ARCHITETTURE LUNGO LE AUTOSTRADE

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Comitato d’Onore: Paolo Costa già Presidente Commissione Trasporti Parlamento Europeo Giuseppe Goisis Filosofo Politico, Venezia Franco Purini Università La Sapienza, Roma Enzo Siviero Università telematica E-Campus, Novedrate Maria Cristina Treu Architetto Urbanista, Milano Comitato Scienti co: Oliviero Baccelli CERTeT, Università Bocconi, Milano Alessandra Criconia Università La Sapienza, Roma Alberto Ferlenga Università Iuav, Venezia Anne Grillet-Aubert ENSAPB Paris-Belleville, UMR AUSser Massimo Guarascio Università La Sapienza, Roma Stefano Maggi Università di Siena Giuseppe Mazzeo Consiglio Nazionale delle Ricerche, Napoli Cristiana Mazzoni ENSA Paris-Belleville, UMR AUSser Marco Pasetto Università di Padova Michelangelo Savino Università di Padova Luca Tamini Politecnico di Milano In copertina: Melchiorre Bega e Pierluigi Nervi, Autogrill a ponte. Area di servizio Limenella Sud, Autostrada A4 Milano-Venezia. Foto di Stefanos Antoniadis (2020)

Zeila Tesoriere Università di Palermo - LIAT ENSAP-Malaquais


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Rivista quadrimestrale settembre-dicembre 2020 anno XX, numero 58 Direttore responsabile Laura Facchinelli Direzione e redazione Cannaregio 1980 – 30121 Venezia e-mail: laura.facchinelli@trasportiecultura.net laura.facchinelli@alice.it

5 ARCHITETTURE LUNGO LE AUTOSTRADE di Laura Facchinelli

7 NOTE SULLE ORIGINI E GLI SVILUPPI DELLE ARCHITETTURE AUTOSTRADALI 17 LE ARCHITETTURE PER L’ASSISTENZA AI VIAGGIATORI SULLE AUTOSTRADE ITALIANE TRA CORPORATE IDENTITY E SFIDE COSTRUTTIVE 19561970 25 ARCHITETTURE LUNGO I SISTEMI CHIUSI/APERTI DELLE AUTOSTRADE di Luigi Siviero

2020 © Laura Facchinelli Norme per il copyright: v. ultima pagina Editore: Laura Facchinelli C.F. FCC LRA 50P66 L736S

Autorizzazione del Tribunale di Verona n. 1443 del 11/5/2001 ISSN 2280-3998 / ISSN 1971-6524

di Francesco Spada e Jan Jacopo Bianchetti

119 I LUOGHI DI RISTORO AUTOSTRA DALI NEL CINEMA di Fabrizio Violante

41 DINAMICITÀ E ARCHITETTURE ALLA SCALA DEL PAESAGGIO. L’AREA DI SOSTA GARABIT LUNGO L’AUTOSTRADA A75 IN FRANCIA

133 EDIFICI PER L’ASSISTENZA AI VIAGGIATORI: L’EPOPEA DELLA GRANDE ARCHITETTURA LUNGO LE AUTOSTRADE

49 NORTHALA FIELDS PARK, UN’AREA DI SERVIZIO COME LUOGO INTERMEDIO

139 INFRASTRUTTURE, RIFLESSIONI SULLA GESTIONE DEL PATRIMONIO ESISTENTE

di Stefania Mangini

57 A5 LISBOACASCAIS, UNA RICERCA DI LETTURA E RISCRITTU RA TRA MORFOLOGIA E PERCEZIONE di Joao Leite e Stefanos Antoniadis

67 MICHI NO EKI: ARCHITETTURE IBRIDE SULLE AUTOSTRADE DEL GIAPPONE di Giusi Ciotoli e Marco Falsetti

75 AREE DI SERVIZIO AUTOSTRADALE: NUOVI FORMATI E SCENARI EVOLUTIVI di Luca Tamini

Pubblicato a Venezia nel mese di dicembre 2020

111 ANGELO BIANCHETTI, L’ARCHITETTO DEGLI AUTOGRILL

127 NECESSITÀ DI ARCHITETTURA

di Chiara Azzali

La rivista è pubblicata on-line nel sito www.trasportiecultura.net

intervista a Gianfranco Ferraro e Massimo Iosa Ghini a cura di Laura Facchinelli

33 FORME COSPICUE LUNGO LE AUTOSTRADE di Luigi Stendardo

Traduzioni in lingua inglese di Olga Barmine

di Giuseppe Canestrino

103 PROGETTARE GLI SPAZI PER LA RISTORAZIONE IN AUTOSTRADA. L’ESPERIENZA DI CREMONINI

di Laura Greco

di Laura Greco e Francesco Spada

La rivista è sottoposta a double-blind peer review

95 L’EVOLUZIONE DEI SERVIZI DI ASSISTENZA NELLE STRATEGIE D’IMPRESA. IL CASO DI AUTOGRILL SPA

85 L’AUTOSTRADA DEL BRENNERO E L’ARCHITETTURA DEL TRANSITO: LE AREE DI SERVIZIO DA NON LUOGHI A IPERLUOGHI di Carlo Costa, Alessandro Magnago e Alessandro Franceschini

di Luigi Siviero

di Laura Facchinelli

di Giovanni Giacomello


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Architecture along the motorways by Laura Facchinelli

There is a segment of twentieth-century architecture that has yet to be explored, the segment of constructions along motorways built to provide services and assistance to persons and vehicles. The network of motorways has grown rapidly since the 1950s; in the meantime, the number of motorists increased just as fast. As they travelled along those asphalt strips, they had to ll up on petrol, use the bathrooms, buy food and drink. This was a new and very promising retail sector, and so the major Italian food companies – inspired by the early American experiences – conceived organized rest stops. Forward-looking and ambitious industrial leaders commissioned young architects to design new concepts in buildings; they wanted to kindle the imagination, to indulge desires stirred by the siren song of growing consumerism: the “autogrills” came up structurally bold, with great visual impact. Similar design projects were developed by the major oil companies for the service stations. These were architectural works conceived as temporary and exible, in preparation for the foreseeable rapid transformation of needs. There’s no denying the interest in this design phase. Yet the architectural works on the motorways have been somewhat “forgotten” by scholars, they have been pushed aside, as if they were unworthy of attention. The same neglect reserved for the greater sphere of transportation infrastructure: too “technical”, too “functional”, not “creative” enough. This chapter on the architecture of motorways came to an end as the impetus that drove companies during the economic boom to participate with pride in the country’s modernization, began to dwindle. The aspiration to create new forms waned; patrons no longer challenged one another with the designs; with their balance sheets in hand, they chose to save money on the construction of buildings and to invest instead in strategies to display their merchandise, to seduce the greatest possible number of compulsive buyers. We are thus talking about forgotten architecture, aware of both history and practice. It should not come as a surprise that the autogrill service areas, which we are now beginning to reassess on the theoretical level, have in the meantime been “updated” and that even today, the original buildings are being demolished and rebuilt, and their memories left to company publicity, to ennoble the more recent endeavours. It is with great passion that we conceived this issue of our magazine, an issue that is divided into three parts. The rst is history, where we reconstruct the story of the architecture built to assist travellers from the mid-1950s to 1970, when projects were developed by great architects for major companies such as Pavesi, with architect Angelo Bianchetti. The second part focuses attention on the typological characteristics of motorway architecture, with recent projects developed in Italy, France, England, Portugal, Japan. The third part delineates the current con guration of service areas, exploring the market strategies and plans of the specialists in motorway catering: Autogrill and Cremonini. For a better understanding of the radical changes that took place over the decades in motorway service areas, we will analyse how they were represented in lms, which revealed behaviours and frames of mind. Once again, the Artists demonstrate the special intelligence that allows them to “feel” and to “make us feel” the world in which we live.

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Architetture lungo le autostrade di Laura Facchinelli

C’è un segmento dell’architettura del Novecento che è stato poco esplorato: è quello che riguarda le costruzioni destinate a svolgere, lungo le autostrade, i servizi di assistenza alle persone e ai veicoli. La rete delle autostrade si è ampliata rapidamente a partire dagli anni ’50; intanto, con ritmo altrettanto serrato, aumentava il numero degli automobilisti che, percorrendo quei nastri d’asfalto, dovevano rifornirsi di carburante, usufruire dei servizi, acquistare cibi e bevande. Era un settore commerciale nuovo e molto promettente, pertanto le maggiori aziende dolciarie italiane – prendendo spunto dalle prime esperienze americane - hanno pensato a punti di sosta organizzati. Industriali lungimiranti e ambiziosi hanno dato incarico a giovani architetti di progettare edi ci di nuova concezione; si voleva colpire la fantasia, assecondare desideri già accarezzati dalle sirene di un crescente consumismo: ed ecco che gli “autogrill” nascevano strutturalmente arditi e di grande impatto visivo. Analoghe iniziative progettuali venivano avviate dalle maggiori compagnie petrolifere per le stazioni di servizio. Erano architetture pensate come temporanee, essibili, a fronte di una prevedibile rapida trasformazione delle esigenze. Come negare l’interesse di quella fase progettuale? Eppure le architetture delle autostrade sono state un po’ “dimenticate” dagli studiosi, sono state accantonate, come non degne di attenzione. Proprio come si è trascurata a lungo la conoscenza del più vasto ambito delle infrastrutture di trasporto: troppo “tecniche”, troppo “funzionali”, non abbastanza “creative”. Questo capitolo delle architetture lungo le autostrade si è interrotto quando è venuto meno lo slancio che, nei citati anni del boom economico, spingeva le aziende a partecipare con orgoglio alla modernizzazione del Paese. L’aspirazione a creare nuove forme si è affievolita; i committenti non si sono più confrontati a colpi di progetti d’autore: bilanci alla mano, hanno preferito risparmiare sulla costruzione dell’edi cio e investire, invece, in accorte strategie di esposizione delle merci, per sedurre il maggior numero possibile di acquirenti compulsivi. Parliamo di architettura dimenticata, dunque, sia nella consapevolezza storica che nella pratica. Non ci sorprende pertanto che gli autogrill, che oggi cominciamo a rivalutare sul piano teorico, siano stati, nel frattempo, “aggiornati” e che anche oggi si intervenga con la demolizione-ricostruzione degli edi ci originari, la cui memoria resta soltanto nelle comunicazioni aziendali, per nobilitare le imprese recenti. È con molta passione che abbiamo concepito questo numero della rivista, numero che si articola in tre parti. La prima è la parte storica, dove si ricostruisce l’epopea delle architetture per l’assistenza ai viaggiatori nel periodo dalla metà agli anni ’50 al 1970, nel quale si svilupparono i grandi progetti d’autore che videro protagonisti, fra gli altri, l’azienda Pavesi con l’architetto Angelo Bianchetti. La seconda parte presta attenzione ai caratteri tipologici delle architetture autostradali, con progetti recenti realizzati in Italia, Francia, Inghilterra, Portogallo, Giappone. La terza parte delinea l’attuale con gurazione delle aree di servizio, indagando su strategie commerciali e programmi degli specialisti della ristorazione autostradale: Autogrill e Cremonini. Per comprendere meglio i cambiamenti radicali che, nel corso dei decenni, hanno investito anche le aree di servizio autostradale, analizziamo alcune rappresentazioni cinematogra che, dove si svelano comportamenti e stati d’animo. Ancora una volta gli Artisti dimostrano una speciale intelligenza per “sentire” e “farci sentire” il mondo in cui viviamo.

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Note sulle origini e gli sviluppi delle architetture autostradali di Laura Greco

Le origini delle architetture autostradali (stazioni di servizio, autogrill, motel, stazioni per il pedaggio autostradale e centri di manutenzione) risalgono agli inizi del Novecento, quando negli Stati Uniti nascono le prime stazioni di rifornimento, progressivamente diffusesi in Europa (1920-1930). Il repertorio europeo è ispirato all’iconogra a e alle tecniche dell’architettura moderna, annoverando soluzioni standardizzate e pezzi unici. Dopo la seconda guerra mondiale, con la ricostruzione delle reti autostradali esistenti e la realizzazione di nuove, si registra la fusione delle funzioni di sosta e assistenza nell’area di servizio autostradale, il cui sviluppo è caratterizzato dall’architettura degli edi ci ristoro, che conquistano il primato gurativo e costruttivo del segmento dei manufatti autostradali. L’analisi di queste vicende, soprattutto attraverso i vasti archivi dei progettisti e dei gestori dei servizi, costituisce l’occasione per ricostruire la geogra a e la cronologia degli eventi e per cogliere i tratti dell’eredità che quelle esperienze, nonostante gli evidenti limiti che la produzione dello scorso secolo oggi evidenzia, hanno consegnato al dibattito architettonico più recente sul tema. La visione delle stazioni di servizio come “cittàservizio del futuro” pre gurata da F.L. Wright negli anni Trenta attende ancora di trovare piena concretizzazione. L’assistenza ai viaggiatori e agli autoveicoli, complici i programmi commerciali e gli investimenti su larga scala delle catene della ristorazione organizzata e della distribuzione dei carburanti, conquistano n dalle origini del fenomeno un primato gurativo e costruttivo frutto della combinazione di tecniche e strumenti del progetto dell’architettura, dell’ingegneria, della gra ca pubblicitaria. Ciononostante, questa produzione è stata rapidamente dimenticata, causa il carattere utilitaristico del repertorio in generale, la provvisorietà dei manufatti talvolta, la inevitabile sussidiarietà del progetto delle opere complementari rispetto al disegno primario

Notes on the origins and developments in motorway architecture

by Laura Greco

Motorway architecture was established in the United States in the early 20th century and later spread through Europe in the 1920s and ‘30s. The architectural repertoire was inspired by the iconography and techniques of modern architecture, ranging from one-of-a-kind buildings to standardized solutions. After World War II, in service areas located along the new and existing motorways, the typical functions of service stations merged with those of the rest areas. In a few short years, models of service areas were developed that experimented with the visual and functional relationship between the motorway and the service station. The bridge-type service areas with the “autogrill” restaurants, typical of Italian motorways, were particularly distinctive. The analysis of these events and of the architectural typologies they engendered, constitutes an opportunity today to discover the vast historical archives of the designers and their clients, to study the evolution of the typological and structural characteristics, to analyse the contribution of twentieth-century motorway architecture to today’s debate on the relationship between infrastructure, architecture and landscape design, adapted to new models for the use and management of motorways. Frank Lloyd Wright declared service stations to be the “service cities of the future”, destined to become “a distribution centre, a meeting place, a restaurant, a waiting room or whatever else is deemed necessary”. This vision has yet to be fully developed.

Nella pagina a anco, in alto: gra ca pubblicitaria su stazione di rifornimento urbana, 1925 (A. Sompairac, Stations Service, 1993). In basso: Stazione di servizio Titan, Zurigo, Svizzera, 1934. Progetto di V.K. Egender a W. Muller (A. Sompairac, Stations Service, 1993).

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1 - Stazione di servizio Kystvejen, Klamperborg (Danimarca), 1938. Progetto di Arne Jacobsen (A. Sompairac, Stations Service, 1993).

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dell’infrastruttura; circostanze che hanno indotto per lungo tempo le discipline del progetto a trascurare questo tema, fatti salvi alcuni episodi singolari, da ascriversi alla serie delle opere d’autore, censiti anche nelle letture storiche della produzione architettonica del Novecento. L’interesse ritrovato all’alba del nuovo secolo dalle discipline del progetto per il disegno delle reti, per la loro interazione con l’assetto paesaggistico dei territori, per le potenzialità dei nodi quali poli di urbanità plurali e complesse, ha contribuito a riscoprire il dominio tipologico- gurativo delle architetture autostradali, favorendo – nel contempo – utili retrospettive sulla stagione delle origini e dello sviluppo del loro catalogo. La considerazione di questi materiali si conferma – ancora oggi – un’attività pro cua per la ricostruzione dei processi di gestione delle catene di assistenza, per la ricomposizione dell’evoluzione tipologica del settore, per l’arricchimento della conoscenza delle pratiche costruttive del Novecento, per pre gurare e attuare traiettorie di rinnovamento efficaci di questo tema progettuale. Nell’ultimo decennio, il vasto patrimonio degli archivi dei progettisti dei manufatti e dei gestori delle catene di as-

sistenza autostradale1 si è progressivamente disvelato come serbatoio inesplorato – o quasi – al quale attingere per disegnare mappe geogra che e tipologiche (Deschermeier 2008; Pozzi 2009), per ordinare la grammatica di apparecchi costruttivi sperimentati nelle realizzazioni singolari e collaudati nella produzione seriale (Greco 2010), per tessere relazioni di contiguità e posizionare tratti di originalità in un campo che – apparentemente – si è strutturato negli scenari internazionali su regole universali (Deschermeier 2008, Greco 2010, Ciorra 2013). Nonostante la generalizzazione dei modi d’uso degli spazi e delle attrezzature, che ha favorito la formazione di modelli comuni a diverse realtà geogra che e socio-economiche, una posizione di avanguardia è da riconoscersi alla vicenda statunitense, anche semplicemente in virtù delle evidenze cronologiche che collocano oltreoceano l’o1 Valga per tutti il riordino dell’archivio storico dell’Ente Nazionale Idrocarburi (Eni) che ha portato alla luce le politiche programmatorie e le vicende progettuali e costruttive dell’Azienda Generale Italiana Petroli (Agip) nell’arco del Novecento in Italia, in Europa e nei territori delle ex-colonie italiane in Africa.


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rigine delle stazioni di rifornimento urbane, delle stazioni di servizio, dei punti ristoro e dei motel per le reti extra-urbane, dove queste categorie di manufatti prendono forma a partire dai primi del Novecento, costituendo un riferimento costante per gli altri contesti. All’avanguardia statunitense volge lo sguardo il contributo europeo che si sostanzia nel periodo tra le due guerre, dapprima con le stazioni urbane, specializzate nell’assistenza agli autoveicoli e affermatesi come una delle espressioni dell’ideologia della macchina, enfatizzata nell’architettura del manufatto e delle sue parti. La dimensione costruttiva, narrata dai progettisti attraverso l’uso dei materiali e delle tecniche moderne, si attesta nel panorama europeo come uno dei valori connotanti questa produzione che, superati gli indugi iniziali, prende le distanze dal linguaggio neoclassicista delle prime realizzazioni d’oltreoceano. Dopo il secondo conitto mondiale, committenza e gestori delle reti del vecchio continente – impegnati nella costruzione delle nuove autostrade e nel risanamento di quelle danneggiate – riconoscono nelle stazioni extraurbane, e autostradali in particolare, il caposaldo cui ancorare la formazione di un repertorio di architetture autostradali decise a competere con il più maturo catalogo statunitense. In questo frangente, l’assistenza ai viaggiatori occupa un ruolo egemonico nella declinazione del tema progettuale; il potenziamento della rete di strade extraurbane pone infatti il viaggiatore lontano dalla sfera di in uenza funzionale della città, alterando i “reciproci originari rapporti di stretta complementarietà d’uso e funzione” (Boaga et al. 1973, p. 13) stabiliti tra strada e città, e sollevando così la necessità di punti di assistenza per il veicolo e il viaggiatore lungo i percorsi extraurbani. Complice il progresso registrato dalla meccanica dei veicoli, l’assistenza alle auto diventa un punto complementare di un programma di arricchimento funzionale della rete di servizi che pone al centro del suo interesse il viaggiatore, con la predisposizione di strutture di accoglienza, ricezione, ricreazione. Alle tappe fondamentali del percorso evolutivo nora delineato sono dedicate le ri essioni seguenti.

L’assistenza agli autoveicoli e ai viaggiatori nelle esperienze internazionali Come anticipato, le architetture autostradali hanno la loro origine negli Stati Uniti, con la

nascita tra il 1900 e il 1910 delle prime lling station (Boaga 1973, pp. 13-15; Liebs, 1985; Sompairac 1993, pp. 1985), cui seguono negli anni Venti le applicazioni europee2. L’evoluzione funzionale più immediata si compie pochi anni dopo, con le service station, diffusesi nel territorio statunitense per assicurare la distribuzione del carburante e una rudimentale assistenza all’autoveicolo, in quella forma di supporto sintetizzata dalla sigla Tobacco, Batteries and Accessories (Jackle Sculle 1994, pp. 60-66). I progettisti di questi primi manufatti cercano di nobilitare un’architettura utilitaristica adattandone colori, forme e linguaggio a quelli tradizionali dei luoghi, o arruolando forme e stilemi del repertorio neoclassico (Liebs 1985, pp. 96-97; Sompairac 1993). Diversamente, in Europa al Salon d’Automne del 1927, si celebra il battesimo di forme moderniste con la stazione di Robert Mallet-Stevens – una soluzione che trasforma un piccolo totem in chiosco per il rifornimento corredato di pannello informativo stradale – nella quale i temi del viaggio e della velocità incontrano quello delle luci della città moderna. La formazione negli anni Trenta delle prime reti di distribuzione è l’occasione negli Stati Uniti, e per alcuni versi anche in Europa, per lo studio e la sperimentazione di modelli di stazione che diventano ampli catori dell’immagine e del prodotto aziendale e, nel contempo, consentono di contenere i costi, ottimizzare il funzionamento e la gestione della rete di assistenza. In questo quadro si collocano i tipi che nel 1934 Norman Bel Geddes mette a punto per la Socony (poi trasformatasi in Mobil), gli studi di Raymond Loewy che predispone, su incarico dell’Esso, un prototipo per Manhattan, quelli che Walter Dor in Teague conduce per la Texaco (Sompairac 1993, pp. 36-37. A queste proposte si aggiunge la sperimentazione sul tema della stazione di servizio a catalogo, promossa negli Stati Uniti da aziende come la Michel & Pfeffer Iron Works (1926) e riconducibile alla produzione di chioschi essenziali, destinati alle aree urbane. L’eco di questa esperienza 2 Filling station è il termine con cui negli Stati Uniti viene indicata la stazione di rifornimento. Nel 1908 negli Stati Uniti ne sono censite dodici. Prima dello scoppio del secondo con itto mondiale la loro presenza sul territorio era signi cativamente cresciuta, con 317000 impianti, pari a circa uno ogni 82 automobili registrate. La comparsa del primo impianto è datata tra il 1905 e il 1907. Il ritardo con cui l’architettura autostradale si diffonde nel continente europeo può essere giusticato dagli effetti del primo con itto mondiale e dalla minore consistenza dell’industria automobilistica.

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2 - Motel autostradale statunitense anni Cinquanta (G. Baker, B. Funaro, Motels, 1955).

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d’oltreoceano si avverte nelle proposte della tedesca Olex, di cui si ricorda la serie di stazioni minimali e piccoli chioschi e, in Italia, nel repertorio dei chioschi Aquila, Agip e Petrolea (Caccia 2012, pp. 37-41). In ogni caso, il decennio Trenta in Europa registra soprattutto la sperimentazione sulla stazione di servizio come progetto di architettura, che trova nei parametri di spazio e di luce gli elementi caratterizzanti l’iconogra a del nuovo tipo e nei materiali e nelle tecniche moderne gli strumenti per costruirla. Testimonianza ne sono la stazione progettata a Madrid da Casto Fernandez-Shaw (1927), la stazione Shell a Alesund in Norvegia (1931) e quella Aral di J. Krahn a Francoforte, il singolare progetto di Arne Jacobsen a Klamperborg (Danimarca) del 1938 e, in ne, la stazione BP a Villejuif in Francia (1934). Nel quadro italiano vale la pena di ricordare tra le realizzazioni l’intervento di Carlo Agular in Corso Moncalieri a Torino (1933-34) e la stazione di Giovanni Muzio a Lodi (1933) e, tra i progetti, il concorso per le stazioni sull’autostrada Venezia-Padova (1933) e il repertorio

di Luigi Piccinato per Petrolea-Fiat (1938-40). A questo punto dell’evoluzione tipologica e funzionale, gli elementi dell’architettura della stazione di servizio sono ormai de niti: l’insegna pubblicitaria, il chiosco, e la pensilina che ne protegge l’ingresso e lo spazio di sosta delle auto. Si tratta, però, quasi sempre di stazioni urbane, considerato il carattere ancora embrionale del sistema di assistenza autostradale sui primi tratti delle infrastrutture europee. In Italia, ad esempio, realtà che conquista già alla ne degli anni Venti una visibilità internazionale con le autostrade dell’area lombardo-veneta, si avverte il necessario allestimento di una “struttura di assistenza all’utente che va dal rifornimento, alle riparazioni, all’informazione, al soccorso” (Bottura 1984), anche se a questa dichiarazione di intenti non corrisponde una effettiva specializzazione funzionale delle attrezzature; punti di rifornimento, stazioni (intermedie e nali), spazi di parcheggio e di sosta, caselli di ingresso e di uscita, sono infatti inizialmente concepiti come subsistemi funzionali di un medesimo spazio o punto di assistenza, sistemato con un allargamento della sezione stradale, che consente la formazione dei piazzali per la sosta degli autoveicoli durante il rifornimento o il pagamento del pedaggio. Nel dopoguerra, i marchi della distribuzione dei carburanti, in considerazione dell’esistenza di reti ormai consolidate che possono contare a questo punto anche sulle nuove autostrade, promuovono in maniera diffusa anche in Europa – sotto l’in uenza dei brand internazionali che fanno capo all’esperienza statunitense – il contenimento dei costi di costruzione e di gestione delle stazioni e la riconoscibilità del marchio commerciale. La tipizzazione dei manufatti e la standardizzazione degli elementi costruttivi sono individuate come azioni prioritarie, tese a un minimalismo costruttivo che ben presto si traduce in minimalismo funzionale con le applicazioni più ricorrenti in ambito urbano (Liebs 1985, p. 107; Sompairac 1993, pp. 4851). Gli impianti per le architetture di servizio delle autostrade dapprima puntano, come dimostra efficacemente l’esperienza italiana con l’Autostrada del Sole, sulla caratterizzazione spettacolare delle opere maggiori, e sulla diffusione di repertori più essenziali per i manufatti minori. Negli anni Sessanta anche sul bordo autostradale approdano le soluzioni prefabbricate e tipizzate, che afancano progressivamente le architetture singolari diffusesi negli anni Cinquanta, soprattutto in Italia. Da un punto di vista fun-


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zionale, negli impianti autostradali, la trasformazione più rilevante che interessa il punto di rifornimento posto sul piazzale dell’area di servizio è l’estensione della pensilina, che si stacca dal box della stazione per occupare, anche mediante con gurazioni planimetriche articolate, aree estese del piazzale per garantire un numero maggiore di punti di rifornimento. Le attrezzature di assistenza ai viaggiatori negli impianti extraurbani diventano predominanti, soprattutto in virtù della forte valenza gurativa e commerciale degli edi ci ristoro. Gli esordi di questi manufatti risalgono alle catene di ristorazione organizzata statunitensi, tra cui le centinaia di family restaurant e diner, che partiti dalle statali extraurbane, arrivano in ne sui bordi delle autostrade (Liebs 1985, p. 197). Il rapporto preferenziale stabilito con la middle–class americana e con i suoi valori, condiziona in modo signi cativo il linguaggio gurativo e costruttivo di questi manufatti, ispirati a toni domestici e rassicuranti anche se posti sul bordo autostradale. Nel contesto europeo degli anni Cinquanta e Sessanta si distingue l’esperienza italiana, i cui caratteri esempli cano, in quegli anni, un contributo originale al tema progettuale del punto ristoro autostradale. I motel completano il quadro tipologico delle architetture autostradali per l’assistenza ai viaggiatori; nati come strutture familiari negli anni Venti negli Stati Uniti, sviluppatisi nel decennio successivo, essi maturano la struttura tipologica nel dopoguerra con la fase del motel moderno, di cui si rendono protagoniste le grandi catene internazionali, come l’Holiday Inn e la Sheraton. Negli anni Cinquanta il motel diventa un tipo architettonico che adotta soluzioni costruttive industrializzate, completate da grandi insegne pubblicitarie. Nel continente europeo, l’inuenza statunitense si manifesta in particolare in Italia, con la catena dei motel Agip.

Sosta e assistenza agli autoveicoli e ai viaggiatori: le origini delle aree di servizio Le aree di servizio tipicamente ospitano su un piazzale attrezzato i manufatti deputati a rispondere alle esigenze di assistenza determinate dai rapporti di vicinanza più o meno forti dell’autostrada con l’ambito urbano, cui corrispondono livelli differenziati di complessità funzionale delle aree, dotate di attrezzature per i veicoli e gli utenti più o meno complesse. Nell’organizzazione dell’a-

rea di servizio in ambito extraurbano, in particolare, si compie la potenziale complementarietà delle due funzioni originarie di sosta e assistenza (per veicoli e viaggiatori), in questo caso strutturate in un insieme articolato di attrezzature di supporto che partecipano al raggiungimento del “programmatico completo distacco della strada dal contesto attraversato” (Boaga 1973, pp. 14), condizione pre gurata dalle logiche proprie delle reti autostradali del Novecento. Nell’area di servizio del dopoguerra matura, quindi, in virtù dell’arricchimento del layout funzionale, delle logiche di gestione dei servizi offerti e della rilevanza – in alcuni casi – dei manufatti, una struttura complessa dell’assistenza, che supera il sistema unitario della stazione di servizio dei decenni precedenti, in nome di una specializzazione di funzioni e di spazi che promuove l’autonomia reciproca dei manufatti disposti sul piazzale. Con lo sviluppo nel secondo dopoguerra delle moderne reti autostradali, nel panorama internazionale si codi cano con gurazioni ricorrenti delle aree – talvolta in uenzate dai caratteri tipologici dei manufatti ospitati sul piazzale – che la tassonomia tecnica declina

3 - Planimetria tipica di un motel-court statunitense (G. Baker, B. Funaro, Motels, 1955).

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4 - Stazione di testa a Venezia sulla VeneziaPadova, 1933 (Autostrade di prima generazione, Serravalle-Chiasso, 1984).

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negli impianti di bordo (aree laterali disposte su uno o entrambi i lati della carreggiata autostradale), nelle soluzioni trasversali (aree a ponte in cui l’edi cio ristoro è disposto a cavallo dell’autostrada), nei meno frequenti schemi ad isola in cui l’area di servizio è ricavata in una zona centrale attraverso l’allontanamento delle due corsie. Gli impianti trasversali più degli altri riescono a declinare il carattere spettacolare dell’architettura autostradale – come testimonia la serie degli edi ci ristoro a ponte sorti negli anni Sessanta lungo le autostrade americane e italiane – stabilendo tra l’architettura del manufatto e l’infrastruttura un’interazione inedita di temi, materiali e scale di progetto. Tra le esperienze del secondo dopoguerra una notazione speci ca merita il caso italiano. Lo sviluppo dell’assistenza autostradale in Italia si colloca nel solco tracciato dall’evoluzione del progetto e della costruzione delle autostrade. Un percorso intrapreso negli anni Venti con i primi tratti autostradali ad opera del gruppo di studi coordinato dall’ingegnere Piero Puricelli e giunto a piena maturazione alla metà degli anni Settanta. La stagione di maggiore vivacità progettuale e costruttiva sul tema si registra nel dopoguerra, quando il governo nazionale pone la questione infrastrutturale tra le emergenze della ricostruzione, cui far fronte con una politica programmatoria a sostegno della localizzazione, realizzazione e gestione della rete nazionale che trova spazio nella legge n. 463, “Provvedimenti per la costruzione di autostrade e strade”, che il Ministro dei

Lavori Pubblici Giuseppe Romita rma il 21 maggio 1955, e divenuta nota come Piano Romita per il rilancio del sistema autostradale in Italia. In applicazione del Piano Romita il 14 aprile 1956 viene sottoscritta la convenzione tra la Società Concessioni e Costruzioni Autostrade, soggetto appositamente creato dall’IRI per la costruzione dell’arteria MilanoRoma-Napoli e l’ANAS. Il 19 maggio 1956 hanno inizio i lavori a San Donato Milanese e il 4 ottobre 1964, all’indomani delle aperture parziali dei diversi tronchi, si inaugura l’intera Autosole (AA.VV. 1964, pp. 15-17). A questo punto l’evoluzione dell’assistenza organizzata autostradale in Italia mira a fornire assistenza agli autoveicoli (rifornimento, manutenzione, riparazione), all’utente (ristoro, informazione) e a controllare e gestire la rete (sicurezza dell’utenza, esazione del pedaggio, manutenzione dell’infrastruttura, coordinamento delle attività). L’eterogeneità delle operazioni previste comporta la quali cazione funzionale degli spazi e delle attrezzature: aree di parcheggio, aree di servizio, fabbricati per l’esercizio e la manutenzione, opere di sicurezza e segnaletica, opere di inserimento ambientale. Le opere complementari registrano con la realizzazione dell’Autosole un notevole impulso. I dati relativi all’arteria indicano, al momento dell’inaugurazione della rete, la presenza di 56 aree di servizio (sulle due carreggiate), 6 direzioni di servizio (di cui una centrale e 5 di tronco), 21 centri e posti per la manutenzione, 53 stazioni di diverso tipo (AA.VV., 1964).


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5 - Piazzale tipo di raccordo ingresso e uscita autostradale, anni Venti, Italia (Autostrade di prima generazione, SerravalleChiasso, 1984).

L’evoluzione delle stazioni (di ingresso/ uscita), suddivise tra barriera e di svincolo, si orienta verso organizzazioni tipologiche de nite in funzione delle modalità di controllo e pagamento del pedaggio, mentre i centri di manutenzione sono disposti lungo la nuova rete a intervalli di circa 35 chilometri, in corrispondenza delle stazioni di svincolo e costituiti da un insieme di fabbricati destinati al ricovero degli automezzi e delle attrezzature, agli alloggi e agli uffici per il personale presente. Le aree di servizio sono distribuite inizialmente a intervalli di 25 chilometri, poi adeguati a 30-40 e distinte – in funzione della categoria dei servizi offerti – in aree complete e ridotte, così da cadenzare la loro presenza sul territorio alla luce dei ussi di traffico dei tratti autostradali serviti. Seguendo la casistica internazionale e in relazione ai caratteri tipologici dell’edi cio ristoro, le aree sono organizzate e distinte in aree laterali, a ponte, simmetriche, asimmetriche, su cui sono organizzati il punto ristoro (costituito da uno snack bar-tavola calda, in

alcuni casi un ristorante, con i relativi servizi e gli uffici per il personale) e la stazione di rifornimento (comprendente le pensiline con gli impianti per l’erogazione del carburante, i magazzini e l’officina, i servizi igienici, gli uffici e i servizi per il personale). La vicenda italiana assume rilevanza nel quadro europeo, e come per il disegno e la costruzione dell’Autosole, anche il progetto della rete di assistenza si costituisce come riferimento tipologico, gurativo e costruttivo prevalente, frutto dell’interpretazione singolare della più consolidata esperienza statunitense. Nell’arco di dodici anni (1954-1966), in larga parte coincidenti con la stagione del cantiere maggiore dell’Autostrada del Sole, sul territorio italiano prende forma una propaganda autostradale promossa da aziende del settore automobilistico come Fiat, da brand leader della distribuzione di carburanti come Agip (controllata dall’Eni guidato da Enrico Mattei), da aziende del settore dolciario specializzatesi nel nascente mercato della ristorazione organizzata autostradale come Motta,

6 - A pag. 14, in alto: schema stazione intermedia per pedaggio autostradale (CNR, Manuale dell’architetto, 1962, III ed.). 7 - A pag. 14, in basso: Stazione di servizio Agip a San Donato Milanese, 1953. Progetto arch. M. Bacciocchi, (Archivio storico Eni). 8 - A pag. 15, in alto: Schemi tipo aree di servizio autostradali (CNR, Manuale dell’architetto, 1962, III ed.). 9 - A pag. 15, in basso: Autogrill Pavesi a Fiorenzuola d’Arda, Autostrada del Sole, 1959. Progetto Angelo Bianchetti (Archivio Arch. Jan Jacopo Bianchetti).

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Pavesi e Alemagna. Il programma assume il mezzo architettonico – e dunque gli spazi e le attrezzature di assistenza agli autoveicoli e ai viaggiatori – come codice di comunicazione privilegiato.

Temi e ragioni del declino del modello di assistenza del Novecento Le vicende dello scorso secolo stabiliscono punti di continuità con le esperienze contemporanee– concernenti soprattutto la modalità di intersezione tra area di servizio e rete autostradale e la complessità funzionale degli impianti – e rivendicano l’interesse di un patrimonio di innovazione tipologica e tecnologica del quale però si colgono, oramai, anche i limiti. I cambiamenti intervenuti nell’organizzazione della distribuzione dei carburanti, nella gestione delle reti, la crescente antropizzazione del bordo autostradale sono alcune delle ragioni del declino del modello di assistenza del Novecento e dunque di superamento dei paradigmi funzionali e gurativi delle architetture per le autostrade dello scorso secolo. A questi temi, si sommano ragioni di opportunità, che sollecitano già da alcuni decenni la revisione dei modelli funzionali delle aree di servizio e delle architetture autostradali nel complesso, suggerendo soluzioni più essibili e adattabili. A partire dall’analisi di questo quadro di cambiamenti, la ricerca contemporanea ha introdotto ragionamenti originali, concernenti soprattutto la relazione con il contesto, che la visione extra-territoriale delle esperienze passate ha inibito anche negli approcci progettuali più illuminati. Già Frank Lloyd Wright aveva preconizzato il ruolo di interfaccia tra infrastruttura e territorio che le aree di servizio avrebbero potuto assumere, indicandole come le “città-servizio del futuro” destinate a diventare ciascuna “un centro di distribuzione, un luogo di ritrovo, un ristorante, una sala d’attesa o qualsiasi altra cosa sia ritenuta necessaria” (Wright 1953, p. 180-181), ovvero aveva pre gurato una dimensione territorializzata di queste attrezzature, fondata sulla coerenza d’uso e sulla complessità funzionale e relazionale tra aree di servizio e autostrade. Dopo quasi un secolo, la visione disegnata negli anni Trenta dal maestro statunitense è ancora in attesa di compiersi. © Riproduzione riservata

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Bibliogra a AA.VV. (2011), On the Road, 24 ore Cultura, Milano. Boaga G., De Angelis G., Francia G. (a cura di) (1973), Aree di sosta e di servizio, Quaderni di Autostrade, n. 21, Autostrade S.p.A., Roma. Bottura N. (1984), “Gli arredi autostradali”, in AA.VV., 1924-1935. Le autostrade della prima generazione, Spa Autostrada Serravalle-Milano-Ponte Chiasso, Milano. Caccia S. (2012), Tutela e restauro delle stazioni di servizio, Franco Angeli, Milano. Ciorra P. (a cura di) (2013), Energy. Architettura e reti del petrolio e del post-petrolio, Electa, Milano. Deschermeier D. (2008), Impero Eni. L’architettura aziendale e l’urbanistica di Enrico Mattei, Damiani, Bologna. Greco L. (2010), Architetture autostradali in Italia. Progetto e costruzione negli edi ci per l’assistenza ai viaggiatori, Gangemi, Roma. Jackle J.A., Sculle K.A. (1994), The gas station in America, The Johns Hopkins University Press, Baltimora (USA). Liebs H. C. (1985), Main street to miracle mile. American Roadside architecture, Little Browne, Boston. Pozzi D. (2009), Dai gatti selvaggi al cane a sei zampe. Tecnologia, conoscenza e organizzazione nell’Agip e nell’Eni, Marsilio, Venezia. Sompairac A. (1993), Stations Service, Centre Pompidou, Parigi. Wright F. L. (1953), The future of architecture, Horizon Press, New York, (trad. it. 1985) Il futuro dell’architettura, Zanichelli editore, Bologna).

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Le architetture per l’assistenza ai viaggiatori sulle autostrade italiane tra corporate identity e s de costruttive (1956-1970) di Laura Greco e Francesco Spada

Lo sviluppo delle architetture autostradali in Italia registra la sua stagione più vivace nel secondo dopoguerra, con il deciso ampliamento della rete di assistenza stradale esistente e la de nizione di un repertorio tipologico adatto a rispondere alle esigenze funzionali legate alla diffusione massiccia dell’automobile sul territorio nazionale. Il fenomeno è connesso alla motorizzazione di massa che prende forma alla metà degli anni Cinquanta e coincide con trasformazioni favorite da almeno tre condizioni propulsive: la rivoluzione energetica con il passaggio dai combustibili solidi a quelli liquidi e gassosi, sancita dall’istituzione nel 1953 dell’Ente Nazionale Idrocarburi (Eni); lo sviluppo del programma di infrastrutturazione del Paese che ha la sua acme nella realizzazione dell’Autostrada del Sole (1956-1964); l’avvio delle trasmissioni televisive nazionali a cura della Rai Radiotelevisione Italiana (1954) e della pubblicità televisiva (1957) che favorisce la formazione di stili di vita universali e l’incremento dei consumi interni. La diffusione dell’automobile determina la nascita del turismo interno di massa (Greco, 2015), il potenziamento del sistema di spazi per l’assistenza agli autoveicoli e ai viaggiatori nelle aree extraurbane, la crescita del mercato della ristorazione autostradale organizzata. Gli spazi per la commercializzazione di prodotti e servizi legati alla motorizzazione (stazioni di servizio, motel, autogrill) diventano il palcoscenico privilegiato della campagna di promozione dei consumi di massa (Greco, 2010); l’architettura di questi spazi è arruolata dalla propaganda autostradale per celebrare il viaggio come esperienza collettiva e interpretare la modernizzazione dei costumi in eri. I committenti maggiori di questo programma sono due marchi dell’industria italiana: l’azienda dolciaria Pavesi e l’Azienda Generale Petroli Italiana (Agip). Pavesi è una fabbrica dolciaria che per prima intuisce le potenzialità della ristorazione organizzata autostradale. Agip, controllata dall’Eni, è

Architecture for traveller assistance on Italian motorways, between corporate identity and construction challenges (1956-1970)

by Laura Greco and Francesco Spada The architecture for travellers on Italian motorways was mainly linked to the construction of the Autostrada del Sole motorway, and developed over a fteenyear period (1956-1970). During this time, hundreds of service stations and ‘autogrill’ restaurants, as well as dozens of motels were built. The buildings were the product of motorway propaganda for the mass motorization of the country and of the marketing policies enacted by the major national service station operators (Motta, Pavesi, Agip). The repertoire included unique buildings, such as the bridge-type “autogrills” that became the cutting edge in Europe in terms of typology and construction, and the development of catalogue solutions, which achieved their most complete formulation in motels and service stations. The perspective proposed in this study views motorway architecture as one of the most reactive typological sectors in the development of an Italian concept of corporate identity, applied in this case to the work of industrial brands that chose architecture as the preferred code for the representation of their corporate image. Clients such as Mario Pavesi and Enrico Mattei, architects such as Mario Bacciocchi, Angelo Bianchetti, Costantino Dardi and Vittorio De Feo participated in this program, expressing different visions of the design theme and participating in the most vibrant and heroic phase of motorway architecture in Italy.

Nella pagina a anco, in alto: foto pubblicitaria Autogrill Pavesi a Fiorenzuola d’Arda, 1959 (Archivio Arch. Jan Jacopo Bianchetti). In basso a sinistra: autostrada Milano-Laghi nei pressi dell’area di Lainate, 1958 (Illustrazione Italiana); in basso a destra: Pubblicità Motel Agip (Il Gatto Selvatico, Archivio Storico Eni).

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leader nella commercializzazione di carburanti in Italia1. Due architetti interpretano la politica di comunicazione tesa a costruire la corporate identity (Vinti, 2015, pp. 19-25) di questi marchi: Angelo Bianchetti per Pavesi e Mario Bacciocchi per Agip.

Pavesi e Agip: Programmi e architetture per la motorizzazione di massa

1 - Nella pagina a anco, in alto: Autogrill Pavesi a Feronia, 1964. Progetto Angelo Bianchetti (Archivio Arch. Jan Jacopo Bianchetti). 2 - Nella pagina a anco, al centro: Autogrill Pavesi a Novara, Autostrada Milano-Torino, 1962. Progetto Angelo Bianchetti (Archivio Arch. Jan Jacopo Bianchetti). 3 - Nella pagina a anco, in basso: Autogrill Pavesi a Montepulciano, 1966. Progetto Angelo Bianchetti (Archivio Arch. Jan Jacopo Bianchetti).

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Il programma architettonico dell’industria dolciaria e di ristorazione organizzata Pavesi si incentra sulla costruzione di una rete di centinaia di autogrill, progettati tra gli anni Cinquanta e gli inizi degli anni Settanta dall’architetto Angelo Bianchetti (1911-1994) su committenza di Mario Pavesi, alla guida dell’omonima industria di Novara (AA.VV., 1997). Questi spazi sono l’avanguardia architettonica di un piano di promozione aziendale per la commercializzazione diffusa di prodotti e servizi di ristorazione organizzata. La serie di realizzazioni prende le mosse alla ne degli anni Cinquanta, quando Bianchetti progetta un gruppo di autogrill posti sul bordo dell’autostrada (valgano ad esempio le realizzazioni nelle aree di servizio a Lainate, a Ronco Scrivia, a Piani d’Invrea, a Modena, Lodi, Somaglia) e prosegue nel 1959 a Fiorenzuola d’Arda, sull’Autostrada del Sole, allorché l’architetto rma il primo edi cio ristoro autostradale a ponte in Europa. Anche la ristrutturazione e lo sviluppo del nuovo repertorio Agip promosso da Enrico Mattei è connesso alla diffusione di servizi per l’assistenza agli autoveicoli e ai viaggiatori. Nel 1952 la rete Agip è costituita di 33 stazioni di servizio, 1142 punti vendita privi di adeguate strutture edilizie e di 139 chioschi in muratura e con struttura metallica (Deschermeier 2008, pp. 15). Per rilanciare il marchio, nello stesso anno, Mattei affida all’architetto milanese Mario Bacciocchi (1902-1974) l’incarico di mettere a punto un repertorio di tredici soluzioni tipo di pensiline, chioschi e stazioni. È l’incipit della stagione più rappresentativa delle stazioni di servizio Agip, che popolano in pochi anni il bordo delle autostrade italiane. 1 In uenzate dai concetti anglosassoni di corporate identity, le esperienze di queste due industrie italiane fanno parte di un contesto culturale che in quegli anni nel Paese alimenta la nascita dello stile industriale come codice estetico per la comunicazione commerciale delle industrie manufatturiere e del settore terziario, nel quale modernità e humus culturale italiano si mescolano in equilibri estetici sapienti e originali.

Gli spazi commerciali di Pavesi e Agip (autogrill, stazioni di servizio, motel) sono caratterizzati da un lessico moderno, nel quale con uiscono materiali (calcestruzzo, acciaio, vetro) e tecniche costruttive evolute. Nel caso di Pavesi si tratta di strutture ardite, volumi di acciaio e vetro, masse di calcestruzzo plasticamente disegnate che sottolineano i tratti di architetture singolari, pezzi unici che si trasformano nel manifesto pubblicitario del servizio di assistenza offerto. Per Agip si tratta di volumi minori disseminati sul territorio, pezzi identici di una rete di distribuzione e commercializzazione di un servizio di massa. In questo caso Bacciocchi sposa l’approccio dell’edi cio standard che marca con un lessico costruttivo rassicurante i caratteri della stazione di servizio.

Le macchine per la ristorazione Pavesi e la s da costruttiva L’ampio repertorio Pavesi trova la sua espressione più piena negli autogrill a ponte, vere macchine per la ristorazione autostradale di massa articolate in due blocchi laterali e un piano ponte che include spazi per il bar, la tavola calda, il ristorante e il tourist market. Gli autogrill a ponte affrontano i temi fondamentali delle architetture autostradali Pavesi: l’invenzione tipologica e la s da costruttiva. Essi si affermano come presidi di servizio che proiettano – al di là della loro effettiva funzione di assistenza ai viaggiatori - schegge di urbanità in un territorio ancora rurale. Antesignani inconsapevoli della crescita di funzioni, edi ci e infrastrutture che popolano nel volgere di pochi anni la campagna italiana, si rivelano parte della cornice nella quale prende vita il dibattito sulla città-territorio e sul cambiamento di scala del progetto reclamato dalla “nuova dimensione” di cui scrivono su Casabella Giorgio Piccinato, Vieri Quilici e Manfredo Tafuri (Piccinato, Quilici, Tafuri, 1962). Sperimentazione tipologica unica in Europa in quegli anni, la serie degli autogrill condivide con i ristoranti a ponte delle autostrade americane l’uso della grande scala architettonica. Il ricorso in entrambi i contesti al grande edi cio a ponte risponde, però, a intenzionalità progettuali distinte, che se nel caso statunitense pongono in relazione la dimensione architettonica con quella vasta delle infrastrutture e dei territori attraversati, nel panorama italiano stabiliscono un’imponenza gurativa del segno architettonico e ingegneristico clamorosamente contrapposto – quale icona di mo-


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dernità – alla misura domestica del paesaggio rurale circostante. Naturale evoluzione dei totem pubblicitari dei primi padiglioni Pavesi con cui Bianchetti anima l’orizzonte rurale padano di segni e colori, gli autogrill a ponte introducono un habitat nuovo, a tratti utopico, emblema di una modernità senza compromessi in cui consumare riti altrettanto inconsueti della nuova società della motorizzazione di massa. Il programma di Pavesi e Bianchetti è sostenuto da una s da costruttiva, già presente nei primi padiglioni vetrati affacciati sull’autostrada, enfatizzata però negli autogrill a ponte, nei quali la sperimentazione attiva un processo di morfogenesi sottolineato dal disegno degli elementi strutturali. Che si tratti della costruzione dissimulata del ponte a Fiorenzuola d’Arda in cui Bianchetti non cede all’esibizione del meccanicismo tipico delle strutture in acciaio, del plasticismo dei pilastroni e della trave parete dell’autogrill di calcestruzzo armato a Novara (1962), o del portale in acciaio corten di Montepucliano (1967), Bianchetti elegge la grammatica delle tecniche moderne a canone regolatore dell’innovazione tipologica. Il registro delle tecniche moderne scandisce anche il progetto delle strutture pubblicitarie degli autogrill, per le quali Bianchetti vinse nel 1959 la medaglia d’oro del premio nazionale della pubblicità. L’architettura pubblicitaria di Bianchetti trasforma l’insegna nell’acme di una costruzione leggera, che emerge dinamicamente nella prospettiva lunga dell’autostrada e campeggia imponente nel piazzale dell’area di servizio, animata di giorno dai contrasti cromatici delle decorazioni pubblicitarie, di notte enfatizzata dalle luci che ne tratteggiano il pro lo2.

L’edi cio standard e la modernizzazione domestica di Enrico Mattei Le nuove stazioni Agip del repertorio di Mario Bacciocchi sono edi ci di piccole dimensioni, distanti dalla spettacolarizzazione tecnologica e dimensionale della catena Pavesi; esse si rivelano però ugualmente efficaci a delineare l’altra faccia della modernità autostradale 2 Il riferimento originario per Bianchetti è il progetto della stazione di servizio di Robert Mallet-Stevens presentato al Salon d’Automne del 1927 in cui, come osservato da Sompairac “la costruzione si fa contemporaneamente cartello segnaletico e spazio di servizio per l’assistenza”.

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4 - Stazione di servizio Agip. Progetto XI repertorio Bacciocchi, 1953. Progetto M. Bacciocchi (Archivio storico Eni).

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italiana nella quale risuona l’eco delle catene di family restaurant e diner comparsi sulle statali extraurbane e, successivamente, sul bordo delle autostrade americane nel secondo dopoguerra. L’edi cio standard costituisce negli Stati Uniti e in Italia uno strumento per disegnare un habitat riconoscibile della catena di assistenza stradale, ossia per suggellare attraverso il codice architettonico la de nizione di una corporate identity. D’altra parte, i due contesti hanno condizioni socioeconomiche differenti e un diverso sviluppo tecnologico, circostanze che in uiscono sull’approccio progettuale e costruttivo. L’edi cio standard negli Stati Uniti si afferma nel decennio Cinquanta come soluzione a catalogo economica e coerente con un panorama costruttivo e produttivo assuefatto ai temi dell’industrializzazione edilizia. Diver-

samente, nelle strategie di Agip esso ha un ruolo pedagogico, che risponde all’obiettivo di trasferire nel territorio inospitale dell’autostrada i valori identitari e culturali della classe media italiana, tratteggiando un’idea uniforme di modernità domestica, affidata al linguaggio rassicurante dell’architettura del marchio Agip. L’analisi del catalogo Bacciocchi consente di mettere a fuoco le regole interne del repertorio italiano di stazioni, nel quale si riconoscono elementi e tipi base a partire dal “Progetto I”, la pensilina di calcestruzzo armato a pro lo rettilineo spezzato asimmetrico e impostata su due sostegni che rivela la familiarità di Bacciocchi con i codici dell’architettura stradale e dei suoi paradigmi comunicativi diffusisi ai primi del Novecento3, e i diversi schemi di stazioni, nei quali Bacciocchi spesso include la pensilina, allungandone il pro lo sul piazzale principale. L’assortimento consente a Bacciocchi di modulare le soluzioni attraverso la combinazione di un pattern prestabilito di funzioni e di elementi architettonici, in relazione ad altrettante possibili condizioni d’uso e di contesto. Si tratta di un paradigma in cui le possibili variazioni dei progetti matrice sono de nite a partire da una piattaforma originaria di funzioni di assistenza agli autoveicoli - l’assistenza ai viaggiatori è infatti meno considerata in prima istanza - e di corrispondenti elementi spaziali e costruttivi (Greco, 2016). Il programma de nisce un’immagine italiana della stazione di servizio, per alcuni versi estranea all’iconogra a propria del quadro internazionale, per altri sensibile alle radici comuni estetiche e funzionali di quel segmento tipologico. Bacciocchi nella sua proposta sposa il tema del progresso tecnologico considerando i tre elementi architettonici fondamentali della stazione di servizio: il chiosco, la pensilina, il pennone pubblicitario (Greco 2010, pp. 145-149). Egli però ne rielabora i caratteri costruttivi, rendendoli compatibili con il contesto nazionale del tempo, il cui ritardo tecnologico frena il trasferimento in Italia dei principi di industrializzazione già diffusi in questo settore nelle esperienze estere. Il repertorio Bacciocchi impiega, infatti, strutture in mura3 Nelle stazioni tedesche degli anni ’30 la pensilina assume un ruolo determinante per conferire leggerezza e dinamismo all’architettura essenziale del box della stazione, come testimonia la stazione della catena Aral a Francoforte, progettata da Johannes Krahn. L’in uenza del progetto di Krahn su Bacciocchi è evidente nella stazione Agip urbana in Piazzale Accursio a Milano (1951-1953).


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tura e parti in calcestruzzo gettate in opera, tamponamenti murari e rivestimenti esterni in litoceramica e intonaci a base di graniglia di marmo bianco. In ultima analisi, nelle stazioni di servizio i principi di normalizzazione sono promossi quale presidio di controllo dell’immagine Agip da confezionare per la nascente classe di consumatori-automobilisti, ancor prima che come reale mezzo di razionalizzazione del processo costruttivo e di diffusione delle tecniche industrializzate. Un’intonazione progettuale analoga accompagna lo sviluppo dei motel Agip, realizzati lungo le strade extraurbane – sul modello dell’esperienza statunitense – a partire dal 1954, come testimonia una serie di articoli pubblicati sul “Il Gatto selvatico”, l’house

organ dell’Eni (Galli, 1957; Lucas, 1958). Gli esordi italiani richiamano le strutture dei motel court d’oltreoceano, come provano i caratteri del motel per camionisti che inaugura la serie Agip nella company town Eni a San Donato Milanese. Il linguaggio dell’architettura e le tecniche costruttive impiegate sono familiari, e contrastano con l’evoluta struttura di acciaio e l’etereo curtain wall del palazzo uffici dell’Eni che sorge nello stesso distretto di Metanopoli. Al repertorio formale e costruttivo del motel urbano si ispirano invece i due edi ci chiave della catena Agip. Nati lungo l’autostrada del Sole, a San Donato Milanese e a Firenze all’inizio degli anni Sessanta, su progetto degli architetti milanesi Marco Bacigalupo e Ugo Ratti, si tratta di

5 - Pianta piano ristorante autogrill Pavesi a Fiorenzuola d’Arda, Autostrada del Sole, 1959. Progetto Angelo Bianchetti (Archivio Arch. Jan Jacopo Bianchetti). 6 - Pianta stazione di servizio Agip tipo 59 con annessa officina. Progetto Agip (Archivio Storico Eni).

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due edi ci alti a pianta rettangolare completati da un corpo basso destinato al ristorante e ai negozi. Affini all’estetica urbana degli edi ci per il terziario, i motel a San Donato Milanese e a Firenze, si distinguono – per dimensioni e caratteri costruttivi – dalla scala più minuta degli altri motel Agip, affermatisi come strutture ricettive economiche e con standard essenziali, sintetizzate nel motel tipo 59 e nell’aggiornamento del 1961, in cui permane l’intento di normalizzazione spaziale e costruttiva tipico del repertorio delle stazioni di servizio (Greco 2010, pp. 198).

Made in Italy on the motorway Come anticipato, la vicenda delle architetture autostradali si lega alle politiche di comunicazione dell’industria italiana che utilizzano il medium architettonico per veicolare messaggi di modernizzazione dei consumi e degli stili di vita n dai primi anni Cinquanta, maturando nell’arco del decennio un approccio italiano alla comunicazione pubblicitaria fondato sul rapporto virtuoso tra committenti e architetti. La ricerca di un’immagine aziendale prestigiosa unisce nel decennio Cinquanta imprese e progettisti in un fortunato sodalizio volto a suggerire una sorta di “via italiana all’immagine coordinata” aziendale (Anceschi, 1981, 1988)4 da offrire alla classe di consumatori che sta formandosi. Effetto visibile di questa ambizione è la de nizione di un repertorio Made in Italy che attraversa le discipline gurative e le scale del progetto sotto l’egida di un artigianato evoluto sintetizzato nella cura per il dettaglio e nell’accuratezza dell’esecuzione quali caratteri predominanti, che riemergono nel mainstream costruttivo dell’architettura italiana di quegli anni. Un approccio che ha la sua matrice nella tradizione artigianale del modo di costruire italiano, che suggerisce un parallelo tra il campo del design Made in Italy e quello della costruzione architettonica e 4 Si fa qui riferimento agli studi di Giovanni Anceschi che a proposito delle strategie di comunicazione visiva di quegli anni, evidenzia il carattere tipico del caso italiano rispetto agli approcci europei e statunitensi, ravvisabile – a suo parere – nella preferenza accordata a “un approccio che antepone la nozione di metodo a quella di sistema e, soprattutto, la ricerca di una coerenza stilistica soft alla programmazione rigida degli interventi”, escludendo di conseguenza l’osservanza di un’uniformità visiva assoluta e il ricorso a quel manuale di corporate identity correntemente utilizzato nelle politiche di comunicazione in auge nel panorama internazionale.

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dell’ingegneria strutturale italiana di quegli anni (Poretti, 2005-2006), e che in uenza anche il progetto della silhouette della pensilina di Mario Bacciocchi per le stazioni di servizio Agip e le strutture pubblicitarie degli autogrill Pavesi di Bianchetti, eletti – questi ultimi – a rappresentare quel Made in Italy che la rivista Life International celebra nel 1960 come espressione dell’Italian luxury (Life, 1960). L’onda lunga di questo approccio progettuale al tema autostradale tocca le sperimentazioni dell’ultima fase del ciclo delle architetture autostradali italiane dello scorso secolo. Tra il 1968 e il 1970 Agip e Esso Italia bandiscono due concorsi per stazioni di servizio tipo, i cui esiti – al di là della effettiva realizzazione delle proposte – consegnano alla vicenda italiana contributi preziosi all’interpretazione originale del tema. Valgano per tutti il progetto per la stazione di servizio tipo Agip di Costantino Dardi e quello della stazione Esso rmato dal gruppo guidato da Vittorio De Feo. In entrambe le esperienze i progettisti suggeriscono soluzioni ad assetto variabile, essibili e adattabili a diversi contesti. Il repertorio più rigidamente codi cato nell’abaco di Bacciocchi è così superato nelle stazioni Agip di Dardi, che rispondono al nuovo programma della committenza. Nel bando di concorso, Agip richiede infatti un impianto modulare e essibile, tale “da consentirne lo sviluppo in tempi successivi, con l’aggiunta di ulteriori distinti elementi costruttivi, essi pure modulari, per i servizi integrativi”. Un impianto funzionale leggibile e articolato nelle sue parti spaziali e costruttive, frutto – secondo quanto dichiarato dai progettisti nella relazione di concorso – di “una organizzazione di diversi livelli di intervento progettuale”, e capace – nel contempo – di conservare un’unitarietà iconogra co-comunicativa che Dardi affida al grande cubo bianco, che campeggia sulle pensiline degli impianti di distribuzione della stazione a Mestre Bazzera. Box vetrato, pennone e pensilina – elementi cardine del progetto della stazione n dalle origini – sono tutti ancora distinguibili. Da parte sua, De Feo assorbe nella potenza gurativa di un’unica matrice formale questi componenti: la proposta si distingue per una “piena integrazione delle valenze plastiche e architettoniche” e risolve il tema compositivo – come i progettisti affermano nella relazione di progetto del concorso –attraverso “la netta caratterizzazione e la riconoscibilità dell’elemento base”, riproducibile in diversi contesti e a scale differenti, dalla piccola stazione urbana al grande

impianto autostradale a ponte. Seppure non realizzato, il progetto conserva insuperate la sua forza morfogenetica e la sua carica comunicativa, segnando con le coeve sperimentazioni di Dardi la conclusione della stagione più pro cua nel campo delle architetture autostradali in Italia. © Riproduzione riservata

Bibliogra a AA.VV. (1997), L’Italia dei Pavesini. Cinquant’anni di pubblicità e comunicazione Pavesi, Archivio storico Barilla, Parma. Anceschi G. (1981), “Il campo della gra ca italiana”, Rassegna, n. 6, aprile. Anceschi G. (1988), Monogrammi e gure. Teorie e storie della progettazione di artefatti comunicativi, Ponte alle Grazie, Firenze. Deschermeier D. (2008), Impero Eni. L’architettura aziendale e l’urbanistica di Enrico Mattei, Damiani, Bologna. Galli G. (1957), Ospitali come vecchie locande i modernissimi motel, “Gatto Selvatico”, n. 6. Greco L. (2010), Architetture autostradali in Italia. Progetto e costruzione negli edi ci per l’assistenza ai viaggiatori, Gangemi, Roma. Greco L. (2015), “Autogrill e motel. L’invenzione del turismo interno”, in A. Ferlenga, M. Biraghi, (a cura di), Comunità Italia. Architettura. Città. Paesaggio, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo (MI). Greco L. (2016), “Le stazioni di servizio Agip di Mario Bacciocchi: un’esperienza di tipizzazione costruttiva”, in S. D’Agostino, (a cura di), History of Engineering. International Conference on History of Engineering, Cuzzolin editore, Napoli, pp. 939-948. Lucas W. (1958), La straordinaria avventura dei motel in America, “Gatto Selvatico”, n. 5. Piccinato L., Quilici V., Tafuri M. (1962), “La città territorio. Verso una nuova dimensione”, Casabella, n. 270. Poretti S. (2005-2006), “Un tempo felice dell’ingegneria italiana. Le grandi opere strutturali dalla ricostruzione al miracolo economico”, Casabella, n. 739-740. Red. (1960), “Italian luxury for export and those at home too”, Life International, 26 settembre. Sompairac A. (1993), Stations service, Centre George Pompidou, Parigi. Vinti C. (2005), Gli anni dello stile industriale, Marsilio, Venezia.

7 - Nella pagina a anco, in alto: stazione di servizio Agip Santhià autostrada (durante inaugurazione con E. Mattei), anni ’50 (Archivio storico Eni). 8 - Nella pagina a anco, al centro: Motel Agip a Montalto di Castro, 1960 (Archivio storico Eni). 9 - Nella pagina a anco, in basso: Motel Agip nell’area di servizio di Firenze ovest, Autostrada del Sole, 1962. Progetto Marco Bacigalupo e Ugo Ratti (Archivio storico Eni).

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Architetture lungo i sistemi chiusi/aperti delle autostrade di Luigi Siviero

L’autostrada è uno spazio chiuso, nel senso di con nato e sicamente circoscritto, ma contemporaneamente è anche uno spazio aperto alle relazioni visive, mnemoniche e conoscitive degli elementi che lo circondano, e che di conseguenza contribuiscono a costituirlo. Tanto una caratteristica quanto l’altra, per ragioni diverse ed in diversi contesti storici, di volta in volta hanno determinato un evolversi, o meglio un mutare, degli spazi e delle architetture prodotte nel tempo lungo le autostrade, ed in particolare lungo le autostrade italiane. Le architetture lungo le autostrade, oltre che rispondere a innumerevoli istanze di diversa natura, si conformano di volta in volta anche a questa duplice condizione – aperto/ chiuso – peculiare dello spazio autostradale più che di ogni altro spazio stradale. Ciò è avvenuto indubbiamente nel tempo: dalle prime realizzazioni autostradali a grande scala, durante il boom economico, alle ricerche degli anni Novanta sulle infrastrutture come parte inscindibile di un palinsesto geogra co e di paesaggio più ampio, sino a giungere alla commercializzazione degli spazi di sosta autostradali ed alle aree di servizio contemporanee: luoghi del tutto privi di identità se non quella collettiva, che li fa appartenere al paesaggio quotidiano dei ussi veloci. In senso generale, i sistemi aperti hanno proprietà diverse rispetto a quelli chiusi. Astrattamente, ad esempio, una società aperta è più incline a ricevere in uenze da parte di culture esterne, ibridandosi e spesso traendo dal confronto occasioni di ri essione e miglioramento; di contro, una società chiusa conserva meglio i propri caratteri, che divengono testimonianza per effetto della continuità. Più concretamente, le società contemporanee si caratterizzano per essere allo stesso tempo aperte e chiuse, e gli effetti di una caratteristica e dell’altra si sovrappongono e si mescolano tanto da non poter più trarre conclusioni univoche. I sistemi di spazi chiusi a grande scala, come

Architecture along the open/closed systems of motorways by Luigi Siviero

Motorway systems have numerous features. In particular, they constitute closed, or rather con ned spaces with barriers, which may be accessed in controlled and well-de ned points; but they are also spaces open to the visual, mnemonic and cognitive relationships of the elements that surround them. The architectural works along the Italian motorways can be reinterpreted in this light, to discover that from the 1960s to the present, some of the architectural works that have appeared along the motorways relate more speci cally to the enclosed motorway space, while others establish relationships with the elements of the landscape. From the bridge-type motorway restaurants in the 1960s, to Costantino Dardi’s “cubes” for the Agip service stations, to the models of service areas that can be adapted to any location, to contemporary service areas which are the expression of an architectural crisis that has extended to the landscape of infrastructure. At the same time, the motorway landscape has also changed: once almost completely empty, today the borders of the motorways have become a contemporary city, radically changing the travellers’ perception.

Nella pagina a anco, in alto: A. Bianchetti (1958), Area di servizio Ronco Scrivia, lungo l’autostrada Milano-Genova https:// www.autogrill.com/it/ node/3706. In basso: A. Bianchetti, (1958) Area di servizio di Villoresi Ovest, lungo l’autostrada Milano-Varese. https://www. sempionenews.it/cronaca/lo-storico-autogrill-villoresi-ovest-non-ce-piu/

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1 - Manifesto pubblicitario cche ritrae l’autogrill di Montepulciano di A. Bianchetti (1964) lungo l’Autosole. https://www.primapaginachiusi.it/2018/10/

quelli delle infrastrutture autostradali, hanno parimenti caratteri e proprietà diverse rispetto a quelli aperti, e si può dire che negli ultimi decenni, con l’introduzione del concetto di relazione conseguente alla Convenzione Europea del Paesaggio, questi ultimi abbiano acquisito rispetto ai primi un’accezione positiva: il paesaggio è costituito da elementi eterogenei e sovrapposti che, in modo intenzionale o più spesso automaticamente, instaurano relazioni reciproche tra loro, che producono di volta in volta situazioni diverse e che attribuiscono ai diversi paesaggi peculiarità intrinseche, spesso oggetto di analisi, di valorizzazione quando non di tutela. Ma, come vedremo, nel caso delle architetture delle autostrade anche lo spazio chiuso genera condizioni peculiari, in grado di produrre forme e spazi che vanno oltre la pura funzione di servizio.

Transatlantici Il caso dello spazio autostradale, come molti sistemi complessi, presenta diverse ambi-

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guità, o caratteri a volte apparentemente contrapposti: copre, ad esempio, differenti scale, da quella territoriale o del paesaggio, a quella locale; è stretto in senso trasversale, tanto da generare a volte una sensazione di costrizione, ma allo stesso tempo è apparentemente in nito in lunghezza, cosicché evoca la sensazione di libertà e di scorrimento propria del viaggio verso un orizzonte aperto, talvolta sconosciuto; si percorre a una velocità sostenuta, eppure il tempo sembra scorrere molto lento all’interno dei veicoli, dove le attività sono limitate all’osservazione del paesaggio circostante, o poco altro. L’autostrada, rispetto alle strade cosiddette “normali”, si caratterizza in prima analisi soprattutto per essere uno spazio chiuso, ovvero uno spazio circoscritto, delimitato da recinzioni e barriere, con accessi de niti e con ni netti. In questo spazio è necessario incanalarsi, condurre velocità prestabilite e osservare regole rigide: le azioni che si possono compiere sono (in alcuni casi devono essere) prevedibili, automatiche e ben visibili. Ciò vale sia per quanto concerne la guida dei veicoli, sia all’interno delle aree di sosta o nelle stazioni di rifornimento, recintate anch’esse. Entrare in uno spazio autostradale per il ristoro equivale ad assoggettarsi a un percorso spesso de nito programmaticamente, ed oggi ottimizzato all’esposizione dei prodotti in vendita in modo ancor più esasperato che in un supermercato di quartiere o in un centro commerciale. A dispetto del carattere di positività che i sistemi di paesaggio aperti e ricchi di interrelazioni hanno assunto oggi nella cultura multidisciplinare, la fortuna della produzione di architetture lungo le autostrade italiane degli anni Sessanta è per certi aspetti determinata dall’opportunità di operare all’interno di una strada per la prima volta chiusa lungo un usso obbligato, e non vi erano possibilità di contaminazione esterna. L’utente era selezionato, il suo tragitto preordinato, il suo sguardo proiettato verso un’unica direzione. Le architetture di quegli anni sono dispositivi per attrarre i ussi, usando in modo spontaneo e naturale alcuni principi teorizzati da Lynch (1966) o Venturi (1972) solo successivamente (la dimensione degli elementi in funzione della velocità, o la forma e il colore come strumenti catalizzatori di attenzione), fondando parte della loro efficienza sul fatto di operare in uno spazio con nato e lungo un percorso obbligato, in cui la visibilità degli elementi è prevedibile, e di conseguenza la dimensione, la posizione, ma anche il percorso di avvicinamento


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a quelli che possiamo de nire “roadmark” (landmark che scandiscono speci camente lo spazio dell’autostrada), possono essere calibrati con precisione. Le aree di ristoro di quegli anni di scoperta delle potenzialità commerciali, ma anche architettoniche, dell’autostrada come canale di passaggio obbligato della popolazione, sono dispositivi di attrazione dei ussi: non solo le aree di sosta a lato dell’autostrada, ma anche gli autogrill a ponte, tipologia di invenzione americana, che in Italia assume forme originali e caratteristiche. Emblematiche ad esempio alcune architetture di Angelo Bianchetti per Pavesi, come la stazione di servizio di Ronco Scrivia lungo la MilanoGenova o quella di Villoresi Ovest, lungo la Milano-Varese – entrambe caratterizzate da una struttura scultorea quasi del tutto priva di funzione se non quella di apparire – o gli autogrill a ponte di Fiorenzuola d’Arda o di Montepulciano, lungo l’Autosole e numerosi altri, che si pongono strategicamente sopra la carreggiata, e appaiono come target lungo la prospettiva del percorso autostradale. Il paesaggio italiano lungo le autostrade, tuttavia, è in molti tratti radicalmente mutato da allora, e di conseguenza sono mutati anche i sistemi di relazione che l’autostrada e le sue architetture esprimono. L’immagine evocata da Bianchetti per de nire l’autogrill a ponte di Fiorenzuola d’Arda, “Transatlantico ormeggiato a cavallo dell’autostrada” (v. Greco 2010), è emblematica di quanto negli anni Sessanta lo spazio per il ristoro e lo spazio autostradale potessero completarsi, senza necessità di interfacciarsi con l’esterno, in un sistema di relazioni chiuso e sufficiente a sé stesso. Nel caso degli autogrill a ponte, ad esempio, l’edi cio collocato in modo originale sopra l’autostrada poteva fungere da landmark lungo il percorso, o da soglia, o da elemento di attrazione; una volta al suo interno il sistema percettivo si ribaltava, ed era l’autostrada a poter essere osservata da un punto di vista del tutto diverso rispetto al consueto (Siviero 2014). L’immagine del transatlantico sarebbe incomprensibile tuttavia se questi grandi edi ci non si fossero stagliati sull’orizzonte di una campagna piatta e priva di elementi emergenti: su un paesaggio, ovvero, prevalentemente agricolo, quasi del tutto privo di urbanizzazione. L’iconogra a dell’epoca (foto d’archivio, cartoline, cartelli pubblicitari) ci consegna prevalentemente l’immagine di grandi architetture in grado di accentrare l’attenzione rispetto ad un paesaggio sostanzialmente privo di elementi attrattivi.

Quando il paesaggio è pianeggiante (come ad esempio nella cartolina che raffigura l’autogrill Pavesi di Montepulciano, di Bianchetti) si sviluppa un dispositivo simile a quello messo in campo dalle opere di Land art, che proprio in quegli anni Michael Heizer e altri artisti americani sperimentavano nel deserto del Nevada, ovvero la realizzazione, attraverso diverse tattiche (scavi e riporti di terreno, disposizione di oggetti nello spazio a grande scala…), di elementi geometrici in grado di mettere in evidenza, per contrasto, caratteri nascosti di un paesaggio altrimenti piatto ed omogeneo. Ma anche, e forse in modo ancor più efficace, quando l’elemento a grande scala si staglia nel paesaggio morfologicamente vario, come nel caso della stazione di servizio di Ronco Scrivia, sempre di Bianchetti. Qui il linguaggio morfologico del tripode che sovrasta il padiglione dell’edi cio per il ristoro è del tutto in contrasto con lo sfondo dell’appennino ligure, in quel tratto dolce e arrotondato. Il tripode di Ronco Scrivia, a differenza ad esempio di quello di Villoresi Ovest che ne condivide la strategia formale pur essendo posto nel contesto pianeggiante dell’hinterland milanese, è costituito da elementi dritti, raccordati ad angolo a formare un complesso spigoloso e meccanico, che si staglia sullo sfondo per contrasto.

Monoliti Il tema dell’area di servizio come landmark appartenente allo spazio chiuso autostradale sembra confermarsi nel decennio successivo attraverso diverse architetture realizzate e non, che tuttavia iniziano a cercare in modo estensivo anche una relazione con lo spazio esterno all’autostrada. È il caso ad esempio dei progetti elaborati dal gruppo coordinato da Costantino Dardi per il concorso Agip del 19681, dei quali l’unico realizzato ed ancora visibile è la stazione di servizio Bazzera, lungo l’autostrada A4, in corrispondenza di Mestre. Anche in questo caso, emerge dal bando Agip un’attenzione fortemente concentrata su requisiti e funzioni che si riferiscono ed in un certo senso si esauriscono, all’interno dello spazio autostradale, con diverse richieste sempre volte all’innovazione degli spazi e dell’immagine tipica dell’autostazione, alla capacità di erogare servizi diversi, non solo legati alla distribuzione del carburante. La stazione di servizio diviene nel bando un 1 Concorso per il progetto di una nuova stazione autostradale tipo, 1968. C. Dardi con G. Morabito, G. Cassetti, M. Chelli, M. De Michelis, M. Puolo, M. Fano

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2 - Fotogramma tratto dal lm 2001 Odissea nello spazio, di S. Kubrick (1969).

3 - Fotomontaggio di un’area di servizio Kaaba in un paesaggio di montagna.Dal libro di C. Mistura (2016) Costantino Dardi, forme dell’infrastruttura, Il Poligrafo, Padova.

prototipo da replicare in nitamente lungo le strade italiane, senza che vi sia in premessa un vincolo legato di confronto con il paesaggio attraversato dall’infrastruttura, anzi: non è indicato nel bando alcun luogo speci co, privilegiando ancora una volta, e comprensibilmente, il marketing legato all’innovazione dell’offerta. La risposta progettuale del gruppo di Dardi compie un passaggio signi cativo, a nostro avviso, rispetto alle architetture autostradali italiane del decennio precedente, ovvero assume come requisito che la stazione di servizio debba poter confrontarsi indifferentemente con tutti i paesaggi che l’infrastruttura attraversa. Così il cubo, tratto peculiare della serie Kaaba progettata dal gruppo Dar28

di per il concorso Agip, è sì in grado di attirare l’attenzione, di porsi come riferimento lungo un percorso, di segnalare un luogo precipuamente infrastrutturale – ovvero il luogo del servizio ai ussi automobilistici – ma la sua forma astratta, pura e monocromatica lo rende anche elemento di raccordo di materiali urbani e di paesaggio eterogenei, tra i quali si pone come ordinatore di una città che comincia in quegli anni a perdere la sua forma compatta, ad inseguire le strade, a svilupparsi in estensione. In questa chiave di lettura, il cubo bianco di Dardi parrebbe la trasposizione del celeberrimo monolite nero di Stanley Kubrick, nel lm 2001: odissea nello Spazio, potente immagine che ha in uenzato la cultura di quegli anni (il lm di Kubrick


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è del 1969, coevo quindi alle fasi iniziali del lavoro di Dardi per Agip), e che ha assunto più interpretazioni. Qui potrebbe assumere il signi cato di principio geometrico che si oppone al caos apparente, a volte della natura, a volte della città che cresce con un ordine non più riconoscibile. “Nel contesto urbano, diretto è il confronto con geometrie, misure e strutture dell’esistente: attraverso riletture degli elementi e delle forme presenti, il rafforzamento dell’identità del luogo non si indirizza verso l’imitazione ma opera un processo interpretativo di astrazione che ltra l’antico nel nuovo linguaggio dell’architettura […] Nel confronto con il paesaggio extraurbano, Dardi indaga i caratteri morfologici del territorio, poiché l’elemento naturale è struttura e gura del progetto: un affioramento roccioso, una siepe, un arbusteto, un corso d’acqua… Evidenzia i segni dell’idrogra a, dell’orogra a e della vegetazione, dando forma al rapporto tra architettura e natura come composizione tra stereometrie evidenti e trame ambientali”. (Mistura 2016).

L’autostrada come spazio contemporaneamente chiuso e aperto è tra le righe dell’opera di Dardi anche negli anni successivi, con i progetti dei motel Agip o con il “sistema coordinato di stazioni di servizio Agip–Nuovo Pignone, e riquali cazione delle esistenti”, incarico che lo vede impegnato nel 1972. In questi progetti, le architetture autostradali si aprono ancor di più al contesto, a tutte le scale, sino a raccoglierne i tratti morfologici e a modi carsi in funzione delle giaciture di corsi d’acqua o masse alberate, come nel caso dell’area di sosta di Affi, lungo l’A22 del Brennero.

Paesaggi Negli anni Novanta l’interesse per la strada in generale, e in molti casi in particolare per l’autostrada, come elemento appartenente a un più ampio sistema di relazioni a diverse scale, è testimoniato da alcune importanti ricerche che negli anni successivi hanno dato vita ad un vivace dibattito sul paesaggio infrastrutturale, spesso focalizzando l’attenzione sulle architetture lungo la strada o lungo le autostrade. Questo addensamento di interesse attorno al tema delle infrastrutture sembra correre parallelamente agli studi sul paesaggio compiuti in quegli anni: la Convenzione Europea del Paesaggio è redatta nel 2000, e raccoglie gli esiti di studi compiuti nel decennio precedente; contemporaneamente, solo per fare un esempio, la ricerca PRIN In-Fra, forse la più importante ed esaustiva ricerca sulle infrastrutture in Italia, è coordinata da A. Isola e compiuta da dodici università italia-

ne tra il 1994 e il 19952. Appare chiaro quindi che le infrastrutture lineari (strade, ferrovie e autostrade) sono studiate a partire dagli anni Novanta nella loro accezione di elementi a grande scala, in grado di abbracciare il paesaggio, attraversarlo e modi carlo al loro passaggio, quando nei decenni precedenti, pur con signi cative eccezioni come l’Autostrada del Brennero nell’opera di Pietro Porcinai, la distinzione tra spazio della strada e spazio esterno era nettamente più marcata, e le relazioni erano generate da necessità tecniche o costruttive. Queste ricerche hanno fatto emergere casi studio di architetture autostradali aperte allo spazio esterno, che cercavano, più che incontrare accidentalmente, un forte legame con gli elementi del paesaggio. L’opera di Bernard Lassus per le aree di sosta lungo le autostrade francesi o quella di Rino Tami per la trasformazione dei manufatti autostradali lungo l’autostrada N2 Chiasso-S. Gottardo in Svizzera, ma anche la già citata sistemazione paesaggistica dell’Autobrennero, sono apparse come le più strutturate e comprensive, ma numerosi sono i casi studio minori, anche antecedenti, studiati e catalogati in quegli anni attraverso tesi di dottorato, workshop, ricerche, e che oggi sono raccolti in codici più solidi e disponibili ad una lettura paradigmatica. Alcune esperienze di architettura nel campo delle infrastrutture autostradali hanno lasciato una forte impronta: è il caso ad esempio della politica dell’”1% paesaggio” – della quale troviamo una descrizione esaustiva nel lavoro di Emanuela Morelli (2005) – che in Francia accompagna ogni realizzazione infrastrutturale e che prevede di dedicare una percentuale ssa del costo di realizzazione dell’opera a progetti di paesaggio, comprese aree di sosta, stazioni di servizio e architetture, e che ha reso possibili, ad esempio, gli interventi sulle aree di sosta compiuti da Bernard Lassus. Tuttavia, oggi questo interesse per i paesaggi e le architetture delle infrastruttu2 In.Fra. Forme insediative e infrastrutture. Procedure, criteri e metodi per il progetto, ricerca condotta tra il 1999 e il 2001, coordinata da Aimaro. Isola (coordinatore nazionale) e nanziata dal Ministero per l’Università e la Ricerca scienti ca. Unità di ricerca locali coordinate da: Cesare Macchi Cassia (Milano), Stefano Boeri(Genova), Daniele Pini (Ferrara), Giorgio Lombardi (Venezia), Loris Macci (Firenze), Valter Bordini (Roma), Umberto Cao (Ascoli), Giuseppe Barbieri(Pescara), Rejana Lucci (Napoli), Carlo Gasparrini (Napoli), Roberto Collovà (Palermo). Nel biennio 2001-2003, una seconda ricerca, In.Fra2, Forme insediative, ambiente e infrastrutture. Indirizzi e strumenti di intervento fu nanziata dal Ministero e condotta dallo stesso gruppo di ricerca.

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4 - C. Dardi (1972), progetto per l’area di servizio di Affi, lungo la A22 del Brennero. Dal libro di C. Mistura (2016) Costantino Dardi, forme dell’infrastruttura, Il Poligrafo, Padova.

re in Italia appare più sbiadito. Se dovessimo giudicare gli esiti delle ricerche compiute nei decenni passati dalla qualità della produzione infrastrutturale, ed in particolare di architetture lungo le autostrade, rimarremmo delusi: quasi nulla in Italia si è trasferito dai centri di ricerca alla pratica. Sono indicative le vicende della recente demolizione dei ponti lungo la A3 Salerno-Reggio Calabria; o, in una condizione completamente diversa, della demolizione del viadotto autostradale di Riccardo Morandi sul torrente Polcevera a Genova, vicenda che mostra, sia prima che dopo il drammatico crollo, il carattere dell’incuria nei confronti delle opere architettoniche autostradali; o ancora della demolizione parziale della stazione di servizio Villoresi Ovest, e la ricostruzione dell’edi cio a pianta circolare con tecnologie volte ad “adeguarne i comportamenti energetici ed antisismici”, o “migliorarne gli standard edilizi”. Ma più di tutto, sono indicative le numerosissime realizzazioni ordinarie – nel senso di comuni, ripetute, quotidiane – che incontriamo durante il tragitto autostradale, che mostrano una distanza abissale dagli studi, solo per fare un esempio, di Vittorio De Feo nel concorso per il progetto di una stazione di servizio (1971), dove il marchio diveniva 30

forma e architettura, e lo spazio era al centro del progetto. Sia nei concorsi Agip che nel Concorso per il progetto di una stazione di servizio, le richieste erano rivolte all’immagine dell’azienda, all’innovazione e al miglioramento dei servizi, alla riconoscibilità del marchio e così anche nelle realizzazioni del decennio precedente: obiettivi immutati rispetto ad oggi, ma che allora, al contrario di oggi non erano sufficienti. In queste esperienze, che inseguivano un’immagine aziendale standardizzata, era centrale la ricerca di un linguaggio paradigmatico, da ripetere in ogni stazione di servizio, adattabile alle dimensioni e ai luoghi diversi di un ampio corollario di fattispecie. Queste esperienze, di ri esso, avevano la potenzialità di modi care radicalmente – o quantomeno di essere prese come modello per modi care radicalmente – il paesaggio delle infrastrutture, parte integrante e non trascurabile del paesaggio della quotidianità. Oggi le stazioni di servizio autostradali appaiono al contrario appiattite drasticamente su layout ripetitivi, che non consentono alcuna esperienza se non quella meccanica della sosta, dell’acquisto in velocità e del rifornimento, a cui segue, nel più breve tempo possibile, la ripartenza verso un luogo migliore.


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5 - V. De Feo et al. (1971), Concorso per il progetto di una stazione di servizio. https://house-frog.tumblr.com/page/2

Lo spazio dell’autostrada si è nuovamente chiuso, ma l’ingresso al casello, rispetto agli anni di Angelo Bianchetti e Melchiorre Bega, non consente la scoperta di un mondo spettacolare, fatto di parabole che si stagliano sul paesaggio piatto della Pianura Padana, né di edi ci che volano sopra la strada per guardare le macchine che sfrecciano verso l’orizzonte. Per avere questo, si deve allungare lo sguardo oltre il guard rail, e osservare la città estesa, contemporanea, frammentata, che ha in molti casi raggiunto i margini dell’autostrada, e che si presenta a volte attraverso forme insolite, abbastanza grandi da poter essere percepite in velocità, ed essere ricordate come i punti saldi di un percorso altrimenti piatto e monotono. L’autostrada, immersa a tratti in materiali urbani di una città sovrapposta, invadente, espansa, in molti tratti diventa parte di essa, assumendo la caratteristica peculiare che in precedenza apparteneva solo alle strade “normali”: diviene una delle fondazioni, delle strutture su cui si imposta città contemporanea. Di conseguenza, costruire la città signi ca anche costruire l’autostrada, e viceversa: l’architettura, che sessant’anni fa si manifestava puntualmente lungo le autostrade, oggi assume la forma di un margine esteso che spesso, anche involontariamente, de nisce il paesaggio delle autostrade, e con il quale è necessario confrontarsi.

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Forme cospicue lungo le autostrade di Luigi Stendardo

Punti cospicui, così si de niscono nell’arte della navigazione quelle forme, naturali o arti ciali, che si distinguono, senza possibilità di equivoco, nel paesaggio costiero e che si assumono come punti di riferimento sicuri, utili per fare il punto nave, per aiutare a seguire una rotta, per misurare distanze e velocità. Chi naviga a vista li cerca, li avvista, li riconosce associandoli alla loro rappresentazione e descrizione sulla carta nautica o sul portolano, o anche solo alle immagini che conserva nella sua memoria, e vi si aggancia traguardandoli, tessendo così una rete invisibile di maglie triangolari, una costellazione diurna, osservando la quale si muove sicuro sulla super cie dell’acqua. Non importa che si tratti di una roccia affilata, di un faro, del campanile di una chiesa, del maschio di una fortezza, di un pilone o di un traliccio abbandonato; non importa se sia una conformazione naturale o una costruzione dell’uomo; non importa se vi si canti una messa, se vi si trasformi energia, se vi si abiti, né tanto meno se il campanaro sia consapevole o ignaro del fatto che del suo campanile qualcun altro si stia servendo per scopi affatto diversi da quello che lui immagina debba essere lo scopo ovvio, e probabilmente unico, della costruzione della quale si prende cura. La torre, l’antenna, la ciminiera, esistono contemporaneamente in due mondi diversi, lontani e reciprocamente indifferenti, se non completamente ignari uno dell’altro: un mondo in cui ogni diversa forma serve ad un uso diverso, pregare, abitare, trasmettere o captare onde elettromagnetiche, disperdere gas e vapori, lavorare; un altro mondo in cui le stesse diverse forme servono tutte soltanto a disegnare il paesaggio, a misurarlo, a intessere reti di relazioni spaziali, palinsesti sui quali si raccontano storie di cui resta traccia scritta nei giornali di bordo. Nodi di uno spazio-tempo che continuamente si deforma, qui le forme sono essenzialmente forme. Ciò che importa quindi è la loro forma; importano le dimensioni, le

Landmarks along the highway by Luigi Stendardo

In the art of marine navigation, landmarks are de ned as natural or arti cial features standing out against the coastal background. Unambiguously recognizable, they are used as reference points for piloting. Such conspicuous objects as towers, antennas, smokestacks simultaneously exist in two different worlds: in the former, each form is actually utilitarian; in the latter, the very same forms are mere features of the landscape, which give measure to the land and weave intangible spatial networks. Thus, what matters is actually their shape: they are form for form’s sake. A comparison between the everyday world, where forms are utilitarian, and the world of seamanship, where steering is based on triangulations, emphasizes the difference between those who use form and space taking them for granted, and those who watch and master them wittingly. Thus, there are two ways of seeing, the everyday absent-minded glance, and the acute searching gaze, capable of catching space-time relationships, aware of its position and course. Apart from the realm of navigation, which emphasizes the gap between the two ways of seeing, there are other parallel worlds in which we are led to watch for and reference conspicuous forms. One of them is undoubtedly the highway network. Landmarks that stand out along the highway are quite similar to those of the coastal landscape. The rich array of highway landmarks is divided here into ve main sets. Some of them can be described as pure and incisive forms, rigorous works of architecture, true lessons in design.

Nella pagina a anco, in alto: Costantino Dardi e Giovanni Morabito con Ariella Zattera, Stazione di servizio Agip, MestreBazzera 1969-71. Foto da G. Doti, “Costantino Dardi, l’universo della precisione”, in Il giornale dell’architettura.com», 4 febbraio 2019, https:// ilgiornaledellarchitettura. com/web/2019/02/04/ costantino-dardi-luniverso-della-precisione. Nella pagina a anco, al centro: Angelo Bianchetti, Autogrill Pavesi, Autostrada A1, Montepulciano 1967. L’autogrill in una foto d’epoca. Foto da Archivio Arch. J.J. Bianchetti pubblicata in https:// www.autogrill.com/it/ chi-siamo/la-nostra-storia Nella pagina a anco, in basso: la stazione di servizio oggi. Foto da L. Ciacci, “Una nuova vita per la “Kaaba” di Dardi a Mestre?”, in Il giornale dell’architettura.com», 29 giugno 2018, https://ilgiornaledellarchitettura. com/web/2018/06/29/ una-nuova-vita-per-lakaaba-di-dardi-a-mestre

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proporzioni, la posizione e le relazioni con le altre forme, le distanze, le altezze, gli allineamenti, così come i punti di vista. I caratteri formali che rendono tale un punto cospicuo sono pochi e semplici: deve essere una gura che si distingue dallo sfondo, deve essere ben visibile, deve saltare all’occhio (come da etimo latino del termine cospicuo), attirare l’attenzione, deve essere precisamente riconoscibile, anche provenendo da direzioni diverse, e facilmente individuabile sulle carte, deve avere un pro lo netto perché possa essere traguardato con precisione senza possibilità di confusione, avere una forma semplice, descrivibile con poche parole, essere grande abbastanza per essere avvistato da lontano, deve trovarsi in una posizione singolare.

Navigare lungo la costa, percorrere un’autostrada Il parallelo tra il mondo di una vita quotidiana, in cui le forme costruite servono a tante attività, e il mondo della navigazione, dove l’attività essenziale è percorrere lo spazio, studiandolo e misurandolo attraverso triangolazioni, rende evidente la distanza tra chi, immerso nella routine, usa le forme e lo spazio senza guardarli e chi invece li osserva e li misura, con consapevolezza. Si delineano qui due modalità dello sguardo: un modo quotidiano, distratto, indifferente, e un modo indagatore, consapevole, scienti co o artistico. L’esercizio della navigazione rende necessario quello sguardo verso le forme, quella capacità di coglierne i rapporti spazio-temporali, quella consapevolezza della propria posizione e del proprio movimento, che nel mondo quotidiano appaiono superui ai più. Tuttavia, oltre quello della navigazione costiera, che così efficacemente evidenzia il gap tra le due modalità dello sguardo, esistono altri mondi paralleli in cui si è sollecitati ad agganciarsi a forme cospicue, e uno di questi è senza dubbio quello della rete delle autostrade. Questo campo presenta evidenti similitudini e qualche differenza con quello delle rotte marittime costiere. Una prima affinità sta nella condizione di separatezza rispetto al vivere quotidiano, nel fatto che accedere a questi campi equivale a portarsi fuori dal mondo abituale, a trovarsi in posizioni inusuali e stranianti, su piani di osservazione affatto diversi, e a guardare la concrezione della super cie terrestre senza toccarla, uscendo dal suo spessore, galleg-

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giando su campi che segnano una distanza da essa. In un caso si galleggia sulla supercie dell’acqua, nell’altro si uttua sulla rete infrastrutturale, che si con gura come un sistema chiuso e isolato. Laddove in passato le infrastrutture costituivano sistemi aperti, adattivi rispetto alla forma del territorio e della città, immerse e intrinsecamente interagenti con i contesti, le autostrade contemporanee tendono a mantenersi staccate dal contesto, per restare sicure, indisturbate ed efficienti. Dunque, l’autostrada si presenta con nata, isolata, il più possibile protetta da ingerenze esterne, con pochi punti di accesso e di uscita controllati, e così attraversa territori e lambisce città, con limitate possibilità di interazione. Una seconda analogia si riscontra nel fatto che entrambi questi campi sono percorsi da osservatori che si muovono su un vettore. Il movimento costituisce allo stesso tempo sia il loro stato che la loro azione. È evidente che la dimensione tempo è fondamentale in un processo di percezione, osservazione e conoscenza che è sempre in divenire. Cambiano le velocità, le direzioni e i versi, i tempi e le distanze si dilatano e si accorciano; sulla supercie del mare i venti, le correnti e il moto ondoso, e sul nastro stradale le curve, i dislivelli e gli svincoli deformano lo spazio-tempo. Una terza similitudine emerge osservando che entrambi i mondi sono costellati di punti cospicui e che questi sono tali in virtù della loro forma immediatamente distinguibile e della loro posizione singolare, e che tali punti costituiscono dei capisaldi capaci di attraversare il con ne, di forare l’involucro invisibile che separa due mondi paralleli, e di manifestarsi con nature affatto diverse nel mondo quotidiano e fuori da esso. In effetti sono elementi che spesso hanno una doppia natura, una doppia scala, una doppia utilità, una doppia vita, che appartengono a un mondo nel quale vengono distrattamente e utilitaristicamente usati, ma si affacciano e si mettono in mostra su un ulteriore piano. Nel primo mondo sono tangibili e attraversabili, permeabili alla fruizione sica e agli usi, ma difficilmente controllabili con uno sguardo che li comprenda nella loro interezza, perché sono in qualche modo fuori scala rispetto al contesto. Nel secondo possono essere abbracciati e compresi dallo sguardo, ma restano sempre distanti, intoccabili, perché emergono su un orizzonte visibile, ma irraggiungibile. La differenza fondamentale sta nel fatto che le in nite rotte che solcano la super cie del mare sono astratti fasci di linee rette de ni-


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te da angoli, che si misurano a partire dalla direzione del Nord geogra co, mentre le linee delle autostrade sono manufatti concreti, precisamente posizionati e saldamente vincolati alla super cie terrestre. Da questa semplice osservazione discendono altre considerazioni. A differenza di quanto accade in mare, in autostrada non è necessario fare periodicamente il punto per sapere dove ci si trova, la strada è segnata e basta seguirla. Non è necessario traguardare i punti cospicui con precisione, misurare gli angoli di rilevamento e riportarli sulla carta, per viaggiare senza perdersi. La strada stessa è un luogo di posizione e, di solito, è sufficiente sapere che ci si trova in un punto qualsiasi tra due caselli, è solo una questione di tempo, prima o poi si raggiungerà l’uscita. La carreggiata è una linea, un nastro graduato ed è possibile leggere (di solito ad intervalli di cento metri, che in autostrada corrispondono a intervalli temporali compresi tra tre e cinque secondi) a che distanza ci si trova rispetto al chilometro zero. Viaggiare in autostrada richiede minori conoscenze e competenze di quante ne siano indispensabili per navigare in mare, minore consapevolezza, almeno per quanto attiene alla capacità di misurare lo spazio e determinare la propria posizione. Posso non conoscere la geogra a, non sapere nulla di trigonometria o dell’arte del carteggio e non rischierò di perdermi.

Forme cospicue nel paesaggio autostradale Ma allora perché parlare di punti cospicui in autostrada? Forse perché non siamo valigie. Forse perché altrimenti ci annoieremmo. Forse perché abbiamo bisogno di raccontare una storia del nostro viaggio. Forse perché abbiamo altre necessità, oltre quella di non perderci. Forse perché immettersi sull’autostrada provenendo dal mondo quotidiano, in cui siamo abituati a misurare spazio e tempo entro determinati intervalli, implica un passaggio di scala al quale non siamo preparati e che pertanto ci spinge a cercare nuovi strumenti e unità di misura. In autostrada le distanze si allungano e i tempi si dilatano, ma, come sempre avviene nei passaggi di scala, le diverse grandezze non variano proporzionalmente. Lo spazio e il tempo si dilatano secondo moltiplicatori diversi e il loro rapporto, la velocità, non resta costante, ma aumenta. Ed ecco che cerchiamo i punti cospicui perché, ancorché non rischiamo di perderci, il passaggio di scala riaccende in

noi l’esigenza, quasi primitiva, di misurare lo spazio e il tempo e di guadagnare consapevolezza rispetto alla nostra posizione, cose che nel mondo quotidiano non siamo più inclini a considerare perché l’abitudine ce le fa dare per scontate. Immettersi in autostrada signi ca varcare la soglia di questo passaggio di scala spazio-temporale che richiede un adeguamento degli strumenti e delle unità di misura, oltre che l’attivazione di gradi e tipi di attenzione diversi dal solito. Le forme cospicue che emergono dal paesaggio autostradale hanno caratteristiche simili a quelle del paesaggio costiero, a meno di quelle varianti che derivano da alcune differenze fondamentali. La prima è la non necessità di presentare sagome nette e inequivocabili da traguardare per i rilevamenti. Una seconda differenza sta nelle diverse proporzioni spazio-temporali dei due mondi: in autostrada un quarto d’ora equivale a un intervallo spaziale che oscilla tra i venti e i trenta chilometri, mentre lo stesso quarto d’ora di navigazione equivale a una distanza mediamente compresa tra due e cinque miglia. È importante inoltre tenere conto che viaggiando in autostrada vediamo le forme del paesaggio quasi esclusivamente in fase di avvicinamento, perché guardiamo essenzialmente nel senso di marcia, mentre in navigazione il punto cospicuo resta generalmente sull’orizzonte dello sguardo anche dopo essere stato doppiato. Questo signi ca che una forma che in navigazione resta visibile per circa quaranta minuti, in autostrada appare e scompare nel giro di circa cinque minuti. Un’ulteriore signi cativa differenza si ritrova nel fatto che viaggiando in autostrada è talvolta possibile avvicinarsi a una distanza relativamente molto prossima alle forme notevoli che si avvistano, cosa molto meno frequente nel corso di una navigazione. Forma pura e semplice, talvolta particolare, dimensioni, proporzioni, posizione, distanze, velocità relative sono, in sintesi, i parametri essenziali attraverso i quali si de niscono le forme notevoli che incontriamo lungo la rete delle autostrade. Tuttavia, l’insieme delle forme cospicue rilevabili dall’autostrada è ricco e articolato in diversi tipi che possiamo provare a ridurre a cinque categorie, ben sapendo che diverse forme possono essere trasversali rispetto a questa schematica suddivisione. Un primo sottoinsieme include tutti quegli elementi geogra ci, modi cati o meno dall’arti cio umano, che si presentano come forme notevoli: colline, crinali, cime di mon-

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1 - Nella pagina a anco, in alto: Gianugo Polesello, Casello autostradale di Padova est, Padova 19992005. Le quinte sceniche all’ingresso dell’autostrada. Foto di G. Rakowitz, CC BY-SA 4.0 Firenze University Press, https://doi. org/10.13128/FiAr-21057 2 - Nella pagina a anco, al centro: stesso casello, il modello per il casello autostradale (Archivio Gundula Rakowitz). Vista zenitale e dell’alzato. Foto di G. Rakowitz, CC BY-SA 4.0 Firenze University Press, https://doi.org/10.13128/ FiAr-21057 3 - Nella pagina a anco, in basso: stesso casello, le quinte sceniche viste dall’esterno dell’autostrada. Foto di G. Rakowitz, CC BY-SA 4.0 Firenze University Press, https://doi. org/10.13128/FiAr-21057

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tagne, falesie, cave. Queste sono spesso sottolineate da costruzioni, che costituiscono un secondo insieme, quali cinte murarie, torri, castelli, abbazie, ma anche antenne, capannoni, serbatoi, condotte idriche, sostruzioni, dighe, argini o altre opere di ingegneria volte a mettere in sicurezza il territorio. Generalmente questi manufatti non furono concepiti in relazione all’autostrada, anzi spesso sono preesistenti ad essa. In alcuni casi è stato il disegno dell’autostrada a tenere conto di essi e ad esserne condizionato, in altri la loro relazione è preterintenzionale e dipende dal fatto che presentano caratteri di forme cospicue, quali la nitidezza dei volumi, la solidità delle masse, o comunque la struttura formale chiara e immediata, associati a dimensioni e proporzioni che ne enfatizzano la grande scala. Una terza categoria di forme cospicue presenti sulla rete delle autostrade è costituita da quelle particolari opere d’arte di ingegneria che si rendono necessarie nelle intersezioni critiche tra orogra a e nastro stradale e che sono parte integrante del disegno dell’infrastruttura o del suo immediato intorno. Si tratta di manufatti quali opere di sostegno, muri di contenimento, gabbionate, opere di sistemazione dei pendii, gallerie, viadotti, ponti o sovrappassi, barriere frangisole, che spesso si presentano come gure assai interessanti sul piano formale, effettivamente capaci di emozionare. Tutti gli elementi appartenenti alle tre categorie sopra descritte costituiscono forme cospicue che possono essere, nella cornice di una interpretazione lata, ascritte alla più ampia categoria delle architetture delle autostrade. Qui, per accompagnare le ri essioni nora condotte con una più marcata aderenza al campo della composizione architettonica, appare più opportuno soffermarsi su altre due categorie di architetture dell’autostrada. In un primo insieme possiamo collocare quelle architetture che si posizionano sul bordo dell’autostrada e che sono concepite come attrezzature di servizio quali barriere, caselli, stazioni di servizio, aree di sosta. In un secondo gruppo troviamo architetture che intenzionalmente si costruiscono in relazione all’autostrada, ma che sono al di fuori di essa, non appartengono al suo sistema chiuso, ma si disegnano sullo sfondo dei suoi scenari. Si tratta di centri commerciali, showroom, ma anche alberghi e resort per eventi e tempo libero, parchi per divertimento, o ancora centri di produzione, sedi di aziende, centri di ricerca, o in ne hub lo-

gistici, magazzini, scali per container. Qui, la relazione con l’autostrada è cercata essenzialmente per due ordini di motivi: il primo sta nella disponibilità di aree e nella posizione strategica per l’accessibilità delle persone e la movimentazione delle merci; il secondo sta nella visibilità che l’autostrada garantisce alle architetture che lungo il suo percorso si mettono in mostra. Alcuni segmenti di autostrada sono, così, efficacemente utilizzati come vetrina dinamica.

Architetture dell’autostrada, alcuni esempi signi cativi Tra le attrezzature di servizio alle autostrade, solo alcune hanno quei caratteri propri delle forme cospicue e, tra queste, le prime che sicuramente eleveremmo al rango di architetture dell’autostrada hanno la prerogativa di essere forme didascaliche che costituiscono dei veri e propri esercizi di composizione, delle misurate e autorevoli lezioni di architettura. Per esempli care quest’idea possiamo brevemente citare alcuni casi signi cativi. Cominciamo dalla stazione di servizio Bazzera sud sulla A4 Venezia-Trieste (oggi tratto della tangenziale di Mestre) che fu realizzata (1971), a valle di un concorso bandito dall’Agip (1969), su progetto di Costantino Dardi. Si tratta di un’architettura che presenta una forma geometrica pura e inconfondibile, proporzioni asciutte, pro li netti, visibilità e riconoscibilità immediate, posizione elevata e distaccata dal quotidiano, forma gratia formae che non ha (quasi) altra funzione che esibirsi come tale, ridisegnare il paesaggio, misurandolo come una pietra miliare. Si tratta di una forma segnaletica in sé, capace di essere messaggio di se stessa di giorno e di notte, così come di farsi supporto per la comunicazione di altro, attraverso slogan, immagini sse e in movimento, segnali luminosi. È un cubo, puro e semplice, della misura esatta di dieci metri di lato, ed è noto come il “cubo” o la “kaaba”, suo nome originario, motto del concorso, ancorché fosse rivestito da una diafana pelle, bianca di giorno e luminosa nella notte dell’autostrada, piuttosto che da una kiswa di seta nera. Il cubo, costruito con un sistema reticolare di aste e nodi, era rivestito da una pelle chiara in pannelli in bra di vetro, poi strappata via da una violenta tempesta che lasciò lo scheletro nudo, così come lo vediamo oggi stagliarsi sul cielo limpido o materializzarsi nell’aria opalina carica di umidità.


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Il cubo è un’architettura astratta, perfetta, pura, visionaria come quelle di Étienne-Louis Boullée sulle quali Dardi, quasi vent’anni dopo, allestirà la mostra al Vittoriano (1986) per il set del lm di Peter Greenaway Il ventre dell’architetto (1987). La kaaba di Costantino Dardi resta sospesa, galleggia nell’aria, toccando appena, con appoggi quasi liformi, i piani delle pensiline che la sostengono, pura forma, pura architettura dell’autostrada. Logorata dalle intemperie, anche quest’opera è stata oggetto di dibattito per la sua salvaguardia, per ora è ancora lì, familiare per i locali, intrigante per i viaggiatori. Risale a pochi anni prima l’Autogrill Pavesi a Montepulciano (1967) rmato da Angelo Bianchetti, che qui citiamo come esempio di quella che possiamo considerare, sicuramente in Italia, l’architettura dell’autostrada per eccellenza, l’autogrill a ponte. Bianchetti aveva già realizzato nel 1959 l’Autogrill (nome commerciale che prestissimo diventerà nome comune) di Fiorenzuola d’Arda, sulla A1, primo in Italia e in Europa. L’autogrill di Montepulciano è ancora una volta una composizione chiara, fatta da pochi essenziali elementi, è un enunciato immediato, la sincera traduzione in costruzione di uno schema statico astratto, l’elegante equilibrio di una costruzione isostatica. La struttura in acciaio, costituita da tre tronchi a sezione variabile, è disegnata in funzione del diagramma del momento ettente. Il pilastro e i due rami della trave sono solidali nel nodo robusto e si assottigliano allontanandosi da esso, no ad azzerarsi alle estremità opposte; il ritto è incernierato al piede, la mensola corta è a sbalzo, mentre la lunga trave che raggiunge il lato opposto della carreggiata trova un semplice e discreto appoggio sul torrino degli ascensori. Un volume parallelepipedo vetrato, sospeso sul nastro autostradale, è agganciato all’intradosso della struttura in acciaio. La forma è didascalica, potente, iconica. Un salto in avanti nel tempo, di più di trent’anni, ci porta all’architettura con la quale chiudiamo questa prima serie di esempi di attrezzature di servizio per l’autostrada. Si tratta del casello autostradale di Padova est (1999-2007), realizzato su progetto di Gianugo Polesello. È una composizione architettonica, anche in questo caso esatta e rigorosa, fatta di pochi elementi, dimensionati e proporzionati con precisione, che però presenta una sostanziale differenza rispetto a quelle che abbiamo nora osservato. Ci troviamo infatti di fronte a una architettura che segna il limite e consente il passaggio

dalla città all’autostrada e che pertanto non è concepita per invitare alla sosta, quanto piuttosto per accompagnare il movimento. Mentre il cubo di Dardi e l’autogrill di Bianchetti, seppure diversi tra loro, sono concepiti per essere avvistati da lontano, per poi essere raggiunti, e aspirano a essere un pun-

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4 - Jean Nouvel, Kilometro Rosso, A4, Bergamo 20012007. Foto da http:// www.jeannouvel.com/ en/projects/the-kilometro-rosso-science-andtechnology-park/

5 - Jean Nouvel, Kilometro Rosso, A4, Bergamo 20012007. Foto da http:// www.jeannouvel.com/ en/projects/the-kilometro-rosso-science-andtechnology-park/

to di sosta, se non di arrivo, l’architettura di Polesello è pensata per essere vista all’improvviso, inaspettata, per poi scivolare rapidamente di lato, tangenzialmente, sulla coda dell’occhio, ed essere doppiata in un tempo brevissimo, ancorché a bassa velocità, e traghettare l’automobilista nel sistema chiuso e veloce dell’autostrada. Così mentre le prime due architetture sono composizioni sintattiche, nelle quali gli elementi costitutivi sono disposti a formare un’unità, un oggetto unico, un’immagine unitaria che resta compresa in un unico sguardo, in quest’ultima architettura i pezzi sono distinti, ognuno occupa la sua porzione di spazio, i singoli elementi sono disposti paratatticamente e sono percepiti in sequenza. Né l’intera composizione, né i suoi pezzi possono essere abbracciati da un solo sguardo, tuttavia la loro struttura formale si comprende osservandone anche soltanto un segmento. L’architettura del casello, porta orientale della città di Padova, è costituita da tre pezzi, tutti a sviluppo longitudinale, disposti planimetricamente secondo uno schema a T. L’asta della T è data 38

dalla lunga pensilina-passerella aerea, realizzata con una struttura reticolare spaziale e lamiere metalliche, che corre al di sopra dei box e delle corsie per il passaggio dei veicoli, poggiando su una teoria di colonne. Pur presentandosi frontalmente, ortogonale al senso di marcia, questo prospetto, in virtù della sua lunghezza che supera i cento metri, della distanza ravvicinata e del movimento dell’osservatore, non può essere ricompreso interamente dallo sguardo. Le ali della T segnano il con ne laterale tra l’autostrada e le strade urbane limitrofe. L’ala che precede la barriera è costituita da una teoria di pannelli piani e spessi, dai bordi affilati dal taglio degli spigoli, bianchi o rossi, sollevati dal suolo grazie a setti in calcestruzzo nudo sui quali si attestano come bandiere inferite su tozzi pennoni. Nel disporsi a destra delle corsie di ingresso, alcuni pannelli si svincolano dalla giacitura ortogonale alla direzione di marcia e così la sequenza di quinte sceniche offre le proprie rapide variazioni allo sguardo in movimento tangenziale di chi entra in autostrada. Superata la barriera d’ingresso, la seconda ala


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della T, un lungo muro traslucido in tessere di vetro-cemento, accompagna in ne l’accelerazione verso l’autostrada. La composizione per pezzi che si sviluppano in lunghezza, per iterazione di un elemento, come nel caso delle quinte sceniche, o per estensione di una super cie, come nel caso del muro traslucido, per affiancare e accompagnare il veicolo in movimento veloce, trova applicazione, con un passaggio di scala, nei due casi che prendiamo come signi cativi dell’ultimo gruppo di architetture dell’autostrada. Parliamo ora di quelle forme cospicue che si mettono in mostra al di là del guardrail e che, pur essendo esterne all’autostrada e pertanto non direttamente accessibili, si giovano di essa per la visibilità che ne guadagnano e per la prossimità logistica con gli svincoli. Sono forme che non invitano immediatamente alla sosta, non diventano meta per i veicoli, ma piuttosto li inseguono, restando visibili tangenzialmente e accompagnandoli per un tratto. Chi guida sulla A4, in prossimità di Bergamo, vede improvvisamente s lare a lato una velocissima, potente, accesa lamiera di alluminio verniciato di rosso, che accompagna la sua corsa per un lunghissimo intervallo di tempo che oscilla tra i trenta e i quarantacinque secondi. È il Kilometro Rosso (2001-2007) progettato da Jean Nouvel. Si tratta di un lungo e sottile muro metallico, che si sviluppa rettilineo per un chilometro esatto e fa da facciata, vetrina, insegna, barriera antirumore, a un hub per l’innovazione, l’impresa, la ricerca, il territorio, nato su iniziativa privata. Il complesso si articola in edi ci diversamente distribuiti e orientati su una amplissima super cie, tenuti insieme da un’unica facciata sull’autostrada, concepita come elemento a sé stante, sineddoche formale dell’intero complesso, forma cospicua, costituita da un unico, inconfondibile, immediato elemento, intenzionalmente fuori scala, ovvero alla scala dell’autostrada. Più misurata, e anche più lenta, la facciata del centro per la manutenzione dell’autostrada austriaca A1, a Salisburgo, l’architettura che chiude queste ri essioni, rmata da Marte Marte Architekten (2011-2015). Il centro è posizionato su un declivio in prossimità dello svincolo ed è costituito essenzialmente da quattro edi ci a pianta rettangolare disposti a formare una corte. Nella corte si eleva un gruppo di tre silos per il sale, alti circa venticinque metri, visibili a distanza. La facciata parallela al nastro stradale è bassa e lunga,

ritmata da una tta sequenza di lame verticali che accompagnano la marcia in decelerazione dei veicoli che si sono immessi sullo svincolo. Qui la composizione si fonda sulla rapida iterazione di un elemento semplice che realizza la vibrazione di luce e ombra che si offre allo sguardo in movimento degli automobilisti. © Riproduzione riservata

Bibliogra a essenziale

6 e 7 - Marte.Marte Architekten, Centro per la manutenzione dell’autostrada, A1, Salisburgo 2011-2015. Il centro visto dallo svincolo. (in alto) e la facciata verso l’autostrada (in basso). Foto di M. Lins, https:// www.atlasofplaces.com/ atlas-of-places-images/ ATLAS-OF-PLACES-MARTE-MARTE-ARCHITEKTENMOTORWAY-MAINTENANCE-CENTRE-IMG-21.jpg e idem IMG 3.

Mistura C. (2016), Costantino Dardi. Forme dell’infrastruttura, Padova: Il Poligrafo. Pivetta M. (2017), Costantino Dardi - Paesaggi platonici, in «Firenze Architettura», 21 (1), pp. 88-97. https://doi. org/10.13128/FiAr-21063 Rakowitz G. (2017), Gianugo Polesello - Porta e ponte a Padova est, in «Firenze Architettura», 21 (1), pp. 38-47. https://doi.org/10.13128/FiAr-21057 Marzo M. (2005), A4 Casello di Padova Ovest [sic!], Padova. Composizioni in movimento, in «Casabella», 739/740, dicembre 2005 / gennaio 2006.

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Dinamicità e architetture alla scala del paesaggio. L’area di sosta di Garabit lungo l’autostrada A75 in Francia di Chiara Azzali

Tenendo presenti le indicazioni della Convenzione europea del paesaggio, appare evidente la necessità di pensare il paesaggio come patrimonio naturale e culturale, ri esso dell’identità e della diversità europea, ma anche come risorsa economica1.

Infrastrutture come paesaggio della quotidianità Patrimonio naturale, patrimonio culturale, risorsa economica: queste le parole chiave che orientano la ride nizione concettuale e progettuale del paesaggio contemporaneo: come identità più complessa, come potenzialità genetica non sempre de nita, come processo evolutivo che consente un dialogo mai concluso con la natura. Relazione, movimento, metamorfosi, connessione sono i termini che meglio tentano di trasferire sul piano morfologico la sintassi dei segni di tale processo trasformativo e ne rilevano la connotazione dinamica che deriva, del resto, dalla stessa pluralità di signi cati che possono essere attribuiti al termine paesaggio, a seconda del punto di vista che si assume. Signi cati questi che si intrecciano tra loro in una possibile sintesi percettiva e progettuale, ma che possono essere, allo stesso modo, individuati nella loro singolarità funzionale, come variabili dei contesti esaminati. Afferma a questo proposito Pierre Donadieu (2005, p. 143): “Il paesaggio è spesso interpretato da un progetto pluralista che mette in relazione le sue componenti”, poiché è contemporaneamente “immagine e realtà, soggettivo e oggettivo, naturale e culturale, immateriale e materiale, commerciale e non commerciale, individuale e collettivo, privato e pubblico”. Non può essere confuso insomma né solo con la natura né solo con il 1 Considerazioni desunte dal Preambolo della Convenzione Europea del Paesaggio, Firenze, 2000.

Dynamism and architecture at the scale of the landscape. The Garabit rest area along the A75 Motorway in France by Chiara Azzali

The landscape is a complex, dynamic entity, a “system of relationships” that can bring together the geography of places and the form of the built environment. The rest areas along motorways are also key elements in the strategy to intensify the relationship between the landscape and the infrastructure for mobility. In France, the motorway production process has long assimilated a number of key concepts that led to the construction of a great many architectural works (such as the rest areas by B. Lassus, for example) and which, while appearing as more diminutive elements in comparison to the size of the infrastructure, also have the capacity to spread across the greater scale of the landscape, structuring the various constituent elements into a system. Some of these principles have been condensed in the project for l’Aire de repos autoroutière à Garabit along the A75-La Méridienne motorway in France, designed and built by the Agence Latitude Nord and landscape architects Gilles Vexlard and Laurence Vacherot. The project for Garabit effectively interprets the relationship between the aesthetic and dynamic perception of the landscape and the infrastructure for roadway mobility. Nella pagina a anco: Aire de repos autoroutière à Garabit, Latitude Nord, 1995, planimetria generale (in alto) e studi preliminari (in basso).

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1 - Aire de repos autoroutière à Garabit, Latitude Nord, 1999, Il ponte di Garabit dal margine Est dell’Area.

costruito. In questa logica il paesaggio viene sottratto alla tradizionale estetica del bello e del pittoresco e si apre a discipline più tecniche, in ogni caso tra loro diverse, pur se collegate: la geogra a, che descrive morfologicamente la topogra a ambientale, la storia, che lo colloca nella cultura del luogo e ne legge i segni del cambiamento, l’architettura e l’ingegneria, che lo de niscono in termini compositivi e formali e ne soddisfano le esigenze tecnico funzionali, l’economia che coglie le necessità di sviluppo delle popolazioni del luogo. Discipline che, se da un lato si concentrano sulla diversità e sull’eterogeneità dei territori, pongono l’accento, contemporaneamente, sull’intreccio e sulla trama di relazioni e segni che essi esprimono. Discipline che in Francia sono coinvolte nel processo di produzione infrastrutturale sin dalle prime fasi di progettazione. La conferma di ciò è riscontrabile nelle parole del paesaggista João Nunes (2007, p. 134-139) che così de nisce il concetto di paesaggio: “il paesaggio è un testo, un insieme di segni che raccontano il senso delle azioni che lo hanno prodotto” Chi, quindi, si occupa di paesaggio “legge, decodi ca, interpreta, e interviene, entra nei processi con nuovi elementi, li combina secondo nuove formule, innesca nuovi meccanismi, dà l’avvio a nuovi processi: intervenendo sul funzionamento di

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un luogo, ne trasforma l’immagine, l’insieme di segni che lo compongono. Scrive un nuovo testo”. Ne derivano l’orientamento non semplicemente conservativo del paesaggio, non più considerato nel suo valore di eccezionalità e unicità, e la rinnovata volontà di una sua salvaguardia, gestione e piani cazione (come descritto nella Convenzione), secondo prospettive progettuali che tendano a coglierne la dinamicità spazio-temporale, ma soprattutto attraverso la riabilitazione delle zone normalmente considerate prive di valore, “senza negarle, nasconderle, ma rendendole protagoniste anche in termini formali” (Kipar 2003, pp. 49-62). Fra queste, sono particolarmente signi cative le infrastrutture per la mobilità, tradizionalmente considerate come semplici strumenti necessari a collegare punti diversi sul territorio e come sistemi autoreferenziali, di precisa identi cazione tipologica e formale. L’infrastruttura di trasporto, tuttavia, non può limitarsi alla mono-funzione del connettere: deve piuttosto essere considerata come progetto multifunzionale che, inevitabilmente, coinvolge il carattere del territorio che la contiene: l’infrastruttura diviene paesaggio e il paesaggio diviene infrastruttura, creando una reciprocità concettuale che, inevitabilmente, si trasforma in reciprocità progettuale. Il loro stesso nome le identi ca come realtà


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2 - Aire de repos autoroutière à Garabit, Latitude Nord, 1995, sezioni del terreno.

interstiziali e pervasive, entità tecniche le quali dispongono comunque ad una presenza nello spazio che eccede il loro ruolo. Esse sono, nello stesso tempo, opere di ingegneria e di architettura, ma partecipano anche alla dimensione paesistica, costituendosi come elementi di una geogra a arti ciale, […] una geogra a progettata che assimila frequentemente le infrastrutture stesse a opere di land art, che intrattengono con lo scenario naturale un rapporto complesso, il quale travalica di molto gli aspetti tecnici di problemi da risolvere. (Purini 2005-2006, pp. 3-37). Vista in tal senso, l’infrastruttura per la mobilità, e le architetture che la de niscono o che la popolano, assume interesse non solo in sé, come presenza ontologicamente data, o per le soluzioni tecniche che assolve, nella sua fenomenologia strutturale e funzionale, ma anche e soprattutto per la rete di relazioni che determina nei contesti locali e globali in cui si colloca. Può apparire persino come possibilità di una loro metamorfosi territoriale, no a ride nire, in alcuni casi, interi orizzonti. Quasi come una storia che attraversa i luoghi e li ricrea con nuovi episodi e signi cati. Della dimensione narrativa dell’infrastruttura, in particolare quella autostradale, parla con grande efficacia ancora Franco Purini (2005-2006) che la considera nella sua ambi-

valenza interpretativa: come “unico manufatto” e come “sviluppo”, attraverso l’inserimento di ponti, viadotti, raccordi di immissione e di uscita, parcheggi, stazioni di servizio, autogrill. Scrive infatti: “questa architettura territoriale non è ovviamente leggibile unitariamente, ma solo per singole inquadrature, proponendosi come l’analogo di un lm o di un romanzo. Da questo punto di vista la natura di un’infrastruttura è insieme unitaria e seriale, nel senso che lo scorrere di una sezione continua è contrappuntato dalla ripetizione modulare di alcune componenti standardizzate”. Comunemente l’infrastruttura stradale è considerata nella sua dimensione funzionale e tecnologica e il territorio come semplice supporto per la sua collocazione; in altri casi, tollerata per la sua necessità pratica, viene il più possibile mimetizzata, camuffata, racchiusa in sé stessa, quasi celata per non nuocere alla vista e alla dimensione estetico-percettiva del paesaggio; in altri ancora diviene elemento scultoreo, accentratore di sguardi, tale da escludere la relazione tra i differenti fattori che compongono il contesto. Queste interpretazioni, che si ri ettono immancabilmente anche nelle architetture lungo le autostrade, evidenziano ancora una discontinuità fra diverse concezioni, tese a valorizzare in modo esclusivo la difesa del bel paesaggio o a privilegiare

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le esigenze funzionali. Destinata la prima a porre in atto una logica puramente conservativa; volta a falsi care la stessa realtà paesaggistica la seconda; esclusivamente autoreferenziale la terza. Per superare questa radicata mentalità, sarebbe necessario – e in questo le esperienze Francesi sono paradigmatiche – avvicinarsi al problema secondo un’ottica progettuale rinnovata, cercare una “composizione tra infrastrutture e territorio” (Smets 2001) che “obbliga a superare quella mentalità delle scienze separate, delle logiche specialistiche”, e che “può contribuire a esaltare e rivitalizzare un luogo” (Nicolin 2009), rendendolo uido, interattivo, eventuale. Per Bernard Lassus ad esempio, le nuove reti autostradali sono motivo per ripensare il paesaggio: “[…] ce nouveau réseau va modier profondément notre culture paysagère, et nous donner une image inédite de notre pays” (Lassus 1994, p. 38): supera così “la seule connexion fonctionelle” e si arricchisce di quella culturale. In questo senso viene consolidata la funzione estetico percettiva delle infrastrutture stradali che si offrono come punto privilegiato per l’osservazione, uno “sguardo allargato in movimento”, che obbliga l’automobilista ad una speci ca percezione, determinata principalmente dalla velocità di percorrenza. Il rapporto tra autostrada o strada, con i paesaggi attraversati e resi visibili, dei quali le infrastrutture fanno intrinsecamente parte, si trasforma “[…] in una relazione positiva, in un’operazione culturale etico-estetica” (Venturi Ferriolo 2006) della quale si possono ricercare ulteriori ed innovative potenzialità. Parte di questo potenziale estetico-percettivo è stato indagato anche nel celebre testo The View from the road di Appleyard, Lynch e Myer (1964), in cui la visione estetica del paesaggio, ltrata dal parabrezza dell’automobile, diviene percezione dinamica strumento analitico per decodi care la complessità contemporanea. La sequenza di sezioni schematizzate lungo i tracciati e i metodi di rappresentazione diagrammatica sperimentati in The View from the Road sono ancora oggi strumenti di riferimento negli studi relativi alla progettazione infrastrutturale e rafforzano la successiva idea, esplicitata nella ricerca di Lassus e nelle sue realizzazioni autostradali, della strada come “macchina per vedere il paesaggio oeuvre d’art cinétique” (Lassus 1994). L’automobilista, protagonista dell’esperienza percettiva dalla strada, non è più semplice conducente o passeggero, ma individuo che

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diviene parte attiva nella costruzione di un racconto, per sequenze, del paesaggio. Questa ricombinazione soggettiva delle variabili del tempo, dello spazio e della velocità affida alla strada il nuovo ruolo di elemento cardine per trasformare ciò che la circonda98 Convinti dell’importanza di queste fondamentali ri essioni legate all’estetica delle infrastrutture, che applicano modelli dinamici e leggi cinetiche (Lassus 1994) legate alle arti visuali, si sposta l’attenzione al di fuori del tracciato, dove lo sguardo si dilata oltre la misura del bordo stradale: la percezione dello spazio circostante dalla strada. Si vuole in questo caso considerare l’infrastruttura come supporto per un’osservazione priva di barriere che vada al di fuori dei tracciati stradali, che ne consideri la complessità di oggetto sico e tridimensionale non riducibile ad una semplice linea nel paesaggio, paragonabile ad uno spessore privo di barriere, funzionale all’individuazione di spazi nascosti. Mettere in luce questa potenzialità dell’infrastruttura consente di pensarla come un belvedere non statico ma dinamico, che si interfaccia con il contesto e con la profondità di campo, valicando l’idea di misura percettiva. Il termine “demisurable”, “indica una misura impossibile, […] abito visivo immaginario privo di dimensioni misurabili. Non ha bordi pur appartenendo a un orizzonte”, un valore non calcolabile che non tende all’in nito, ma all’”incommensurabile immaginario”, dove l’elemento cardine è “la potenza dello sguardo della visibilità senza bordi.” (Venturi Ferriolo 2006). Questo concetto cardine della poetica lassussiana consente di pensare un tracciato stradale come uno strumento che ha una potenzialità in più rispetto alla sola percezione dinamica ed estetica dall’automobile; il “demisurable”, infatti, amplia le potenzialità dello sguardo perché esso “raccoglie il visibile e l’invisibile, il materiale e l’immateriale”, rivelando ciò che normalmente, percorrendo una infrastruttura, non si vede e “sposta il campo di ricerca” oltre i suoi bordi (Venturi Ferriolo 2006).

Un’esperienza sull’autostrada La Méridienne, in Francia L’applicazione concreta di questi principi teorici appare esplicitata nel progetto dell’Aire de repos autoroutière à Garabit sull’autostrada A75-La Méridienne in Francia, disegnata


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3 e 4 - Aire de repos autoroutière à Garabit, Latitude Nord, 1997, cantiere (in alto) e belvedere (in basso).

e realizzata dall’Agence Latitude Nord dei paesaggisti Gilles Vexlard e Laurance Vacherot. Il progetto per Garabit, contiene infatti tutti i fattori precedentemente descritti ed interpreta in modo efficace il rapporto tra percezione estetico-dinamica del paesaggio e le infrastrutture per la mobilità viaria. Situato lungo il tracciato dell’autostrada A75, l’area di sosta si colloca nella Francia Meridionale in prossimità del Massif Central. Caratterizzato da una topogra a sinuosa

ma evidente, è segnato, in lontananza, dalla presenza spettacolare del Viaduc de Garabit, progettato nel 1884 da Gustave Eiffel e Léon Boyer per trasportare vino e carbone verso Parigi. Riprendendo il concetto di architettura in grado di ampli care la percezione del paesaggio, stabilendo un nuovo quadro di relazioni con gli elementi che lo costituiscono, L’aire de repos de Garabit si con gura in modo da inquadrare il ponte di ferro rosso di Eiffel,

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valorizzandone la vista quasi a sottolinearne la forma. La strategia dei paesaggisti è accomunabile alle aree di sosta di Lassus, in cui la morfologia del suolo è modi cata per aprire o chiudere prospettive verso l’esterno dell’autostrada. La componente infatti che più ha segnato l’intervento di progettazione di paesaggio è la modellazione vera e propria del terreno, che si misura quantitativamente in più di 400.000 metri cubi di terra ridisposti in base alle scelte prospettiche e alle sezioni di progetto. In questo aspetto, il progetto di Garabit raccoglie uno dei caratteri delle architetture autostradali di Lassus – ovvero l’uso del suolo come strumento per controllare la percezione del paesaggio – ma lo fa proprio, lo estende sino a farlo divenire il supporto e la struttura compositiva, raffinandolo nei dettagli attraverso un estremo controllo delle quote (ad esempio, la moltiplicazione delle sezioni orizzontali del suolo, che il progetto presenta ogni 50 centimetri). Il progetto del suolo favorisce nell’area di Garabit – la diversa modulazione delle velocità, che contribuiscono a percepire il paesaggio in differenti condizioni. Racchiusa in un’area di circa 15 ettari, la super cie dell’aire de repos appare come una dilatazione di una parte di uno svincolo autostradale classico a quadrifoglio; esageratamente dimensionato espande l’estensione della distesa quasi a voler allontanare il più possibile le persone dal tracciato principale carrabile per proiettarle lentamente in un’altra dimensione lontana dalla velocità e dal rumore dell’autostrada stessa. Questa necessità di spazio appare simile in altri progetti (ad esempio la sistemazione paesaggistica dell’A22 del Brennero, nell’opera di Pietro Porcinai; o l’area di servizio di Affi, sempre lungo l’A22, nel progetto di Costantino Dardi) che assumono gli elementi del paesaggio come materiali di progetto. Tuttavia qui, l’ellissi che si determina sembra addirittura gon ata rispetto all’altra rampa autostradale, trasformata in belvedere, per cui si ha la sensazione di essere alla stessa quota dell’estradosso del viadotto di Eiffel, con l’illusione di poterlo afferrare: questa sensazione visiva è resa possibile grazie alla progettazione attenta della topogra a che ha rialzato la quota di campagna di 11 metri rispetto a quella esistente. Le super ci intercluse tra i tracciati stradali e autostradali di entrata e uscita all’aire de repos vengono letteralmente estruse in altezza dai movimenti di terra, per generare nell’automobilista una sensazione di compressione e di decompressione, che è resa possibile dall’elaborazione delle diverse velocità, per 46

arrivare in ne sulla piattaforma attrezzata dei parcheggi e del ristorante. In quel punto è realizzata la messa in scena del ponte storico. L’area dei parcheggi si compone con strutture semplici: un prato, alberi isolati, passaggi pedonali larghi 3 metri che evocano la caratteristica suddivisione dei lotti agricoli della regione francese. La morfologia del progetto e gli elementi che la compongono inducono il movimento e la vista verso il Lac du Barrage de Grandval, dove si affaccia la grande terrazza e, poco distanti, si trovano la Maison du Cantal, padiglione informativo sulla regione francese. Il paesaggista, secondo Gilles Vexlar, deve avere sempre un doppio punto di vista sulle cose, uno sguardo soggettivo sul paesaggio, ma anche uno sguardo dal paesaggio, per immaginare evoluzioni e cambiamenti nel tempo. Per questo, la compatta super cie orizzontale è sovrapposta alla valle del Massif Central come tangente all’autostrada, ma soprattutto al Viaduc de Garabit, dal quale risulta invisibile, “une ligne en face d’une autre ligne.” Questo progetto è paradigmatico di come l’architettura lungo l’autostrada sia in grado di modi care le modalità percettive del paesaggio. Il pensiero che sottende l’opera di Gilles Vexlard è che il lavoro del paesaggista determini la trasformazione di “piccoli pezzi di mondo sotto il cielo”2, anch’essi parte della grande étendue topo-graphiques che è la Terra. Ciò che è necessario sottolineare per decodi care il lavoro per l’Aire de repos autoroutière à Garabit, è la scomposizione di tre fattori chiave: il primo la Terra, la distesa nita della terra, il secondo la topogra a, perché la terra ha rilievi, dislivelli, non è piana e il terzo la gra a, il disegno come strumento che “ne restituisce la misura”. Questa piccola opera di architettura del paesaggio, spesso a torto trascurata dalla ricerca, racchiude in sé alcuni principi cardine del modello francese di produzione delle infrastrutture nel paesaggio, che negli ultimi decenni, di fronte all’incremento della rete infrastrutturale veloce dovuto alle politiche di trasporto comunitarie, molti paesi guardano con attenzione. Le strategie ed i temi che il progetto dell’area di Garabit affronta sono il frutto della presa di coscienza che un’infrastruttura è molto più che un sistema di trasporto. Le architetture lungo le autostrade hanno la potenzialità di mettere a sistema 2 Vexlard G., Etendue Tpo-Graphiques, conferenza, Milano, 15 settembre 2011. “pezzi di mondo sotto il cielo, è così che pensiamo il nostro lavoro”.


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le diverse scale dell’infrastruttura (così come de nite ad esempio da Franco Purini). Il lavoro sul suolo dell’area di Garabit, compiuto in funzione della velocità di percorrenza nell’area disponibile, o della visuale delle prospettive sul ponte di Eiffel, e le molte altre azioni progettuali impresse nel progetto con forza, sono la dimostrazione di una potente volontà di mettere in scena il paesaggio, anche attraverso un elemento che da troppo tempo, in paesi come l’Italia, è considerato dannoso e inevitabile.

Ferreira Nunes J. (2007), “Infrastruttura e paesaggio/ Infrastruttura è paesaggio”, in Colafranceschi D. Un Mediterraneo. Progetti per paesaggi critici, Alinea Editore, Firenze.

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5 - Aire de repos autoroutière à Garabit, Latitude Nord, 1999, Area pic-nic.

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Northala Fields Park: un’area di servizio come luogo intermedio di Stefania Mangini

“L’autostrada non attraversa i territori, ma conduce attraverso i luoghi superando i con ni nazionali, proiettandosi nella dimensione sensibile della scoperta, oltre l’orizzonte. Nuovi luoghi, nuove identità e simboli appaiono a coloro che viaggiano lungo le autostrade e ugualmente a quanti abitano nei luoghi attraversati; affiorano così nuove occasioni di recupero e di valorizzazione dell’esistente.”1

Il potenziale latente delle architetture autostradali, che spesso sfugge ad amministratori, progettisti e fruitori, risiede proprio nel loro ruolo di interfaccia tra territorio e infrastruttura, ovvero nello stare a cavallo tra due realtà che si confrontano sicamente, ma che, spesso, negli usi rimangono indipendenti e con nate all’interno dei loro recinti. Velocità e lentezza, accessibilità e prossimità, globale e locale sono alcune delle molteplici dicotomie con cui si devono misurare i progetti delle infrastrutture e ribaltare la logica tradizionale, che in queste opposizioni trova un limite, sembra essere una scelta obbligata. Dalle prime sperimentazioni architettoniche, no ai modelli prefabbricati, la storia della stazione di servizio ci ha insegnato che su queste contrapposizioni l’immaginario collettivo può costruire una vera e propria cultura – quella “della strada” - con pagine letterarie, topoi artistici e paesaggi cinematogra ci che raccontano di clacson, motori rombanti e gite domenicali con il pranzo in autogrill, ma può anche consolidarne l’antitesi, alimentando un disinvestimento emotivo e culturale che priva di ogni valore intrinseco i luoghi della mobilità, trasformandoli in distanza da percorrere o in parti di territorio da dominare. Nel tempo, infatti, lo spostamento, da paradigma della scoperta, è divenuto un medium senza messaggio (Olmo, 2017): soprattutto in Italia, limiti giuridici e barriere siche e 1 Lassus B. “Lectio Magistralis: Jardins, paysages, territoires”, conferenza tenuta presso l’Ècole d’architecture de Paris La Villette, Parigi, ai primi anni ‘90.

Northala Fields Park: the service area as an intermediate place by Stefania Mangini

The service station - and the architecture that represents it - must portray both speed and slowness at the same time, articulating different rhythms and scales within a system that can accommodate the needs of every kind of wayfarer. Learning from Lassus, the most recent project by FoRM Associates for the Northala Fields Park represents a model of this dualism in the contemporary panorama. Inaugurated in 2008, the park runs along the A40 motorway towards London and features four arti cial hills arranged along the route of the motorway, which present themselves as a break for the circuits of both the “residential city” and the “nomadic city of mobility”. The integration, cross-fertilization and hybridization that characterize the park’s design and suggest possible uses, are not articulated in an exclusively morphological and functional key, but also address the sphere of methodology and design, more generally rethinking how to combine infrastructure and aesthetic quality, interventions and landscape in veritable intermediate places.

Nella pagina a anco, in alto: vista dall’autostrada A40 delle colline di Northala Fields; al centro: veduta aerea d’insieme, in cui si riesce a comprendere a pieno la scala dell’intervento e la sua complessità; in basso: una suggestiva veduta delle colline e degli spazi in piano disegnati dai percorsi pedonali. 8. La vegetazione del parco con le oriture colorate.

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1 - Northala Fields Park innevato.

2 - Northala Fields Park, planimetria generale.

visuali che delimitano lo spazio dell’infrastruttura hanno provocato l’annullamento del carattere democratico fondativo della strada, intesa come spazio pubblico e, con la continua tentazione di accorciare tempi e spazi del movimento attraverso i territori, si è raggiunto il completo distacco del tracciato dal contesto che esso stesso attraversa. Ma l’infrastruttura, per de nizione, sta alla base 50

della ri essione sulla costruzione dell’ambiente umano. È perciò difficile continuare a pensarla quale elemento subordinato al solo usso automobilistico, o, peggio, come un sistema completamente avulso dalla realtà. Nell’impossibilità di continuare a pensare a un’architettura della provincia felice, dove ogni enclave presenta caratteri e problemi slegati da quelli delle altre, bisogna tornare


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a ri ettere su quell’aspetto, poco indagato nella contemporaneità, che guarda alla strada come habitat, tanto più che i fenomeni indotti dalla trasformazione in senso metropolitano delle nostre città sono sempre più dirimenti. In questa prospettiva, lungo le autostrade si rende sempre più necessario riunire - a seconda dei contesti e con pesi diversi - la componente delle reti infrastrutturali con quella territoriale locale del progetto. Appare, cioè, ancora più forte l’urgenza di tornare ad adeguare gli strumenti della progettazione infrastrutturale ai salti di scala sincronici e al carattere molteplice delle questioni poste in essere dalla mobilità, ritrovando all’interno delle discussioni sull’architettura la capacità ordinatrice e di relazione che le è propria, affrontando in maniera critica le tematiche che da sempre accompagnano la storia e lo sviluppo delle reti di trasporto. Una ri essione di cui Bernard Lassus è stato precursore e che ha coinvolto, dagli anni ’90, altre gure isolate tra paesaggisti, architetti e urbanisti che hanno cercato di trovare, nei loro progetti, un equilibrio tra le esigenze dettate dallo sviluppo economico e urbano e la tutela della qualità della vita nei territori interessati.

Una recente sperimentazione Focalizzando l’attenzione sul ruolo dell’infrastruttura come strumento di conoscenza del paesaggio, il progetto dei FoRM Associates per il Northala Fields Park rappresenta un modello più recente. Inaugurato nel 2008, il parco, con un’estensione di circa 27 ettari, lambisce l’autostrada A40 che viaggia verso Londra e si connota per quattro colline arti ciali che si dispongono lungo il tracciato autostradale, con gurandosi come un incentivo alla pausa per diverse tipologie di homo viator. Superata la convinzione per cui la strada veloce è solamente un tunnel specializzato per il trasporto di persone e merci, il progetto indaga le ricadute dell’architettura infrastrutturale rispetto all’organizzazione della città e del territorio e si articola secondo gerarchie in grado di dare vita a nuove relazioni, sia siche che percettive. Così i quattro coni, alti tra i 15 e i 25 metri, annunciano la loro presenza da lontano e sono, contemporaneamente, un riferimento per gli automobilisti, che qui sono stimolati a scoprire forme meno convenzionali di sosta e un’occasione per gli abitanti del distretto di Ealing, che li hanno assorbiti, in varie forme, nelle loro funzioni sociali e culturali.

Costruite con le macerie ottenute dalla demolizione delle due torri dello stadio di Wembley e dal materiale di scavo del Terminal 5 di Heathrow, le colline arti ciali dominano la prospettiva autostradale e appaiono giocose e funzionali allo stesso tempo: oltre a creare una difesa acustica e visiva dal traffico automobilistico, fungono da punti panoramici, consentendo un collegamento visivo senza precedenti con i territori a est di Londra, vengono scalate per fare attività sportiva, o discese con lo slittino quando sono ricoperte di neve e come i più noti rilievi sacri, diventano un sito di preghiera e contemplazione. A Northala Fields, il nastro d’asfalto ha ritrovato il suo spessore semantico: esso si articola, si inspessisce, recupera quel rapporto osmotico con i luoghi che attraversa e il ruolo di asse fondativo di un sistema più ampio di spazi condivisi e relazioni, dando una risposta alle molteplici esigenze di chi, in più modi, il territorio lo abita. Ha preso forma, cioè, un luogo simbolico, ma ben articolato dal punto di vista ambientale, funzionale ed ecologico, che riesce a intercettare le esigenze più disparate. I progettisti hanno messo a punto un disegno che ricuce, con nuove masse boscate e specchi d’acqua arti ciali, il sistema ambientale esistente, accogliendo una serie di funzioni ricreative e sportive che assecondano attività didattiche e programmi di formazione ambientale o di educazione al benessere e al movimento. Si può parlare di un vero e proprio ecosistema, che a partire dai nuovi usi collettivi del tempo libero e dai comportamenti sociali che si stanno affermando nelle aree di valore naturalistico, agisce in maniera transcalare, mettendo in rete itinerari da percorrere lentamente o da vivere durante una sosta più salutare e sostenibile (Matteini, 2010). Il tentativo è stato quello “di trovare una soluzione che non sopraffacesse la dimensione urbana”, di creare, cioè, “un paesaggio che si confronta con una scala lì inesistente […] con l’obiettivo di incentivare le persone al movimento.” E a Northala Fields “lo spazio è abbastanza grande da provocare quel desiderio.” (Fink, 2009, p. 96) I progettisti sono quindi riusciti nell’intento di fondere il circuito della “città stanziale della residenzialità” a quello della “città nomade della mobilità” (Magnani, 2005, p. 60) confrontandone gli sviluppi in un disegno capace di traguardare i con ni dei contesti in cui si colloca. Il risultato è un luogo ibrido, che nella contaminazione di attività, velocità e paesaggi,

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trova un’attrattiva che riesce a coinvolgere tanto i viaggiatori occasionali, quanto gli abitanti del luogo, incentivando entrambi all’esplorazione sica e alla consapevolezza di una realtà locale altrimenti invisibile dal parabrezza dell’auto. Northala Fields Park è un progetto complesso, espressione del linguaggio stimolante che le attrezzature della mobilità consentono, che vuole che l’infrastruttura passi nei luoghi, senza che vi sia la necessità di mimetizzarla, nasconderla e minimizzarla.

3 - Immagine dell’area giochi, con le attrezzature ludiche, le collinette colorate e le sedute ricavate dalle aiuole.

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L’integrazione (Venosa, 2002), la contaminazione e l’ibridazione che hanno guidato il disegno del parco e suggeriscono le possibili “modalità d’uso”, non sono declinate esclusivamente in chiave morfologica e funzionale, ma investono anche la sfera metodologica e progettuale nell’ambito di un più generale ripensamento della maniera di coniugare infrastrutture e qualità estetica, interventi e paesaggio. La riuscita del progetto, al livello degli usi e del consenso collettivo, ha richiesto, infatti - non per buona prassi ma come vero e proprio strumento di lavoro - un intenso processo di consultazione pubblica durato due anni, insieme a un’interazione continua tra le diverse competenze e tra i diversi livelli istituzionali, superando i limiti di un dialogo

interrotto troppo spesso sui rispettivi limiti amministrativi. Distaccandosi anche dalla convenzionale nozione britannica di “parco”, il progetto dei FoRM può essere considerato il banco di prova di un modello di sosta che torna a svilupparsi, nel suo insieme, sotto il segno quali cante dell’architettura, dell’ambiente, del paesaggio, intese quali parti integranti e speci che del suo essere, come già era successo nei progetti di Lassus e nelle vicende italiane degli Autogrill Pavesi, Motta ed Agip realizzate tra gli anni ’50 e ’70. In queste ri essioni l’infrastruttura unisce, quindi, alla funzione di collegamento di due punti, quella di attraversamento di uno spazio. Puntando, cioè, al recupero della de nizione del viaggio come occasione per comunicare e raccontare luoghi, l’attenzione torna a focalizzarsi sui margini della strada, sugli edi ci di servizio e sulle fasce di rispetto, ovvero sulle sue facciate, impiegate come quinte prospettiche, in grado di de nire e allargare i limiti giuridici e amministrativi verso vere e proprie stanze a cielo aperto. Progettare ai margini, quindi, non signi ca occuparsi delle soglie di un tracciato chiuso, bensì dei nodi di un sistema connettivo, che si apre, lungo la sua linea, verso altri spazi pubblici - urbani e suburbani - circostanti, incrementandone la qualità e il valore.


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All’indifferenza – se non opposizione – per i contesti attraversati che ha accompagnato le realizzazioni no ad ora, progetti come quelli di Lassus o di Northala Fields sostituiscono un’attenzione strategica e consapevole per il territorio, grazie a cui si supera il tecnicismo ingegneristico che caratterizza il progetto della strada e le logiche della fascia di rispetto e si mettono in gioco soluzioni sempre speci che in grado di dilatarsi e interagire con le forme del territorio contemporaneo. La nalità non è solo quella di contestualizzare gli interventi autostradali, piuttosto di farne elementi di recupero e di sviluppo territoriale in grado di valorizzare le potenzialità locali, passando da una visione settoriale, a una visione integrata, per cui le componenti infrastrutturali interagiscono con quelle insediative, economiche e socioculturali, consentendo di riconnettere, rintracciare e risigni care le caratterizzazioni del luogo. L’applicazione di questa strategia implica, quindi, la necessità di coinvolgere nei progetti attori e professionalità eterogenee, al ne di ripristinare quell’intreccio di saperi e poteri che ha costituito il valore aggiunto di queste esperienze e può essere certamente capace di opporsi alla deriva omologante che sembra prevalere. Di fronte a questo scenario di concreta complessità, infatti, la crisi dell’approccio con-

temporaneo appare de nitiva e strutturale, perché dettata dalla sua inadeguatezza più ancora che dalla sua banalità. La consuetudine vede “sicurezza e velocità, raggi di curvatura, guard-rail e new jersey, intersezioni, livellette e caratteristiche dei manti di copertura, inquinamenti acustico, luminoso e delle falde no allo smaltimento dei terreni di scavo, [concorrere] alla de nizione di procedure il cui espletamento come adempimento diventa l’unico obiettivo, tralasciando le relazioni problematiche fra tracciato, manufatto e contesto storico-geogra co, senza interrogarsi sulle valenze progettuali complesse delle sezioni trasversali e longitudinali” (Magnani, 2012, p. 225) Lavorare nell’ordito di questi luoghi vuol dire invece governare non solo la forma, i linguaggi e i signi cati a essa connessi, ma anche considerare il modo in cui essi saranno fruiti nel futuro più prossimo: immaginarne cioè i tempi oltre che i luoghi. Come a Northala Fields, la stazione di servizio - e l’architettura che la rappresenta - ha il compito oggi di interpretare e articolare allo stesso tempo ritmi e scale diverse in un sistema capace di accogliere le esigenze di ogni viaggiatore. Dalla loro integrazione deriva la loro efficacia sul territorio, la capacità di attivarne energie latenti e potenzialità che nessuno vuole vedere.

4 - Il parco al tramonto con gli specchi d’acque e le colline sullo sfondo.

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L’offerta di servizi legati al rifornimento delle vetture elettriche o ibride, che negli anni più recenti stanno affiancando i carburanti tradizionali, ha dilatato comprensibilmente la durata del rifornimento, rendendo così indispensabile un ragionamento sul ventaglio di possibilità che si aprono con i nuovi tempi della sosta. Non si tratta, quindi, solo di inserire nuove strutture tecniche innovative e sistemi alternativi ad energia zero, bensì di considerare l’incremento delle variabili come un’occasione per alterare il tradizionale format dell’intervallo, trasformandone, di fatto, concettualmente la strategia del progetto e invitandolo ad adeguarsi alle questioni della lentezza e della mobilità dolce. L’interesse per le esperienze progettuali recenti più virtuose, con il loro punto di vista diverso sul progetto dell’architettura infrastrutturale, ci apre lo sguardo verso nuovi possibili scenari di intervento su città e territorio. Sembra opportuno restituire a queste sperimentazioni il valore di esempi, trascendendo il loro esito formale e cogliendone piuttosto le metodologie, i processi che essi mettono o tentano di mettere in campo, le ri essioni avviate - e non del tutto percorse – come anche i propositi disattesi. Dando per assunto che, nel binomio naturale che scandisce i ritmi del viandante, al cammino corrisponde sempre il fermarsi, è quanto mai opportuno ri ettere su nuove strategie della sosta, accettando in primis il cambiamento dei signi cati della mobilità. In virtù di una sempre maggiore rapidità delle connessioni, lo spazio del moto si fa sempre più specialistico e autoreferenziato, richiudendo l’uomo-automobilista - a sua volta protetto dal telaio dell’abitacolo - in un usso di eventi tumultuoso, per cui la sosta è legata più alla seccatura di un’esigenza che all’opportunità di una pausa. Invece che lasciar de nitivamente soccombere gli “intervalli perduti” (Dor es, 1980, p. XV) nella frenesia di questi ritmi veloci e delle distanze sempre più contratte e astratte, appare necessario costruire forme della sosta coerenti alle esigenze concrete del suo pubblico, avanzando l’ipotesi che essa non sia soltanto legata a un luogo speci co sull’autostrada. Se è vero che “la modernità è al transitorio, il fuggitivo, il contingente, la metà dell’arte, di cui l’altra metà è l’eterno e l’immutabile” (Baudelaire, 2002, p. 77), è pensabile che la stazione di servizio - nell’atto costitutivo delle sue forme - si nutra di entrambi con il ne di elaborare un vocabolario di ritmi e geometrie che afferma la straordinarietà dell’ordinario. 54

Dopo la fase di moltiplicazione e industrializzazione, l’area di servizio va organizzata come una soluzione al passaggio tra urbano ed extraurbano, un luogo intermedio, organicamente concepito, in cui elementi spaziali e funzionali vanno declinati e tra loro relazionati per essere le porte di accesso a quel paesaggio che no ad ora ci si è sempre lasciati dietro le spalle. Non solo disegno di edi ci, giardini, o piazzali, ma una nuova cultura progettuale in cui l’intreccio di opere infrastrutturali, sviluppi insediativi e con gurazioni ambientali e paesaggistiche sia capace di rimettere in valore gli spazi dell’attraversamento rispetto ai territori che, a loro volta, sono chiamati a interagire attivamente con la presenza delle reti, tanto più che il loro rapporto con l’urbanizzazione ha raggiunto una maggiore vicinanza. Come provocazione per l’affermazione di un nuovo paesaggio della mobilità, e di nuovi pellegrinaggi ad essa connessi, si richiede, allora, di tornare a parlare di architettura di luoghi, (Augé, 2009) incentivando lo sviluppo, al loro interno, di nuovi comportamenti sociali e nuovi modelli di uso del tempo libero, che si ri ettano anche indirettamente e inevitabilmente sul modo di utilizzare la città. C’è bisogno di andare oltre la concezione convenzionale dei nodi, come attrezzature specializzate e concluse, mentre occorre interpretare i fermenti della nuova spazialità associata alle odierne percorrenze, in spazi condivisi che si fanno portatori delle esperienze, dei bisogni e dei sogni quotidiani dei suoi possibili fruitori. Si tratta, ancora una volta, di ascrivere lo sviluppo dell’architettura in tutti i suoi aspetti - compositivi, tecnologici, tipologici, distributivi e comunicativi - a un’azione sovrapersonale che rinunci alla ricerca dell’insolito, ma assuma il già dato - dalla storia e soprattutto dal contesto - come punto di partenza. Parafrasando l’espressione che ci avverte che “objects in the mirror are closer than they appear” (frase obbligatoria sugli specchietti di auto e moto in diversi paesi, presente, perché mentre la convessità di questi specchi dà loro un utile campo di vista, gli oggetti appaiono più piccoli di quanto sono in realtà, facendoli sembrare più lontani di quanto realmente sono), si potrebbe concludere dicendo che, malgrado l’infrastruttura cerchi in ogni modo di preservare la sua autonomia e la sua condizione di alterità, essa rimane un elemento irrinunciabile per lo sviluppo della città e che quest’ultima, a sua volta, è più vicina di quanto ci appaia dallo specchietto


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retrovisore. Così, la sosta, passando da una concezione aspaziale e atemporale a una più contestualizzata, per cui l’architettura costituisce molto più che un semplice supporto alle prime necessità umane e al mero consumo voluttuario, deve tornare a essere considerata meritevole di idee e progetti che, abbracciando tempi, scale e saperi differenti, producano all’interno di luoghi speciali le condizioni per nuovi pellegrinaggi.

Matteini T. (2010), “Play-highway. Northala Fields”, Architettura del paesaggio: notiziario AIAPP, n. 22, pp. 6669.

5 - Northala Fields Park, immerso nella vegetazione.

Olmo C. (2017), “Conoscere, riconoscere e il disagio della scoperta”, Firenze architettura, n. 1, p. 7. Venosa M. (2002), “Voce ‘Integrare’ del Lessico”, in Isola A. (a cura di), INFRA manuale: forme insediative e infrastrutture, Marsilio, Venezia, p. 298.

© Riproduzione riservata

Bibliogra a Augé M. (2009), Nonluoghi: introduzione a una antropologia della surmodernità, Elèuthera, Milano. Baudelaire C. (2002), Il pittore della vita moderna (a cura di Violato G.), Marsilio, Venezia. Dor es G. (1980), L’intervallo perduto, Saggi, Einaudi, Torino. Fink P. in Coulthard, T (2009), “Northala elds forever”, Landscape Architecture 99, n. 5. Magnani C. (2005), “Per una genealogia delle tecniche di progetto”, Casabella: rivista mensile di architettura e tecnica, n. 739–740, p. 60. Magnani C. (2012), “Infrastrutture e progetto del paesaggio”. In Albrecht B., Biraghi M. e Ferlenga A. (a cura di) L’architettura del mondo: infrastrutture, mobilità, nuovi paesaggi, Compositori, Bologna, p. 225.

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A5 Lisboa-Cascais. Una ricerca di lettura e riscrittura tra morfologia e percezione di João Silva Leite e Stefanos Antoniadis

L’esperienza di ricerca1 veicolata con questo contributo si è svolta presso la Facoltà di Architettura dell’Università di Lisbona, a valle di un protocollo d’intesa con la municipalità di Cascais, con lo scopo di pensare e proporre nuove modalità di popolare i margini autostradali. Sulla base dell’intenzione dell’amministrazione di implementare il sistema BRT2 lungo l’autostrada, vengono sviluppati, a scala territoriale e architettonica, scenari di urbanizzazione lungo il corridoio infrastrutturale all’insegna di una collaborazione istituzionale tra università e amministrazioni locali. Proponendo scenari con quattro declinazioni tematiche – polarità e nodi; infrastrutture verdi e blu; frammentazione e (dis)continuità; percezione cinetica – i progetti esplorano opportunità di reciproco e attuale interesse tra mondo accademico e società.

Introduzione Il caso dell’Autostrada A5 che collega Lisbona a Cascais (Portogallo), uno dei principali assi strutturali dell’AML3, costituisce un’espe1 Gli scenari di intervento lungo il tracciato dell’A5 sono stati elaborati nella cornice del corso Laboratório de Projecto VI del Mestrado em Arquitectura com especialização em Urbanismo della Facoltà di Architettura dell’Università di Lisbona con il tema d’anno “Infrascape | Patchwork. Re(infra)estruturar a metrópole a partir de uma A5 habitada”, sotto la supervisione dei docenti João Rafael Santos (FA ULisboa) e João Silva Leite (FA ULisboa), con la consulenza esterna dell’International Consultant Researcher Stefanos Antoniadis (ICEA UniPD) per i progetti di ricerca sulla forma urbana del laboratorio di ricerca formaurbis LAB dell’Università di Lisbona. 2 Bus Rapid Transit, o autobus a transito rapido, un sistema di trasporto di massa che utilizza bus su corsie preferenziali con lo scopo di aumentare la rapidità del trasporto tradizionale su gomma raggiungendo prestazioni assimilabili a quelle di una metropolitana. 3 Área Metropolitana de Lisboa. È una conurbazione di 3.015,24 km² che comprende 18 comuni separati del ume Tago. È l’area metropolitana più popolosa del Paese con 2.863.272 abitanti nel 2019 (fonte: Portal do INE, 2020).

A5 Lisbon-Cascais, research for a new reading and interpretation between morphology and perception

by João Silva Leite and Stefanos Antoniadis

The paper disseminates a research and design project conducted at the Faculty of Architecture of the University of Lisbon, following a memorandum with the Municipality of Cascais, with the purpose of rethinking and proposing new ways of inhabiting the edges of the A5 Lisbon-Cascais highway. The urbanization scenarios are developed on a regional and architectural scale along the infrastructure, based on the administration’s intention to implement the BRT mobility system along the highway. The projects explore opportunities of mutual and current interest between the university and society, working on four thematic variations: polarities and junctions; green and blue infrastructure; fragmentation and (dis)continuity; kinetic perception. The practice of reading the borderline fabric consolidates the understanding of this linear urban system as a new formal trend that does not apply to motorways alone, but to main road systems in the contemporary city as well, opening up to new design experiments to enrich its formal and functional character. The pro-posed scenarios establish a sort of contemporary landscape narrative, the syntax of which is conditioned by the interaction between morphology, function and perception, pursuing hypotheses of functional mix, typological stress and a strong formal component.

Nella pagina a anco, in alto: “The horse in motion”, dalla serie Animal Locomotion (Eadweard Muybridge, 1887); in basso: A5 Lisboa-Cascais: Lettura territorial e sistema cinetico, tavola sinottica, (Laboratório de Projecto VI, Mestrado em Arquitectura com especialização em Urbanismo, FA ULisboa, 2019).

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1 e 2 - A5 Lisboa-Cascais: scenario di intervento (A. Ramos, 2019).

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rienza in cui l’aggiornamento della sistematizzazione tipologica, intesa come strumento a supporto all’analisi e al progetto, e la predilezione per i fenomeni dell’ottica si integrano in una produzione di scenari lungo l’infrastruttura e di architettura contemporanea in generale. Nel corso del ventesimo secolo il paradigma della costruzione della città subisce una modi cazione radicale: le città vedono i loro

tessuti urbani frammentarsi, de agrando diversi coaguli di tessuto o semplicemente grandi oggetti architettonici sul territorio. Le relazioni di contiguità tra i vari bordi urbani si interrompono, e il territorio metropolitano risponde a bisogni e impulsi della società in modo disarticolato dal pensiero teorico consolidato sulla forma della città o dagli strumenti di piani cazione. In questo scenario emerge un insieme di sistemi urbani lineari che, avendo l’autostrada come asse di riferimento, niscono per svolgere un ruolo fondamentale nella strutturazione della città contemporanea. Inizialmente pensati e costruiti come semplice risposta all’uso crescente dell’automobile, indiscutibilmente mezzo di trasporto preferito, per collegare città e luoghi distanti, questi sistemi lineari articolano pezzi di tessuto frammentato e edi ci isolati, dando al territorio una certa logica d’insieme (Llop, 2008). Progressivamente, infatti, le autostrade perdono la loro monofunzionalità e acquisiscono nuove valenze, diventando elementi di collegamento per aree della stessa conurbazione (Ventura, 1989). Attività antropiche come l’industria, i servizi commerciali e tecnologici, le università o anche le grandi aree commerciali-ricreative colonizzano i margini dell’infrastruttura, creando nuove sinergie e dinamismi (Shannon, Smets, 2010), costituendo centralità lineari (Font, 2007; Vecslir, 2007). I rapporti morfologici tra il tessuto costruito e l’asse infrastrutturale acquisiscono nuove con gurazioni. Emergono nuovi elementi urbani e tipologie architettoniche che assumono un ruolo di primo piano nel paesaggio. Le relazioni morfologiche tra il tessuto costruito e l’asse infrastrutturale acquisiscono nuove con gurazioni: emergono nuovi elementi urbani o tipi architettonici che assumono un ruolo di primo piano nello spazio con frequenza e ritmo praticamente costanti, costituendo sistemi di urbanizzazione continua (Boeri, Lanzani, Marini, 1993). Assistiamo così ad una reinvenzione dello spazio urbanizzato: l’autostrada emerge come supporto per il tessuto costruito, instaurando con esso un rapporto dialettico formale inseparabile: un sistema urbano lineare tipico delle cosiddette strade emergenti (Silva Leite, 2017). La percezione del tempo e dello spazio muta profondamente: il tempo si contrae e lo spazio si dilata. Questo contributo guarda alle forme architettoniche che emergono lungo questi sistemi urbani lineari come elementi che concor-


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rono alla costruzione di qualità spaziale, non priva di componente scenica, rappresentativa del territorio antropizzato contemporaneo. Osservare il paesaggio scorrere velocemente dietro al nestrino di una vettura che sfreccia in autostrada è un’esperienza di percezione cinetica sulla stessa lunghezza d’onda di alcune pratiche di costruzione della conoscenza4 in epoca moderna e contemporanea. A partire dalla ne dell’ottocento, la tecnica cinetico-programmata ha permesso di superare alcuni “errori di osservazione in cui incorsero le arti imitative: […] fenomeni come il galoppo dei cavalli o il volo degli uccelli hanno rivelato la loro vera meccanica. Dalla natura alla cultura, dal volo degli uccelli al gesto del fachiro truffatore” (Magrelli, 1995). Analogamente, fare esperienza visiva del paesaggio in velocità potrebbe costituire una pratica tutt’altro che ludica in grado di riorganizzare episodi formali prima ritenuti casuali, incomprensibili o addirittura scostanti – appunto i nuovi elementi che costituiscono i frammenti dello scattered landscape (Rasmussen, 1974) – in aggiornati e poliedrici sistemi di relazioni.

Il caso studio dell’A5 LisboaCascais L’autostrada A5 in Portogallo conta lungo il suo percorso diversi fenomeni urbani che mostrano il forte legame tra infrastruttura ed edi ci lungo i suoi margini, per l’in uenza che un intenso usso veicolare di massa esercita sulla composizione dello spazio. La costruzione dell’A5, con un’estensione di circa 25 km, è iniziata con la realizzazione di un primo tratto completato nel 1944, ma solo nel 2015 vede completato il suo attuale percorso no a Cascais. Negli anni è diventata uno dei rami principali del sistema viario dell’AML, connettendo una realtà urbana complessa e sfaccettata da una parte, e provocando cesure in tessuti edi cati preesistenti dall’altra. Operando in questo contesto metropolitano, l’attività di studio e ricerca ha tentato di identi care, caratterizzare e stabilire obiettivi strategici e proposte di intervento alternative cercando di ripensare nuovi modi di abitare l’infrastruttura considerando l’interazione fruitori-paesaggio e oggetto costruitoinfrastruttura. 4 Jacques Derrida (1930-2004) sosteneva che l’intera storia della loso a occidentale sarebbe de nibile come un’autentica fotologia.

Uno dei temi su cui si è lavorato con maggiore intensità è stato proprio quello della percezione cinetica consumata lungo l’intera infrastruttura. L’A5 ha diversi elementi (arti ciali e naturali) che compongono un paesaggio circostante vario e particolarmente ricco. Il sistema di valli trasversali rispetto alla giacitura dell’autostrada procura alcune deformazioni curvilinee all’andamento del tracciato infrastrutturale, offrendo molteplici prospettive visuali (Siviero, 2019) a chi lo percorre. Lungo l’infrastruttura corridoi verdi e brani edi cati piuttosto intensamente si intervallano successivamente. La tipologia edilizia delle costruzioni osservabili dall’A5 spazia dalla semplice unità abitativa unifamiliare alle torri direzionali che segnano il paesaggio come landmark. Si tratta quindi di un caso paradigmatico in cui un’autostrada non assolve esclusivamente alla semplice funzione di infrastruttura di mobilità: il suo spazio infrastrutturale innerva un costruito diversi cato per tipologia, stili, tempi fornendo narrazioni formali cadenzate lungo il percorso. Il tema dell’A5 ha offerto l’occasione per una

3 - A5 Lisboa-Cascais: scenario di intervento (S. Batista, 2019).

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impatto visivo. Tra queste spiccano architetture legate soprattutto alle attività commerciali, ma anche attrezzature sportive ubicate prevalentemente in corrispondenza dei nodi principali dell’infrastruttura, sviluppando dispositivi formali di maggior protagonismo e coniugando il proprio posizionamento strategico con soluzioni formali-simboliche e di illuminazione.

La sistematizzazione tipologica È utile, ancora una volta, sottolineare che il caso paradigmatico preso in esame è quello di un’autostrada che attraversa un territorio fortemente urbanizzato (anche se intervallato, in certi passaggi, da corridoi verdi). Pertanto la lettura di questo grande transetto urbano, che comprende diversi territori municipali in successione, assume un’utilità paradigmatica per ri essioni e operazioni progettuali che insistono su contesti infrastrutturali in aree dense, ove il corridoio della mobilità pesante non si presenta come un segno isolato che solca un territorio prevalentemente rurale o, comunque, in netta contrapposizione con l’urbanità (caratteristica che, ad esempio, presentano prevalentemente le autostrade francesi e tedesche). Lungo il percorso dell’A5 si può fare esperienza di un vasto abaco di edi ci raggruppabili nelle seguenti tipologie. T1. Casa unifamiliare - La Casa Unifamiliare è una tipologia relativamente ricorrente lungo l’A5, frutto di operazioni di lottizzazione residenziale periferica che affiancano i margini dell’autostrada. Questo tessuto non instaura una relazione particolare con l’infrastruttura, dotandosi al contrario di dispositivi di protezione e mitigazione dagli impatti che l’autostrada genera (tipico il caso dell’inquinamento acustico). L’oggetto architettonico è semplice, privo di elementi formali eruditi e qualità spaziale.

sistematizzazione tipologica dell’edi cato lungo l’autostrada: è possibile individuare episodi che si ripetono secondo alcuni schemi, spaziando da categorie edilizie di maggiore anonimato no ad altre di grande 60

T2. Blocco per abitazioni - La tipologia del blocco per abitazioni è de nita come un oggetto costruito in modo indipendente e separato da altre unità o dall’isolato, anche se afferente a un modello architettonico replicato più volte all’interno della stessa area urbana. È l’oggetto stesso, e la sua forma, a delimitare i con ni tra pubblico e privato. La sua funzione residenziale (a volte al piano terra si possono trovare anche funzioni commerciali) non è particolarmente interessata dalla giacitura dell’infrastruttura. Le relazioni


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che intesse con il contesto sono principalmente di tipo strategico (vicinanza alla città consolidata e vicinanza ai nodi di mobilità metropolitana). T3. Edi cio per il terziario - L’edi cio per il terziario ha caratteristiche simili a quelle della tipologia precedente: mantiene il suo carattere di blocco isolato posizionato secondo una propria logica nel territorio. Tuttavia, questo tipo di edi cio assume un linguaggio più espressivo, formalizzandosi in volumi più alti e utilizzando maggior varietà di materiali, forme, colori e trame, cercando di instaurare un rapporto di comunicazione con i fruitori dell’autostrada, soprattutto quando alla forma si integra anche l’uso di insegne pubblicitarie. Isolato o raggruppato in grappoli, l’edi cio sede di aziende tende a distinguersi nel paesaggio, affermando il proprio marchio e assurgendo a punto di riferimento territoriale. In due casi assume la forma di torre, segnalando due momenti forti del tracciato: la Torre Monsanto segnala l’entrata (o l’uscita, a secondo il verso di percorrenza) nell’area urbana di Lisbona, mentre la Torre Oeiras è stata eretta a metà del percorso tra la capitale e Cascais, in corrispondenza del casello che separa il tratto a pagamento da quello gratuito. T4. Edi cio produttivo - La fabbrica è costituita da una volumetria oramai esclusivamente di forma a parallelepipedo composta da una o più navate replicate secondo logiche modulari. Per compensare l’anonima, benché insistente, presenza, si ricorre all’utilizzo di diverse tipologie di cartelli pubblicitari ben visibili dall’autostrada. T5. Edi cio-vetrina - L’edi cio-vetrina si pone come una delle tipologie architettoniche maggiormente interessate dall’interazione visuale con l’asse infrastrutturale. La sua facciata trasparente si con gura come una grande vetrina, una vera e propria esposizione del prodotto o dell’attività presente all’interno. Trattandosi di una tipologia prevalentemente legata all’attività commerciale, si compone di una struttura a padiglione, liberando spazi per l’esposizione dei prodotti e occupando, di conseguenza, porzioni di suolo signi cative. Tutto l’investimento cosmetico coincide praticamente con la realizzazione di grandi piani vetrati e si concentra, quindi, sulla facciata con la maggiore esposizione verso l’autostrada. È l’edi cio che si apre allo spettatore. Il fronte lungo l’infrastruttura subisce una monumentalizzazione,

senza preoccuparsi della continuità formale o di materiale sugli altri lati né della qualità spaziale dell’interno dell’edi cio. Le soluzioni compositive sono talvolta suffragate da sciatte ispirazioni a stili architettonici classici o da discutibili reinterpretazioni di altri edi ci del passato ove tutto, o quasi, è concesso al ne di distinguersi nel contesto e attirare potenziali consumatori. T6. Megastore - Il megastore è solitamente un oggetto architettonico estremamente elementare: un parallelepipedo posto in orizzontale. Questa tipologia edilizia è frequentemente utilizzata da esercizi commerciali dalle vaste super ci di vendita al dettaglio di alimentari, abbigliamento, tecnologia o fai da te, avendo come requisito fondamentale la necessità di liberare da appoggi e ripartizioni gli spazi interni per organizzare l’area a negozio e a magazzino. Conservando quasi sempre una forma geometricamente pura, il megastore funziona come una “scatola chiusa” in cui le aperture verso l’esterno sono limitate quasi esclusivamente all’ingresso. In alcuni casi l’accesso è l’unico episodio in facciata che può acquisire maggiore caratterizzazione volumetrica e formale. Gli accorgimenti utilizzati nella costruzione di un dialogo con l’autostrada si basano principalmente sui seguenti aspetti: segnaletica pubblicitaria (isolata nell’area scoperta di pertinenza o ssata direttamente all’edi cio) e uso del colore (sfruttano la dimensione di tutto riguardo delle super ci verticali). Questi codici assumono particolare omogeneità indipendentemente dal contesto urbano in cui si trovano: il brand veicola un’immagine che rimane sempre la stessa ovunque (è il caso del marchio IKEA, ad esempio, i cui punti vendita si presentano con le stesse caratteristiche formali, cromatiche o con la stessa tipologia di segnaletica indipendentemente da dove si trovano). Chi percorre l’autostrada elabora così un processo di identi cazione immediato tra ciò che gli si presenta davanti agli occhi e un marchio, riconoscendo empiricamente segni molto elementari e privi di complessità. Ecco che la banalizzazione della forma architettonica funge, paradossalmente, da espediente di evidenziazione (al contrario dell’edi cio-vetrina). T7. Centro commerciale - Questa tipologia presenta innumerevoli declinazioni dettate dalla sua logica interna in funzione, principalmente, del tipo di attività che accorpa. Tuttavia, in questo studio, è importante concentrarsi principalmente sulle caratteristi-

4 - Nella pagina a anco, in alto: A5 Lisboa-Cascais: scenario di intervento (S. Batista, 2019). 5 - Nella pagina a anco, al centro: A5 Lisboa-Cascais: scenario di intervento (J. Neves, 2019). 6 - Nella pagina a anco, in basso: A5 Lisboa-Cascais: scenario di intervento (S. Taveira, 2019).

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che morfologiche esterne e sul modo in cui costruiscono un dialogo con l’autostrada. Il mall commerciale, a dispetto del termine, si fonda sul modello di edi cio chiuso in se stesso, una scatola di grandi dimensioni che si apre all’esterno solo in alcuni punti strategici, ovvero gli accessi o alcune terrazze per attività ricreative. Il contenitore assume forme esuberanti, a volte con declinazioni estetiche kitsch, rispettando il già enunciato principio di distinzione dal contesto. L’edi cio si compone di elementi di grande impatto visivo, colorato, illuminato di notte, ancora una volta con l’intenzione di progettare un’architettura appariscente e di riferimento per il territorio.

Urbano di Jamor, e denuncia la sua presenza solo attraverso le quattro torri inclinate dei ri ettori. In aggiunta a queste tipologie edilizie, si deve necessariamente considerare un ulteriore vocabolario di oggetti che non rientrano propriamente in categorie architettoniche ma che da diversi anni, ormai, concorrono alla costruzione del paesaggio contemporaneo. Tralicci dell’alta tensione, antenne per le telecomunicazioni, depositi d’acqua pensili, acquedotti, torri piezometriche costellano il territorio ai lati del corridoio infrastrutturale e intessono relazioni visuali a volte tanto forti quanto quelle sviluppate dagli edi ci delle categorie prima menzionate.

T9. Stazione di servizio - Le stazioni di servizio costituiscono episodi ricorrenti lungo le autostrade. Sono fondamentalmente strutture molto semplici per supportare l’approvvigionamento di carburante, e sono ben visibili principalmente per due aspetti: la segnaletica posta in prossimità dell’autostrada e la presenza di volumi di ristorazione. Quest’ultimo aspetto comporta un particolare rapporto con l’autostrada quando diventa un ponte sull’asse autostradale, dando luogo ad un episodio iconico peculiare. Questa variazione tipologica è un corollario dell’esperienza innovativa dell’Autogrill Pavesi di Fiorenzuola d’Arda, costruito nel 1959 nei pressi di Milano, che ispira diverse esperienze proposte altrove negli anni successivi.

Una narrativa architettonica: simbolo, comunicazione, spazio

T10. Plesso sportivo - Per assolvere a ovvie questioni di alta efficienza nelle dinamiche di accessibilità e de usso, l’impianto sportivo trova ideale ubicazione in prossimità di nodi autostradali. È una tipologia che dichiara la sua presenza con una serie di elementi alti che emergono dal piano dell’asse infrastrutturale. Pur presentando variazioni tipologiche a seconda dell’attività sportiva che accoglie, tuttavia in alcuni casi (gli stadi per il gioco del calcio) la dimensione nisce per trasformare questi edi ci in riferimenti territoriali. Più recentemente, l’architettura dei complessi sportivi si fregia di soluzioni tecnologicamente avanzate che, attraverso sistemi di strutture appariscenti e illuminate, producono un forte impatto percettivo. Nel caso particolare dell’A5, è possibile veri care l’esistenza dello Stadio Nazionale di Jamor che, per come si inserisce nella topogra a, costituisce un interessante esempio di dialogo scenogra co con l’autostrada. Lo stadio è totalmente nascosto dal anco della collina e coperto dal tto rimboschimento del Parco 62

Il costruito ai margini dell’autostrada reagisce al valore aggiunto che l’infrastruttura conferisce al territorio che attraversa e sviluppa così dispositivi che intendono offrire una narrazione con l’utente della strada e, contemporaneamente, con il paesaggio. L’oggetto architettonico cerca di affermarsi come un elemento di riferimento che sorprende (Lynch, 1960). Questo rapporto dialettico tra infrastruttura e oggetto architettonico è all’origine di un sistema urbano di propria identità che costruisce scenari in successione, variabili in funzione della velocità, e che si autoalimenta generando spazi urbani ibridi trasformando il carattere stesso dell’infrastruttura (Appleyard, Lynch, Myer, 1964). La lettura di questa simbiosi, tra tessuto costruito e infrastruttura, consolida la comprensione di questo sistema urbano come una nuova tendenza formale non solo dell’autostrada ma anche del sistema-strada nella città contemporanea, aprendo a nuovi esperimenti progettuali che sappiano arricchirne lo spessore formale e funzionale (Secchi, 1989) convertendo la proliferazione di elementi in luoghi. Del resto da qualche tempo risulta chiaro che la strada, con le infrastrutture, è l’architettura del mondo (Ferlenga, Biraghi, Albrecht, 2012). L’edi cio, anche eretto su lotti separati sicamente dall’autostrada (Silva Leite, 2013; Ventura, 1989), tende ad intercettare lo sguardo dell’automobilista con strutture formali pensate per emergere. Questa strategia consente all’edi cio di assumere un ruolo di primo piano nel contesto e, soprattutto, in relazione all’autostrada. Il progetto di architettura tiene conto della velocità media di circo-


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7 - A5 Lisboa-Cascais: Torre Monsanto (foto di J. Silva Leite, 2020).

lazione, delle caratteristiche topogra che del territorio e, principalmente, del miglior angolo di osservazione da parte del conducente. Velocità di percorrenza e dimensione delle architetture sono variabili che regolano la forma degli oggetti lungo i bordi a scapito della resa formale in condizioni usuali, ovvero statiche, di percezione. Pertanto, la facciata principale di un edi cio (o il versante dominante di un insieme di edici) potrebbe non essere necessariamente il prospetto rivolto verso l’autostrada, bensì quello laterale che conta un tempo di esposizione allo sguardo più lungo o un migliore angolo di osservazione. La declinazione di una dipendenza formale tra edi cio e autostrada non si cristallizza necessariamente al momento della costruzione. Può svilupparsi come risultato di un processo di trasformazione dell’edi cio stesso: se inizialmente si considera favorevole esporsi maggiormente con la facciata parallela alla strada, successivamente, nella contesa per il protagonismo comunicativo, può rivelarsi utile trasformare l’edi cio o aggiungere delle appendici a valle della scoperta di ulteriori relazioni visuali prima non indagate. Il processo di metamorfosi formale (evoluzione, aggiornamento, ribrandizzazione) che investe l’edi cio alimenta un signi cato simbolico ed è esso stesso strumento di promozione. Accade così che la disciplina della composizione architettonica – in molti casi, invece, non si tratta di composizione, bensì di semplici operazioni di

rivestimento – venga intenzionalmente strumentalizzata per la costruzione di un simbolo per il quale la forma diventa una categoria a servizio soprattutto della comunicazione e, solo in seconda battuta, della qualità dello spazio di cui fare esperienza. Le insegne pubblicitarie, ad esempio, costituiscono un complemento dell’edi cio e assumono caratteri formali più marcati rispetto all’edi cio stesso (Venturi, Scott Brown, Izenour, 1972). Il segno si impone al paesaggio, si dichiara da grande distanza e pubblicizza l’attività commerciale o di servizio ad esso associata: con diverse con gurazioni5 tutti intendono pubblicizzarsi e catturare lo sguardo dell’automobilista6. Parallelamente, si ricorre all’illuminazione come strumento di esaltazione per l’oggetto architettonico evidenzia contrasti (il nero della notte e la luminosità dell’edi cio), forme (emergenze, aggetti e discontinuità) o segni (principalmente scritte e loghi)7. 5 Lungo l’A5 è possibile individuare tre diverse tipologie di insegne pubblicitarie: verticali montate sull’edi cio; in vicinanza all’edi cio; isolate. Le prime due sono direttamente correlate all’attività del lotto. Le terze non sono direttamente associate al lotto e nemmeno allo spazio del canale infrastrutturali (Silva Leite, 2016). 6 “La grande insegna ‘balza in avanti’ per collegare l’automobilista al negozio, […]. Il segno gra co è diventato l’architettura di questo paesaggio.” (Venturi, 1972) 7 Si pensi a Times Square (New York), Piccadilly Circus (Londra), Shibuya (Tokyo) o alla Los Angeles nel lm Blade Runner, dove gli edi ci assumono un certo anonimato e si fondono gli uni con gli altri di giorno, ma al

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Conclusioni Prima ancora della produzione di scenari di intervento e, ancor più, del conseguimento di precipitati pratici, la lettura di ciò che scorre ai lati dell’autostrada costituisce un’occasione per un avanzamento metodologico nella sistematica attitudine all’osservazione e, quindi, alla comprensione del paesaggio contemporaneo. Per la verità, non si tratta di codi care un metodo del tutto innovativo nel campo dell’osservazione; piuttosto di comprendere una pro cua trasposizione di attitudini e abilità interpretative da un ambito all’altro. Percorrere un’autostrada, per quanto entrino in gioco velocità imparagonabili e la rotta risulti vincolata dal tracciato dell’infrastruttura, stimola egualmente la pratica osservativa degli elementi emergenti del paesaggio, utilizzata, già secoli addietro, per la redazione dei portolani: manuali utili alla navigazione costiera, redatti a partire dall’osservazione del paesaggio, ricchi di informazioni relative alle regioni da esplorare. Una carta di un portolano contiene informazioni sui pericoli e gli ostacoli (secche o relitti) alla navigazione, indicazioni per l’ingresso ai porti, per l’ancoraggio alla fonda, e ogni altro dato ritenuto utile per condurre il natante in sicurezza. In essa una torre, un faro o una roccia, visti da diverse angolazioni, hanno pari dignità di elementi utili alla navigazione (Antoniadis, 2019). Analogamente lungo l’autostrada uno sperone roccioso, una gola verde, una ciminiera di un inceneritore, un ri ettore da stadio o una torre per uffici risultano elementi di pari dignità nella formazione di un paesaggio riconoscibile. Ecco che quest’attitudine dovrebbe modi care la capacità di osservazione del territorio contemporaneo verso un assorbimento di un’ibridazione sempre maggiore tra episodi arti ciali e naturali, e assieme di progettare le infrastrutture e il costruito ad esse connesso (anche solo visivamente). L’introduzione nel territorio di un’autostrada, o di qualsiasi altra importante infrastruttura di percorrenza, non si costituisce come una soluzione di semplice collegamento tra due punti nello spazio: la progettazione di un’infrastruttura innesca necessariamente una trasformazione territoriale fatta di processi di urbanizzazione adiacenti che ricon gurano il paesaggio e l’infrastruttura stessa. A sua volta, il costruito prossimo all’infrastrutcalar della notte lo spazio cambia, acquista una forte caratterizzazione e ogni edi cio assume un ruolo di primo piano nella scenogra a urbana.

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tura autostradale non è il semplice risultato di una progettazione autonoma, ma un esercizio di maggiore complessità condizionato dall’infrastruttura e che stressa formalmente le gerarchie spaziali, le relazioni internoesterno e persino le categorie tipologiche degli edi ci. Gli organismi architettonici infatti, indipendentemente dall’appartenenza ad una tipologia, assumono forme, si dotano di appendici e altri dispositivi con il ne di dichiarare la propria presenza nel paesaggio e dialogare in modo preferenziale con l’utente dell’infrastruttura. È questo un paradigma esportabile anche a tutti quei corridoi urbani che non sono necessariamente autostradali: la conformazione spaziale dei principali assi di mobilità territoriale ri ette infatti la condizione metropolitana contemporanea, disomogenea e altamente complessa. Il tessuto costruito instaura collegamenti formali con la viabilità, manifestando aderenze e disconnessioni che incarnano criticità coincidenti con polarizzazioni e fratture urbane. L’intervento lungo le fasce interstiziale (inbetween), comprese tra edi ci e infrastrutture, diventa uno strumento di progettazione urbana e architettonica fondamentale per la realizzazione di spazi capaci di mediare transizioni o ampli care le interazioni su scala territoriale globale (di reti) e locale (dei tessuti). La progettazione del costruito marginale gioca un ruolo importante nella congurazione di soluzioni spaziali innovative che sappiano integrare infrastruttura e territorio non solo nell’ottica, forse anacronistica, di ricercare sempre un senso di unità formale tra il tutto e le parti, ma quanto meno di mitigare l’effetto di cesura che un’infrastruttura produce tipicamente sul territorio. La dotazione di spazio pubblico, grande lacuna nel costruito lungo le infrastrutture, in connessione con le reti dei percorsi pedonali e ciclabili, è una componente imprescindibile nella costruzione di una regione coesa ed equilibrata capace di integrare un elemento urbano pesante, come un’autostrada, e gli altri layer del territorio8. La manipolazione architettonica e urbana dei bordi infrastrutturali comporta delle ricadute territoriali che implicano una maggiore responsabilità progettuale, che trascende ovviamente la mera risposta formale alle opportunità ottiche. Un 8 In visioni futuristiche di inizio XX secolo come la Rue Future di Eugène Hérnard (1910), la City of Future di Wiley Corbett (1913) e, più recentemente più recentemente, le Mangroves Urbaines di David Mangin (2016), la moltiplicazione dei livelli di circolazione e di diversi sistemi di attraversamento costruisce importanti collegamenti tra infrastrutture ed edi ci.


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approccio che deve misurarsi con la dimensione urbana (specie in territori fortemente antropizzati). L’architettura prodotta è una forma di dialogo, una narrazione intensa la cui sintassi è condizionata dall’interazione tra percezione e funzione. A valle di queste considerazioni sono stati elaborati gli scenari progettuali, disseminati per la prima volta attraverso questo contributo, percorrendo ipotesi di ibridazione funzionale, di stress tipologico e dalla forte componente formale. Queste grandi forme territoriali accolgono mixité funzionali (parcheggi scambiatori, commercial mall, spazi per la residenza, per lo svago e il tempo libero, per il coworking, lo studio e la produzione) e permettono, grazie alle strutture dalle grandi luci, di superare la cesura infrastrutturale e organizzare dei sistemi di parchi (Antoniadis, 2017) in continuità con le green and blue infrastructure esistenti. In linea con un’attitudine propria del fare città, grandi interventi dall’impianto geometrico unitario, semplice e riconoscibile (quadrato, triangolo, retta spezzata) o che tiene assieme sistemi di volumi puri e torri si posizionano in corrispondenza di importanti nodi infrastrutturali e si susseguono lungo il tragitto dell’A5 Lisboa-Cascais come caratteri e lettere di una narrazione urbana-architettonica contemporanea. © Riproduzione riservata

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Michi no eki, architetture ibride sulle autostrade del Giappone di Marco Falsetti e Giusi Ciotoli

Sin dalla loro comparsa, ai primi del ‘9001, le stazioni di servizio si sono diffuse a livello globale quali elementi di supporto alle grandi infrastrutture, rifornendo i veicoli in transito oltre a offrire una serie di servizi primari ai passeggeri, come la sosta o l’accesso ai bagni pubblici. Nel 1947, con la nascita del primo autogrill lungo il tratto Milano-Torino, grazie all’intuizione dell’industriale Mario Pavesi2, la gamma dell’offerta è stata implementata attraverso l’introduzione di luoghi di ristoro destinati speci catamente agli automobilisti, i cui tratti caratteristici (specie dopo l’avvento degli Autogrill a ponte3) sono divenuti un landmark del paesaggio italiano (successivamente esteso anche al resto d’Europa e poi agli Stati Uniti) oltre ad identi care una determinata visione del rapporto tra infrastruttura ed architettura.

Il modello giapponese: i michi no eki tra luogo condiviso ed eccezione tipologica Se si eccettua la primissima transizione che ha condotto l’area di servizio a divenire elemento spaziale autonomo dal tessuto urbano – e sempre più legato al “paesaggio 1 La prima stazione di rifornimento apparve a Wiesloch, in Germania, come parte della farmacia cittadina. Al suo interno, nel 1888, Bertha Benz riempì il serbatoio della prima automobile per il viaggio inaugurale da Mannheim a Pforzheim. L’esempio di Wiesloch fu seguito poco tempo dopo anche da altre farmacie che iniziarono a loro volta a vendere benzina, sempre tuttavia come attività secondaria. 2 Per maggiori approfondimenti circa il ruolo di Pavesi nella diffusione degli Autogrill lungo la rete autostradale italiana si rimanda ai seguenti testi: Luca Monica, The motorway bridge buildings of Angelo Bianchetti, in “Area. People ows”, n. 170, maggio/ giugno 2020, pp. 136-143; Laura Greco, Architetture autostradali in Italia. Progetto e costruzione negli edi ci per l’assistenza ai viaggiatori, Gangemi, Roma 2010. 3 Ideati dagli architetti Angelo Bianchetti, Melchiorre Bega e Carlo Casati.

Michi no eki: hybrid architecture on Japan’s motorways

by Marco Falsetti and Giusi Ciotoli Since their appearance in the early 1900s, service stations have spread globally as elements of support for large infrastructures, supplying vehicles in transit as well as offering a series of primary services to passengers, such as parking or access to public restrooms. In 1947, the birth of the rst motorway service restaurant expanded the range of services they could offer, with the introduction of areas speci cally intended for travellers, the characteristic features of which (especially after the advent of bridge-type motorway restaurants) have become a landmark of the Italian landscape. At the typological level, however, service areas have undergone very few changes over time, and in this sense, the types spread around the world today are substantially the same as those found in Italy, from which they differ only in technical terms. The only exception to this scenario of typological standardization is Japan where, since the 1990s, a new concept of service platform was introduced called michi no eki (literally “road station” or “roadside station”). This system is different from all other motorway architecture in the world and aims to improve the quality of travel while promoting the cultural and economic development of the area (or region) in which it is located.

Nella pagina a anco, in alto: Michi no eki presso il Monte Fuji. Fonte: https:// rokusan.fr/voyager-aujapon/premier-voyage/ michi-no-eki-aires-routieres-japonaises/; in basso: Il michi no eki di Mashiko. Courtesy of Mount Fuji Architecture Studio.

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1 - Il network dei michi no eki in una infogra ca del MLIT (Ministry of Land, Infrastructure, Transport and Tourism).

in movimento” di banhamiana memoria –, la tipologia ha subito nel tempo ben poche evoluzioni e, in tal senso, i modelli diffusi al giorno d’oggi presentano ovunque caratteri analoghi. L’unica eccezione a tale scenario di pseudostandardizzazione tipologica appartiene al Giappone dove, a partire dagli anni ’90, è stato elaborato un nuovo concetto di piattaforma di servizi denominato michi no eki4 (letteralmente “stazione stradale” o “stazione lungo la strada”), diverso da tutte le altre architetture autostradali e nalizzato a implementare la qualità del viaggio promuovendo, al contempo, lo sviluppo culturale ed economico dell’area (o della regione) sulla quale insiste. Prima di analizzare le caratteristiche del michi no eki occorre premettere che la creazione della rete autostradale giapponese (Nihon no kōsokudōro) risale al 1963, quando fu inaugurata la Meishin Expressway 4 Si rimanda al seguente link: https://www.michino-eki.jp/stations/english.

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– destinata a connettere Nagoya e Kōbe – il cui tratto iniziale, tra Osaka e Kyoto, si estendeva per sole 44 miglia. Nel 1951, il totale dei veicoli presenti nell’arcipelago aveva raggiunto le 500.000 unità, raddoppiate a un milione nel 1953, e a due milioni nei tre anni successivi. Nel 1956 il governo nipponico incaricò l’economista Ralph J. Watkins, di redigere un rapporto sulle potenzialità della Meishin Expressway – allora in fase di pianicazione –, dal quale emerse la sua totale insufficienza rispetto alle stime di crescita5. A seguito del rapporto Watkins, il governo giapponese iniziò a investire massicciamente sul proprio network infrastrutturale, un aspetto che con il boom economico avrebbe poi rivelato tutta la sua centralità per lo sviluppo industriale del paese6. Fin dagli 5 Alla data del 1956, solo due terzi della National Highway Route 1, che collegava Tokyo ad Osaka, risultavano ad esempio asfaltati. 6 Le sole superstrade giapponesi oggi coprono quasi 5.200 miglia alle quali vanno aggiunte circa 34.440


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anni ‘60, conformemente all’antichissima tradizione che vedeva le strade (e le stazioni di sosta) giapponesi concepite in modo da attraversare i paesaggi più suggestivi, il Ministero dei Trasporti ha promosso indirizzi operativi che coniugassero le esigenze funzionali dei siti scelti per la costruzione con le qualità paesistiche del territorio. Questo aspetto ha interessato tanto le autostrade (attraverso la scelta di aree panoramiche ma anche mediante un regime oculato di piantumazioni tra le carreggiate e sui margini esterni) quanto le aree di servizio, realizzate in modo da enfatizzare gli attributi scenici del territorio. La peculiare caratteristica giapponese di attribuire un valore paesaggistico anche all’infrastruttura ha guidato sin da allora molte scelte progettuali, evidenziando il ruolo sociale che le strade rivestono nella costruzione dell’identità nazionale. La legge giapponese individua oggi quattro tipologie di aree di sosta: le aree di servizio, i parcheggi, le “oasi autostradali” e i michi no eki. Le prime due sono accessibili dalle autostrade, gestite dalle 8 società nazionali, e di norma sono soggette a pedaggio; un’oasi autostradale è invece un’area di servizio accessibile anche dalle strade locali, la qual cosa ne consente la fruizione (principalmente degli spazi e dei servizi commerciali) senza dover pagare il pedaggio autostradale – piuttosto elevato – accrescendone l’attrattività come destinazione turistica7. I michi no eki sono viceversa realizzati dai governi locali o da un’organizzazione affiliata, e sorgono sia sulle strade che sulle autostrade. Molto più delle altre tre tipologie, i michi no eki sintetizzano un approccio tipicamente giapponese al problema del rapporto tra infrastruttura e architettura di supporto, il che si esprime soprattutto attraverso tre caratteri essenziali: 1) il supporto degli enti locali nella progettazione, volto a rafforzare i legami tra comunità e utenti stradali; 2) la creazione di opportunità lavorative ai residenti del luogo attraverso l’avvio di attività economiche o l’assunzione diretta di personale; 3) la fornitura di una serie di servizi ulteriori alla collettività in ambiti come la sanità, la difesa contro i disastri naturali e la formazione/ addestramento a fronteggiare situazioni eccezionali. miglia di autostrade nazionali e quasi 80.400 miglia di strade prefettizie. 7 Le aree di sosta giapponesi (e non solo i michi no eki) sono comunque caratterizzate da una vasta presenza di attività legate al commercio, all’intrattenimento e alla ristorazione, che le rendono spesso popolari mete turistiche.

Il concetto di michi no eki rappresenta tuttora una formulazione unica al mondo, sia in termini di sperimentazione tipologica che di sviluppo sociale, e questo perché vi è sotteso il tentativo di creare, mediante l’architettura, forti legami tra gli utenti della strada e le comunità che l’infrastruttura attraversa. Per il MLIT8 il michi no eki (termine che, è bene precisare, individua l’assetto legislativo ma che non identi ca una tipologia edilizia) è ideato per assolvere a tre funzioni di base: la sosta/ristoro, il centro informazioni e il collegamento con l’area circostante. Accanto, infatti, ai servizi canonici, come l’accesso h24 ai servizi igienici e ai parcheggi, i michi no eki possono fornire informazioni turistiche (avvalendosi di personale parlante inglese o, talvolta, altre lingue straniere, cosa non sempre così diffusa in Giappone, specie nelle aree meno centrali), supporto medico e, al contempo, fungere da mini-biblioteche o da musei di storia e cultura locale. Il successo della originaria iniziativa è testimoniato, oltre che dai dati economici9, dal suo recepimento all’interno della legge giapponese, nonché dalla sua capillare e crescen-

2 - Il michi no eki Hota shogakko a Kyonan, nei pressi di Chiba. Courtesy of studio-nasca. 3 - Il logo dei michi no eki, presente anche sulla segnaletica stradale.

8 Ministry of Land, Infrastructure, Transport and Tourism (che dalla riforma del 2001 ha assorbito il Ministero dei trasporti e quello delle Costruzioni). 9 Nel 2015 i michi no eki hanno attirato oltre 210 milioni di visitatori e generato un fatturato di 210 miliardi di yen. Cfr. https://www.nippon.com/en/japan-topics/ g00645/roadside-rest-stops-japan%E2%80%99s-michino-eki-evolve-to-serve-as-community-hubs.html

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4 - Michi no eki presso Hiraizumi nella prefettura di Iwate.

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te diffusione (dai 103 michi no eki del 1993, al febbraio 2020 essi ammontavano a un totale di 1.160 così distribuiti: 125 in Hokkaido, 163 nell’area del Tohoku, 178 nel Kanto, 80 nell’area di Hokuriku, 134 nel Chubu, 147 nel Kinki, 104 nel Chugoku, 87 nello Shikoku, 142 nelle aree di Kyushu e Okinawa). Alcune delle più interessanti aree di sosta del Giappone sorgono nei pressi di siti ad elevato valore paesaggistico e culturale ed offrono spesso la possibilità di godere di panorami di luoghi celebri come il Monte Fuji, la Baia di Tokyo o il Mare interno di Seto. In molti casi, unitamente alle qualità estetiche del sito presso il quale il michi no eki sorge, la stessa architettura della stazione può essere utilizzata in modo da costituire un ulteriore elemento di interesse. Tale fenomeno di caratterizzazione è affine, per certi versi, a quello che in occidente si può osservare negli outlet, con scenogra e tematiche che rievocano, più o meno liberamente, i tratti del territorio di riferimento. Alcuni michi no eki, ad esempio, rievocano brani urbani o edi ci del periodo Edo, altri villaggi europei o nanche paesaggi letterari e di invenzione. Sono inoltre spesso presenti spazi verdi e aree gioco per il relax delle famiglie mentre le stazioni più grandi talvolta contengono piccole strutture alberghiere, ristoranti gourmet, centri commerciali, spa e parchi di divertimento. Altre volte i michi no eki possono incorporare piccoli musei (come l’ecce-

zionale Mizunashi Honjin che conserva i resti delle case sepolte dall’eruzione dell’Unzendake del 1991), mercati contadini e mercati dell’artigianato che promuovono i rapporti con le comunità locali, anche attraverso peculiari menù enogastronomici volti a valorizzare le specialità della zona. Più raramente, quando il michi no eki sorge in prossimità di un’importante attrazione turistica, può integrarne le funzioni ponendosi come centro informazioni e biglietteria. La registrazione di un michi no eki viene effettuata presso il MLIT e i costi di costruzione sono generalmente sostenuti dalla prefettura o dalla città che lo ospita. Il michi no eki è, in tal senso, un dispositivo che implementa il benessere delle comunità regionali in termini di posti di lavoro, il che la rende, sotto molti aspetti, un’infrastruttura ad elevato valore sociale; sebbene il concetto in sé sia una tipica espressione del modo giapponese di approcciarsi ai problemi della società, la fortuna dei michi no eki ha attirato, negli ultimi anni, l’interesse di importanti attori internazionali, come la Banca Mondiale10, che ha individuato nell’iniziativa uno strumento strategico per sviluppare le infrastrutture 10 Cfr il documento “Guidelines for roadside stations Michi no eki” redatto dalla Banca Mondiale h t t p : / / d o c u m e n t s 1. w o r l d b a n k . o r g / c ur a t e d / en/753051468137999706/pdf/356830Guidelin1de0st ations01PUBLIC1.pdf.


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5 - Il michi no eki di Esashi nell’Hokkaido. Fonte: https://www.japantimes. co.jp/news/2020/02/22/ business/michi-no-ekihighway-truck-stop/

ma, soprattutto, la comunità dei paesi del terzo mondo (il peculiare connubio di risorse locali e arterie stradali consente di modernizzare i territori preservando l’identità locale). Il michi no eki ha iniziato in tal senso ad essere adottato in altri paesi, come la Thailandia (nel 2006) e, successivamente l’Indonesia (2015), dove è noto come Roadside Station, e viene sviluppato dal Center of Road and Bridge of Ministry of Public Works and Housing11. Dal 2010 è in corso lo studio per valutarne l’adozione anche nel Regno Unito.

Infrastrutture sociali e di terza generazione: alcuni esempi recenti tra riuso e prevenzione delle calamità Il concetto di infrastruttura sociale12, diffuso soprattutto in ambito anglosassone, indica 11 La futura direzione politica del Ministero dei lavori pubblici e dell’edilizia abitativa dell’Indonesia nello sviluppo delle infrastrutture si basa sulla politica dell’Area di sviluppo strategico (SDA) del Consiglio per lo sviluppo delle infrastrutture regionali il cui scopo è ridurre le disparità economiche tra le regioni, in particolare tra l’Indonesia occidentale e orientale. 12 Cfr. Herawati Zetha Rahman, Azaria Andreas, Dian Perwitasari, and Jade Sjafrecia Petroceany, Developing a typology for social infrastructure (case study: Road side station infrastructure), in MATEC Web of Conferences 276, (2019).

complessi o strutture – di proprietà del governo – rilevanti per via del ruolo che rivestono all’interno di una speci ca comunità o della società in generale. In altri termini, l’infrastruttura sociale assicura o implementa gli standard e la qualità della vita di un gruppo che si identi ca in un areale geogra co. Gli orientamenti più recenti tendono a classi care le infrastrutture sociali suddividendole in due categorie: 1) infrastrutture pesanti o hard infrastructure, che comprendono centri sanitari, per l’istruzione, aree ricreative, stazioni di polizia e dei vigili del fuoco, istituti di correzione, aree di sosta e altre strutture di supporto e 2) infrastrutture leggere o soft infrastructure, rappresentate invece da programmi e politiche aventi l’obiettivo di migliorare la qualità e il tenore di vita di una comunità. Il ruolo delle infrastrutture sociali in un’area prevede inoltre: a) di aumentare il coinvolgimento della comunità locale; b) di fornire supporto trasversale alle diverse componenti della comunità; c) di creare un modello sostenibile; d) di migliorare il livello di salute generale; e) di accrescere l’economia della comunità. Negli ultimi anni il governo giapponese ha incrementato i contributi destinati ai progetti di infrastrutture che prevedono ricadute positive per le comunità locali in termini di sviluppo agricolo, welfare e, soprattutto, prevenzione dei disastri. Essendo dotati di

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6 - Il michi no eki Mizunashi Honjin.

generatori interni e depositi di scorte, e potendo inoltre disporre di uno spazio utilizzabile come eliporto, i michi no eki si prestano facilmente a fungere da centro locale per la prevenzione dei disastri o – in caso di catastrofe – da polo di coordinamento tra

forze armate e popolazione civile. Tali caratteristiche hanno rivelato tutta la loro

utilità in occasione del grande terremoto del Tōhoku del marzo 2011, quando i michi no eki hanno effettivamente svolto un ruolo importante come collettori per gli aiuti, distribuzione di beni di prima necessità e centri di evacuazione, oltre a offrire un tetto e un riparo agli sfollati. Alla luce di tali esperienze il governo centrale ha premiato sei strutture modello13, pubblicizzando i risultati ottenuti con lo scopo di spingere anche altri gestori ad implementare gli aspetti legati alla prevenzione dei disa13 Si rimanda al seguente link: https://www.nippon. com/en/japan-topics/g00645/roadside-rest-stopsjapan%E2%80%99s-michi-no-eki-evolve-to-serve-ascommunity-hubs.html.

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stri. Tra le strutture designate, la Tōno Kaze no Oka, a Tōno, nella prefettura di Iwate, si è distinta per il ruolo di centro di coordinamento svolto in occasione del terremoto del 2011, allorché è divenuta un centro di supporto per i funzionari e i volontari impegnati nel soccorso prima e, successivamente, nella ricostruzione. La Tōno Kaze no Oka è dotata di strutture di trasmissione satellitare e sfrutta tecnologie all’avanguardia legate alla gestione delle catastro . Nel 2017, sull’onda della crescente automazione, il Giappone ha avviato inoltre un programma sperimentale per la guida automatica, che sfrutta i michi no eki come hub tecnologici presso i quali appoggiare i mezzi senza conducente destinati a trasportare beni e persone nelle aree interne, dove maggiore è la concentrazione di popolazione anziana. Tra gli esempi più interessanti di michi no eki realizzati negli ultimi anni gura l’Hota shogakko14 (nella cittadina di Kyonan, nei 14 Si rimanda al seguente link: https://hotasho.jp/.


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pressi di Chiba), un vecchio plesso scolastico trasformato in centro per la comunità. A causa del basso tasso di natalità, l’originaria e antica scuola di Yasuda, è stata chiusa nel marzo del 2014, non prima che venisse però lanciato un appello pubblico – raccolto dal governo locale – per la sua conservazione (anche in forma alternativa). Le speci che richieste del bando prevedevano la realizzazione di un mercato di prodotti agricoli, di spazi per i visitatori/ospiti oltre al mantenimento della vecchia palestra da destinare a punto di raccolta in caso di emergenza. Nel 2015, un consorzio di studi di progettazione15 ha raccolto la s da, proponendo di mantenere gli edi ci trasformando la scuola in un michi no eki, utilizzabile dalla comunità. Il primo piano dell’edi cio è divenuto così la sede dei negozi di alimentari e dei servizi di ristorazione gestiti a livello locale mentre le aule del secondo piano sono state adibite a struttura ricettiva per turisti e visitatori. I corpi del complesso sono stati collegati attraverso un sistema di portici (denominato “portico della città”) che uni ca i diversi ambiti e crea, al contempo, un grande spazio collettivo per la cittadinanza, quasi una sorta di piazza, molto innovativa dal momento che la piazza è storicamente assente in Giappone. Il “portico della città” costituisce un’area ltro semi-esterna, che consente di ricavare al primo piano una veranda esterna sulla quale affacciano i negozi e, al secondo, di dotare gli alloggi di una passeggiata coperta per godere del clima caldo di Minami Boso. Il peculiare arredamento della struttura, che riutilizza in modo creativo i vecchi banchi scolastici rappresenta una ulteriore connessione utile a mantenere la memoria della scuola originaria. Un altro michi no eki peculiare – che esemplica la versatilità della tipologia – si trova lungo l’autostrada Tohoku nei pressi di Hanyu, nella prefettura di Saitama, (poco a nord di Tokyo). In questo caso, invece di rinnovare i vecchi edi ci, i progettisti hanno optato per la realizzazione di un singolare parco a tema esempli cativo di uno dei caratteri del luogo. Durante il periodo Edo (dal 1603 al 1867), i ussi di popolazione erano rigidamente controllati dal governo attraverso un sistema di caselli posti lungo il sistema di strade principali (quelle cioè che portavano a Tokyo, l’antica Edo). Uno di questi avamposti si trovava proprio nei pressi dell’attuale michi no eki di

Hanyu, ragion per cui i progettisti hanno deciso di ispirarsi a questo precedente storico per ricreare l’aspetto del sito originario insieme ad una porzione del paesaggio urbano dell’epoca. Aggiungendo una suggestione letteraria la stazione, da poco rinnovata, è stata ribattezzata Onihei Edo-dokoro, in onore di Onihei, l’investigatore del periodo Edo, protagonista dei celebri racconti di Ikenami Shotaro.

7 - Il michi no eki Hota shogakko a Kyonan, nei pressi di Chiba. Courtesy of studio-nasca.

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NOTA

La sezione Il modello giapponese: i michi no eki tra luogo condiviso ed eccezione tipologica è a cura di Marco Falsetti. La sezione Infrastrutture sociali e di terza generazione: alcuni esempi recenti tra riuso e prevenzione delle calamità è a cura di Giusi Ciotoli.

15 Guidati da Shinohara Satoko, Watanabe Makoto + Kinoshita Yoko, Kitayama Koh e Furuya Nobuaki (N.A.S.A. architects JV).

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Aree di servizio autostradale: nuovi formati e scenari evolutivi di Luca Tamini

“A mio avviso, la stazione di servizio è già, potenzialmente, la città-servizio del futuro. Ogni stazione che risulti inserita in modo naturale nell’ambiente è destinata a diventare un centro di distribuzione, un luogo di ritrovo, un ristorante, una sala d’attesa o qualsiasi altra cosa sia ritenuta necessaria”. Frank Lloyd Wright, 1953.

Il tema dell’evoluzione e degli scenari futuri delle aree di servizio autostradale è in gran parte ancora da esplorare, aperto a differenti e plurali punti di vista. Lo studio di questa particolare tipologia di servizi alla mobilità del sistema autostradale o superstradale se, da un lato, restituisce infatti un’articolata ri essione di lunga durata sulla “grande trasformazione della società italiana tra consumi, automobili, autostrade” (Colafranceschi, 2007), sul ruolo “pubblico” delle aree di servizio (Ciorra, 1997) e sui “dilemmi” per il sistema della piani cazione (Walton, Dixon 2000), dall’altro consente di approfondirne lo stato dell’arte e le dinamiche trasformative anche a livello internazionale nella sua ideazione e localizzazione sul territorio. L’attuale contesto di forte criticità generato dall’emergenza sanitaria Covid-19 rappresenta una concreta opportunità per ripensare il posizionamento territoriale di questo particolare formato di servizi in un quadro di oggettivo calo dei volumi di traffico veicolare (Fig. 1), di ride nizione delle dinamiche di consumo (Nielsen, 2020) e di accelerazione e di consolidamento delle modalità di lavoro in remoto (smart e remote working) (Agcom, 2020), dove complessivamente il mercato del travel retail - caratterizzato da imprese multilocalizzate in regime di concessione presenti negli aeroporti, nelle stazioni ferroviarie e nelle aree di servizio autostradali1 1 Le attività accessorie nelle aree di servizio delle reti autostradali sia commerciali e di somministrazione di alimenti e bevande (c.d. non oil), sia i servizi di distribuzione di prodotti carbolubri canti (c.d. oil) costituiscono oggetto di concessione da parte del gestore

Service areas on the motorways: new formats and scenarios for evolution by Luca Tamini

The theme of evolution and future scenarios for service areas along the motorway remains largely unexplored. Many of the future projects within the European and Italian context are moving towards greater integration between the physical and digital channels by developing, for example, a plan to transform motorway areas into service hubs. From the perspective of the integration of services and retail and tourist spaces, the current structure of motorway service areas in the United States represents a partial evolution in the format with respect to the rigidity of certain traditional functional con gurations. In the European context, the case of France has proven to be of particular interest. There, with a statement of public utility, the companies that build the infrastructure have pledged to complete a certain number of projects aimed at minimizing the impact on the environment; where 1% of the cost of the infrastructure is designated for landscaping within the eld of visibility from the motorway and for actions that seek to contextualize the invitation to stop along the motorway, by integrating functions and activities (culture, recreation, exhibitions and shopping) linked to the speci city and resources of adjoining territories. In Italy, one of the most interesting case studies in terms of innovative formats is the Autogrill Villoresi Est: this service area combines energy efficiency with total accessibility, and furthermore intercepts short-to-medium range traffic as well.

Nella pagina a anco: Struttura a ponte Illinois Tollway’s O’Hare Oasis a sud di Rosemont (2018): dismissione e demolizione. Fonte : https://www. c h i c a g o t r i b u n e. c o m / suburb s/lake - countynews-sun/ct-lns-moranohare-oasis-demise-st0908-story.html

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esce radicalmente ridimensionato (Figg. 2 e 3) e orientato a un necessario ripensamento anche insediativo e spaziale del proprio sistema di offerta di servizi alla mobilità, in particolare, del sistema autostradale esistente. Si ricorda infatti che nella fase di lockdown le aree di servizio autostradale sono state considerate dai decreti governativi come un servizio di pubblica utilità2 nel garantire con continuità i servizi essenziali di ristorazione (vendita esclusiva di prodotti da asporto da consumarsi all’esterno dei locali) e rifornimento carburante agli operatori dell’autotrasporto merci per le reti logistiche nazionali. Questo ruolo, nella prima fase post lockdown di ripresa del traffico interregionale, si è ampliato con l’erogazione di un set di nuovi e innovativi servizi sia ad assicurare la spesa alimentare per assorbire i picchi ancora presenti nella distribuzione commerciale organizzata (con partnership con operatori Gdo come Carrefour per offrire un paniere di referenze di prima necessità in un’ottica di complementarietà), sia con nuove linee complete di prodotti freschi di qualità idonee all’asporto (progetto “food grab&go” di Areas-My Chef ).

Nuove relazioni con il territorio: format insediativi e tipologie di servizi integrati

1 - Volume di traffico autostradale (dati settimanali; gennaio-giugno 2020; var.% sul periodo corrispondente al 2019). Fonte: Atlantia (dati ASPI, 2020). 2 - Autogrill. Ricavi consolidati per canale (agosto 2020 – agosto 2019). Fonte: Autogrill, comunicato stampa, 24 settembre 2020. 3 - Autogrill. Ricavi per area geogra ca: Italia e Europa (agosto 2020 – agosto 2019). Autogrill, comunicato stampa, 24 settembre 2020.

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della rete, da affidare previa procedura di valutazione comparativa: l’affidatario del servizio assume il diritto di gestire l’area di servizio e corrisponde una royalty al gestore della rete. Per le aree di servizio autostradale, ad esempio, con valore medio del carburante erogato inferiore a 2 milioni di litri annui e valore medio del fatturato food maggiore di € 750.000 è previsto l’affidamento unitario in gestione integrata dell’intera area, includendo i servizi oil e non oil (Ministero dello Sviluppo Economico e delle Infrastrutture e dei Trasporti, 2015). Gli impegni economici sono legati a contratti di sub concessione stipulati con le diverse concessionarie autostradali, aeroportuali e ferroviarie che prevedono canoni ssi e variabili, costi di gestione e investimenti dimensionati su volumi di traffico. Il principale gruppo a livello internazionale Autogrill, da inizio 2020 alla prima settimana di marzo, ha registrato un calo dei ricavi di 25-30 milioni di euro e la società ha avviato a ne lockdown una trattativa con aeroporti e operatori autostradali per ridurre i canoni di locazione ssi (c.d. minimo annuo garantito), normalmente pari a oltre il 10% dei ricavi (578 milioni di euro nel 2019). I ricavi al 31 agosto 2020 sono stati di € 1,4 miliardi pari a una perdita del 55,7% rispetto al 31 agosto 2019, meno consistente nel canale autostradale (- 43,8%) con un trend in costante miglioramento (Fig. 2, fonte: https:// www.autogrill.com/).

In questo inedito quadro evolutivo, molti dei progetti futuri nel contesto europeo e italiano si stanno progressivamente orientando verso una maggiore integrazione fra canale sico e digitale attraverso la de nizione, ad esempio, di un piano di trasformazione digitale delle aree autostradali in hub di servizi, sia con l’inserimento di piattaforme click&collect per modalità di servizio di asporto effettuato in auto (drive through) oppure delivery per tutti gli operatori attivi nel canale autostradale all’interno delle dotazioni parcheggio delle aree di sosta, sia con la diffusione di servizi di prenotazione legati a sistemi di geolocalizzazione, con una modalità attiva in 45 punti vendita in Italia che 2 Già nel passato il TAR Lazio aveva de nito che nelle aree di servizio autostradale si svolge un’attività strumentale e pertinente alla concessione della rete, quali cabile quindi come servizio pubblico, regolato da concessioni (TAR Lazio Roma 7571/2004; 2703/2004 e 563/2007). Il Consiglio di Stato, con sentenza n. 10.7.2014, n. 3510, ha successivamente riconosciuto la natura di “servizio pubblico” avente i caratteri della continuità, regolarità e qualità, ai punti di ristoro lungo le autostrade.


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consente di ordinare da remoto attraverso un’app, per poi pagare e ritirare direttamente in un pick-up point della rete, riducendo in modo sostanziale le super ci coperte dedicate al libero servizio e minimizzando in prospettiva la permanenza nell’area di sosta. Dal punto di vista dell’integrazione dei servizi e degli spazi commerciali e turistici, l’attuale articolazione tipologica delle aree di servizio autostradale negli Stati Uniti (safety rest areas, service plaza, oasis, travel plaza spesso affiancate dagli welcome centers)3 – contesto infrastrutturale caratterizzato da una rete aperta prevalentemente non a pedaggio - rappresenta una parziale evoluzione di formato rispetto alle rigidità di alcuni assetti funzionali tradizionali. 3 Con l’obiettivo di tutelare in termini concorrenziali gli operatori economici locali, molte leggi federali hanno vietato nel tempo la localizzazione di attività commerciali private sulle autostrade interstatali (ad eccezione di quelle costruite prima del gennaio 1960), generando densi cazioni nell’uso del suolo esterne alla rete viabilistica primaria, in prossimità degli svincoli autostradali, in particolare, nei territori a vocazione rurale dove le strutture di servizio spesso hanno agito come nuclei per lo sviluppo locale, comprese le attività legate ai trasporti come le stazioni di rifornimento carburante, la ristorazione e i motel (King, 1989; Kress, Dornbusch, 1991).

Se, da un lato, sono state chiuse diverse aree di sosta lungo le autostrade interstatali dopo la crisi economica del 2008-2009 e recentemente alcune tipologie con edi cio a ponte sono state demolite con la motivazione di incrementare la capacità di usso viabilistico con progetti di ampliamento della sezione dell’autostrada e incremento delle corsie di marcia (es. Tri-State Tollway I-294 e Jane Addams Memorial Tollway I-90 caratterizzate da un sistema a pedaggio attivo dal 1959) (Figg. 4, 5 e Figg. a pag. 80), il caso nord americano suggerisce alcune prospettive e scenari di sviluppo anche nell’attuale contesto di criticità4. A partire dagli anni ’90, Stati federati come Maryland, Ohio, Florida, Illinois hanno stipulato accordi con operatori privati per la rea4 Si ricorda che gli effetti Covid-19 sono stati rilevanti in questo esteso territorio: nel mese di giugno 2020, secondo i dati del Dipartimento dei Trasporti, il traffico autostradale negli Stati Uniti è sceso del 13%, pari a un -16,6% da inizio anno. Mediobanca Securities ha stimato una diminuzione del 40% dei ricavi nelle autostrade Usa nell›intero 2020 e un recupero nel corso dei prossimi tre anni. La sola rete Autogrill in Nord America (Stati Uniti e Canada) nella comparazione agosto 2020/agosto 2019 ha perso il 62,1% dei ricavi (fonte: Autogrill, comunicato stampa, 24 settembre 2020).

4 e 5 - Central Tri-State Tollway, Illinois: concept di intervento con ampliamento delle corsie di marcia e prevista rimozione dell’area di servizio O’Hare Oasis. Fonte: https:// www.illinoistollway.com/

6, 7 e 8 - Nella pagina seguente: Service Plaza Fort Drum sulla Florida’s Turnpike: trattamento degli spazi esterni, food court e layout interno.

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lizzazione di nuove aree di servizio in ambiti autostradali a pedaggio orientate a fornire una pluralità di beni e servizi ai viaggiatori, sia generando importanti ricavi per il soggetto pubblico, sia promuovendo l’immagine del loro territorio, incrementando spesso il turismo e migliorando le esperienze dell’utenza autostradale (Phillips, Perfater, 1991). I casi delle nuove Service Plazas realizzate dal 2010 al 2014 dal concessionario Areas Usa lungo l’autostrada a pedaggio della Florida Turnpike rappresentano, ad esempio, un nuovo formato di macro-aree di servizio autostradale, sia dal punto di vista dimensionale e di layout (orientato alla con gurazione di un aggregato commerciale con tipologia enclosed mall con food court centrale, Figg. 6, 7 e 8), sia da quello gravitazionale (27 milioni di visitatori/anno nel 2016, Florida Department of Transportation) e dell’alta soddisfazione degli utenti per quanto riguarda l’erogazione piani cata di servizi (Dickson et al., 2011). Localizzate ogni circa 72 km (45 miglia) e con una super cie media di circa 5.000 mq (53.500 square feet), le otto nuove strutture sono il risultato spaziale e insediativo di un processo di modernizzazione dell’offerta esistente (con l’inserimento di nuovi volumi con ristoranti e convenience store da circa 320 mq) e di un contratto integrato di concessione di progettazione, costruzione e nanziamento che ha de nito una partnership pubblico-privato (163 milioni di dollari) che impegna Areas USA dall’aprile 2009 a mantenere e gestire le nuove aree di servizio per un periodo di 30 anni (con interventi di ristrutturazione/refurbishment ogni cinque anni), con alcuni obiettivi chiave: l’ottenimento per ogni progetto della Certi cazione LEED Silver e Gold sul risparmio energetico, il disegno delle aree esterne utilizzando piante autoctone e materiali da costruzione riciclabili, la de nizione di tariffazioni competitive per il carburante, l’inserimento di stazioni di ricarica per veicoli elettrici. Nel contesto europeo, un caso di particolare interesse per i differenti tentativi di territorializzazione del progetto delle aree di servizio autostradale è quello francese dove attraverso la dichiarazione di pubblica utilità, la società costruttrici dell’infrastruttura si sono impegnate a realizzare un determinato numero di progetti atti a minimizzare gli impatti sull’ambiente e dove l’1% del costo dell’infrastruttura (programma 1% Paysage et Développement) è destinato alla realiz78


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9 e 10 - L’area Le Perthus (A9), Francia con la piramide di Ricardo Bo ll. Fonte: https://ricardobofill.com/projects/thepyramid/

zazione di interventi paesaggistici nel campo di visibilità dell’autostrada e di azioni di contestualizzazione dell’invito alla sosta lungo la rete (Ponticelli, Michelletti, 2003)5, con l’integrazione di funzioni e attività (culturali, ricreative, espositive e commerciali) 5 Si evidenzia che tra gli indicatori di qualità utilizzati nei contratti di concessione autostradale in Francia è presente la “qualità delle aree di sosta” riguardante lo stato di manutenzione e la loro adeguata dotazione di attrezzature di supporto (Oxera, 2019).

connesse alle speci cità e alle risorse dei territori contigui (es. A29 Le Havre-Rouen) e con il coinvolgimento spesso di competenze diverse e complementari (architetti, paesaggisti, storici, artisti, Figg. 9 e 10)6. 6 Come, ad esempio, l’area di Frontaliere du Perthus (A9) con la piramide di Ricardo Bo ll, l’area di Suchères (A72) con la Colonne Brisée di Anne e Patrick Poirer, le “aree di riposo” (Aires de repos) caratterizzate da un progetto di paesaggio come quelle ideate da Bernard Lassus a La Pierre de Crazannes (A837), tra Saintes e

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11 - L’area di riposo Nîmes-Caissargues (A54), Francia (Bernard Lassus). Fonte: https://www.bernard-lassus.com/

Nell’ambito degli interventi di contestualizzazione paesaggistica delle aree di servizio autostradale è da segnalare il progetto Gloucester Services realizzato nel Gloucestershire sull’autostrada M5 nel 2014, vincitore di numerosi premi RICS, RIBA e Civic Voice. Disegnata da Glenn Howells Architects e Pegasus Landscape Design (con una super cie di 5.574 mq e un costo di 44 milioni di euro) con l’obiettivo di “colmare il vuoto esistente tra la rete autostradale e la rete del paesaggio”, creare occupazione per la comunità locale, promuovere i prodotti agricoli e l’artigianato locale7, attraverso un progetto di paesaggio Rochefort, con il recupero di una cava di pietra dismessa (Iarrera, 2004) e a Caissargues (A54), con la presenza integrata di spazi e attrezzature per la cultura, come un museo e un giardino archeologico (Fig. 11). 7 Sul modello rivisitato della storica Tebay Motorway Service Area (MSA) a Cumbria sull’autostrada M6 intesa come area di mercato per la liera corta e luogo di accesso e conoscenza del paesaggio e dell’agricoltura locale.

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coerente con le linee guida nazionali Highways Agency: Spatial Planning Framework. Review of Strategic Road Network Service Areas del gennaio 2010 (Figg. 12, 13 e 14). Nel contesto italiano, uno dei casi di innovazione di formato di maggior interesse è quello di Autogrill Villoresi est, lungo l’Autostrada dei Laghi A8, in corrispondenza dell’uscita di Lainate (MI), di fronte all’iconico e storico Autogrill “a piramide spaziale” di Villoresi Ovest - attualmente oggetto di un intervento di ristrutturazione edilizia - progettato nel 1958 da Angelo Bianchetti (Figg. 15 e 16). Area di servizio aperta nel 2013, progettata dallo studio Total Tool e realizzata secondo gli standard di efficienza energetica del Protocollo LEED - con una dotazione di sonde geotermiche che estraggono e cedono calore a seconda delle necessità (Fig. 17) - rappresenta un esempio di progettazione dei layout, degli arredi e delle attrezzature, nonché dei servizi, dei parcheggi e della segnaletica basata sui principi di Design for


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12 , 13 e 14 - Gloucester Services, Gloucestershire, UK, 2014. Fonte: https:// w w w.gle nn howell s. co.uk/project/gloucesterservices/

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15 e 16 - Autogrill Villoresi Est e Ovest: sezione e planimetria.

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all e Dasa Rägister per la totale accessibilità (Bandini Buti, 2013). Dal punto di vista localizzativo, in ne, l’area di servizio Villoresi est intercetta con successo un usso di traffico locale e metropolitano che rispecchia una dinamica ben nota negli studi di matrice trasportistica e cioè la prevalenza, su larga parte della rete autostradale italiana, di un traffico di breve-medio raggio, di gravitazione delle aree a maggiore urbanizzazione e a scala regionale, rispetto agli spostamenti di lunga distanza e sui principali corridoi di traffico interurbano, storicamente presi a riferimento per l’ideazione della rete, ma soltanto in pochi casi realmente maggioritari nell’utilizzo reale della rete (Debernardi, Ferrara, Beria, 2020).

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L’autostrada del Brennero e l’architettura del transito: le aree di servizio, da non-luoghi a iper-luoghi di Carlo Costa, Alessandro Magnago e Alessandro Franceschini

La Valle dell’Adige costituisce n da tempi remotissimi (le prime tracce archeologiche risalgono a cinquemila anni prima di Cristo) un imprescindibile collegamento tra il nord e il sud dell’Europa. Il valico del Brennero, infatti, con i suoi, relativamente pochi, 1.375 metri di altezza sul livello del mare è il più accessibile tra tutti i valichi alpini e n dall’antichità fu utilizzato come luogo di transito e di scambio tra il modo germanico e quello latino.

Il corridoio del Brennero, dalle vie mercantili all’asse autostradale Una delle prime vie di comunicazione stabili in grado di collegare l’Adriatico ai Mare del Nord fu la così detta «Via dell’Ambra», l’unica che tagliasse di netto la catena alpina, che da Venezia portava ad Amburgo e che era percorsa da mercanti interessati a scambiare merci con quello che veniva chiamato l’«oro del mare». Nel corso dei secoli, il canale non ha mai perso il suo ruolo di connettore tra il Mediterraneo e il Centro Europa, utilizzando le tecniche trasportistiche migliori di ogni epoca: la via Claudia Augusta in età romana, la linea ferroviaria Verona-Brennero-Innsbruck a metà dell’Ottocento, no ad arrivare al progetto dell’asse autostradale «A22», costruito tra gli anni Sessanta e Settanta del Novecento. In realtà, l’idea di un asse di collegamento stradale transalpino veloce nacque nel 19501, durante una convenzione sul traffico svoltasi a Ginevra: allora venne tracciata una rotta, identi cata con la sigla E6, che congiungeva la penisola scandinava con la punta più meridionale d’Italia, di cui il percorso attuale dell’Autobrennero faceva già parte. Il 20 febbraio 1959 fu fondata la società per azioni 1 Turrini D. (1991) L’autostrada del Brennero nella sua storia, Autostrada del Brennero S.p.A.

The Autostrada del Brennero and transit architecture: service areas from non-places to hyperplaces by Carlo Costa, Alessandro Magnago and Alessandro Franceschini

The particular context of the landscape along which the A22 was built has led the concessionaire Autostrada del Brennero S.p.A., from the earliest phase of its design, to pay particular attention to the formal quality of the works of art and the architecture of the service buildings along the motorway. The thrust of this commitment – which has involved designers of the calibre of Pietro Porcinai – has continued over time, and has recently become company policy. Even in the latest buildings – for example the Plessi Museum on the Brenner Pass, a unique work of architecture within the scenario of motorway service areas around the world – the attention to the quality of the architecture became one of the aspects that distinguishes travel along the A22: more than an infrastructure, it is a connecting axis on the edge between infrastructure engineering, architecture and landscape.

Nella pagina a anco: Pietro Porcinai, schema progettuale per area di sosta e di servizio lungo l’A22 nel tratto BolzanoBressanone [Archivio Pietro Porcinai, Fiesole].

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1 - L’autostrada come infrastruttura osmotica.

Autostrada del Brennero che, due anni dopo, ottenne la concessione per la costruzione e il successivo esercizio dell’autostrada. Nel 1963 venne approvato il disegno de nitivo del percorso, progettato dagli ingegneri trentini Bruno e Lino Gentilini. Inoltre, al ne di garantire un corretto inserimento nel paesaggio circostante, come vedremo più avanti, venne coinvolto nell’equipe di progetto anche il paesaggista orentino Pietro Porcinai. Iniziata nel 1968, l’opera venne conclusa ed inaugurata nell’aprile 1974. Oggi, l’Autostrada del Brennero, nel suo complessivo percorso dal con ne di Stato al collegamento con l’Autosole, misura circa 314 chilometri, lungo i quali transitano oltre 60 milioni di veicoli all’anno. La piattaforma autostradale presenta caratteristiche diverse nei due tratti da Brennero a Verona e da Verona a Modena. Nel primo tratto è larga ventiquattro metri, nel secondo complessivamente trentatré metri. Pur dovendo giungere ad un passo alpino, l’autostrada mantiene pendenze minime: solo nell’ultimo tratto Vipiteno–Brennero la pendenza raggiunge il 3,8% ma la media dal Brennero a Bolzano è pari a 1,4%. I ponti ed i viadotti su cui corre l’autostrada sono 101, per una complessiva lunghezza di 32 chilometri. Le gallerie unidirezionali sono 29, per una lunghezza complessiva di 12 chilometri. Il tratto di autostrada da Brennero a Bolzano presenta, su una lunghezza complessiva di 85 chilometri, più di 30 chilometri su viadotto e 6 in 86

galleria, con soluzioni progettuali ed esecutive estremamente innovative. In tempi recenti, a seguito della crescita delle sensibilità ambientali e al cambio dei paradigmi nel progetto delle infrastrutture, è evoluto anche l’approccio allo sviluppo dell’asse autostradale dell’A22. La necessità di trovare il giusto equilibrio tra le esigenze legate allo sviluppo economico e il mantenimento della qualità dei territori, ha imposto una revisione dei modi in cui le infrastrutture s’inseriscono nei processi di trasformazione. Abbandonato l’approccio esclusivamente tecnicistico che assegnava alle infrastrutture una semplice funzione di canale di scorrimento a servizio della mobilità, con effetti talvolta disastrosi per il paesaggio, per l’ambiente e per il territorio, Autobrennero ha orientato il suo approccio al progetto infrastrutturale all’intero contesto che l’opera dovrà servire, attraverso una metodologia pluridisciplinare, non solo caratterizzata dalla presenza dei saperi tecnici, ma anche culturali, sociali, ecologici, estetici, capaci di dar vita da un’infrastruttura nalmente “osmotica”2. Proprio in questa direzione si è progressivamente orientato l’interesse di Autostrada del Brennero, con iniziative tese a trasformare il “non-luogo”3 tipico di un trac2 Scaglione P., Ricci M. (2013), Nuove ecologie per infra/strutture osmotiche, List 3 Augè M. (1996), Nonluoghi. Introduzione a una antropologia della surmodernità, Milano, Elèuthera.


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ciato autostradale, in un “iper-luogo” capace di coniugare in una unica con gurazione immagine architettonica, permeabilità con il territorio circostante, qualità dei servizi offerti, comfort, sicurezza ed efficienza garantite all’utenza.

Le aree di servizio come giardino: la lezione di Pietro Porcinai L’attenzione di Autostrada del Brennero per la qualità del progetto nelle aree di servizio trova origine con il progetto stesso dell’infrastruttura dell’A22, nella seconda metà degli anni Sessanta del secolo scorso, ed in particolare nella vicenda della partecipazione di Pietro Porcinai nell’equipe di progetto. Il paesaggista orentino fu coinvolto dalla Società concessionaria dell’A22 con il preciso obiettivo di armonizzare il progetto dentro il paesaggio attraversato dall’infrastruttura: non solo nella sua dimensione visivo-percettiva, ma anche in quella di potenziale diaframma ecosistemico tra le diverse componenti del territorio. Una visione che lo stesso Porcinai ebbe modo di focalizzare meglio durante il progetto dell’infrastruttura in questione, elevando l’autostrada a materiale utilissimo nella costruzione di un paesaggio a scala vasta: «occorre una autostrada – scriveva Porcinai – che non deturpi o modi chi, ma che rallegri e valorizzi il volto del paesaggio italiano». E ancora: «Nessuno nega che l’autostrada debba servire ad abbreviare i percorsi (…) ma esistono priorità paesaggistiche che devono essere assolutamente rispettate al ne di ridurre al minimo la lacerazione dell’ambiente naturale»4 La scelta di affidare il progetto paesaggistico dell’autostrada a Pietro Porcinai risale al 1965, nel momento in cui il progetto esecutivo redatto dagli ingegneri Gentilini era già stato consegnato all’Anas ed approvato dall’ente concedente. L’impulso verso questo cambio di rotta lo si deve alla Giunta Provinciale di Bolzano, ed in particolare dall’assessore Alfons Benedikter, che proprio in quell’anno diede corso ad un provvedimento di sospensione dei lavori dei tratti BrenneroColle Isarco e Chiusa-Bolzano ai sensi della legge provinciale sulla tutela del paesaggio e, rivolgendosi direttamente al Ministro dei Lavori Pubblici, richiese una consulenza sot4 Sintesi della Relazione “l’Autostrada nel Paesaggio”, conservata nell’Archivio Porcinai (Fiesole, FI), raccoglitore 432 XIV-83.

to il pro lo paesaggistico a Pietro Porcinai. A fronte dell’imposizione mossa dalla provincia di Bolzano, la Società Autostrada del Brennero decise di «rilanciare», ampliando l’ambito di competenza di Porcinai e di estenderlo a tutto il tracciato autostradale e non al solo contesto della Provincia di Bolzano, facendo sì che alcune delle scelte più signi cative dell’intervento del paesaggista, divennero quelle effettuate nel tratto di pianura dell’autostrada. «Anche in questo caso – scrive Claudia Zanda – il processo di costruzione dell’autostrada A22 guarda agli esempi internazionali e si discosta dalle comuni procedure messe in atto in ambito italiano che, no a quel momento, avevano registrato solo pochi isolati casi di coinvolgimento di architetti nel progetto paesaggistico dell’autostrada»5. In una lettera inviata alla Società Autostrada del Brennero, Porcinai sintetizza, all’interno di una breve relazione, le proprie proposte come alternative, di pari costo, di ogni soluzione progettata. «L’autostrada del Brennero deve, a mio parere, dimostrare che ogni soluzione più bella è anche più economica e confermare come le soluzioni più brutte siano anche le più dispendiose». Una speci ca attenzione è dedicata da Porcinai al disegno delle aree di servizio e di sosta che il progetto tecnico esecutivo non affrontava e che secondo lo stesso Porcinai «devono essere studiate come un giardino»6. Proprio per valorizzare questi spazi, nel 1972 la Società dell’Autostrada del Brennero diede incarico a Porcinai di redigere un bando di concorso (che purtroppo non fu mai portato a termine) per la progettazione delle aree di rifornimento e di servizio, aperto ad architetti in associazione alle compagnie petrolifere. A seguito del fallimento del concorso, lo stesso Porcinai elabora alcune soluzioni per il disegno delle aree di sosta che, secondo gli accordi presi con la Società, avrebbero dovuto fare da esempio tipologico per le proposte presentate dalle diverse compagnie petrolifere. La proposta generale che Porcinai predispone per l’A22 cerca di perseguire, come spiega il paesaggista7, i seguenti obiettivi: - nascondere tutte le brutte stazioni di ser5 Claudia Zanda, The architecture of motorway infrastructure between maintenance and preservation. The A22 and the territory of Mantova, tesi di dottorato, Politecnico di Milano, XXX ciclo, dicembre 2018. 6 Lettera del 16 aprile 1966 conservata presso l’Archivio Porcinai a Fiesole 7 Estratto dalla lettera di Porcinai all’Ing. Moroder della Provincia autonoma di Bolzano del 2 settembre 1972 conservata presso l’Archivio Porcinai a Fiesole.

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bilisti onde “restaurare” i loro sici costretti per tante ore negli abitacoli delle loro autovetture. Studiando lo schema di Porcinai, conservato presso l’archivio del Maestro a Fiesole, emergono le caratteristiche di questa visione. Egli immagina «aree di sosta e di servizio» arretrate rispetto al tracciato autostradale, protette da questo tramite una folta barriera verde, organizzate in fasce parallele reciprocamente separate tramite alberature di altezza decrescente dalla carreggiata principale verso l’esterno, così da creare zone protette dalla vista e dal rumore, rivolte al paesaggio e al territorio, e completate con il disegno di aree di svago, per il riposo, i picnic e la ginnastica. «La proposta di Porcinai è in questo senso particolarmente interessante perché segna un atteggiamento opposto a quello generalmente adottato in Italia per gli edi ci autostradali e le relative aree di sosta, che guardavano piuttosto al modello americano dell’architettura simbolica e pubblicitaria, che doveva quindi porsi in prossimità dell’autostrada e costruire il suo fronte in ragione della sua presenza»8.

L’area di servizio-museo: il Plessi Museum al passo del Brennero

2 - Il Plessi Museum, al valico del Brennero, veduta d’insieme. 3 - Il progetto per la nuova Area di servizio di Trens Est: la visione esterna. 4 - Il progetto per la nuova Area di servizio di Trens Est: una ipotesi di organizzazione degli interni.

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vizio in modo da renderle invisibili all’autostrada; - rendere gradevole e riposante la sosta degli automobilisti: ciò si otterrà aprendo tali soste verso il paesaggio in senso opposto all’autostrada e separando nettamente i percorsi degli autoveicoli dai posti a stare; - prevedere la presenza, come già in Germania e in Svizzera, di posti giochi per bambini e per la ginnastica degli automo-

L’esigenza di sperimentare una nuova «vocazione» delle Aree di Servizio (intesa come forma e funzione) emerge con forza dopo gli anni 2000, grazie ad alcuni esempi paradigmatici capaci di fare da «apripista» per una nuova modalità di concepire la sosta autostradale, come il Plessi Museum, al Passo del Brennero. Proprio nel punto di passaggio storicamente più importante delle Alpi, la società Autostrada del Brennero ha promosso la costruzione di un grande manufatto architettonico che rappresenta un unicum nel panorama delle aree al servizio di un’infrastruttura autostradale, in Europa, ma probabilmente in tutto il mondo. Si tratta di un’architettura dalle forme contemporanee, inserita in un contesto paesaggistico straordinario, destinata a diventare una vera e propria “porta” per chi transita attraverso il valico alpino. L’architettura, che si con gura come una leggera copertura adagiata su di una teca di cristallo, ospita al suo interno uno spazio espositivo, una sala conferenze, un punto di ristoro. Le opere d’arte, le instal8 Claudia Zanda, Op. Cit.


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5 - Il progetto per la nuova Area di servizio di Laimburg Est: planimetria.

6 - Il progetto per la nuova Area di servizio di Laimburg Est: il contesto paesaggistico.

lazioni e gli arredi collocati dentro la struttura, portano la rma dell’artista veneziano Fabrizio Plessi9. L’occasione della dismissione delle aree che un tempo ospitavano la dogana è stata interpretata dalla Società come un’opportunità per dare nuovo senso ad un luogo storicamente rimasto ai margini della con gurazione dei paesaggi umani. Si è voluto costruire uno spazio contemporaneo, sia attraverso l’immagine di un manufatto architettonico 9 Per una ricostruzione della vicenda di veda il librocatalogo Plessi Museum, a cura di Autostrada del Brennero S.p.A., 2013

di qualità, sia attraverso l’ideazione di una nuova modalità di fruire degli spazi di sosta dentro l’Autostrada del Brennero: non solo un’occasione per riposare e disporre del servizio di ristorazione, ma un’esperienza percettiva particolare, per molti versi unica, legata alle evocazioni di uno dei protagonisti dell’arte contemporanea internazionale. Per quanto riguarda la genesi del progetto, occorre fare qualche passo indietro. Nel 2000 Fabrizio Plessi, dopo aver vinto un concorso internazionale, realizza una grande installazione per l’Expo di Hannover. Si tratta di un’opera realizzata per l’Euregio, all’interno del padiglione italiano: una scultura che

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7 - Il progetto per la nuova Area di servizio di Laimburg Est: una ipotesi di organizzazione degli interni.

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unisce tre composizioni rappresentanti le provincie di Trento, Bolzano e Innsbruck. In quest’opera Plessi concepisce un paesaggio montano arti ciale: un ambiente alpestre da attraversare e da vivere «tecnologicamente» dall’interno. L’opera, proprio per questi suoi signi cati, viene acquistata dalla Società Autostrada del Brennero con la volontà di collocarla simbolicamente al Passo del Brennero, costruendo attorno ad essa la grande teca trasparente, divenuta poi il «Plessi Museum». La Società chiede successivamente all’artista veneziano di arredare il manufatto, costruendo attorno alla scultura delle installazioni video e delle presenze plastico-gra co-pittoriche. La collocazione di questa struttura al Passo del Brennero non è quindi casuale. Il valico ha storicamente rappresentato un luogo di divisione e di passaggio. Sarebbe troppo lungo citare, in questa sede, la sequenza di lotte e di domini, per capire il valore simbolico che questo spazio geogra co ha sempre rappresentato dentro la storia dell’Europa. Si tratta di un luogo inospitale, per molti decenni relegato ad asettica zona di conne: una dogana predisposta per ltrare lo spostamento delle persone e delle merci. Gli Accordi di Schengen e la loro successiva entrata in vigore (per l’Italia, il 1990) hanno reso il valico necessariamente diverso: non più luogo di con ne e linea di divisione ma luogo di connessione e spazio di incontro tra le comunità della nuova Europa. Ma anche potenziale zona di «sosta». Di qui l’opportunità di dare senso nuovo a questo spazio anche attraverso l’architettura e l’arte. La Società ha così deciso di costruire un manufatto dalle caratteristiche museali, capace di far dialogare lo spazio interno

con il paesaggio circostante. Predisponendo un’architettura caratterizzata da un’ampia copertura sorretta da pareti di vetro agli angoli delle quali insistono quattro ponderose pietre angolari. L’interno si esprime sostanzialmente in un grande spazio espositivo dentro il quale sono collocate le opere e le installazioni di Fabrizio Plessi. Si tratta di un insieme di forme, di immagini e di suoni che vano a creare uno spazio unico, collocato all’interno di un luogo unico. A distanza di alcuni anni dalla sua inaugurazione, il Plessi Museum al Brennero si presenta, oggi, come uno spazio “armonico”, fruibile con molti livelli di lettura: da quello ingenuo, dei viaggiatori “distratti”, a quello più avveduto che caratterizza gli amanti d’arte o dei dettagli esteticamente raffinati. A tutti, questo spazio collocato al Brennero è in grado di lanciare il proprio messaggio: aiuta ad aprire un dialogo fra la natura e gli artefatti, accreditandosi come una sorta di tempio laico della natura arti cializzata. Ma è anche un’occasione per assaporare i prodotti tipici del territorio, collocati all’interno di un contesto eccezionale. Dove la presenza della natura, potenziata all’in nito grazie all’uso della tecnologia, ha un effetto rigenerante, avvolgente, acquietante.

Le nuove progettualità: tra architettura, paesaggio e genius loci Sulla scorta dell’esperienza del Plessi Museum, in tempi più recenti la Società che gestisce l’A22 è impegnata nel rinnovamento architettonico di alcune Aree di Servizio collocate lungo l’asse autostradale. L’obiettivo non è solo quello di rigenerare degli edi ci oramai obsoleti, ma anche quello di caratterizzare meglio la sosta autostradale attraverso la dotazione di servizi all’utenza e mediante la valorizzazione del progetto di architettura. Le linee d’azione che sono state seguite nell’implementazione di questi progetti sono ascrivibili ai seguenti temi: - la valorizzazione delle differenze territoriali dentro le quali scorre il nastro dall’A22, che dal contesto alpino del valico del Brennero giunge no a quello della Pianura Padana, attraversando una grande varietà di paesaggi; - la valorizzazione della dimensione formale dell’edi cio presente sull’Area di Servizio, attraverso la ricerca e la sperimentazione di forme architettoniche;


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8 - Il progetto per la nuova Area di servizio di Campogalliano Est – la visione d’insieme.

9 - Il progetto per la nuova Area di servizio di Campogalliano Est – particolare della facciata.

- la valorizzazione dell’interfaccia paesaggistico interno-esterno dell’edi cio; - la promozione dello spazio come “vetrina del/sul territorio”, come primo interfaccia tra utenti (spesso provenienti, per ragioni turistiche, dall’Europa centrale) e cultura del territorio locale. Attualmente i progetti sono in corso di implementazione. Qui di seguito si propone, di conseguenza, solo una breve presentazione delle tesi progettuali. Il progetto per la nuova Area di servizio di Trens Est, ad esempio, lavora su uno dei simboli caratterizzanti l’A22, ovvero il sicurvia in acciaio corten. Tale elemento, opportunamente svuotato dalla sua funzione, diventa al contempo elemento decorativo e strutturale, una “pelle” per il nuovo edi cio, una texture riconoscibile e riconosciuta. In questa articolazione, il sicurvia in corten si moltiplica in altezza rivestendo la facciata, sottolineando l’effetto di orizzontalità che, a sua volta, accresce il senso di movimento

e di velocità insito nel tema stesso dell’infrastruttura autostradale. All’interno dell’edi cio cambiano tuttavia le caratteristiche architettoniche: il paesaggio è portato all’interno dell’area di servizio, trasformandola in uno spazio fortemente identitario, una vera e propria porta d’accesso “simbolica” per il territorio. L’aspetto esterno, rigoroso e infrastrutturale, contrasta così con i rivestimenti in legno degli interni, che conferiscono all’ambiente un’atmosfera intima, accogliente: un misurato effetto dicotomico che enfatizza il piacere di una pausa durante la percorrenza autostradale. Nel progetto per l’Area di servizio di Laimburg Est è reso esplicito il nuovo concetto di Area di servizio all’interno dell’A22 immaginato dalla Società, che lavora sulla compenetrazione tra autostrada e paesaggio. L’intervento prevede, nel suo insieme, scelte progettuali all’avanguardia, anche sotto il pro lo dei servizi e della tecnologia a disposizione dell’utenza, grazie all’introduzione

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10 - Il progetto per la nuova Area di servizio di Isarco Est – visione d’insieme. 11 - Il progetto per la nuova Area di servizio di Isarco Est – particolare della “quinta facciata”.

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di sistemi di alimentazione per autovetture pensati per la mobilità del futuro. In questa prospettiva, l’area si rivela come luogo integrato nell’arteria autostradale e nell’ambiente, elemento che connota il territorio valorizzandone le peculiarità e il ruolo identitario, mettendo in evidenza un approccio sostenibile e multidisciplinare: ingegneristico, ecologico e paesaggistico. Dal punto di vista squisitamente formale, la nuova stazione si con gura come un volume compatto e semplice, capace di inserirsi nel paesaggio alla stregua di una forma monolitica, in grado di evocare, in maniera astratta, le formazioni

rocciose del territorio circostante, enfatizzando, al contempo, gli ampi spazi liberi con geometrie irregolari, in stretta relazione visiva con il paesaggio atesino. Nel progetto per l’Area di servizio di Campogalliano Est, l’attenzione è rivolta alla trasformazione dello spazio in un’area a vocazione fortemente identitaria, una vera e propria “porta informativa” verso il territorio, capace di valorizzarne le peculiarità ambientali, storiche, folcloristiche ed enogastronomiche e di promuovere, al contempo, lo sviluppo delle attività commerciali locali ed i prodotti del territorio circostante. Dal punto di vista com-


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positivo, il progetto s’ispira alla con gurazione aggregativa tipica degli insediamenti rurali della zona: il concept progettuale intende così evocare le forme e le linee naturali che contraddistinguono il paesaggio circostante. Allo stesso tempo, la tessitura della facciata legge ed interpreta il disegno dei solchi impressi sulla super cie dei terreni agricoli del contesto: le cromie, ricche ed alternate, si legano alle tonalità calde dei colori della terra. In ne, nel progetto per l’Area di servizio di Isarco Est la forma architettonica del tipico edi cio di servizio autostradale viene «decostruita» geometricamente per lasciare spazio da un’articolazione più sperimentale. La carenatura in alluminio composito è de nita da grandi aree triangolari che avvolgono il volume dell’edi cio e proseguendo in copertura creano un quinto prospetto pensato per essere visibile dalle montagne che circondano l’area. In questa visione, grazie all’uso delle linee inclinate e all’alternanza misurata di vuoti e di pieni, l’edi cio si con gura come un elemento di raccordo tra autostrada e paesaggio alpino. Ecco che la forma esterna della stazione è concepita per dare una forte caratterizzazione sia all’edi cio che al luogo, aumentando così la dimensione caratterizzante dell’Area di servizio la cui immagine si spinge anche nella valorizzazione della “quinta facciata”, ovvero la copertura, una delle protagoniste della percezione visiva del paesaggio in area montana.

nei confronti di questi spazi e valorizzando l’opportunità di dare nuova vita a strutture oramai obsolete. L’idea che la Società concessionaria dell’A22 persegue nell’implementazione di queste progettualità è quella di dare un nuovo signi cato alla sosta autostradale, utilizzando le potenzialità simboliche del linguaggio dell’architettura contemporanea e facendo integrare le strutture con il contesto circostante. L’obiettivo, dichiarato, è quello di trasformare le Aree di servizio da «non luoghi», nell’accezione di Marc Augè, a «iperluoghi», capaci di coniugare, in un’immagine architettonica, dotazione tecnologica, tensione alla sostenibilità, valore paesaggistico e attenzione all’identità dei luoghi in cui sono collocate. © Riproduzione riservata

Conclusioni: le Aree di Servizio, da «non-luoghi» a «iper-luoghi» Con la conclusione dei lavori di costruzione dell’A22, caratterizzati da un approccio all’insegna della ricerca e dell’innovazione, non si è fermata la volontà di sperimentare della Società Autostrada del Brennero. In anni recenti, in particolare, tale approccio ha subito un ulteriore impulso, concretizzandosi in interventi particolarmente signi cativi: dalle barriere fonoassorbenti integrate a quelle fotovoltaiche (si veda in questo senso la barriera a Marano d’Isera) agli strumenti per elevare la sicurezza della percorrenza autostradale, dagli investimenti in opere per mitigare l’impatto visivo del nastro autostradale nell’ambiente allo sforzo di tecnologizzare l’arteria, facendola diventare «intelligente». Un’attenzione particolare è stata inoltre dedicata al progetto architettonico e paesaggistico delle Aree di servizio, con l’obiettivo di fare sintesi di un mutato atteggiamento 93


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L’evoluzione dei servizi di assistenza nelle strategie d’impresa. Il caso Autogrill SpA di Giuseppe Canestrino

La storia di Autogrill racconta un’evoluzione di gestione d’impresa e di approccio al progetto dello spazio commerciale. Fenomeno di costume legato alle trasformazioni socio-economiche dell’Italia degli ultimi decenni, la società Autogrill si è trasformata da brand strettamente connesso al ristoro sulle autostrade italiane a sistema di servizi per il viaggiatore di respiro internazionale. Questa trasformazione nasce da un’intuizione imprenditoriale, che riconosce, dopo l’acquisizione Benetton, le potenzialità del mercato dei servizi per i viaggiatori al di là del bordo autostradale, e punta ad estendere gli interessi del gruppo anche agli spazi delle stazioni ferroviarie, degli shopping center, dei musei, delle ere e degli aeroporti (Benetton, 2007). Considerata la forte valenza commerciale e pubblicitaria che tipicamente contraddistingue n dalle origini le attrezzature per la sosta e i servizi ai viaggiatori, ripercorrere lo sviluppo aziendale che ha portato Autogrill ad essere oggi leader di questo settore in diversi stati europei e negli USA consente di comprendere le relazioni tra la messa a punto delle strategie aziendali, l’individuazione dei servizi all’utente e la connotazione degli spazi di servizio del gruppo. In queste note si delineano le fasi essenziali della storia del gruppo: le origini a partire dal processo di acquisizione dei marchi storici della ristorazione autostradale italiana sotto l’egida della Società Meridionale Elettrica (SME) e la successiva istituzione di Autogrill SpA (1977); la progressiva privatizzazione di Autogrill con l’ingresso di Benetton (1994-95) e il graduale processo di internazionalizzazione del marchio; l’attualità del marchio-ombrello di Autogrill che include attività di servizi diversi per tipo e localizzazione lungo le autostrade, negli aeroporti, nei musei, negli shoppingcenter. A queste tre stagioni corrispondono, nella lettura proposta, altrettante visioni dello spazio di servizio. Raccolta l’eredità degli autogrill Pavesi, dei Mottagrill e dei Autobar

The evolution of assistance services in company strategies. The case of Autogrill SpA by Giuseppe Canestrino

The evolution of dining and refreshment services for people on the move is closely associated in the Italian experience to the history and approach of the autogrill restaurants rst, and of the company Autogrill SpA in general. Retracing this history allows for a greater understanding of the relationship between Autogrill SpA’s business strategies and innovations in services for travellers. The transition from a national company found only on Italian motorways to a multinational group that has extended to airports, railway stations, trade fairs and shopping centres inevitably brings new demands for spaces and services, both tangible and intangible. This article seeks to highlight how Autogrill SpA responds to these challenges in various ways: from globalized brands and spaces to concepts carefully designed to better t a particular place, from a recognizable presence on the Italian motorways to a conception of the built space as a container for a melting pot of brands in other markets.

Nella pagina a anco, in alto: il “vulcano” dell’autogrill Villoresi Est progettato da Total Studio sull’autostrada A8. Fonte: https://www.autogrill. com/it/storie/autogrillvilloresi-est-dove-il-passato-incontra-il-futuro. Al centro: lo storico autogrill Villoresi Ovest (1958) di Angelo Bianchetti e il recente Villoresi Est di TotalStudio sull’autostrada A8. Fonte: google street view. In basso: nazioni in cui oggi è presente Autogrill. Fonte: https://www.autogrill.com/

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1 - Campagna pubblicitaria del nuovo logo di Autogrill a seguito dell’unione di Alemagna, Motta e Pavesi. 1978. Fonte: https://www.autogrill. com/it/chi-siamo/la-nostra-storia

di Alemagna, la società evolve sotto gli inussi della crescente globalizzazione dei costumi sociali e dei suoi orizzonti economici e commerciali, optando nella più recente stagione per un set di concetti chiave del servizio di assistenza che estende – irreversibilmente – i con ni originari della ristorazione autostradale.

Le origini Autogrill oggi è un brand “ombrello” presente con circa 4.000 punti vendita in quattro continenti (Gruppo Autogrill, 2020), le cui fortune si legano alla crisi della stagione più intensa e felice della ristorazione autostradale italiana e dei suoi marchi storici: Pavesi, Motta, Alemagna. I tre gruppi, dopo un periodo ventennale di crescita e successo, sono oggetto – a partire dal 1968 – di un processo di acquisizione ad opera della Società Me96

ridionale Elettrica (SME), nel cui assetto era predominante il ruolo dell’Istituto per la Ricostruzione Industriale (IRI). In realtà, l’acquisizione ha come obiettivo primario le attività di distribuzione e soprattutto di produzione alimentare, vero core business dei tre gruppi, ma nisce – inevitabilmente – per investire anche la ristorazione autostradale. La SME, che acquisisce il controllo di Pavesi, Motta e Alemagna tramite successivi aumenti di capitale, negli anni ‘70 cresce, no a diventare il principale attore nel settore industriale alimentare italiano, con importanti rami cazioni nella distribuzione e nei servizi di ristorazione. La crisi petrolifera del 1973 interessa profondamente il mercato automobilistico e della ristorazione autostradale, no a portare nel 1974 in negativo i margini di Pavesi e Motta e, più tardi, anche di Alemagna. La riduzione degli investimenti nel settore automobilistico e autostradale disincentivano la politica di SME verso il settore della ristorazione. In più, con itti interni tra i tre gruppi alimentari e la necessità di rispettare gli accordi con i partners petroliferi non controllati da SME (ad esempio le catene di distribuzione dei carburanti fondamentali per l’attrattività degli autogrill) rendono difficile l’attuazione di piani di risanamento e di coordinamento tra i principali servizi autogrill. Nel 1977 si opta per un cambiamento radicale e i marchi storici di Alemagna, Motta e Alivar (ex Pavesi) si fondono in Autogrill SpA. Non altrettanto radicale è la proposta commerciale che orienta i primi passi della neonata società. Inizialmente si pensa di estendere il modello Pavesi a Motta e Alemagna, rinunciando ai tratti distintivi di queste ultime due catene. La ripresa del prodotto interno lordo negli anni Ottanta stimola, grazie anche al rinnovato investimento sul sistema autostradale, il passaggio verso l’attuale dimensione di Autogrill, con il superamento della ristorazione one-size- ts-all a vantaggio di una diversi cazione multibrand riconducibile a un marchio “ombrello” ben riconoscibile e affidabile. Questa innovazione aziendale corrisponde alla riorganizzazione degli spazi architettonici: l’autogrill cessa di essere il manifesto commerciale di un unico marchio per diventare il contenitore di più insegne, ciascuna con una sua organizzazione funzionale. Questo passaggio segna emblematicamente la dispersione dell’eredità culturale consegnata alla gestione pubblica dalle grandi imprese familiari protagoniste dei servizi autostradali, segnatamente legata al clima architettonico e costruttivo italiano, in favore di una fase permeabile a stili di


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2 - L’ecogrill di Mensa di Ravenna sull’autostrada E45. Fonte: https://www. autogrill.com/it/media

3 - Autogrill nell’aeroporto di Schiphol – Amsterdam propone il modello dell’aerotropolis. Fonte: https://www.autogrill.com/it/chi-siamo/ dove-siamo

vita e di gestione degli spazi più universali. Le trasformazioni al contorno delle autostrade, con la progressiva antropizzazione dei bordi e la formazione di un’offerta di servizi articolata e frammentata, frenano le potenzialità della nuova traiettoria di sviluppo di Autogrill SpA. D’altra parte, gli investimenti avanzati dalla società in quegli anni in segmenti inizialmente non molto pro cui come la ristorazione urbana (con le insegne Ciao, Amico e Spizzico), pongono le basi per la diversi cazione del dominio operativo che contraddistingue oggi Autogrill, con la ristorazione negli aeroporti e nelle stazioni ferroviarie.

La privatizzazione e l’internazionalizzazione Nel 1982, a seguito di un accrescimento della partecipazione dell’IRI in SME e alla luce della performance negativa dei settori di produzione e distribuzione interni alla stessa SME, si piani ca la privatizzazione del gruppo Autogrill SpA. A questo punto, grandi soggetti stranieri, come Nestlè e Unilever, si interes-

sano ai brand alimentari-produttivi, mentre si delinea una cessione in blocco dei settori ristorativo e distributivo. Quest’ultimo attrae particolarmente diversi player italiani come Carlo De Benedetti e Fininvest, ma è Edizione Holding (legata al gruppo Benetton) ad ottenerne il controllo tra il 1994 e il 1995. Le intuizioni della nuova gestione sono molteplici: un maggiore interesse per la ristorazione e i servizi ai viaggiatori più che per la distribuzione (Benetton, 2007); una mission precisa (“Autogrill si impegna ad offrire la migliore scelta dei servizi di ristoro per le persone in movimento”) (Brunetti, 2007); una generale riconferma degli assetti manageriali in termini di persone, e la ripresa di strategie messe da parte nella visione della SME (in particolare, puntare più sui servizi al viaggiatore e meno sulla distribuzione). La quotazione in borsa nel 1997 consente ad Autogrill di ottenere una maggiore presenza internazionale con acquisizioni in Belgio, Olanda, Austria e Germania. Il passaggio dalla dimensione europea a quella mondiale avviene nel 1999 con l’acquisizione di HMSHost. Autogrill è così presente in quattro continenti, ma soprattutto è leader nella ristorazione

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4 - Il Biden Welcome Center è in posizione strategica tra Maryland, Pennsylvania e Newjersey sull’autostrada I-95. Fonte: https://www.autogrill. com/it/chi-siamo/dovesiamo

5 - Il Food Village DXB nell’aeroporto di Dubai (DXB). Fonte: https:// www.autogrill.com/it/ storie/benvenuti-al-foodvillage-di-dubai

autostradale ed aeroportuale negli Stati Uniti grazie ad HMSHost. Il marchio, infatti, è risolutivo per il mercato statunitense, visto che negli anni precedenti all’acquisizione da parte di Autogrill aveva stipulato contratti in 18 dei 20 maggiori aeroporti statunitensi e alla ne degli anni Novanta detiene i diritti di franchising, limitatamente a strade ed aeroporti, di brand estremamente legati alla cultura nordamericana come Pizza Hut, Burger King e Starbucks. I ricavi provenienti dal settore aeroportuale

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superano presto quelli della ristorazione autostradale e spingono a investire in attività affini al Food & Beverage, come il Travel Retail e il Duty Free, rimasti nora estranei agli interessi di Autogrill. Importanti sono le acquisizioni di Alpha Group (2007) e Word Duty Free (2008), che portano nel 2013 a scindere questo business da Autogrill verso Word Duty Free SpA. Sul fronte dell’organizzazione e dell’immagine architettonica degli spazi la società prosegue nella strategia del contenitore multifunzione e multibrand.


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Autogrill oggi tra strategie aziendali e modelli di business Oggi Autogrill persegue una strategia di sviluppo a lungo periodo, in equilibrio tra le esigenze degli stakeholders e le opportunità (e minacce) del mercato. Il 90% delle attività di ristorazione gestite oggi da Autogrill sono riconducibili al modello del contratto di concessione dove il concedente è il proprietario o anche il gestore di un’autostrada, di una stazione, di un aeroporto o altro. Considerare questo meccanismo permette di valutare le scelte che orientano oggi la progettazione architettonica di uno spazio Autogrill. È evidente che la strategia progettuale che determina le scelte per uno spazio legato a una concessione aeroportuale di 5-10 anni non è analoga a quella predisposta per un intervento connesso a una concessione autostradale di 10-25 anni, con picchi di oltre 30 anni. I contratti di concessione, insieme alla scala globale del gruppo Autogrill, hanno reso meno attuabile la costruzione di edi ci ristoro iconici, come nella stagione degli autogrill progettati da Angelo Bianchetti e Melchiorre Bega, soprattutto al di fuori del segmento autostradale. Non mancano eccezioni come quelle dell’autogrill di Villoresi Est (2007-2012) e dell’ecogrill di Mensa di Ravenna (2009), entrambi progettati dal gruppo torinese TotalTool, in cui la mission della sostenibilità ambientale plasma e modella l’involucro architettonico. Una presenza capillare nel supporto del people on the move permette una nuova e più avanzata offerta al viaggiatore. Il meccanismo delle concessioni, soprattutto quando queste sono applicate alle grandi aree di aeroporti e ferrovie, permette di mettere in campo un portafoglio di insegne coordinate che non offre solo Food & Bevarage, ma anche commercio e intrattenimento: si attua un passaggio dal non luogo, al being space. Ciò corrisponde a un paradigma di fruizione di uno spazio pubblico mirato ad essere un’esperienza che il consumatore può cogliere, e di cui è testimonianza la concezione della sosta nei punti Starbucks, di cui Autogrill ha diritti di franchising. Qui, oltre i servizi tradizionali di ristoro, sono offerti servizi di connettività, di lettura, di riposo e la possibilità di lavorare in un piccolo ufficio on the move. Queste facilities, a volte immateriali come una connessione WiFi, in momenti in cui si è più deboli, perché lontani da casa, in viaggio, possono essere ben più importanti del servizio sico di Food&Beverage. Il con-

tenitore architettonico anche in questi casi assume contorni più neutri, nei quali sono cromie, segnaletica e gra ca a strutturare l’identità dello spazio. Ciò si traduce in un aggiornamento del contesto socio-economico nel quale gli autogrill degli esordi sulle autostrade italiane hanno offerto un habitat capace di alimentare un fenomeno di costume nazionale. Il successo commerciale di Autogrill nello scenario post-moderno si fonda, dunque, sulla consapevolezza che soddisfare i bisogni espliciti di un viaggiatore non basta più, se non si offrono servizi al contorno capaci di soddisfare bisogni impliciti.

Tra vecchi e nuovi modelli: innovazioni nello spazio della sosta autostradale L’impossibilità di ritirarsi dai contratti di concessione, ha spinto Autogrill ad adottare con efficace pragmatismo imprenditoriale strategie di progettazione architettonica e di gestione degli spazi essibili. Oggi Autogrill lavora più per concetti (ossia i singoli brand a disposizione del portafoglio aziendale) da usare, trasferire, oppure sviluppare da zero. Si tratta di un approccio sicuramente più congeniale al regime delle concessioni, in quanto intrinsecamente replicabile, essibile e dinamico, ma che allo stesso tempo conserva la possibilità di prendere in considerazione le particolarità del luogo e del costume di ogni singola concessione. Lavorare per concetti signi ca progettare un’offerta in termini di prodotti e servizi al viaggiatore da realizzarsi attraverso uno spazio con sue strategie riconoscibili e replicabili in termini di materiali, arredi, attrezzature e altro. La sintesi tra il pro lo globale del marchio e le declinazioni speci che del singolo punto Autogrill è un elemento di distinzione rispetto alla prima stagione della ristorazione autostradale, di solito impermeabile a eventuali speci cità locali (ambientali, sociali), e costituisce il tentativo di territorializzare un servizio correntemente considerato universale. Dopo la vincita di una concessione o durante la sua gestione, Autogrill utilizza i concetti all’interno del suo portafoglio aziendale per creare un’offerta di servizi, di ristorazione e non, all’interno di un edi cio quasi sempre già costruito e in funzione. Anche questo aspetto è un punto di speci cità della situazione odierna. Il linguaggio costruttivo, originariamente utilizzato per sottolineare in alcuni casi l’eccezionalità, e quasi sempre funzionale a de nire i tratti di riconoscibili99


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6 - Il concetto PIER ZERO nell’ Aeroporto di Helsinki – Finlandia. Fonte: https:// www.autogrill.com/it/ chi-siamo/dove-siamo

tà degli autogrill del Novecento, è quasi del tutto assente, a vantaggio di operazioni di allestimento interno di spazi preesistenti. Ciononostante, permangono dei pro li di continuità con l’esperienza del passato. Così come recitava una pubblicità del 1967 del Mottagrill di Limena, oggi si propone di nuovo un’offerta di ristoro legata al territorio capace di contribuire al passaggio dal no space al being space. “Si mangia in Dialetto” indicava nella stagione più tarda delle autostrade italiane un equilibrio tra la volontà di globalizzazione e di razionalizzazione produttiva espressa attraverso un’offerta alimentare legata al territorio, ma comunque “delocalizzabile” al bisogno e per motivi di mercato. Autogrill attualizza e ripropone questo modello nel ristoro moderno, soprattutto nel segmento aeroportuale, ossia per quelle attrezzature che per alcuni viaggiatori costituiscono una delle poche occasioni di vivere il costume locale di città di cui a volte visitano solo l’aeroporto. In questa traiettoria si muove anche una recente strategia di Autogrill, che affida ai Celebrity Chef la gestione della ristorazione dei suoi punti. Non più un’offerta alimentare di qualità riconoscibile su tutto il territorio nazionale sviluppata in modo centralizzato, ma punti di ristoro e servizi progettati ad hoc. Non è raro così che il punto ristoro aeroportuale sia un gemello per menù, chef, arredi e materiali architettonici di un ristorante cittadino. Questo aumento nella qualità dei servizi al viaggiatore si ripercuote sulle scelte dell’organizzazione tecnologica e funzionale degli spazi. Da una parte la glocalizzazione non è facile da perseguire con le soluzioni costruttive industrializzate correntemente adottate per la costruzione degli autogrill; dall’altra le difficoltà logistiche e gli spazi minimi a disposizione per la preparazione del cibo impongono soluzioni architettoniche inno-

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vative e non convenzionali: dall’ottimizzazione delle aree di stoccaggio e di refrigerazione, no a modelli funzionali con una netta separazione tra il servizio al cliente e la preparazione del cibo. Questa modi ca dell’approccio progettuale e costruttivo alla ne ha permesso che alcuni punti ristoro afanchino al segmento di mercato primario del viaggiatore quello del cittadino, con un ulteriore elemento di innovazione. La strategia aziendale fondata sul riposizionamento e sulla risegmentazione del mercato appro tta anche di tipologie di servizi, assenti in Italia ma con una lunga tradizione all’estero. È il caso dei Welcome Center, strutture risalenti agli anni Trenta che formano negli Stati Uniti un vasto sistema di servizi collocati alle porte delle città, delle regioni e degli stati. Essi ricoprono le funzioni tipiche dei punti di servizio informativo, diventando vetrine del territorio, con caratteri tipici e la scala di uno shopping mall. Attraverso la sua divisione americana HMSHost, il gruppo Autogrill nel Biden Welcome Center trasforma in materia architettonica diverse strategie aziendali. Le attrazioni del Delaware fanno da sfondo a molteplici servizi, dalla mobilità elettrica al food & beverage. Le strategie di sostenibilità dichiarate a livello manageriale qui diventano soluzioni tecnologiche e architettoniche all’avanguardia, che hanno permesso al Biden Welcome Center di soddisfare gli standard della certi cazione LEED® Silver (Leadership in Energy and Environmental Design). Esperienze di successo singolari, quando inserite in una multinazionale con un business seriale, aprono la porta alla replicabilità delle strategie, come testimonia il caso del concetto di Aerotropolis a cui ambisce l’intervento nell’aeroporto di Amsterdam-Schipol, che risente della visione di John Kasarda (2019): non una città intorno ad un aeroporto, ma


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un centro di vita e di lavoro all’interno di un aeroporto che cessa così di essere zona di transito e di attesa. Ulteriore esempio è l’O’Hare Urban Garden, esperimento nel campo della sostenibilità ambientale in cui in un giardino aeroponico (con radici nebulizzate in sospensione senza terreno di coltura) sono coltivati ori, erbe e verdure per essere utilizzati all’interno delle attività di HMSHost nello scalo del Chicago O’Hare. Altro modello, traslato dagli shopping mall, particolarmente adatto alla replicazione negli spazi autostradali, come nelle stazioni e negli aeroporti è il food court. Trattasi di una possibilità di gestione dello spazio dedicato al ristoro tramite diverse insegne e brand a cui si associa uno spazio di consumo in comune, informale e più sociale, come accade nell’aeroporto internazionale di Dubai. Qui Autogrill propone il Food Village DXB in cui la dimensione territoriale e locale dell’alimentazione fa un passo indietro a favore di un’offerta dichiaratamente il più possibile globalizzata e internazionale. Ulteriore modello di spazio è il mercato, di particolare successo e appeal nelle stazioni ferroviarie italiane grazie alla sua capacità di attrarre sia viaggiatori che utenti cittadini. L’architetto Michele De Lucchi rma per Autogrill il restyling del Mercato del Duomo a Milano nella Galleria Vittorio Emanuele, proponendo una gestione dei percorsi dell’utente non più rigidi e predeterminati, come tipicamente accadeva negli autogrill del Novecento, ma personalizzabili e progettati secondo i principi del way ding.

Conclusioni Autogrill oggi gestisce i suoi spazi di ristoro e servizio ai viaggiatori con un atteggiamento duplice. Da una parte, come già in passato propone negli spazi per la sosta autostradale una presenza ancora riconoscibile, perve-

nendo a risultati che, utilizzando le parole di Learning from Las Vegas (Venturi, et al., 1972), si potrebbero ascrivere a una “architettura di comunicazione più che di spazio”, che accoglie sotto il marchio Autogrill i vari brand del portafoglio aziendale. Fuori dal segmento autostradale, invece, Autogrill fa un passo indietro, diventando meno riconoscibile e proponendo un melting-pot di brand sia internazionali che legati al territorio in cui, come riconosciuto da Desideri (2007), sono gli insiemi di “allestimento, illuminazione, cartellonistica, insegne” e servizi materiali e immateriali (in questo testo denominati concetti) a de nire lo spazio architettonico più della con gurazione volumetrica che li contiene.

7 - Il concetto Wine Plaza nella stazione ferroviaria Madrid Atocha, Spagna. Fonte: https://www.autogrill.com/it/chi-siamo/ dove-siamo

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Progettare gli spazi per la ristorazione in autostrada. L’esperienza di Cremonini intervista a Gianfranco Ferraro e Massimo Iosa Ghini a cura di Laura Facchinelli

Cremonini è un nome molto noto per la lavorazione di prodotti alimentari e, con il marchio Chef Express e altri di sua creazione, è attiva da decenni nel campo della ristorazione nei luoghi legati al viaggio. Oltre ad operare nelle stazioni ferroviarie, a bordo dei treni e negli aeroporti, Cremonini gestisce molti punti di ristoro lungo le autostrade, ed è per questo che abbiamo pensato di intervistare due gure importanti nella progettazione di queste realtà. Abbiamo sentito l’ing. Gianfranco Ferraro, direttore tecnico che coordina le attività di progettazione e realizzazione degli interventi di tutti i punti vendita Chef Express, e l’arch. Massimo Iosa Ghini - titolare di uno studio di progettazione con sedi a Bologna e Milano – che ha curato la progettazione di alcuni degli spazi per la ristorazione. T&C – Ing. Ferraro, vorrei delineare, in breve, la storia del gruppo Cremonini nella ristorazione autostradale. Quando è iniziata? Quante sono, oggi, le aree di servizio gestite dalla vostra società? Ferraro – Il Gruppo Cremonini è stato fondato nel 1963 da Luigi Cremonini, che ne è tuttora il presidente, ed è oggi uno dei maggiori gruppi agroindustriali italiani, attivo nella produzione di carni, nella distribuzione di prodotti alimentari e nella ristorazione. In quest’ultimo settore ha iniziato a operare 35 anni fa tramite la Chef Express, società controllata al 100%, acquisendo e sviluppando inizialmente buffet e ristoranti nelle stazioni ferroviarie, per poi ampliarsi successivamente al mondo degli aeroporti e della ristorazione autostradale. È un’attività che rientra nel segmento di business della ristorazione in concessione, detto anche del travel retail, dove l’apertura di locali è subordinata alla concessione di spazi da parte di enti, pubblici o privati, il cui affidamento avviene in genere tramite gare pubbliche. Oggi Chef Express è leader assoluto in Italia nelle stazioni ferro-

Designing spaces for dining on the motorway. The Cremonini experience Interview with Gianfranco Ferraro and Massimo Iosa Ghini by Laura Facchinelli

Cremonini is a name well-known for the processing of food products and, under the brand Chef Express and others it created, has worked for decades in the eld of catering, in places linked to travel. In addition to operating in railway stations, on trains and in airports, Cremonini manages many restaurant services along the motorways, and this is why we decided to interview two important gures involved in the design of these spaces. We spoke to engineer Gianfranco Ferraro, the technical director who coordinates the design and construction of the projects for Chef Express sales points, and the architect Massimo Iosa Ghini – the owner of a design studio based in Bologna and Milan – who designed some of these restaurant spaces.

Nella pagina a anco, in alto: progetto dell’area di ristoro autostradale di Novara, design Iosa Ghini per Gruppo Cremonini. In basso a sinistra: particolare della facciata (© Studio Iosa Ghini). In basso a destra: la copertina del libro di Giuseppe Romano Novara: la prima area di ristoro autostradale. Storia, abitudini, architetture della sosta in viaggio dal grill Pavesi a Chef Express, FrancoAngeli, Milano 2017.

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1 - Cartolina pubblicitaria (anni Sessanta) dell’Autogrill Pavesi di Novara progettato da Angelo Bianchetti.

viarie, ed è il secondo operatore negli aeroporti e nelle autostrade. Negli anni la società ha sviluppato anche un’importante attività nella ristorazione commerciale con varie catene di bar e ristoranti, tra cui Roadhouse Restaurant, Calavera, Bagel Factory e Juice Bar, Wagamama, per citare i brand principali. Nel settore autostradale Chef Express ha iniziato a operare dal 2003 quando il principale e unico operatore nazionale fu privatizzato e il mercato aperto alla concorrenza di più operatori. Oggi la società gestisce 51 aree di servizio sulla rete autostradale e sulle principali arterie, con una presenza concentrata soprattutto al centro-nord. T&C – Come avviene l’affidamento del servizio in un’area di ristoro e per quale durata? Ferraro – L’affidamento di un’area avviene a seguito di una procedura competitiva indetta dalla società che ha in gestione il tratto autostradale. La procedura è regolamentata da un bando di gara in cui vengono stabilite le condizioni tecnico-economiche dell’affidamento. Per la parte tecnica in particolare vengono valutate le soluzioni architettoniche che portano innovazione e valorizzazione delle aree. La durata di un affidamento in questo periodo storico è mediamente di 9/12 anni a seguito dei quali il bene torna all’ente concedente. T&C – Facciamo l’esempio di un’area di ristorotipo: vogliamo vedere come si procede, concretamente, per realizzarla e quali problemi si devono affrontare, dal punto di vista tecnicostrutturale? Quali misure per ridurre l’impatto sull’ambiente?

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Ferraro – Gli edi ci delle aree di ristoro sono edi ci particolari, anzi speci ci, sono stati costruiti quasi tutti tra gli anni ‘60 e gli anni ‘80, ed hanno due peculiarità che li accomunano e indirizzano poi la progettazione degli interventi: non hanno una vocazione estetica architettonica, salvo rare eccezioni, e sono poco serviti da infrastrutture di servizio. Questo si traduce in un’attività progettuale che deve sostanzialmente innovare l’immagine dell’edi cio per renderlo più moderno ed espressivo dell’attività svolta all’interno, e parallelamente abbattere l’impatto ambientale dell’edi cio, combinando l’utilizzo di impianti ed attrezzature a ridotto consumo energetico ed energie rinnovabili. T&C – Quali ricerche vengono effettuate per calibrare il servizio di ristorazione sui gusti della clientela? Come si prevedono i mutamenti delle abitudini? Come si possono in uenzare, studiando nuovi format? Ferraro – Per prima cosa è importante ricordare l’evoluzione di questo settore. Le aree di servizio sulle autostrade hanno avuto una fase di espansione e di grande dinamismo nell’epoca del boom economico, accompagnando naturalmente lo sviluppo della motorizzazione e della rete autostradale, per poi subire un lento declino dalla seconda metà degli anni ‘60. In questa fase le aree sono rimaste sostanzialmente caratterizzate dall’essere “luoghi di passaggio”. La ripresa dei volumi di traffico negli anni ‘90 e, soprattutto, l’apertura del mercato alla concorrenza, hanno determinato un rinnovato dinamismo e avviato un cambio di paradigma: la s da è diventata far diventare le aree di servizio


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2 - L’edi cio a ponte dell’area di ristoro di Novara visto dall’autostrada, design Rosa Ghini per Gruppo Cremonini, render (Studio Iosa Ghini).

3 - Progetto dell’area di Novara, design Rosa Ghini per Gruppo Cremonini, sezione longitudinale (Studio Iosa Ghini).

“luoghi di destinazione”. Da qui la necessità di studiare un’offerta adeguata, non solo in termini qualitativi, ma anche diversi cata per fasce di clientela – il mondo dell’autotrasporto, i viaggiatori per lavoro, le famiglie, ecc. – e per tipologia di servizio. Le ricerche le effettuiamo sul campo, veri cando direttamente gusti e richieste, con la consapevolezza che il servizio in autostrada sarà sempre in uenzato dal fattore “tempo” e dall’esigenza di assolvere soprattutto bisogni di base. Nuovi format o servizi vanno nella direzione di quanto già accennato, puntando a convincere il viaggiatore a decidere di scegliere un’area grazie a un’offerta più ricca. Che va anche oltre la ristorazione: per esempio, i nuovi servizi digitali. Abbiamo lanciato una App che contiene insieme un programma di loyalty, la possibilità di pagare rapidamente tramite smartphone senza fare le, e persino la videosorveglianza della propria auto, ecc. Per questo, i nuovi format, più che inuenzare, possono cogliere e accompagnare i trend di consumo. Tra questi, vorrei citare l’attenzione alle tradizioni e ai prodotti locali: abbiamo sviluppato un format apposito per

valorizzare i prodotti del territorio. Oppure l’attenzione all’ambiente. È evidente come la progettazione architettonica debba integrare necessariamente tutti questi concetti e abbia un ruolo decisivo nel rendere la sosta in autostrada un’esperienza piacevole in tutti i sensi. T&C – Può delinearci i programmi di Cremonini Chef Express per il futuro, nel campo dei servizi di ristorazione, non solo autostradale? Ferraro – La pandemia ha ovviamente imposto un blocco violento al business della ristorazione, in particolare, di quella “in viaggio”: tutti i ragionamenti su sviluppi futuri dovranno aspettare il ritorno a una situazione di normalità. Certamente nel mondo delle concessioni puntiamo a consolidare le nostre posizioni di leadership. In più, abbiamo un programma di sviluppo importante nel segmento dei centri commerciali, outlet e mall cittadini, dove abbiamo ampi margini di crescita. Le aree di ristoro autostradale costituiscono un momento importante (anche se poco

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4 - Area di ristoro Feronia sulla A1, nei pressi di Roma (Archivio Gruppo Cremonini). 5 - Area di ristoro Frascati, sulla A1, nei pressi di Roma (Archivio Gruppo Cremonini).

conosciuto) nella storia dell’architettura italiana: è in questo contesto che viene ad inserirsi, oggi, il progetto di una nuova area di ristoro, o la riprogettazione-trasformazione di un edi cio dei gloriosi anni ‘60 per adeguarlo alle esigenze degli attuali frequentatori. Su questi temi abbiamo rivolto alcune domande all’arch. Massimo Iosa Ghini. T&C – Architetto, quali spazi ha progettato per la società Cremonini-Chef Express, e in particolare quali aree di ristoro autostradali? Iosa Ghini – Nell’arco degli ultimi quattro anni, la stretta collaborazione con Chef Express sta portando ottimi risultati in termini di collaborazione aperta su molteplici fronti.

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Per quanto riguarda le aree autostradali, ad oggi si contano quindici aree già inaugurate su tutto il territorio nazionale. Oltre alla già citata area a Ponte di Novara, sono state realizzate altre importanti aree quali ad esempio Fabro Est, Lucignano Est, Fratta Nord, Rho Sud, Foglia Est, Versilia Est. Gli interventi non sono stati esclusivamente su edi ci esistenti che sono stati completamente rigenerati, ma anche su realizzazioni ex novo, come fatto per le aree Gonars Nord e Fratta Sud. In questi casi la progettazione integrata in sinergia con Chef Express ha permesso di ottimizzare le scelte architettoniche che di fatto hanno sensibilmente ridotto l’impatto economico dei costi e aumentato la qualità, in particolare per quanto riguarda i rivestimenti delle


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6 - Area di ristoro San Martino Ovest sulla A1, nei pressi di Parma (Archivio Gruppo Cremonini).

7 - Dettagli dello Chef Store all’interno dell’area di ristoro Chef Express di Arno Ovest (Archivio Gruppo Cremonini).

facciate. In particolare, per quanto riguarda gli involucri e agendo con progetti di rigenerazione su edi ci esistenti, abbiamo immaginato un sistema di rivestimento efficiente ed ecologico con due scopi: – ottenere la protezione climatica attraverso schermature a disegno grigliato e lamellare in materiale ligneo multistrato da esterni tagliato in doghe; parziali ricoperture parietali tramite pannelli a sandwich coibentanti; – ottenere un effetto quali cativo e identicativo di tutte le dealer station. Il sistema infatti integra elementi naturali e piantuma-

zioni, facendo collaborare design del verde, pannellature e grigliature lignee con un effetto di naturale armonizzazione. Oltre alle aree autostradali, nell’aeroporto di Roma Fiumicino abbiamo rmato il design del format Attimi by Heinz Beck, ristorante dello chef stellato. Nel design di questo nuovo concept metalli crudi e caldi danno il timbro generale. Materiali so sticati e a basso impatto ambientale, la pietra di Vicenza nei tavoli disegnati col tipico segno dello studio, morbido e funzionale, lampade in vetro Murano di alta qualità miscelate con illumi-

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8 - Studio di interno per le aree Chef Express (Studio Iosa Ghini).

nazione tecnica inserita in una struttura dal segno veloce e uido che si armonizza con l’ambiente di questo nuovo molo aeroportuale dedicato al lusso. T&C – Nel caso dei punti ristoro autostradali, quali sono le esigenze del committente e in che modo prende forma il progetto dell’architetto – attraverso articolazione degli spazi, materiali, colori ecc. – per conciliare costi, qualità del servizio ed estetica, riconoscibilità del brand e libertà inventiva? Iosa Ghini - I rivestimenti e le pavimentazioni sono la cornice di un progetto di interior, un canvas non immediatamente percepibile, ma certamente ben leggibile nel tempo. Solo se la scelta è stata quella giusta, questo canvas costituisce lo scenario perfetto sul quale si muovono altri “attori” quali arredi, accessori e luci. Noi per questo abbiamo lavorato molto sugli spazi, facendo i conti con il contesto, valutando la situazione singolarmente e valorizzando ciascun caso come se fosse unico: il complesso del sistema gra co, tutto il sistema dei vari concept che hanno anime ovviamente diverse tra loro perché vendono prodotti diversi. A Novara la struttura è sostanzialmente un grande corridoio, quindi l’organismo architettonico in qualche modo impone già una segmentazione; ma più in 108

generale, quando ci si trova in situazioni simili all’idea di piazza, su cui si attestano tutti i vari brand dei concept, bisogna sempre ridurre, limitare non tanto l’impatto dei vari elementi quanto l’impatto della zona comune, altrimenti si accentua un con itto che tende già ad esserci. Negli ingressi comuni e nelle ali che abbiamo creato e in tutte le zone di servizio, connessione, abbiamo utilizzato dei colori scuri, per lo più grigi e abbiamo abbassato il livello di illuminazione, col duplice risultato di un risparmio energetico e di produrre zone neutre che mettano il visitatore in sintonia con una varietà di proposte. T&C – Vogliamo fare un esempio concreto, parlando dell’area di ristoro a ponte di Novara, recentemente realizzata? Come ha impostato la progettazione? Iosa Ghini – Novara è stata la prima realizzazione del concept ideato per Chef Express. La prima scelta condivisa da tutti è stata quella dell’uso di un rivestimento delle pareti verticali in legno, elemento distintivo delle aree Chef Express che è stato applicato alle successive stazioni e continuerà ad esserlo. L’idea è esprimere con l‘architettura un messaggio: creare uno spazio che stimola la relazione, migliora il modo di operare e di “stare”, uno spazio che quindi può dirsi accogliente.


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All’interno e all’esterno, compatibilmente con il tema della manutenzione, utilizziamo il verde, per esempio all’esterno ai lati del Ponte si trovano piante in vaso e all’ingresso, ovvero nel momento di passaggio, un portale fatto di vegetazione a bassissima manutenzione. Alla base c’è un nuovo rapporto con il viaggiatore, che trova un ambiente accogliente, digitalizzato, in cui i percorsi non sono obbligati e le scelte di ristorazione sono varie e di qualità. T&C – Storicamente gli autogrill sono sorti come architetture pubblicitarie delle aziende dolciarie (Pavesi, Motta, Alemagna) che si rivolgevano a pochi possessori di automobili, e via via sono entrati nella vita quotidiana di un numero sempre crescente di persone in transito lungo le autostrade. Sono cambiate radicalmente le esigenze, il servizio si è trasformato. Come si pone, oggi, un autogrill? Cosa comunica?

sistemi e spazi di customer experience innovativi è l’obiettivo a cui tendere per creare ambienti non soltanto accoglienti ma anche coinvolgenti, con grande attenzione ai rapporti aeroilluminanti che dovranno essere incrementati e sistemi aeraulici pensati non solo per il benessere ma anche per una gestione dell’aspetto sanitario, impianti che impediscano la diffusione di agenti batterici e virali. La vera sostenibilità nasce da una reale conoscenza dei contesti, dalla sapienza e dalla capacità di dosaggio degli elementi, nel progettare con armonia dispiegando tutti i mezzi che si hanno a disposizione che debbono essere ad ampio spettro specialistico. Mi piacerebbe che si puntasse di più sul concetto, per nulla astratto, di fare stare bene le persone, valorizzandone il tempo speso in questi involucri, in modo che siano più invogliati a ritornare. Sul lungo periodo è un business che funziona meglio. © Riproduzione riservata

Iosa Ghini – Le strutture autogrill nascono in un mondo e in un’epoca ben diversa. L’auto allora era un fenomeno elitario, riservato a pochi che vivevano il passaggio dalle aree autostradali come momento di vacanza, come luoghi di un certo livello, di qualità e lusso. Oggi le aree di ristoro si sono sparse in tutto il territorio, non solo italiano, e la sosta non è più un momento riservato a pochi ma a tutti. Per cui il nostro ragionamento, per tali ragioni, è stato inclusivo, pensato per molti e per un arco temporale annuo. Abbiamo dunque pensato a degli spazi percepiti da tutti come accoglienti, luoghi ben progettati che possano generare del piacere di stare, di sostare. Questa è la sperimentazione che abbiamo attuato con Chef Express. Lo abbiamo fatto attraverso l’architettura, utilizzando un design semplice, essenziale, smart. Abbiamo usato colori e materiali resistenti ed ecosostenibili, come il legno utilizzato per rivestire l’edi cio esterno con segni di architettura lineari, puliti e con alcuni elementi curvi nelle zone di ingresso, allineandoci alla nuova corporate image dell’azienda ben de nita e con un’identità spiccata. T&C – Come futuro, per le aree di servizio autostradale in generale, cosa prevede? E, come architetto, cosa le piacerebbe? Iosa Ghini – Sarà sempre più decisivo ripensare il rapporto col viaggiatore, adeguando l’offerta alla domanda attuale, sia in termini di prodotto che in termini architettonici di vivibilità inclusiva degli spazi. Sviluppare

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Angelo Bianchetti, l’architetto degli autogrill di Francesco Spada e Jan Jacopo Bianchetti

L’opera di Angelo Bianchetti è fortemente intrisa della collaborazione con la committenza industriale della borghesia milanese, e lombarda più in generale, cui si deve la crescita economica della regione nel periodo tra le due guerre e negli anni della ricostruzione, culminata con l’euforica stagione del boom economico. Questo l rouge lega gli esordi dell’architetto milanese nel campo degli allestimenti e dell’arredo d’interni alla successiva attività nel campo delle architetture autostradali e del progetto di sedi commerciali e produttive per importanti marchi dell’industria manifatturiera italiana. La costanza nel rapporto con una committenza industriale e commerciale, sensibile alla ricerca di un registro comunicativo e rappresentativo di loso e aziendali e di politiche commerciali evolute, costituisce la nota distintiva della ricca produzione di Angelo Bianchetti. L’humus sociale e culturale in cui questa circostanza prende forma e si consolida è il brillante contesto milanese degli anni Trenta, in cui la città si afferma come una delle aree industriali più avanzate e ricche del Paese, quindi favorevole a sostenere il fervore verso il rinnovamento dell’architettura, anche grazie all’impegno della committenza e ad occasioni di progetto peculiari. Su queste basi una parte consistente della produzione del gruppo di architetti milanesi vicini alle tendenze più aggiornate si riversa nel campo dell’arredamento, degli allestimenti espositivi, della gra ca pubblicitaria, delle residenze private, dove più incisivi si rivelano il sostegno e le occasioni di lavoro promosse dalla borghesia imprenditrice1. Quando, dopo la laurea presso il Politecnico nel 1934, Bianchetti (Milano 6 gennaio 1911) inizia la sua attività nel laboratorio milane1 In questa prospettiva si rivela nodale a Milano il ruolo dei padiglioni della Fiera campionaria e della Triennale, il cui allestimento offre ai progettisti un pro cuo campo di sperimentazione per tecniche e linguaggi di comunicazione e di gra ca pubblicitaria.

Angelo Bianchetti: the Autogrill designer By Francesco Spada and

Jan Jacopo Bianchetti

The essay traces the career of architect Angelo Bianchetti (Milan, 1911-1994). He is the designer of the most exciting Pavesi Autogrill, a ne example of largescale Italian industrial design and a symbol of the economic boom in the 1960s. The Pavesi Autogrill restaurants are tightly bound to the construction of the “Autostrada del Sole” motorway. Referring to the context of Italian construction, the essay distinguishes three phases in Bianchetti’s career: “architecture for advertising” in the 1930s, retail store design during and after the Second World War, the collaboration with Pavesi on the Autogrill projects. The essay focuses on the rst two phases of Bianchetti’s architectural production, during which he cooperated with architect Cesare Pea (1910-1985). The aim of the essay is to highlight how they affected the Autogrill design, the symbol of the Bianchetti’s career.

Nella pagina a anco, tre progetti dell’arch. Angelo Bianchetti: Padiglione Raion, 1939 (in alto), Negozio Lagomarsino nella galleria Vittorio Emanuele a Milano, anni Quaranta, (al centro), Padiglione Raion, 1939 (in basso). Fonte: archivio Arch. Jan Jacopo Bianchetti.

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1 - Bozzetto Palazzo delle Nazioni, 1948, progettista Arch. Angelo Bianchetti. Fonte: archivio Arch. Jan Jacopo Bianchetti.

2 - Palazzo delle Nazioni, 1948, progettista Arch. Angelo Bianchetti. Fonte: archivio Arch. Jan Jacopo Bianchetti.

se interagisce con un habitat nel quale l’eco culturale dei movimenti internazionali è avvertita dai personaggi più sensibili, con i quali il giovane Bianchetti ha i primi contatti. Già durante il periodo universitario Bianchetti frequenta a Milano gli studi di Eugenio Giacomo Faludi (1895-1981), di Giuseppe Pagano (1896-1945) per un’esperienza di praticantato. Da parte sua ha già viaggiato per l’Europa sulle tracce delle architetture e dei personaggi del razionalismo tedesco; in Germania nel periodo 1932-33 lavora negli studi di Ludwig Mies Van der Rohe e dei fra-

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telli Hans (1890-1954) e Wassili (1889-1972) Luckard, frequentando anche Walter Gropius (1883-1969) e Marcel Breuer (1902-1981). Ancora studente, tra il 1933 e il 1934, ottiene già importanti riconoscimenti: con gli amici architetti Cesare Pea (1910-1985) e Gualtiero Galmanini (1909-1976) vince il primo premio al concorso per il Padiglione Sanatoriale dell’Ospedale di Monza e il primo premio per il concorso delle nuove chiese a Messina. Nel 1934 Bianchetti ottiene il secondo premio ai littoriali di architettura a Firenze. Alla pratica da progettista affianca, in linea


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con gli indirizzi che ha colto nelle esperienze tedesche, l’interesse per la pittura, collaborando con pittori dell’area meneghina, come Costantino Nivola e Giacinto Mondaini. La frequentazione e la passione per il mondo e i personaggi della pittura ben presto contaminerà, frequentemente e sorprendentemente, il linguaggio rigoroso del razionalismo al quale aderisce insieme a Cesare Pea. È su questo plafond culturale che Bianchetti, con Pea e con gli altri, tanti, con i quali partecipa alle Esposizioni e alle Fiere campionarie di quegli anni, matura una sensibilità personale verso l’architettura quale strumento e mezzo della rappresentazione e della comunicazione di contenuti e messaggi, tanto istituzionali quanto aziendali. Per l’Esposizione internazionale di Bruxelles del 1935, Bianchetti progetta, in collaborazione con l’architetto Faludi, i padiglioni per le Industrie Tessili, per l’Aeronautica Italiana e per la Snia Viscosa, esperienze che si riveleranno utili per la successiva collaborazione con l’Ente Fiera di Milano, nel secondo Dopoguerra. Un lavoro raffinato, che si snoda attraverso le tappe del laboratorio stimolante che va consolidandosi intorno alla Triennale e alla Fiera campionaria, trovando nell’humus culturale di cui Bianchetti diventa parte e nella crescente realtà industriale che si sviluppa tra Milano e Torino, i fattori originali del fenomeno. L’attività nel capoluogo lombardo evolve presto nel lungo e fortunato sodalizio professionale con Cesare Pea, anche lui laureatosi al Politecnico. L’esperienza che Bianchetti matura in questo periodo diventa determinante per la vicenda degli Autogrill nel dopoguerra: qui nascono tecniche, codici, linguaggi espressivi e costruttivi che, opportunamente ltrati attraverso la sensibilità della nascente società dei consumi del dopoguerra, riemergono nei tratti futuristici dei suoi bozzetti per la Pavesi (Monica, 1997). Nel 1936 alla VI Triennale Bianchetti si distingue con Pea per “la notevole realizzazione pubblicitaria e gra ca” (AA.VV., 1941) - che contraddistingue il grande salone nel quale si illustrano i principi della tecnica dell’abitazione razionale – e la realizzazione dello spazio studio per “i quattro elementi di alloggio per un professionista” nel quale i due architetti disegnano una serie di mobili con struttura di tubolare di acciaio nei quali echeggia l’intonazione culturale maturata nel periodo trascorso in Germania a contatto con la fucina della Bauhaus e con l’opera dei fratelli Luckardt. L’anno seguente Bianchetti offre il

proprio contributo all’Esposizione internazionale di Parigi, dove incontra Le Corbusier, progettando alcuni saloni del Padiglione Italiano: industrie tessili arti ciali, industrie tessili lana, cotone e seta, industrie meccaniche leggere, Banca italo-francese per l’America del Sud e mostra belle arti. Ancora nel 1937, in collaborazione con Marcello Nizzoli è arte ce dell’allestimento del padiglione dei coloranti nazionali nell’ambito della Mostra Nazionale del Tessile a Roma. Un invaso stretto, il cui fondale si conclude con la statua dell’Autarchia, si arricchisce nell’allestimento di Bianchetti e Nizzoli, del plasticismo di una grande curva bianca sospesa, al di sotto della quale si snoda l’ordine minore dei pannelli con i nastri colorati, gli elementi gra ci e fotogra ci. Sono i primi segnali della consapevolezza con cui Bianchetti comincia a trattare il tema dell’allestimento e della comunicazione, documentati qui in particolare dalla maniera in cui “l’illuminazione, a luce ri essa mediante la grande curva, è stata studiata con piena consapevolezza decorativa. Le luci colorate che, di notte, mutano ritmicamente il colore e il tono della sala e quindi della sua vasta fronte vetrata, giungono a dare un’aura di leggenda al padiglione e, per essere questo centrale, a tutta la mostra” (AA.VV., 1938). All’interno della stessa mostra Bianchetti lavora con

3 - Padiglione Isotta Fraschini, 1938, progettista Arch. Angelo Bianchetti. Fonte: archivio Arch. Jan Jacopo Bianchetti.

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4 - Autogrill Pavesi a Ronco Scrivia sulla Genova-Serravalle, 1958, progettista Arch. Angelo Bianchetti. Fonte: archivio Arch. Jan Jacopo Bianchetti.

5 - Nella pagina a anco, in alto: Autogrill Pavesi a Ronco Scrivia sulla Genova-Serravalle, particolare della struttura pubblicitaria, 1958, progettista Arch. Angelo Bianchetti. Fonte: archivio Arch. Jan Jacopo Bianchetti. 6 - Nella pagina a anco, in basso: edi cio ristoro Pavesi a Lainate Villoresi sull’autostrada Milano Laghi, 1958, progettista Arch. Angelo Bianchetti. Fonte: archivio Arch. Jan Jacopo Bianchetti.

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Pea nella sezione dei lanieri, intervenendo con analoga attenzione plastica e cromatica nell’allestimento. Elementi sospesi e leggeri, esili meccanismi che alludono al tema della provvisorietà, della smontabilità delle installazioni sono tratti distintivi dell’approccio dispiegato da Bianchetti e Pea, che si ritrovano nella passerella di tubi d’acciaio e tavole di legno dell’atrio di ingresso all’VIII Triennale, quella della ricostruzione diretta da Piero Bottoni (1903-1972) e culminata con il progetto del QT8. Un’ulteriore esperienza legata al Palazzo dell’Arte milanese è la mostra su Leonardo da Vinci del 1939, in occasione della quale i giovani Bianchetti e Pea sono chiamati da Pagano ad allestire la sala dell’iconogra a vinciana. L’esito è ancora una volta un sistema di elementi bi e tridimensionali abbinati a un intreccio di cavi metallici che scandiscono la spazialità dell’invaso. La Fiera campionaria di Milano è l’altro laboratorio prediletto da Bianchetti in questi anni. Sempre in collaborazione con Pea prosegue la sua ricerca sul valore plastico dei grandi elementi, come suggeriscono la spirale bianca del padiglione Raion del 1939 e il fondale curvo dello spazio dell’Isotta Fraschini del 1938, in cui intorno a questi elementi primari si muovono i segni giocosi e raffinati della comunicazione gra ca. Ne-

gli stessi anni tra il 1939 e il 1940, sempre nell’ambito dell’esposizione milanese, allestisce la Mostra della Bemberg e dell’Istituto Sieroterapico Milanese nonché progetta due stand per la Chatillon che si riveleranno premonitori delle prime architetture autostradali di Bianchetti. Si tratta di impalcature pubblicitarie per esterni, fatte di geometrie stereometriche apparentemente sospese, che dichiarano la contiguità linguistica e tecnica di queste con gurazioni con gli allestimenti degli interni della Triennale. Nel 1939 partecipa alla Fiera mondiale di New York, intervenendo sul Padiglione Italiano, dove progetta il Salone industrie tessili arti ciali ed allestisce le mostre di Fiat e Montecatini; alla Fiera di Lipsia si occupa dell’allestimento delle mostre di Montecatini, Snia Viscosa, Marelli. La collaborazione con la Montecatini si rivelerà particolarmente pro cua: nel 1939 Bianchetti cura anche i Padiglioni alle ere di Bari e di Foggia e nei successivi anni, dal 1940 al 1942, sarà sempre lui ad occuparsi dei Padiglioni alla Fiera di Milano2, contestualmente a quelli di altre importanti realtà imprenditoriali milanesi, tra cui Lagomarsino. 2 La collaborazione con Montecatini era iniziata nel 1937, quando Bianchetti, giovanissimo, progetta i Centri Studi di Rho e Novara.


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Nel 1941, su un numero monogra co di Casabella dedicato alle esposizioni, Bianchetti e Pea pubblicano un loro scritto in cui sintetizzano con piglio manualistico il loro approccio alle architetture pubblicitarie, investite dalla risoluzione del problema relativo al passaggio dal concreto all’astratto, dal prodotto all’illustrazione di esso. Esse, infatti, costituiscono un nuovo “tipo”, non prettamente edilizio, nato col sorgere delle prime esposizioni del XIX secolo ed evolutosi no agli anni Trenta, quale nuovo e libero mezzo di espressione di cui l’architetto è attento compositore. In aggiunta, negli anni Trenta le ere diventano occasione di riquali cazione della zona in cui sorgono, come avvenuto a New York nel 1939, o di espansione e sviluppo della città verso la periferia, come per Roma nel 1942; un problema anche urbanistico per gli architetti, che si trovano a dover approcciare al progetto dell’Esposizione in maniera simile a quello dell’impianto di una nuova città, per la quale devono essere curati tanto le sistemazioni generali, quanto quelle particolari (i padiglioni) ma anche i trasporti utili a connettere tutta l’area eristica ed anche i dettagli dell’arredo urbano. Tra gli edi ci afferenti alle sistemazioni generali, rientrano anche i ristoranti e i punti di ristoro, che offrono ai progettisti occasioni per ardite composizioni progettuali, proiettate agli spazi esterni, essendo le esposizioni tenute durante la buona stagione3. Quanto ai padiglioni, concorrono a dare il tono particolare ad una era o ad una esposizione. Bianchetti e Pea sono promotori di un approccio innovativo alla progettazione di essi, non più legato all’edilizia contemporanea bensì connesso alle arti plastiche e governato dal buon architetto in grado di studiare la tecnica costruttiva in maniera razionale e la decorazione in maniera plastica, così da fondere questi due aspetti peculiari dell’opera pubblicitaria (Bianchetti e Pea, 1941). L’architetto milanese matura una sua esperienza sugli aspetti metodologici legati a questo particolare tipo di realizzazioni, confrontandosi con gli aspetti realizzativi che impongono economia di tempi e semplicità di costruzione, tutte questioni che torneranno centrali nella serie degli edi ci Pavesi. Le realizzazioni di Bianchetti per la Fiera di Mi3 La teorizzazione di Bianchetti e Pea circa la ristorazione in ambito eristico, può già inquadrare un primo riferimento per quella che sarà la successiva produzione della carriera professionale di Bianchetti, legata all’architettura autostradale per l’assistenza ai viaggiatori sotto la gestione Pavesi.

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lano sono quasi tutte eseguite dall’Impresa Teatrale Ponti, che diventa in Italia una delle più note e specializzate nel settore degli allestimenti eristici4. La ricerca e la sperimentazione condotte da Pea e Bianchetti negli anni Trenta saranno riprese da quest’ultimo nella progettazione degli Autogrill per Pavesi, a partire dalla ne degli anni Cinquanta. Questi si collocano in continuità formale con i padiglioni realizzati anni prima per la Fiera e la Triennale di Milano, oltre che nei contesti internazionali. La stechiometria che aveva caratterizzato, primi fra tutti, i padiglioni Raion e Isotta Fraschini è ripresa per esaltare la pubblicità del marchio Pavesi, che diventa gura primaria della composizione e quindi landmark, ripetuto, della nuova infrastruttura autostradale; un’architettura che perde il suo carattere di provvisorietà tipico delle esposizioni eristiche ma che non rinuncia all’elemento decorativo, più incisivo rispetto alle successive realizzazioni di Melchiorre Bega (1898-1976) per Motta (Greco, 2010). Durante gli anni del con itto, interrotta la partecipazione alle esposizioni, Bianchetti e Pea si dedicano alla progettazione di negozi, occupandosi in particolare dei punti vendita della ditta di macchine calcolatrici Lagomarsino, un committente privilegiato per il quale realizzano in tutto il Paese 42 spazi commerciali (Milano, Brescia, Como, Bergamo, Piacenza, Parma, Padova, Reggio Emilia, Modena, Verona, Vicenza, Venezia, Udine, Cuneo, Biella, Vercelli, Novara, San Remo, Spezia, Livorno, Lucca, Pistoia, Pisa, Apuania, Forlì, Arezzo, Siena, Caserta, Catania, Foggia, Bari, Salerno, Perugia, Ancona, Pescara, Cosenza, Viterbo, Grosseto, Ferrara, Mantova, Alessandria, Varese). Anche in questo caso i due progettisti pubblicano in due volumi un compendio manualistico sulla materia insieme a una rassegna delle realizzazioni (Bianchetti, Manganoni e Pea, 1947) (Bianchetti e Pea, 1949). Emblematico di questa parte della produzione è il negozio Lagomarsino nella galleria Vittorio Emanuele a Milano, di cui colpisce la vetrina completamente vetrata e 4 L’Impresa Teatrale Ponti è fondata da Rodolfo Ponti ai primi del ‘900, è inizialmente impegnata nelle scenogra e del Teatro alla Scala. È con l’architetto Claudio Ponti, glio di Rodolfo, che l’azienda si specializza negli allestimenti eristici, collaborando dagli anni ’30 e no al 1976, quando l’attività si interrompe con la Fiat, la Rai, la Montecatini, l’Olivetti, la Snia Viscosa, la Snam, l’ENI. All’intenso lavoro svolto con Bianchetti e Pea si aggiungono le realizzazioni dei progetti di Erberto Carboni, Giò Ponti, Franco Albini, Achille Castiglioni, Marcello Nizzoli (Calzoni, 1992).

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il castello pubblicitario composto di elementi mobili da ssare negli ancoraggi predisposti nel pavimento di marmo di Carrara e nel soffitto, così da poter ricon gurare l’assetto delle installazioni pubblicitarie. Progettano inoltre il negozio Calleri a Genova, il secondo negozio Lagomarsino a Brescia ed il negozio Bardelli a Milano. Parallelamente all’architettura commerciale ed espositiva, Bianchetti e Pea si dedicano anche alla committenza pubblica: nel 1942 viene segnalato il loro progetto del Padiglione della Civiltà Italiana a Roma5, nel 1943-44 si occupano della sistemazione strutturale e planimetrica del Palazzo comunale in piazza Duomo a Milano; tuttavia non trascurano la committenza imprenditoriale, progettando, negli stessi anni, gli stabilimenti Grafelia e Irradio a Milano. Vi è da menzionare anche il rapporto con l’illuminata committenza del Comandante Arturo Ferrarin (1895-1941), aviatore, per il quale progettano la cappella funeraria a Induno Olona in provincia di Varese, dopo aver progettato, nel 1939, la sua villa privata nella stessa città. Nel 1947 inizia la collaborazione di Bianchetti con l’Ente Fiera, per la quale, insieme a Pea, cura il progetto per il Palazzo delle Nazioni, l’ingresso di piazza Giulio Cesare, il primo padiglione delle materie plastiche, il padiglione della Montecatini, della Philips, della Terni, della Snia Viscosa. Sono gli anni in cui la Fiera torna nuovamente al centro dell’attività milanese, con il progetto di ricostruzione del quartiere distrutto. Il Palazzo delle Nazioni è elogiato da Gio Ponti, quale mirabile esempio di mutuato, moderno, approccio all’architettura grazie a due fattori: vetro e illuminazione. Il primo è in grado di stravolgere il vecchio rapporto pieni-vuoti a favore di quello opaco-trasparente: il Palazzo delle Nazioni è infatti un esempio di vetro “a lo” facciata, in cui l’involucro a super cie ininterrotta annulla il vuoto architettonico della nestra. L’illuminazione elettrica muta anch’essa l’approccio al progetto, dovendo governare due visioni dell’architettura, quella diurna e quella notturna, quest’ultima tanto più accentuata dalle generose super ci vetrate (Ponti, 1948). Particolare degno di nota è che l’edi cio, nella parte centrale del suo volume, assume una con gurazione “a ponte”, espediente progettuale tipico delle apprezzatissime architetture autostradali di Bianchetti, simbolo del boom economico e dell’industrial design italiano a grande scala. 5 Nel 1939 Bianchetti e Pea avevano progettato la Casa del Fascio di Sesto San Giovanni.


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Nel 1951, dopo il restauro di Palazzo Grassi a Venezia, si chiude la collaborazione con Cesare Pea e si rafforza quello che sarà il lungo sodalizio con Mario Pavesi6. A partire dagli anni Cinquanta no alla metà degli anni Settanta, infatti, Bianchetti si occuperà della progettazione dei punti di ristoro gestiti da Pavesi. Quest’ultimo, Motta e Alemagna rappresentano la committenza nazionale dell’intera ristorazione organizzata della nascente rete autostradale italiana. Pavesi e Motta, affidando la regia progettuale delle loro architetture rispettivamente a Bianchetti e Bega, rappresentano una committenza imprenditoriale che orienta la programmazione degli interventi verso una visione pragmatica. I due imprenditori inquadrano l’architettura all’interno del più ampio programma di marketing autostradale, ovvero come strumento per perseguire gli obiettivi aziendali e quindi meritevole di un linguaggio architettonico sapientemente studiato, apparentemente senza riferimenti precedenti. L’esperienza di Bianchetti, maturata prevalentemente nel ricco e colto ambiente imprenditoriale milanese degli anni Trenta, consente al progettista di individuare proprio nell’architettura pubblicitaria un prezioso riferimento per il neonato tipo edilizio, che diventa occasione per “trasferire” all’architettura quel plasticismo gurativo quanto mai vicino alle arti applicate, piuttosto che alla costruzione. Ecco quindi che i bozzetti futuristici di Bianchetti proiettano le architetture degli Autogrill Pavesi in una dimensione spazio-temporale altrettanto futuristica, distante dalla realtà economica e sociale dell’Italia in quegli anni, ma certamente carica delle aspettative riposte nel futuro prossimo dei decenni Sessanta e Settanta. L’architetto disegna una scenogra a moderna, che cura nei dettagli no alla de nizione degli interni. È così che nascono gli 11 Autogrill a ponte, i 70 Autogrill laterali e i 4 motel che Bianchetti progetta per la catena di ristorazione (Greco, 2010). L’opera dell’architetto Bianchetti è un importante tassello per lo studio delle vicende architettoniche e costruttive italiane fra gli anni Trenta e i primi anni Settanta. La disponibilità di un vasto archivio originale, ordinato dal professionista stesso e preservato dagli eredi, è una preziosa fonte di studio che contribuisce a ricostruire una parte delle vicende lombarde e italiane attraverso diver-

si decenni dello scorso secolo. Esso è composto da disegni (lucidi, controlucidi ed eliocopie), alcuni bozzetti originali e fotogra e di bozzetti, fotogra e e lastre fotogra che, pubblicazioni, cartelle di documenti e alcuni dipinti ad olio. Attualmente non è consultabile liberamente, ma chi lo detiene è ben lieto di poter accogliere le richieste di studiosi e studenti, senza scopo di lucro. Negli ultimi anni l’archivio Bianchetti è stato la base documentale per le ricerche di laureandi, dottorandi e ricercatori, consentendo la pubblicazione di studi monogra ci, articoli e saggi sul tema degli Autogrill e l’allestimento della sezione Stories della mostra “Energy. Architetture e reti del petrolio e del post-petrolio”, tenutasi al MAXXI (Roma, 22 marzo – 29 settembre 2013). Al momento è in fase di de nizione l’accordo per la donazione dell’archivio ad un Ente Nazionale, che ne continuerà a preservare l’integrità nel tempo. © Riproduzione riservata

Bibliogra a AA.VV. (1938), “Padiglione dei coloranti nazionali”, Casabella, n. 121 (gennaio). AA.VV. (1941), “1925-1940”, Costruzioni, n. 159-160 (marzo-aprile). Bianchetti A., Pea C. (1941), “Architettura pubblicitaria”, Costruzioni, n. 159-160 (marzo-aprile). Bianchetti A., Manganoni F., Pea C. (1947), Il negozio, G. Gorlich, Milano. Bianchetti A., Pea C. (1949), Negozi moderni, G. Gorlich, Milano. Calzoni S. (1992), “L’impresa teatrale Ponti. (primi 9001976)”, Progex, n. 8 (giugno). Greco L. (2010), Architetture autostradali in Italia, Gangemi, Roma. Monica L. (1997), “L’architettura degli Autogrill”, in AA.VV., L’Italia dei Pavesini. Cinquanta anni di pubblicità e comunicazione Pavesi, Archivio Storico Barilla, Parma, pp. 209-225. Ponti G. (1948), “Il giorno e la notte. Architettura degli architetti Bianchetti e Pea”, Domus, n.230.

6 La collaborazione con Mario Pavesi era precedentemente iniziata nel 1947 con la realizzazione del primo punto di ristoro a Novara, sull’Autostrada Milano-Torino.

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I luoghi di ristoro autostradali nel cinema di Fabrizio Violante

L’autogrill nasce dall’acume imprenditoriale di Mario Pavesi che, alla ne degli anni Quaranta, dopo un viaggio negli Stati Uniti, ha l’intuizione di aprire un chiosco per la ristorazione e la vendita dei prodotti dolciari della propria azienda, rivolto speci catamente agli automobilisti in transito sull’autostrada Milano-Torino. L’edi cio, situato alle porte di Novara, viene ricostruito nel 1952 su progetto dell’architetto Angelo Bianchetti, inaugurando così una tipologia che si svilupperà negli anni, sperimentando soluzioni funzionali e formali destinate a distinguersi nel paesaggio autostradale italiano come moderne e consapevoli centralità percettive. L’autogrill rappresenterà ben presto uno degli elementi iconici dell’Italia del miracolo economico, il simbolo popolare di un’idea di progresso e bellezza intimamente connessa con la velocità e il viaggio in automobile. Proprio a partire dalla metà degli anni Cinquanta e per tutto il decennio successivo, l’industria automobilistica nazionale conosce una crescita vertiginosa e il traffico privato, dapprima quasi sconosciuto, invade le vie urbane e le nuove arterie autostradali trasformando le abitudini di milioni di italiani. La motorizzazione di massa è il sintomo evidente del nuovo benessere, l’automobile l’oggetto del desiderio più caratteristico, l’icona più lampante del cambiamento sociale e tecnologico del paese. La smania del possesso di un autoveicolo e la frenesia del sorpasso diventano così il centro narrativo del racconto lmico, il lo conduttore di innumerevoli storie della commedia all’italiana, genere per eccellenza del boom economico. L’euforia del movimento contagia dunque gli italiani, insieme al godimento del tempo libero, generando in breve tempo un esercito di vacanzieri su quattro ruote pronti a viaggiare in ogni direzione. Sono appunto questi turisti della domenica i frequentatori ideali delle aree di sosta e di ristoro che punteggiano i loro percorsi di fuga. L’autogrill è la meta intermedia dove il ceto medio motorizzato

Motorway food service areas in lm by Fabrizio Violante

The autogrill service areas are one of the icons of the post-war economic miracle in Italy, the popular symbol of an idea of progress and beauty intimately linked to speed and motorised travel. This captivating typology of ‘advertising architecture’ offers a playful and ephemeral space at the service of mass motorisation, a favourite rest stop for travellers and vacationers along their escape routes, and have often been used by Italian cinema as an occasional location or as the setting for existential or plot twists. This essay analyses their presence in lm imagery, starting with the episode directed by Ugo Gregoretti in the collective lm Ro.Go.Pa.G (1963), in which the autogrill is seen as a place that activates sales strategies perfected by the strategists of commercial advertising. This vision was radicalized in the catastrophe lm Il Seme dell’Uomo, directed by Marco Ferreri in 1969; it then turned towards irony in a series of subsequent comedies. Over the years, the autogrill service stations became established in lm as places of abandon and desperation, a microcosm that re ects the contradictions and deviations of contemporary society.

Nella pagina a anco, in alto: l’autogrill di Fiorenzuola d’Arda (PC) in un fotogramma de Il pollo ruspante (1963); al centro e in basso: gli avventori del ristorante si trasformano in polli in batteria nella tragicomica visione del regista Ugo Gregoretti.

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trova un territorio libero e accogliente in cui la merce mette in scena lo spettacolo della propria seduzione. È evidente, infatti, come la fascinazione funzionale di queste architetture di evasione si connetta magistralmente con il sogno consumistico dell’italiano del miracolo economico e quanto le strategie di persuasione trovino in questi luoghi un campo d’azione elettivo. L’autogrill è uno spazio ludico ed effimero, ma al tempo stesso architettonicamente concreto, al servizio della motorizzazione di massa e soprattutto un dispositivo inesorabile per la produzione di desiderio. E questo non sfugge all’attenzione di un regista sardonico e pungente come Ugo Gregoretti, arguto indagatore del lato oscuro del miracoloso passaggio da un’economia agricola e paleoindustriale a un’economia di produzione. Con il mediometraggio Il pollo ruspante, episodio del lm collettivo Ro.Go.Pa.G. – Laviamoci il cervello (1963), il regista romano costruisce infatti un grottesco smascheramento della nuova classe media in cerca di affermazione e della sua ideologia meramente edonistica. I titoli di testa ci avvertono che il lm si compone di “quattro allegri racconti di quattro autori che si limitano a raccontare gli allegri principi della ne del mondo”, e il segmento di Gregoretti (gli altri registi coinvolti, come rivela l’acronimo che genera lo strano titolo, sono Rossellini, Godard e Pasolini) non delude le premesse. L’incipit riprende un verso dell’Ecclesiaste: “Come un chiodo si pianta saldamente sotto le giunture della pietra, così il peccato si introduce segretamente nella vendita e nelle compere”. All’ammonimento biblico seguono le immagini del Primo Simposio Nazionale di Ricerca Motivazionale, dove viene introdotto l’intervento del professor Pizzorno, intitolato programmaticamente Sviluppo della produzione e incremento dei consumi. Dall’eminente esperto apprendiamo come il consumatore italiano medio, “che in pochi anni ha raddoppiato il suo reddito e ha superato le tradizionali remore psicologiche del risparmio”, continuamente stimolato, incitato, frustrato dalla pubblicità e dallo spirito di emulazione, possa rappresentare “un incalcolabile serbatoio che può permettere alla produzione di mantenersi ai livelli raggiunti e di superarli trionfalmente”. Dalla voce metallica del professore, disumanizzata dal laringofono e dalla sua impassibilità, si passa, con un mirabile stacco di montaggio e di senso, alla voce di una commessa che recita la conta delle cambiali che prontamente 120

il borghese piccolo piccolo incarnato da Ugo Tognazzi rma, destinandosi inesorabilmente al meccanismo perenne dell’accumulo e dell’indebitamento sul quale si fonda il boom capitalistico del belpaese. Ben ventiquattro si rivelano le rate in cui il malcapitato signor Togni è costretto a suddividere l’acquisto dell’ultimo modello di apparecchio televisivo, destinato a diventare il nuovo focolare intorno al quale si riunirà insieme alla moglie e ai due bambini, pronti a sorbirsi le “sempre più elaborate e penetranti campagne pubblicitarie atte a stimolare nuovi desideri, nuovi bisogni e provocare uno stato di scontentezza sistematica”, di cui sentiamo sproloquiare il professor Pizzorno. La famiglia è così supinamente invischiata nei meccanismi dell’accumulazione che segnano la scalata sociale, passivamente consegnata a quell’illusione di agiatezza di cui ogni glio del miracolo economico è prigioniero, insieme ai sentimenti portanti del consumismo, l’invidia sociale, l’emulazione, la frustrazione. Il televisore appena acquistato è allora già superato dal modello nuovo appena visto nella réclame, la Seicento a bordo della quale la famigliola si mette in viaggio nella scena successiva per la scampagnata domenicale è ripetutamente sorpassata dalle berline più potenti e vigorose, apostrofate dal signor Togni con l’italiota gesto delle corna. La tappa del pranzo festivo è modernamente programmata al ristorante dell’autogrill di Fiorenzuola d’Arda, il primo edi cio a ponte della catena, costruito nel 1959. Nel lm il nuovo edi cio si apprezza in tutta la sua sorprendente e suadente essenzialità architettonica, libero dalle successive edi cazioni e dalle strutture di servizio che ne hanno appannato nel tempo i valori identi cativi e percettivi nell’orizzontalità del paesaggio agrario lombardo. Seguendo le stereotipate abitudini dell’italiano medio, il capofamiglia guida moglie e prole alla volta del ristorante, pretendendo di accedervi da quella che è invece la porta di uscita. Redarguito da una cameriera, che lo costringe a seguire le indicazioni che mostrano il percorso giusto, l’uomo risponde stizzito che se ne frega della segnaletica, ma è costretto comunque a tornare indietro. Attraversata nalmente la porta d’ingresso, non può fare a meno però di contestare anche i piani del progettista: “Ma chi gliela ha data la laurea all’ingegnere che ha fatto ‘sta roba qua”, si chiede. L’utilità di un percorso funzionale a senso unico per muoversi all’interno dell’edi cio, proprio non riesce a condividerla: “A me mi sembrano matti. Ti fanno girare il palazzo davanti e in-


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dietro”, esclama insofferente. Evidentemente lo sventurato ignora che, varcando la soglia della stazione di ristoro, si è consegnato inerme alle micidiali strategie di vendita elaborate da quei persuasori occulti alla Pizzorno, descritti nel celebre saggio di Vance Packard del 1957. I Togni dovranno dunque sottostare al passaggio rituale nel girone infernale del tourist market e subire l’irresistibile tentazione di voluttuarie quanto dispendiose mercanzie abilmente esposte sugli scaffali di vendita. Dopo avere fatto incetta di dolciumi e gadget improbabili, raggiungono nalmente il ristorante, ma dovranno ancora una volta arrendersi a una scelta obbligata, quella tra due menu prestabiliti che non ammettono alcuna deroga. Tognazzi prova almeno a chiedere alla disarmante cameriera se il pollo proposto sia ruspante, ma ovviamente si sente rispondere che è invece di allevamento. Quando il bambino cerca chiarimenti su quale sia la differenza tra i due tipi di volatile, il padre spiega che quello ruspante “è un pollo libero che [...] mangia quando vuole, dorme quando ne ha voglia”, mentre quello di allevamento cresce chiuso nel suo bel reparto, “è un pollo che sta lì, mangia a ore sse, [...] non può assolutamente dire niente. Può soltanto fare quello che gli dicono di fare. Luce rossa: sveglia. Luce verde: mangiare. Campanello: basta”. Proprio per questa mancanza di libertà il pollo di allevamento è meno saporito e più a buon mercato. Quello ruspante, secondo le parole pronunciate dallo stesso regista durante un’intervista sul set trasmessa dalla Rai, è dunque “il simbolo dell’uomo libero, dell’ultimo campione della libertà di cui si è perso lo stampo”, quindi non può ritrovarsi nel menu del ristorante di un autogrill, quanto di più lontano dall’autenticità pre-industriale della vita brada. Il pollo di allevamento è così la metafora esplicita e brutale del consumatore, ridotto “soltanto [a] un miscuglio di impulsi e motivi inconsci da attivare ai ni del consumo”, come lo de nisce cinicamente il professor Pizzorno. A dare corpo lmico alla tragica allegoria, il regista mostra allora i clienti, costretti ordinatamente nelle postazioni del ristorante, che si trasformano rapidamente assumendo le sembianze di polli in batteria. Ma la critica dei nuovi riti della società di massa e lo svelamento dei ussi del desiderio che la animano non è ancora conclusa. Dopo l’incursione in autogrill, vediamo i Togni recarsi a visionare un terreno su cui sta sorgendo un complesso residenziale. Il sopralluogo è l’occasione di un’ulteriore frustrazione per il capofamiglia, che dovrà arrendersi all’incapacità econo-

mica di soddisfare il desiderio della seconda casa. Rientrando mestamente in città, il consumatore frustrato si lancia meschinamente in irresponsabili sorpassi delle auto di più grossa cilindrata rispetto alla propria limitata utilitaria, andandosi fatalmente a schiantare contro un camion. La bulimia consumistica conduce inevitabilmente all’autodistruzione: si chiude così l’apologo morale di Gregoretti, la sua irriverente e tragica analisi del fenomeno pubblicitario e delle sue nefaste conseguenze sull’ambiente sociale. Se Ro.Go.Pa.G. si proponeva di raccontare “gli allegri principi della ne del mondo”, Il seme dell’uomo sposta lo sguardo su un mondo in cui la catastrofe è già avvenuta. La prima scena di questo lm diretto da Marco Ferreri nel 1969 si apre sulla sala ristorante di un autogrill a ponte. Il grande schermo televisivo sulla parete incornicia una giovane donna che annuncia: “Se vedete un segnale di questo colore, signi ca che la zona è infetta: giallo uguale peste! Ma siamo sicuri che questi segnali non li vedremo mai”. Il messaggio non sembra scuotere la disattenzione dei commensali, ma l’inquietudine inizia inesorabilmente a muoversi sottotraccia mostrandosi nell’atteggiamento compulsivo con cui la giovane Dora divora il suo panino imbottito. La ragazza fa coppia con Cino e i due continuano a consumare distrattamente il pranzo seduti al tavolino affacciato sulle corsie dell’autostrada, mentre sullo schermo si avvicendano le immagini di una guerra in corso. In realtà quelle che si vedono sono sequenze di repertorio delle distruzioni della seconda guerra mondiale, degli scontri tra guerriglieri in America latina, degli elicotteri statunitensi in volo sulla giungla vietnamita, come se la catastrofe che il lm si appresta a descrivere sia in realtà già avvenuta, sia insomma quella della nostra stessa contemporaneità, della famelica lotta capitalistica basata sulla sovrapproduzione e sullo sfruttamento. Rappresentanti di una umanità che nelle sue Lettere luterane (1976) Pasolini de nirà ormai “consumata nell’arte di ignorare”, Dora e Cino lasciano il ristorante e si incamminano tranquillamente tra i corridoi delle merci in esposizione, dove si diletteranno nei consueti acquisti super ui. Del resto, tutte le persone che affollano lo spazio di vendita appaiono come loro de nitivamente intrappolate nel sistema euforizzante del consumo e ignare del proprio destino autodistruttivo. Poco dopo, ritornati all’esterno, riprendendo posto sulla propria autovettura decappottabile, che sembra disegnata da un artista

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1 - I protagonisti de Il seme dell’uomo (1969) nel ristorante dell’autogrill Feronia (RM).

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pop, i ragazzi si voltano ad ammirare un elicottero militare parcheggiato nell’area di sosta, dimostrando puerile interesse per le caratteristiche tecniche del mezzo ma totale inconsapevolezza dei motivi della sua presenza ai piedi dell’autogrill. Bambinizzati dal gioco degli acquisti, Dora e Cino indossano insensate collane di caramelle colorate e continuano la svagata pausa del viaggio verso casa fermandosi a parlottare con un gruppo di soldati loro coetanei, a sorseggiare del whisky, a comprare delle latte di olio lubri cante, sempre ignorando i sintomi della ne del mondo. Ripresa la marcia, dopo aver attraversato il buio accecante di una galleria, apriranno nalmente gli occhi sulla verità. Dapprima incontrano un autobus carico di cadaveri fermo al centro della strada e più avanti un campo militare di emergenza per l’accoglienza dei contagiati da una terribile e misteriosa epidemia che sta decimando la popolazione mondiale. Ferreri scava in cerca delle radici segrete dei comportamenti, dei gesti e delle reazioni del mondo contemporaneo, tenta il disvelamento dell’orrore assoluto del quotidiano sin dalle prime sequenze del lm, scegliendo di ambientarle in una delle architetture pubblicitarie sorte lungo le autostrade. Porta all’estremo pessimismo la visione critica di Gregoretti e considera l’autogrill uno spazio strategico di propaganda e diffusione dei simboli merceologici della catastrofe.

A distanza di poco più di un decennio, il comico Carlo Verdone, alla sua seconda prova registica, riporterà il discorso lmico ancora su questi temi, adottando però i toni più leggeri della commedia di costume. Al centro delle vicende narrate in Bianco, rosso e Verdone (1981) ci sono tre personaggi, tutti interpretati dal regista, che scendono a sud per recarsi a votare nella città d’origine. Viaggiatori solitari o accompagnati dai congiunti, i tre italiani ritratti da Verdone si troveranno naturalmente a fermarsi in più occasioni in alcuni degli autogrill tanto familiari agli automobilisti. Anche Pasquale, la più riuscita delle tre caratterizzazioni, che da anni ha lasciato la natia Lucania per andare a lavorare in Germania, ha deciso di esercitare il proprio diritto di voto in patria. Il suo lungo viaggio in solitudine da Monaco a Matera inizia di buon mattino, con una insana colazione a base di latte, burro e salsicce preparata dalla solerte danzata teutonica. Alla seconda sosta in un autogrill per rifocillarsi con un panino, nemmeno Pasquale riuscirà a resistere alla tentazione dell’acquisto compulsivo, attratto dalle merci varie e variopinte abilmente sistemate sui display secondo studiate strategie di imbonimento. L’ingenuo emigrato si lancia all’accaparramento di sedicenti prodotti regionali tipici, avvolti in packaging dalla più incongrua estetica kitsch, insieme a un’imbarazzante serie di gadget del tutto


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inutili. Il processo di superamento di qualunque freno al desiderio consumistico lo induce addirittura a mettere da parte il panino al prosciutto appena acquistato, per sostituirlo con un colorato lecca-lecca dello stesso tipo di quello visto nelle mani di una bambina. Ma l’appagamento durerà poco, perché di ritorno al parcheggio scoprirà che tutti i beni voluttuari di cui ha fatto incetta gli sono stati rubati dall’automobile. L’ossessivo e logorroico Furio, invece, si prepara all’appuntamento elettorale viaggiando da Torino a Roma insieme alla sottomessa consorte Magda e ai due gli. Alla prima sosta per il programmato rifornimento di benzina, l’ansioso padre di famiglia impedisce alla donna di accompagnare i bambini ai bagni pubblici perché “sono i distributori automatici della salmonellosi e del tifo”. Se i pargoli accettano di buon grado di trattenersi no alla prossima “bella e ampia piazzola”, Magda invece non cede alle preoccupazioni igieniche del marito e si incammina verso l’autogrill per usare la toilette e prendere un bicchiere d’acqua al bar. È proprio mentre sorseggia la sua acqua che adocchia per la prima volta il tenebroso automobilista che più avanti la incanterà con le sue lusinghe, no a farla cedere al desiderio del tradimento coniugale. Ecco che nalmente l’autogrill diventa, nell’ambientazione cinematogra ca, non solo un luogo di approdi e disperazioni, ma

anche di incontri e di incanti erotici, come avviene per esempio in Scandalosa Gilda, maldestra e farneticante pellicola softcore del 1985. La vicenda prende le mosse nello spazio anonimo di un autogrill dell’A24, che collega la capitale con il capoluogo abruzzese, dove si incrociano le vite di un lunatico fumettista e di una conturbante signora della borghesia romana in fuga dal marito fedifrago. I due, interpretati da Gabriele Lavia, qui alla sua prima regia cinematogra ca, e da Monica Guerritore, in quegli anni sua consorte, fanno conoscenza proprio abbandonandosi al dialogo tentatore seduti l’uno di fronte all’altra a uno dei colorati tavolini del ristorante. Lui inizia il corteggiamento disegnando con i pennarelli su grandi fogli bianchi alcune gure buffe che lentamente prendono vita trasformandosi nella visionaria e allusiva sequenza animata (censuratissima nei successivi passaggi televisivi del lm) realizzata dal disegnatore genovese Gibba, dove il paese di Cazziglia, abitato da esserini fallomor , viene sconvolto dall’arrivo della scandalosa Gilda, una gigantessa dalle sembianze ipersessualizzate. Dopo il breve cartone animato, che rappresenta l’unico momento riuscito di un lm altrimenti disastroso, l’uomo e la donna lasceranno l’area di servizio per precipitarsi in una relazione lunga un giorno fatta di sesso, perversione e imbarazzanti cadute loso co-esistenziali nella camera di un motel.

2 - L’autogrill di Feronia (RM) in un fotogramma de Il seme dell’uomo (1969).

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3 - Carlo Verdone nel tourist market dell’autogrill di Tolfa (RM) in un fotogramma di Bianco, rosso e Verdone (1981).

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In questo lm l’autogrill è dunque il nonluogo dell’abbandono della propria identità sociale per mettere in scena, nella libertà dell’anonimato spaziale e morale, una nuova e disinibita rappresentazione di sé, destinata però, ancora una volta, all’autodistruzione. Scandalosa Gilda è un tipico prodotto degli anni Ottanta, gli anni bui del cinema italiano, dell’impasse creativa dei nostri autori e della crisi dell’industria cinematogra ca travolta dallo strapotere massi cante della televisione. Al decennio successivo, appartiene invece Vesna va veloce (1996), diretto da Carlo Mazzacurati, esponente di una giovane generazione di autori capaci di mettere in scena il travaglio personale e collettivo di fronte alle nuove instabilità sociali. La protagonista del lm è una giovane donna che arriva a Trieste dopo un lungo viaggio in autobus dalla Repubblica Ceca, insieme a una comitiva di turisti dello shopping che si affolla per una giornata nei negozi della città attrezzati ad accogliere e soddisfare i desideri merceologici dei nuovi consumatori dell’est. Vesna è decisa però a non intraprendere il viaggio di ritorno con i suoi connazionali e di rimanere in Italia anche se non ha nessun soldo in tasca. Dopo una notte nel letto di uno sconosciuto incontrato in un caffè, torna in strada e riesce a ottenere un passaggio da un camionista meridionale, decisa a raggiungere la riviera romagnola. Vediamo l’automezzo imboccare l’autostrada e nella scena seguente fermarsi in un autogrill

non ben identi cato, anche se in realtà la sequenza fu girata in un’area di servizio lungo la statale Tiberina, nei pressi di Cesena. Qui la ragazza e il suo accompagnatore consumano una veloce colazione in piedi, ma ciò che attira l’attenzione dei due è l’atteggiamento duro e stizzito col quale viene trattato un immigrato sloveno vistosamente ubriaco, preso di peso e violentemente allontanato fuori dal locale da un impiegato. L’autogrill le si rivela così come un luogo di abbandoni e disperazioni, un microcosmo in cui si ri ettono tutte le contraddizioni e le derive di quella società occidentale che tanto la attrae, con le sue merci e le sue promesse di emancipazione. Giunta a Rimini, dapprima orgogliosamente riluttante alle proposte erotiche degli uomini che incontra, la giovane decide invece di intraprendere la strada più breve della prostituzione per guadagnarsi il suo posto nel sogno occidentale. Non conosciamo e non comprendiamo mai no in fondo le reali motivazioni della disincantata protagonista, che non riesce a legarsi a nessuno e a nessun luogo se non alla voglia di vivere in una condizione di agiatezza conformista e senza amore. La sua fuga perenne, dalla patria, dalla famiglia, dalle relazioni la porterà in ne ancora una volta in un autogrill, dove i due carabinieri che la stanno trasferendo a Firenze per il rimpatrio scelgono di fermarsi per una pausa di ristoro. Appro ttando della disattenzione dei militari, Vesna riesce invece a sfuggire, attraversa


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le corsie dell’autostrada e si allontana sotto la neve. Voltate le spalle a un luogo così poco signi cativo e riconoscibile come la piccola stazione di servizio che le ha ricordato forse lo sconosciuto villaggio delle origini, tornerà probabilmente alle sue scelte sbagliate, a concedersi solo al desiderio incontentabile del possesso, purché il corpo, venduto e morti cato dalla lama del coltello di un violento protettore o dagli abbracci avidi dei clienti, la riscatti dalle sue miserie. Nell’immaginario collettivo contemporaneo gli autogrill sono diventati (non)luoghi oscuri e indistinti dove, a Bolzano come a Palermo, i panini hanno sempre lo stesso sapore e che per questo frequentiamo con arrendevole compiacimento. In fondo, è sempre un piacere perdersi nella loro perturbante familiarità: è così che ci sentiamo a casa. È così che ci sentiamo in una comfort zone dove abbandonarci alla nostra individualità e dimenticarci di ogni altra presenza. È così che un uomo può nanche dimenticarsi di sua moglie. Una dimenticanza che rappresenta la svolta narrativa di una premiata commedia sentimentale di Silvio Soldini. In Pane e tulipani (2000), infatti, la pescarese Rosalba, casalinga depressa e moglie trascurata, di ritorno da una gita organizzata a Paestum, viene dimenticata dal marito e dai gli adolescenti nell’autogrill di Frascati. Delusa dalla scarsa considerazione familiare e dalla distrazione rivelatrice, decide di prendersi una pausa dal

ménage coniugale e concedersi l’occasione inaspettata di una fuga a Venezia. Nella città lagunare avrà nalmente l’occasione di vivere nuove esperienze, di riscoprire interessi e motivazioni sopite. In conclusione, gli autogrill costituiscono una location molto frequentata dal cinema italiano, spesso per sequenze brevi e poco interessanti, ma in alcuni casi è proprio qui che si incrociano le esistenze minori dei dimenticati o le ribellioni di protagonisti in fuga. È qui che avvengono i soprassalti emotivi dei lm degli anni Sessanta, che si coagulano le spinte con ittuali dei lm degli anni Settanta; è qui che si rivelano i tic degli italiani del decennio del ri usso, le sospensioni esistenziali dei lm degli anni Novanta, le svolte sentimentali di quelli degli anni Duemila. Il rapporto tra una tipologia architettonica funzionale come l’autogrill e la settima arte risulta ancora in gran parte inesplorato e si presenta alla ri essione con tante pieghe e sfumature. Quello che si può a questo punto rimarcare è soprattutto l’assenza, nel nostro cinema, di un lm interamente abitato dalle mille esistenze che in un autogrill, nonluogo di transito e connessioni per eccellenza, si incontrano e si scontrano, si intrecciano e si ignorano quotidianamente.

4 - La protagonista del lm Pane e tulipani (2000), dimenticata dai compagni di viaggio all’autogrill di Frascati (RM), guarda sconsolata dalla vetrata affacciata sulle corsie autostradali.

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Necessità di architettura di Luigi Siviero

Aree di sosta, stazioni di servizio, autogrill, edi ci per il ristoro, in Italia negli ultimi decenni, sembra abbiano subito, ancor più di altre tipologie, la crisi dell’architettura. Il confronto di un contemporaneo manufatto di servizio con le architetture degli anni Sessanta o Settanta (Angelo Bianchetti, Melchiorre Bega, Costantino Dardi, Vittorio De Feo…) mostra quasi sempre un totale appiattimento delle forme e degli spazi su istanze commerciali, o puramente funzionali. Le realizzazioni più signi cative degli ultimi anni – opere che si elevano oltre il panorama della quotidianità e dell’edilizia corrente – cercano la virtù nella prestazione tecnologica (riduzione del fabbisogno energetico, tecnologie multimediali, iperconnessione digitale…) piuttosto che nella forma dello spazio, nel creare o solidi care relazioni con gli elementi del paesaggio, nello sfruttare quel singolarissimo insieme di insolite velocità, spazi, dimensioni che è proprio delle autostrade, e che in questo le renderebbe più vicine ai sogni che ai luoghi reali. Lo stesso problema del restauro delle opere architettoniche del ‘900 sollevato da più parti – e già declinato nelle stazioni di servizio da Susanna Caccia (2013) – mostra un decadimento, una crisi, un’interruzione nella trasmissione di una cultura che vedeva nelle opere a servizio della strada un signi cativo elemento del paesaggio. Le stazioni di servizio, almeno nella metà del secolo scorso, erano architetture, e in quanto tali rispondevano, oltre che ad una funzione speci ca, anche a coerenti e spesso innovative logiche formali, nell’elaborazione delle quali si sono cimentati importanti maestri del ‘900, così come architetti meno noti, ugualmente condividendo l’idea che alla base di un edi cio o di uno spazio, quand’anche di servizio all’infrastruttura, fosse necessario perseguire un principio architettonico-compositivo. Si potrebbe anche, schematicamente, elencare e descrivere alcuni temi ricorrenti propri delle architetture delle stazioni di servizio per dimostrare, se ce ne fosse bisogno, che

The need for architecture by Luigi Siviero

This contribution reports the results of a small research study conducted in the space of a few hours distributed across several days of on-site surveys. The research seeks to demonstrate how, despite the lack of any architectural principle common to service areas along motorways, one can still perceive between the unusual forms, mixed with people, automobiles, trucks, and immersed in the landscape of everyday life, an involuntary bond between things, similar to the bond that can arise from an idea, an association, a vision that becomes the prelude to the creation of an architectural principle. The tool of investigation was a photographic survey of the service areas along motorways, or in general places featuring the presence of motorway infrastructure, which they document by means of static shots in images that are real and objective, but are often overlooked by the traveller who passes through these spaces with the desire to move on to a better place as quickly as possible.

Nella pagina a anco, in alto: autostrada A13 Bologna-Padova, area di servizio San Pelagio Est, dicembre 2020; in basso: autostrada A4 MilanoVenezia. Area di servizio Limenella Sud, novembre 2020. Tutte le foto che accompagnano questo articolo sono di Stefanos Antoniadis.

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1 e 2 - Autostrada A13 Bologna-Padova, area di servizio San Pelagio Est, dicembre 2020.

questa tipologia ha seguito nel pensiero dei progettisti alcuni proli ci li conduttori. La copertura che riunisce diversi ambienti e diversi elementi, altrimenti dispersi nello spazio, ad esempio, è caratteristica peculiare della stazione di servizio di Mies Van Der Rohe a Montreal, in Danimarca (1962), ma anche delle più recenti realizzazioni dello studio Samyn and Partners in Belgio, per la Total (2016-2010), oppure di numerosissime più contenute stazioni di servizio dalle strutture formali vivaci e non convenzionali, disperse 128

nei paesaggi delle infrastrutture. La Lindholm Service Sta on di Frank Lloyd Wright, a Cloquet, nel Minnesota (1958) affronta invece il tema della stazione come punto di incontro della comunità, una sorta di nodo che appartiene ad una più articolata rete del movimento e che risponde all’idea di uno spazio urbano a bassa densità – la Broadcare City pre gurata dall’architetto negli anni Trenta come alternativa alla città compatta e congestionata. Del resto, il concetto di stazione come elemento ripetuto nel paesaggio, che


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3 e 4 - Autostrada A4 Milano-Venezia, casello autostradale Padova Est, Ponte Darwin, dicembre 2014.

contiene in sé gli elementi di una immagine più vasta ed unitaria (commerciale in primis, ma anche architettonica, o meglio un modello di spazio) e li traduce nella grande scala, è caratteristica anche dei progetti sviluppati nei concorsi Agip degli anni Settanta. In questi esempi, ma potremmo elencarne moltissimi altri, il principio architettonico alla base del progetto è chiaro e riconoscibile, e tanto nell’articolazione dei volumi o nella copertura che cerca lo sviluppo in altezza che riscontriamo in Wright, quanto

a maggior ragione nella pulizia degli spazi e nell’ordine di Mies (che si contrappone all’immagine scomposta e disordinata di una qualsiasi stazione di servizio), nulla è lasciato alla casualità o ad un palinsesto dettato unicamente dalla funzione. Possiamo quindi trovare un principio in grado di dare un senso all’affastellamento di materiali ed elementi, perlopiù funzionali, che si dispongono spesso disordinatamente nel paesaggio della quotidianità delle stazioni di servizio? Come sembrerebbe sug129


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5 - Autostrada A13 Bologna-Padova, area di servizio San Pelagio Est, dicembre 2020.

gerire indirettamente anche la Convenzione Europea del Paesaggio, dalla quotidianità possono scaturire valori fondanti, ma questi non sempre sono immediatamente visibili, e spesso è necessario proiettare l’analisi in una dimensione più astratta, in grado di farli emergere ed isolarli. Forse questa è una delle possibili chiavi di lettura del lavoro fotogra co di Luigi Ghirri lungo la via Emilia, che rivolge in alcuni scatti, entrati rapidamente nell’iconogra a dei paesaggi delle infrastrutture, una particolare attenzione alle stazioni di servizio. “La fotogra a può essere un non marginale momento di pausa e di ri essione, un necessario momento di riattivazione dei circuiti dell’attenzione fatti saltare dalla velocità dell’esterno […] La fotogra a può porsi in rapporto con questi luoghi con cresciuta consapevolezza, evitando evitando apologie, facili critiche, assegnando identità precostituite, impressioni frettolose, le poetiche on the road, topogra e precise o visioni private, ma assieme a questa consapevolezza riuscire contemporaneamente a meravigliarsi, o a restare stupiti come se fosse la prima volta che guardiamo questo territorio…” (Luigi Ghirri 1986)

Assistiamo oggi al paradosso per il quale l’architettura lungo l’autostrada si incontra in modo accidentale, quasi sempre al di fuori di essa, ed assume forme e dimensioni percepibili solo alla grande velocità. Solo per fornire un’immagine di questo fenomeno, i casi della stazione ferroviaria dell’alta velocità Me-

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diopadana lungo l’A1, con i ponti a servizio degli svincoli del casello di Reggio Emilia, o il Kilometro rosso Innova on District lungo l’A4 nei pressi di Bergamo, sono architetture del tutto prive di correlazione funzionale diretta con l’autostrada, ma che si riferiscono ad essa intenzionalmente dal punto di vista morfologico, tentando di dare una risposta al loro ruolo di quinte autostradali. È indicativo della crisi culturale di cui parlavamo in premessa, declinata nella produzione di spazi a servizio delle autostrade, rilevare come, ad esempio, la necessità di architettura o quantomeno di immagine, abbia spinto i promotori di grandi trasformazioni infrastrutturali legate all’innovazione delle reti della mobilità ad affidare agli architetti, proprio in questi anni di crisi dello spazio e dell’architettura, e proprio come avviene in altri paesi o città europee, il progetto dei principali nodi di queste reti, luoghi non a caso frequentati da alti ussi di persone. È il caso di RFI, con le stazioni dell’alta velocità, o delle stazioni della nuova linea della metropolitana di Napoli. Al contrario, gli elementi che compongono e caratterizzano le aree di servizio autostradali contemporanee non scaturiscono da un pensiero architettonico, ma appaiono spesso come un affastellamento sovrapposto di forme, imposte da una moltitudine di istanze diverse: il cartello pubblicitario, il totem informativo, la giostra per bambini, l’edi cio a frangisole, la tettoia ombreggiante… Rispetto al viaggiatore degli anni Sessanta, il viaggiatore contemporaneo subisce (o gode…)


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di una confidenza perce va (Lamanna et al. 2010) nei confronti degli elementi più ricorrenti del paesaggio delle aree di sosta, che colloca il reale carattere dello spazio in una condizione di quasi totale invisibilità (Magistà 2013). Non vi è più nulla che possa stupire chi lo frequenta – nelle modalità ormai proprie dell’uso di questi spazi, ovvero l’attraversamento distratto e il consumo veloce – e a dispetto del tentativo commerciale messo in atto dai venditori, ogni colore, forma, luce sgargiante e iper-appariscente scompare, mescolata ad altri elementi simili, ormai efmeri e smarginati nella disattenzione di chi frequenta questi luoghi. Nessuno di questi elementi è in grado di suscitare l’interesse e in parte il compiaciuto stupore che agli albori dell’edi cio per il ristoro autostradale scaturiva dalla consumazione di un pasto sopra il usso di automobili che a tutta velocità scorreva sotto un autogrill a ponte: un’attività del tutto normale e quotidiana, ma radicalmente diversa in quel luogo, per effetto di una ricerca compiuta con gli strumenti dell’architettura attorno al tema dello spazio. Riportiamo qui i risultati di una piccola ricerca, per immagini, condotta in diverse giornate di sopralluoghi. I risultati di questa ricerca, mostrano che, nonostante non sia riconoscibile alcun principio architettonico a monte della realizzazione dei luoghi a servizio delle autostrade, si possa ugualmente ritrovare nelle forme insolite, mescolate a persone, automobili, camion, e immerse in paesaggi della quotidianità, un legame involontario tra le cose, simile a quello che nasce da un’idea, da una associazione, da una visione che prelude alla creazione di una architettura. Le fotogra e sono state scattate all’interno di luoghi dislocati lungo le autostrade, ma in una condizione totalmente differente rispetto a quella del viaggiatore. La frequentazione di queste aree, durante la campagna fotogra ca, non è avvenuta in velocità, a margine di esigenze primarie, ma con lentezza e metodo, programmando un periodo sufficientemente lungo di tempo, necessario all’esplorazione e alla ri essione. Solo in queste condizioni, è emerso quanto possiamo ipotizzare sia nell’animo di ognuno, ovvero una necessità di trovare logiche alternative alle immagini che altrimenti ne appaiono prive. È emersa in sostanza la necessità profonda, e intrinseca in ognuno di noi, di un legame tra le forme, che de nisca il senso dello spazio che stiamo vivendo. È emersa la necessità di architettura.

Bibliogra a Caccia S. (2013) Tutela e restauro delle stazioni di servizio, Franco Angeli, Milano. Ghirri L. (1986) “Fotogra a e rappresentazione dell’esterno” in Bizzarri G., Bronzono E. (a cura di), Esplorazioni sulla via Emilia. Vedute nel paesaggio, Feltrinelli, Milano.

6 - Autostrada A4 MilanoVenezia. Area di servizio Limenella Sud, novembre 2020. 7 - Autostrada A13 Bologna-Padova, area di servizio San Pelagio Est, dicembre 2020.

Magistà, A. (2013) “Le stazioni fanno il pieno di design”, in La Repubblica.it, 6 marzo 2013, https://design. repubblica.it/2013/03/06/le-stazioni-fanno-il-pienodi-design/#1. Lamanna C., Salgarello G., Azzali C., Siviero L. (2010), “Photoscape: atmosfere invisibili” in Maniglio Calcagno A. (a cura di) Proge di paesaggio per i luoghi rifiuta , Gangemi, Roma.

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Edi ci per l’assistenza ai viaggiatori: l’epopea della grande architettura lungo le autostrade di Laura Facchinelli

Non sono molti gli studiosi che hanno indagato, con rigore scienti co e accurate ricerche d’archivio, sulle architetture per l’assistenza ai viaggiatori e ai veicoli lungo le autostrade. Eppure si tratta di un capitolo importante della progettazione architettonica nel nostro paese; un capitolo che vide, negli anni ’50-70 del Novecento, la creazione di edi ci di nuova concezione, che non potevano trarre ispirazione della storia, ma dovevano rispondere in forma inedita alle esigenze del vivere moderno. Da considerare che si parla di un patrimonio edilizio rilevante e diffuso nel territorio. Il tema delle architetture lungo le autostrade è dunque importante, ma poco esplorato in termini di ricerca storica e sostanzialmente ignorato come fenomeno culturale, che invece coinvolge molteplici professioni e punti di vista: dall’ingegneria all’architettura, dalla comunicazione pubblicitaria al design, dalle strategie economiche alla sociologia attenta ai comportamenti di massa. Per tutte queste ragioni è di grande interesse il volume di Laura Greco Architetture autostradali in Italia. Progetto e costruzione negli edi ci per l’assistenza ai viaggiatori (Gangemi, Roma 2010). L’autrice – docente di Architettura Tecnica all’Università della Calabria e co-curatrice del presente numero della rivista Trasporti & Cultura – analizza la speci cità dell’esperienza italiana che, se prende avvio dagli esempi statunitensi dell’assistenza autostradale, adotta però paradigmi differenti, perché differenti sono le condizioni socio-economiche e lo sviluppo tecnologico. Sul piano del progetto architettonico, nel nostro paese c’è un’adozione programmatica del registro costruttivo moderno; da noi, per esempio, il grande edi cio a ponte si contrappone, volutamente, alle misure contenute del paesaggio circostante. È necessaria anche una distinzione fra le forme tradizionali degli edici delle autostrade di prima generazione (1924-30) e lo slancio innovatore degli edi ci ristoro, delle stazioni di servizio, dei motel

sorti lungo le autostrade di seconda generazione (1955-75). Committenti furono – con un primo slancio nel periodo del cosiddetto “miracolo economico” - le principali catene di ristorazione: Motta, Alemagna, Pavesi; occasione per la sperimentazione di nuove forme e nuove procedure (tipizzazione dei manufatti, prefabbricazione, produzione in serie) fu la colossale impresa dell’Autostrada del Sole. L’autrice nota che gli edi ci per l’assistenza ai viaggiatori oscillano fra tipizzazione e ricerca artigianale della singolarità architettonica, e porta come esempi contrapposti, da un lato, il programma dell’Agip per stazioni di servizio e motel, che puntavano sulla tipizzazione degli spazi e degli elementi costruttivi per ottenere la riconoscibilità del marchio e dei servizi, dall’altro le architetture di Motta e Pavesi che puntavano, invece, sulle esperienze singolari, sulla scelta accurata dei materiali e la cura del dettaglio. L’autrice sottolinea che, in un periodo di collaborazione fra intellettuali e borghesia industriale, “l’azione sinergica di imprenditori come Mario Pavesi e di progettisti come Angelo Bianchetti e Melchiorre Bega, collocandosi nel più vasto programma di rinnovamento culturale della società italiana del dopoguerra, partecipa alla campagna di mediazione intellettuale di designer, architetti, scrittori, gra ci per l’affermazione dei nuovi prodotti industriali e dei consumi di massa”. L’esigenza di un’assistenza autostradale era già presente nei progetti di Piero Puricelli, l’ideatore delle prime autostrade, come “struttura di assistenza all’utente che andava dal rifornimento, alle riparazioni, all’informazione, al soccorso”. Nel secondo dopoguerra, si afferma una visione via via più organizzata, con l’idea di garantire qualità e sicurezza. Protagoniste del servizio di ristoro sono le citate aziende dolciarie, che saranno le committenti, a livello nazionale, della ristorazione lungo le autostrade.

Nella pagina a anco, in alto: stazione di servizio Agip anni Cinquanta. Progetto Mario Bacciocchi (Archivio Storico Eni); in basso: le copertine dei due volumi recensiti in questo articolo.

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I primi edi ci ristoro degli anni ’50 sono piccoli padiglioni laterali, commissionati dalla Pavesi all’architetto Bianchetti, che in precedenza aveva maturato un’esperienza come progettista di architetture pubblicitarie e per esposizioni, e imprime quel carattere anche alle prime costruzioni autostradali. Per le arterie di maggiore traffico viene messo a punto un edi cio di più grandi dimensioni: si tratta dell’edi cio ristoro a ponte. Il primo (d’Italia e anche d’Europa) è quello di Fiorenzuola d’Arda, che risale al 1959 ed è progettato sempre da Angelo Bianchetti. Ne sorgeranno in tutto 12. L’autrice sottolinea il contrasto forte – speci camente italiano – tra l’importanza delle realizzazioni e la ridotta modernizzazione reale dei processi di costruzione e produzione. Nella seconda metà degli anni ’50 l’uso dell’acciaio, già sperimentato in precedenza in modo episodico, si diffonde “con maggiore coscienza delle qualità tecniche del materiale anche nei confronti del suo rapporto con il linguaggio architettonico”. Di grande interesse anche l’introduzione sia del calcestruzzo armato ordinario che di quello precompresso. Lo scenario “è disegnato dai grandi gesti dell’ingegneria strutturale e dalla ricerca che si colloca all’origine di quelle realizzazioni, promuovendo un uso più audace del materiale e della tecnica”. Negli anni ’60 alla Pavesi si affiancano la Motta con l’architetto Melchiorre Bega, Alemagna che realizza gli “Autobar” e Agip con i “RistorAgip”. Degno di nota il contributo di Pier Luigi Nervi per il rinnovamento del tema strutturale dell’edi cio a ponte, con riferimento al Mottagrill di Limena progettato assieme all’arch. Melchiorre Bega. Da sottolineare l’attenzione prestata da Nervi a tutte le fasi del progetto, dato che si basava su uno studio di progettazione e su un’impresa di costruzioni entrambe a gestione familiare. Per quanto riguarda le stazioni di servizio, protagonista è l’Agip. La vicenda prende avvio nei primi anni ’50, quando Enrico Mattei commissiona a Mario Bacciocchi la messa a punto di un repertorio di impianti tipo: un’iniziativa indipendente dalla realizzazione dell’autostrada e dei relativi punti di ristoro. Bacciocchi rielabora i tre elementi architettonici fondamentali della stazione di servizio: chiosco, pensilina e pennone pubblicitario. Quegli elementi vengono ripresi dall’Ufficio tecnico della Snam Progetti puntando sulla tipizzazione dei manufatti attraverso criteri di modularità e scomponibilità, con i due obiettivi imprescindibili per una azienda 134


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petrolifera: contenere i costi di costruzione e gestione e rendere la propria immagine identi cabile. I modelli messi a punto, a partire dalla “Stazione 59”, troveranno ampia applicazione lungo la rete autostradale. Via via le strutture di servizio si trovano a svolgere nuove funzioni. Per adeguare le stazioni di servizio Agip ai nuovi bisogni della clientela, per mettere a punto un vero e proprio sistema integrato di servizi, nel 1968 viene bandito un concorso che vede vincitore un gruppo guidato da Costantino Dardi. Intanto anche la Esso lancia un concorso, che premia il progetto del gruppo di Vittorio De Feo. In entrambi i casi – anche se con impostazioni e linguaggi differenti – si punta a con gurare una stazione con una forte identità, predisposta alla crescita programmata nel tempo. Sul fronte Agip, una novità: per l’assistenza dedicata alla sosta lunga si creano, alla metà degli anni ’50, i Motel Agip, con chiara ascendenza dai motel d’oltreoceano. I primi sorgono lungo le strade extraurbane ma presto si estendono alle autostrade, con l’intenzione di creare una vera e propria rete nazionale. A progettare queste strutture ricettive sono gli architetti che progettano per l’Eni: Bacciocchi, Ratti e Bacigalupo. In chiusura di questa ampia, documentata, avvincente ricostruzione, che comprende un ricco apparato iconogra co da fonti archivistiche, la cronologia degli eventi e le biograe dei protagonisti valgono a sottolineare l’importanza di quella che potremmo de nire l’epopea della grande architettura lungo le autostrade.

Le architetture Eni Il tema dello sviluppo delle stazioni di servizio e dei Motel Agip si inserisce nel più ampio contesto dell’attività progettuale realizzata dall’Eni, in particolare nel decennio di presidenza di Enrico Mattei. Questo capitolo della storia italiana – anch’esso poco esplorato – viene affrontato dalla stessa Laura Greco con Stefania Mornati (docente di Architettura tecnica all’Università Tor Vergata di Roma) nel libro Architetture Eni in Italia (1953-1962) (Gangemi, Roma 2018) Anche questo volume affronta un aspetto poco noto: si tratta della politica edilizia dell’Ente Nazionale Idrocarburi, che si è sviluppata dall’anno di fondazione della società (1953) per tutta la durata dalla presidenza di Enrico Mattei. Quell’attività ha dato forma a un grande patrimonio diffuso nel territorio nazionale. La ricerca delle autrici si è basata sulla do-

cumentazione dell’Archivio Storico Eni: una miniera preziosa per conoscere una società che ha grandemente contribuito alla ripresa economica del dopoguerra, una fonte di conoscenza importante per capire il legame fra impresa e cultura. L’Eni viene istituito come holding pubblica per il coordinamento di varie società attive nel settore degli idrocarburi. L’Eni ha il compito di dotare l’Italia di una maggiore autonomia energetica e si muove in un periodo molto dinamico, di forte crescita economica, di grandi trasformazioni strutturali. Nel 1956 partono i lavori dell’Autostrada del Sole da San Donato Milanese, e in quella località sorge Metanopoli, la “città del Metano”, concepita come città ideale per ospitare sedi e laboratori delle aziende Eni. L’ascesa dell’Eni sul piano economico dà impulso alla realizzazione di un piano architettonico e urbanistico che, partendo dalla

1 - Nella pagina a anco, iin alto: bozzetto Autogrill Pavesi a Fiorenzuola d’Arda, 1959. 2 - Nella pagina a anco, al centro: pensilina stazione Esso nell’area di servizio di Frascati. 3 - Nella pagina a anco, in basso: vista interna dell’autogrill a Lainate, 1958. 4 - In questa pagina: Vista interna dell’autogrill a ponte a Fiorenzuola d’Arda, 1959. I progetti in queste due pagine sono di Angelo Bianchetti (Fonte: Archivio Arch. Jan Jacopo Bianchetti)

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5 - Stazione di servizio Agip con l’edi cio barristorante su due piani, anni Cinquanta (Archivio Storico Eni).

valorizzazione aziendale, si traduce in un disegno edilizio più ampio, “teso a combinare le trasformazioni territoriali e sociali del Paese con una mediazione culturale capace di avvicinare la realtà domestica e lavorativa – ancora prevalentemente artigianale – alla diffusione dei prodotti di massa. Il medium architettonico è uno dei codici privilegiati per la propaganda, che in alcuni casi arruola la potenza morfogenetica delle tecniche moderne”. Le autrici sottolineano il legame fra valorizzazione del pro lo d’impresa, politiche sociali a favore dei dipendenti, sensibilizzazione della collettività: azioni che si realizzano attraverso l’alleanza dell’industria con artisti, artigiani e architetti. “Oggetti e architetture diventano così parte del nascente lessico 136

industriale che contraddistingue la politica di comunicazione delle imprese italiane più illuminate”. Importante il contributo, in questo senso, dell’ambiente culturale milanese di quegli anni ’50, con aziende come Pirelli, Italsider, La Rinascente, Pavesi, Motta e con la de nizione dell’industrial design, che vede la collaborazione pro cua di artisti, poeti, scrittori, graphic designer. È in questo clima di generale ottimismo che l’Eni di Enrico Mattei promuove il suo programma edilizio: in un decennio, realizza un ampio patrimonio edilizio che comprende insediamenti produttivi, la cittadella di Metanopoli, una rete di servizi sociali e di residenze per i dipendenti (imponente la realizzazione del villaggio di Corte di Cadore, progettato da Edoardo Gellner) e una rete di


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6 - Motel Agip al Brennero, 1960 (Archivio Storico Eni).

servizi autostradali (stazioni, motel, ristoranti). Mattei – che assume il marchio Agip come emblema della compagnia, perché collegato alla motorizzazione e quindi alla vita pratica quotidiana - per le stazioni di servizio incarica l’architetto Mario Bacciocchi di progettare un repertorio si stazioni, con soluzioni tipizzate che rendano un’immagine aziendale riconoscibile. Da notare che, nel decennio considerato, la regia delle iniziative rimane nelle mani del presidente Mattei, che ssa l’agenda degli interventi (con una tempistica serrata), sceglie personalmente gli architetti (professionisti esterni, ai quali si affiancano ingegneri e architetti strutturati nell’ente), dà le direttive, visiona e approva i progetti, evitando lungaggini burocratiche e intralci procedurali. Alla gura fondamentale di Mario Bacciocchi si affiancano i professionisti dello studio Bacigalupo e Ratti, il già citato Edoardo Gellner, che introdusse gure illustri come Carlo Scarpa e Silvano Zorzi. L’espansione edilizia civile e industriale – spiegano le autrici – segue criteri di ottimizzazione costruttiva e di economie di scala, senza tuttavia sacri care valori architettonici e comfort: centrali in questa strategia la tipizzazione costruttiva e la prefabbricazione. La scomparsa di Mattei segna un rallentamento, se non una vera e propria battuta d’arresto dell’attività edilizia di Eni; comunque le condizioni sono cambiate, anche per

le difficoltà nanziarie del gruppo. Resta, del decennio Mattei, un vasto patrimonio edilizio, “un baluardo di quella fortunata sintesi tra strategie di gestione aziendale e politiche sociali che conta in Italia pochissimi, illuminati, esempi”. Il percorso proposto dalle autrici fra le opere del decennio comprende una serie di edi ci di Metanopoli - centro sportivo, primo palazzo uffici, complesso scolastico, secondo palazzo uffici - la sede direzionale di Roma, il villaggio Eni “Corte di Cadore” con la chiesa di Nostra Signora di Cadore, il capitolo delle stazioni di servizio con i motel Agip. Quello che colpisce, nella vicenda narrata in questo libro, è la concentrazione dell’attività nella gura di Enrico Mattei, nella sua “visione” aperta e lungimirante, nella sua spinta propulsiva: probabilmente una gura carismatica riesce a raggiungere traguardi altrimenti irraggiungibili. Anche questo libro, come quello dedicato alle architetture autostradali, ci insegna che la conoscenza può spingersi molto al di là dei percorsi prevedibili, al di là delle strettoie disciplinari: un archivio aziendale può offrire nuovi spazi mentali per scrivere la storia. © Riproduzione riservata

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Infrastrutture, ri essioni sulla gestione del patrimonio esistente di Giovanni Giacomello

Il libro Il patrimonio infrastrutturale esistente. Metodi e strategie per la gestione (FrancoAngeli, collana Metodi del territorio, Milano 2018) è un’opera che tratta della gestione, dell’adeguamento e della riquali cazione delle reti infrastrutturali e dei singoli archi. Il libro nasce da una ricerca condivisa di otto autori che hanno approfondito diversi temi, tra cui: il ruolo e lo sviluppo delle infrastrutture nell’organizzazione del territorio; la gestione e la piani cazione strategica delle infrastrutture di trasporto, gli aspetti normativi e l’interazione ambiente-sicurezza nel progetto delle infrastrutture stradali, la sicurezza stradale. Gli autori sono: l’Arch. Alfonso Annunziata - dottore di ricerca in Architettura, il Prof. Francesco Annunziata - è stato ordinario di “Strade, Ferrovie ed Aeroporti” presso l’Università degli studi di Cagliari, il Prof. Francesco Boggio - è stato ordinario di “Geogra a Economica e Politica” presso l’Università degli studi di Cagliari, l’Ing. Michele Coghe - funzionario tecnico presso ANAS S.p.A., l’Ing. Alfredo De Lorenzo - ha lavorato presso ANAS S.p.A., il Prof. Marco Pasetto ordinario di “Strade, Ferrovie ed Aeroporti” presso l’Università degli studi di Padova, l’Ing. Emiliano Pasquini - ricercatore di “Strade, Ferrovie ed Aeroporti” presso l’Università degli studi di Padova e l’Ing. Francesca Pilia - dottore di ricerca in Ingegneria civile e architettura. Il libro è articolato su sette capitoli e, in base al tema trattato, può essere suddiviso in tre parti. La prima parte del libro è una introduzione al tema delle reti infrastrutturali esistenti e del loro adeguamento; la seconda è invece incentrata sulla gestione e sulla riquali cazione del patrimonio infrastrutturale esistente con un occhio di riguardo per l’ambiente costruito e per le regole di progettazione; la terza parte, in ne, è focalizzata sul ruolo delle infrastrutture viarie come mezzo per la riquali cazione e la ricostruzione di spazi e di relazioni per la mobilità.

Il libro raccoglie i ragionamenti e le ri essioni degli autori sul tema delle infrastrutture di trasporto (principalmente di tipo stradale) in relazione alla gestione e all’ammodernamento di quelle esistenti. A partire dalla funzione di ogni singolo elemento progettuale (in quanto dispositivo sico per la mobilità), gli autori esplicitano ipotesi per un nuovo tipo di approccio alla gestione e all’adeguamento delle infrastrutture indagando obbiettivi, parametri, criteri e requisiti da applicare per una possibile revisione della normativa esistente. Tale studio considera anche che le infrastrutture di trasporto si articolano all’interno del territorio e del paesaggio: gli autori ritengono infatti che la progettazione e la costruzione di tali infrastrutture contribuiscano alla de nizione della logica spaziale del territorio. Vengono quindi delineati i possibili parametri morfologici e geometrici dei singoli elementi che costituiscono le reti per una migliore integrazione delle stesse nell’ambiente naturale ed insediativo. L’introduzione del libro riporta una rappresentazione storica, geogra ca, politica ed economica delle infrastrutture di trasporto in Italia. È interessante notare come venga proposta un’immagine notturna dell’Italia ripresa dal satellite per dimostrare in modo indiretto quali siano le “grandi discontinuità e i forti contrasti” presenti nel territorio italiano, che gli autori ritengono superabili con una programmazione della rete stradale auspicando una maggiore “integrazione tra i sistemi urbani e i diversi modi di trasporto”. Proprio a partire dal concetto di “integrazione” e dalla descrizione geogra co-economica del territorio, il secondo capitolo contiene le de nizioni necessarie alla comprensione dei successivi capitoli: che cosa è un “sistema di trasporto” e quali sono le componenti del sistema ambiente-territorio-trasporti (uomo, infrastruttura, ambiente, veicolo e sistema di gestione). Le ri essioni sugli

Nella pagina a anco, in alto: NASA Goddard Space Flight Center” (https:// www.nasa.gov/feature/ goddard/2017/newnight-lights-maps-openup-possible-real-timeapplications). In basso, a sinistra: strada con diramazione; a destra: la copertina del volume.

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1 - I maggiori sistemi urbani classi cati secondo il grado di integrazione nelle reti sovraregionali e in quelle europee in particolare. L’immagine - pubblicata in AA.VV. Il patrimonio infrastrutturale esistente. Metodi e strategie per la gestione, FrancoAngeli, Milano 2018 - è tratta da Dematteis g., Bonavero P. (a cura di) Il sistema urbano italiano nello spazio uni cato europeo, Il Mulino, Bologna 1997.

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aspetti riguardanti la progettazione delle infrastrutture e sull’adeguamento delle stesse viene suddiviso in due paragra , a seconda dell’ambito di interesse dell’infrastruttura (extraurbano e urbano): tale frazionamento si rende necessario perché i parametri e i requisiti (sia dell’infrastruttura stessa che del territorio) sono diversi. Gli autori ritengono che l’adeguamento delle infrastrutture esistenti sarà un tema strategico per lo sviluppo socio-economico dell’Italia ed è per questo che è necessario effettuare studi sul recupero e sulla riquali cazione dell’esistente. Nel terzo e nel quarto capitolo, infatti, gli autori sottolineano che l’attività nevralgica per una buona riquali cazione delle infrastrutture sia la gestione di tale patrimonio, la cui “prevalente nalità è mantenerlo adeguato alle funzioni assegnate a ciascuno degli elementi componenti, nell’ambito di una determinata vita utile”. Vengono quindi descritte l’infrastruttura e il suo contesto, le

componenti dell’infrastruttura da gestire, le procedure da seguire nei vari livelli di “progettazione” (studi di impatto ambientale, linee guida sulla sicurezza, ecc.) le criticità (del contesto e delle reti stesse), gli obiettivi e le fasi (manutenzione ordinaria, manutenzione straordinaria e adeguamento) di intervento anche considerando il contesto ambientale. Vengono poi individuate e descritte le attività di manutenzione e gestione delle reti stradali esistenti. Gli autori osservano come tali attività non siano compito esclusivo dell’ingegnere dei trasporti, ma, per la complessità del sistema “infrastruttura di trasporto”, siano di impostazione pluridisciplinare. Infatti, esse richiedono l’intervento di altre scienze (tra cui, l’economia, l’ambiente, l’architettura, la scienza dei materiali, ecc.). Gli autori evidenziano la necessità di una reimpostazione formativa dei tecnici che in un processo di progettazione di una nuova infrastruttura o di riquali cazione di una esistente devono sapere “affrontare accuratamente l’analisi e lo studio delle relazioni costruttive e funzionali intercorrenti tra le singole componenti del sistema stradale con l’ambiente antropico e con l’ambiente biotico”. Nel quinto capitolo gli autori, descrivendo i criteri dell’attuale normativa per la progettazione stradale (D.M. 5 novembre 2001, n. 6792, Norme funzionali e geometriche per la costruzione delle strade), indicano come appaia opportuno oramai una revisione di tale norma (vengono descritte sia alcune mancanze della norma attuale che alcune possibili migliorie) e che sia necessario de nirne una più speci ca riferita alla progettazione degli interventi di adeguamento dell’esistente. L’adeguamento delle infrastrutture viarie urbane riveste ampio interesse per gli autori, che dedicano un capitolo (il sesto) a questo argomento. A partire dalle motivazioni e dalle modalità, vengono descritte le principali nozioni per l’adeguamento e la riqualicazione delle strade urbane: gli strumenti di piani cazione, l’approccio progettuale, le regole e i criteri di progettazione, la normativa e la sua evoluzione, le strategie di intervento (adeguamento funzionale, miglioramento della sicurezza di circolazione e sostenibilità ambientale), gli obiettivi in fase di progettazione (funzionalità operativa e sicurezza della circolazione) e l’analisi di sicurezza. Gli autori inoltre ribadiscono e sollevano una questione saliente nel campo della progettazione di infrastrutture di trasporto, ovvero “l’importanza della professionalità


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di chi progetta, ma soprattutto adegua le infrastrutture. Chi progetta deve avere le competenze, conoscere le normative, sapere e capire perché si realizza un intervento di nodo o di rete, essere in grado di correlare la progettazione della singola opera col contesto in cui essa si inserisce (livello di rete viaria, composizione della rete, destinazione d’uso del territorio). Oggi […] si fanno interventi puntuali per risolvere problemi contingenti, senza pensare alla rete in cui essi sono inseriti; si progettano nodi e archi stradali perché è necessario fare qualcosa, ma se ne trascurano gli aspetti intrinseci funzionali e strutturali (l’inscrizione dei veicoli nelle rotatorie o nei rami di intersezione, la capacità delle infrastrutture, i livelli di servizio, la promiscuità d’uso degli spazi stradali, le categorie di traffico da prevedere).” Nell’ultimo capitolo vengono individuati ulteriori termini, requisiti e criteri che de niscono le parti dell’infrastruttura “strada” e l’adeguamento delle sue componenti. Gli autori evidenziano la necessità di evitare nella progettazione di interventi di adeguamento di infrastrutture un approccio mono-settoriale, proponendo la rilettura delle infrastrutture nell’ottica di un più generale

problema “urbano” sia dal punto di vista ambientale che da quello della “diseguaglianza” dei territori (esaltata dall’accessibilità). Viene quindi proposta una ri essione sull’evoluzione dell’idea di strada riproponendo i molteplici concetti che si sono susseguiti nella storia: “osmosi tra strada e contesto”, “la strada monumento”, “la strada-tubo”, “la parkway”, “l’autostrada diabolica e la vista della strada”, “la nozione di paesaggio”. Da notare gli interessanti concetti espressi dalle diverse idee che considerano infrastruttura e paesaggio: “Infrastructure as landscape”, “Landscape as infrastucture” e “Urban Landscape Infrastructure”. Un altro paragrafo dell’ultimo capitolo che si ritiene di grande interesse è quello destinato a enunciare il concetto di “strada come fasci di percorsi”, in cui si descrive la nozione e le funzioni di strada-fascio. In tal senso il concetto di “strada” assume nuove diverse con gurazioni: permette di disegnare e generare spazi, diventa “luogo del racconto”, è “generatrice di energia”, e, in ne, permette di gestire la diversità e la natura all’interno dello spazio urbano.

2 - Una strada in costruzione.

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Marialuisa Montanari, “Autochiesa del Sole”, serie Architetture Impossibili, Milano 2020. “Le Architetture Impossibili sono una ricerca visuale che riconduce dichiaratamente a una dimensione dell’assurdo e del paradosso. L’accostamento di architetture lontane nello spazio e nel tempo è generato dall’impulso di smontare, interrogare e riscrivere in modo totalmente nuovo quelli che per certi versi sono linguaggi e ordini consolidati, riportando alla luce motivi che sono invisibili ai nostri occhi assuefatti. Cortocircuiti potenti per fare riviMarialuisa Montanari vere un’immaginazione assediata dalla banalità e da una diffusa amnesia”.

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Autori Laura Greco – Professore associato di Architettura tecnica, Dipartimento di Ingegneria Civile, Università della Calabria Francesco Spada – Dottorando di Ricerca, Dipartimento di Ingegneria Civile, Università della Calabria Luigi Siviero - Ricercatore postdoc, Dipartimento di Ingegneria Civile, Edile e Ambientale, Università degli Studi di Padova Luigi Stendardo – Professore associato di Composizione Architettonica e Urbana, Dipartimento di Ingegneria Civile, Edile e Ambientale, Università degli Studi di Napoli Federico II Chiara Azzali – Architetto, Dottore di ricerca Stefania Mangini – Dottore di ricerca, Dipartimento di Culture del Progetto, Università IUAV di Venezia. João Silva Leite - Professor auxiliar convidado, Faculdade de Arquitectura, Universidade de Lisboa Stefanos Antoniadis – Ricercatore postdoc, Dipartimento di Ingegneria Civile, Edile e Ambientale, Università degli Studi di Padova Giusi Ciotoli – Dottore di ricerca, Dipartimento di Architettura e Progetto, Sapienza Università di Roma Marco Falsetti – Ricercatore postdoc, Dipartimento di Architettura e Progetto, Sapienza Università di Roma Luca Tamini – Professore associato di Urbanistica, responsabile del Laboratorio URB&COM, DAStU, Politecnico di Milano Carlo Costa - Ingegnere, Direttore Tecnico Generale di Autostrada del Brennero S.p.A. Alessandro Magnago – Ingegnere, Autostrada del Brennero S.p.A. Alessandro Franceschini – Architetto, Autostrada del Brennero S.p.A Giuseppe Canestrino – Dottorando di ricerca, Dipartimento di Ingegneria Civile, Università della Calabria Jan Jacopo Bianchetti – Architetto, responsabile archivio Angelo Bianchetti Fabrizio Violante - Architetto e Critico cinematogra co Giovanni Giacomello – Dottore di Ricerca, Dipartimento di Ingegneria Civile, Edile e Ambientale, Università degli Studi di Padova

Questo numero è stato curato dalla prof.ssa Laura Greco, Dipartimento di Ingegneria Civile, Università della Calabria, e dal Ricercatore postdoc Luigi Siviero, Dipartimento di Ingegneria Civile Edile e Ambientale, Università di Padova

Copyright Questa rivista è open access, in quanto si ritiene importante la libera diffusione delle conoscenze scienti che e la circolazione di idee ed esperienze. Gli autori sono responsabili dei contenuti dei loro elaborati ed attribuiscono, a titolo gratuito, alla rivista Trasporti & Cultura il diritto di pubblicarli e distribuirli. Non è consentita l’utilizzazione degli elaborati da parte di terzi, per ni commerciali o comunque non autorizzati: qualsiasi riutilizzo, modi ca o copia anche parziale dei contenuti senza preavviso è considerata violazione di copyright e perseguibile secondo i termini di legge. Sono consentite le citazioni, purché siano accompagnate dalle corrette indicazioni della fonte e della paternità originale del documento e riportino fedelmente le opinioni espresse dall’autore nel testo originario. Tutto il materiale iconogra co presente su Trasporti & Cultura ha il solo scopo di valorizzare, sul piano didattico-scienti co i contributi pubblicati. Il suddetto materiale proviene da diverse fonti, che vengono espressamente citate. Nel caso di violazione del copyright o ove i soggetti e gli autori avessero qualcosa in contrario alla pubblicazione, si prega di darne immediata segnalazione alla redazione della rivista - scrivendo all’indirizzo info@trasportiecultura.net – e questa provvederà prontamente alla rimozione del materiale stesso, previa valutazione della richiesta.

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