siste8 Progettata da Enrico Presenti ed inaugurata il 12/6/1848 essa era dedicata al Granduca Lepoldo II. 9 Inaugurata il 3/2/1848 sempre realizzata su progetto di Enrico Presenti essa era invece dedicata alla moglie del Granduca.
ma costringe i treni in fase di arrivo a diminuire la propria velocità, prima di entrare nei pressi dello snodo a tre vie di Firenze Statuto ed a percorrere, spesso fermandosi per brevi soste, lentamente i tratti precedenti la stazione, per permettere così anche agli altri convogli di effettuare le operazioni di partenza e di arrivo. La stazione di Foster, che sarà posizionata nella grande area degli ex macelli progettati da Felice Francolini ed inaugurati nel 1870, ospiterà l’unico luogo di sosta per il tragitto Roma-Bologna, offrendo, grazie alla conformazione del progetto nel suo sviluppo in sezione, la luce naturale dopo diversi chilometri percorsi in galleria. Questo della galleria è il tema centrale che ha permesso lo svilupparsi di polemiche e di ricorsi di comitati di cittadini contro il progetto Alta Velocità per come esso è impostato attualmente. L’idea infatti che siano scavati due tunnel di circa 7 chilometri di lun39
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10, 11, 12 e 13 - Rendering della stazione di Firenze Belfiore.
ghezza fino alla profondità massima di 27 metri e che, a partire da Campo di Marte raggiungeranno la stazione Belfiore per poi riemergere a Castello, ha suscitato, e suscita tutt’ora, un dibattito a cui la cittadinanza, ed anche l’amministrazione comunale, sono risultatea estremamente sensibili. Nel 2009 infatti il sindaco entrante Matteo Renzi aveva proposto metodologie di sviluppo alternative al progetto approvato con l’intento di diminuire l’impatto ambientale. Si ipotizzava infatti una fermata sotterranea nei pressi della attuale padiglione Spadolini della Fortezza da Basso, la quale avrebbe evitato una grande opera come quella di una nuova stazione. In altri contesti urbani, simili profondità sono all’ordine attuale delle cose, basti pensare agli intrecci della metropolitana di Napoli o ai nodi di Roma, ma in una piccola e delicata realtà quale quella di Firenze, dove ogni scelta strategica o strutturale si imbatte generalmente in un coro di dissensi10 , ogni operazione sul territorio rischia di essere percepita come lesiva e pericolosa. Nel caso specifico dei tunnel Alta Velocità si sono formati da subito comitati contrari al progetto, che adducono come fattore di rischio e di preoccupazione il passaggio di una parte degli scavi sotto alcuni fabbricati residenziali, nella zona di via Fra Bartolomeo e di piazza della Libertà, ipotizzando danni non tanto per gli effetti della ferrovia a regime di funzionamento, quanto per le fasi di scavo e di cantiere che risulterebbero essere lesive delle fondamenta a causa delle forti vibrazioni. Per rendere trasparenti le operazioni di lavoro, sono stati organizzati e fondati organi di controllo e riferimenti sul web, il più importante è l’Osservatorio Ambientale reperibile nel sito omonimo, che monitorizza ogni fase di sviluppo. Altri importanti canali di informazione sono stati creati dal Comune di Firenze, che ha dedicato una pagina del sito, così anche come Rete Ferroviaria Italiana, Regione Toscana e Azienda Sanitaria Fiorentina. Sebbene quindi nelle vie canoniche, quotidiani e telegiornali, la comunicazione delle notizie circa l’avanzare del progetto siano poche, ci sono molti canali per rimanere aggiornati ed informati. Al momento la fase dei lavori, da terminare entro il 2008 secondo le iniziali previsioni, è stata articolata in più interventi principali. Il primo riguarda il cosiddetto “scavalco” ovvero l’attraversamento della linea Alta Velocità rispetto alla linea normale, mediante un sovrappasso posto nell’area in prossimità della stazione di Firenze Castello, che permette alla linea veloce di inserirsi autonomamente dentro il tunnel in direzione nord prima dell’abitato del comune di Sesto Fiorentino. Vi sono poi gli interventi di adeguamento del fiume Mugnone nei pressi della stazione Alta Velocità: si è infatti provveduto a ricostruire gli argini allargando il letto del fiume ed a passare nuove condutture per aumentare la capacità di smaltimento raddoppiando di fatto l’alveo con un nuovo bypass ad integrare il vecchio oramai insufficiente in caso di piena. A monte sono stati poi installati degli sbarramenti per impedire al fiume di trascinare in città detriti e arbusti che facilmente avrebbero potuto creare barriere nel sottopassaggio del fiume tra la Fortezza da Basso e la nuova stazione. Ancora una volta le questioni della città ruotano intorno al fiume Mugnone. Firenze lo ha sempre allontanato, spostando dalle mura del primo ca10 Si veda il caso della tramvia, al momento arrivata solo al completamento della linea 1.
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stro romano in poi la sede sempre più a Nord, ed ha sempre dovuto intervenire per portarlo in sicurezza lontano dal centro cittadino11. Anche adesso i lavori principali per le fasi preparatorie agli scavi sono ruotati intorno nuovamente all’assetto di questo piccolo fiume. Non a caso però la difficoltà tecnica che ha investito la realizzazione del nodo Alta Velocità non è insita 11 Originariamente il fiume Mugnone scorreva nei pressi della attuale piazza Santa Maria Novella per poi immettersi in Arno all’altezza di Piazza Ognissanti. Si veda G.Fanelli Firenze ed.Laterza Bari 1980.
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14 - I lavori presso la stazione di Campo di Marte con la trincea per i binari Alta Velocità e l’innesto dello scavo da parte dei macchinari.
15 - Il cosiddetto “scavalco” nei pressi della stazione di Firenze Castello.
solamente nel fatto inerente le operazioni di scavo. Infatti la nuova stazione, con un piano del ferro previsto a -21 m rispetto al livello stradale, si troverà ad intercettare la falda acquifera posta più in alto a circa -15m, oltre ad incontrare il fiume Mugnone ancora sopra. Il tema della falda acquifera è tenuto costantemente sotto controllo ed i lavori proseguono secondo procedure che ne dovrebbero garantire l’assoluta non alterazione da parte di alcun agente inquinante. Risulta alquanto interessante vedere come il problema della continuità di falda sia
stato risolto. Mediante un sistema di tubi posti su un versante dello scavo entro il quale alloggerà la nuova stazione e che viene chiamato il “camerone”, verrà incanalata l’acqua di falda per poi essere riversata nel versante opposto grazie al principio dei vasi comunicanti e grazie anche ad un sensibile cambio di quota. Un sistema composto da un solaio intermedio permetterà alle tubazioni ospitate all’interno di far scorrere l’acqua alla giusta altezza da monte a valle. A supporto delle operazioni utili a mettere in opera il dispositivo sono anche previsti dei pozzi di contenimento per gestire 41
TRASPORTI & CULTURA N.33-34 e compensare le acque, sia nei pressi della nuova stazione che nei punti dove nascono i tunnel a nord ed a sud. Altri lavori stanno riguardando poi la stazione Firenze Campo di Marte con le fasi iniziali di scavo per l’apertura dei due tunnel che attraverseranno la città. Da tempo era presente un vecchio fabbricato postale fatiscente, in metallo e vetro con coperture in amianto posto ai bordi del sedime ferroviario nei pressi del ponte al Pino a poche centinaia di metri rispetto alla stazione, la cui demolizione è avvenuta nell’agosto 2011. Accanto all’area, ora vuota, sono state realizzate le opere riguardanti gli scavi iniziali per la trincea dei binari Alta Velocità in superficie e lo spazio per l’assemblamento della macchina denominata “la talpa” che effettuerà le carotature per il primo tunnel da sud a nord. Una volta riemersa nei pressi dell’area della stazione Firenze Castello la macchina verrà smontata per opere di manutenzione e ripartirà per lo scavo della seconda galleria da nord a sud, riemergendo nell’area di partenza e dove sarà poi definitivamente smembrata e portata via. La completa operazione di scavo di entrambi i tunnel è prevista per il 2015-16 come termine ultimo.
Effetti dei progetti ferroviari sulla città La natura del progetto Foster risulta perfettamente in linea con le necessità della città verso questa nuova ed importante infrastruttura. La principale dote potrebbe trovarsi infatti nel basso profilo impostato dal progetto architettonico che, sviluppandosi su livelli interrati, denuncia la sua presenza solamente grazie alla copertura in ferro e vetro prima citata. Ma non vi è solo questo tra le qualità annoverabili del progetto in corso. I fiorentini sono stati abituati purtroppo a fare i conti con una situazione difficile per quanto riguarda la viabilità
16 - In questa pagina: direttrici ferroviarie nell’area di Firenze. 17 - Nella pagina a fianco, in alto a sinistra: veduta della centrale termica di a Santa Maria Novella. 18 - In alto a destra: galleria di testa della stazione. 19 - Nella pagina a fianco, in basso: vista della stazione di Santa Maria Novella lato via Valfonda dopo i lavori di demolizione della pensilina.
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carrabile, quasi tutta affidata agli ottocenteschi viali progettati da Giuseppe Poggi, nati dalla demolizione delle mura di cinta, che racchiudono in un anello il centro storico e funzionano da canali distributori per tutte le zone circostanti. La chiusura del centro con le Zone a Traffico Limitato e le recenti pedonalizzazioni hanno di fatto, seppur migliorando nettamente le condizioni di vivibilità interne, riversato sui viali un ulteriore carico veicolare, che non risulta di molto alleggerito dagli interventi dell’anello più esterno rappresentato dal tratto della autostrada A1 da Nord a Sud pur con le opere che hanno portato ad avere una terza corsia di scorrimento. I lavori per la prima tratta della tramvia erano iniziati nel Dicembre 2005 con grandi difficoltà ricadenti sulla viabilità: questo fatto aveva fomentato ulteriormente le polemiche già esistenti sulla opera, che invece ad oggi si mostra come realmente funzionale e di grande utilizzo. Per la nuova stazione Belfiore e per l’intero nodo Alta Velocità invece non vi sono state finora ricadute dirette percepibili dalla cittadinanza, né di tipo viario con aggravamento delle condizioni di traffico né di altro tipo, essendo l’area in questione posta in posizione riparata e separata. Le opere riguardanti invece la riqualificazione ed i miglioramenti della stazione di Santa Maria Novella partono da lontano. La spinta economica dei mondiali di calcio del 1990, dove l’Italia era paese ospitante, portò infatti anche Firenze a dotarsi di strutture di servizio più efficienti, tra cui la stazione di Statuto, la citata opera di Gae Aulenti per il nuovo accesso ai binari nei pressi dei bastioni della Fortezza da Basso, la pensilina attrezzata ad opera di Cristiano Toraldo di Francia lungo la via Valfonda ed il nuovo parcheggio ipogeo con la nuova stecca di negozi interrati adiacenti alla stazione. La questione della pensilina dette adito ad una feroce schiera di polemiche fin dal momento della realizzazione, sia per l’articolata composizione architettonica con molte forme impiegate e con ac-
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20 - Sezione dei tunnel interrati che percorreranno i 7 km sottoterra.
21 - Disegno della “talpa” che scaverà i tunnel interrati.
costamenti di diversi materiali, sia, e soprattutto, per la separazione imposta tra lo sbocco naturale del fabbricato viaggiatori della stazione e la via Valfonda. Nel 2010 il comune di Firenze ha deciso per la demolizione della pensilina, sgombrando tutto quello spazio negato prima alla città ed alla sua stazione, restituendo la libertà di movimento ai viaggiatori nel loro primo accesso alla città ed una vista ampia sul fabbricato viaggiatori e sulla Palazzina Reale. Nel 2006 inoltre l’artista toscano Giampaolo Talani ha regalato alla città un’importante opera d’arte, un affresco a strappo di circa 80 m², il più grande al mondo eseguito con questa particolare tecnica, dal significativo titolo “Partenze”. L’affresco è stato posto lungo il lato destro della galleria interna al fabbricato viaggiatori proprio sopra alla grande uscita in alto, prima sgombra da elementi tranne l’orologio, e raffigura diciannove uomini nel momento del viaggio. Firenze Santa Maria Novella inoltre ricade nel progetto di Grandi Stazioni che prevede la riqualificazione e restauro di molti edifici ferroviari, alcu-
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ni dei quali sono già operativi, come ad esempio Roma Termini. Il progetto per i nuovi interventi sul fabbricato viaggiatori è affidato a Marco Tamino, che ha previsto, oltre ad un restauro da concordare con la Soprintendenza ai Beni Architettonici di Firenze, un nuovo accesso alla stecca commerciale posta a livello ipogeo mediante una scalinata e due scale mobili che connetteranno direttamente dalla galleria di testa il piano interrato. Al momento i lavori, iniziati nel 2009 e la cui previsione di ultimazione era prevista per febbraio 2012, sono in fase di cantiere. Firenze ha da sempre uno strano rapporto con le novità. Si pensi al dibattito che fu acceso al momento della proposta progettuale vincitrice del concorso del 1932 ad opera del Gruppo Toscano, alle polemiche apparse sulle riviste dell’epoca circa la mostra dei progetti e la natura della loro composizione12. Eppure il fabbricato viaggiatori 12 Si veda U.Tramonti Architettura e Semplicità in AA.VV “Perturbazioni”, ed. Alinea Firenze 1992
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22 - Lavori nell’area della futura stazione Belfiore.
23 - Ingresso dei convogli a bassa velocità nel nodo dello Statuto prima dell’approdo alla stazione Santa Maria Novella.
della stazione è ad oggi considerato dai cittadini un elemento urbano, un fatto urbano per citare Aldo Rossi13, di qualità innegabile sia per forme che per funzioni, legato indissolubilmente per similitudini materiche e compositive all’abside della vicina chiesa di Santa Maria Novella e soggetto da cui il centro storico, allargato fino negli anni trenta, sgorga come punto culminante. Essa è riferimento immutabile e memoria di una cultura collettiva condivisa nel paese, dai tratti accostabili alle altre stazioni ferroviarie di testa di città quali Roma, Venezia, Milano e Napoli, che veicolano l’idea di nazione in un momento in cui i riferimenti identitari visibili dello Stato sembrano sempre più dissolversi verso una globalizzazione crescente. La speranza è che la nuova stazione Belfiore sappia cogliere questo insieme di sensazioni e sentimenti
dei fiorentini per trasformare la sua principale caratteristica di passaggio in porta stabile alla città. Riproduzione riservata ©
13 A.Rossi - L’architettura della Città, ed.Cluva Venezia 1966.
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Perugia, oltre il Minimetrò di Andrea Vignaroli e Paolo Belardi
Per dare nuova integrità e ricucire in un insieme organico le aree cittadine antiche e moderne, l’Amministrazione comunale di Perugia ha optato per uno fra gli interventi più interessanti e coraggiosi sul piano della mobilità urbana: il Minimetrò, che costituisce l’innovativa ed importante sfida di contribuire in modo strutturale al miglioramento della critica viabilità cittadina lungo la linea di direzione tra l’immediata periferia (Pian di Massiano) ed il centro storico della città. Un sistema innovativo di trasporto pubblico che, integrandosi con gli altri sistemi tradizionali di mobilità urbana presenti sul territorio (autobus, ferrovia regionale, ferrovia nazionale), colloca, a pieno diritto, Perugia all’avanguardia tra le città a maggiore offerta di trasporto pubblico urbano. Tale scelta, intrapresa per favorire lo sviluppo sostenibile del territorio, sia dal punto di vista della qualità della vita e dell’ambiente che dal punto di vista economico, connette le reti di trasporto urbana ed extraurbana per offrire rapidità negli spostamenti anche intermodali, puntualità, sicurezza, facilità e flessibilità di utilizzo. Il Minimetrò è costituito da una linea a doppio binario in acciaio lunga 3 km sulla quale scorrono 25 vetture con ruote in gomma (capienza: 50 passeggeri), linea che collega – attraverso cinque stazioni intermedie - Pian di Massiano (“porta” di ingresso di Minimetrò) alla stazione Pincetto (terminal di arrivo nel centro storico). L’elevata frequenza delle corse (meno di un minuto tra l’una e l’altra) ed il ridotto tempo di percorrenza dell’intero tratto (di circa dodici minuti, comprese le fermate nelle cinque stazioni intermedie) rendono il Minimetrò più veloce di qualsiasi altro mezzo sullo stesso percorso, sia che si tratti di auto privata, che di autobus di linea. L’impianto rientra nella tipologia APM (Automated People Mover) con trazione a fune ed ammorsamento automatico, in cui le vetture sono gestite da una sala di comando centralizzata posta nella stazione terminale di monte e sono mosse alla velocità commerciale di 7 m/s (modulabile), da un unico motore elettrico ubicato nel sottosuolo della stessa stazione. Nelle due stazioni terminali una piattaforma di inversione permette alle vetture di riprendere immediatamente la corsa in senso inverso. La costruzione dell’opera, iniziata nel 2003 ed inaugurata il 29 gennaio 2008, con un costo complessivo di 98 milioni di euro, è stata attuata da Minimetrò S.p.A., società a prevalente capitale pubblico fondata nel 1998, che ha operato avvalendosi per la progettazione e realizzazione dei propri soci operativi: Umbria Domani, società consortile che riunisce imprese quasi tutte locali, mentre la parte trasportistica è stata affidata a Leitner S.p.A.
Perugia, beyond the Minimetrò by Andrea Vignaroli and Paolo Belardi To reconnect the ancient and modern parts of the city into an organic whole, the City Government of Perugia has built a mini-subway, the Minimetrò, which improve critical circulation through the city along the axis between the immediate suburbs (Pian di Massiano) and the historic city centre. This is an innovative public transportation system that feeds into the other traditional urban mobility systems existing in the region: bus, regional railway, national railway. The Minimetrò includes a 3-km line that carries 25 subway cars with rubber wheels. The frequency of runs and the short travelling times across the entire route make the Minimetrò faster than any other means of transportation along the same route. The creative strategy focused not only on the engineering but on the architecture as well: the artistic direction of the project was commissioned to Jean Nouvel, who dedicated particular attention to the design of each element, creating a line that appears as a pure and continuous element across the landscape. Perugia, which has already built escalators in the Rocca Paoline and a people mover, consolidates its vocation as a citylaboratory that experiments with unusual forms of urban mobility.
Nella pagina a fianco, in alto: ateliers Jean Nouvel, stazione intermedia Cupa; in basso: l’esterno della medesima stazione. Fonte: Minimetrò SpA, Perugia.
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1 - A sinistra: stazione terminale di Pincetto, interno. 2 - A destra: stazione terminale Pian di Massiano, particolare.
3 - Foto aerea di Perugia col tracciato del Minimetrò. Le foto pubblicate in queste 2 pagine sono state fornite da Minimetrò SpA, Perugia.
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TRASPORTI & CULTURA N.33-34 A Jean Nouvel, architetto tra i più importanti nell’attuale panorama mondiale, è stata affidata la direzione artistica del progetto: dalla sua penna è scaturita un’opera in cui lo stile moderno delle linee ed il materiale utilizzato mettono in evidenza una struttura architettonica di grande suggestione, che si fonde con la vocazione trasportistica del Minimetrò e si inserisce nel contesto architettonico della città di Perugia, affermando la propria personalità. La grandezza del risultato di Jean Nouvel si misura nell’attenzione che ha posto nella progettazione di ogni singolo elemento architettonico: le stazioni interrate e quelle fuori terra, i viadotti e le gallerie, i materiali e le finiture superficiali, l’uso della luce naturale e di quella artificiale, l’utilizzo del verde, l’esaltazione dei panorami naturali. Tutto concorre ad un “unicum” organico e coerente che è stato rispettato nella successiva ingegnerizzazione e nello studio di soluzioni originali in fase esecutiva. La scelta strategica è stata quella di dare alla linea ed alle stazioni una propria identità, coerente con il concetto di un sistema di trasporto continuo ed originale, oltre che “presente” in una parte densamente popolata della città, fino al suo inserimento nell’acropoli storica, effettuato nel rispetto delle stratificazioni preesistenti, ma senza deferenza. All’infrastruttura viene perciò conferita un’impronta contemporanea, senza mimesi né enfasi hi-tech, in cui la tecnologia, che è il cuore del progetto, non viene così celebrata, ma confinata tra i pochi elementi costruttivi di cui l’opera è costituita, per un effetto complessivo di assoluto rilievo, tuttavia misurato nelle proporzioni, a tutti livelli di scala. La linea si presenta come un elemento continuo e puro all’interno del paesaggio e della città; le stazioni sono caratterizzate dalla fluidità tra interno ed esterno, dalla dissoluzione della struttura portante, dalla ricerca di vedute strategiche. Il linguaggio costruttivo adottato è semplice e minimale, i materiali, acciaio ed il vetro - dalle linee trasparenti e nervose – sono accostati al cemento armato che in molte parti delle strutture è caratterizzato dall’inserimento di inerti e pigmenti colorati, oppure lavorato in opera con suggestivi effetti lapidei. Dal lato dell’esecuzione, le opere civili hanno richiesto una grande e attenta programmazione delle fasi di lavorazione, per evitare che il sistema viario coinvolto, nevralgico per la città, fosse completamente bloccato per anni dai vari cantieri aperti, ottenendo così un notevole risultato in termini di trascurabili ripercussioni sul traffico nell’intero arco delle operazioni costruttive. I momenti salienti dei lavori sono stati l’esecuzione della galleria naturale sotto l’Acropoli e degli sbancamenti del terreno, per un’altezza anche di 35 metri, a ridosso del centro storico, per i quali, a garanzia della stabilità degli edifici storici è stato messo a punto un sistema topografico di alta precisione con sensori collegati a una rete di monitoraggio telecontrollata, per avere l’immediata percezione di eventuali effetti negativi dovuti alle opere di scavo profondo. Il Minimetrò si è confermato un sistema estremamente affidabile, con un indice di disponibilità di oltre il 99%, con un livello di soddisfazione della clientela del 97%, anche perché si è dimostrato un mezzo di trasporto urbano socialmente avanzato, soprattutto in relazione alla domanda di mobilità di passeggeri a ridotta capacità motoria. Andrea Vignaroli Riproduzione riservata ©
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TRASPORTI & CULTURA N.32-34 Sul pianeta Beh hanno inventato un marciapiede mobile che gira tutt’intorno alla città. Come la scala mobile, insomma: soltanto che non è una scala, ma un marciapiede, e si muove a piccola velocità, per dare alla gente il tempo di guardare le vetrine e per non far perdere l’equilibrio a quelli che debbono scendere e salire. Sul marciapiede ci sono anche delle panchine, per quelli che vogliono viaggiare seduti, specialmente vecchietti e signore con la sporta della spesa. I vecchietti, quando si sono stancati di stare ai giardini pubblici e di guardare sempre lo stesso albero, vanno a fare una crociera sui marciapiedi. Stanno comodi e beati. Chi legge il giornale, chi fuma il sigaro, si riposano. Grazie all’invenzione di questo marciapiede sono stati aboliti i tram, i filobus e le automobili. La strada c’è ancora ma è vuota, e serve ai bambini per giocarci alla palla, e se un vigile urbano tenta di portargliela via, prende la multa. Gianni Rodari, “Il marciapiede mobile”, 1962
4 - Toledo, risalita meccanica La Granja (José Antonio Lapeña, Elías Torres, 2000).
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5 - Heliopolis 21, UNIPG, galleria energetica vetrata a Perugia, 2009, simulazione infografica. Fonte: Coop Himmelb(l)au.
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Che l’identità di Perugia sia anche quella di un’ingegnosa città-laboratorio, vocata a sperimentare forme insolite di mobilità urbana, è un dato ormai acquisito. Ma anche consolidato, visto che è di lunga data: avviato nel 1971 con la pedonalizzazione dell’area centrale di corso Vannucci, alimentato nel 1983 con l’introduzione delle scale mobili nei meandri ipogei della rocca Paolina e amplificato nel 2009 con l’inaugurazione di un sistema people mover volto a collegare direttamente la parte bassa e la parte alta della città. Tuttavia, mentre la pedonalizzazione di corso Vannucci, seppure all’epoca pionieristica, non ha catalizzato particolari attenzioni mediatiche (distratte dalle analoghe iniziative intraprese da municipalità d’oltralpe quali Chalon sur Saône, Nancy e Rouen), la risali-
TRASPORTI & CULTURA N.33-34 ta meccanica della rocca Paolina ha catapultato il capoluogo umbro al centro della ribalta internazionale, assurgendo in breve a modello esemplare, capace di promuovere la proliferazione quantitativa di un lungo elenco d’iniziative succedanee, tanto a livello regionale (Assisi, Gubbio, Narni, Orvieto) quanto a livello nazionale (Arezzo, Belluno, Camerino, Potenza), ma incapace di promuovere la diffusione qualitativa mediante il superamento della dimensione trasportistica a vantaggio di quella paesaggistica. D’altra parte, con il senno del poi, risulta evidente che il progressivo oblio pubblicistico dell’infrastruttura perugina è imputabile a due precise peculiarità, che inizialmente hanno garantito il consenso unanime, ma che, con il tempo, si sono rivelati dei veri e propri limiti:
l’eccezionalità ambientale e l’invisibilità figurativa. Laddove la struggente contaminazione tra la ruvida opacità delle coperture laterizie voltate dal Sangallo e l’algida luminosità delle scale mobili prodotte dalla “Orenstein & Koppel”, che contrassegna e qualifica l’architettura degli interni, ha creato il falso convincimento che la ricerca di valenze espressive autonome potesse essere omessa, mentre la minimizzazione percettiva imposta dai vincoli ambientali (soprattutto in corrispondenza dello sbarco su piazza Italia) ha creato l’altrettanto falso convincimento che la rinuncia alla presenza visiva potesse diventare un presupposto dello statuto tipologico. Il che ha finito con il penalizzare gli aspetti compositivi degli interventi mutuati dal prodromo perugino, che hanno fatto scuola dal
6 - Cherubino Gambardella, 2007, museo virtuale a servizio del terminal Massiano, 2007, simulazione infografica. Fonte: Minimetrò SpA, Perugia.
7 - Stazione intermedia Madonna alta, particolare. Fonte: Minimetrò SpA, Perugia.
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8- Nella pagina a fianco, in alto: rendering ateliers Jean Nouvel, interno della stazione terminale Pincetto. 9 - Al centro: stazione intermedia Case Bruciate 10 - In basso: stazione terminale Pian di Massiano.
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punto di vista urbanistico, ma che non hanno saputo tenere il passo dal punto di vista architettonico. Tanto che, sulle pagine delle più recenti monografie dedicate, le risalite meccaniche italiane sono sistematicamente disattese e la stessa risalita meccanica della rocca Paolina (che Giovanni Klaus Koenig ha definito con ammirazione “l’ottava meraviglia”) è offuscata dall’arditezza degli ascensori sprofondati nelle viscere di un’altura di Bellinzona da Aurelio Galfetti e dall’esuberanza delle scale mobili conficcate nel fianco di una collina di Toledo da José Antonio Martinez-Lapeña ed Elias Torres Tur. E forse, nell’incubazione metaprogettuale del Minimetrò (il sistema di trasporto automatico e semicontinuo inaugurato nel gennaio 2008, che collega la parte bassa della città con il cuore del centro storico inerpicandosi lungo le algide stazioni di Via Cortonese, Madonna Alta, Fontivegge, Case Bruciate e Cupa), è stata proprio la coscienza di questi due limiti a scongiurare il ripetersi dell’errore, orientando i promotori a concentrare gli sforzi ideativi sugli aspetti architettonici oltre che su quelli ingegneristici. Così come si fa, visto che è proprio l’architettura la disciplina deputata a misurare la disponibilità delle nostre città ad accogliere le sempre più pressanti istanze infrastrutturali, e così come si è sempre fatto, visto che da sempre firmitas e utilitas non hanno luogo senza venustas. Non a caso, anche nella Perugia del XIII secolo, trattandosi di celebrare degnamente il compimento di un’opera pubblica vitale come l’acquedotto di monte Pacciano, il progetto idraulico predisposto ad opera di Boninsegna da Venezia fu suggellato dalle rotondità solenni di Fra Bevignate e dalle preziosità ornamentali dei fratelli Pisano. Così, dopo più di settecento anni, è riaffiorata l’idea che la bellezza sia una componente necessaria anche nel campo infrastrutturale e si è avuta la lungimiranza di potenziare la già qualificata équipe tecnica impegnata nella progettazione del minimetrò con l’affidamento dell’art direction a un’archistar del calibro di Jean Nouvel. Che certo non ha tradito le attese, forgiando viadotti e pensiline che si librano nell’azzurro del cielo e plasmando gallerie che evocano climax oniriche (dal tunnel delle streghe di Eurodisney alla canna di pistola che prelude ai film di James Bond). Ma che soprattutto ha conferito a Perugia il crisma della contemporaneità. Perché, a dispetto di quanto recitano i dépliant tecnici, la velocità massima delle navette non è di sette metri al secondo, così come la lunghezza complessiva del percorso non è di tre chilometri. La vera velocità delle navette, infatti, sta nella rapidità con cui l’impalcato/filo srotolato da Nouvel/Teseo tra i condomini/minotauri per orientare i passeggeri nella periferia/labirinto di Perugia ha smascherato l’obsolescenza estetica della città recente. Così come la vera lunghezza del percorso è quella che collega in senso transculturale il capoluogo umbro al resto del mondo, perché, non appena si varcano i tornelli delle stazioni e ci s’immerge nel microcosmo rosso ritagliato da Nouvel tra il verde delle essenze vegetali e il grigio delle strutture metalliche, si respira un’atmosfera profondamente europea. Peraltro pienamente convalidata dalla raffinatezza delle soluzioni illuminotecniche e dall’eleganza delle soluzioni grafiche. Ma non è tutto. Perché il Minimetrò è e rimane prima di tutto un fatto urbano. E come tale, in un futuro più o meno prossimo, si evolverà necessariamente come struttura dialettica, governando le modificazioni che inevitabilmente indurrà sull’in-
torno e le modificazioni che, altrettanto inevitabilmente, l’intorno indurrà a sua volta. Anche per questo varrebbe la pena prendere in considerazione sin d’ora uno spettro più ampio, valutando non solo l’ipotesi di ottimizzare l’efficacia del sistema, ramificando la linea verso altre direzionalità strategiche, ma anche di affinare l’integrazione paesaggistica, sperimentando l’inserimento di architetture parassite sopra, sotto e lungo il minimetrò. Forse anche intervenendo oltre il Minimetrò e, magari, cominciando a prendere in considerazione l’ipotesi di prolungarlo a valle con la “piazza telematica” pensata nel 2007 da Cherubino Gambardella come museo virtuale (ma anche come forra etrusca) complementare al terminal di Pian di Massiano e di prolungarlo a monte con il sistema “galleria archeologica ipogea-galleria energetica vetrata” con cui, nel 2009, l’équipe interdisciplinare all’uopo costituita dall’Università degli Studi di Perugia e dallo studio Coop Himmelb(l)au di Vienna ha prefigurato di scavare piazza Matteotti per consentire ai passanti di toccare con mano le tessiture murarie ivi depositate da più di tremila anni e di proteggere via Mazzini con un’elica scintillante di nembi cirri e cumuli al fine di saldare, sia fisicamente che idealmente, il terminal del Pincetto con il cuore dell’acropoli. D’altra parte è indubbio che la contraddizione latente tra l’obiettivo di migliorare l’accessibilità e il rischio di definire al contorno luoghi emarginati dai circuiti vitali cittadini rappresenta un problema cruciale per la Perugia del terzo millennio, che un’operazione progettuale sofisticata, quale quella del Minimetrò, non può esimersi dall’affrontare e risolvere. Così come è nel dna di una città che non ha mai rinunciato a crescere su se stessa e che, ai primi dell’Ottocento, non ha esitato a trasformare un malandato acquedotto medievale in disuso in un vivace percorso pedonale pensile. Paolo Belardi Riproduzione riservata ©
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Marsiglia da città portuale a metropoli europea di Oriana Giovinazzi
La configurazione naturale del sito fa apparire la città portuale Marsiglia come un grande anfiteatro affacciato sul mare e circondato da colline rocciose, all’interno del quale due diverse centralità, rappresentate da un Nord povero e da un Sud ricco, sono fisicamente separate dal principale asse urbano, la Canebière. Lo spostamento di gran parte delle attività dal porto antico, a stretto contatto con il tessuto storico, verso la periferia ha prodotto la perdita del rapporto e dell’integrazione che si erano creati nel corso dei secoli tra la città urbana e quella marittima. Solo negli ultimi decenni il porto è stato riscoperto come luogo dalle grandi potenzialità, sul quale sono state realizzate operazioni di trasformazione con la finalità di migliorare la qualità urbana e di recuperare l’identità marittima.
Euroméditerranée, una vasta operazione di interesse nazionale È in particolare il Vieux Port con il suo ricco patrimonio architettonico l’area interessata dai primi interventi di riconversione, quella su cui maggiormente si è concentrato a partire dal 1995 il programma di Euroméditerranée, anche in vista della candidatura e della nomina di Marsiglia a Capitale della Cultura Europea per il 2013. Il recupero a nuove destinazioni funzionali degli antichi Docks della Joliette ha dato avvio ad un ambizioso progetto con il contributo finanziario delle autorità statali e locali (Stato 50%, Ville de Marseille 25%, Région Provence Alpes Cote d’Azur 10%, Conseil Général des Bouches du Rhone 10% e Communauté Urbaine Marseille Provence Métropole 5%) in collaborazione con l’Autorità Portuale Marseille-Fos. Euroméditerranée rientra in una vasta Operazione di Interesse Nazionale (OIN) che si sviluppa nella città di Marsiglia e nella sua agglomerazione urbana con la costituzione nel 1995 di una società a partecipazione pubblica per lo sviluppo, l’Établissement Public d’Aménagement Euroméditerranée (EPAEM), e che si attesta con i suoi 480 ettari di estensione come il maggior progetto di pianificazione urbana e di sviluppo economico e culturale in Europa. L’agenzia, alla quale è affidato in particolare il coordinamento delle linee strategiche, ha grandi margini di operatività: dalla definizione del programma degli interventi alla possibilità di gestire la realizzazione di infrastrutture, spazi pubblici e
Marseilles, from port city to European metropolis By Oriana Giovinazzi In recent years the waterfront in Marseilles has been rediscovered as a place with enormous potential and various urban transformation plans have been initiated with the goal of making the port system more competitive, and regenerating abandoned or under-utilized areas, in particular the Vieux Port and La Joliette, so that they may once more be used by the public, to improve the quality of urban life by building new infrastructures, public spaces, green spaces, office buildings, residential areas, shopping centres and services for residents and tourists. Starting in 1992, the ancient Docks have been renovated for new uses, launching an ambitious project developed by a publicly-owned company, the Établissement Public d’Aménagement Euroméditerranée (EPAEM). Begun in 1995 Euroméditerrannée is considered to be the largest urban regeneration project in France, over an area of 480 hectares designed with the intent to preserve and enhance Marseille’s maritime identity, by bringing together the city and the port, as well as the historic city centre and the new suburbs If on the one hand the goal of the project is the same as that of most projects undertaken in recent years on port waterfronts – to reshape the urban structure and regenerate the historic city centre, which should become dynamic by including maritime activities, and including both modern cutting-edge construction and the restoration of historic buildings – on the other hand Marseilles intends to reclaim its position as one of the leading cities in Europe (European Capital of Culture in 2013) and internationally as one of the great metropolises of Southern Europe and of the Mediterranean.
Nella pagina a fianco, in alto: veduta dall’alto della rada di Marsiglia, sullo sfondo le Isole Frioul 4 km al largo della città; in basso: I cantieri in corso sui Quais d’Arenc e al centro la Tour CMA-CGM di Zaha Hadid. Fonte: Euroméditerranée in collaborazione con Collectif, www. euromediterranee.fr, www. euromediterraneeacte2.fr
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TRASPORTI & CULTURA N.33-34 servizi; dall’acquisizione di edifici e di aree, anche attraverso procedure di esproprio, al compito di creare e gestire l’offerta fondiaria all’interno o all’esterno degli strumenti urbanistici vigenti. Il programma dell’operazione fa riferimento al lungo periodo, con una visione al 2020 che ha l’obiettivo di ricostruire l’economia locale attraverso un grande progetto di riqualificazione urbana, e che prevede il recupero del waterfront portuale a stretto contatto con la città in particolare attraverso la riconversione di grandi aree funzionali e industriali dismesse. Accanto a questo Marsiglia persegue un ulteriore obiettivo, non meno importante, quello di ricollocarsi tra le maggiori città del Mediterraneo e d’Europa incrementando la sua competitività a livello internazionale, anche in quanto Capitale Europea della Cultura per il 2013.
Marsiglia Capitale Europea della Cultura Il perimetro interessato dal progetto Euroméditerranée - inizialmente previsto di 310 ettari ed esteso ad ulteriori 180 ettari - si colloca nel cuore di Marsiglia a soli 15 minuti dall’aeroporto internazionale, tra il porto commerciale, il Vieux-Port e la stazione del TGV, nonché nella zona retroportuale della città, interessando antiche aree industriali per lo più dismesse ed alcuni quartieri residenziali di origine ottocentesca. Avviata nel 2007, l’estensione dell’Operazione di Interesse Nazionale (OIN) - delimitata da Cap Pinède e Les Arnavaux a nord, dal villaggio del Canet ad est e dalla torre CMA-CGM a sud - è caratterizzata da una topografia diversificata e da numerose fratture urbane da imputare prevalentemente alla presenza di infrastrutture. Il progetto prevede la realizzazione di 14.000 residenze, 500.000 m² di uffici, 200.000 m² di spazi commerciali e culturali nel quadro di una convenzione tra l’Établissement Public d’Aménagement Euroméditerranée (EPAEM), la Ville de Marseille, la Regione e lo Stato per il finanziamento delle opere previste. La finalità è di puntare su una nuova forma di sviluppo che non comporti un ulteriore consumo di suolo, che garantisca nuove connessioni tra il centro urbano e le vicine periferie, e che attivi dinamiche economiche competitive sul territorio. Il programma elaborato per la candidatura di Marsiglia a Capitale Europea della Cultura per il 2013, oltre ad identificare i luoghi suscettibili di ospitare gli eventi, argomenta le modalità mediante le quali sia il paesaggio materiale che le attività culturali presenti nelle aree rinnovate possono assumere un ruolo centrale in occasione della manifestazione internazionale. Integrato nella visione di Euroméditerranée, il programma punta ad accrescere il ruolo della città come luogo di scambio tra l’area meridionale mediterranea e l’Europa continentale. La seconda fase del progetto Euroméditerranée, anche in vista del prossimo evento, incoraggia le porosità urbane e funzionali tra il porto e la città, realizza in città nuove infrastrutture e un quartiere d’affari di dimensione internazionale, facilita lo sviluppo dei settori emergenti a forte potenziale (turismo e crociere), riafferma la vocazione industriale, commerciale e logistica ed infine accresce l’occupazione a livello metropolitano nel rispetto di una visione sostenibile.
1 - Nella pagina a fianco, a sinistra: la proposta del gruppo Francois Leclerc/TER in associazione con Remy Marciano/Jacques Sbriglia e Setec Groups vincitrice del concorso per la realizzazione dell’EcoCity marsigliese nel perimetro di Euromediterranée 2. Fonte: Euroméditerranée, w w w.euromediterranee. fr, www.euromediterraneeacte2.fr 2 - In alto, al centro: Il progetto dello studio Fuksas per la realizzazione dell’Euromed Center. Fonte: Euroméditerranée, www.euromediterranee.fr, www.euromediterraneeacte2.fr
3 - Veduta del Porto di Marsiglia. Fonte: Grand Port Maritime de Marseille.
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Il progetto urbano di integrazione porto-città Le dinamiche urbanistiche che hanno caratterizzato il programma Euroméditerranée sono sintetizzate nello Schéma de Référence che, illustrando l’intera operazione e i suoi obiettivi, risponde alla complessità legata al contesto di interfaccia tra il porto e la città e alle modalità di implementazione degli interventi. Il dinamismo della città-porto di Marsiglia è garantito da un progetto che contempla nel lungo periodo una visione globale, in cui è possibile riconoscere un equilibrio tra antico e nuovo (interventi di recupero ed edifici innovativi firmati da grandi nomi dell’architettura), tra portuale e urbano (moli e porto antico convivono con il centro urbano), tra locale e metropolitano (rinnovamento di assi stradali urbani, recupero di edifici residenziali e realizzazione di grandi infrastrutture a servizio della metropoli). Il progetto si inserisce in un contesto storico affacciato sull’acqua, valorizzando le risorse eccezionali del sito e rafforzando la trama degli spazi pubblici e delle aree verdi. Al fine di assicurare la continuità, gli assi principali e gli ingressi alla città vengono riconfigurati, il waterfront viene ricomposto e alcune polarità urbane vengono consolidate o create attorno ai grandi insediamenti per intensificare l’attrattività metropolitana. La Cité de la Méditerranée, simbolo della trasformazione di Marsiglia - Situata tra l’ingresso del Vieux Port e Arenc, la Cité de la Méditerranée (60 ettari di superfici) è uno dei programmi più ambiziosi e rappresentativi di Euroméditerranée. Si inserisce nel quadro degli interventi avviati per generare nuove dinamiche economiche, per restituire il waterfront alla fruizione pubblica e per creare nuove relazioni tra la città e il porto, combinando il recupero degli edifici storici con le nuove architetture. L’Esplanade J4 (2008-2012) è un vasto ambito spaziale all’ingresso del Vieux Port e ai piedi del Fort Saint Jean che occupa 5 ettari di superfici. Le aree per lungo tempo utilizzate per le attività portuali sono attualmente destinate alla realizzazione di installazioni per manifestazioni temporanee e grandi eventi, caratterizzate dalla presenza di alcuni edifici emblematici come il Musée des Civilisations de l’Europe e de la Méditerranée e il Centre Régional de la Méditerranée in prossimità di Fort Saint Jean. Il Boulevard du Littoral (2013), uno dei principali ingressi di Marsiglia ,è stato trasformato in una promenade urbana in sostituzione dell’antico viadotto autostradale dell’A55, spostato in sottosuolo per privilegiare modalità di trasporto dolci lungo il fronte marittimo senza compromettere la circolazione stradale e l’accessibilità all’hangar J4, su cui si collocano le numerose strutture che caratterizzano la Cité de la Méditerranée, tra cui l’Esplanade de la Major, le Terrasses du Port, i Docks, l’Euromed-Center, etc. Destinato a diventare uno spazio pubblico di qualità tra città e porto, il boulevard (45 m di lunghezza) sarà concluso nel 2013 grazie ad un investimento di 62 milioni di euro e consentirà di apprezzare lungo 2,5 km di waterfront vedute straordinarie sulla rada e sul porto. Il Parc Habité d’Arenc (2009-2014), complesso insediativo situato tra il Boulevard de Paris e l’Avenue Roger Salengro, si estende su 402.900 m² di superfici ed è caratterizzato da un approccio im-
4 - Il progetto di trasformazione urbana Euroméditerranée e gli interventi previsti o in corso di realizzazione nell’area portuale. Fonte: Euroméditerranée, www.euromediterranee.fr, www.euromediterraneeacte2.fr
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TRASPORTI & CULTURA N.33-34 mobiliare innovativo (torri residenziali, polo ospedaliero, 126.000 m² di uffici, 2.100 residenze).
5 - Le aree del waterfront interessate dal programma Euroméditerranée (in verde) e dal progetto di estensione attualmente in corso (in rosso). Fonte: Euroméditerranée, www.euromediterranee.fr, www.euromediterraneeacte2.fr
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Il quartiere direzionale alla Joliette e la Gare Maritime de la Major - Situata sulla facciata marittima la Joliette possiede numerose risorse e potenzialità, in particolare un posizionamento strategico tra il porto attivo e il centro della città, e un’accessibilità rimarcabile (aeroporto internazionale, stazione del TGV, sistema autostradale, linee interurbane) che lo attestano come luogo privilegiato per l’insediamento di imprese. Il quartiere si è rapidamente trasformato in un vero e proprio quartiere d’affari dinamico e attrattivo di livello internazionale - specializzato nel terziario, nel commercio e nelle telecomunicazioni - a seguito del progetto di recupero dei Docks (19922002) e dell’intervento di risistemazione della Place de la Joliette (1998). La qualità delle aree è stata ulteriormente incrementata con la realizzazione di nuovi servizi di trasporto pubblico, come la metropolitana e la tramvia, con il recupero di importanti infrastrutture stradali, come il Boulevard de Dunkerque, e con la risistemazione di numerose piazze e giardini, come Place de la Méditerranée. In occasione della riqualificazione urbana della Joliette inoltre il Grand Port de Marseille ha riconfigurato i moli J3 e J2 con la finalità di installarvi una nuova stazione marittima internazionale dedicata al traffico passeggeri. La Gare Maritime de la Major, estesa su 6.700 m² di superfici e completata nel 2006 con un investimento complessivo di circa 25.000 euro, è una struttura polivalente destinata alla fruizione di turisti e residenti in quanto accoglie accanto ai servizi dedicati alle crociere e ai ferry anche spazi e installazioni per attività culturali e per il tempo libero.
Il polo di Saint-Charles e la Port d’Aix - Il programma di rinnovamento intrapreso su questo ambito territoriale esteso su 16 ettari di superfici interessa in particolare due ingressi della città: la Gare Saint-Charles per quanto riguarda il trasporto ferroviario e la Port d’Aix per quanto riguarda il sistema autostradale. Il quartiere in cui si inserisce la stazione di Saints-Charles è diventato oggetto di trasformazioni urbane consistenti con l’arrivo del TGV Méditerranée, trasformandosi in un polo di interscambio multimodale tra ferrovia, terminal autostradale, linee urbane del trasporto pubblico (autobus, metropolitana, tramvia) e traffico privato. Per quanto riguarda la Port d’Aix, il maggiore cambiamento registrato riguarda l’interramento dell’autostrada A7 che ha consentito di liberare la zona dalla circolazione stradale e di incrementare la qualità urbana del quartiere con la realizzazione di residenze per studenti, spazi commerciali, strutture e servizi pubblici, parchi e aree verdi, etc. Il rinnovamento di Rue de la République - Inaugurata nel 1864 per connettere il Vieux Port con il quartiere portuale della Joliette, Rue de la République è stata per decenni uno dei più importante tracciati commerciali di Marsiglia; abbandonata e in stato di evidente degrado, è stata oggetto di recente di un intervento di rinnovamento che l’ha trasformata in un ampio boulevard su cui si affacciano residenze in stile haussmaniano e che attraversa il centro storico della città fino al mare. Il progetto ha permesso il recupero di immobili e facciate nel rispetto del carattere storico-commerciale, la riduzione del traffico stradale anche attraverso la realizzazione della nuova linea del tram BlancardeEuroméditerranée Gantes (2007), l’ampliamento dei marciapiedi, l’inserimento di una ricca vegetazione e l’installazione di un nuovo arredo urbano.
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6 - Place Victor Hugo all’interno del polo Saint-Charles. Fonte: Euroméditerranée, w w w.euromediterranee. fr, www.euromediterraneeacte2.fr
Il recupero del patrimonio storico-architettonico, tra cultura marittima e turismo Euroméditerranée ha accompagnato le operazioni d riqualificazione urbana con azioni finalizzate al recupero o alla valorizzazione di siti e patrimoni esistenti, con l’obiettivo di tutelare il carattere storico e l’identità portuale della città, senza di-
menticare il riscontro turistico che Marsiglia ha conosciuto negli ultimi anni (oltre 4 milioni di visitatori, 700.000 crocieristi). Oggetto di particolare attenzione sono stati edifici militari, culturali, industriali, tra cui Fort Saint-Jean, la Cathédrale de la Major, i Docks, il Silo d’Arenc. Non solo il patrimonio pubblico, ma interi quartieri residenziali sono stati valorizzati mediante Opérations Programmées d’Amélioration de l’Habitat (OPAH) e numerose scelte politiche sono state finalizzate
7 - Immagine al tramonto della città storica e del porto nautico, sullo sfondo la Basilica di Notre-Dame-de-la-
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8 - A sinistra: Il piano di sviluppo del sistema di trasporto pubblico. Fonte: Euroméditerranée, www.euro mediterranee.fr, www.euromediterraneeacte2.fr 9 - A destra, in altro: Il nuovo terminal marittimo nel Porto di Marseille-Fos. Fonte: Grand Port Maritime de Marseille 10 e 11 - L’inserimento urbano della linea tramviaria, inaugurata nel 2007, che attraversa il centro di Marsiglia.
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al rafforzamento dell’attrattività turistica e all’accoglienza dei visitatori (centro congressi, terminal marittimo, hotel e residences, strutture commerciali, spazi culturali, etc.).
(città moderna e porto riconquistato), dall’altro punta a valorizzare la vocazione commerciale, artistica e culturale di Marsiglia. I cantieri dovrebbero concludersi nel 2013.
I Docks sui Quais della Joliette - Costruiti tra il 1856 e il 1866 per lo stoccaggio delle merci portuali (365 m di lunghezza, 37 m di larghezza e 30 m di altezza) hanno cessato la loro attività nel 1988. I cantieri per il restauro sono stati avviati nel 1992 con la finalità di trasformare l’immobile, che occupa una superficie complessiva di 80.000 m², in un complesso terziario in parte destinato ad uffici (250 imprese) e in parte ad attività commerciali. La prima fase dei lavori si è conclusa nel 2002 e ha permesso un recupero di qualità dell’architettura preesistente, contribuendo in modo determinante alla valorizzazione dell’intero quartiere. Un concorso di progettazione bandito nel 2009 ha affidato il recupero di un’ulteriore superficie (25.000 m², 21 milioni di euro) distribuita per lo più nel sottosuolo dell’immobile al progetto dello studio di architettura 5+1AA Alfonso Femia Gianluca Peluffo (in collaborazione con Constructa Urban Systems), che se da un lato punta a rendere maggiormente permeabile e trasparente il complesso attraverso la creazione di due assi di penetrazione Nord-Sud (città contemporanea e centro storico) e Est-Ovest
Il Silo d’Arenc - Simbolo del patrimonio industriale marsigliese, situato sui Quais d’Arenc, il Silo (13.000 m²) ha acquisito una nuova identità all’interno del paesaggio portuale nel 1999, a seguito dell’opposizione da parte della collettiva locale rispetto alla sua demolizione. Oggetto di un concorso di progettazione per la sua riconversione, che ha visto vincitrice la proposta progettuale di Eric Castaldi e Roland Carta, si attesta oggi come un complesso rinnovato in cui convivono identità portuale e attività urbana. Un investimento complessivo di circa 40 milioni di euro ha permesso di realizzare 5.000 m² di uffici nella zona più a Nord (2009) e una sala per spettacoli dotata di circa 2.200 posti a Sud (2011). La Belle de Mai - Ad est del perimetro di Euroméditerranée, gli edifici dell’antica Manufacture des Tabacs de la SEITA nella Belle de Mai (12.000 m²) sono stati dismessi nel 1990 e sono stati recuperati per creare un polo artistico e culturale. Inaugurato nel 2004, il complesso è dedicato in particolare alle industrie dell’audiovisivo e del multimedia e
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articolato attorno a tre polarità: il polo dedicato al patrimonio esteso su 35.000 m² accoglie gli Archives Municipales, la Bibliothèque Départementale, le Réserves des Musée de Marseille e il Centre Interrégional de Restauration des Oeuvres d’Art; il polo dedicato ai media e all’ingegneria dello spettacolo, accoglie studi professionali e imprese su una superficie di 27.000 m²; il polo dedicato allo spettacolo, ospita un centro per la creazione contemporanea (teatro, circo, danza, musica, arti visive, etc.) che accoglie nei suoi 25.000 m² le attività di professionisti di livello internazionale.
Il waterfront e le grandi firme dell’architettura Se la restituzione di una nuova immagine della metropoli marsigliese passa attraverso la riqualificazione del fronte mare e la creazione di nuove relazioni tra la città e il porto, principalmente legata al progetto della Cité de la Méditerranée e alla fruizione pubblica di residenti e turisti, sono in particolare i grandi nomi dell’architettura (Zaha Hadid, Jean Nouvel, Massimiliano Fuksas, Rudy Ricciotti, etc.) ad aver contribuito da un lato alla metamorfosi degli ambiti interessati dal proget-
to Euroméditerranée - creando uno skiline lungo la facciata marittima segnato da un’architettura contemporanea ambiziosa che si integra con il patrimonio storico e marittimo - e dall’altro ad aver confermato l’attrattività del territorio e rafforzato il posizionamento di Marsiglia nel contesto mediterraneo ed europeo, contribuendo inoltre alla sua promozione a livello internazionale.
12 - Uno scorcio del Chateau d’If.
La torre CMA-CGM di Zaha Hadid - Risultato di un concorso di progettazione bandito nel 2004, l’immobile sviluppato su 33 piani e realizzato in vetro, cemento e acciaio in collaborazione di Arup & Partners è caratterizzato da certa complessità e leggerezza. La torre, situata sui Quais d’Arenc, raggiunge i 148 m di altezza e 55.000 m² di superfici. Completata nel 2010 e realizzata con un investimento di circa 250 milioni di euro, è prevalentemete occupata da uffici ed è servita da un parcheggio di 760 posti auto, spazi ristorativi e un centro fitness. Il Musée des Civilisations de l’Europe e de la Méditerranée di Rudy Ricciotti e Roland Carta - Situato sull’Esplanade du J4 e collegato mediante una passerella al Fort Saint Jean, il MuCEM (2013) è una delle architetture che con i suoi 26.000 m² di superfici edificate caratterizza la Cité de la Méditerranée. Il polo culturale, risultato di un concorso 63
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13 - I cantieri per il completmento del recupero dei Docks alla Joliette e la realizzazione del tunnel per l’eliminazione del traffico. Fonte: Euroméditerranée in collaborazione con Collectif, www.euromediterranee. fr, www.euromediterraneeacte2.fr
14 - Il Musée des Civilisations de l’Europe et de la Méditerranée (Mucem) e il Centre Régional de la Méditerranée in fase di realizzazione sulla darsena J4. Fonte: Euroméditerranée in collaborazione con Collectif, www.euromediterranee.fr, www.euromediterraneeacte2.fr
15 - I cantieri per la costruzione del MuCEM in prossimità del forte Saint Jean. Fonte: Euroméditerranée in collaborazione con Collectif, www.euromediterranee. fr, www.euromediterraneeacte2.fr
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16 - Rue de la République oggetto di un recente intervento di riqualificazione urbana. Fonte: Euroméditerranée, w w w.euromediterranee. fr, www.euromediterraneeacte2.fr
internazionale bandito nel 2002, è stato realizzato con un investimento 175 milioni di euro e dal 2013 ospiterà esposizioni permanenti e temporanee. Il Centre Régional de la Méditerranée di Stefano Boeri Si tratta di un’altra architettura audace (10.000 m² di superfici edificate, 50 milioni di euro) che sarà inaugura nel 2013 sull’Esplanade du J4. L’edificio è concepito con una forma a C, la cui parte inferiore risulta invisibile in quanto immersa nell’acqua. Il CRM è dedicato alla creazione artistica e destinato ad accogliere accanto ad una grande hall, boutiques, auditorium, sale conferenze, centro di documentazione, uffici, sale espositive anche una zona residenziale (3.100 m²) e una agorà (600 m²).
L’Euromed Center di Massimiliano Fuksas - Sfruttando una visibilità strategica e un’accessibilità ottimale, il complesso si attesta come estensione del quartiere d’affari sul prolungamento dei Docks e contribuisce in modo determinante alla trasformazione del fronte marittimo. Comprende su 70.000 m² di superfici un mix di funzioni: un centro congressi, un hotel, un multiplex (15 sale, 3.000 posti), parchi e giardini (5.000 m²), uffici (47.800 m²), gallerie commerciali (2.000 m²), parcheggi (845 posti auto). Il nuovo polo terziario è stato progettato in una logica di sviluppo sostenibile con un investimento di oltre 300 milioni di euro, e sarà completato nel 2015.
Méditerranée, le Terrasses du Port sono situate tra i Docks e i Quais du Maroc, in prossimità degli antichi bacini della Joliette. Il complesso, che costeggia per 120 m le banchine portuali, comprende un terminal marittimo (crociere, ferry), una superficie commerciale e per il tempo libero di 45.000 m² nel cuore della città, una piazza aperta sul mare di 13.000 m² e una passeggiata con vista sul porto realizzata sulla terrazza, dotata di cafè, ristoranti, piscine, spazi fitness, spiagge urbane, e di alcuni parcheggi sotterranei (3.000 posti). Si tratta del maggior investimento privato (400 milioni di euro, 52.000 m² di superficie costruita) attualmente avviato nella città di Marsiglia. La conclusione dei cantieri è prevista per il 2014. Riproduzione riservata ©
Les Quais d’Arenc di Jean Nouvel, Yves Lion, Roland Carta e Jean-Baptiste Pietri - Si tratta di un programma immobiliare ambizioso (89.000 m² di superfici edificate, 400 milioni di euro) avviato sui Quais d’Arenc che sarà fruibile a partire dal 2013. Caratterizzato dalla presenza di quattro immobili ad elevata prestazione energetica e piuttosto elevati - due a destinazione residenziale (114 m e 99 m di altezza, 40.000 m² di superfici) e due a destinazione direzionale (135 m e 31 m di altezza, 48.000 m² di superfici) - il progetto è organizzato attorno ad un asse interno animato da spazi commerciali (1.000 m²) e servizi pubblici. Le Terraces du Port di Michel Petiaud-Letang - Destinate a diventare uno dei simboli della Cité de la 65
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Il centro storico di Graz, un’armonia di contrasti di Alessandro Tricoli
Graz è il capoluogo della regione della Stiria e la seconda città dell’Austria per numero di abitanti. Il suo nucleo originario, risalente all’epoca medioevale, si sviluppa sulla riva orientale del fiume Mur. La scena urbana è dominata dalla collina dello Schlossberg, in passato inespugnabile fortezza, oggi apprezzata attrazione turistica e privilegiato punto d’osservazione sul territorio circostante. Nel 1999 la città ha ottenuto un importante riconoscimento da parte dell’UNESCO, che ne ha iscritto l’Altstadt (“Città Vecchia”) nella lista del “Patrimonio Culturale dell’Umanità”. In uno dei documenti ufficiali che hanno accompagnato l’iscrizione al “World Heritage”, il centro storico stiriano viene definito come «un eccezionale esempio di urbanistica sviluppatosi nel corso dei secoli, con un’integrazione armoniosa di edifici costruiti in stili architettonici successivi. Il centro ha quindi il valore di monumento storico, pur continuando a svolgersi al suo interno una vita sociale contemporanea e dinamica. Circondata da aree verdi, la città vecchia ha mantenuto la sua configurazione e la sua scala urbana, così come un’atmosfera segnata dall’incontro fecondo tra diversi movimenti culturali e artistici1». Oltre che per la bellezza del suo tessuto urbanistico tradizionale, Graz è famosa anche per la presenza di una scena architettonica dinamica e sperimentale, capace di promuovere negli ultimi decenni la realizzazione di innovative opere di architettura nelle aree più delicate del centro storico. L’UNESCO e l’ICOMOS hanno sollevato in qualche occasione delle motivate perplessità di fronte ad alcuni di questi interventi, ma in generale la città si è guadagnata nel corso del tempo una consolidata fama internazionale per la sua strategia d’integrazione fra un tessuto storico di eccezionale valore estetico e i linguaggi architettonici della contemporaneità. Ci sembra dunque opportuno soffermarci su alcuni dei progetti più innovativi realizzati in questi ultimi anni nel centro di Graz, per analizzarne i presupposti teorici e valutarne gli effetti complessivi sulla città storica2 . Per semplicità analitica ed espositiva, divideremo i progetti realizzati nell’Altstadt di Graz in tre categorie principali: 1) gli interventi sullo spazio pub1 Questo giudizio, preliminare all’iscrizione della città nella World Heritage List, è stato espresso dagli esperti dell’ICOMOS dopo una missione svolta a Graz nel gennaio 1999 ed è riportato in UNESCO, Advisory Body Evaluation, p. 19, <http://whc. unesco.org/archive/advisory_body_evaluation/931bis.pdf>. 2 Per un quadro complessivo dei principali progetti realizzati a Graz negli ultimi decenni abbiamo fatto riferimento in particolare a M. Szyszkowitz e R. Ilsinger, Architektur_Graz, Positionen in Stadtraum mit Schwerpunkt ab 1990, Haus der Architektur, Graz 2004.
The historic city centre of Graz, a harmony of contrasts by Alessandro Tricoli Added to the UNESCO World Heritage List in 1999, the remarkably wellpreserved Old Town of Graz (Austria) is a case of considerable interest thanks to its harmonious blend of historic and contemporary architectural styles. In past decades, many innovative projects have been built by local and foreign architects in sensitive areas of the historic centre, often with outstanding results. Some of these works focused primarily on the public space, to make the historic centre a “Space for people”, free of automobile traffic and revitalized by pedestrian zones. This goal has been fully achieved, as demonstrated by the many beautiful squares renovated during the ‘80s and ‘90s or, more recently, by the renovation project of the river Mur banks. Other innovative projects were completed after the city was designated as “European Capital of Culture 2003”. They include the Murinsel, designed by American architect Vito Acconci, the Kunsthaus by Peter Cook and Colin Fournier and the addition to the Joanneum Museum designed by Spanish architects Fuensanta Nieto and Enrique Sobejano. These works are all very different, ranging from the silent and discreet language of the Joanneum Museum addition to the organic and biomorphic forms of Murinsel and Kunsthaus, but all the projects are distinguished by the quality of the design and their “historical relation by contrast” with the urban fabric.
Nella pagina a fianco, in alto: particolare della Kunshaus; in basso: veduta dall’alto della città. Foto di Laura Facchinelli.
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TRASPORTI & CULTURA N.33-34 blico, volti a conferire maggiore fruibilità al centro storico attraverso la riqualificazione di piazze, la realizzazione di infrastrutture ed aree pedonali, la valorizzazione degli spazi aperti; 2) gli edifici concepiti a partire dagli anni Ottanta degli architetti della cosiddetta “Scuola di Graz”, dei quali analizzeremo con particolare attenzione i caratteri stilistici; 3) i progetti innovativi realizzati nell’ultimo decennio da importanti architetti stranieri, in particolare dopo la nomina della città a “Capitale Europea della Cultura” per il 2003. Crediamo che questa suddivisione possa essere utile per organizzare in un quadro coerente il composito insieme d’interventi che ha conferito alla città la sua attuale fisionomia.
Interventi nello spazio pubblico
1 - La Karmeliterplatz (foto: Alessandro Tricoli).
2 - L’ampliamento dei grandi magazzini “Kastner + Öhler” (foto: Silvio Caoduro).
Gli interventi sullo spazio pubblico hanno avuto certamente un ruolo di apripista per la riqualificazione del centro storico. Risale al 1972 la prima area integralmente pedonale, coincidente con l’importante strada storica della Herrengasse, seguita nel 1976 da un ulteriore ampliamento. Negli anni successivi vengono concepiti progetti per favorire la mobilità su due ruote e per realizzare parcheggi sotterranei lungo il perimetro dell’Altstadt. Nonostante queste iniziative si siano rivelate nel corso del tempo tra i fattori principali della rinnovata fruibilità del centro storico, una svolta decisiva si ha solo nell’agosto del 1990, con la presentazione del progetto Platz für Menschen (“Spazio per le Persone”), concepito dall’allora vicesindaco Erich Edegger 3. In una visione ancora attuale, Edegger intende promuovere un’idea del centro storico come unità organica di funzioni differenziate e complementari (cultura, economia, amministrazione, residenza), fruibili in modo appropriato soltanto attraverso l’eliminazione del traffico motorizzato privato e l’avvio di una sistematico processo di pedonalizzazione e riqualificazione degli spazi pubblici. Negli anni seguenti vengono avviati numerosi interventi urbanistici basati su questi principi programmatici. Tra questi, la Südtirolerplatz (1991), un importante snodo della mobilità pubblica, ulteriormente modificato in occasione della costruzione della Kunsthaus; la Mariahilferplatz (1994), dotata di un’illuminazione notturna di grande effetto scenografico; la Schlossbergplatz (2000), la piazzetta situata ai piedi della collina che domina la città; la Hauptplatz (2002), la piazza principale della città, dove fin dal Medioevo si svolge il mercato cittadino; infine la Karmeliterplatz (2004), liberata dalle auto in sosta dopo la realizzazione di un garage sotterraneo di circa 800 posti4 . I nuovi progetti non hanno riguardato solo le piazze. Altri interventi significativi sono quelli che nel corso degli anni hanno coinvolto la riva del fiume Mur (Murufer), resa pienamente accessibile (2002) da un sistema di scalinate (Murstiege) e dalla realizzazione di una piacevole passeggiata pedonale 3 Sul progetto Platz für Menschen si veda in particolare Magistrat Graz, Amt für Stadtentwiklung (cur.), Stadtarchitektur Architekturstadt, Architektur und Stadtentwicklung 1986-1997, Werba, Vienna 1998, p. 25-67. 4 Un ulteriore approfondimento sul ruolo degli spazi pubblici ed in particolare delle piazze nel centro storico di Graz si trova in A. Tricoli, «Architettura e spazio pubblico nel centro storico di Graz», in A. Sposito (cur.), Agathón, Notiziario del Dottorato di Ricerca in Recupero e Fruizione dei Contesti Antichi, pp. 45-48, DPCE/Offset Studio, Palermo 2007.
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(Muruferpromenade). Il fiume è attraversato da un lato all’altro da due collegamenti molto interessanti da un punto di vista architettonico: il primo è il Mursteg (1992), un ponte ciclo-pedonale della luce di m. 55,80, progettato da Günther Domenig e Hermann Eisenköck; il secondo è la Murinsel (2003), uno straordinario guscio galleggiante progettato dall’architetto e artista americano Vito Acconci, sul quale ci soffermeremo più dettagliatamente in seguito. Notevoli infine anche i progetti realizzati per lo Schlossberg, tra i quali i più recenti e spettacolari sono il Dom im Berg (1999), una grande hall multifunzionale di 800 m² di superficie realizzata rimuovendo circa 6000 m³ di roccia dolomitica ed il Lift im Berg (2000), uno scenografico ascensore in acciaio e vetro che attraversa la collina fino alla sua sommità. L’UNESCO e l’ICOMOS si sono soffermate su alcuni di questi interventi nel report redatto al termine
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3 - Localizzazione dei principali interventi descritti nell’articolo.
di una missione effettuata nel febbraio 2005 per valutare lo stato di conservazione del centro storico di Graz. Relativamente al Lift im Berg, si afferma che «esso può essere ritenuto un esempio d’intervento contemporaneo ben integrato», mentre qualche preoccupazione è espressa relativamente al parcheggio nella centrale Karmeliterplatz e alle «azioni orientate al turismo, ad esempio gli “imbellettamenti” di spazi pubblici, la tentazione di accumulare oggetti e aggiungere nuovi, “interessanti” elementi»5 . Nonostante queste considerazioni, crediamo che sulla qualità complessiva dello spazio pubblico dell’Altstadt valga ancora il giudizio espresso qualche anno fa dal professor Max Mayr, docente presso la Technische Universität di Graz: «il fatto che la
città vecchia di Graz abbia ottenuto il titolo di “Patrimonio dell’Umanità” dell’UNESCO e sarà “Capitale Europea della Cultura” nel 2003 è certamente connesso alla sua cultura delle piazze e degli spazi aperti»6 .
5 UNESCO e ICOMOS, Report on the Mission to Graz, (World Heritage site in Austria), 25 - 27 febbraio 2005, pp. 5-6, <http://whc. unesco.org/archive/2005/mis931-2005.pdf>.
6 M. Mayr «Space for people project», in Catalogue Fourth Biennial of Towns and Town Planners in Europe, Nirov, Den Haag 2001, <http://www.planum.net/street-life-graz-austria>.
Gli edifici della Scuola di Graz Passiamo adesso ad analizzare gli edifici concepiti dalla locale tendenza architettonica. È a partire dagli anni ’80 che alcuni fra i critici austriaci più attenti, come Friederich Achtleiner e Dietmar Steiner, cominciano a notare l’esistenza di alcuni caratteri comuni nel lavoro dei principali architetti locali, che sintetizzano con il termine “Scuola di
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4 - L’area della Kunsthaus prima della realizzazione dell’opera. La foto mette in evidenza lo stato dell’Eisernes Haus prima del restauro e la presenza di un manufatto oggi demolito.
Graz” (Grazer Schule). Si tratta di una denominazione spesso respinta da quegli stessi progettisti che ne dovrebbero essere gli esponenti7, ma che ha avuto una grande fortuna critica, a dimostrazione della riconoscibilità dell’approccio di architetti come Günther Domenig, Michael Szyszkowitz e Karla Kowalski, Volker Giencke, Klaus Kada, Jörg e Ingrid Mayr, solo per citare alcuni fra i nomi più noti e rappresentativi. Le principali caratteristiche stilistiche della Scuola di Graz, che emergono con chiarezza soprattutto nei tanti edifici pubblici realizzati a partire dagli anni Ottanta, sono state riassunte dal critico e storico dell’architettura britannico Peter Blundell Jones nei seguenti punti: relazione per contrasto con il contesto storico, funzionalismo, megastrutture, uso di curve, asimmetrie e irregolarità, collegamento delle parti dell’edificio attraverso l’uso di ponti, uso di nuove tecnologie e chiara esibizione delle parti impiantistiche e strutturali, riscoperta del tetto, architettura partecipata 8. Si tratta di una sorta di sintesi linguistica ed ideologica delle principali tendenze internazionali emerse fra gli anni Sessanta e gli anni Ottanta, con l’unica esclusione, come puntualizzato dallo stesso Jones, del classicismo post-modernista, ben radicato invece nella vicina Vienna. Alcuni degli strumenti espressivi appena indicati potrebbero apparire come poco appropriati per operare in un centro storico complesso e stratifica7 A tal proposito lo stesso Günther Domenig ha affermato: «Non esiste una Scuola di Graz. Da decenni la realtà consiste in uno stretto legame tra la facoltà di Architettura della Technische Universität, gli architetti che lavorano nella regione della Stiria e un atteggiamento politico che favorisce le potenzialità creative dei giovani architetti», in V. P. Genovese, Günther Domenig, Testo&immagine, Torino 1998, p. 40. 8 P. Blundell Jones, New Graz Architecture, “The Architectural Review”, 1184 (1995), pp. 4-7.
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to come quello del capoluogo della Stiria; in realtà la maggior parte degli edifici costruiti a Graz negli anni Ottanta e Novanta è, alla prova dei fatti, molto ben inserita nel contesto dell’Altstadt. È la stessa UNESCO a rilevare che se da un lato “la costruzione di edifici moderni è autorizzata [nel centro storico] con elaborate precauzioni”, dall’altro “la Scuola di Graz gode in questo settore di una reputazione internazionale”9. Volendo rintracciare le motivazioni che hanno condotto a questi risultati, una prima ragione va certamente rintracciata nel fatto che i progetti più arditi stilisticamente o più rilevanti da un punto di vista dimensionale sono stati realizzati in aree scelte con grande attenzione, come ad esempio alcune zone limitrofe al centro storico oppure gli ampi spazi verdi di cui la città è dotata. È questo il caso di due progetti di Domenig, il Resowi Zentrum (1996), una megastruttura universitaria situata appena fuori dal centro, e l’originale ampliamento della Technische Universität nella Lessingstraße (1993), realizzato in un’area verde non distante dal teatro cittadino. Lo stesso discorso può essere fatto anche per le celebri serre (1995) progettate da Volker Giencke e per l’Istituto di Fisiologia delle Piante (1998) di Klaus Kada, entrambi collocati nel locale giardino botanico, così come per la sede dell’importante associazione culturale Forum Stadtpark (2000), realizzata da Ernst Giselbrecht e Peter Zinganel nel parco principale della città. Una seconda ragione è invece di natura più propriamente architettonica. La maggior parte degli edifici costruiti nel cuore dell’Altstadt dagli architetti locali, pur non perdendo nulla della carica espressiva tipica della “Scuola di Graz”, mostrano una dimensione più proporzionata al contesto 9 UNESCO, Advisory Body Evaluation, cit., p. 19.
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5 -L’esterno della Kunsthaus (foto: Silvio Caoduro).
e un’attenzione molto raffinata per i dettagli e i materiali. Un progetto significativo in questo senso è il restauro e ampliamento (2003) dei grandi magazzini di fine Ottocento “Kastner + Öhler”10, situati nelle immediate vicinanze della centralissima Hauptplatz. L’intervento, a firma di Michael Szyszkowitz e Karla Kowalski, è caratterizzato da un uso particolarmente interessante delle superfici trasparenti e da un confronto originale e non superficialmente mimetico tra il nuovo e le preesistenze. Altri edifici nei quali ritorna un rapporto dialettico fra linguaggi contemporanei e contesto storico sono il Center am Kai di Günther Domenig (1994), il Landesarchiv (2000) di Jörg e Ingrid Mayr (2000) e il Volkskundemuseum (2003) dei BEHF Architekten. In retrospettiva, possiamo affermare che l’influenza della Grazer Schule sia stata molto importante non solo per gli edifici e gli spazi di qualità che essa ha saputo realizzare negli ultimi decenni, ma anche per avere predisposto la città ad un clima architettonico aperto, sperimentale e internazionale. Senza questa premessa non sarebbe stata possibile l’ultima fase dell’architettura di Graz, quella che si apre idealmente nel 1998 con la nomina della città a “Capitale Europea della Cultura” per l’anno 2003. Per l’organizzazione di quell’evento, oltre ai migliori progettisti locali, anche importanti architetti stranieri sono stati chiamati ad intervenire, spesso con progetti di grande interesse, sul tessuto storico della città. È a tre di queste opere che rivolgiamo ora la nostra attenzione.
10 L’intervento descritto non va confuso con il più recente progetto di espansione del medesimo centro commerciale proposto dagli architetti Nieto e Sobejano, non trattato nel presente articolo.
I progetti dell’ultimo decennio La prima è la già citata Murinsel dell’architetto americano Vito Acconci. Concepita inizialmente come installazione per Graz “Capitale Europea della Cultura”, questa piattaforma in metallo che si adagia sul fiume Mur non lontano dalla Kunsthaus è diventata un elemento imprescindibile del paesaggio urbano. Lunga circa 50 m e larga 20 m, la costruzione è accessibile da due passerelle collegate alle rive del fiume. La particolare configurazione della struttura genera una spazialità complessa, definendo all’interno della Murinsel tre aree chiaramente differenziate. Nella prima, al coperto, si trova un caffé, nella seconda, scoperta, un anfiteatro, mentre nell’intersezione fra le due è stata prevista un’area-gioco per bambini. Le persone che possono essere contemporaneamente ospitate dalla struttura sono circa 300. La Murinsel è un’opera che oltre ad incontrare l’interesse e la curiosità della popolazione e dei turisti, è stata unanimemente giudicata come ben inserita nel centro storico di Graz. Così come per il Lift im Berg prima menzionato, l’UNESCO si è espressa favorevolmente anche nei confronti di questo innovativo intervento, sottolineando che «nonostante il suo aspetto da XXI secolo, come aggiunta contemporanea non arreca danno al contesto storico » 11. La seconda opera sulla quale intendiamo soffermarci è la celebre Kunsthaus progettata dagli architetti inglesi Peter Cook e Colin Fournier, realizzata anch’essa in occasione di Graz “Capitale Europea della Cultura” e situata all’incrocio fra la Südtirolerplatz e il Lendkai. L’incarico è stato assegnato dopo un concorso internazionale di proget11 UNESCO e ICOMOS, Report on the Mission to Graz, cit., p.5.
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6 - Il centro di Graz visto dallo Schlossberg. Si notano in particolare la Murinsel e la Kunsthaus (foto: Camilla Fabbri).
7 - La Murinsel (foto: Alessandro Tricoli).
tazione i cui esiti sono stati resi pubblici nell’aprile del 2000. Questo edificio per le arti contemporanee è certamente uno dei più famosi e innovativi tra quelli presenti nella città stiriana e merita dunque un’approfondita descrizione. La Kunsthaus si presenta come una grande struttura biomorfa poggiante su uno spazio basamentale delimitato da una facciata continua in vetro. Al suo interno trovano posto, oltre al foyer di ac72
cesso dal Lendkai, un caffé, uno spazio multiuso e diverse sale espositive collegate da rampe mobili. Alla sommità dell’edificio è stato inserito un corpo in acciaio e vetro che funge da belvedere panoramico e permette di godere di una splendida vista sullo Schlossberg. La struttura è caratterizzata da una doppia tensione dialettica. La prima è quella che si genera fra il corpo del belvedere, geometrico e lineare, e la massa organica delle sale espositi-
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8 - L’interno della Murinsel (foto: Laura Facchinelli).
ve nella quale esso s’inserisce. La seconda è quella che si sviluppa fra l’esterno, molto espressivo, e l’interno, dal carattere decisamente più freddo e controllato. Degno di nota è anche l’uso di tecnologie innovative. La pelle della Kunsthaus, realizzata in pannelli di resina acrilica, contiene al suo interno un sistema luminoso interattivo denominato “BIX” (acronimo formato dai vocaboli big e pixels), costituito da 930 tubi circolari fluorescenti della potenza di 40 Watt ciascuno. Questi corpi luminosi possono essere elettronicamente controllati e sono in grado di trasformare la membrana esterna in una sorta di parete multimediale, capace di proiettare combinazioni di luci o semplici testi. Altro elemento di notevole interesse è la presenza alla sommità dell’edificio di lucernari dalla forma organica che permettono l’ingresso di una soffusa luce naturale. L’intervento è completato dal restauro di un edificio della metà del XIX secolo, l’Eisernes Haus (“Casa di Ferro”), uno dei primi costruiti in Europa con pannelli prefabbricati in ghisa. In questo edificio trovano posto l’ingresso dalla Südtirolerplatz, un laboratorio artistico, la sede della rivista di fotografia “Camera Austria”, gli uffici amministrativi e il bookshop. L’Eisernes Haus e la Kunsthaus sembrano accostarsi in modo naturale perché fra le due strutture si crea una sorta di corrispondenza empatica fra edifici “alieni” rispetto all’architettura tradizionale del tessuto storico di Graz. La Kunsthaus è un’opera che è stata considerata positivamente dai cittadini, dalla critica e dal pubblico, anche se gli organismi internazionali preposti alla tutela dei beni culturali hanno rilevato che «nonostante la sua qualità architettonica, essa indica una tendenza nell’urbanistica locale verso progetti che non devono necessariamente
armonizzarsi con il tessuto storico esistente».12 Si tratta di una posizione motivata o troppo conservatrice? Non è facile rispondere a questa domanda, perché essa mette in gioco uno dei nodi centrali del problema della presenza dell’architettura contemporanea nei centri storici. Se da un lato la realizzazione della Kunsthaus ha avuto notevoli effetti positivi, arricchendo la città di un edificio di grande attrattiva, dall’altro era inevitabile che l’UNESCO, dato il suo peculiare ruolo, ravvisasse in quest’opera un potenziale pericolo per un bene “Patrimonio dell’Umanità” come l’Altstadt di Graz. Come emerge chiaramente dai documenti, il problema dell’opera non sta infatti nella sua qualità architettonica, certamente non in discussione, ma nel fatto che essa possa costituire un “precedente” in grado di legittimare una strategia di rimozione del tessuto storico (che, non va dimenticato, è “un bene non rinnovabile”), a favore di nuove, “creative” edificazioni 13. Personalmente, crediamo che l’inserimento di qualche funzione contemporanea (e della sua relativa espressione architettonica) nel tessuto storico sia assolutamente necessaria per non causare fenomeni di eccessiva “museificazione” e garantire una certa vitalità anche alle parti più antiche delle nostre città. Naturalmente questo principio 12 UNESCO, Convention concerning the protection of the world cultural and natural heritage, World Heritage Committee, 29th Session, Durban, South Africa, 10-17 luglio 2005, p. 85, <http:// whc.unesco.org/archive/2005/whc05-29com-07BReve.pdf>. 13 «Non è in discussione se l’architettura sia eccellente o meno, la questione è se questo progetto nelle sue dimensioni, nei suoi materiali, nel suo linguaggio architettonico e nelle sue proporzioni sia appropriato, considerando la prossimità al centro storico», in UNESCO - ICOMOS, Report on the Mission to Graz, cit., p. 7.
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TRASPORTI & CULTURA N.33-34 può essere fatto valere di fronte alle doverose esigenze di tutela solo in presenza di opere di riconosciuta qualità formale e a fronte di pressoché nulle perdite di materia storica. In questo senso la politica della città di Graz si è dimostrata finora lungimirante, ma, è bene ricordarlo, le fortunate condizioni di partenza che abbiamo descritto non sono sempre presenti in altri contesti culturali, che spesso devono scontare ritardi a tutti i livelli. In definitiva, operazioni come la Kunsthaus non rappre-
9 - Spazi espositivi all’interno della kunsthaus. Foto: Laura Facchinelli.
10 - La Kunsthaus vista dallo Schlossberg (foto: Alessandro Tricoli).
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sentano un esempio generalizzabile. Chiudiamo questa rassegna con la breve descrizione di un altro, riuscito intervento realizzato nel capoluogo stiriano da architetti stranieri. Si tratta dell’ampliamento (2011) del Joanneum Museum, il complesso formato dai tre edifici della Libreria Regionale della Stiria, dal Museo di Storia Naturale e dalla Nuova Galleria delle Arti Contemporanee. Il progetto, realizzato dagli architetti spagnoli Fuensanta Nieto ed Enrique Sobejano con Gerhard
TRASPORTI & CULTURA N.33-34 lettura, di spazi per gli archivi e il deposito. Queste funzioni, invece di essere ospitate in un nuovo volume, magari dall’aspetto iconico, sono state invece organizzate nel sottosuolo, in un nuovo livello posto sotto la spazio pubblico delimitato dagli edifici preesistenti. Alcuni patii circolari vetrati intersecano il piano pavimentale esterno, garantendo l’accesso al nuovo livello e permettendo l’ingresso della luce naturale nel sottosuolo. Questo progetto dimostra in modo compiuto come
utilizzando un linguaggio architettonico raffinato e discreto e lavorando con sapienza negli “interstizi” del tessuto esistente sia possibile integrare in modo perfettamente armonico la città storica, i nuovi linguaggi dell’architettura e le necessità vitali della società contemporanea. Riproduzione riservata ©
11 - In questa pagina, a sinistra, in alto: un tram in transito.
12 e 13 - A sinistra, al centro e in basso: l’ampliamento del Joanneum Museum. Foto: gratis-photos.com.
14 - A destra: immagine simbolo della compresenza di storia e modernità. Foto: Laura Facchinelli.
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Ricostruzione del Castello di Berlino come Humboldt-Forum di Franco Stella
Nel 2002 il Parlamento tedesco ha deciso la ricostruzione del Berliner Schloss come HumboldtForum. Una grande maggioranza dei deputati, trasversale ai partiti, ha seguito l’indicazione della Commissione di esperti “Centro Storico Berlino” di costruire un centro museale, scientifico e di scambi interculturali, in un edificio con volume e facciate del Castello barocco, la parte più significativa ed estesa del Castello di Berlino. Nel 2007 il Parlamento tedesco ha confermato quelle indicazioni approvando il programma del Bando di concorso per la “Ricostruzione del Berliner Schloss/Costruzione dello Humboldt-Forum”: si prefigurava una ricostruzione, che si distingueva da quella di numerosi altri monumenti nella Germania nel dopoguerra, anche per la grande quantità di nuova costruzione, circa i due quinti del volume totale, che si doveva aggiungere. Il mio progetto di concorso, e la sua successiva elaborazione che qui si presenta, condivide le indicazioni di quel programma. In generale si può dire che l’idea della ricostruzione è sostanzialmente avversata dalla dominante dottrina del restauro dell’Antico e del progetto del Nuovo: nella sua essenza di “materia nuova” e “forma antica”, la ricostruzione contraddice sia il legame del restauratore alla “materia originale”, sia quello dell’architetto alla “forma originale”. É un legame percepito come una sorta di dovere morale, che pretende di imporsi dovunque e comunque: vietando al restauratore la ricostruzione con nuova materia, spingendo l’architetto a reclamare il rinnovamento delle forme dei monumenti distrutti. Di contro a tali idee e sentimenti, affermatisi già all’inizio del secolo scorso e ancora prevalenti nell’odierna cultura architettonica, quasi a premessa dei contenuti di questo progetto, dichiaro la mia convinzione dell’importanza civile e culturale della ricostruzione degli edifici significativi dell’identità dei luoghi, siano essi stati distrutti da una catastrofe “naturale”, sia da un’azione violenta dell’ideologia. Intendo la ricostruzione come costruzione di un edificio non più esistente, con la sua stessa forma e uguale materia (con la stessa materia della costruzione “originale” è per lo più impossibile), nello stesso luogo. Dov’era, com’era si potrebbe dire anche oggi, ripetendo le parole, poi diventate quasi la formula della ricostruzione, pronunciate all’inizio del secolo scorso a fronte delle macerie del Campanile di San Marco a Venezia. Penso che una buona ricostruzione possa riconquistare il valore di monumento dell’antica costruzione perduta. Un valore che attiene alla relazione intellettuale e sentimentale con gli edifici, che in genere ben poco dipende dall’età della
The reconstruction of the Berlin City Palace – Humboldt Forum by Franco Stella There is a new building now under construction in Berlin. Following the decision by the Parliament of the Federal Republic of Germany, it is primarily a replica of the Baroque Berliner Schloss designed by Andreas Schlüter around 1700, destroyed by bombs during World War II and demolished in 1950 by the government of the German Democratic Republic. The new Berliner Schloss - Humboldt Forum is a complex of reconstructed and newly constructed buildings, destined to serve as a museum and cultural centre. The development of Berlin, more than most other capitals of Europe, was related to the Palace: it was once the residence of the Brandenburg crown princes, then of the Prussian kings and the German emperors. Originally, in 1443, the twin towns of Berlin, Cölln and Berlin, had only 7000 inhabitants: it may be said that the construction of the Schloss predated the town; many important sites and monumental buildings were related to the Schloss, such as the Unter den Linden with its palaces or the Museum Insel. The new palace presents itself to the city as a rectangular building with three baroque wings and one new one, facing the river. Its three inner courtyards – the “reconstructed” Schlüterhof and the “newly designed” Schlossforum and Agora – are conceived as public places in the centre of Berlin. The Schlossforum, like the Courtyard of the Uffizi in Florence, runs across the palace and reconnects important locations in Berlin; the Agora is the covered entrance hall also designed to be a stage for theatrical events.
Nella pagina a fianco: Schlossforum.Veduta attraverso il Portale nord ricostruito: sul fondo l’Altes Museum.
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1 - Berliner Schloss, 1920.
2 - Berliner Schloss, 1945.
forma/materia percepita, oggetto dell’umana memoria: anche quando è presente, l’antica materia è per lo più nascosta da intonaci e pitture più volte rinnovate. Si potrebbe dire che l’architettura, diversamente ad esempio dalla pittura, è sempre
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per molti versi una ri-costruzione, perchè la mano che progetta non è la mano che costruisce, e perchè il tempo del progetto non coincide con quello della costruzione: ad esempio il tempo che intercorre fra la costruzione della prima e dell’ultima
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3 - Berliner Schloss, 1945
4 - Palazzo della Repubblica.
parte di molti monumenti antichi è maggiore di quello fra la distruzione e la prevista ricostruzione del Castello di Berlino. Nonostante l’opposizione degli architetti e restauratori “moderni”, la ricostruzione dei monumenti distrutti dalle guerre che
hanno devastato la città europea nel secolo scorso, è diventata una pratica diffusa: in particolare sono stati ricostruiti quasi tutti i numerosi PalazziResidenza della città tedesca. Il Castello di Berlino ha un’eccezionale importan-
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5 - Veduta dall’Unten den Linden.
6 - Veduta dalla Sprea.
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zt a civile-politica nella storia dell’intera nazione tedesca e urbanistica-architettonica nella città di Berlino. Penso che nessun edificio con “forme del nostro tempo” potrebbe rammentare o riaffermare questo significato, né diventare un altrettanto forte magnete per i cittadini e i visitatori dei musei dello Humboldt-Forum. “Il Castello non era a Berlino, Berlino era il Castello”: con la forza di un aforisma lo scrittore Wolf Jobst Siedler ha riassunto l’importanza del Castello per la città. Nel 1443, quando il principe Federico II pose la prima pietra della sua residenza-fortezza sulla Sprea, la città doppia di Berlin e Cölln aveva circa 7000 abitanti: il palazzo del Potere è quasi coevo della città e ne influenza, più che in ogni altra grande città europea, lo sviluppo. Le piazze, le strade e i monumenti principali di Berlino si riferiscono al Castello: l’asse monumentale Unter den Linden prende inizio dal Castello e trova nella Brandeburger Tor i “Propilei al Castello”; la Museuminsel (Isola dei Musei), dove nel corso del 19° secolo sono sorti, uno dopo l’altro, i principali musei della città, era il parco-giardino del Castello. Anche il Duomo, numerosi palazzi e piazze della Unter den Linden si riferiscono, talvolta anche nelle forme della loro facciata, al Castello. Sono luoghi ed edifici tuttora esistenti, che disegnano un contesto urbano sostanzialmente simile a quello degli
ultimi giorni del Castello, poiché i monumenti distrutti dalla guerra sono stati ricostruiti e i grandi edifici costruiti al tempo della RDT sono stati demoliti: nella scena urbana del Centro di Berlino manca solo la figura che meglio di ogni altra può spiegarne l’identità. Di per sé, il Castello di Berlino è sempre stato ritenuto un edificio di grande valore architettonicoartistico. All’inizio del 19° secolo, commentava Karl Friedrich Schinkel: “Il Castello è generalmente ritenuto come un monumento, che per dignità e decoro può stare alla pari con i primi edifici d’Europa. Per il suo valore non dovrebbe essere manomesso, e sarà compito dello Stato di trasmetterlo ai posteri “almeno” nelle condizioni in cui oggi si trova. Dal punto di vista architettonico il nostro tempo deve umilmente riconoscere ed elogiare il talento del nostro grande artista e compatriota Schlüter, per tutto quello che cotanto maestro ha fatto. Di edifici veramente classici, nella cui concezione c’è qualcosa di autenticamente grande e singolare, Berlino ne ha solo due: il Castello reale e l’Arsenale. Il valore artistico dell’architettura di entrambi lo dobbiamo a Schlüter”. E all’inizio del 20° secolo, declama Adolf Loos: “Ogni volta che l’architettura si allontana dai suoi grandi esempi, affidandosi agli ornamentalisti, ri-
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7 - Schlüterhof. Veduta del cortile, allestito per concerti.
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compare il grande architetto, capace di ricollegare l’architettura ai suoi esempi antichi: Fischer von Erlach al sud, Schlüter al nord sono stati quei grandi architetti del 18° secolo. E alle soglie del 19° secolo compariva Schinkel”. La ricostruzione delle facciate è stata forse la decisione più contrastata dagli architetti e restauratori che sempre collegano il progresso con il moderno, e al più ammettono un’interpretazione “moderna” di antiche forme. Ritengo che la facciata sia in generale un elemento importante del valore storicoartistico di un antico monumento e in particolare del Castello di Berlino, della sua identità e memoria, e pertanto un elemento irrinunciabile per lo scopo civile ed estetico della ricostruzione. Nel mio progetto, con il rifiuto dell’idea di “modernizzare” il linguaggio barocco nella ricostruzione, si accompagna il rifiuto di “antichizzare”, sia pure alla maniera di Schlüter, il linguaggio della nuova costruzione. La riconoscibilità delle diverse parti dell’edificio è inequivocabile: mai è disegnato qualcosa di barocco in un corpo di fabbrica d’invenzione, e mai qualcosa d’invenzione in un corpo di fabbrica ricostruito: il Nuovo come parafrasi dell’Antico, che vale a distinguere i frammenti originali nelle ricostruzioni parziali (penso ad esempio all’intervento di Döllgast nella facciata della Alte Pinakothek a Monaco o a quello di Chipperfield in quella del Neues Museum di a Berlino) dissimulerebbe qui il fatto che si tratta di una ricostruzione “dal nulla”. Riguardo al “montaggio” di Antico e Nuovo si può qui parlare di una giustapposizione per “stacco” piuttosto che per “dissolvenza”. L’accordo non si affida a una vaga somiglianza, ma piuttosto ad una singolarità delle rispettive figure, suggerita dall’identità dei luoghi che assieme conformano. I pochi frammenti del Castello conservati e ora reinseriti nell’edificio, testimoniano la fedeltà della ricostruzione all’”originale”. Il Berliner Schloss-Humboldtforum è un edificio rettangolare “a quattro ali”, con due cortili interni, pensati come nuove piazze del Centro di Berlino. É il risultato di una composizione di corpi di fabbrica ricostruiti e di nuova costruzione, individualmen-
te riconoscibili nell’unità dell’insieme. L’edificio è quasi del tutto inscrivibile nei contorni del Castello barocco, disegnato da Schlüter ed Eosander von Göthe come trasformazione di fabbriche precedenti nei primi anni del Settecento, gravemente distrutto dai bombardamenti della seconda guerra mondiale e infine abbattuto e spazzato via dall’ideologia del potere politico della RDT, nel 1950. Nel 1443 nasce come residenza dei principi brandeburghesi, nel 1701 diventa la residenza dei re prussiani e dal 1871 degli imperatori tedeschi; dal 1918 diventa sede di diversi musei e istituzioni. Oggi, nel nome dei fratelli Humboldt cui si intitola, vuole essere un centro di conoscenza e scambio delle culture di tutto il mondo, soprattutto di quelle extraeuropee. Assieme all’adiacente Isola dei Musei vuol diventare il “luogo di un’ideale unità dell’eredità culturale, della conoscenza e dell’esperienza”. In aggiunta alla ricostruzione dettata dalle decisioni del Parlamento, il progetto prevede anche la ricostruzione fedele all’originale dei tre portali e relativi atri di passaggio verso l’antico cortile occidentale (Eosanderhof), e della cupola, costruita alla metà dell’Ottocento da Stüler, ispirata da un progetto di Schinkel, suo maestro. Le facciate ricostruite non sono una “maschera” appesa a una costruzione retrostante, ma la parte visibile di un muro massiccio di grande spessore, un’autonoma costruzione che ripropone anche in profondità le forme e i materiali del Castello perduto. Anche la ripartizione dello spazio interno in quattro piani si riferisce all’antica, tenendo conto del maggiore spessore dei solai, in funzione dei nuovi compiti. In relazione con quelli ricostruiti sono previsti cinque nuovi corpi di fabbrica: - nell’area delle prime fabbriche del Castello, un edificio-galleria, denominato Belvedere, destinato ad essere il nuovo fronte dell’edificio verso la Sprea. Come Schlüter auspicava, il nuovo Palazzo si presenterà come un edificio “a quattro ali”. Un muro massiccio, di spessore analogo a quelli antichi, traforato da scavi profondi che allontanano le finestre dalla parete di pietra,
TRASPORTI & CULTURA N.33-34 si presenta come una “facciata di logge”: fra i tanti riferimenti possibili, trova proprio qui la “galleria di arcate” di Nering, costruita nel 1690; - nell’area dell’antico cortile occidentale, due edifici in linea (le “gallerie”) e due edifici ad aula (i “cubi”), che assieme ai corpi di fabbrica ricostruiti conformano tre corti interne, pensate come piazze della città: lo Schüterhof, la corte orientale del Castello, ricostruita e completata; lo Schlossforum, una corte-strada “d’invenzione”; l’Agorà, una corte coperta “d’invenzione”. L’identità di ciascun luogo si affida al gioco di relazioni ed evocazioni che si instaurano fra Antico e Nuovo, ovunque presenti con propria figura ben riconoscibile. Lo Schlüterhof presenta su tre lati gli antichi corpi di fabbrica ricostruiti e sul quarto lato, al posto del cosiddetto “edificio trasversale“ sopravvissuto alla trasformazione barocca, uno nuovo. Pensato come completamento della corte di Schlüter, il corpo nuovo riformula nella sua facciata le figure caratterizzanti del cortile: i loggiati di pietra nei due piani inferiori e il muro intonacato con due ordini di finestre verticali nei piani superiori. In forme semplificate, anche l’architettura della nuova facciata conferma il carattere teatrale dell’antico Schlüterhof come luogo delle cerimonie. In virtù del passaggio pubblico aperto attraverso i Portali, si può prevedere che questa corte dello Humboldt-Forum diventerà anche una piazza della città, un luogo d’incontro per i suoi cittadini. Lo Schlossforum è un cortile al centro dell’edificio e al tempo stesso una piazza nel centro della città, come ad esempio il Cortile/Piazzale degli Uffizi a Firenze. Si estende fra i Portali, che sempre hanno rappresentato l’ingresso pubblico al Castello, ricollegando luoghi principali della città: Unter den Linden e Lustgarten a nord con la Breite Strasse e Schlossplatz a sud. I Portali ricostruiti, disposti dirimpetto sui lati corti del cortile, evocano la “porta di città”; gli ordini architettonici, anteposti alle pareti finestrate del lungo corso del cortile, evocano l’Agorà e il Foro: nell’insieme di Antico e Nuovo, lo Schlossforum ricorda una piazza della città ideale.
L’Agorà, più precisamente la grande Aula dell’ingresso e dell’accoglienza dell’Agorà, è una corte cubica, coperta da un tetto piano di vetro: le sue dimensioni sono dettate dal Portale occidentale, disegnato da Eosander ad imitazione dell’Arco trionfale romano di Costantino. Accostando a questa antica figura i loggiati previsti sugli altri tre lati, l’Aula diventa un luogo con il carattere di un teatro, laddove l’”arco trionfale” ricorda un’antica frons scenae e le “logge” i tradizionali palchi e gallerie degli spettatori. Si suggerisce l’idea che anche le adunanze per manifestazioni e recitazioni possano trovare in quest’Aula un luogo appropriato. In senso lato, per Agorà si intendono tutti i luoghi e le attrezzature di interesse pubblico generale, spesso di libero accesso, che per lo più si trovano al piano terreno: - attorno all’Aula, la sala d’ingresso e delle scale, le sale per le mostre temporanee, l’auditorium, la sala “multifunzionale”, la sala della Storia del Luogo e le cosiddette Kunstkammer, le “stanze dell’arte” di remote regioni del mondo, che si trovavano nel Castello, ritenute un precedente significativo dello Humboldt-Forum; - verso lo Schlossforum e attorno allo Schlüterhof, i negozi dei musei, il lapidarium dei reperti di valore dell’antico Castello, ristoranti e caffetterie; - nel Belvedere, verso la piazza sulla Sprea, una molteplicità di ristoranti di differenti gastronomie del mondo. Nell’angolo sud-ovest dell’edificio, nel piano sotterraneo direttamente collegato con la sala terrena della Storia del Luogo, si possono visitare i resti delle cantine, costruite dei primi anni del Settecento, in un insieme di stanze denominato “finestra archeologica”: è un’area di circa 1.800 m², in cui si trovano gli unici frammenti in situ del Castello, nello stato in cui sono stati scoperti dai recenti scavi archeologici. Nel primo piano, attorno allo Schüterhof, si trovano speciali sezioni della Biblioteca Centrale e Regionale; nei “cubi”, gli spazi espositivi per gli oggetti di maggiore altezza e ingombro del Museo Etnologico; nei corpi di fabbrica del blocco occidentale del Castello, le collezioni artisticoscientifiche dell’Università Humboldt e la biblioteca die Musei Statali. Nel secondo e terzo piano si trovano rispettivamente gli spazi espositivi del Museo Etnologico e del Museo d’Arte Asiatica. La ricostruzione degli Interni, ad esempio degli scaloni e delle sale di maggiore valore storico-artistico, è una possibilità auspicata, di cui l’odierno progetto tiene conto evitando costruzioni ostative. Riproduzione riservata © 8 - Veduta a volo d’uccello della Isola dei Musei con il Castello.
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Paesaggio, città e architettura Cinque domande a Franco Purini e Laura Thermes a cura di Monica Manicone e Laura Zerella
Durante un’intervista rilasciata in occasione della mostra “Bauhaus”, tenutasi presso la Galleria Nazionale di Arte Moderna di Roma nel 1961, Walter Gropius affermò che l’architettura moderna in Italia era in grado di dialogare bene con l’antico grazie a due accorgimenti di cui gli architetti tenevano conto: la dimensione e il colore. Quali sono secondo lei le scelte fondamentali che un architetto oggi deve fare per progettare nei centri storici? Franco Purini - Prescindendo dal fatto che in ogni città il nucleo antico presenta elementi originali per cui è difficile generalizzare, la scelta principale che un architetto che si trova a progettare in un centro storico deve fare consiste nel decidere quale strategia preferire tra l’intonazione, la dissonanza e la neutralità. La prima consiste nel sintonizzarsi con ciò che Ernesto Nathan Rogers chiamava le preesistenze ambientali, dando vita a interventi i quali anche senza mimetizzarsi con l’intorno, ne tengono conto in termini di scala, di tipologia, di materiali, di colori, di luce. La seconda si identifica al contrario nell’inserire in un certo contesto urbano una nota contrastante che agisce per differenza. La terza strategia si riconosce in architetture che non si confrontano in modo esplicito con il tessuto che le accoglie, configurandosi come presenze indeterminanti e per questo dotate di una scarsa riconoscibilità. Laura Thermes - Ciò che ha detto Franco Purini rientra in gran parte nella dialettica tra continuità e discontinuità. Sintonizzarsi comporta in altre parole collocarsi all’interno di un orientamento progettuale tendente a confermare criticamente i caratteri di un particolare ambiente paesistico, urbano o architettonico, mentre cercare la dissonanza è la conseguenza di un atteggiamento opposto, rivolto a sovvertire gli elementi che definiscono un intorno ponendosi in radicale alternativa rispetto ad essi. Muoversi tra continuità e discontinuità, vale a dire praticare una continuità discontinuità si traduce in quella che è stata chiamata da Franco Purini la strategia della neutralità. La relazione tra continuità e discontinuità, che per sua natura è piuttosto complessa è parallela a un’altra dualità, quella tra luoghi e non luoghi, ovvero spazi dotati di una stabilità e coerenza, spazi da abitare, e spazi dell’attraversamento, spazi di transito privi di identità. Ovviamente tutto ciò coinvolge l’essenziale questione dello spazio pubblico, un’entità nella quale intonazioni e dissonanze, continuità e discontinuità, luoghi e non luoghi si mescolano e si stratificano. In riferimento a quanto detto, quali architetture degli ultimi dieci anni hanno assolto al meglio questo ruolo?
Landscape, City and Architecture Interview by Monica Manicone and Laura Zerella Architects Franco Purini and Laura Thermes answer five questions about current issues involving the landscape, the city, and architecture. When an architect designs a building in a historic city centre, he can choose to operate in three different ways: either dialogue with the context, as seen for example in Vittorio Gregotti’s Bicocca in Milan or Giorgio Grassi’s residential building along Köthenerstrasse in Berlin, or seek dissonance with the environment like Frank Gehry’s Guggenheim Museum in Bilbao or remain neutral. According to Franco Purini the state of emergency of Italian landscape will have to be addressed urgently in coming years, and will require significant restoration work. The timing and modes of this work will be determined by the contemporary dynamics. In the relationship between innovation and tradition, innovation should always prevail and tradition should have a suggestive role. According to Laura Thermes the new defines the meaning of the ancient and not the opposite. Today architecture, divided into three parts historically (firmitas, utilitas, venustas) and communication, must find a unity that will restore its organic nature.
Edificio per residenze ed uffici all’ Eur, Torre Eurosky, 20052013 L’ “Eurosky”, una torre residenziale ”( 80.000 m³) di trenta piani abitativi più cinque livelli destinati a locali tecnici, sarà uno dei più alti edifici di Roma. Inserita in una delle diciotto nuove “centralità metropolitane”, quella dell’Europarco Castellaccio, situata a ridosso dell’Eur, è stata pensata come un volume semplice, ispirato alle torri medioevali che punteggiano il centro delle città, singolari presenze architettoniche tra le quali spicca la poderosa Torre delle Milizie. Rivestito in granito, il grattacielo lamellare, realizzato in calcestruzzo e acciaio, è misurato dalle bucature regolari dei balconi, che creano un gioco di ombre dense e profonde. Pur configurandosi come un’architettura fortemente unitaria, la torre “Eurosky” è articolata in due prismi verticali, ciascuno dei quali servito da due blocchi di scale e di ascensori, collegati da ponti che accolgono al loro interno parte degli impianti tecnici. Altri ambienti destinati a impianti sono collocati alla sommità dell’edificio, coronato da una grande struttura inclinata che sostiene una parete di pannelli fotovoltaici. Questa struttura raccoglie la tensione verticale trasformandola in forte episodio plastico. Sulla copertura è situata anche la pista di atterraggio per elicotteri. L’immagine dell’ “Eurosky” si propone nel panorama della parte di Roma su cui sorge come un elemento chiaramente riconoscibile, un segno metropolitano autorevole e duraturo che darà un senso diverso alle emergenze verticali dell’Eur, conferendo ad esso una nuova e più significativa visibilità. Progetto: Franco Purini, Laura Thermes Collaboratori: Massimiliano De Meo, Carlo Meo Colombo Progetto esecutivo e coordinamento: Parsitalia General Contractor srl
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1 - A sinistra, in alto: schizzo, interpretazione dello skyline della Roma medioevale. 2 - A sinistra, in basso: schizzo, interpretazione dello skyline della Roma barocca. 3 - A destra, in alto: Torre in via Giovanni Lanza.
4 - Vista dell’Europarco Castellaccio (render).
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Franco Purini - Mi limiterò a spiegare due casi pressoché coevi, la Bicocca di Vittorio Gregotti e il Museo Guggenheim di Bilbao di Frank Gehry. La prima opera assorbe gli umori metropolitani della periferia industriale milanese restituendoli in un insieme di grandi episodi urbani, frammenti poetici densi delle tensioni derivanti da un’ulteriore coppia dialettica che va aggiunta alle precedenti citate da Laura Thermes, quella tra finitezza e infinità. In termini ancora più chiari la Bicocca gre-
gottiana si confronta con l’architettura milanese del Novecento, di cui vorrebbe costituire una possibile continuazione, mentre i tumultuosi volumi dell’architetto californiano non hanno alcuna intenzione di dialogare con le corrusche atmosfere industriali della capitale basca. Il secondo si configura come un groviglio neoespressionista di superfici continue e avvolgenti in titanio che fanno pensare a una vorticosa collina artificiale priva di qualsiasi segno urbano.
TRASPORTI & CULTURA N.33-34 scansione di volumi puri che dialogano in modo ravvicinato con la Berlino behrensiana, riprendendo la severità classica di molti degli edifici che hanno conferito a Berlino un carattere urbano fortemente omogeneo. Il territorio italiano, sia a nord, sia a sud, subisce danni quasi irreparabili a causa della mancata difesa dei suoli e dello stato di abbandono di vaste aree agricole. Ciononostante l’immagine del paesaggio italiano continua a coincidere nell’immaginario collettivo con quella del Grand Tour.
Laura Thermes - A questi due esempi io aggiungerei due architetture berlinesi costruite dopo il 1989, l’anno che vide il crollo del Muro. Si tratta del progetto di Renzo Piano per l’Alexander Platz, un’architettura che non istituisce rapporti specifici con quella che era stata la città di pietra di Werner Hagemann, un’architettura che afferma con decisione una sua avanguardista autoreferenzialità. A questo intervento si contrappone con altrettanta fermezza il grande isolato che Giorgio Grassi ha edificato lungo la Köthenerstrasse, una potente
Franco Purini - La risposta a questa domanda non è semplice né univoca. La condizione di emergenza nella quale si trova il territorio-paesaggio italiano è ormai nota a tutti. Nei prossimi anni si imporrà per questo motivo una gigantesca opera di ricostruzione del nostro paese a partire dal suolo di cui è fatto. Sarà necessario regolare le acque in modo non meccanico né invasivo, ci sarà bisogno di rinaturalizzare vaste zone della penisola; il patrimonio edilizio moderno e contemporaneo dovrà essere adeguato alle nuove esigenze della sostenibilità: gran parte di questo patrimonio non potrà che essere ricostruito, le infrastrutture andranno ripensate secondo nuovi paradigmi ambientali e architettonici. Il sistema archeologico e architettonico dovrà essere oggetto di operazioni, sempre più numerose ed efficaci, riguardanti il suo consolidamento e in molti casi il suo restauro. Dal momento che il futuro del paese è legato alla rapida e integrale realizzazione, non potrà essere modellato sul passato. Sono infatti le dinamiche contemporanee che saranno chiamate a definire tempi e modalità di questa opera ricostruttiva. Laura Thermes - È proprio il rapporto tra passato e futuro che costituisce il problema più arduo per la messa a punto di un simile programma. La cultura italiana presenta una forma di culto idolatrico nei confronti di tutto ciò che è storico. Da qui l’idea di modernità come qualcosa che possiede un valo-
5 - Eurosky, schizzo di studio.
6 - Vista dell’Europarco Castellaccio (render e fotomontaggio).
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7 e 8 - Particolare della copertura dell’Eurosky (render).
9 - A sinistra: disegno di progetto. 10 - Vista notturna di Torre Eurosky e Torre StudioTransit (render).
re sostanzialmente strumentale, privo di autentici valori culturali nel suo presente. In qualche modo solo quando un’esperienza moderna è storicizzata riesce a essere considerata significativa anche dal punto di vista culturale. Lei ricorda sempre che Roma, prima di essere una città di cupole, è stata una città di torri. Eurosky si conferma come un progetto che ha rapporti con la memoria ma che si proietta nel futuro. È un progetto innovativo che adatta moderne tecnologie di salvaguardia ambientale e risparmio energetico. In quale rapporto si collocano secondo lei tradizione e innovazione? Franco Purini - L’idea che l’architettura moderna italiana si sia costruita attorno al binomio tradizione-innovazione è troppo radicata perché la si 88
possa argomentare, e anche criticare, come se fosse necessario, nell’ambito di queste brevi risposte. Secondo me in questo rapporto dovrebbe prevalere sempre il polo innovativo nel senso che la tradizione depurata di ogni contenuto sovrastorico, e ricondotta alle sue tematiche originarie, dovrebbe avere solo un ruolo comparativo e orientativo. In realtà la tradizione - si pensi alla Torre Velasca dei BBPR o alle Case alle Zattere - è spesso il luogo di un manierismo storicista che finisce con il togliere forza e autenticità alle nuove architetture. In sintesi la coppia dialettica tradizione-innovazione genera sempre un compromesso il quale, mentre contamina con semplici e spesso inutili attualizzazioni ciò che rimane di autentico nelle testimonianze del passato, sottrae al nuovo la sua potenzialità rigeneratrice. Laura Thermes - All’interno di queste considerazio-
TRASPORTI & CULTURA N.33-34 ni, che condivido, va anche chiarito che, al contrario di quanto spesso si crede, è il nuovo che definisce il senso dell’antico e non viceversa. Per tale ragione più il nuovo esprime se stesso, più l’antico si rende riconoscibile e operante. Ovviamente occorre distinguere il nuovo dallo stravagante, da qualsiasi cosa che stupisca e sconcerti, dalla mera celebrazione di ciò che non si è mai fatto prima. Il nuovo non è semplicemente una novità, ma la riscrittura reinventata di qualcosa.
qualche anno gli specialismi hanno fatto sì che l’unità dell’architettura, la sua essenza generalista, si disarticolasse a favore di settorializzazioni disciplinari. Si tratta di una frammentazione teorica e operativa sempre più accentuata, la quale fa sì che diventi quasi impossibile l’ascolto e la comprensione delle varie voci provenienti dall’esterno della disciplina, e cioè dalla società e dai suoi singoli membri, voci che l’architettura deve ricomporre in un solo suono.
Stiamo vivendo un periodo storico di grandi cambiamenti politici, economici, sociali. In relazione alla condizione attuale, quali cambiamenti ritiene che dovrebbero intervenire in architettura?
Per concludere, cosa consiglierebbe ad un giovane che inizia il suo percorso nella professione di architetto?
Franco Purini - Oggi l’architettura si presenta divisa nelle sue tre componenti storiche, la firmitas, l’utilitas e la venustas, le tre specificazioni della ratio vitruviana, alle quali va oggi aggiunta la comunicazione. All’high tech si contrappongono infatti
Franco Purini - Consiglierei a un giovane architetto di scegliersi un tema al quale restare fedele tutta la vita anche se esso dovrà essere costantemente riformulato. Completo questa risposta telegrafica con un saluto e un sentito ringraziamento alle due intervistatrici, che ci hanno proposto questioni
11 - Torre Eurosky in costruzione, vista dall’edificio della Procter & Gamble.
le tendenze formaliste tra le quali l’archiscultura teorizzata da Germano Celant, mentre entrambe sono contrastate dal neofunzionalismo dei cultori del programma e del diagramma. Sono per questo sempre di meno le opere capaci di operare una sintesi tra le diverse componenti dell’architettura. Ritrovare la superiore unità del fenomeno architettonico, anche nel suo vivere nel territorio-paesaggio e nella città appare quindi essenziale perché consente all’opera di architettura di riconquistare, almeno in parte, la sua verità. Laura Thermes - Credo anch’io che attualmente l’architettura stia perdendo quella qualità che qualche anno fa si definiva con il termine di organicità. Una qualità che è esterna al conflitto tra classico e anticlassico, tra tradizionale e innovativo, tra statico e dinamico, definita da una compresenza attiva di tutte le componenti dell’architettura. Da
quanto mai attuali. Laura Thermes - Prima di rispondere anch’io ringrazio Monica Manicone e Laura Zerella. Suggerirei a un neolaureato che si stia affacciando in questi anni alla professione di architetto di fare qualche esperienza all’estero, oltre l’Erasmus. Preferibilmente non in Europa, ma in uno dei paesi emergenti più dinamici come ad esempio Singapore, l’India, la Cina, il Brasile. Riproduzione riservata ©
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La decima edizione del Premio Trasporti & Cultura
Dal 2002 la nostra rivista organizza il Premio Trasporti & Cultura per opere di saggistica. Nel 2012 si è conclusa la decima edizione. La proclamazione dei vincitori si è svolta presso il Politecnico di Torino, il 28 giugno 2012, nell’ambito di una tavola rotonda dal titolo Infrastrutture: qualità del progetto, politiche di sviluppo organizzata dalla prof.ssa Maria Cristina Treu, presidente della Giuria, con il SiTI, Istituto Superiore sui Sistemi Territoriali per l’Innovazione. “Il tema dei trasporti è uno dei più significativi per sostenere la competitività delle regioni metropolitane e per avviare un nuovo ciclo di sviluppo delle città nel rispetto dell’ambiente e della qualità del paesaggio”: queste le motivazioni alla base della tavola rotonda. “È fondamentale affrontare le scelte infrastrutturali strategiche con una visione di lungo periodo e in un contesto che non perda mai di vista la dimensione europea vasta e la sua collocazione nei confronti delle rotte e dei mercati a livello mondiale. Ma è altrettanto importante l’attenzione contestuale ai caratteri territoriali delle regioni e dei rispettivi ambienti paesaggistici e insediativi, secondo un sistema di offerte che integri più tipi di infrastrutture e più servizi a sostegno della mobilità. Gli ostacoli derivano: da una committenza incerta e vincolata ai tempi corti delle scadenze amministrative, da un sistema di procedure che si deve confrontare con troppi centri decisionali e conflitti di competenze, dalle difficoltà nel procedere con un metodo di valutazione che sia efficace nell’orientare le scelte di progetto e nell’accompagnare la progettazione e la realizzazione delle stesse opere. Così le opere stentano ad avviarsi, i tempi di realizzazione si dilatano e i costi crescono per ogni opera compiuta. Questi sono gli aspetti affrontati nella tavola rotonda, nell’ambito di una riflessione che, nell’interesse della collettività, ricerca soluzioni possibili in funzione di politiche per uno sviluppo sostenibile per ogni comunità”. L’Alta Velocità, nell’arco del tempo, sposterà rapporti e gerarchie fra le regioni – ha esordito Maria Cristina Treu – provocando uno spostamento del baricentro verso le regioni dell’est, proiettate verso i nuovi mercati. Con la progettazione di infrastrutture si debbono pensare e realizzare opere di compensazione, ma non basta: occorre pensare a vere e proprie politiche di sviluppo, mediante progetti integrati che coinvolgano istituzioni, comunità, imprese. Puntare sulle grandi reti comporta aspetti non solo fisici, ma anche culturali. È quindi intervenuto Riccardo Roscelli, presidente del SiTI, che ha sottolineato la carenza di iniziative in tema di infrastrutture, in particolare nel nord-
The tenth edition of the Trasporti & Cultura award Since 2002 our magazine has organized the Trasporti&Cultura award for essays. The tenth edition was held in 2012. The winners were announced at the Politecnico di Torino during a round table discussion entitled Infrastructure: the quality of design, the policies of development. It is fundamental to address strategic infrastructural choices with a long-term perspective and in the European context: but it is equally important to focus on the territorial characteristics of the regions and their respective landscapes, environments and settlement patterns: this was the leitmotiv of the conference. At the end the winners of the award were announced. In section A, the choice was a book edited by the Associazione Studi e Ricerche per il Mezzogiorno, based in Naples. In section B, the award went to Annalisa Giovani, who works in applied research projects involving public transportation service. The article lists the presidents of the jury and the winners of the past ten editions of the prize, as well as the seminars that were organized during each of the award ceremonies.
Nella pagina a fianco, in alto: un gioiello torinese: decorazioni all’interno del Castello del Valentino; in basso: un momento del convegno-premiazione che si è svolto il 28 giugno a Torino.
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1, - La consegna del premio ad Annalisa Giovani; a sinistra la direttrice Laura Facchinelli.
2 - Maria Cristina Treu consegna il premioe all’editore Cuzzolin di Napoli.
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ovest, che è l’area più ricca del paese, crocevia per traffici, economia e cultura. A centro dell’attenzione, il discusso piano per l’Alta Velocità. Tema, quest’ultimo, sul quale ha parlato ampiamente Paolo Foietta dell’Osservatorio Val di Susa (che è presieduto da Mario Virano). Foietta ha evidenziato gli errori fatti da FS, che ha presentato il progetto dell’Alta Velocità aprendo il colloquio con le popolazioni non sul progetto stesso, ormai deciso, ma solo su aspetti di contorno come le compensazioni: questo significa dire che il territorio non esiste. Siamo in un momento difficile: l’Osservatorio ha lavorato per la qualità e territorializzazione con un nuovo progetto. Molti Comuni dicono: “non s’ha da fare”, senza discutere il progetto. Esperti e docenti favorevoli all’Alta Velocità sono in netta maggioranza, ma quelli contrari parlano molto, e quindi hanno grande visibilità. Tutto questo sta diventando un problema, perché la linea storica è inadeguata – per il tracciato e per la sagoma delle gallerie – ai traffici del futuro. Ecco le ragioni che stanno alla base dell’impegno dell’Osservatorio, che sta lavorando alla progettazione definitiva dell’opera confrontandosi passo passo con la popolazione. Sul tema della qualità delle infrastrutture è intervenuto anche Enzo Siviero dell’Università IUAV di Venezia che, illustrando alcuni progetti predisposti con gli studenti, ha voluto evidenziare la possibile sinergia fra Università e pubblica amministrazione. Il dissesto progettuale è dissesto culturale. Occorrerebbe una committenza interessata alle sorti del paese. In chiusura del convegno, Laura Facchinelli, direttrice della nostra rivista, ha presentato il numero 31, nella nuova versione on-line. Sottolineando che il tema affrontato, “Trasporti per le metropoli del futuro”, va nella direzione dello sviluppo, visto proprio attraverso l’aggiornamento – in chiave tecnica, ma anche paesaggistica, e quindi culturale – del sistema dei trasporti. Ed ecco il momento della proclamazione dei vincitori. Alla decima edizione hanno partecipato 21 opere. Fra queste la giuria, presieduta da Maria Cristina Treu, ha scelto quelle che meglio sembravano rispondere alle finalità del premio: estendere la conoscenza delle opere di saggistica volte allo studio del tema dei trasporti secondo le prospettive seguenti: Storia dei trasporti, Architettura, Urbanistica e Paesaggio, Mutamenti sociali, Psicologia. Per la sezione A è stato scelto un
volume curato dall’Associazione Studi e Ricerche per il Mezzogiorno, che ha sede a Napoli. Per la sezione B il riconoscimento è andato ad Annalisa Giovani, che lavora a progetti di ricerca applicata inerenti al servizio di trasporto pubblico, e questo anche in veste di assessore alla Cultura e Pubblica Istruzione al Comune di Castelnuovo Berardenga. Titoli e motivazioni della giuria vengono presentati nella pagine seguenti. Ripercorrendo i dieci anni del nostre Premio Trasporti & Cultura vogliamo, per una volta, esprimere la soddisfazione per il lavoro fatto e per i consensi ottenuti. Perché con la rivista Trasporti & Cultura, con i convegni di studio e col Premio abbiamo affrontato un tema – quello del valore “culturale” del mondo dei trasporti e delle infrastrutture in senso lato – che dieci anni fa era pressoché sconosciuto, registrando solo qualche timido approccio in ambito accademico, dopo un lunghissimo oblio. Oggi di infrastrutture di trasporto si parla molto nelle sedi universitarie e istituzionali, ma l’argomento continua ad essere ignorato dalla collettività. Che, di fronte alla prospettata realizzazione di un’opera, di solito si pronuncia per il sì o per il no per partito preso, con valutazioni molto superficiali. E dunque senza entrare nel merito delle scelte progettuali. Che così – in molti casi – continuano a seguire logiche e calcoli estranei a un concreto e lungimirante interesse di tutti noi. Riproduzione riservata ©
TRASPORTI & CULTURA N.33-34 SEZIONE A
SEZIONE B
OPERE CHE SIANO FRUTTO DI RICERCHE SPECIALISTICHE, ANCHE IN COLLEGAMENTO CON LE UNIVERSITA’
PUBBLICAZIONI CHE SAPPIANO CONIUGARE IL RIGORE SCIENTIFICO CON L’ORIENTAMENTO ALLA DIVULGAZIONE
AA.VV. , Il Sud sui binari dello sviluppo. Il ruolo del trasporto ferroviario come volano di competitività per il territorio, Cuzzolin editore, Napoli 2011.
Annalisa Giovani, Un secolo di politiche stradali. La grande viabilità in provincia di Siena, Nerbini, Firenze 2011.
3 e 4 - Le copertine dei due libri premiati.
LE MOTIVAZIONI DELLA GIURIA
LE MOTIVAZIONI DELLA GIURIA
Il volume presenta gli esiti di uno studio compiuto – sotto la direzione di Francesco Saverio Coppola - dall’Associazione Studi e Ricerche per il Mezzogiorno sulla logistica dei trasporti. Dopo le ricerche su portualità, logistica e interporti, aeroporti, ora l’attenzione si è rivolta al settore del trasporto ferroviario delle persone e delle merci. L’analisi è stata effettuata in un’ottica globale, ma anche secondo una dimensione regionale. L’ampio resoconto presenta la situazione del comparto ferroviario con i suoi punti di forza e debolezza. La giuria del Premio ha apprezzato la metodologia della ricerca che in una prima fase ha esaminato una ricca bibliografia, integrata da dati e statistiche, per poi passare a un’indagine sul campo. Quest’ultima è stata realizzata attraverso uno studio di dettaglio dei Piani Regionali dei Trasporti di quattro regioni - Campania, Puglia, Sardegna e Sicilia – e attraverso incontri con le istituzioni, con aziende operanti a livello nazionale e locale, con esperti. Due sezioni del libro sono dedicate alle politiche di sviluppo per la “cura del ferro” e a focus tematici, pubblicati anche on-line. È importante che la ricerca abbia messo in evidenza il ruolo che il trasporto ferroviario può svolgere nel Mezzogiorno, le sue potenzialità ancora inespresse e i rischi che l’evidente gap infrastrutturale comporti una progressiva marginalizzazione. Con tre questioni aperte e attualmente in discussione: l’istituzione di un’Autority nazionale per i trasporti, la scissione tra il gestore della rete ferroviaria e il gestore del servizio, l’azione per lo sviluppo del trasporto merci.
Questo volume di Annalisa Giovani ha il merito di illustrare le molteplici connessioni di un’area geografica con lo sviluppo delle infrastrutture di trasporto, e in particolare con le strade, che sono state le protagoniste delle realizzazioni della seconda metà del ‘900. L’attenzione dell’autrice si concentra sulla provincia di Siena. La città toscana, che per secoli aveva goduto di una florida posizione di passaggio lungo la via Francigena, nell’800 venne esclusa dalla grande rete ferroviaria che si andava realizzando. La stessa penalizzazione si verificò nel ‘900, quando si trattò di progettare l’Autostrada del Sole per collegare il nord del paese con la capitale e con le regioni meridionali. E solo in parte la carenza è stata compensata con i successivi raccordi autostradali. Alla base della trattazione - precisa e, al tempo stesso, chiara e di facile lettura - c’è un’accurata analisi storica sulle politiche stradali che sono state adottate, analisi basata su un’ampia bibliografia, sulla consultazione di atti parlamentari e di archivi aziendali, di corrispondenze di enti pubblici, di giornali e riviste tecniche, ecc. Vengono messe in evidenza le influenze esercitate da persone e ideologie della politica, sullo sfondo di progetti, commissioni, strategie, accordi che coinvolsero una fitta rete di soggetti interessati. Nella consapevolezza che la presenza di un collegamento stradale efficiente è determinante per la permanenza e lo sviluppo delle attività produttive e dunque per il benessere economico di una comunità.
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TRASPORTI & CULTURA N.33-34 OPERA SEGNALATA: Andrea Gilardoni, Stefano Clerici, Alessandra Garzarella, I costi del non fare. La tassa occulta delle infrastrutture, Agici Publishing, Milano 2011. LE MOTIVAZIONI DELLA GIURIA
5 - In alto a destra: la copertina del libro segnalato. 6, 7 e 8 - Altri momenti del convegno di Torino, nel quale sono intervenuti anche Riccardo Roscelli ed Enzo Siviero.
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Questo libro è importante perché ci presenta una prospettiva nuova: l’insufficienza dello sviluppo infrastrutturale del Paese ha un costo, che generalmente non viene considerato, ma che può assumere livelli molto elevati. Il libro raccoglie i risultati degli studi compiuti dall’Osservatorio “I costi del non fare” in due trienni di rilevazioni, a partire dal 2005. L’attenzione è puntata su cinque settori: energia, rifiuti, autostrade, ferrovie, idrico. Dopo aver illustrato le politiche infrastrutturali del Paese, sulla scorta di un’ampia casistica si calcolano, settore per settore, costi e benefici previsti. Il costo del non fare deriva dalla differenza tra costi complessivi e benefici totali. A quel punto, sommando l’impatto del non fare nei diversi settori, si possono calcolare gli effetti a livello nazionale. Una volta individuati i settori dove l’inerzia incide maggiormente (a fare la parte del leone sono i trasporti), si cercano le modalità per superare gli ostacoli nella realizzazione delle infrastrutture. Esemplare per obiettività e lungimiranza, questa ricerca offre gli strumenti per comprendere meglio l’entità delle nostre carenze, per valutarne le conseguenze, per impegnarci in un’inversione di rotta.
TRASPORTI & CULTURA N.33-34 LE DIECI EDIZIONI DEL PREMIO (http://www.trasportiecultura.net/public_A/Il_Premio/il_premio.htm)
Premiazione: 14 dicembre 2005 durante il convegno Deontologie per il paesaggio, organizzato con il Collegio Ingegneri e Architetti di Verona presso l’Università di Verona.
PRIMA EDIZIONE – 2002 Presidente della Giuria: Umberto Galimberti Vincitori: - Giuseppe Dematteis, Francesca Governa (a cura di), Politiche e progetti in Italia e in Europa, Franco Angeli editore - Cristiana Mazzoni, Stazioni: architetture 19902010, Federico Motta editore Segnalato: - Luigi Ballatore, Storia delle ferrovie in Piemonte, Il Punto editore Premiazione: 14 novembre 2002, durante il convegno L’architettura nei trasporti, organizzato dalla rivista Trasporti & Cultura con il Collegio Ingegneri e Architetti di Verona presso la Villa Vecelli Cavriani di Mozzecane (VR). SECONDA EDIZIONE – 2003 Presidente della Giuria: Umberto Galimberti Vincitori: - Michael H. Sedge, Il porto sepolto di Pisa. Un’avventura archeologica, Pratiche Editrice (sez. A) - Ponti della provincia di Bologna, edizioni Tipoarte, a cura di Provincia di Bologna e Istituto Beni artistici, culturali e naturali della Regione Emilia Romagna (sez. B) Premiazione: 11 dicembre 2003, durante il convegno I trasporti, un percorso multidisciplinare, organizzato con il Collegio Ingegneri e Architetti della provincia di Verona presso l’Università di Verona. TERZA EDIZIONE – 2004
QUINTA EDIZIONE – 2006 Presidente della Giuria: Paola Marini Vincitori: - Giuseppe Marinoni, Infrastrutture nel progetto urbano, Franco Angeli editore (sez. A) - Stefano Maggi, Storia dei trasporti in Italia, Il Mulino editore, (sez. B) Premiazione: 1° dicembre 2006 durante il convegno Grandi opere di Ingegneria e di Architettura. Progettare la complessità nell’era del computer, organizzato con il Collegio degli Ingegneri e Architetti della provincia di Verona presso l’Università di Verona. SESTA EDIZIONE – 2007 Presidente della Giuria: Paola Marini Vincitori: - Paolo Bossi, Emilio Guastamacchia, Agostino Petrilli (a cura di), Progetti di infrastrutturazione nella regione urbana milanese, Franco Angeli editore (sez. A) - Alessandro Bianchi, Francesca Ciacci, Anna Angelica Fagiani (a cura di). Strade di carta, di ferro, di terra. La ferrovia Spoleto-Norcia: viaggio fra documenti, immagini, oggetti, a cura di Soc. Spoletina Imprese Trasporti SpA, Sovrintendenza Archivistica dell’Umbria, Comune di Spoleto, Comune di Norcia (sez. B) Premiazione: 18 dicembre 2007 durante il convegno Reale, virtuale. Inchiesta multidisciplinare sulle tecnologie digitali, organizzato con il Collegio Ingegneri e Architetti di Verona presso l’Ordine degli Ingegneri di Verona.
Presidente della Giuria: Eugenio Turri
SETTIMA EDIZIONE – 2008
Vincitori: - Daniele Pini, Filippo Boschi (a cura di), Stazioni ferroviarie e riqualificazione urbana, Edizioni Compositori (sez. A) - Claudio Pedrazzini, Milano Centrale allo specchio, Editrice Arti Grafiche (sez. B)
Presidente della Giuria: Paola Marini
Premiazione: 10 dicembre 2004, durante il convegno Metropolitane e tranvie, organizzato con il Collegio Ingegneri e Architetti di Verona presso l’Università di Verona. QUARTA EDIZIONE – 2005
Vincitori: - Isabella Lami, Genova, Il porto oltre l’Appennino. Ipotesi di sviluppo del nodo portuale, Pubblicato con SiTI, Celid editore (sez. A) - Paolo Zanin, Primi tram a Milano. Nascita e sviluppo della rete tranviaria (1841-1916), Etr editrice Premiazione: 12 dicembre 2008 durante il convegno Infrastrutture e sviluppo dei continenti. Un confronto fra Europa, Asia, Africa, Oceania, organizzato con Collegio Ingegneri e Architetti di Verona presso l’Ordine degli Ingegneri di Verona.
Presidente della Giuria: Fulvio Roiter Vincitori: - Architettura ferroviaria in Italia, vol. 1° a cura di Ezio Godoli e Mauro Cozzi, vol 2° a cura di Ezio Godoli e A. Iolanda Lima, Dario Flaccovio editore (sez. A) - Maurizio Eliseo, William H. Miller, Transatlantici tra le due guerre. L’epoca d’oro delle navi di linea, Hoepli (sez. B),
OTTAVA EDIZIONE – 2009 Presidente della Giuria: Aldo Aymonino Vincitori: - Bortolo Mainardi, Semaforo Rosso. Italia: genesi, storia e realtà delle infrastrutture, Marsilio editore (sez. A) 95
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9 - Il convegno conclusivo della prima edizione del Premio Trasporti & Cultura, 14 novembre 2002, in un articolo pubblicato sul giornale veronese L’Arena.
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- Abraham Lustgarten, Il grande treno. Come la Cina ha occupato il Tibet e cancellato una nazione, Longanesi editore (sez. B) Segnalato: Piccoli aeroporti. Infrastruttura, città e paesaggio nel territorio italiano, Marsilio editore
Premiazione: 1° dicembre 2009 durante il convegno Disastri. Gestire l’emergenza, verso la ricostruzione, organizzato con il Collegio Ingegneri e Architetti di Verona presso l’Ordine degli Ingegneri di Verona.
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10 - In alto: la presidente della giuria dell’edizione 2007 nel momento della premiazione.
NONA EDIZIONE – 2010
DECIMA EDIZIONE – 2011/2012
Presidente della Giuria: Enzo Siviero
Presidente della Giuria: Maria Cristina Treu
Vincitori: - Maurizio Maresca (a cura di), Lo spazio mediterraneo della mobilità. Assetti organizzativi, concorrenza e regolazione delle infrastrutture strategiche, Forum editrice (sez. A) - Maria Teresa Mazzilli Savini, Architetture medievali e strade. Itinerari nella Lombardia occidentale, Dario Flaccovio editore (sez. B)
Vincitori: -AA.VV., Il Sud sui binari dello sviluppo. Il ruolo del trasporto ferroviario come volano di competitività per il territorio, Cuzzolin editore (sez. A) - Annalisa Giovani, La grande viabilità in provincia di Siena, Nerbini editore (sez. B)
Segnalato: - Dennis Frenchman, Giandomenico Amendola, Anne Beamish, William J Mitchell, L’immaginazione tecnologica e la città d’arte: Firenze, Liguori editore Premiazione: il 31 gennaio 2011, nel corso di un convegno presso il Collegio Ingegneri e Architetti di Milano.
Segnalato: Andrea Gilardoni, Stefano Clerici, Alessandrar Garzarella, I costi del non fare. La tassa occulta delle infrastrutture, Agici Publishing Premiazione: 28 giugno 2012 durante la tavola rotonda Infrastrutture: qualità del progetto, politiche di sviluppo, organizzato presso il SiTI, Politecnico di Torino.
11 - A centro pagina, a sinistra: premiazione del 2008. Nella foto il presidente del Collegio Ingegneri e Architetti della provincia di Verona Alberto Sartori col premiato Bortolo Mainardi. 12 - A destra: al convegno conclusivo dell’edizione 2008 è intervenuto il rettore dell’Università degli studi di Verona Alessandro Mazzucco, al centro della foto. Lo affiancano la presidente della giuria Paola Marini e il docente Cesare Surano.
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Biennale 2012, l’ architettura è uno spazio comune di Laura Facchinelli
La 13^ Mostra Internazionale di Architettura, in corso a Venezia dal 29 agosto al 25 novembre, si è posta come tema centrale ciò che abbiamo in comune. Nella scelta del titolo “Common Ground” l’idea ispiratrice del curatore, David Chipperfield, è quella di riaffermare l’esistenza di una cultura architettonica costituita non solo da singoli talenti, ma anche da un patrimonio di idee differenti riunite in una storia comune, in ambizioni comuni, in ideali collettivi. Nella città desideriamo ancora trovare i simboli che suggeriscono l’identità collettiva: le grandi istituzioni, le strade, le piazze, i luoghi di incontro. Ma la nostra ambigua sfera pubblica contemporanea è intessuta di consumi, viaggi e tempo libero; il ruolo dell’architettura, in molti casi, si limita all’amplificazione delle dimensioni. Common Ground vuol dire cercare idee condivise, ma anche un terreno ricco di storia, esperienze, immagini, linguaggi. Strati di materiale esplicito e subliminale formano i nostri ricordi e plasmano i nostri giudizi: è un patrimonio prezioso, che però non deve diventare resistenza al progresso, ma deve tradursi in un processo collettivo che può trovare espressione attraverso l’architettura. L’architettura è lo strumento che abbiamo per realizzare quella res publica che è il luogo dei singoli che appartiene a tutti. La mostra presenta, fra le sedi dell’Arsenale e dei Giardini, 66 progetti realizzati da architetti, fotografi, artisti, critici. Fra i partecipanti non mancano le archistar, come Jean Nouvel, Peter Eisenman, Norman Foster, Zaha Hadid, Herzog De Meuron, José Rafael Moneo e Álvaro Siza Vieira: quest’ultimo è stato premiato col Leone d’oro alla carriera. Fra i protagonisti italiani: Renzo Piano, Fulvio Irace, Cino Zucchi. La lista finale dei partecipanti, che comprende 118 nominativi, rappresenta – come sottolinea il curatore – una ricca cultura della differenza. Si vuole dare risalto al terreno comune condiviso nella professione. A questa Biennale partecipano 55 Paesi, 4 dei quali presenti per la prima volta: sono Angola, Repubblica del Kosovo, Kuwait, Perù. Il padiglione Italia, all’Arsenale, è curato da Luca Zevi. Per il terzo anno consecutivo è stato lanciato “Biennale sessions”, un progetto rivolto a Università, Accademie di Belle Arti, Istituzioni di ricerca e di formazione nei settori di architettura e arti visive. Sono previste visite guidate per studenti e docenti, con seminari di studio. È stata anche prevista un’attività educational, rivolta a studenti delle scuole di ogni ordine e grado, professionisti, aziende. La Mostra Internazionale di Architettura – che è organizzata col sostegno del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, della Regione del Veneto e della Città di Venezia – è stata accompagnata da18
Biennale 2012, Architecture as a Common Ground by Laura Facchinelli The 13th International Architecture Exhibition of Venice chose our common ground as its central theme. The idea that inspired the curator, David Chipperfield, is to confirm the existence of an architectural culture constituted not only by individual talents, but also by many different ideas gathered into a common history. Common Ground means searching for shared ideas, but it also represents a rich terrain of history, experiences, images, languages: a precious legacy, which must not however pose resistance to progress, but must translate into a collective process that may be expressed in architecture. Architecture is the tool we can use to build the “res pubblica”, the place of individuals that belongs to everyone. The exhibition in the venues of the Arsenale and the Giardini presents 66 projects created by architects, photographers, artists and critics. 55 countries participated in this Biennale. The author offers an overview of the most significant projects in the Corderie dell’Arsenale and the Giardini. Particular attention is paid to the Japanese pavilion, which won the Golden Lion Award, and to the Italian Pavilion, curated by Luca Zevi which presented the “four seasons” of Made in Italy, focusing on the restoration of beauty and environmental sustainability.
Nella pagina a fianco: installazione di Zaha Hadid e Patrik Schumacher alle Corderie dell’Arsenale. Tutte le foto che accompagnano questo articolo sono di Laura Facchinelli.
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TRASPORTI & CULTURA N.33-34 eventi collaterali. Il progetto del Palais Lumière di Pierre Cardin - attualissimo e assai discusso - è stato presentato proprio a Marghera, nel sito dove il gigantesco edificio dovrebbe sorgere. Diverse le finalità del progetto “50x50, Un sogno verde per Venezia 2012”, che prevede l’installazione, nell’area Vega 2, di un campo inerbito, per riflettere sul-
1 - Museum of copying. “I modelli sono ovunque, aspettano solo di essere saccheggiati, come in architettura è sempre avvenuto”.
2 - Gateway, spazio multimediale di Norman Foster e altri.
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le trasformazioni urbane e territoriali partendo dal waterfront di Venezia. Interessante il censimento delle architetture del Novecento nel Veneto: promosso dalla Regione, è stato presentato presso l’Università IUAV, Cotonificio Veneziano. Nel Negozio Olivetti di Piazza San Marco è stata presentata la mostra “Programmare l’arte. Olivetti e le Neoavan-
TRASPORTI & CULTURA N.33-34 guardie cinetiche”. La Fondazione Querini Stampalia presenterà invece disegni, e soprattutto ritratti, di Álvaro Siza. Una riflessione sull’identità di Hong Kong e una rassegna riservata a giovani architetti dei paesi della Lega araba aprono nuovi fronti di conoscenza in uno scenario internazionale.
Common Ground Vediamo alcuni dei progetti più significativi, iniziando dall’esposizione alle Corderie dell’Arsenale. Ricco di fascino il lavoro di Farshid Moussavi “Architecture and affects” che, attraverso sequenze fotografiche in bianco e nero di spazi architettonici, determina un’immersione sensoriale. Se i significati condivisi dell’architettura del passato sono scomparsi e oggi domina la frammentarietà, occorre pensare un’architettura che agisca sui sensi. L’architetto berlinese Robert Burghardt propone un edificio ibrido, dove si leggono riferimenti al Modernismo frantumati e riassemblati. In che modo l’architettura può basarsi sulla sua storia del XX secolo? Come potrebbe essere fatto un edificio adatto ai nostri tempi? Ancora Berlino in primo piano con il caso dell’aeroporto Tempelhof, emblematico dei problemi che riguardano il terreno pubblico nel XXI secolo. Mark Randel ha raccolto materiali sulla costruzione, la storia, il disuso, l’abbandono, il futuro potenziale di uno dei siti più famosi della capitale tedesca. Grandioso l’effetto di “Gateway”, videoinstallazione con la quale Norman Foster e altri interpretano gli spazi comuni nella loro molteplicità e complessità fatta di cultura architettonica, nomi degli architetti, edifici, nuove città, sconvolgimenti e cambiamenti sociali, grandi spazi creati dall’architettura. Spettacolare (come sempre) la presenza di Zaha Hadid, che si dichiara inserita in una linea di continuità con l’opera di grandi maestri delle coperture sottili a guscio e delle tensostrutture: i lavori di Felix Candela e Heinz Isler costituirebbero lo sfondo per la nuova opera dell’architetto di origine iraniana, dal titolo Arum. Alla quale si accompagnano i lavori di giovani ricercatori e studenti dell’Università di Arti Applicate di Vienna. Diametralmente opposta la ricerca di Anupama Kudoo, architetto indiano residente in Australia. Nella mostra “Wall House one to one” Kudoo presenta una copia della Wall House, un edificio realizzato in India. Qui a Venezia ha lavorato una squadra di artigiani indiani che hanno lavorato con docenti e studenti dell’università di Queensland e con quelli dell’ IUAV di Venezia, creando un dialogo tra le diverse culture della costruzione architettonica. La presenza dell’architetto svizzero Luigi Snozzi è testimone della possibilità di inserire forme moderne in una città storica. Forme autoctone, rispettose dell’identità dei luoghi: 40 anni di progetti che sono stati pietra miliare per molti architetti nel mondo. Rafael Moneo si chiede cosa significa essere interessati alla città se questo non si esplica in una città in particolare. Oggi la globalizzazione ci porta a vedere tutto il pianeta come un’unica città: ma allora la città che abbiamo conosciuto è destinata a cedere il passo a una città generica? Agli architetti, oggi, non viene data occasione di lavorare nel luogo di origine. Sarebbe invece auspicabile che ciascuno potesse esercitare la sua professione nella città in cui abita, dove il “common ground” è la cornice ben conosciuta in cui si sviluppa la nostra vita. Cino Zucchi riflette sulle analogie fra oggetti ed edifici; analogie che vanno al di là della funzionalità e diventano culturali. Curiosa la mostra “Inabitable Models”: tre studi di Londra hanno creato un’installazione raffigurante
3 - Veduta all’interno delle Corderie dell’Arsenale.
4 - Mostra di Cino Zucchi, che sottolinea l’analogia fra oggetti ed edifici.
5 - Forme fluide di Zaha Hadid e Patrick Schumacher.
6 - Architecture and Affects, un lavoro di Farshid Moussavi Architecture.
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TRASPORTI & CULTURA N.33-34 la città, ciascuno portando un modello a larga scala di uno dei propri edifici. Il risultato è una grande varietà di forme, accompagnate da creazioni “artistiche” ispirate da ricerche estetiche ed emozioni avulse da ogni uso pratico. L’esposizione alle Corderie è scandita da appuntamenti con le gigantografie di Thomas Struth: sono “Unconscious Places”, vedute obiettive della vita urbana, senza illusioni, ma con l’impatto emotivo di una verità che ci appartiene.
7 - Accostamento fra natura e costruzione nel Giardino delle Vergini dell’Arsenale.
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E ora alcune presenze ai Giardini. In apertura: Alison Crawashaw ha applicato elementi estranei sulla facciata del Padiglione Italia ai Giardini. Il riferimento è al fenomeno dell’abusivismo edilizio a Roma: dal 1945, il 28 % delle aree costruite della città sono sorte senza alcuna pianificazione né autorizzazione: il tutto viene documentato con foto e filmati. Lo studio irlandese Grafton Architects, in occasione della Biennale, ha avviato un dialogo con l’architetto brasiliano Paulo Mendes da Rocha per trovare spunti su come costruire in modo adatto alle condizioni climatiche di un luogo specifico. Gigantografie documentano costruzioni di pietra ai piedi del Machu Picchu; l’architettura è intesa come nuova geografia. Se diversissime sono le modalità di interpretazione del tema “Common ground”, ecco una serie di dipinti che raffigura progetti dello studio Ortner & Ortner Baukunst, resi negli elementi architettonici essenziali (a differenza della fotografia, che invece descrive i dettagli). La fotografia è invece lo strumento usato da Thomas Demand e altri due artisti per evidenziare la matericità e la bellezza dei modelli di legno o cartone predisposti dagli architetti, fra spessori e ruvidità delle superfici, come composizioni astratte. Sette architetti di diversi paesi vengono riuniti da Caruso St John per testimoniare sul linguaggio e sulla storia dell’architettura, antica e recente. Sotto il titolo “Pasticcio”, si conduce una riflessione su tipologia, proporzione e ornamento, per testimoniare quanto possano essere diversificate le forme dell’architettura contemporanea basata sulla continuità e la cultura comune. “La banalità del bene” è una critica alla pianificazione urbana dei secoli XX e XXI, a confronto con il tempo in cui architettura e urbanistica seguivano idee sociali ottimistiche. I Crimson, storici dell’arte olandesi, affermano che le città odierne hanno sostituito i concetti di giustizia, moralità e bene con quelli di efficienza, convenienza e individualismo. Interessante il lavoro dell’architetto veneziano Mario Piana, che si definisce “architetto invisibile” per il rigore e la sobrietà dei suoi interventi. Si documentano i lavori di manutenzione e di restauro effettuati su edifici di grande valore storico-architettonico. “Face-city”, ovvero le facciate delle case, in primo piano nella ricerca degli architetti Fulvio Irace, Pino Musi e Francesca Molteni. Facciate che si riferiscono alla Milano del dopoguerra, quando alcuni grandi architetti hanno creato un’architettura che si è fatta interprete della modernità. “Hands-on Urbanism 1850-2012”: mentre si concorda sull’importanza di coinvolgere la gente nella pianificazione della città, la ricerca del curatore Elke Kransny riscrive la storia dell’urbanistica dimostrando che i processi botton-up sono stati forza trainante del cambiamento per oltre 150 anni. Mettendo in discussione il ruolo degli architetti nel cambiamento urbanistico.
“Freeland” è un altro inno alle iniziative bottomup, quindi all’iniziativa dei singoli: secondo Murdu lo spazio comune nasce dalle necessità individuali piuttosto che dalla pianificazione. Nel centro di Stoccolma si pone il problema di un nodo di strade con scarso accesso pedonale. Jean Nouvel e Mia Hägg hanno partecipato a un concorso con un progetto di trasformazione dell’infrastruttura in uno spazio pubblico. La soluzione, comprendente tre ponti abitati, portava avanti un’idea forte, anche se troppo audace per una città che è molto conservatrice dal punto di vista urbanistico. “Public Works” raccoglie lavori dei dipartimenti comunali di architettura, realizzati in cinque paesi europei negli anni ‘60 e ’70. A dimostrare che esiste una modalità progettuale alternativa: esiste un’architettura al servizio della società civile, che ha grande forza se ispirata da visioni sociali coerenti e ottimistiche. E poi c’è il ruolo possibile delle riviste di architettura. Steve Parnell ha analizzato quattro testate, pubblicate ancor oggi, che hanno creato legami tra le persone durante periodi fondamentali della storia dell’architettura.
Presenze nazionali. Il premio al Giappone Il Leone d’oro della Biennale della 13^ Mostra Internazionale di Architettura è stato assegnato al Giappone. Molto coinvolgente il tema dell’esposizione, che parte dalle città spazzate via dallo tsunami del marzo 2011, e dalla gente che in quel momento perse famiglia e casa. Dopo quella catastrofe ci si chiese cosa l’architettura poteva fare per loro. Gli architetti protagonisti di questa operazione hanno riflettuto assieme alla gente del posto e hanno puntato alla costruzione di una “home for all”. Questo equivaleva a ripensare le fondamenta dell’architettura indirizzata all’uso individuale.
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8 - Performance in una sala del Padiglione Italia dei Giardini.
La mostra documenta la visita al sito, dove germogliano sensazioni e si cerca una direzione. Si individua il luogo per la “home for all”. Si dà forma concreta alle percezioni di ciascuno: dai modelli esposti si intuiscono costruzioni che integrano dei tronchi a un’idea di casa. Viene approvata l’idea dei tronchi e si sceglie di utilizzare i tronchi erosi dalla salsedine. Si procede lentamente, per tentativi, per confronti. Nel luglio 2012 inizia la costruzione della casa comune.
Bellezza e ambiente per l’Italia futura Il Padiglione Italia, presso le Tese delle Vergini all’Arsenale, è curato quest’anno da Luca Zevi. Zevi ha fatto una premessa: questo non è un anno come gli altri, e il Padiglione Italia deve diventare un’occasione per riflettere sul rapporto fra crisi economica, architettura e territorio. Il progetto vuol proporre un luogo in cui le ragioni dell’architettura e del territorio dialoghino con quelle dello sviluppo economico, un “common ground” tra imprenditoria e architettura come necessità imprescindibile per la ripresa. Il Padiglione affronta sostanzialmente due nodi cruciali. Il primo è il recupero della bellezza, che per secoli è stata l’orgoglio del nostro paese, ma poi è stata dimenticata e continuamente aggredita. Il secondo nodo è quello della sostenibilità ambientale: il che vuol dire vivere senza distruggere il pianeta. Questi temi sono stati affrontati in un percorso espositivo concettualmente articolato in quattro stagioni. A partire da Adriano Olivetti. Il racconto descrive le “quattro stagioni” dell’architettura Made in Italy. Partendo dalla figura di Adriano Olivetti, l’industriale che negli anni ’50 sente l’esigenza di un atteggiamento etico e responsabile nei confronti dei lavoratori e del territorio che accoglie le fabbriche. Può l’industria darsi dei fini? E questi fini possono
limitarsi all’indice dei profitti? Questo si chiedeva l’industriale che, dalla fine degli anni ’30, era a capo di un’azienda in crescita rapidissima, leader nella costruzione di macchine da scrivere e calcolatrici. Olivetti, appassionato d’arte e di architettura, era convinto che la sua fabbrica, pur operando secondo le regole dell’economia, doveva rivolgere i suoi fini e le sue maggiori preoccupazioni all’elevazione materiale, culturale, sociale del luogo dov’era chiamata ad operare. Così, mentre curava, sia come tecnica che come design, i prodotti aziendali, per progettare gli edifici, chiamò alcuni fra i maggiori architetti italiani (Nizzoli, Figini, Pollini, Gardella ecc.). Si impegnò, da pioniere, nella progettazione urbanistica realizzando, a Ivrea, quello che è stato considerato il più avanzato modello italiano di sviluppo territoriale del ‘900. Ma curò con grande attenzione sul piano della qualità anche le sedi dell’azienda nel sud Italia, a Pozzuoli e Matera, nonché gli edifici e showroom Olivetti del mondo. La sua curiosità in campo culturale gli fece avvicinare letterati, sociologi, economisti e artisti. Fondò il movimento Comunità e una casa editrice aperta ai maestri del pensiero. Ad ispirarlo era un convincimento profondo: si può costruire una civiltà solo coniugando Verità, Giustizia, Bellezza, Amore. Si tratta di scendere nel profondo, a una sorta di condizione originaria e autentica del nostro esistere. E a questo sembra alludere – in apertura del percorso espositivo - l’allestimento di un grande giardino interno composto da circa 5.000 piante. Quasi un grado zero dal quale dovremmo idealmente partire. Seconda stagione. Nei decenni del dopoguerra ben poche imprese si sono ispirate a ideali di armonia fra natura e ambiente costruito. La parola d’ordine era: produrre. Pressoché totale il disinteresse per una qualche espressione architettonica o di inserimento appropriato nel bel paesaggio italiano, che è stato rapidamente invaso di capannoni e insediamenti abitativi di scarsa qualità. Siamo al “grado zero” dell’architettura Made in 103
TRASPORTI & CULTURA N.33-34 Italy. Nel Padiglione curato da Zevi si prende atto di questa stagione di progressivo degrado, le cui conseguenze sono evidenti sotto i nostri occhi. Dato che interventi pubblici e speculazioni private faticano ad operare un’inversione di tendenza, i curatori hanno scelto di presentare alcune aziende del Made in Italy che – per motivi ideali o per valorizzare la propria immagine, o per entrambe le ragioni – hanno scelto di costruire le proprie sedi produttive e direzionali sulla base di progetti architettonici di eccellenza. È la terza stagione: quella che fa sperare in un’inversione di tendenza rispetto al passato recente. In mostra sono documentati, con un ricco archivio digitale, gli interventi di 99 aziende operanti in tutto il territorio nazionale. Sono in grande evidenza alcune interviste video a industriali e architetti progettisti. Quarta stagione - E per il futuro? Non possiamo che puntare sulla sostenibilità. Si tratta di mettere a sistema le imprese del Made in Italy nella direzione di una Green Economy. È una sfida destinata a confrontarsi con i grandi temi di Expo 2015, “Nutrire il pianeta”. Il Padiglione Italia diventa luogo in cui progettisti, imprenditori e politici cominciano a confrontarsi sulle questioni del vivere e del costruire, superando l’ossessione della megalopoli per lasciare spazio a nuove modalità. Si riflette sull’evoluzione del paesaggio rurale, sulla nutrizione, sui concetti di biodiversità, conservazione, memoria culturale, stratificazione. Per riqualificare gli insediamenti dovremo anzitutto superare la contrapposizione fra uomo e natura, fra costruito e territorio agricolo. Si impone l’esigenza di recuperare il rapporto con l’agricoltura e quindi col ciclo di vita delle piante e degli animali. Ma il concetto di sostenibilità investe seriamente anche le nostre città. Attraverso videonarrazioni, siamo esortati a riflettere sul consumo di suolo, sulle proposte di nuove strategie per l’uso dello spazio pubblico, su nuove economie attente al sociale. Per costruire un futuro di qualità, che soddisfi i bisogni delle persone. Lo stesso Padiglione Italia, energeticamente autosufficiente, si propone come prototipo di un modo nuovo di abitare All’esterno del Padiglione, nel prato del Giardino delle Vergini, l’artista Michelangelo Pistoletto ha collocato una sagoma di legno dell’Italia sulla quale è intervenuto con materiale di riciclo raccolto all’interno della Biennale. Riproduzione riservata ©
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TRASPORTI & CULTURA N.33-34 9 - Grafton Architects dialoga con lâ&#x20AC;&#x2122;architetto Paulo Mendes da Rocha, e in particolare col suo Serra Dourada Stadium.
10 - In basso a sinistra: Hong Kong and Shanghai Bank HQ di Norman Foster e altri (Hong Kong, 1986). 11 - In basso al centro: The banality of good, Crimson Architectural HIstorians. 12 - Modello nel padiglione del Giappone, premiato col Leone dâ&#x20AC;&#x2122;oro.
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Gli spazi urbani risuonano di Ricciarda Belgiojoso
Dimmi, poiché sei così sensibile agli effetti dell’architettura, non hai osservato, camminando nella città, come tra gli edifici che la popolano taluni siano muti, ed altri parlino, mentre altri ancora, che son più rari, cantano? E non il loro ufficio, né il loro aspetto d’insieme così li anima o li riduce al silenzio, ma ingegno di costruttore o piuttosto il favore delle Muse1 . Paul Valéry
La dimensione sonora dello spazio urbano è questione che ci riguarda tutti, quotidianamente2. Ciononostante non sembra essere oggetto di attenzione di progettisti e legiferatori quanto lo sono invece altri aspetti del vivere la città, come ad esempio la qualità costruttiva degli edifici, la qualità dell’aria, del verde, della luce, ecc. Le politiche comunitarie in materia di inquinamento acustico fondamentalmente indicano i livelli di massima intensità possibile dei rumori prodotti da veicoli, aerei e macchine, e prevedono la realizzazione di aree silenziose. Ma si può affrontare il tema con un approccio più complesso, capace di valutare suoni e rumori da un punto di vista qualitativo, oltre che rispetto al valore numerico che ne definisce l’intensità, e da diversi anni ormai vari centri di ricerca nel mondo stanno lavorando in questo senso. È indispensabile, in particolare, considerare gli effetti dei suoni sul nostro comportamento e ragionare in termini di gestione del rumore (piuttosto che di una sua riduzione): il rumore è segno di vita utile e necessario che può qualificare, oltre che squalificare, un ambiente costruito. Spunti interessanti per definire alcuni criteri di analisi e progettazione di paesaggi sonori possono essere tratti dalle sperimentazioni condotte in campo artistico: sono numerosi gli artisti e i compositori che negli scorsi decenni hanno esplorato gli spazi aperti della città in cerca di luoghi esecutivi inediti con interventi che sfruttano i fenomeni fondamentali della fisica del suono. Pensiamo ad esempio a Llorenç Barber, che da oltre vent’anni compone concerti per torri campanarie delle città di tutto il mondo, vere e proprie sinfonie costruite in base alle campane di una città e agli effetti acustici determinati dal contesto ambientale. La sua proposta per il primo City Concert 1 In Eupalino o l’architetto, Biblioteca dell’immagine, Pordenone 1997. 2 I temi qui proposti sono approfonditi nel libro di Ricciarda Belgiojoso Costruire con i suoni, Franco Angeli, 2009. L’autrice ha tenuto una relazione con lo stesso titolo nell’ambito del convegno Ingegneria, paesaggio, musica. Alla ricerca dell’armonia, che si è svolto il 15 giugno 2012 a Venezia per iniziativa del gruppo di studio Paesaggi Futuri, coordinato da Laura Facchinelli.
The Urban Spaces Resound by Ricciarda Belgiojoso The sound dimension of urban space is an issue that regards us all, every day. Nevertheless it does not seem to be a focus of attention for designers and legislators equal to other aspects of urban living, such as the quality of building construction, air, green spaces, light, etc. The European community policies in the matter of acoustic pollution basically indicate the highest levels of noise that may be produced by vehicles, airplanes and machines, and also require the institution of noise-free areas. But the theme can be addressed with a more complex approach, which can assess sounds and noise from the point of view of quality, and with respect to the numeric value that defines its intensity. It is essential to consider the effects of sounds on our behaviour. These are interesting ideas for the definition of criteria for the analysis and design of soundscapes that could be inspired by experimentation in the field of art, some interesting examples of which are described by the author.
Nella pagina a fianco: tre vedute del Museo Veneto delle campane, allestito nella villa Fogazzaro-Colbachini di Montegalda, Vicenza (foto di Laura Facchinelli).
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1 - In alto, a sinistra: Janet Cardiff, Münster Walk for Skulptur Projekte Münster, courtesy Janet Cardiff 2 - In alto a destra: veduta di Münster. 3 - La copertina del libro di Ricciarda Belgiojoso Costruire con i suoni.
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risale al 1988, la sua esecuzione avviene l’anno successivo, nella città di Ontinyent. Al concerto di Ontinyent seguono, sempre in Spagna, quelli di Valladolid, Avila, Siviglia (con trecento suonatori di campane) e Murcia (in occasione della Noche de los Conjuros la città viene completamente trasformata, con migliaia di candele disseminate sui tetti e sulle terrazze), poi numerose sedi all’estero tra cui Città di Castello (che in occasione del concerto fa spegnere tutte le luci della città eccetto quelle delle torri companarie, in modo da sottolineare la provenienza dei suoni, come a rappresentare una geografia sonora della città), Innsbruck (che per l’occasione devia le tratte aeree che abitualmente attraversano lo spazio previsto per il concerto, in modo da non disturbare l’esecuzione della sinfonia di campane), Poznan, in Polonia (dove gli abitanti partecipano attivamente al concerto unendosi nel finale suonando campanelli di vario genere), Maastricht (dove viene affittato un grande carillon, perché i due presenti in città non sono ritenuti sufficienti), Lisbona (famosa per l’intonazione delle sue campane: secondo una tradizione locale dentro ad alcune di esse è scritto «il loro suono riempie tutta la terra», tanto che Barber compone una musica melodica, con successioni di note ed arpeggi appartenenti al sistema tonale) e Heidelberg, dove Barber musica il Cammino dei Filosofi. Nella pratica compositiva Barber comincia dallo studio del suono di ogni campana e del tessuto urbano della città, per poi valutare le possibili relazioni degli strumenti con il contesto e degli strumenti tra loro (ad esempio un effetto di botta e risposta tra le campane). I maestri campanari sono dotati di partitura e cronometri, per condurre insieme il brano, non potendo riferirsi ad un direttore d’orchestra. Gli strumenti aggiunti sono in genere liberi di muoversi nella città: fonti sonore mobili sono affiancate a quelle fisse delle campane. Barber interpreta musicalmente lo spazio, nelle sue dimensioni e nella sua complessità: vuole gestire gli effetti di eco, risonanza e riflessione dei suoni, valuta le distanze tra le sorgenti, gli ascoltatori e gli elementi architettonici e gli effetti relativi alla propagazione del suono, come ad esempio lo sfasamento e il decadimento delle onde sonore, in funzione della velocità, della dinamica del suono, della dispersione e della resistenza dell’aria. Ascol-
tare un concerto per campane di una città nel modo migliore possibile prevede che il pubblico passeggi lungo i percorsi tra le varie chiese, evitando di avvicinarsi ad un singolo campanile per non perdere l’effetto di insieme, oppure che ascolti il concerto da un punto elevato della città. In modo analogo dal 1995 a Montréal è tradizione tenere concerti all’aperto, nella zona portuale, per la manifestazione delle Sinfonie Portuali di Pointeà-Callière: il Museo di Pointe-à-Caillère commissiona annualmente a un compositore un brano da far eseguire alle sirene delle navi attraccate alle banchine del Porto Antico. Le sinfonie portuali sono realizzate grazie al sostegno finanziario dell’Intesa per lo sviluppo culturale di Montréal del Ministero della Cultura e delle Comunicazioni del Québec e il Comune di Montréal, e al contributo della Società del Porto Antico di Montréal e della Società di sviluppo commerciale di Montréal antica, oltre ad alcuni sponsor privati. Sono occasioni per animare e riqualificare il quartiere storico di Montréal, generalmente paralizzato dal freddo durante i mesi invernali con la sospensione di qualsiasi attività. Intendere il Porto Antico di Montréal come orchestra significa saper mettere in musica un vasto spazio sonoro e trattare come strumenti musicali fonti sonore inconsuete. L’‘orchestra stabile’ è dotata delle sirene di alcune navi e alcuni rimorchiatori, oltre alle campane della vicina chiesa di Notre-Dame e ai treni nella stazione nei pressi del Museo di Pointe-à-Callière. I compositori possono scegliere quali strumenti utilizzare ed eventualmente integrare l’organico con alcuni strumenti aggiunti – nel corso delle edizioni più recenti delle Sinfonie Portuali sono stati aggiunti strumenti a percussione e ottoni. Un tema specifico di questa affascinante pratica di mettere in musica gli spazi urbani riguarda i percorsi sonori. Ad esempio pensiamo al lavoro di Janet Cardiff, che realizza passeggiate sonore da oltre trent’anni. Fondamentalmente operano una trasformazione della nostra percezione dello spazio che ci circonda. In questo senso nel 1997 la Cardiff è stata invitata a partecipare alla manifestazione Skulptur Projekte di Münster, internazionalmente nota come la più importante esposizione a livello internazionale di “scultura contemporanea”, una scultura rivolta alla città e al suo pubblico. In questa occasione la Cardiff presenta Walk Mün-
TRASPORTI & CULTURA N.33-34 ster, opera strutturata in due parti: un tour audio nel centro della città di Münster 3e un’installazione nel museo della città, al secondo piano della vecchia sezione del Westfälisches Landesmuseum. La prima parte del lavoro prevede che il pubblico passeggi per le strade e nei parchi urbani del centro della città di Münster, nei dintorni del museo, guidato da un nastro ascoltato in cuffia, come nelle classiche audioguide delle visite museali. La seconda parte consiste in un video proiettato in una sala al primo piano del Westfälisches Landesmuseum, di fronte alle finestre che si affacciano sulla piazza del Duomo. Sul nastro da ascoltare in cuffia è registrata una traccia audio composta dai rumori registrati in loco e da suoni fabbricati sinteticamente dall’artista. La tecnica utilizzata nella registrazione dei rumori e della voce registrata è binaurale: effettuata mediante l’uso di microfoni posizionati nei padiglioni auricolari di un individuo o di un manichino permette di riprodurre, quando trasmessa in cuffia, una situazione particolarmente verosimile. Janet Cardiff focalizza l’attenzione su come la nostra percezione dello spazio sia determinata dal senso dell’udito, e su come è possibile agire su di essa intervenendo sui suoni. Gioca sulla percezione sincronica di eventi, reali e simulati. La struttura narrativa che il nastro dispiega durante la passeggiata è costruita intorno alla storia e alla geografia del luogo e a esperienze personali dell’artista, per cui coinvolge emotivamente l’ascoltatore. La parte video dell’opera, allestita all’interno del museo, è costituita da un apparecchio telescopico puntato fuori dalla finestra, nell’area in faccia al museo adibita a mercato. Il pubblico vi guarda attraverso e vede una scena che è stata registrata dallo stesso identico punto di ripresa dallo stesso apparecchio, come se stesse accadendo realmente in quell’istante. Anche qui è tutto giocato sul rapporto tra realtà e illusione. La voce della Cardiff sussurra nell’orecchio dell’ascoltatore proiettandolo nell’ambiente circostante tramite le cuffie: le due esperienze, quella reale e quella registrata, guidano l’ascoltatore in giro per la città, lungo le strade, attraverso le piazze e i parchi, intorno agli edifici. L’artista gioca sulla tensione creata dai contrasti tra esperienza visiva e sonora (pensiamo ad esempio ai suoni degli agenti atmosferici e del traffico). Un’altra artista che ha fondato la sua opera sugli itinerari sonori urbani è Viv Corringham. Dagli anni settanta esegue performance centrate sull’esplorazione dell’ambiente circostante attraverso la voce; per anni ha basato la sua opera su improvvisazioni vocali in luoghi pubblici urbani denominate vocal strolls, cantando a zonzo. Privilegia la voce come strumento per le sue qualità di poter facilmente variare lo spettro armonico, produrre suoni più o meno intonati, modulare delicatamente tra diversi generi di suoni, esplorando infinite possibili intonazioni. Il principio di vocalizzare il paesaggio sonoro è teso ad indagare le caratteristiche acustiche degli spazi costruiti, gli effetti prodotti dall’interazione tra spazio e suono e a comporre paesaggi sonori incorporando la voce. Viv Corringham effettua passeggiate sonore urbane da una decina d’anni. Ha cominciato con Londra, poi Shanghai e varie città portoghesi e italiane. Utilizza in genere un sistema di registrazione 3 Manifestazione internazionale fondata nel 1977 dedicata alla scultura, si svolge ogni dieci anni a Münster. Esplora il significato della scultura contemporanea, propone progetti che presentano una stretta interrelazione tra arte, città e pubblico.
binaurale e interviene poi sui suoni caratteristici di un luogo con libere improvvisazioni vocali: registra una combinazione della performance live e del paesaggio sonoro. Le sue soundwalks sono intese come itinerari che incoraggiano chi li percorre ad intervenire con commenti sonori (diversamente dalle listening walks, che invece prevedono un ascolto passivo). L’improvvisazione è intesa specificatamente per reagire alle caratteristiche immediatamente percepite nell’intorno, a sottolineare il carattere estemporaneo di ciascun istante di un paesaggio sonoro. Voce e ambiente si rispondono vicendevolmente. Camminare è per Viv Corringham un’attività ordinaria che apre l’uomo al significato di un luogo e invita a comprendere l’ambiente circostante. Come Janet Cardiff, alla base delle passeggiate sonore della Corringham vi è il tentativo di ricostruire la storia di un luogo. Negli anni più recenti ha lavorato su una forma particolare di passeggiata sonora denominata shadow-walk, in cui si rivolge ad alcune persone e chiede di accompagnarle in una passeggiata che abbia per loro un particolare significato affettivo. Percorrendo insieme l’itinerario, la Corringham procede registrando il paesaggio sonoro, poi lo stesso percorso lo effettua senza accompagnatore, cercando di immedesimarsi nell’altro e scoprire i significati a lui cari in quell’itinerario, sempre intervenendo con effetti vocali. Le improvvisazioni vocali rappresentano le ombre sonore dello spazio vissuto, sono espressione di quei luoghi. E sottolineano l’approccio esplorativo della passeggiata, come quello del flâneur della letteratura francese di inizio ottocento, il camminatore che si aggirava solitario nella metropoli e scopriva luoghi sconosciuti seguendo itinerari intuitivi e casuali. L’azione del percorrere lo spazio è pratica estetica ma anche utile strumento cognitivo e progettuale: l’ascolto previsto dalle passeggiate sonore è teso a esplorare l’ambiente urbano e a studiare eventuali interventi migliorativi. Riproduzione riservata ©
Bibliografia e discografia Attali J. (1977), Bruits. Essai sur l’économie politique de la musique, Presses Universitaires de France, Parigi. Augoyard J.-F. (dir.) (1995), A l’écoute de l’environnement. Répertoire des effets sonores, Editions Parenthèses, Marsiglia. Barber L. (2002), Y el sol se ayuntó a la campana, CD vertex, Madrid. Barber L. (2001), Naumaquia for Puerto Vallarta, CD vertex, Madrid. Belgiojoso R. (2009), Costruire con i suoni, Franco Angeli, Milano. Valéry P. (1997), Eupalino o l’architetto, Biblioteca dell’immagine, Pordenone. Cardiff J. (2005), The walk book, Verlag der Buchhandlung Walther König, Colonia. Careri F. (2006), Walkscapes. Camminare come pratica estetica, Einaudi, Torino. Corringham Viv (2010), Shadow-walks in the USA, CD Deep Listening.
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Il tracollo dell’urbanistica: fotografia dell’Italia dal dopoguerra di Laura Facchinelli
“L’eclissi del paesaggio italiano, avvenimento di rilievo mondiale, avviene nella generale indifferenza: a partire dall’amministrazione dello Stato”. Questa la constatazione, accorata, che apre un piccolo-grande libro di Leonardo Benevolo: Il tracollo dell’urbanistica italiana (Laterza, 2012). In poco più di 100 pagine uno dei più noti studiosi di storia dell’architettura ricostruisce le vicende che hanno segnato l’urbanistica, nel nostro paese, negli ultimi settant’anni, per far capire come si è arrivati alla situazione di rovina che è sotto gli occhi di tutti. La storia raccontata parte dal periodo fascista, al quale risalgono leggi di base come quella sulla protezione delle cose di interesse artistico e storico (1939) e la legge urbanistica generale (1942). Dopo i programmi di modernizzazione attuati dal regime, nel dopoguerra parte la ricostruzione. Presso il Ministero dei Lavori Pubblici opera la Direzione Generale dell’Urbanistica, che gestisce dal centro l’approvazione di tutti i piani regolatori italiani. Benevolo descrive le esperienze significative compiute da alcune amministrazioni di Lombardia ed Emilia a partire dagli anni ’50. Quelle esperienze, concordanti tra loro, erano potenzialmente sufficienti a trasformare la teoria e la pratica dell’urbanistica nel nostro paese, a patto – scrive Benevolo - che durasse l’impulso politico da cui dipendevano. Cosa che non avviene: così quelle iniziative si chiudono nell’arco di un decennio. Segue una mutazione: dalle esperienze concrete, tecniche, si passa ad una molteplicità di proposte teoriche, ideologiche. Nei restauri dei monumenti non viene sempre osservata l’istruzione che vietava la ricostruzione degli edifici in stile: questo provoca infiniti guasti. Per la regolamentazione dei nuovi insediamenti, le prime indicazioni normative arrivano nel 1967. A quell’anno risale anche una moratoria che scatena una valanga di licenze edilizie rilasciate ovunque, in una totale assenza di direttive. Nel 1970 avviene un cambiamento istituzionale rilevante: vengono istituite le Regioni a statuto ordinario, e a quelle passano le competenze in materia di urbanistica. La Direzione Urbanistica nazionale presso il Ministero dei Lavori Pubblici viene sciolta. E dunque “L’Italia, differenziandosi in questo dalla migliore tradizione europea, rinuncia ad un ruolo di coordinamento nazionale delle politiche urbane e addirittura trascura di elaborare una legge quadro di principi (…) a cui si debbano attenere le legislazioni regionali che, da allora in poi, evolvono ciascuna per la propria strada”. Mentre l’impalcatura statale si irrigidisce, a livello esecutivo le procedure di pianificazione si complicano. “Le regole urbanistiche, minuziose ed esigenti, scritte da persone che non conoscono le
situazioni reali, rendono tristemente uniformi gli elaborati urbanistici all’interno di ogni regione, e svaniscono ai confini, oltre i quali compaiono inspiegabilmente altre regole parimenti obbligatorie”. L’autore porta due esempi recenti della condizione di irrilevanza e discredito in cui è relegata la materia urbanistica: gli interventi dopo il terremoto d’Abruzzo del 2009 e il “Piano Casa”. C’è una via d’uscita per il futuro? Secondo l’autore, per una correzione al dissesto attuale, occorre individuarne le due componenti: il consumo dello scenario fisico e il deterioramento disciplinare. Con tre operazioni. Prima operazione: discutere il ruolo attuale dell’urbanistica moderna, che è stata strumento primario per la ricostruzione dopo le due guerre mondiali. Seconda operazione: è necessario fare il punto sulla rovina del paesaggio italiano che “sta cancellando la rappresentazione fisica della cultura visiva italiana”. Interessante l’analisi: fra le due guerre, l’Italia ha perso il contatto con la pratica urbanistica europea perché questa è legata alla democrazia politica, mentre il nostro paese in quel momento ha imboccato la strada del totalitarismo. Dopo le rielaborazioni urbanistiche del Fascismo, la ricostruzione è stata così rapida, che è mancato un periodo di ripensamento sufficientemente lungo, e le scelte sono state dettate dalle ideologie politiche. La distruzione del paesaggio italiano ha avuto origine in questo modo. E le manomissioni e devastazioni dell’ambiente sono proseguite in una totale assenza di controllo, così da impedire un rapporto utile col glorioso passato e senza slancio verso le novità. Per arrivare alla società odierna, dove ogni modificazione fisica deve rispondere al criterio dell’equilibrio fra prestazioni e costi. La terza operazione urgente è la riflessione sulle esperienze in atto nel nostro paese: involuzione del dibattito teorico e interventi in corso. La competenza sulle opere pubbliche è frazionata fra Province e Regioni, e questo rende impossibile un controllo coerente del territorio. Occorre concretezza, col supporto di procedure ragionevoli. Occorre modificare i poteri di approvazione dei piani comunali, affidando allo Stato il compito di tenere sotto controllo della situazione, anche come segno della rilevanza del paesaggio. Occorre conoscere e classifficare le esperienze, catalogare i piani urbanistici in corso. É urgente, in altre parole, correggere la rotta, evitando gli errori del passato. Solo così si può sperare in un futuro diverso e migliore. Riproduzione riservata ©
Nella pagina a fronte: due immagini emblematiche della disarmonia e banalità del paesaggio urbano. 1 - In questa pagina: la copertina del libro.
Nella pagina seguente: Franco Purini, Laura Thermes, Eurosky, disegno di studio.
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Autori
Cristina Marietta - SiTI, Istituto Superiore sui Sistemi Territoriali per l’Innovazione, Torino Matteo Tabasso - SiTI, Istituto Superiore sui Sistemi Territoriali per l’Innovazione, Torino Maria Cristina Treu – Prof. Ordinario di Urbanistica, Politecnico di Milano Renzo Ferrara - Architetto libero professionista Piero Michieletto - Architetto, Professore a contratto presso l’Università della Basilicata Riccardo Renzi - Architetto, Dottore di ricerca in Progettazione Architettonica ed urbana, Professore a contratto, Università di Firenze Andrea Vignaroli - Responsabile Ufficio Tecnico e Affari Generali, Minimetrò SpA, Perugia Paolo Belardi - Docente di Progettazione digitale, Università degli Studi di Perugia. Oriana Giovinazzi - Dottore di ricerca in Pianificazione Territoriale e Politiche Pubbliche, Università IUAV, Venezia Alessandro Tricoli – Architetto, Dottore di ricerca in Recupero e fruizione dei contesti antichi, Venezia Franco Stella - Prof. di Progettazione architettonica, Università di Genova Ricciarda Belgiojoso – Achitetto e pianista, docente Politecnico di Milano. Monica Manicone - Dottoranda in in Architettura e Costruzione - Spazio e Società (DRACO), presso la “Sapienza” Università di Roma Laura Zerella - Dottoranda in Composizione Architettonica (DRCA) presso l’IUAV di Venezia
Foto di copertina: la Murinsel di Graz (foto di Laura Facchinelli).
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