PORTI E CATENE LOGISTICHE GLOBALI

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PORTI E CATENE LOGISTICHE GLOBALI 1


Comitato Scienti co:

Oliviero Baccelli CERTeT, Università Bocconi, Milano Paolo Costa già Presidente Commissione Trasporti Parlamento Europeo Alberto Ferlenga Università Iuav, Venezia Giuseppe Goisis Filosofo Politico, Venezia Massimo Guarascio Università La Sapienza, Roma Stefano Maggi Università di Siena Giuseppe Mazzeo Consiglio Nazionale delle Ricerche, Napoli Cristiana Mazzoni École nationale supérieure d’architecture de ParisBelleville Marco Pasetto Università di Padova Franco Purini Università La Sapienza, Roma Michelangelo Savino Università di Padova Enzo Siviero Università telematica E-Campus, Novedrate Zeila Tesoriere Università di Palermo - LIAT ENSAP-Malaquais Luca Tamini Politecnico di Milano In copertina: veduta aerea del Container Terminal di La Spezia. Foto fornita da Contship.

Maria Cristina Treu Architetto Urbanista, Milano


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Rivista quadrimestrale

NUOVE POLITICHE PER LO SVI

maggio-dicembre 2019 anno XIX, numero 54-55 Direttore responsabile Laura Facchinelli Direzione e redazione Cannaregio 1980 – 30121 Venezia e-mail: laura.facchinelli@trasportiecultura.net laura.facchinelli@alice.it

LA SOSTENIILITÀ DA EUROPEO DELLA PORTUALITÀ E

By Hassiba Benamara, Jan Hoffmann, Luisa

THE NORTHERNEUROPEAN 105 PORTO, CITTÀ E TERRITORIO:

IL FUTURO DEI PORTI È SMART

La rivista è sottoposta a double-blind peer review

Traduzioni in lingua inglese di Olga Barmine La rivista è pubblicata on-line nel sito www. trasportiecultura.net 2019 © Laura Facchinelli Norme per il copyright: v. ultima pagina Editore: Laura Facchinelli C.F. FCC LRA 50P66 L736S Pubblicato a Venezia nel mese di dicembre 2019 Autorizzazione del Tribunale di Verona n. 1443 del 11/5/2001 ISSN 2280-3998 / ISSN 1971-6524

43 IL PORTO FRANCO INTERNAZIO


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Ports and global logistics chains by Laura Facchinelli

This issue of Trasporti & Cultura is dedicated to ports, to their work, to today’s reality and to the prospects for Italian ports, and to a comparison with other European ports. Ports are fundamental infrastructures for cargo traffic, and consequently for the economy of a country. The opening article underlines how transportation and infrastructure policy should seek to reduce the market inefficiencies and imperfections that crop up along the logistic chain. The cost of services, that weigh on the consumer price of products, must be reconsidered; it would be important to focus on ports that make it possible to limit the route from the point of origin to destination, with the purpose of reducing costs and bene tting the environment. Measuring connectivity and efficiency is the rst step towards improving the performance of a port and how competitive it is on the market: this is an important issue, because port performance and services are a critical factor that can have an impact on the economic development of a country. Northern European ports base their success on efficiency, and on their planning capacity. The ports of Antwerp and Rotterdam form a port-industrial complex of international signi cance, which also includes other minor realities in the Dutch-Flemish area. These ports play an important strategic role, which in recent decades has grown with the rapid rise of container traffic; equally important considerations are employment and the added value generated there. For the future, experts emphasize the need to reinforce intermodal connections with the inland surrounding the port, developing internal navigation routes and railways. The activities required to develop the processes inside a port are distributed among a multiplicity of subjects, individuals and organizations. There can be many factors of crisis. It will take strategies, investments and managerial capacity to avoid stagnation or decline. A strategic response is to become a smart port, with trained personnel, intelligent and automated infrastructure, collaboration between various interest groups. This is the content of the opening articles, focused on planning and managerial organization. The articles that follow analyse several case studies of Italian ports: Trieste, aware of the strategic role it derives from its location in the heart of Europe and at the northern tip of a “great sea” open to the world; Venice, a port that will be analysed with a focus on the functionality of the railway infrastructure, which is key to the connection with the mainland; Genoa, a port in constant evolution, which will be examined in terms of the recent challenges to improve the connection between port and dry port (the last port mile) and the technologies that serve the port itself; Naples, where the theme of railway connections is a core issue in planning, to bridge a gap that is a negative factor for most of southern Italy. Another article is dedicated to the ports of Taranto and Gioia Tauro: in the matter of great port terminals dedicated to container trans-shipment it addresses the theme of economic-regional development and the efficiency of logistics in support of southern Italy’s manufacturing industry. The overview is extended with an analysis of the important role of special economic zones in the development of ports and the industrial system; with a comparative study between the ports of northern Italy and those of northern Europe in terms of the economy and the environment; and with general considerations on the current state of the port system in Italy. Because this magazine has always liked to draw comparisons with other geographical areas, there is also an article about Singapore where the small size of its territory makes the management of port, urban and industrial spaces a constant challenge in terms of guaranteeing efficient mobility. It should not be forgotten that a port is not just a productive centre, it is also an area adjacent to the city. It is important to consider issues of city planning, arising from the need not only to occupy areas vacated by the reorganization of port activities, but in a wider sense, to build relations that have been interrupted for many years. Finally, inspired by a little-known phenomenon, an architect explains how a container may be used to build an exhibition space, or more and more often, an actual building: a new trend, which is not only useful for recycling cast-off structures, it is also interesting as an idea for innovating architectural design.

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Porti e catene logistiche globali di Laura Facchinelli

Questo numero di Trasporti & Cultura è dedicato ai porti, alla loro attività, alla realtà presente e alle prospettive dei porti italiani, ad un confronto con altri porti europei. I porti sono infrastrutture fondamentali per il traffico delle merci, e quindi per l’economia di un paese. Nell’articolo di apertura si sottolinea che la politica dei trasporti e delle infrastrutture dovrebbe puntare a ridurre le inefficienze e le imperfezioni di mercato che si manifestano lungo le catene logistiche. Occorre ripensare i costi dei servizi, che gravano sui prezzi nali dei prodotti; sarebbe opportuno puntare sui porti che consentono di ridurre al minimo il percorso dal punto di origine a quello di destinazione, allo scopo di ridurre i costi e apportare bene ci per l’ambiente. Misurare la connettività e l’efficienza è il punto di partenza per migliorare le prestazioni di un porto e la sua competitività sul piano commerciale: questione importante, perché le prestazioni portuali sono uno dei fattori critici che possono in uenzare lo sviluppo economico di un paese. I porti del nord Europa basano il loro successo proprio sull’efficienza, oltre che sulla capacità di programmazione. I porti di Anversa e Rotterdam formano un complesso portuale-industriale rilevante a livello internazionale, che comprende altre realtà minori dell’area ammingo-olandese. Questi porti svolgono un importante ruolo strategico, che si è potenziato, nei decenni recenti, per la rapida crescita del traffico dei container; altrettanto importanti sono da considerare l’occupazione e il valore aggiunto che vi è generato. Per il futuro, gli esperti sottolineano che si dovrà rafforzare l’intermodalità dei collegamenti con l’entroterra portuale, puntando su navigazione interna e ferrovie. Le attività necessarie per sviluppare i processi, all’interno di un porto, sono distribuite tra numerosi soggetti, individui ed organizzazioni. Molteplici possono essere i fattori di crisi. Per evitare la stasi o il declino occorrono strategie, investimenti, capacità gestionale. Una risposta strategica è diventare un porto smart, con personale preparato, infrastrutture intelligenti e automatizzate, collaborazione fra i vari gruppi di interesse. Fin qui i contenuti degli articoli di apertura, che riguardano la progettualità e l’organizzazione gestionale. I contributi successivi analizzano alcune realtà portuali italiane. Trieste, consapevole del ruolo strategico legato alla propria collocazione nel cuore d’Europa e al vertice settentrionale di un “grande mare” aperto al mondo. Venezia, realtà della quale si analizza la funzionalità delle infrastrutture ferroviarie, fondamentali per il collegamento con l’entroterra. Genova, porto in continua evoluzione di cui si delineano le recenti s de per il miglioramento della connessione tra porto e retroporto (ultimo miglio portuale) e delle tecnologie a servizio del porto stesso. Napoli, dove il tema dei collegamenti ferroviari è al centro della programmazione, per superare un gap che segna negativamente un po’ tutto il Mezzogiorno. Un ulteriore contributo è dedicato ai porti di Taranto e Gioia Tauro: a proposito dei grandi terminal portuali dedicati ai traffici di transhipment nel settore container, si affronta il tema dello sviluppo economico-territoriale e dell’efficienza della logistica a supporto dell’industria manufatturiera del sud Italia. La panoramica si amplia con un’analisi sull’importante ruolo delle zone economiche speciali per lo sviluppo dei porti e del sistema industriale; con un confronto fra i porti del nord Italia e quelli del nord Europa in termini economici e ambientali; con una ri essione generale sullo stato presente della portualità del nostro paese. Dato che a noi della rivista piace, da sempre, il confronto con altre realtà geogra che, ecco una testimonianza su Singapore dove, a causa della limitata estensione territoriale, la gestione degli spazi portuali, urbani e industriali rappresenta una s da costante per garantire un’efficiente mobilità. Non va dimenticato che un porto non è solo una realtà produttiva, ma anche un’area con nante con la città. Importante la ri essione urbanistica, che nasce dall’esigenza non solo di occupare le aree dismesse a seguito della riorganizzazione delle attività portuali, ma, in senso più ampio, di costruire relazioni che sono state interrotte per molti anni tra il porto e il contesto retrostante, urbano e territoriale. In ne, prendendo spunto da un fenomeno ancora poco noto, un architetto spiega come si può utilizzare un container per costruire uno spazio espositivo o, sempre più spesso, anche un vero e proprio edi cio: una tendenza nuova, non solo utile per riciclare strutture non più utilizzate, ma anche interessante come spunto per l’innovazione nel progetto di architettura.

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Politiche per ridurre le inefficienze e aumentare la sostenibilità da Green Deal europeo della portualità e della logistica italiane di Paolo Costa

È stato stimato1 che, se il Logistic Performance Index2 dell’Italia nel 2014 avesse raggiunto - di colpo - i livelli della Germania, il PIL italiano sarebbe stato quell’anno superiore del 2,8% in più. Risultato analogo si otterrebbe ripetendo l’esercizio per il 2018; la sola differenza è che il benchmark odierno è dato da Singapore e non più della Germania.

Prezzi alla produzione e prezzi di mercato: le inefficienze da margini di trasporto e logistici da eliminare Gli ostacoli al raggiungimento di questo obiettivo restano in gran parte ancora oggi quelli delle inefcienze e delle imperfezioni di mercato che gonano con margini commerciali e costi di trasporto3 più alti del necessario la differenza tra i prezzi ex fabrica delle nostre produzioni, o quelli ex dogana delle nostre importazioni, e i prezzi ai quali produzioni interne o importazioni vengono vendute sui mercati italiani od esteri (vedi riquadro a pag. 8). Nel primo caso facendo soffrire i produttori italiani4, costretti ad esportare di meno o a comprimere i pro tti per restare competitivi sui mercati mondiali, nel secondo caso punendo i consumatori nazionali5 di beni intermedi e nali importati. Produttori e consumatori che nel nostro Paese hanno a lungo “sofferto in silenzio”, tutti concentrati ad aumentare l’efficienza solo dentro le loro fabbriche. Ma nel citare il costo di queste inefficienze - la cui riduzione dovrebbe essere il vero banco di prova di ogni politica di trasporto e delle sue infrastrutture - ci si dimentica spesso di sottolineare che esse hanno un rovescio della medaglia: esse misurano anche l’”eccessivo” maggior fatturato di altrettante attività di trasporto, logistiche od ausiliarie delle stesse, che producono occupazione, salari, pro tti e, per l’appunto, rendite: le molte rendite di posizione dalle quali nascono i maggiori costi da inefficienze che si annidano e prosperano lungo le catene logistiche. 1 Confcommercio - Isfort, Una nota sui problemi e le prospettive dei trasporti e della logistica in Italia, ottobre 2015. 2 Il Logistic Performance Index (LPI) è la media ponderata di sei indicatori: di efficienza delle dogane, di qualità delle infrastrutture di trasporto e distribuzione, di facilità di organizzazione delle spedizioni a prezzi competitivi, di qualità dei servizi logistici, di capacità di monitorare e tracciare le spedizioni, di frequenza e tempestività delle spedizioni. Fonte: World Bank’s Logistics Performance Index, http://lpi.worldbank.org/ 3 Oltre alle imposte indirette sulla distribuzione. 4 Caricatori dei traffici (shippers). 5 Destinatari dei traffici (receivers).

Policies to reduce inefficiencies and increase European Green Deal sustainability for the Italian port and logistics system by Paolo Costa The only transport and infrastructure policy useful to Italy is one that reduces both inefficiencies and market imperfections along its logistic chains. Related reductions in pollution from transport will contribute to the European Green Deal objectives. This result can be obtained either by reducing the “prices” of transport and logistics services, or by decreasing the “quantities” of the same services. In ports unitary margins (“prices”) are reduced by introducing more competition on the “relevant markets”. The margins “by quantity” are instead reduced when the goods follow the paths of minimum cost of transport. The choice of the minimum cost route will signi cantly reduce both transport costs charged to shippers or nal receivers and the indirect costs borne by the entire community. Both objectives can be achieved by removing the limits of nautical accessibility of ports both of the Upper Tyrrhenian and of the Upper Adriatic port systems. Land connections are those already provided by the trans-European transport network and the corresponding rail freight corridors. Unfotunately not yet realized.

Nella pagina a anco: nave portacontainer (fonte: https:// www.port.venice.it/it/container.html-0).

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TRASPORTI & CULTURA N.54-55 sola ancora ammessa alle pratiche concertative. Se, dunque, il vero contributo di trasporti e logistica alla crescita stabile dell’economia passa attraverso i loro effetti sui prezzi, il sistema italiano dei trasporti e della logistica potrà dirsi riformato per il meglio solo quando si sarà abbattuto il differenziale “improprio” tra i prezzi alla produzione (o all’importazione) e i prezzi di mercato (interni o internazionali) che costituisce una vera e propria tassa logistica da rendita ed inefficienza. Come agire dunque per abbattere questo differenziale di prezzi per la parte relativa alle inefficienze e alle rendite riscontrabili nei porti e nella loro logistica? Una parte delle azioni utili e necessarie a correggere alcune inefficienze portuali sono state de nite dal Piano Strategico Nazionale della Portualità e della Logistica dl 2015 (PSNPL)7; una frazione di queste hanno poi ispirato il decreto legislativo riforma delle autorità portuali del 20168.

Quando ci si compiace, ad esempio, dell’importanza occupazionale e di valore aggiunto del “cluster marittimo-portuale” bisognerebbe sempre ricordare che parte di quella occupazione e di quel valore aggiunto è, per quanto detto sopra, glia di rendite e inefficienze che, nell’interesse del Paese, andrebbero eliminate al più presto. Una contraddizione la cui sottolineatura è tutt’altro che secondaria perché impone di rendere chiaro ed inequivocabile l’obiettivo nale di ogni politica portuale e delle sue infrastrutture attenta ad aumentare produttività e competitività dell’Italia. Abbattere i margini impropri che appesantiscono i costi e i prezzi delle produzioni italiane implica avere presente il trade-off tra l’occupazione e il reddito “da rendita” goduti dall’”offerta” dei servizi di trasporto e logistici (armatori, spedizionieri, trasportatori, ecc.) -- e l’occupazione e il reddito “da competitività” dei quali può trarre vantaggio la “domanda” degli stessi servizi (caricatori o destinatari nali). Ma soprattutto prendere nettamente campo a favore di quest’ultima nella consapevolezza che è la difesa delle rendite attuali che rende molti degli incumbent pronti a resistere ad ogni cambiamento e che il perseguimento deciso della chiusura della divergenza6 tra la somma degli ottimi individuali e l’ottimo collettivo impone anche una modi ca di metodo di governo capace di dar voce alla “domanda”, ai “caricatori” e “destinatari” oggi vessati dai poteri esercitati sui mercati imperfetti da quella “offerta” che paradossalmente è la 6 Divergenza che è andata crescendo nel tempo in conseguenza delle politiche consociative e delle pratiche corporative nate al riparo del Codice della Navigazione che la legge 84/1994 ha modi cato solo in parte.

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Lo snellimento della governance delle nuove autorità di sistema portuale e delle procedure di de nizione dei piani regolatori portuali, l’introduzione dello sportello unico amministrativo e quello unico doganale e dei controlli, la sempli cazione delle formalità di arrivo e partenza delle navi, ecc., sono utili passi in avanti. Ma per perseguire l’obiettivo strategico della riduzione del totale dei margini da trasporto e logistica addossati agli utenti andrebbero perseguite altre azioni, più incisive, distinguibili tra quelle capaci di ridurre i “prezzi” (i maggiori margini unitari), e quelle, che qui più ci interessano in ottica di European green deal, capaci di ridurre le “quantità” (le inutili maggiori distanze percorse). Due categorie di azioni che richiedono una consapevolezza e una determinazione “politica” ferma e lungimirante, perché destinate a scontrarsi con le rendite di posizione di molti degli incumbent: oggi spesso più potenti di ogni potere pubblico chiamato a regolarli. Consapevolezza e determinazione da usare e meglio nalizzare all’obiettivo generale sopraindicato, tanto ostico quanto strategico per la crescita di una Italia che dovrà sempre più affidare quote crescenti della sua crescita ad esportazioni destinate a mercati extraeuropei quasi tutti oltremare. Basti osservare che dal 2002 al 2018 l’Italia ha aumentato le esportazioni al di fuori dell’Unione Europea dal 62,1 al 77,5 (+24%) di quelle dirette a stati membri dell’Unione. È facile immaginare che non manchi molto al momento nel quale l’export dell’Italia extra UE supererà quello di intra UE.

Indebiti maggiori margini (prezzi): operatori price maker e grado di concorrenza sui mercati rilevanti La prima categoria di azioni aggiuntive rilevanti è quella che punta a ridurre le rendite di posizione di molti operatori agenti lungo le catene logistiche, in mare, in porto e negli hinterland, attraverso una riduzione del loro potere di mercato. Un risultato che si può raggiungere: - aumentando il grado di concorrenza prevalen7 Approvato dal governo il 6 agosto 2015. 8 Decreto Legislativo 4 agosto 2016 n.169.


TRASPORTI & CULTURA N.54-55 te sui diversi mercati; da ottenere per regolazione e/o favorendo l’ingresso di soggetti più competitivi per dimensione e capacità di innovazione, e/o - con una gestione coordinata delle infrastrutture portuali, di trasporto e logistiche, che connettono - lungo le catene logistiche, almeno quelle operanti lungo i corridoi “europei” dei quali i porti italiani agiscono da radice marittima - i porti ai retroporti, anche oltre i valichi alpini, da aprire a soggetti integratori dei servizi erogati per raggiungere un livello di massa critica di traffico adeguata all’assorbimento dei costi ssi di molti di questi servizi. Azioni che avrebbero richiesto una articolazione dei sistemi portuali e logistici diversa da quella disegnata dal decreto legislativo 169/2016 Delrio, perché capace di dare regolazione, promozione competitiva e gestione infrastrutturale integrata a “porti larghi” (i porti capaci di servizi tra loro sostituibili a vantaggio dei mercati rilevanti) trasformati anche in “porti lunghi” (i porti, i retroporti e le infrastrutture di corridoio che li collegano sempre a servizio di mercati rilevanti). Competitività, concorrenza sui mercati rilevanti e Autorità di Sistema Portuale e logistico - La stragrande maggioranza degli operatori logistici e di trasporto gode di ampi poteri di mercato che li rende pricemaker. La distribuzione dell’accaparramento del valore tra gli operatori dei diversi anelli della catena logistica dipende dal potere di mercato relativo degli uni sugli altri, che a sua volta dipende dalle forme di regolazione che possono o meno “costringerli” ad agire in ambienti più concorrenziali. La somma dei prezzi imposti per i diversi servizi di trasporto o logistici dai diversi price-maker, ognuno dei quali tenderà a massimizzare il pro tto/rendita del proprio segmento della catena logistica, si scarica alla ne sugli utenti nali (produttori e/o consumatori) in misura tanto più abnorme quanto più basso è il grado di concorrenza tra imprese di dimensione non competitiva prevalente sui “mercati rilevanti”. Mercati rilevanti quali sono i mercati contendibili a scala europea dove i porti italiani non competono solo tra loro. È con riferimento all’obiettivo di aumentare il grado di concorrenza tra operatori, di dimensione adeguata, agenti sui mercati rilevanti di scala europea che si sarebbe dovuto impostare il problema della ride nizione del numero e della geogra a delle Autorità portuali, opportunamente trasformate in Autorità di sistemi portuali (“porti larghi”) o meglio di sistemi portuali e logistici (“porti larghi” e “lunghi”). Autorità agenti su ambiti territoriali abbastanza larghi da consentire/favorire la presenza di agenti di dimensione competitiva e in quanto tali in concorrenza virtuosa tra loro. E questo avendo riguardo alle loro funzioni sia di regolatori, sia di promotori di traffici in competizione territoriale, sia di gestori di infrastrutture. La riduzione a 15 autorità di sistema portuale operata dal decreto legislativo 169/2016 ha risolto, forse, qualche problema burocratico e/o, di spending review, ma non ha aiutato – come mostrano i tre anni di esperimento -- nella ricerca e nel mantenimento della competitività “dei” sistemi portuali italiani9 tramite la salvaguardia di regimi di con9 Che non agiscono come parti di un unico sistema portuale nazionale se non per puro “arbitrio del principe” la sottoposi-

correnza sui mercati rilevanti10. L’Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Settentrionale, per fare un esempio relativo alla regolazione, continua a regolare la concorrenza tra i terminalisti di Venezia, ma nulla può fare in caso di concorrenza distruttiva tra un suo terminalista e un terminalista regolato dalla Autorità di Sistema Portuale del Mar Adriatico Centro-settentrionale che tratti lo stesso traffico da Ravenna. O peggio, facendo concorrenza a Ravenna nel promuovere un traffico simile, per merceologia e mercato di riferimento, l’Autorità di Venezia sprecherà energie da “polli di Renzo”, invece che dedicarle a vincere la competizione di altri porti stranieri pronti a contendere (e sottrarre) a Ravenna e Venezia il loro mercato “naturale” comune. Non aiuta più di tanto il fatto che la riduzione delle Autorità di Sistema Portuale sia stata modellata sui cosiddetti porti “core”: quelli de niti dall’Unione Europea11 come nodi rilevanti della rete transeuropea di trasporto centrale, o essenziale, o “core”, appunto. Qui occorre liberarsi da un equivoco: ai ni della riorganizzazione degli scali in sistemi competitivi a scala europea il riferimento al porto “core” è condizione necessaria, ma non sufficiente. I porti “core” sono “nodi” che collegano - singolarmente o riuniti in gateway multi-portuali signi cativi - la rete transeuropea di trasporto con il resto del mondo, con le reti globali sulle quali corrono sempre più gli scambi di merci. Ma i porti “core” sono tali soprattutto perché fungono da radice marittima dei “core corridors” europei12, funzione alla quale possono essere eccezionalmente chiamati singolarmente, ma nella maggior parte dei casi in “coopetizione” tra loro, quando il “core corridor” presenti una radice marittima “a delta”13 o, comun-

1 - Sistemi portuali e grandi cororidoi europei.

zione a norme nazionali diverse da quelle europee. 10 La subordinazione formale e sostanziale dell’attività delle Autorità di Sistema Portuale agli “indirizzi” centrali (gestionali, infrastrutturali e di piani cazione) del Ministero condiziona, depotenziandone la componente pubblica, la competizione tra sistemi portuali sostanziali. Lo scenario de nito con il decreto 169/2016 è quello di una arena portuale e logistica nella quale si confrontano operatori privati, non necessariamente sensibili a logiche territoriali, tra loro e con il governo centrale senza alcuna mediazione competente di entità (come le vecchie autorità portuali) rappresentative dei sistemi funzionali portuali e logistici e delle loro proiezioni territoriali su mercati rilevanti. 11 Regolamento (UE) n. 1315/2013 sugli orientamenti dell’Unione per lo sviluppo della rete transeuropea dei trasporti. 12 È questa la ragione per esempio che aveva indotto l’Unione Europea ha non indicare Civitavecchia tra i suddetti porti core. 13 È il caso della radice marittima mediterranea del Corridoio Baltico-Adriatico che va da Ravenna a Koper, se non a Rijeka, passando per Venezia e Trieste.

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TRASPORTI & CULTURA N.54-55 que, quando più porti core vengono tutti toccati da linee nel servire un unico mercato rilevante. È la relazione “core ports/core corridors” che de nisce quella tra porti e loro mercati rilevanti, con particolare riferimento alla diversa esposizione alla competitività internazionale, e quindi alla contendibilità, dei diversi subsistemi portuali. Ed è il grado di contendibilità che rende in Italia completamente diverso dagli altri il ruolo dei porti dell’Alto Tirreno, da Genova a Livorno, e di quelli dell’alto Adriatico, da Ravenna a Trieste e poi a Koper e Rijeka. A servizio, gli uni, del corridoio RenoAlpi (ex Rotterdam- Genova), gli altri, del corridoio Adriatico-Baltico, e tutti e due del corridoio Mediterraneo; mentre tutti i porti “core” italiani sono in qualche modo radici marittime del corridoio Scandinavo-Mediterraneo che attraversa l’Italia dal Brennero a Palermo14. Ne consegue che non ha avuto molto senso puntare su un modello unico di Autorità di Sistema, perché solo quelle relative all’alto Tirreno e all’alto Adriatico sono esposte alla concorrenza piena di sistemi portuali e logistici non italiani e andavano attrezzate per acquisire e gestire livelli di competitività necessari a vincere questa concorrenza15. Non è estraneo a queste non-decisioni il fatto che dal 2017 al 2019 i traffici provenienti dall’oltre Suez e diretti all’Europa abbiano visto crescere la quota trattenuta dai porti mediterranei ma non da quelli italiani. In teoria la partita non è ancora chiusa perché il decreto 169/2016 prevede (prevedeva) che a partire dall’autunno 2019 si potesse por mano ad un ulteriore riordino del sistema delle autorità portuali italiane. Se questo dovesse avvenire, anche l’esperienza fatta in questi anni di applicazione del decreto 169/2016 suggerisce che l’articolazione delle Autorità di Sistema portuale e logistico italiano funzionale alla riconquista della sua competitività europea andrebbe ricondotta a sei ambiti (Alto Adriatico, Alto Tirreno, Basso Adriatico, Basso Tirreno, Sicilia e Sardegna)16 ( gura 1), caratterizzati ognuno da funzioni e compiti diversi da svolgere, distinguendo tra “proiezione europea” - per Alto Tirreno e Alto Adriatico, negoziando in sede UE per quest’ultima forme “europee” di cooperazione/competizione nella gestione del comune avanmare con Koper e Rijeka17, ma anche per il Basso Adriatico, non appena l’integrazione nell’Unione Europea dei Balcani consentirà di riprendere il progetto del “Corridoio VIII” da Bari verso il mar Nero - e “proiezione mediterranea” per tutte le altre. Con un tema comune di rilancio dell’industrializzazione costiera (manifatturiera e quasi-manifatturiera) sempre più “portocentrica” nell’era dei mercati globalizzati18 nelle ZES in via di 14 Regolamento (UE) n. 1316/2013. 15 Attenzione ancor più particolare andava riservata alle Autorità di Sistema Portuale dell’Alto Adriatico: qui non si può chiudere gli occhi sul fatto che i porti italiani di Ravenna, Venezia e Trieste, agiscono in cooperazione/competizione con quelli sloveni, Koper, e croati, Rijeka. Una“coopetizione” questa che, valorizzata in termini europei –sul modello della coopetizione tra i porti di Copenhagen (Danimarca) e Malmö (Svezia) gestiti da una sola autorità portuale la Copenhagen-Malmö Port --, avrebbe enormi effetti positivi sull’intero alto Adriatico, con effetti bene ci sull’intera logistica europea. 16 Per una discussione più approfondita delle ragioni che avrebbero consigliato una articolazione del sistema portuale italiano in sei subsistemi da affidare ad altrettante Autorità di Sistema portuale e logistico si veda: Costa P. e Maresca M, Il futuro europeo del sistema portuale italiano, Venezia, Marsilio, 2014, cap.3. 17 Una qualche forma di cooperazione/competizione andrebbe organizzata almeno tra Trieste e Koper sfruttando i margini di manovra consentiti dal diritto europeo. 18 Sul tema si veda Paolo Costa (a cura di), Una nuova alleanza

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costituzione e di interesse strategico soprattutto per la portualità del Mezzogiorno. E con il tema speciale, da trattare in un “luogo” a parte perché non affidabile alla sola responsabilità delle Autorità di Sistema, della esposizione alla concorrenza internazionale delle attività di transhipment che vede Gioia Tauro, Taranto e Cagliari competere con maggiore o minore difficoltà con altri scali mediterranei, europei ed africani meglio piazzati lungo la trunk line che collega Suez a Gibilterra Un fronte competitivo, quest’ultimo, questo sì da gestire in modo unitario, nella consapevolezza che la geogra a dei traffici mondiali e della tipologia delle navi prevalenti (sempre più grandi) non gioca a favore del transhipment nei nostri porti. A questo scopo, il Governo dovrebbe proporre, dopo essersi confrontato con le Regioni su uno schema di proposta tecnicamente fondata, e il Parlamento approvare, un piano dei servizi e delle infrastrutture di trasporto e logistiche ad orizzonte 2030 e 2050 in coerenza con gli orizzonti delle politiche europee in materia. Un piano da aggiornare obbligatoriamente ad intervalli temporali discreti su impulso del Governo, come un tempo previsto per il Piano Generale dei Trasporti: quello richiamato dall’art.201 del codice dei contratti19, ma immediatamente derogato. Naturalmente un piano che dovrebbe assumere caratteristiche di forma e di sostanza tali da far immaginare che una volta redatto lo stesso verrebbe a costituire una garanzia di continuità di politica infrastrutturale tenuta al riparo anche dalle vicende del ciclo politico. È a questo piano che, per quanto riguarda i porti, andrebbero progressivamente adeguati i piani regolatori dei singoli scali e delle diverse Autorità Portuali, ma anche i piani di sviluppo di interporti ed infrastrutture stradali, ferroviarie e di navigazione interna ad essi connesse. Insomma un quadro programmatico di lungo periodo, stabile ed affidabile, promosso dallo Stato sulla base di obiettivi espliciti, tecnicamente veri cati e democraticamente condivisi.

Competitività e concorrenza sui mercati rilevanti e integrazione di funzioni ed operatori lungo la catena logistica - È però, difficile pensare di aumentare la propria competitività per vincere la concorrenza europea senza abbandonare il modello di separazione netta tra attività svolte nei porti e quelle svolte negli hinterland di riferimento. Un anacronismo che fa a pugni con la continua ricerca degli operatori di integrare funzioni terminalistiche con quelle di linea marittima e/o di logistica a terra, costruendo soggetti che estendono il loro potere sui mercati imperfetti lungo le catene logistiche. La risposta dal lato delle Autorità di Sistema che sovraintendano a un mercato rilevante con queste caratteristiche dovrebbe essere corrispondentemente adeguata, nella convinzione che la competitività (di un sistema territoriale legato a uno o più porti) si accresce - e augurabilmente la concorrenza si vince - integrando la stessa gestione delle infrastrutture portuali con quelle di trasporto ferroviario, stradale e di navigazione interna e di logistica a terra, così come con l’integrazione dei servizi capaci di coprire più di un arco della catena logistica: dal porto verso il mare come verso terra. È peraltro sul lato terra più che sul lato mare che è possibile costruire solide alleanze e strategie di tra porto e industria. Una s da e sette risposte per Porto Marghera, Venezia, Marsilio, 2016. 19 Decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50.


TRASPORTI & CULTURA N.54-55 promozione di servizi congiunti. Il mare, come è noto, è dominato da pochi operatori footloose agenti su mercati non concorrenziali sulla base di scelte aziendali essibili e quindi di breve periodo, non correlabili ai tempi di decisione e di attuazione di investimenti sulle capacità portuali e sulla geometria della rete infrastrutturale20. In questa situazione appare evidente la necessità di creare almeno organismi dedicati a gestire in modo integrato, o almeno coordinato, i segmenti delle catene logistiche globali - i “porti corridoio” - che attraversano dai porti ai valichi il nostro Paese lungo i corridori prioritari già de niti in sede europea con il ridisegno della rete transeuropea di trasporto centrale (core network). Organismi da organizzare attorno ai porti - corridoio tra il Tirreno e i valichi franco-svizzeri e tra l’Adriatico e i valichi austriaci e sloveni21 appaiono come i più necessari ed urgenti. Tutti postulano comunque una volontà (e un quadro giuridico) di integrazione nella gestione di archi e nodi rilevanti e dei loro servizi: una rivoluzione copernicana nel panorama italiano. Competitività, concorrenza, innovazioni e nuovi operatori - Ma, sempre al ne di introdurre un maggior grado di concorrenza su mercati rilevanti, non va trascurata nemmeno la possibilità dell’entrata sul mercato italiano di operatori, nazionali e non, portatori di innovazioni e/o di taglia maggiore e comparabile con quella prevalente sui mercati europei concorrenti. Nuovi soggetti capaci di sfruttare economie di scala ed economie di innovazione imporrebbero minori prezzi, che costringerebbero anche gli incumbent a farlo rinunciando a parte delle loro rendite di posizione. Senza regolazione ottimale per scala geogra ca e per estensione delle integrazioni lungo le catene logistiche i prezzi dei servizi di trasporto e logistici sono destinati a restare più alti del necessario e causare una buona parte dei maggiori costi da inefficienze di trasporto e logistiche sopportati da produttori e consumatori.

Indebiti maggiori margini (minori distanze percorse): nuove capacità e nuova geometria della rete per il recupero dei sentieri di percorso minimo Più semplice, almeno nella loro de nizione, sono le azioni da compiere per ridurre la “tassa logistica” da maggiori margini totali dovuti a quantità “inutili” di servizi di trasporto e logistici. 20 T. Notteboom and P. de Langen, “Container port competition in Europe” in Lee, C.-Y., Meng, Q., Handbook of Ocean Container Transport Logistics – Making Global Supply Chain Effective, International Series in Operations Research & Management Science, Vol. 220, Springer International Publishing. 21 Uno dei porti corridoio che meglio e più rapidamente possono rispondere alle esigenze strategiche summenzionate è sicuramente quello che va dal valico del Brennero ai porti di Venezia e Ravenna lungo due tratte di corridoio prioritario, una del corridoio Scandinavo Mediterraneo (Brennero-Verona-Bologna) e una del corridoio Mediterraneo (Verona- Venezia) che si incrociano a Verona oggi sede del più importante interporto italiano ed europeo e che in più si possono avvalere dei servizi degli interporti di Padova e Bologna. Il porto corridoio Brennero- Venezia/Ravenna è quello che possiede i margini di crescita che gli possono far acquisire la dimensione di scala necessarie per competere a livello europeo e quello che può sfruttare questi margini nel modo più tempestivo.

Il totale dei “margini” che si frappongono tra i prezzi alla produzione o all’impostazione e quelli di mercato dipendono, oltre che dalla misura dei prezzi dei servizi di trasporto e logistici, dalle distanze fatte percorrere alle merci trasportate: anche queste sono andate progressivamente divenendo più lunghe del necessario. È pertanto intervenendo sulle distanze percorse con una politica che favorisca la scelta del percorso minimo - da intendersi come quello che meglio approssima la distanza in linea d’aria tra ogni punto A e ogni punto B - che si può ottenere una riduzione consistente sia dei tempi e dei costi diretti di trasporto fatti pagare ai caricatori o ai ricevitori nali sia quelli indiretti (le diseconomie esterne da inquinamento, congestione, incidentalità) fatti sopportare all’intera collettività. Se poi i nodi (nel nostro caso, i porti) di percorso minimo vengono adeguati in “capacità” no a renderli capaci di trattare i megacarichi e quindi attrezzati per trarre pro tto da ogni economia di scala (da quelle sfruttabili sulle tratte marittime con le meganavi (oltre 18.000 TEU) a quelle sfruttabili nei porti con innovazioni portuali all’altezza dei megacarichi22, l’avvicinamento dei percorsi

2 - Il costo minimo di trasporto si realizza solo costruendo la rete adeguata. 3 - I maggiori costi stradali sopportati dalla manifattura veneta. Elaborazione APV su dati Autorità Portuale di Genova, Confetra, Eurostat e Istat.

22 Risponde a questo obiettivo il VOOPS (Venice Offshore Onshore Port System), sistema portuale pensato per Venezia imperniato su una piattaforma d’altura in acque profonde capace di ricevere ogni meganave e avviare il primo deconsolidamento di ogni megacarico che continuerà poi su più di un terminale onshore (esistente) per continuare su terminali retroportuali sempre più vicini ai punti di destinazione nale. Il primo deconsolidamento offshore- onshore avviene affidando il megacarico allo stoccaggio dinamico in cassette ottanti da 400 TEU trasferite dall’offshore all’onshore da Mama Vessel lash (se-

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4 - La possibile riduzione di emissioni di Co2.

effettivi a quelli minimi può produrre il massimo degli effetti di compressione dei margini indebiti di trasporto. Per ottenere questi risultati occorre una politica attiva che favorisca l’uso dei porti da percorso minimo, a parità di infrastrutture, e una politica infrastrutturale che, realizzando al più presto quella disegnata a Bruxelles sui multiporti che fanno da radice marittima ai “Core Corridors” delle reti TEN-T, modi chi capacità dei porti (fondali, spazi e collegamenti) e geometria delle reti in modo coerente con l’avvicinamento ai percorsi in “linea d’aria”. Anche questo può però solo essere il frutto di una politica coraggiosa, perché anche l’ottimo collettivo del percorso minimo non coincide necessariamente con l’ottimo delle singole imprese produttrici dei servizi di trasporto che possono trovare occasioni di rendita - anche questa fatta pagare a caricatori e ricevitori, nel persistere dell’obsolescenza attuale di reti e nodi ( gura 2).

L’obsolescenza della geometria e della capacità delle reti infrastrutturali italiane storiche Oggi in Italia non è così. Le merci che transitano in entrata o in uscita dai porti italiani non lo fanno necessariamente attraverso quelli che consentirebbero di raggiungere le destinazioni nali, produttive o di consumo, seguendo percorsi di costo minimo. La gura 3 mostra il risparmio dei soli costi di trasporto stradale che verrebbe conseguito dalla manifattura veneta qualora potesse utilizzare il porto di Venezia, sulla rete adeguata e quindi sul loro sentiero di costo minimo, invece del porto di Genova, sulla rete obsoleta adattata. Questo perché la capacità e la geometria dell’attuale rete infrastrutturale di trasporto italiana non lo consente essendo ancora quella, obsoleta, costruita in risposta alla geogra a dei traffici globali e alla geogra a della produzione italiana ed europea dello scorso secolo. Capacità e geometria storiche oggi messe in crisi: - a scala globale, dal prevalere delle relazioni tra Europa ed Estremo Oriente su quelle tra Euromisommergibili). Vedi per una descrizione tecnica: Maritime Reporter, VOOPS: building the Venice Offshore Port, September 2015.

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pa e Nord America; dalla maggior importanza nei traffici intra-mediterranei di quelli provenienti dal Mediterraneo orientale e dal Mar Nero; dalla percezione originaria (Via della Seta marittima del 21° secolo nella strategia cinese “Belt and Road initiative”) dell’Alto Adriatico (e di Venezia in particolare) come la più conveniente porta per l’Europa, assieme ad Atene e Istanbul, da parte della Cina23; dalla continua ricerca russa di uno sbocco Mediterraneo percepito come proprio “terzo mare”; - a scala europea ed italiana da uno spostamento ad est, nel caso dell’Europa e a nord-est, nel caso dell’Italia, del baricentro delle produzioni manifatturiere. Il Port Manufacturing Accessibility Index, che misura l’accessibilità teorica di tutte le aree manifatturiere europee rispetto a ciascuno dei porti europei core, mostra che fatta esclusione per Londra, i primi 16 porti sono tutti concentrati nel Northern Range o nel nord Italia (Venezia, seguito da Ravenna e Trieste in Alto Adriatico, e Genova in Alto Tirreno). Lo stesso indice calcolato con riferimento alla sola geogra a della produzione manifatturiera italiana riconferma il ruolo preminente delle portualità Alto Adriatica24 ed Alto Tirrenica. Immaginando di far transitare tutti i traffici container in export attraverso un solo porto, e attribuendo le quote di traffico alle varie province italiane sulla base della propensione all’export delle stesse si osserva che il porto di Ravenna è quello che massimizza l’efficienza dei traffici di export, seguito da Venezia ed altri tre porti tirrenici, tutti entro un gap di accessibilità dell’11% (Genova). È in questo contesto che risulta evidente l’obsolescenza relativa di nodi portuali e reti di collegamento storici, costruiti nei decenni trascorsi in risposta ad una geogra a dei traffici che oggi non c’è più, e, per contro, nella scarsa capacità dei nodi portuali e nella inadeguatezza delle reti che oggi garantirebbero la percorrenza delle distanze minime alle merci. Adeguando la capacità dei nodi portuali e delle reti “di percorso minimo” si otterrebbe il doppio risultato di abbattere sia i maggiori costi diretti di trasporto e logistici - percepiti dal mercato - che oggi vengono ribaltati sul prezzo delle merci sia quelli indiretti, da inquinamento e congestione, che, anche se non ancora apprezzati dal mercato, si ribaltano comunque sulla collettività25. Sta in questo il maggiore e più immediato contributo italiano allo sviluppo dell’European Green Deal europeo lanciato nel dicembre 2019 dalla Commissione Von der Leyen ( gura 4). Ma l’evidenza del contesto non ha ancora prodotto il risultato conseguente. 23 Proposta originaria cinese che il governo italiano non ha saputo cogliere accontentandosi di investimenti italo-cinesi meno strategici nei porti di Trieste e di Genova. La politica cinese di traffico eurasiatico si è così concentrata sui porti del Pireo (Grecia) e di Valencia (Spagna) 24 Ravenna e Venezia, ma non Trieste che, eccentrico, rispetto alla localizzazione della manifattura italiana è un porto che opera in Italia ma non per il sistema produttivo italiano. 25 Il caso europeo è noto: il trasporto di un container che dalla Cina va in Germania (Monaco di Baviera) via Rotterdam anziché via Venezia produce almeno 78 kg di CO2 in più per TEU ( no a 600 tons di CO2 per una portacontainer da 8.000 TEU). Consentire a Venezia di trattare un milione in più di TEU all’anno provenienti dall’Estremo Oriente e diretti in Europa varrebbe circa 125.000 tonnellate/anno di CO2 in meno, oltre al risparmio di tempo e al minore costo dei combustibili. Nel caso italiano, se solo Venezia trattasse i container diretti al Veneto oggi “costretti” a passare per Genova e la Spezia si risparmierebbe l’emissione di almeno 10.000 tonnellate di CO2 ogni milione di TEU se trasportati per via mare/ferro e di oltre 30.000 tonnellate di CO2 ogni milione di TEU se trasportati per via mare/strada.


TRASPORTI & CULTURA N.54-55 La geogra a della portualità italiana ed europea non è ancora cambiata. Anzi, di fronte al mutare della geogra a delle origini e destinazioni dei trafci entrambe le portualità storiche hanno reagito arroccandosi, cercando di raggiungere economie di scala che compensassero, almeno in parte, i maggiori costi di trasporto per l’allungarsi delle distanze via mare e via terra. Il resto dei maggiori costi da maggiori distanze è stato invece trasferito sui prezzi in forza del potere di mercato esercitato dagli incumbent. Politiche infrastrutturali distratte o conniventi hanno nora favorito queste inefficienze scaricate a danno dei ricevitori dei traffici. È così che molti mercati europei più vicini ai porti del Mediterraneo hanno continuato ad essere serviti dai porti del mar del Nord per i traffici da e per l’oltre Suez, nonostante almeno cinque giorni di navigazione in più e alcune centinaia di chilometri ulteriori via terra. Una situazione che, a fatica, la politica europea delle infrastrutture di trasporto ha immaginato di correggere entro il 2030 - ma nora tutt’altro che attuato26 -, data entro la quale dovrebbe essere completata la realizzazione della rete di trasporto transeuropea centrale e i suoi Core Corridor nalmente dotati di radici marittime mediterranee27. Non dissimile la realtà italiana, con mercati, soprattutto manifatturieri, più vicini ai porti adriatici che hanno continuato ad essere invece serviti da porti tirrenici, nonostante la relativa maggior lontananza di questi ultimi dalle origini e destinazioni dei traffici. Una situazione che la politica infrastrutturale italiana non sta ancora esplicitamente immaginando di correggere, con il rischio di non cogliere in tempo le dinamiche favorevoli a livello globale e mediterraneo. È lo spostamento ad est del baricentro europeo della produzione manifatturiera, nonché l’aumento prevedibile del reddito nei paesi della nuova Europa e di quella balcanica, che segnalano l’urgenza di adeguare alla competitività europea innanzitutto il gateway multiportuale dell’Alto Adriatico. Un gateway da attrezzare per metterlo in condizione di servire sia il mercato dell’Alto Adriatico Ovest (Italia settentrionale, Svizzera e Germania meridionale) da Venezia e Ravenna, sia il mercato dell’Alto Adriatico Est (Austria, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria, paesi balcanici) da Trieste (in coopetizione con Koper e Rijeka) ( gure 5 e 6). Va comunque precisato che l’auspicato aumento di capacità portuale Alto Adriatica (6 milioni di TEU annui per il 2030) va inteso a completamento di quella Alto Tirrenica (da ritoccare anch’essa verso i 6.5 milioni di TEU annui per il 2030) per contendere assieme ii mercati europei alle portualità non italiane concorrenti. MDS Transmodal28 aveva confermato la plausibi26 L’attuazione della politica Ten-T ha nora visto una assegnazione dei fondi europei alle diverse modalità di trasporto lungo i nove corridoi della rete centrale con il 78,8% dei fondi assegnato alle infrastrutture ferroviarie, l’8,4% alle vie navigabili interne e il 6,7% alle infrastrutture stradali. Il trasporto marittimo, inclusi i porti, ha ricevuto il 4,3% dei fondi UE con solo l’1,45% andato ai porti del Mediterraneo. 27 Una politica europea - e italiana - che dovrà fare i conti con la politica cinese di implementazione della strategia One Belt One Road pur avendone sottostimato le proposte di sviluppo della portualità Adriatica (Venezia). 28 MDS Transmodal (North Adriatic Port Association “Update of Market Study on the potential cargo capacity of the North Adriatic port system in the container sector” , MDS Transmodal Ltd, dicembre 2013) aveva confermato la plausibilità dell’obiettivo 2030 .

lità dell’obiettivo del raggiungimento di un traffico complessivo di 5,9 milioni di teu nel 2030 per i porti alto adriatici sulla base di ipotesi ragionevoli di sviluppo della capacità nei singoli porti da Ravenna a Rijeka e fondato sulla posizione geograca dell’Alto Adriatico, un mare con due sponde che offre alla stessa nave sia i ricchi mercati storici italiani , tedeschi e svizzeri (da Ravenna e Venezia) sia i promettenti nuovi mercati dell’Europa centro orientale (da Trieste, Koper e Rijeka) - il vero oggetto del desiderio - contesi dalle portualità mediterranee orientali (dal Pireo a Istanbul a Costanza), ma anche di quelle baltiche già in concorrenza con quelle storiche del Mar del Nord. Capacità Alto Adriatica e Alto Tirrenica, peraltro, in nessun modo sostitutive di un aumento di capacità portuale nel Mezzogiorno, per la sostanziale indipendenza dei mercati serviti in Italia e dei mercati mediterranei e balcanici di riferimento, rispetto ai quali la portualità meridionale va tarata. Adeguamenti specializzati di capacità che servirebbero all’Italia per vincere una competizione che è alla sua portata.

5 - Il multiporto adriatico alla radice dei corridoi europei. 6 - La complementarietà tra gli scali occidentali e gli scali orientali del multiporto Alto Adriatico. Fonte: Autorità Portuale di Venezia, 2016.

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Measuring port connectivity and efficiency. Crucial to improve port performance and trade competitiveness By Hassiba Benamara, Jan Hoffmann, Luisa Rodriguez and Frida Youssef

Recognizing the importance of measuring container port performance, UNCTAD developed the Liner Shipping Connectivity Index (LSCI) in 2004 to determine countries’ positions within global liner shipping networks. The latest country-level LSCI statistics were published in July 2019. Subsequently, on 7 August 2019, UNCTAD launched: - The port LSCI. This indicator draws upon the same methodology applied to the country-level LSCI1. It is developed in collaboration with MDS Transmodal2 and covers more than 900 ports over the 2006-2019 period.3 - A new comprehensive table that features port calls by country, the typical turnaround time as well as the average size and age of ships. The statistics are derived from automatic identi cation system (AIS) data in collaboration with MarineTraffic. The rst year of co1 Liner Shipping Connectivity Index, annual in UNCTADstat: https://unctadstat.unctad.org/ wds/TableViewer/tableView. aspx?ReportId=92 2 https://www.mdst.co.uk/ 3 The liner shipping connectivity index (LSCI) indicates a country’s level of integration into global liner shipping networks. The LSCI is an index set at 100 for the maximum value of country connectivity in 2006, which was China. The LSCI is based on information about liner shipping companies’ schedules, provided by MDSTransmodal. The LSCI was updated and improved in 2019, expanding country coverage and incorporating one additional component (the number of country-pairs with a direct connection). The newly generated index for 2006 onwards, set the new index at 100 for the country with the highest average in 2006. The new time series replaces the earlier UNCTAD LSCI, which had been generated from 2004 onwards. Readers interested in the earlier time series, covering 2004 until 2018, may contact rmt@unctad.org. The current version of the LSCI is generated from the following six components: - The number of scheduled ship calls per week in the country; - Deployed annual capacity in Twenty-Foot-equivalent Units (TEU): total deployed capacity offered at the country; - The number of regular liner shipping services from and to the country; - The number of liner shipping companies that provide services from and to the country; - The average size in TEU (Twenty-Foot-equivalent Units) of the ships deployed by the scheduled service with the largest average vessel size; and - The number of other countries that are connected to the country through direct liner shipping services (Note that a direct service is de ned as a regular service between two countries; it may include other stops in between, but the transport of a container does not require transhipment). The LSCI is generated for all countries that are serviced by regular containerized liner shipping services. For each component, we divide the country’s value by the maximum value for the component in 2006 and then calculate the average of the six components for the country. The country average is then again divided by the maximum value for the average in 2006 and multiplied with 100. The result is a maximum LSCI of 100 in the year 2006. This means that the index for China in 2006 is 100 and all other indices are in relation to this value.

La misura della connettività e dell’efficienza dei porti è la chiave per il miglioramento delle prestazioni e la competitività commerciale di Hassiba Benamara, Jan Hoffmann, Luisa Rodriguez e Frida Youssef Ogni anno i container, noti anche come “umili eroi” della globalizzazione, vengono gestiti in centinaia di milioni di porti in tutto il mondo. Al ne di ridurre al minimo i costi commerciali (che comprendono i costi di trasporto, il collegamento delle catene di approvvigionamento e il sostegno al commercio internazionale), i porti devono essere efficienti e ben collegati. Ciò può essere reso possibile da servizi di spedizione frequenti e regolari. Pertanto, le prestazioni portuali sono uno dei fattori critici che può in uenzare la competitività commerciale dei paesi. Ogni ora di tempo risparmiata dalle navi nel porto si traduce nel risparmio di: spese per le infrastrutture portuali, costi per le navi dei vettori e spese di deposito per gli spedizionieri. Riconoscendo l’importanza delle misure delle prestazioni dei porti (e in particolare per i container), l’UNCTAD ha sviluppato nel 2004 il “Linear Shipping Connectivity Index” (LSCI) per determinare le posizioni dei paesi all’interno delle reti globali di trasporto marittimo di linea. In questo articolo vengono descritte quindi le principali analisi e le ri essioni critiche che riguardano i porti e il traffico di container attraverso l’evoluzione negli anni del “Linear Shipping Connectivity Index”. In the front page: Dar es Salaam port, Tanzania (particular). Photo credit: Jan Hoffmann. https://janhoffmann. live/2012/06/25/the -por tof-dar-es-salaam/#jp-carousel-5586. “Shipping, trade logistics and development, A photo blog by Jan Hoffmann”: https://janhoffmann.live/

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verage is 2018, with updates scheduled every six months4. The two new datasets complement existing UNCTAD maritime statistics5 and indicators that measure and track progress towards the achievement of the Sustainable Development Goals6 and their targets. Insights generated by the new data will help businesses and governments identify global trends in liner shipping connectivity and port efficiency as well as monitor the position of their ports within the global container ports landscape.

Port connectivity: what does the new dataset tell us? Ports in smaller countries tend to provide transhipment services to larger neighbouring countries. Often, smaller economies bene t from cabotage restrictions in larger neighbouring countries, as these restrictions limit the options of connecting (feedering) services along the coasts, e.g. of Brazil, India, Japan or the United States. Colombo (Sri Lanka) has a higher LSCI than any Indian port, Montevideo (Uruguay) has signi cantly improved its connectivity, while the LSCI of Santos (Brazil) has been stagnant. In the Caribbean, Bal4 In total, based on AIS data for the world commercial eet of ships of 1000 GT and above, there were 1,884,818 port calls recorded in 2018. Calculations are based on data provided by MarineTraffic (www.marinetraffic.com). Aggregated gures are derived from the fusion of AIS information with port mapping intelligence by MarineTraffic, covering ships of 1000 GT and above and not including passenger ships. Only arrivals have been taken into account to measure the number of port calls. Not including cases with less than 10 arrivals or 5 distinct vessels on a country level per commercial market as segmented. 5 UNCTAD maritime statistics: http://stats.unctad.org/MARITIME 6 UNCTAD takes the pulse of the SDGs: https://sdgpulse.unctad.org/

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boa (Panama), Caucedo (Dominican Republic) and Kingston (Jamaica) have long been leading hub ports. The expanded Panama Canal has led to shifts in service patterns. The LSCI of New York/ New Jersey and Savannah on the east coast of North America grew by more than 20% since 2016, while the leading ports on the west coast of North America have seen their LSCIs stagnate. The all-water route from Shanghai to the east coast has gained competitiveness vis-à-vis the competing land bridge and the Suez Canal route. Ports in Panama and Cartagena in Colombia saw their respective LSCI scores increase signi cantly. There are still no major hub ports on the west coast of South America. New investments attract additional services. Investment growth (public and private, as well FDIs) in ports generate new services and activities. It’s worth noting that Piraeus (Greece), operated by COSCO (China), has become the best-connected port in the Mediterranean in 2019. Other ports with Chinese investments that have seen their LSCIs go up include Colon (Panama), Khalifa (UAE) and Lomé (Togo, see Figure 2). West African ports have attracted direct services from China, leading to larger vessels being deployed on these routes. Africa: Both geography and port reforms matter. The best- connected ports in Africa are those located at the north-eastern, north-western and southern edges of the continent, i.e. ports in Morocco, Egypt and South Africa. In comparison, western African ports display relatively lower connectivity levels given their location outside the trajectory of major north-south and east-west shipping routes. Mombasa (Kenya) and Dar es Salaam (Tanzania) connect Burundi, Rwanda and Uganda to overseas markets through dedicated corridors; however, they remain highly congested. Asia: China’s ports feature at the top of the list. Shanghai is the best-connected port in the world today; it has overtaken Hong Kong, China SAR,


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1 - Shanghai port, China. Photo credit: Jan Hoffmann. https://janhoffmann. live/2016/05/31/shanghaipor t/#jp-carousel-13085. “Shipping, trade logistics and development, A photo blog by Jan Hoffmann”: https:// janhoffmann.live/

2 - Liner shipping connectivity index for the top 10 ports in Western Africa, 2006-2019. Source: UNCTAD (2019). Review of Maritime Transport 2019. Note: UNCTAD secretariat calculations, based on data from MDS Transmodal. Underlying data for these and all other ports are available at http://stats.unctad. org/maritime

which ranked rst in 2006. Ningbo doubled its LSCI since 2006. Outside China, the highest LSCI scores were recorded in Singapore and Busan (Republic of Korea). Connectivity in Kobe and Nagoya (Japan) declined over the last decade, re ecting slower economic growth in Japan and the fact that its ports are less competitive as transhipment centres. Paci c: The plight of Small Island Developing States (SIDS): Paci c Island countries exhibit some of the lowest shipping connectivity levels worldwide.

Port Vila (Vanuatu) receives about one container ship every three days, and there are only four companies providing any regular shipping services to the country. In Kiribati, only one operator is offering regular liner shipping services, with one ship arriving about every 10 days. Many SIDS are confronted with a vicious cycle where low trade volumes discourage investments that would improve maritime transport connectivity. At the same time, low connectivity also translates into more costly and less competitive trade. 17


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3 - Dar es Salaam port, Tanzania. Photo credit: Jan Hoffmann. https://janhoffmann. live/2012/06/25/the -por tof-dar-es-salaam/#jp-carousel-5586. “Shipping, trade logistics and development, A photo blog by Jan Hoffmann”: https://janhoffmann.live/

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What can be done to improve a port’s connectivity? The following seven policy measures are key to enhancing port connectivity: - Go digital. Digital and physical connectivity go hand in hand. Just as trade bene ts from the latest technologies such as arti cial intelligence, the Internet of Things and blockchain, port and shipping operations would also bene t from taping the opportunities arising from digitalization. - Link domestic, regional and global networks. Restrictions affecting regional or domestic cabotage markets limit the ability of shipping lines to consolidate cargo. Allowing international lines to also carry domestic trade and feedering cargo can enhance both the competitiveness of the port and shippers’ access to overseas markets. - Ensure competition. Considered prior analysis is required before assigning port concessions to terminal operators who are associated with shipping lines through vertical integration. On the one hand, such operators can attract port calls from associated lines and alliances. On the other, however, such vertical integration could discourage other lines from calling at the port and could limit choices available to shippers. - Port modernization. Port clients, i.e. the shipping lines and the traders, require fast, reliable and cost-efficient services to ships and cargo. Ports need to continuously invest in their technological, institutional and human capacities. Public and private cooperation is key in this regard. - Widen the hinterland. Ports should aim at attracting cargo from neighbouring countries and domestic production centres. There is a common interest between many seaports and traders in neighbouring countries, especially landlocked countries. Investments in corridors, regional trucking markets, and cross-border trade and transit facilitation can help expand ports’ hinterlands.

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Promote sustainability. Port stakeholders are varied and may include shipping lines and traders, as well as social partners and the portcity community. Stakeholders are increasingly demanding that ports deliver on their social, economic and environmental sustainability obligations. Monitor ports’ connectivity. Policy makers, port authorities and investors need to continuously monitor trends in the global shipping network, the geography of trade, eet deployment, and port performance. UNCTAD’s Review of Maritime Transport7 and the complementary online statistical information and country pro les8 support this monitoring objective.

Port calls and port turnaround times: what does the new dataset tell us? Containerships have the lowest turnaround times. In 2018, a given ship spent a median of 23.5 hours in ports, i.e. 0.97 days.9 Dry bulk carriers spent typically 2.05 days during a port call, while container ships spent on average the least amount of time (0.7 days). Performances ranged between 0.23 days in the Faroe Islands and six and a half days in the Maldives. Figure 4 illustrates the global distribution of port calls for container ships and the median time spent in ports. A shorter time in the port is generally indicative of high port efficiency and trade competitiveness. The bottom ten countries on the list are all developing countries or least developed countries, while the 7 UNCTAD Review of Maritime Transport Series. http://unctad. org/rmt 8 UNCTAD Maritime Pro les: https://unctadstat.unctad.org/ CountryPro le/MaritimePro le/en-GB/608/index.html 9 For the present analysis we work with the median time. The average time vessels spend in ports is longer for practically all countries and markets, due to statistical outliers, i.e. ships that spend weeks or months in a port due to repair work for example. The statistical distribution of time spent in ports has a “long tail”. The global average time ships spent in port in 2018 was 41 hours, vis-à-vis 23.5 hours median time.


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4 - Container ship port calls and time in port (days), 2018. Ships of 1000 GT and above. Source: UNCTAD calculations, based on data provided by MarineTraffic (https:// www.marinetraffic.com/). Illustration produced by Julian Hoffmann.

5 - Time in port (days) and number of port calls, 2018, container ships. Ships of 1000 GT and above. Source: UNCTAD calculations, based on data provided by MarineTraffic (https://www.marinetraffic.com/). Illustration produced by Julian Hoffmann.

economies with the fastest turnaround times are mostly advanced economies with large volumes (Norway, Japan) or small economies, which handle low cargo volumes at each port call. A longer time spent in the port does not necessarily mean that the port is less efficient, as ship owners may choose to have their ships stay longer in a port to purchase goods or services. Countries with more port calls usually have lower turnaround times. The causality goes both ways: If in a given port, turnaround is faster while maintaining the same number of berths, this means the port can accommodate a larger number of port calls. At the same time, a faster turnaround time is more appealing to shippers and carriers. Consequently, the number of port calls will be higher compared to a competing port that has a lower turnaround time. Figure 5 illustrates the correlation between the number of port calls, the size of the largest container ships deployed, and the median time that container ships spend in ports. If ships are larger, ceteris paribus, turnaround time should be higher, as there will be more cargo to be loaded and unloaded. At the same time, ports that can handle larger ships will usually also be more modern and efficient. There is a negative correlation between the size of the largest ship calling at a port and the port time of ships, and a slightly

positive correlation between the average size of ships calling at the port and the port time of ships. Put differently, being able to accommodate very large container ships could indicate that ports are fast and efficient. However, servicing larger ships that carry large volumes will, on average, also take slightly more time to load and unload. In addition, being able to accommodate ever bigger ships can improve ports attractiveness as hubs. However, it may also lead to fewer services and service provider choices to shippers, and create challenges that undermine the landside of operations, especially when larger vessels arrive off schedule. This, in turn, could drive up total door-to-door logistics costs and compress trade volumes.

What can be done to improve ships turnaround time? Three policy measures could help improve port performance: - Port call optimization: Ships should only arrive at the right time, i.e., when they need to arrive, as arriving too early implies additional costs in ports, and sailing at unnecessarily high speeds would generate more air emissions including 19


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6 - Ten highest-and lowestranking economies: Median time spent in port by container ships, 2018. Source: UNCTAD (2019). Review of Maritime Transport 2019. Notes: UNCTAD secretariat calculations, based on data from Marine Traffic. Ships of 1,000 gross tons and above. Ports with fewer than ve port calls in 2018 of this vessel type are not included. For the complete table of all countries, see http://stats.unctad.org/maritime

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carbon dioxide (CO2). To arrive on time rather than in time is the aim of port call optimization initiatives. Making use of digitalization means that data will need to be exchanged between shipping lines, ports, shippers and intermodal transport providers. Facilitation: Once a ship arrives at a pier, operations should start immediately, without having to wait for authorities to clear paperwork. The FAL Convention10 of the International Maritime Convention can help as far as the vessel is concerned, while the implementation of the Trade Facilitation Agreement of the World Trade Organization can help speed up the process of cargo clearance11, including measures such as

10 IMO Convention on Facilitation of International Maritime Traffic (FAL): http://www.imo.org/en/OurWork/Facilitation/ ConventionsCodesGuidelines/Pages/Default.aspx 11 UNCTAD Trade Portals: A step-by-step guide on foreign trade procedures http://tradeportal.eregulations.org/?l=en

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customs automation12, pre-arrival processing and border agency cooperation. Port operations: Fast and reliable loading and unloading operations require investment in infrastructure and superstructures, as well as technological and human capacities13. Privatizing port operations and assets can help but needs to be planned carefully with public and private sectors’ roles clearly delineated. Total logistics costs need to be taken into account when considering such investments.

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12 UNCTAD Automated System for Customs Data (ASYCUDA): https://unctad.org/en/Pages/DTL/TTL/ASYCUDA-Programme. aspx 13 UNCTAD TrainforTrade Port Management Programme: https://tft.unctad.org/


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The Northern-European ports: current situation, success factors and future trends by Thierry Vanelslander

In the period after the second World War, the Rhine-Scheldt Region experienced a strong dynamic. With the surge of big innovation initiatives in the petrochemical sector, the ports of Antwerp and Rotterdam started developing a port industrial complex of world scale, complemented with developments in the ports of Ghent, Terneuzen, Zeebruges, Flushing and the inland ports of Moerdijk and Dordrecht. The area was called then the ‘Gold Delta’. In the 70’s of the previous century, the rapid expansion came to and end, and the Gold Delta took another direction of development. A reduction in the transfer volumes of the early 80’s made the gold border gradually disappear. However, the surge of the container and its related activities led to a renewed growth dynamic in the FlemishDutch Delta. Rotterdam and Antwerp were part of the top 10 container ports in the world at that time. From the 90’s, an important amount of distribution centers developed in the Netherlands and Belgium. Those distribution centers featured a lot of storage and processing of the contents of the containers handled, termed ‘value added logistics’ and ‘postponed manufacturing’. This logistics infrastructure is closely related to the large seaports through which those containers, coming from overseas locations mainly - especially Asia and China, is being transferred. An important characteristic of the ports in the Delta is their diversity. Next to Antwerp and Rotterdam, there are smaller ports, each with their own strengths. Ghent features steel industry and breakbulk and a powerful development in the biomass domain. Ostend is specialized in roro and special equipment transport (like windmills), with biomass potential. Zeebruges has a lot of roro, and furthermore container transport activities, which have reduced over the past decade, but got revived recently with the advent of Chinese Cosco. Furthermore, Zeebruges has a lot of potential for energy development. Flushing is a strong breakbulk port with important plans for the container segment. Terneuzen has a strong chemical sector with biomass potential. Moerdijk is an industry port, with plans for distribution centers. Dordrecht nally has a strong industrial function and plans for the development of breakbulk. The seaports are the most important characteristic of the Flemish-Dutch Delta as the entry gate to the European hinterland. These seaports ful ll an important strategic role for importers and exporters, together with elements like connectivity, logistics advantages and cluster powers. The ports together make up for a throughput of 755 million tonnes and 21 million TEU’s in 2018 – nearly one

I porti dell’Europa del Nord: la situazione attuale, i fattori di successo e l’andamento futuro di Thierry Vanelslander Con le grandi innovazioni nel settore petrolchimico, i porti di Anversa e di Rotterdam hanno iniziato a sviluppare un complesso portuale industriale su scala mondiale, integrato con gli sviluppi dei porti di Ghent, Terneuzen, Zeebruges, Flushing e dei porti interni di Moerdijk e Dordrecht. La rapida crescita dei container e delle relative attività hanno portato a una rinnovata e dinamica crescita del delta ammingo-olandese. Questi porti svolgono, insieme ad altri fattori quali la connettività, i vantaggi logistici e i poteri del cluster, un importante ruolo strategico per gli importatori e gli esportatori. Accanto al ruolo strategico dei porti, sono di grande importanza l’occupazione e il valore aggiunto ivi generato. I porti nell’area presentano una serie di s de: si è osservato nell’ultimo decennio un aumento della quantità di investimenti cinesi in Europa e un ruolo crescente delle fonti di approvvigionamento vicine. Infatti durante l’ultimo decennio gli altri porti europei sono diventati tutti più forti dei porti del delta ammingo-olandese e, riferendosi al solo commercio di container, la crescita aumenta in maniera continua. L’applicazione della sincronia modale è un elemento importante nella generazione di ulteriore capacità di traffico nell’entroterra portuale. Inoltre, è necessario rafforzare la rete intermodale con linee dedicate di navigazione interna e ferrovia e con servizi regolari, in modo da raggiungere in profondità l’entroterra europeo tramite terminali intermodali. In ne l’articolo propone il quadro di un possibile futuro dei porti del delta ammingo-olandese.

In the front page, at the top: Container ship at the port of Antwerp (source: www.europeanceo.com); bottom: view of the containers dock and container stocking site in the port of Rotterdam (source: www.civitatis.com).

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1 - Total throughput FlemishDutch Delta ports (thousands of tonnes) - Source: Eurostat (2019).

2 - Total employment Flemish-Dutch Delta ports - Source: National Bank of Belgium (2019) and van der Lugt et al. (2018).

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fth of the total European throughput. In the container segment, the Delta even represents a quarter of the total European volume. The throughput has risen, after the 2009 dip, from 655 million tonnes in 2009.

labour that has not increased to the same extent. That is possible thanks to mechanisation of cargo handling and storage, application of ICT, increased containerization and the location of capital-intensive industries in ports.

Next to the strategic role of the seaports, the employment and the value added generated in those seaports is of strong importance. That concerns both direct and indirect employment and value added. Ports deliver goods and services to many sectors, but also themselves take up important volumes. It is clear that the economic effects are very large: they total a value added of many billions of euro, and many hundreds of thousands of jobs. In the period before 2008, the direct employment in the Delta ports increased. As of 2008 till 2011, employment decreased by about 5%. In the years after, employment remained more or less stable. Industrial employment in the ports dropped slightly. Apparently, port labour has recovered less rapidly from the 2008 global crisis. As port traffic has been increasing, that also implies that more port traffic has been handled with a volume of

The value added of the Delta ports shows a picture that deviates again, just like for labour, from that of their wider economies: while both economies together grew by 7% since the 2008 peak, the seaports stayed behind, and in 2014 still were below the 2007 level. Between 2003 and 2014, the Delta ports’ value added increased by about 35%. The crisis year 2009 marked a signi cant drop. The fact that the value added in the total Dutch and Flemish economy grows stronger than that of its ports, can be caused by a number of port-related activities that may have moved outside the port areas, as a consequence of containerization and ICT technologies. That is valid in particular for activities that are part of the so-called ‘logistics layer’ around the ports’ activities. Also, general service sectors like healthcare, IT, creative jobs and business servicing grow strongly outside port regions.


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3 - Total value added Flemish-Dutch Delta ports (million euro, running prices) - Source: National Bank of Belgium (2019) and van der Lugt et al. (2018).

4 - Total throughput selected European ports (thousands of tonnes).

The ports in the area feature a number of challenges. Container ows kept on growing in the rst two decades of the 21st century – both in absolute and in relative numbers, shippers kept on using more and more containers. However, it took more than a decade for the negative macro-economic developments of the 2008 bank and subsequent economic crisis to be digested. Important conditions for a sustained growth in the future are the sustained growth of the Far East, and Europe to continue to play a strong role in global trade systems. A further reason is Europe’s continued welfare increase, and Central and Eastern Europe in particular. The last decade, an increased amount of foreign Chinese investments has been observed in Europe. We also see an increasing role of near sourcing, which is the buildup of production capacity in Eastern- and North-Africa. Finally, demographic developments in Europe are such that the population is ageing and shrinking. The other European port ranges all grew stronger than the Flemish-Dutch Delta ports during the last decade. Felixstowe and Southampton, even though much smaller than Antwerp and Rotterdam, grew stronger, just like Genova and Valencia, as

examples of South-European ports. Hamburg is the only other port that has somewhat similar volumes as Antwerp and Rotterdam, but its growth was slower, mainly due to water depth and related port access problems in its approach river Elbe. The market share of the Flemish-Dutch Delta ports in the Hamburg–Le Havre range was about 60% in 2018. In the container trades, the scale increase persists and competition between ports and container terminal operators in these ports is an important driver. Maritime accessibility is a crucial determinant in the ports’ competitive power. But also the land side brings challenges. Next to the connection to the multimodal networks, there is substantial inter-mainport traffic: connections via inland navigation and rail between the ports of Antwerp, Rotterdam and Zeebruges. More than in ‘regular’ hinterland traffic, containers between the three hubs are mainly exchanged via rail and inland navigation. That leads to capacity issues on the concerned waterways and rail tracks. Dynamic traffic management is necessary for a well-functioning inter-mainport traffic. For smooth handling in the ports, dedicated terminal infrastructure is re25


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5 - Headquarters of port authority of Antwerp (source: www.ttnotes.com).

6 - Containers dock in the port of Rotterdam (source: www.holland.com).

quired, where short sea and inland navigation vessels can be efficiently handled. An important element in generating additional hinterland traffic capacity, is applying synchromodality. That is a concept launched by the industry, focusing on a exible use of transport and infrastructure capacity and traffic management over various transport modes. Traffic is the supported and steered by actual information on congestion and availability. Ideally, traffic managers can combine partial loads with those of their colleagues, so as to increasing loading degrees and densify ows. The advantage is that in case of calamities, traffic can easily be shifted to segments or modes where capacity is available. Further on, the strenghtening of a robust intermodal network of dedicated lines with regular services of both inland navigation and rail is needed, 26

so as to reach deep into the European hinterland via intermodal terminals. That network should be connected to the maximum to the European TEN-T networks. Rotterdam has its Betuwe Line half nished, allowing for a rail connection with Germany at reduced capacity. For Antwerp, the historical Iron Rhine has not been re-established yet, so that trains still have to use the alternative Montzen route. A speeding up of legal processes and procedures is needed. For the connection with the North of France, the Seine-Nord connection, connecting the Belgian Scheldt basin with the Paris Seine basis has just been decided and approved by the French government. As dredging becomes an issue, the inland waterway sector needs to look for alternative solutions, like shallow and autonomous vessels. Via feedering, goods are brought from and to the


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7 - Containers dock in the port of Amsterdam (source: www.portofrotterdam.com).

8 - Transhipment facility in the port of Rotterdam (source: /www.stigdelta.com).

main Delta ports to the European secondary ports in a hub-and-spoke system. Other shipping companies use dierent loops to sail to dierent European ports. As cost remains the prime criterion in hinterland transport choice, if one wants to achieve sustainable transport, all external costs should be fully internalized and passed on to users, for all modes according to the same principles. The key to the success of the Flemish-Dutch Delta is the value added of intercontinental container hubs, airports, intermodal infrastructure and logistics enablers like high-value IT infrastructure and renewed logistics concepts like synchromodality.

Due to that combination of factors, the region will keep its attraction to direct foreign investment aimed at logistics centers. The accessibility towards the hinterland is superior and coupled to integrating the last available innovative logistics concepts. Three important developments are linked to logistics infrastructure. The rst one is sustainability. Distribution centers have to contribute to sustainable development and limiting the carbon footprint. The scale of those centers is increasing. Therefore, there is a need for those centers to connect to sustainable transport modes. The trend of dispersion and exibilisation of ows does not al27


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9 - View of container docks in the port of Antwerp. Fonte: www.docksthefuture.eu

10 - Ship docked to the port of Amsterdam (source: www. shipspotting.com).

ways match sustainability. The second in uencing development is related to the characteristics of world trade. The current environment of Brexit, a weakening Europe and trade wars between China and the US hampers economic growth and especially also the trade ows to and from the Delta. The third in uencing development is the containerized character of import ows. Sea containers are increasingly directed towards direct distribution from ports to large-scale retail and industry, passing by European distribution centers. This requests suitable IT for visibility, traceability and safety. Growth of the impact of the container combined with increased transport in the Delta demands understanding among an active support from ci28

tizens. Support emerges from involving stakeholder associations at an early stage in plans and investment projects. A dialogue with society is a must not only for new projects, but also for strategic points of attention like decreasing growth, problems with labour markets, etc. Despite the introduction of the North Sea Emission Control Area zone, the investments that Europe co- nanced in port and hinterland infrastructure in South-Europe, the introduction of road tolls in a number of European countries on the big axes, etc., the Flemish-Dutch Delta ports remain the dominant entry gate to Europe for most shipping companies and large trade ows. It is the position of the Delta in so-called Blue Banana (Hospers, 2003) and the rapid access to the highest concentration of purchasing power in Europe that


TRASPORTI & CULTURA N.54-55 makes that the Delta ports are still the biggest gateway to Europe. The hinterland of the Delta ports even further expands: the European center of gravity through the past decade has shifted eastward, with those new areas increasingly being served through Delta ports. In latest years, this shift has come to an end. This is largely due to the fact that economies on Europe’s east side, both north and south, compensate each other. The decrease of the Greek economy compensates for the gain in Romania, Poland and all regions in between. However, it is not evident that the Delta ports, and the Northern-European ones in general, will keep that strong position. Figure 11 shows in light blue the hinterland of the Delta, with in red and turquoise the areas with strong competition with other port regions. The cost of reaching Europe’s center of gravity from the Delta ports increased from 855 euro per TEU in 2001 to 881 euro per TEU in 2014, taking into account that the center of gravity has shifted eastwards by 300 kms. In terms of trading partners, the sanctions against Russia since 2015 meant a serious blow of the trading relationships and volumes of Belgium and The Netherlands, and in particular of their ports. At the same time, Ireland emerges as an important trading partner. Both Russia and Ireland are the only country with more exports to than imports from Belgium and The Netherlands. Tzechia and Poland remain consequent high growing trading partners, mainly from an export point of view. France and Russia remain the biggest export trading partners. Italy, Ireland and Poland are the biggest growers in absolute volumes. So, it remains to be seen what the future will bring for the Flemish-Dutch Delta ports. How will international trade evolve? Will the chemical and energy sector remain the stronghold industry in ports like Antwerp and Rotterdam? Will the Chinese Belt and Road initiative create a shift to SouthEuropean ports as the new entry gates to Europe? Will climate change and measures to prevent and mitigate it impact on the Delta ports’ market power and share? Very important questions, many of which are too big for a port, even a big one, to in uence actively. So, strategy updating and, new for most port authorities, teaming up with other port authorities and other actors in supply chains, will become a must. © Riproduzione riservata

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Il futuro dei porti è smart di Francesco Filippi

Un porto è un nodo logistico. In quanto tale è una infrastruttura dove attività strategiche, gestionali e organizzative governano i ussi di merci (contenitori, rinfuse, liquidi e altro), i loro depositi e le relative informazioni per un elevato livello di efficienza e competitività. Il porto è anche a servizio dei passeggeri, enormi navi da crociera sbarcano migliaia di passeggeri come in una stazione ferroviaria e un aeroporto. Le attività necessarie per sviluppare i processi sono distribuite tra numerosi soggetti, individui od organizzazioni, dalle autorità e operatori portuali, agli operatori logistici, compagnie marittime e autorità amministrative. I porti possono entrare in crisi per variazioni dei traffici. Le crisi sono determinate da molti diversi fattori. I principali sono le innovazioni tecnologiche e la digitalizzazione, il gigantismo navale, l’apertura di nuove rotte, Panama e Suez, la guerra dei dazi, US e Cina, la sfavorevole evoluzione di variabili macroeconomiche, i cambiamenti sociodemogra ci, i mutamenti normativi, la frammentazione delle supply chain, le normative sulla CO2 e sulle emissioni, e la competizione. Le compagnie di navigazione, per mantenere la loro posizione dominante, controllano le rotte più trafficate attraverso fusioni, acquisizioni, alleanze strategiche che in uenzano l’attrattiva dei porti e la competizione. Questi cambiamenti inevitabilmente sfuggono alla sfera di in uenza del porto. Il porto per evitare la stasi o il declino deve riallineare le capacità strategiche, di investimento e gestionali all’evoluzione del suo ambiente di riferimento. Una risposta strategica è diventare un porto smart, che utilizza la tecnologia di quarta generazione. Questo gli consente di ottimizzare i ussi in modo automatico e di consumare meno energia, che viene prodotta in gran parte da fonti rinnovabili con bassi livelli di CO2. Un porto smart è formato da personale meglio istruito per lavori quali cati e da infrastrutture intelligenti e automatizzate. Il sistema facilita lo sviluppo e la condivisione delle conoscenze, ottimizza le operazioni portuali, migliora la resilienza del porto, conduce a uno sviluppo sostenibile e garantisce attività sicure e protette. Il porto è in de nitiva più attrattivo e competitivo, riesce a fare di più con meno, aumenta la capacità, abbassa i costi, fornisce più servizi di migliore qualità, rende il transito dei carichi rapido, privo di code, senza rallentamenti burocratici, compilazione di scartoffie. L’intelligenza arti ciale, l’internet delle cose (IoT), le grandi quantità di dati (big data), il cloud, la distributed ledger technology (DLT), l’automazione e altre innovazioni applicate in modo smart, gli

The future of ports is smart by Francesco Filippi A port is a logistic hub, an infrastructure in which strategic, managerial and organizational activities govern the ow of cargo (containers, bulk cargo, liquids and more), how it is stored and all the information required for a greater level of efficiency and competitiveness. The port is also at the service of passengers: giant cruise ships disembark thousands of passengers, like a railroad station or an airport. The activities required to implement the processes are distributed among a large number of subjects, individuals or organizations: from port authorities and operators, to logistics operators, maritime companies and administrative authorities. Ports can plunge into crisis for different reasons. Shipping companies maintain their dominant positions by controlling the busiest routes through mergers, acquisitions or strategic alliances that impact the ports’ attractiveness and competitiveness. To avoid stagnation or decline, a port must realign its capacity for strategy, investment and management with the evolution of its local surroundings. One strategic response is to become a smart port, with bettereducated personnel lling more quali ed jobs and with intelligent automated infrastructures. Smart does not just mean applying digital technology, the port authority must apply and manage integrated technological innovation with a collaborative approach that involves all interest groups. Nella pagina a anco, in alto: Gru automatiche di banchina e gru automatiche a portale nei depositi contenitori senza mensole, con una e due mensole al Porto di Shanghai Yangshan (fonte: porto di Shanghai Yangshan; Figura 7 Controllo dei Contenitori con telecamere (fonte: YU F.,X. Fu e O. Postolache (2018)IEEE Instrumentation and Measurement Magazine, february 2015.

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1 - Il terminal contenitori automatico del porto di Shanghai Yangshan con gli AGV. Fonte: Porto di Shanghai Yangshan. 2 - Carico di un container in automatico sugli AGV in attesa al porto di Shanghai Yangshan (fonte: Huwaei).

consentono di migliorare i processi in termini di efficienza, produttività e qualità. Smart non è solo applicazione di tecnologia digitale, l’autorità portuale deve applicare e gestire innovazioni tecnologiche integrate con un approccio collaborativo con tutti i gruppi di interesse. La s da è creare un ecosistema capace di far interagire in modo intelligente uomini, macchine e ambiente.

Applicazioni tecnologiche ai porti La realizzazione di un sistema integrato tra tutti i gruppi di interesse, dentro e fuori del porto è ancora agli inizi. Il viaggio di un container, dal punto A al punto B, può essere ancora lento e complicato, a seconda dei trasporti utilizzati e dei paesi attraversati. Tale operazione richiede ancora molti documenti amministrativi, un grande dispendio di attività manuali, assicurazioni, transazioni con diversi tassi di cambio, ispezioni e così via. Sono tutte barriere che rallentano i tempi e aumentano i costi del contenitore. Tutte le informazioni necessarie a velocizzare esistono e sono classi cate, ma non sono 32

omogenee e condivise tra i vari attori della supply chain. Integrare, rendere omogenei e trasparenti i dati è esattamente ciò che fanno le nuove tecnologie digitali smart. In attesa di massicci investimenti in tecnologia per realizzare gli ecosistemi smart, i porti hanno iniziato a sviluppare applicazioni parziali su speci che attività portuali. Il porto di Amburgo usa un sistema ICT Port Monitor per fornire agli operatori portuali di mare e di terra una varietà di informazioni raccolte con un sistema di sensori e telecamere. Le informazioni riguardano la posizione delle navi, il livello dell’acqua, gli ormeggi disponibili, i lavori in corso, l’allerta sul sollevamento di un ponte, gli incidenti e le code di traffico. Il sistema riduce i tempi delle operazioni, migliora la circolazione e riduce l’inquinamento. CMA CGM, l’operatore della terza compagnia di navigazione al mondo, utilizza contenitori con antenne a relè capaci di scambiare informazioni sulla loro posizione con la sala di controllo del porto. L’informazione consente alle banchine di anticipare l’arrivo del contenitore, indicare l’orario ottimale di arrivo per evitare ritardi e code, se la nave è costretta a rallentare risparmia carburante e non aspetta in rada. Le ispezioni delle navi in banchina e delle condizioni del bacino richiedono spesso più tempo del previsto, e questo incide sui costi delle navi. Il porto di Rotterdam sta sperimentando piccoli droni sottomarini autonomi con telecamere per ridurre la durata delle ispezioni e risparmiare tempo e denaro. Sempre il porto di Rotterdam ha accesso a dati meteorologici precisi, che può condividere con le navi. Con l’ausilio di strumenti come i sensori IoT, l’intelligenza aumentata e i dati meteorologici, il porto fornisce bollettini accurati sulla meteorologia e sullo stato del mare. Le navi possono così determinare il momento migliore per arrivare al porto. Gli arrivi con mare calmo risparmiano il carburante. La comunità portuale di Barcellona comunica con una piattaforma ICT. La piattaforma ha una disponibilità elevatissima, 99,9%, 24/7, con messaggi distribuiti con meno di 3 minuti. La piattaforma, modulare e scalabile, consente lo sviluppo e la qualità del servizio per un numero praticamente illimitato di utenti, messaggi e transazioni. Dal punto di vista ambientale, il porto esegue controlli della qualità dell’aria e delle emissioni delle navi in banchina. I dati sono condivisi con il Consiglio comunale di Barcellona e il governo della Catalogna per elaborare mappe delle emissioni e predisporre interventi di mitigazione. Il porto di Valencia ha in corso un progetto pilota chiamato “scatole nere”, installate su gru, carrelli elevatori e camion. Le scatole nere raccolgono informazioni in tempo reale su posizione, stato e consumo di energia e forniscono la disponibilità e l’efficienza operativa. Il porto di Yangshan a Shanghai è il più grande terminal container automatizzato del mondo. Copre 2,23 milioni di mq e ha una banchina di 2.350 m. (Figg. 1 e 2). Il porto di Yangshan sarà in grado di gestire no a 6,3 milioni di TEU. L’area del terminal container è priva di personale. Le manovre delle gru sono automatiche. I veicoli per la movimentazione dei container sono a guida automatica (AGV). Tutto può anche essere controllato e gestito in remoto. La comunicazione tra i diversi elementi del terminal dipende da una rete wireless a


TRASPORTI & CULTURA N.54-55 5,8 GHz. La prima serie di macchine automatizzate comprende 10 gru a ponte, 40 gru a cavalletto su rotaia e 50 AGV. Il porto di Göteborg ha in corso attività per ridurre l’impronta ambientale in accordo con il programma della città di Göteborg. Per una corretta gestione dei ri uti, le navi in banchina usufruiscono di un funzionale sistema di raccolta differenziata a bordo organizzata dal porto. Per ridurre la dispersione nell’aria di composti organici volatili (COV) e di altri odori durante il caricamento dell’olio dei bunker sono state installate delle unità di controllo degli odori (OCU). Il porto ha un impatto acustico relativamente basso. Ciò nonostante sono state realizzate alcune misure di mitigazione, come la gommatura delle rampe metalliche utilizzate per attraccare le navi. Le emissioni di gas serra saranno compensate attraverso un progetto certi cato dalle Nazioni Unite secondo il Clean Development Mechanism (CDM) Gold Standard. Misure di efficienza energetica sono in corso per edi ci e veicoli, e per elettri care le banchine con il sostegno nanziario delle compagnie di navigazione. Il porto offre anche sconti sulle tariffe per le navi con le migliori credenziali ambientali.

Il porto smart Il settore portuale è stato generalmente lento nell’adozione delle nuove tecnologie. L’innovazione è partita nei porti principali maggiormente sottoposti a pressioni derivate dai cambiamenti e dalla concorrenza. Per accelerare il cambiamento sono state avviate collaborazioni di lungo periodo con le aziende di tecnologia smart. Le prime applicazioni hanno generato enormi quantità di dati, presentati in varie forme e diversi supporti. L’efficacia dipende dal grado di condivisione, visibilità e ducia di tutti gli interessati alle attività portuali. È così iniziato un circolo virtuoso di continuità nell’innovazione per potenziare e sistematizzare i risultati che man mano si raggiungono. I bene ci delle tecnologie smart è importante che arrivino anche alle comunità locali, agli abitanti delle aree circostanti il porto, alle attività commerciali, logistiche, industriali e di ricerca. I bene ci sono: minore inquinamento, crescita economica, occupazione e lavoro quali cato, ricerca e sviluppo. Le tecnologie per realizzare un porto smart sono molte e diversi cate. Le piattaforme (multistakeholder) con numerose applicazioni, connesse con i servizi basati sul cloud, dispositivi mobili e app, sensori e altre tecnologie Internet of Things, realtà aumentata, trasporti driverless, Distributed Ledger Technology (blockchain), big data, AI e digital twin. Poi ci sono le numerose tecnologie della mecatronic, la robotica, le attrezzature per la movimentazione e i mezzi di trasporto, e dell’ambiente per la riduzione del CO2 e dell’inquinamento. Per l’efficacia del sistema bisogna privilegiare le piattaforme e i servizi che facilitano la collaborazione e promuovono l’efficienza dell’ecosistema. Queste stesse piattaforme e servizi consentono ai singoli partner di espandere le proprie attività senza aggiungere sostanziali nuove infrastrutture o attrezzature. Le piattaforme e i dati condivisi riducono i costi e possono anche produrre nuovi servizi e nuove fonti di reddito. Alcune applicazioni sono a bene cio di tutti i soggetti portuali e delle comunità locali, mentre altre sono per speci che funzioni: ad esempio possono riguardare

solo l’autorità portuale, gli operatori dei terminal o gli abitanti delle aree circostanti. Le applicazioni principali riguardano gli asset, le movimentazioni, i traffici interni e esterni al porto, le dogane, la sicurezza e l’ambiente. Asset - I sensori IoT posizionati nei vari asset: banchine, strade, ferrovie, ponti, edi ci, gru, carrelli, veicoli, natanti, magazzini e le porte di accesso trasmettono dati in tempo reale sulle condizioni operative e sullo stato dei vari componenti. Le informazioni consentono statistiche sulle utilizzazioni degli asset e riducono la necessità di ispezioni. Ma il motivo principale per l’applicazione dell’IoT agli asset è la manutenzione predittiva. Anziché eseguire ispezioni periodiche basate su calendario e sostituzione dei componenti, le tecniche predittive monitorano gli asset, prevedono i guasti e avvisano per l’intervento di riparazione o sostituzione quando le condizioni operative non rientrano nelle speci che o per aver raggiunto i limiti operativi sicuri. I sensori veri cano anche improvvise condizioni anomale. Quando una strategia di manutenzione predittiva funziona in modo efficace, la manutenzione viene eseguita

3 - Pannelli solari orientabili nel porto di Anversa (fonte: Porto di Anversa). 4 - La messa in opera di una turbina per lo sfruttamento energetico delle maree (fonte: Porto di Gladstone AU).

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5 - Le turbine del porto di Rotterdam (fonte: Porto di Rotterdam).

sulle macchine solo quando è necessario, riducendo così le componenti da sostituire e la manodopera impegnata nelle sostituzioni. Movimentazioni - I dati forniti dai sensori garantiscono che le gru e gli altri mezzi di movimentazione funzionino alla massima efficienza e siano adeguatamente mantenuti. Questi dati con quelli sui carichi, arrivi, tempi di giacenza, posizione nei piazzali e magazzini e con programmi di ottimizzazione con gli stessi dati consentono di migliorare la produttività, di gestire volumi maggiori riducendo i tempi di inattività e i consumi di energia Traffici - I dati trasmessi dalle navi in anticipo riguardanti la posizione e i carichi consentono di avvisare i terminali e di predisporre l’accoglienza, riducendo i tempi in rada e in banchina, di ritardare l’arrivo con bene ci effetti sui consumi. Lo stesso dal lato terra, i sistemi di prenotazione dei veicoli (vehicle booking system - VBS), i lettori di targhe, il geofencing e la conoscenza delle condizioni della rete consentono al porto una migliore stima dei tempi di arrivo, maggiore visibilità dei veicoli in entrata e in uscita e una migliore piani cazione dei processi portuali. I trasportatori ricevono gli orari per la consegna o il ritiro, e i percorsi ottimali. La prenotazione riduce il tempo di attesa, spesso passato intralciando le strade di accesso al porto e contribuendo a una scarsa qualità dell’aria. Dogana - I dati necessari alle operazioni doganali sono dispersi, conservati su vari sistemi cartacei e digitali. Lo sdoganamento comporta un’accurata valutazione del rischio per prevenire frodi e falsi cazioni, che spesso porta a ritardi nella spedizione. Le operazioni sono complesse e costose. La capacità limitata di prevedere, piani care e condividere le informazioni raccolte comporta sul campo un notevole impegno del personale e un servizio scadente ai clienti. I principali porti europei, per ridurre i costi associati alla documentazione del carico su carta e ai pagamenti doganali, stanno sperimentando la tecnologia Distributed Ledger Technology (DLT). L’esempio più noto è la blockchain, anche se forviante per la sua applicazione a un sistema di pagamenti innovativo con una nuovamoneta (cryptocurrency). La DLT identi ca e tiene traccia delle transazioni in modo digitale e condivide queste informazioni attraverso una rete distribuita di computer, una

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specie di rete data distribuita tra numerosissimi utenti. La DLT consente contratti smart: un protocollo informatico che esegue senza il coinvolgimento di terzi, auto-veri cante, auto-esecutivo e autonomo. La DLT risparmia tempo e costi, i documenti sono trasparenti, immodi cabili e più sicuri, resi ancora più robusti attraverso la crittogra a e la condivisione all’interno della rete. Lo sdoganamento diventa così un processo digitale in cui i documenti scorrono senza soluzione di continuità tra le parti interessate all’importazione e all’esportazione. Le informazioni sono visibili a tutti e immutabili, la privacy e la veri cabilità sono anch’esse garantite, migliora l’efficienza che consente di risparmiare tempo e denaro. I principali impatti sulle amministrazioni doganali sono: - la raccolta dei dati è accurata e tempestiva (tutti i dati legati alla merce come venditore, acquirente, prezzo, quantità, corriere, nanza, assicurazione, stato e ubicazione della merce, eccetera); - i dati sono integrati automaticamente nei sistemi doganali e confrontati con i dati presentati da commercianti e trasportatori; - la conformità delle entrate nei paesi di importazione e la cooperazione tra scalità e dogane migliora con l’accesso automatizzato ai dati depositati nei sistemi dei paesi di esportazione; - c’è una maggiore probabilità di rilevare reati nanziari con il confronto tra i dati commerciali presentati dagli operatori e un trasferimento di capitale registrato dagli istituti nanziari. Sicurezza - I porti smart cercano di rilevare in anticipo i problemi della sicurezza, di aumentare la prevenzione e la prontezza della risposta. Per questo utilizzano normative, standard, formazione dei dipendenti, controllo periodico delle strutture, valutazione dei rischi, progettazione adeguata e sistemi di monitoraggio. Per esempio rilevano le intrusioni sulla base del movimento e riconoscimento di immagini con analisi video avanzate. I sistemi di accesso possono richiedere a dipendenti, autisti e visitatori di sottoporsi a scanner biometrici collegati in rete. I porti smart aumentano però i rischi informatici. L’IoT e l’integrazione dei data base di persone, aziende e istituzioni con oggetti e veicoli porta a un aumento esponenziale della quantità di dati che circolano e dei rischi informatici. Per mitigare i rischi informatici occorre consapevolezza e pianicazione. La consapevolezza si ottiene con la formazione continua dei dipendenti alle procedure di sicurezza. La piani cazione delle emergenze e di scenari possibili prepara a reagire prontamente ed efficacemente in caso di attacco. Inoltre, le organizzazioni nazionali di normazione devono indicare alle autorità portuali in modo esauriente i test di sicurezza e le modalità con cui piani care. Le norme è importante siano integrate con le linee guida sulla comunicazione e la condivisione delle informazioni predisposte da organismi globali come l’IMO. Ambiente - Tre sono gli obiettivi prioritari: ridurre l’impatto climatico, l’impatto ambientale locale e il consumo di risorse. Per ridurre l’impatto climatico il porto deve funzionare con basse emissioni di CO2, e comprendere anche il trasporto di persone e merci. Le iniziative per raggiungere questo obiettivo sono l’uso di fonti di energia rinnovabili, pannelli solari, energia dalle maree e onde ( gura


TRASPORTI & CULTURA N.54-55 4), turbine eoliche ( gura 5) e impianti di metanolo per la produzione di biocarburanti dai ri uti, sistemi di trasporto collettivi e elettrici. Il porto può incentivare le navi rispettose dell’ambiente con sconti sulle tariffe portuali. La valutazione può essere in base al punteggio dell’Environmental Ship Index (ESI). L’ indice valuta le prestazioni di una nave oceanica per emissioni di azoto, zolfo e CO2. Il porto, per ridurre l’impatto ambientale locale, deve poter gestire i principali ri uti delle navi: ri uti oleosi, ri uti chimici alla rinfusa, sostanze nocive, imballaggi, liquami e generica immondizia. Ognuno dei tipi di ri uti citati può avere effetti dannosi per l’ambiente e richiede speci ci trattamenti. Il porto deve elaborare piani d’azione per la manipolazione, il riciclaggio, la ricezione e la riduzione ai limiti ssati. Altra misura è l’elettri cazione delle banchine, per consentire alle grandi navi di spegnere i loro generatori meno efficienti e inquinanti. Il traffico merci e passeggeri, dentro e fuori dal porto, ha un ruolo importante sulla sostenibilità. Il porto può favorire i modi di trasporto meno impattanti sia sul clima sia sull’ambiente circostante come i trasporti collettivi ed elettrici. L’uso dello short sea shipping, della navigazione interna e della ferrovia possono spostare quote rilevanti di traffico dalla strada con effetti bene ci sull’inquinamento e sulla congestione. Anche il traffico pendolare in autovettura può essere ridotto con misure che favoriscono l’autobus (frequenze, percorsi riservati e orari), la biciletta, il car sharing e penalizzano il parcheggio auto o favoriscono chi non parcheggia. Ulteriori inquinamenti da considerare sono quelli dei rumori, del suolo, delle acque, degli odori sgradevoli e dei ri uti. L’inquinamento acustico, generato da traghetti, navi, attività industriali, attività di cantiere navale e servizi ausiliari, ha un impatto negativo sulla popolazione urbana. Il porto deve ssare dei limiti al rumore, predisporre barriere fonoassorbenti e verdi. Le tecnologie IoT facilitano sistemi per la ridurre il consumo di energia e gli sprechi. Un sistema di illuminazione del terminale basato sul movimento che si illumina solo quando i veicoli si trovano nelle vicinanze. L’uso dei droni come opzione a basso costo per l’ispezione delle attrezzature, il pattugliamento dei corsi d’acqua per perdite di petrolio e il controllo degli interventi di pulizia.

tà portuale dotata di una piattaforma elettronica neutrale e aperta che consente lo scambio intelligente e sicuro di informazioni tra le parti interessate pubbliche e private. La piattaforma ottimizza, gestisce e automatizza i processi portuali e logistici attraverso un’unica trasmissione di dati e il collegamento di catene di trasporto e logistica. Livello 3 - Dal porto alle supply chain - Gli operatori delle supply chain interessate al porto, dal lato mare e terra, sono connessi con la comunità portuale. Sono operatori ferroviari e navali, spedizionieri, porti interni, terminal interni ecc. Gli orari di arrivo e partenza sono determinati congiuntamente e condivisi. Le modalità di trasporto e merci possono essere monitorate e tracciate online. Il sistema consente il consolidamento dei carichi e la scelta ottimale tra le modalità. Il coordinamento e la condivisione delle informazioni porta ad una maggiore trasparenza ed efficienza nella logistica portuale e nel trasporto nell’entroterra. La conoscenza in anticipo degli arrivi di navi, treni e camion sono importanti elementi per ottimizzare le prestazioni. Ma nella realtà gli arrivi possono essere fortemente variabili. La disponibilità di dati provenienti dall’esterno facilita la essibilità dei sistemi portuali e l’adattabilità alle variazioni e riduce le perdite di prestazioni. © Riproduzione riservata

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La realizzazione di un porto smart L’approccio per realizzare un porto smart deve essere necessariamente graduale, per fasi di complessità tecnologica e organizzativa crescente. Sono oggi raggiungibili tre livelli. Livello 1: l’automazione individuale - Le autorità portuali, le imprese e le organizzazioni all’interno e nelle vicinanze del porto riprogettano i loro processi operativi in vista dell’automazione. Il progetto determina i cambiamenti alla struttura organizzativa, le specializzazioni, i dati, le interfacce uomo-macchina e le tecnologie. L’automazione riguarderà i loro processi, dati e risorse. Esempi ormai numerosi sono i terminal automatici dei contenitori. Livello 2: il porto integrato - Le autorità portuali coinvolgono gli operatori portuali per condividere attivamente i dati e integrare i loro sistemi IT in un unico ambiente digitale. Un esempio è la comuni35


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Infrastrutture e logistica al servizio dei porti: il Sistema Portuale del Mar Ligure Occidentale di Laura Ghio

I porti rappresentano una realtà produttiva particolarmente complessa e articolata, nella quale con uiscono una pluralità di attori pubblici e privati diversamente coinvolti nei processi di piani cazione e gestione del territorio e nelle attività in esso presenti. Punto di ingresso e di uscita dei ussi commerciali via mare di ciascun Paese, concentrano in un ambito geogra camente limitato un insieme di relazioni con molti di punti di origine e destinazione che si servono delle infrastrutture (stradali e ferroviarie) e delle imprese della logistica quale supporto indispensabile per la produzione e la distribuzione di merci nonché per il trasferimento delle persone. In questo contesto il sistema portuale del Mar Ligure Occidentale, che a partire dalla riforma portuale del 2016 riunisce i quattro scali di Genova – Prà – Savona e Vado Ligure, rappresenta oggi la prima realtà italiana e tra le prime in Europa in termini di tonnellate movimentate, occupazione, reddito a valore aggiunto. La “dimensione” e l’importanza di uno scalo, tuttavia, non deve essere letta solo attraverso i più conosciuti indicatori quantitativi appena accennati, ma soprattutto in termini di capacità di servire efficacemente e puntualmente il suo mercato di riferimento nonché di penetrare nuovi mercati per rafforzare il proprio posizionamento competitivo.

I numeri del Sistema e l’evoluzione della fase marittima Negli ultimi anni i settori dello shipping e della portualità hanno fatto registrare un continuo e signi cativo processo di concentrazione del traffico di merci ricche (container) su un numero di imprese globali sempre più contenuto che, almeno sul fronte mare, perseguono strategie di continuo aumento della dimensione delle navi sulle principali rotte di collegamento. A titolo di esempio, sulla rotta Far Est Med/Porto di Genova, la capacità delle navi che scalano i principali terminal è quasi raddoppiata determinando, nella fase portuale, picchi di operatività che possono richiedere, per ciascuna toccata, la movimentazione di oltre 7.000 TEU. Il primo importante effetto è senz’altro quello infrastrutturale, che determina la necessità di adeguamento dell’offerta in termini di accessibilità marittima e terrestre e induce la programmazione di nuove opere di protezione (dighe), di dragaggio dei fondali, di recupero di spazi.

Logistics and Infrastructure: the case of Ports of Genoa by Laura Ghio The article focuses on the main aspects inherent to road and rail infrastructure and logistics characterizing one of the most complex port systems (Genoa and Savona/ Vado) on the national scenario. Starting from an analysis of the port value and of the development of port throughput over a window of ten years (especially: increase in vessel size, market share and the features of inland outreach) I have explored the preeminent strategies to strengthen inbound/outbound railway connections with the Ports of Genoa conducive to more efficient modal split. Such strategies, essential to the development of a positive maritime traffic forecast, ride on multi layer interventions such as: seamless last mile connections (both road and rail), technological innovation and an alternative supply chain management approach. Some examples of such measures are included in the so called “Legge Genova” which has recently introduced a number of policies able to foster a sustainable and fair intermodal approach which should help pave the way towards the greater European marketplace. Clearly, such a wider scenario must be sustained by a timely completion of the main rail corridors, which goes hand in hand with a larger-scale marketing of Genoa’s port and logistics businesses.

Nella pagina a anco, in alto: Veduta del porto di Genova (foto Merlofotogra a 190601 - 3685); in basso: veduta aerea del porto di Vado Ligure (foto Merlofotogra a 200212 - 5243).

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Il mercato e la logistica

1 - I principali “numeri” dei Ports of Genoa (fonte: elaborazione dati statistici AdSP ed altre fonti). 2 - La crescita della dimensione delle navi (fonte: elaborazione statistiche AdSP).

3 - La distribuzione del trafco inland nelle principali regioni italiane (Fonte: elaborazione interna di AdSP).

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La crescita dimensionale, particolarmente attiva sulle rotte est-ovest che collegano l’Europa al Far East ha acuito ancora di più la concorrenza tra gli scali, di fatto concentrata su un numero sempre più ristretto di realtà (tra cui i Ports of Genoa) in grado di offrire servizi per navi di dimensione superiore ai 18.000 TEU di capacità. Lo stress organizzativo che caratterizza il processo di movimentazione della merce all’interno di uno scalo e la concorrenzialità delle principali compagnie di navigazione riporta in primo piano la strategicità di garantire la massima competitività della fase di inoltro/ricezione terrestre. Questa fase della logistica, soprattutto in un mercato come quello europeo, rappresenta senza alcun dubbio uno dei fattori su cui puntare maggiormente per accrescere la competitività dei porti e conquistare nuovi mercati.

In questo scenario il sistema portuale di GenovaSavona, come altri principali porti italiani, oggi si offre ad un mercato prevalentemente nazionale e diversamente articolato nelle principali regioni del nord Italia. Attraverso gli scali del sistema, nel 2018, è transitato il 33% del totale dei traffici “gateway” italiani (escluso transhipment) per circa 2,4 milioni di TEU, con una crescita negli ultimi 10 anni ad un tasso medio annuo del 5%, pari al doppio di quello nazionale. La quota di mercato del Mar Ligure Occidentale sale poi al 60% se si considerano tutti i porti dell’arco Tirrenico da Savona a Livorno. Il dato ri ette sia un’offerta molto diversi cata sotto il pro lo dei servizi marittimi (di lungo e di corto raggio), sia l’effetto del citato processo di concentrazione e di crescita dimensionale che di fatto spinge sempre più i grandi player a selezionare gli scali/terminal sui quali investire e concentrare lo sviluppo. La distribuzione del traffico terrestre oggi si attesta su uno split modale che vede ancora una rilevante quota di trasporto su gomma superiore all’85% e la restante via ferrovia. Il trasporto intermodale, pari a circa 30 treni/gg nello scalo di Genova e 15 treni/settimana in quello di Savona, oggi si distribuisce nelle principali O/D rappresentate nelle gure seguenti. Per quanto concerne il traffico containerizzato la quota principale è costituita dallo scalo di Milano Smistamento che, nonostante la contendibilità con il trasporto su gomma sulle brevi distanze, serve un mercato (quello dell’hinterland milanese) che rappresenta una quota molto signi cativa dei TEU complessivamente sbarcati e imbarcati dal porto di Genova. Le altre destinazioni (Padova, Rubiera e Dinazzano) sono comunque più competitive rispetto al tutto strada sia per la lunghezza della tratta sia per la specializzazione merceologica che caratterizza alcuni distretti serviti. Interessante evidenziare la dinamica evolutiva delle principali O/D che dal 2011 al 2018 ha visto crescere il peso percentuale del Triveneto dal 20% al 28%, il Piemonte dal 4% all’8% e, nel complesso, uno split modale che corrisponde (per il trasporto container) a circa 12%. Relativamente allo scalo savonese, in attesa dell’avvio della nuova piattaforma di Vado Ligure, le relazioni ferroviarie (merci convenzionali e container) si sviluppano prevalentemente sul mercato piemontese, che rappresenta un’importante area di inoltro e ricezione nei segmenti sui quali il porto è più forte dal punto di vista concorrenziale. Nello scenario delineato, il sistema del Mar Ligure Occidentale rappresenta, per i grandi player del trasporto marittimo e della portualità, un punto strategico destinato a svolgere un ruolo di riequilibrio nei confronti di quella porzione di mercato europeo d’Oltralpe che è potenzialmente contendibile attraverso un più intenso utilizzo della modalità ferroviaria. Nei due scali di Savona e Genova sono infatti presenti i più grandi operatori globali: APM/Cosco, PSA, MSC oltre ad altri operatori di dimensione nazionale, che tuttavia controllano una signi cativa quota del mercato gateway in transito per lo scalo genovese e per i porti italiani. I piani delle citate imprese terminaliste e i previsti incrementi di capacità, oltre ad individuare positive prospettive di crescita della movimentazione


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4 - Andamento traffici gateway nei principali Sistemi Portuali Italiani fonte: elaborazione interna di AdSP su dati Assoporti e altre fonti).

lato mare, presentano ambiziosi obiettivi di crescita della modalità di inoltro ferroviario su percentuali vicine al 40%. In uno scenario a regime, per il segmento del trasporto container si prevedono circa 120 treni/gg così distribuiti: - Savona/Vado: 20 - Prà: 46 - Bacino Sampierdarena: 16 - Compendio Bettolo: 40 Tali scenari si collocano ragionevolmente nei prospettati sviluppi dei sistemi ferroviari di collegamento sia interni, sia esterni al porto, anche se non tengono ancora pienamente conto di un modello a regime che potrà sfruttare a pieno il modulo europeo e conseguenti potenzialità di efficientamento.

Le aree di intervento A) L’ultimo miglio portuale - Lo scenario di crescita dei traffici ed una capacità infrastrutturale di circa 6 milioni di TEU lato mare risultano strettamente connessi all’incremento dello split modale a favore della ferrovia dal momento che è dalla stessa che dipende la capacità di penetrazione di nuovi mercati. L’investimento sull’accessibilità terrestre, oltre a quella marittima, è quindi uno dei capisaldi delle strategie di sviluppo del sistema che si caratterizza per un insieme di risorse: - immateriali e caratterizzate dalla messa a disposizione di soluzioni tecnologiche e organizzative via via più evolute; - infrastrutturali e costituite dalla rete stradale/ autostradale e ferroviaria di adduzione. È facile immaginare come i due elementi appena accennati si sviluppino a velocità diverse: il primo in rapida evoluzione e spinto dalle innovazioni che caratterizzano il relativo mercato, il secondo con tempi più lunghi perché connessi a complessi processi di piani cazione infrastrutturale di livello nazionale. A questo proposito occorre tuttavia sottolineare come la tragedia del Ponte Morandi e il complesso delle misure decise con la Legge 130/2018 (Legge “Genova”) abbia rappresentato un fortissimo momento di discontinuità nel percorso di progettazione e realizzazione delle opere. Infatti, la straordinarietà e l’urgenza che caratterizza il programma di interventi di cui all’art. 9-bis ha rappresentato una importante risposta in relazione al ruolo assunto dal porto di Genova nella movimentazione sia dell’import/export nazionale, sia del trafco di cabotaggio come sopra rappresentato. Le esigenze di accelerazione di alcuni investimenti strategici hanno risposto ad una duplice esigenza: - necessità di ripresa del percorso di sviluppo

dei traffici sperimentato negli ultimi anni ed interrotto a seguito del drammatico evento del 14 agosto 2018; - sostegno ad una primaria infrastruttura nazionale per sostenere i ussi commerciali generati dall’industria del nord Italia. Il Programma, in particolare, si articola in diverse aree di intervento rappresentate dalle infrastrutture di accessibilità, dallo sviluppo portuale, dai collegamenti intermodali a favore dell’aeroporto e dai progetti di integrazione tra la città e il porto. B) L’ultimo miglio stradale - In particolare per quanto concerne gli interventi di ultimo miglio stradale, si tratta di investimenti volti all’adeguamento ed efficientamento della rete che riguardano principalmente l’area di Sampierdarena, dove è prevista la creazione di un nuovo anello di accessibilità allo scalo incentrato sui principali varchi portuali con accesso diretto ai principali caselli autostradali. Il nuovo sistema viabilistico che sta per essere realizzato a valle di un appalto in corso di aggiudicazione (previsione ne 2019) pari a circa 140 milioni di euro, determinerà inoltre una più netta separazione tra i ussi di mezzi pesanti da/per il porto e il traffico urbano, con signi cativi bene ci in termini di decongestionamento delle infrastrutture viarie cittadine e di minore impatto ambientale su aree territoriali di con ne con l’ambito portuale di Sampierdarena. Per quanto concerne la nuova viabilità al servizio del polo portuale di Prà (che sarà appaltata ad inizio 2020), la stessa consentirà la liberazione di importanti aree interferite dall’attuale viadotto fra le quali ricadono quelle necessarie al completamento dello scalo ferroviario dedicato alle merci (già nanziato da RFI nell’ambito del nodo di Genova) e che permetterà l’invio e ricezione di treni a modulo europeo (750 metri). C) L’ultimo miglio ferroviario - In relazione agli interventi ferroviari di ultimo miglio si tratta della realizzazione delle opere previste da un Protocollo di Intesa siglato tra AdSP, MIT e RFI a metà 2018 per: - il completamento del collegamento a doppio binario tra il parco del Campasso e il compendio di Sanità/Bettolo (che a regime genererà più di un milione di TEU): l’intervento comprende l’adeguamento a sagoma P/C45 della galleria Molo Nuovo, gli interventi all’armamento, gli impianti di segnalamento e di trazione elettrica per un valore complessivamente paria circa 14,5 milioni di euro, da avviarsi nei primi mesi del 2020; - il potenziamento e l’ammodernamento dello scalo di Fuorimuro, a bene cio delle realtà terminalistiche presenti nelle aree di ponente 39


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5 - Principali O/D interne.Siti retroportuali (fonte: elaborazioni AdSP su dati dei concessionari del servizio ferroviario portuale, 2018).

del bacino di Sampierdarena. La progettazione sarà attivata nel corso del prossimo esercizio per avviare i lavori a ne 2021. Le opere si inquadrano in una attività in corso che comprende, anche per lo scalo di Voltri, il completamento del layout relativo all’ambito che prevede: - la realizzazione del secondo binario di collegamento tra il terminal e la stazione arrivi/partenze (attivazione prevista il 6 gennaio 2020); - la prima fase di potenziamento della stazione esterna a 6 binari no a 580 metri (a cura di RFI) con completamento previsto entro la metà del 2020. Il nuovo sistema determinerà un aumento della capacità dalle attuali 10/11 coppie di treni giorno a circa 24 coppie treni/giorno (+100%). La seconda fase di sviluppo sarà attivabile in corrispondenza del completamento del nuovo viadotto stradale e della connessa demolizione della nuova connessione che permetterà l’allungamento dei 6 binari di cui sopra no a 750 metri. Il sistema garantirà, attraverso la connessione diretta all’asse del Terzo Valico ferroviario, l’offerta di una capacità ferroviaria a modulo europeo dal terminal portuale no ai mercati di sbocco.

Organizzazione e tecnologia Quanto sopra delineato sotto il pro lo infrastrutturale, si inserisce a pieno titolo negli sviluppi previsti lungo il corridoio 6 Genova-Rotterdam e delinea un’offerta in grado di proiettare il traffico portuale attuale e futuro da/verso nuovi mercati che superano la dimensione nazionale per esten-

6 - Layout ferroviario del bacino di Sampierdarena (Fonte: elaborazioni AdSP).

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dersi su aree potenzialmente contendibili. Tale contendibilità, tuttavia, diventa effettiva anche quale conseguenza di politiche di offerta di un ciclo del trasporto sempre più competitivo al cliente nale, che dipende da politiche sempre più orientate alla gestione delle componenti organizzative/gestionali e tecnologiche che rappresentano l’altro importante driver di competitività. In questo senso, come noto, si inseriscono una serie di interventi governati a livello nazionale e locale che comprendono: - misure di sostegno all’intermodalità ferroviaria (Ferrobonus); - sviluppo della Piattaforma Logistica Nazionale in raccordo con i Port Community System portuali; - politiche di uidi cazione dei ussi logistici, anche sulla in relazione alla componente stradale; - introduzione delle Zone Logistiche Sempli cate; - potenziamento degli inland terminal. Con riferimento alle sopracitate azioni, gli scali del Mar Ligure Occidentale, proprio in corrispondenza del tragico evento del crollo del ponte Morandi, hanno potuto sperimentare l’importanza della messa a disposizione di un insieme di misure orientate a raggiungere l’obiettivo di effettivo miglioramento nella gestione dei ussi logistici che fanno capo al porto. Tralasciando, per un momento, i connessi effetti “indennizzatori” motivati dalla presenza di una situazione di crisi determinata dalla carenza infrastrutturale, le citate misure hanno reso evidente l’importanza di garantire una prospettiva di medio-lungo termine ad alcuni interventi.


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7 - Aree di intervento del Programma Straordinario (fonte: Piano Operativo Trienfale AdSP 2019-2021).

In particolare, basti pensare alla Zona Logistica Sempli cata, istituita con il comma 1 dell’art. 7 della cosiddetta “Legge Genova”, che per la prima volta, e seppure attraverso una modalità “straordinaria”, ha individuato puntualmente come l’area di in uenza di un sistema come quello di Genova e Savona debba essere considerato in un’ottica di area vasta. I siti individuati, ben lontani dall’esaurire sia i collegamenti ferroviari strategici già attivi, sia quelli prospettici, ovvero aree di particolare interesse logistico che oggi non sono ricomprese nel perimetro, con gurano uno strumento di particolare rilevanza per lo sviluppo di azioni in campo logistico di più ampio respiro. Nonostante la complessità di gestione che caratterizza lo strumento di durata pluriennale (sette anni più sette) in fase di concreta attivazione, altre misure della Legge 130/2018, unitamente all’avvio di progetti europei nalizzati alla sperimentazione di nuove soluzioni logistiche e tecnologiche (EBridge), sostengono i Ports of Genoa nell’adozione di nuove politiche volte: - all’incentivazione del trasporto intermodale (art. 7 commi 2-bis, 2-ter e 2-quater); - alla uidi cazione dei ussi logistici nel quadro della Piattaforma Logistica Nazionale (art. 6); - al sostegno all’autotrasporto orientato ad una diversa e migliore organizzazione delle fasi di arrivo/partenza dei mezzi (art. 5).

vento, anche sul fronte pubblico, dipende sempre più dalla capacità di garantire le condizioni di base per aumentare l’efficienza e la competitività dell’intera liera, dal porto al mercato. In questo contesto e al ne di agire su modalità di accesso equo ed indiscriminato ai servizi che gli scali portuali nazionali e il trasporto interno offrono, sarà necessario mettere in campo nuove modalità di intervento per: - incentivare la modalità ferroviaria; - garantire il completamento, in tempi rapidi e coerenti, di una serie di interventi infrastrutturali strategici lungo gli assi delle reti TEN-T per non generare pericolosi colli di bottiglia da/ verso i mercati Oltralpe; - sviluppare azioni di marketing territoriale su un’area vasta anche a ne di aumentare la dimensione degli operatori lungo la liera a bene cio dell’offerta di un più efficiente ed efficace servizio “chiavi in mano” al cliente nale. Il ruolo delle AdSP, nel quadro sopra delineato sarà quindi strategico per assicurare il rafforzamento della portualità nazionale e, attraverso di essa, la competitività del sistema produttivo e distributivo italiano ed europeo.

Conclusioni

Autorità di Sistema Portuale del Mar Ligure Occidentale, Documentazione di Programmazione Strategica di Sistema (testo pre-adottato)

La s da che si apre, in corrispondenza di un piano di interventi in ambito portuale in gran parte realizzati (piattaforma Vado e piattaforma Bettolo) e in corso di realizzazione sia nella fase terrestre (interventi di ultimo miglio stradali e ferroviari) sia in quella marittima (nuova diga di Vado e nuova diga di Genova), è particolarmente ambiziosa e si proietta su una dimensione nazionale/internazionale. Gli sforzi gestionali che AdSP sta portando avanti saranno declinati nei nuovi strumenti di piani cazione: il Documento di Piani cazione Strategica di Sistema (DPSS) e i Piani Regolatori Portuali (PRP) di scalo che delineeranno il futuro del Sistema nel lungo termine. Un sistema che sarà necessariamente descritto e inquadrato in una rete di relazioni infrastrutturali e organizzative che trascenderanno la dimensione locale per estendersi su un mercato più ampio. In presenza di un mercato in cui la liera della logistica europea si caratterizza per la presenza di imprese di grande dimensione, globalizzate nella fase marittima, il successo delle politiche di inter-

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Bibliogra a

Autorità di Sistema Portuale del Mar Ligure Occidentale, Piano Operativo Triennale 2019-2021 Autorità Portuale del Mar Ligure Occidentale, Elaborazioni su statistiche dell’Ufficio Rilevazione Andamento di Mercato Assoporti, Autorità di Sistema Portuale - Movimenti portuali, 2008-2018 Alphaliner, Report vari, www.alphaliner.com Nomisma, Prometeia, TEMA, Impatto economico-sociale del Porto di Genova, maggio 2016 Legge 16 novembre 2018, n. 130, Conversione in legge, con modi cazioni, del decreto-legge 28 settembre 2018, n. 109, recante disposizioni urgenti per la citta’ di Genova, la sicurezza della rete nazionale delle infrastrutture e dei trasporti, gli eventi sismici del 2016 e 2017, il lavoro e le altre emergenze. Legge 28 gennaio 1994, n. 84, Riordino della legislazione in materia portuale e s.m.i.

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Il porto franco internazionale di Trieste e il sistema portuale del Mare Adriatico Orientale, fra passato e futuro di Vittorio Alberto Torbianelli e Stefania Silvestri

Nel 1719, la patente di “porto franco” rilasciata da Carlo VI d’Asburgo al porto di Trieste sanciva, di fatto, la nascita del porto di Trieste come scalo marittimo destinato a servire un’ampia zona di territorio europeo esteso dalla zona più settentrionale dell’Adriatico sino alle ampie regioni che costituivano il cuore dell’Impero Asburgico, collocate oltre le Alpi, e idealmente centrate su Vienna. Nel 1749, Maria Teresa d’Austria estese questo status speciale a tutto il perimetro della città di Trieste, creando le premesse per lo stabilimento di imprese che caratterizzò lo sviluppo di Trieste per il XVIII e XIX secolo.

Premessa: i 300 anni del “Porto Franco” di Trieste nel recente contesto evolutivo del “Sistema Portuale del Mare Adriatico Orientale” Approccio e fonti essenziali - Pur essendo appena trascorso (2019) il trecentesimo compleanno della fondazione del Porto Franco – occasione che fa insorgere la tentazione di ripercorrere storicamente il lungo percorso evolutivo del porto - si preferisce in questa sede compiere una scelta diversa, affidando al lettore l’approfondimento dei tre secoli di storia del porto di Trieste, e concentrandosi piuttosto su quello che, hic et nunc, rappresenta il porto di Trieste nello scenario portuale nazionale ed europeo. A tale scopo è opportuno fare riferimento, come fonte primaria, al documento strategico più recente elaborato dall’Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Orientale, ossia il Piano Operativo Triennale 2017-20191. I recenti fatti giuridici: il Sistema Portuale e l’unione con il Porto di Monfalcone Per de nire correttamente l’attuale contesto è doveroso richiamare innanzitutto i recenti fatti giuridici che hanno de nito un nuovo modello nel sistema di governo portuale italiano e che sono alla fonte dell’assetto attuale del così denominato “Sistema Portuale del Mare Adriatico Orientale. 1 Cfr. “Piano Operativo Triennale dell’Autorità di Sistema del Mare Adriatico Orientale 2017-2019” e sue successive revisioni, che costituisce la fonte essenziali nonché l’ossatura testuale di importanti sezioni del presente testo. https://www.porto.trieste.it/wp-content/uploads/2017/08/POT-CDGn.pdf; https:// www.porto.trieste.it/wp-content/uploads/2018/11/POTADSPMAO-2017-2019-Rev.1-2018.pdf.

Titolo The international dutyAutore free port of Trieste and the port system of the Eastern Adriatic Sea,picimin between past Fuga. Qui aborers conemo od maio ipis re future lam dolo quiam ut rem repe plab and ipsaperum anda idignimet poritam vendio by Vittorio Torbianelli Stefania quatissiment officia veliasand aut oditi quunt repro vellatur am inverchit exped quat aut Silvestri

pa cum con coremporro expelitatum quam autat et quuntur, quunt labor si odis reptat perero blabo. Nemporio te digendaera Three hundred years after volum the institution nes eat ex estioraerae laciet unt of the “Free Port”, the article describesdunt et facesto volecup taerspi endundis the the port of Trieste within qui eos situation numet, of cusant restia cus idunto the national and European port scenario, ratquam ra accust earum repraes tiamus. referring to the Three-Year Operational Plan Borit hitaque non endissincit exerumq 2017-2019. Port Networkcomnis Authority of uisque am,The aturi dolescite simpos the Eastern Adriaticamustiu Sea (which recently et ut et offi ciu stiumqu rerumque acquired the port of Monfalcone) is et aut archili gentur mostem venistiundi undergoing a system of development voloreicil maximil ipsanih itemos estiandae that is largely result geographic and re verum dolor the alibus neofatiore ilis eum geo-economic characteristics, well as sim que volorem eturia nos mi, etasvolorest, aenim particular historical strati cation, with a nobitia temquo id qui quiaspeditat perspective policy towards eos disquoson ut port rerem samoriented iusa consed que the future. the one hand there great licitius, as On et volectem ratio test,is vellibus, con in the developmentpediciendam, of the apis dence nonsed quaestemque railway which at the European level nulluptsystem, inulparum ipictat. will be increasingly favoured by a growing Faccabo. Ecae nis eatent volorum etur? environmental awareness the spread of Ucientinctus rerum, sitasand quiate nullabo innovative of management. Another remque admodels ma volorenda corum, comnim element of deep innovation is attention reicia cus, optatquam simus cum, sinctor to the capital-value component epudaercius, ommolo berumede et ned hilictate as “orgware”, as opposed to hardware: it is vendipsandem et aborat rem fugiass important have a systemic organization iminumet toexpediti dolorem haruptas speci for the purpose. restor cally mintdesigned es secumet ommo modipsam This the paradigm that, promoted quis isdoluptiatur sequi nobis accus as atat mi, avoluptati culture within organization, more volorthealigenimet quaepudant than othervendae makes it possible to orient labo. any Nam lique vitaeptaquis the vision and as a result the action ofoffi thectio molupie ntibusamus volore, PNA system. The consequence of suchipsunt a dolupta tisimeniant omnis re dollab company is the constant search to quisque culture di dolorehenis demporepudis establish harmonious interactions the alibus dipidi qui que verovit with ibuscius, outside systems that interact port.et, quidenet, od eribearum aut with que the dolest Well aware that Trieste is located both samus at the odigeni andebit volorum ipis et exera heart of Europe andUs, at the northernmost tip cum nos et fuga. consequia volorem of a “greatquam sea” open to the world. oluptio voluptatur, omnimporecus dest, in et ipiciis citiam sit elitibu sandis venissitis aut experias rerio blandio. Ribusci mpore, iur sanissequae vendis suntium et quaesto mod quam, ut il es mo voluptae

Nella pagina a anco, in alto:, da sinistra a destra, dall’alto in basso: la Piattaforma Logistica di Trieste, stato del cantiere a gennaio 2020; la stazione di Trieste-Campo Marzio; le operazioni al Molo V (credits@Fabrizio Giraldi); navi al pontile del terminal marino Siot.

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TRASPORTI & CULTURA N.54-55 Attraverso il Decreto Legislativo del 4 agosto 2016, n. 169, il Governo Italiano ha, infatti, introdotto importanti elementi di riforma nella legislazione portuale fondata sulla Legge 84/1994, riorganizzando i 57 porti di rilevanza nazionale in nuove 15 “Autorità di Sistema Portuale”. La logica strategica è stata quella di promuovere a livello macro-regionale soggetti unici che governino, piani chino, organizzino e promuovano sistemi logistici complessi capaci non solo di migliorare la gestione delle risorse ma anche di proporsi al mercato in una posizione più forte, fornendo risposte alla domanda quantitativamente e qualitativamente crescente di soggetti globali sempre più esigenti sul piano della domanda di servizi e dotati di un aumentato potere di mercato. Alle Autorità di Sistema Portuale è stato dunque affidato un ruolo strategico di indirizzo, programmazione e coordinamento del sistema dei porti della propria area, assieme a funzioni di attrazione degli investimenti nelle diverse polarità del sistema, raccordandosi naturalmente con le altre amministrazioni pubbliche. Fra le Autorità di Sistema Portuale de nite dalla norma, compare l’Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Orientale (da ora in poi AdSP), individuata dall’“Allegato A” del Decreto del 4 agosto 2016 come inizialmente formata esclusivamente dal “Porto di Trieste”. In base al carattere di specialità della Regione Friuli-Venezia Giulia anche i porti regionali di Monfalcone e di Porto Nogaro risultavano tuttavia, sin da quel momento, passibili di essere ricompresi nell’ambito dell’Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Orientale. Già a novembre 2016 si era pertanto avviato l’iter nalizzato all’accorpamento del porto di Monfalcone, gestito dall’Azienda Speciale del Porto di Monfalcone, proseguito successivamente, fra 2017 e 2019, in un percorso condiviso con la Regione autonoma Friuli Venezia Giulia e sfociato nel varo di un’“Intesa inter-istituzionale” in tema di transizione delle competenze fra la stessa regione e l’Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Orientale in merito alla gestione delle concessioni, delle autorizzazioni, delle manutenzioni e della fornitura di servizi di interesse generale. Nell’ambito del percorso di integrazione è stato recentemente insediato un proprio ufficio presso il Porto di Monfalcone e si prosegue nell’adozione di iniziative e di provvedimenti necessari anche all’adeguamento normativo, in un quadro destinato a mantenere comunque, per il porto di Monfalcone, caratteristiche peculiari.

dei ni dell’Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Orientale sono descritte nel seguito, con in parentesi, per ciascuna di esse, la quota posseduta dall’AdSP: Porto di Trieste Servizi S.r.l., che fornisce i servizi di interesse generale nell’ambito portuale (100%); Adriafer S.r.l., società che gestisce la manovra ferroviaria all’interno del Porto (100%); Trieste Terminal Passeggeri S.p.A., società che gestisce il terminale crociere insieme ad altri soggetti privati (40%); ALPT – Agenzia per il Lavoro Portuale del Porto di Trieste S.r.l., che costituisce il pool di lavoro temporaneo attivo nel sistema portuale (35%); Società Alpe Adria S.p.A., operatore del trasporto ferroviario che supporta lo “start-up” dei collegamenti ferroviari (33,33%); Interporto di Trieste S.p.A. come gestore di piattaforme intermodali del “retro-porto” (22,64%). Ciascuna di queste partecipazioni rappresenta uno strumento con il quale l’Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Orientale è facilitata nell’implementare in modo più efficiente la politica coordinata di sistema.

Lo strumentario di gestione del “Sistema Portuale”

Lo strumento del “Porto Franco” - Un ulteriore, peculiare aspetto del Porto di Trieste, che arricchisce ulteriormente il modello integrato fatto proprio dall’Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Orientale, è quello del Porto Franco, radicato profondamente nella storia e nella posizione geograca internazionale dello scalo. Dopo la prima guerra mondiale e l’estensione della giurisdizione italiana sulla città di Trieste, il Governo italiano decise di mantenere i Punti franchi di matrice asburgica, tanto che nel 1925 venne promulgato il Testo Unico delle norme doganali per l’esercizio dei Punti Franchi nel quale si riconosceva che “I Punti Franchi di Trieste sono considerati fuori dalla linea doganale”. Dopo la Seconda Guerra e la rma del trattato di pace del 1947, fu avanzata la proposta di un’internazionalizzazione della città di Trieste, diventata,

Il modello del “gruppo” per la gestione dei servizi di sistema - La forma del “Sistema Portuale” de nita dalla legge, è considerata, almeno nell’ambito dei porti dell’Adriatico Orientale, come la cornice naturale per l’impostazione di un modello gestionale e di sviluppo realmente capace di rispecchiare un contesto logistico ampio e coordinato, al di là della semplice inclusione di più porti marittimi. L’Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Orientale si è con gurata pertanto come un “gruppo pubblico” per lo sviluppo del sistema portuale e delle reti collegate attraverso lo strumento societario. Le quote di capitale collocate in soggetti che svolgono ruoli essenziali per il perseguimento 44

Il ruolo attivo nel sistema dell’insediamento industriale - Oltre alle partecipazioni societarie, l’Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Orientale, è di fatto l’ente controllante del Consorzio per lo Sviluppo Economico Locale dell’Area Giuliana (Co.Selag). Si tratta di un ente pubblico partecipato al 35% dall’Autorità di Sistema Portuale assieme al Comune di Trieste e al Comune di San Dorligo della Valle. La missione del Co.Selag è quella di promuovere e favorire, nell’ambito dell’area industriale giuliana, comprensiva dell’area del Punto Franco Industriale, le condizioni necessarie per la creazione e lo sviluppo di attività produttive e imprenditoriali. La presenza dell’AdSP nel consorzio industriale è un’ulteriore modalità con cui l’Autorità di Sistema si propone attivamente nel ruolo di propulsore e coordinatore di un “sistema di sviluppo” che punti a relazionarsi con il sistema territoriale dell’industria, secondo una visione che individua nei porti un possibile catalizzatore di sviluppo economico e di valore aggiunto per l’intero contesto territoriale. Si tratta di un modello per certi versi connaturato alla stessa storia delle città portuali e che anche in tempi recenti ha trovato molteplici realizzazioni (si pensi al ruolo dei porti del Nord Europa nell’aver lanciato nel corso del XX secolo processi territoriali di sviluppo industriale e, più recentemente, al modello “triangolare” basato sulla sinergia fra porto, ambito urbano e parchi tecnologici, in diffusione nelle regioni dell’Estremo Oriente.


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1 - Condizioni favorevoli della “extra-doganalità” e del “transito” nelle zone franche di Trieste; fonte Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Orientale.

al tempo, ago della bilancia di importanti equilibri politici internazionali: la “questione triestina” fu risolta assegnando al porto di Trieste la condizione di porto libero in regime di amministrazione internazionale, ferma restando ovviamente la sovranità italiana sulla città di Trieste. Nell’Allegato VI del Trattato di Pace era prevista l’istituzione del “Free Territory” e nell’Allegato VIII la costituzione del “Free Port”. Con quest’ultimo Trieste è destinata a divenire un porto internazionale e a diventare così lo sbocco commerciale naturale degli Stati dell’Europa orientale, privi di accesso al mare. Con il Memorandum di Londra del 1954 si pose ne alla presenza angloamericana, mantenendo però fermo l’impegno del Governo italiano alla salvaguardia del Porto Franco, in armonia con le disposizioni dell’Allegato VIII del Trattato di Pace con l’Italia. Il porto di Trieste assunse così una particolarissima connotazione normativa, di natura internazionalistica, che ne delineò la gura di territorio extradoganale in senso stretto, interno al con ne politico ma esterno alla linea doganale, non dunque confondibile con le aree delle “zone franche” così come de nite anche dalla successiva legislazione dell’Unione Europea. Il regime di Porto Franco a Trieste, dopo il 1954, è stato oggetto di un modello di applicazione consolidato attuato essenzialmente nelle due aree del “Punto Franco Vecchio” (la zona portuale costruita nel XIX secolo in prossimità dell’area urbana) e del “Punto Franco Nuovo” (rappresentato da nuove infrastrutture realizzate nel ‘900), sino al momento in cui, alla ne del 2014, con la “legge di stabilità” relativa all’esercizio 2015, l’area del “Punto Franco Vecchio”, dopo un lungo periodo di dibattito pubblico, è stata quasi interamente liberata dal regime di punto franco ad opera del legislatore nazionale, a seguito della consapevolezza che l’area risultava ormai sostanzialmente incapace di rispondere alle reali esigenze dei traffici commerciali contemporanei. Successivamente alla legge di riforma portuale del 2016 e alla percezione che il potenziale del Porto potesse accrescersi in considerazione del particolare status di Porto Franco, l’attenzione verso tale strumento si è concretizzata a livello legislativo con l’emanazione del Decreto Legislativo n. 368 del 14.07.2017, che ha permesso di sempli care la gestione dei punti franchi ribadendo il ruolo del Porto di Trieste come hub a servizio del traffico internazionale.

Tale assetto normativo quali ca chiaramente i punti franchi del Porto di Trieste come territorio extradoganale, caratterizzato dalle condizioni favorevoli riassunte nella gura 1.

La posizione geogra ca, i traffici, il retroterra e la sua gestione ferroviaria Una visione complessiva del posizionamento del porto - Fra i vantaggi competitivi principali dei porti dell’Adriatico Orientale spiccano quelli collegati alla loro posizione geogra ca, che rappresenta un punto ottimale di toccata per le rotte marittime aventi come obiettivo i quadranti dell’Oltre Suez e del Mediterraneo Orientale, da un lato, e il cuore del Centro Europa dall’altro. Fra l’altro, nel decennio passato, molti dei paesi collocati nell’area del Centro Europa hanno visto accrescere in modo sempre più importante il proprio ruolo nel sistema manifatturiero europeo, a seguito di quella che potrebbe essere de nita una “migrazione ad Est” dell’industria europea, spinta a localizzarsi in misura sempre maggiore in regioni a maggiore tasso di sviluppo economico e con ottimale accessibilità ma ancora caratterizzati da condizioni di costo localizzativo competitive. Il fenomeno – che nel porto di Trieste si è estrinsecato in traffici nuovi – si somma alla vicinanza logistica a regioni più occidentali caratterizzate da livelli tradizionalmente elevati di presenza manifatturiera (es. Austria, Baviera, ma anche, per alcuni traffici, la regione Lussemburghese e quella della con uenza Reno-Ruhr, presso Duisburg). La componente internazionale di traffico lungo l’Adriatico, legata alle dinamiche dell’Europa centrale e orientale, da un lato, e allo sviluppo delle economie dell’Estremo Oriente ad iniziare dalla Cina, dall’altro, rappresenta quindi l’elemento trainante dell’exploit della via marittima adriatica nell’ultimo quinquennio. La dinamica statistica dei traffici portuali di Trieste negli ultimi 5 anni (il porto è risultato anche nel 2019 il primo porto d’Italia per tonnellaggio e anche grazie al traffico ferroviario internazionale che lo distingue fra gli altri porti nazionali) dimostra, infatti, notevoli performance sostanzialmente in tutti i comparti. Osservando le statistiche, la parte maggioritaria di 45


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2 - Rete dei collegamenti intermodali del Porto di Trieste; fonte Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Orientale.

traffico in peso è riconducibile ai ussi di petrolio greggio trattati nel terminal dell’Oleodotto Transalpino e diretti all’estero alle raffinerie tedesche, austriache e della repubblica ceca, mentre il resto del traffico utilizza una logistica terrestre (basata in misura crescente sulla ferrovia), sia per i traffici da e verso le regioni settentrionali italiane che per quelli, preponderanti, da e verso l’estero. Nell’ambito del “carico generale” intermodale, Trieste, fra “container” e unità intermodali stradali (RoRo) è un porto che raggiunge un ordine di grandezza di circa 1,3 milioni di “TEU equivalenti”. Per quel che riguarda i servizi oceanici per il container, il porto è favorito dalla presenza di fondali naturali di circa 18 m che permettono anche alle navi di maggiore pescaggio e dimensioni, operate sotto il controllo delle maggiori “alleanze” del settore armatoriale, di scalare il porto di Trieste. La rimanente parte del traffico “general cargo” intermodale si ricollega alle rotte regolari con la Turchia, servite da navi Ro-Ro di sempre maggiore dimensione.

Costruzione e sviluppo della funzione ferroviaria Il ruolo strategico della ferrovia come recupero di un modello - Sul piano delle destinazioni ferroviarie, la gura 2 illustra il peso percentuale che, nello scenario attuale, i diversi paesi del retroterra hanno sulla componente di traffico intermodale generato dal porto. Attualmente, il porto di Trieste è ai vertici nazionali del trasporto ferroviario di origine marittima con circa 10.000 treni sviluppati nel 2019, a valle di una crescita molto visibile concentrata nell’ultimo quinquennio. Il modello del porto di Trieste, del resto, si basa storicamente sul rapporto strutturale con il sistema ferroviario che costituiva, già nel XIX Secolo, il propulsore per eccellenza 46

del Porto in termini di potenziali di collegamento con il retroterra europeo. Si conceda, pertanto, una violazione al principio dell’hic et nunc sancito in premessa, per ricordare che il collegamento ferroviario fra Trieste e l’entroterra transalpino costituì, ai tempi della sua realizzazione, un evento ingegneristico epocale, a merito dell’ingegnere veneziano Carlo Ghega a cui venne affidato, dalle autorità asburgiche, l’incarico di progettare quella che verrà chiamata la “Ferrovia Meridionale” per collegare Vienna a Trieste via Graz. Il potenziale ferroviario del porto di Trieste, anche in termini di sviluppi futuri, è garantito innanzitutto dalla presenza di un collegamento infrastrutturale di altissima qualità, vale a dire la linea ferroviaria ad alta capacità che transita attraverso il valico ferroviario di Tarvisio, un’opportunità di transito ferroviario ancora non totalmente sfruttata, non solo per i porti dell’arco dell’Adriatico Orientale ma più in generale per tutto il paese. L’accessibilità ferroviaria del porto è di elevatissima qualità anche in considerazione della massima sagomatura per i traffici intermodali (“gabarit P/C80”) già attualmente disponibile lungo le linee che connettono i porti del Mare Adriatico Orientalee all’Europa Centrale e Settentrionale. Gli interventi riorganizzativi della gestione ferroviaria portuale - Presso l’Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Orientale è stata impostata nel corso degli ultimi anni una vera e propria strategia di politica ferroviaria integrata, composta da vari elementi. A gennaio 2016 è stata introdotta la così detta “manovra unica” attuata da parte della società controllata Adriafer, che ha permesso un decisivo miglioramento delle operazioni ferroviarie portuali, con una riduzione sostanziale dei tempi e dei costi rispetto al sistema precedente. Il coordinamento operativo reso possibile dalla presenza di un’impresa unica per la manovra ferroviaria ha favorito – assieme a interventi sulle infrastrutture


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e alla formazione di nuovo personale – la promozione e la diffusione progressiva di modelli maggiormente orientati alla programmazione dei servizi con l’obiettivo di incrementare la qualità degli stessi, in termini di “coordinamento nave-treno” e di uso efficiente della capacità delle infrastrutture ferroviarie portuali. In parallelo a ciò, sono stati impostati ulteriori investimenti in sistemi informativi (collegati al Port Community System portuale) per l’ottimizzazione della catena logistica nave-ferrovia, del funzionamento dei varchi doganali e della gestione della manovra ferroviaria. Sul piano della governance interna l’Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Orientale ha costituito inoltre una “Direzione Infrastrutture Ferroviarie” (DIF), con compiti di manutenzione dell’infrastruttura, gestione della sicurezza, regolazione della circolazione e in particolare della manovra, de nendo inoltre i criteri per la valutazione della capacità dell’infrastruttura. Vista la necessità di garantirsi la capacità sull’Infrastruttura Ferroviaria Nazionale (IFN) per i traffici aventi come origine/destino il nodo di Trieste, l’Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Orientale, attraverso la stessa DIF, si è fatta inoltre promotrice presso RFI della sottoscrizione di un Accordo Quadro in tema di assegnazione di capacità da parte di RFI su linee ferroviarie che costituiscono l’area di riferimento di quello che potrebbe essere de nito come il sistema allargato territoriale della “logistica di retroporto”, fondata sull’uso della ferrovia. Il disegno è, infatti, quello di costituire, progressivamente, un sistema di gestione integrata delle principali piattaforme ferroviarie e logistiche regionali (vedi gura 3), assegnando una funzione primaria allo scalo ferroviario, nonché interporto, di Cervignano del Friuli, infrastruttura di grande capacità collocata a circa 40 km dal porto di Trieste e a 20 da quello di Monfalcone, all’incrocio delle grandi direttrici ferroviarie congiungenti Italia, Austria e Slovenia. Attualmente la società

dell’Interporto di Cervignano è già entrata sotto il sistema della governance dell’Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Orientale (attraverso le partecipazioni dell’Interporto di Trieste). Relativamente al modello di governance è stato ipotizzato l’ingresso azionario, nel futuro sistema degli interporti, anche del gruppo pubblico tedesco “Duisport” (riconducibile alla piattaforma portuale e logistica di Duisburg), a confermare il valore strategico dell’area alto adriatica, e della Regione Friuli Venezia Giulia in particolare, come snodo di logistica mare-ferrovia di rango europeo. La piani cazione delle infrastrutture ferroviarie portuali - In parallelo alle azioni di natura prevalentemente gestionale, in campo ferroviario, è stato avviato un processo nalizzato ad un rinnovamento radicale e all’estensione del sistema di infrastrutture ferroviarie del porto (comprese le linee più prossime di adduzione), in vista non solo dell’aumento dei traffici presso i terminal esistenti, ma anche per servire in prospettiva quelli in apertura o di futura realizzazione. Il cuore di questi interventi infrastrutturali è rappresentato dall’intervento di potenziamento della principale stazione ferroviaria del porto di Trieste, lo scalo di Campo Marzio, dal quale si dipartono i raccordi che servono direttamente i principali terminali portuali. Si tratta di un’operazione, avviata nel 2019, condivisa con il gestore nazionale dell’infrastruttura (RFI) che consisterà nella costruzione, con moduli di binario di 750 metri, di nuovi 6 fasci di arrivo e partenza, nella centralizzazione di tutte le manovre in un’unica area dell’impianto, nonché nell’implementazione di un sistema integrato di controllo della circolazione, condiviso fra RFI e l’Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Orientale, il quale permetterà la riduzione dei tempi e dei costi di manovra e il raggiungimento di un potenziale annuo di circa 25.000 treni. L’intervento di Campo Marzio si integra con una serie di altri interventi nalizzati all’ulteriore rafforzamento

3 - Mappa delle piattaforme regionali; fonte Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Orientale (UPS).

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4 - Schema illustrativo delle opere previste dal Master Plan 2016; fonte Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Orientale.

5 - Navi portacontainer al Molo VII_(credits@Roberto Pastrovicchio).

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e integrazione del sistema ferroviario portuale, da attuarsi entro il 2025e anch’essi condivisi con RFI. Uno dei più importanti riguarda il ripristino e l’ammodernamento tecnologico della stazione di “Aquilinia” e del segmento di linea che la connette allo scalo principale di Campo Marzio. La stazione di Aquilinia costituirà non solo un’ulteriore riserva di capacità di gestione treni al servizio dell’intero porto ma anche un’infrastruttura al servizio, rispettivamente, della nuova zona logistica di punto franco “Freeste1”, collocata a Bagnoli della Rosandra e raccordata alla ferrovia, del nuovo terminale marittimo in via di apertura presso la zona di Servola, noto come “Piattaforma Logistica Trieste” e, in futuro, del terminale multifunzionale delle “Noghere”, collocato nel “Vallone di Muggia”. Nell’ambito della stazione di Aquilinia è inoltre in valutazione la possibilità di realizzare anche un terminale intermodale pubblico di limitate dimensioni, dotato di binari di carico e scarico elettri cati, per servire traffico non operato direttamente (come avviene normalmente nel porto di Trieste) attraverso i binari collocati presso le banchine all’interno delle concessioni terminalistiche.

Il Piano Regolatore e gli sviluppi a mare Il pro lo generale delle espansioni ammesse e le prospettive progettuali - Fra i vantaggi competitivi del porto di Trieste vi è quello di possedere, dal 2016, un Piano Regolatore Portuale pronto a governare il percorso di sviluppo infrastrutturale di lungo periodo. Nella gura 4 è riportata un’immagine dei limiti massimi dell’espansione ammessa dal piano regolatore per le infrastrutture di banchina. Nell’ambito degli strumenti di piano, l’Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Orientale, in una prospettiva temporale di breve e medio termine, è da tempo attivamente impegnata a promuovere lo sviluppo di alcuni speci ci interventi di grande infrastrutturazione a mare. Il primo, in ordine di tempistica, è lo sviluppo terminalistico noto con il nome di “Piattaforma Logistica”. Impostato sul piano dei lavori ancora nel 2014, è attualmente prossimo all’inaugurazione (prevista nel 2020). Esso è stato realizzato in un’innovativa cornice di partenariato pubblico privato (PPP) e sarà destina-


TRASPORTI & CULTURA N.54-55 to al traffico container, Ro-Ro e multipurpose costituendo così il naturale ampliamento dello “Scalo Legnami” e il primo stralcio dello sviluppo a mare di un futuro “Molo VIII”, un terminal container di grandi dimensioni che, a ne 2019, non era ancora oggetto di operazioni concrete, benché per il progetto sia stato manifestato forte interesse da parte di diversi operatori attivi a livello globale. L’area connessa al progetto del Molo VIII è peraltro una zona estremamente importante per l’intera economia della città considerata la vicinanza alle aree sulle quali si sviluppano gli impianti della “Ferriera di Servola”, che sono oggetto di delicati percorsi ancora in svolgimento, nalizzati al “risviluppo industriale” dell’area e gestiti attraverso lo strumento dell’ “Accordo di Programma”. Un’altra operazione attualmente in linea di partenza è l’allungamento dell’attuale terminal contenitori del Molo VII, anch’esso previsto dal Piano Regolatore. L’opera sarà attuata da parte dell’attuale gestore del Molo VII, la società “Trieste Marine Terminal”, con l’obiettivo di giungere ad una potenzialità, entro cinque anni, di almeno 1,2 milioni di TEU. Il Piano Regolatore prevede, in ne, per l’area collocata in una zona occupata dalla ex raffineria “Aquila” nell’area del Vallone di Muggia attualmente da boni care, la realizzazione di un nuovo terminal Ro-Ro e multipurpose. L’investimento fra 2018 e 2019 ha continuato ad essere oggetto di un articolato e complesso percorso negoziale che ha visto e vede tuttora ( ne 2019) come protagonisti da un lato il governo ungherese, e dall’altra, due società private proprietarie di aree comprese nell’area di progetto con la nalità ultima di favorire una migliore integrazione logistica del paese nei confronti dei ussi marittimi dell’Adriatico.

L’internazionalizzazione come “karma” del porto di Trieste Il possesso di un retroterra essenzialmente internazionale e la posizione del porto, collocato in una “terra di con ne” ha certamente aiutato a sviluppare, nel contesto del porto alto-adriatico, un’apertura alla dimensione internazionale “lato sensu”, non limitata al retroterra ma estesa all’intero sistema delle relazioni e delle collaborazioni. L’ingresso di una società ungherese come terminalista del porto di Trieste, poco sopra richiamata, rappresenterebbe dunque il caso più recente di un fenomeno – quello dell’internazionalizzazione – per certi versi tradizionale nel porto di Trieste, qualora si pensi, solo come esempi, ai fondaci dei grandi commercianti greci e serbi del porto settecentesco; fenomeno il quale, tuttavia, dopo la riforma portuale del 1994, si è negli ultimi anni rinforzato per motivi di mercato ma anche grazie ad una maggiore focalizzazione strategica verso tale obiettivo e al superamento di un lungo periodo nel quale l’apertura “all’esterno” in termini di attori del sistema, è stata probabilmente vista, anche a livello locale, più come un rischio che come una effettiva opportunità. Dall’altro lato, la percezione che il porto di Trieste possieda una natura intrinsecamente internazionale, secondo l’opinione di diversi studiosi, potrebbe aver favorito, da parte delle istituzioni nazionali in diverse fasi storiche, quella che è stata spesso interpretata come una “incomprensione” del valore e del signi cato del contesto del por-

to di Trieste anche in relazione alle potenziali opportunità, come quelle collegate al punto franco. Lasciando comunque ad altri il compito di approfondire la ricerca storica sui temi dell’internazionalizzazione del porto di Trieste, basti qui ricordare che, attualmente molti dei principali terminal del porto di Trieste assegnati in concessione sono gestiti da società controllate o comunque ampiamente partecipate da imprese governate dall’estero, in ambito europeo (Danimarca, Svizzera, Olanda) o Euro-asiatico (Turchia). Al di là del fattore “capitale estero”, l’Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Orientale ha effettivamente, fra i propri obiettivi strategici, lo sviluppo di attività di internazionalizzazione attraverso partnership aventi natura il più possibile operativa. Una breve rassegna degli accordi internazionali sottoscritti nel corso del 2019 fornisce uno spaccato delle modalità con le quali il porto di Trieste

6 - Tabella 1 – Dati di traffico 2015 – 2018 e stime non ufciali dell’andamento 2019/ 2018; fonte Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Orientale (UPS).

7 - Panoramica della Piattaforma Logistica e del Molo VII.

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TRASPORTI & CULTURA N.54-55 tende attualmente a muoversi sul piano internazionale, promuovendo collaborazioni mirate a rinforzare le relazioni ferroviarie e intermodali nel retroterra e le opportunità di proiezione logistica verso i porti dell’oltre mare. Per sviluppare i rapporti sulla direttrice ferroviaria chiave con l’Austria, RFI, Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Orientale e ÖBB Infra (gestore della rete pubblica ferroviaria austriaca) hanno sottoscritto un accordo per migliorare la connettività ferroviaria merci tra il porto di Trieste e i terminali terrestri di Villach, Tarvisio Bosco Verde, Cervignano e Villa Opicina, allacciati alla rete ferroviaria facente parte sia del corridoio UE Adriatico – Baltico sia del corridoio UE Mediterraneo. Con Rail Cargo Austria, l’operatore ferroviario che detiene la maggior quota fra quelli presenti nel porto di Trieste, è stato sottoscritto un “Memorandum of Understanding” (MoU) dedicato allo sviluppo dei servizi ferroviari austriaci sul porto di Trieste al ne di incrementare le movimentazioni da e per il porto. L’accordo prevede anche valutazioni in tema di gestioni interportuali condivise, così come potenziali condivisioni azionarie reciproche nelle imprese di gestione di piattaforme intermodali. Con la società che gestisce in Lussemburgo (Bettembourg) uno dei principali terminali intermodali interni d’Europa, la “CFL Intermodal”, controllata dalle Ferrovie Lussemburghesi, è stato stabilito a giugno 2019 un accordo di cooperazione per facilitare, incoraggiare e promuovere, tramite un progetto di collaborazione tecnica multi-ambito, che vede coinvolte anche le società ferroviarie partecipate dall’AdSP, lo sviluppo e l’ottimizzazione di treni intermodali tra Trieste e Bettembourg-Dudelange. Per quel che concerne le collaborazioni con la Cina, il 23 marzo 2019, a Roma, è stato rmato un accordo di cooperazione con il gruppo “China Communications Construction Company” (CCCC), avente per oggetto l’esplorazione di opportunità collegate a tre contesti geogra ci e speci camente: in Italia, ad investimenti in terminali ferroviari collocati nel quadro del progetto ferroviario di retro porto, “TRIHUB”, proposto nell’ambito dell’iniziativa “EU – China Connectivity Platform”; in altri paesi Europei, allo sviluppo di un impianto intermodale localizzato in Slovacchia presso Kosiče, un’area chiave del “retroterra obiettivo” dei porti dell’Adriatico Orientale; in Cina, per lo sviluppo di piattaforme a servizio dell’export italiano. A valle dell’Accordo di Cooperazione di marzo 2019, un memorandum di implementazione rmato a Shanghai nel novembre 2019 e relativo ai progetti in Cina prevede che lo scalo giuliano supporti CCCC nello sviluppo di progetti pilota di alcune piattaforme Sino-Italiane nalizzate alla promozione e all’esportazione del Made in Italy (es. “vino”), da localizzarsi nelle aree ad alto potenziale economico di Guangzhou e di Jiangsu, nel retroterra dei porti di Shanghai, Ningbo e Shenzhen, tutti scali di servizi marittimi intercontinentali che fanno capo a Trieste. Assieme all’Iniziativa Centro Europea (InCE), sotto l’egida dei progetti della Regione Friuli Venezia Giulia, è stato inoltre avviato un progetto volto al coordinamento e all’assistenza tecnica nell’avanzamento di un collegamento ferroviario tra centri logistici/portuali localizzati nella regione Friuli Venezia Giulia e centri logistici/portuali cinesi, in particolare nella regione di Chengdu.

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Una visione di sintesi Come si può desumere da quanto descritto in precedenza, l’Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Orientale sta percorrendo un sentiero di sviluppo che, a leggere fra le righe, si potrebbe quasi de nire “obbligato” dal contesto complessivo in cui essa è chiamata a svolgere le proprie funzioni istituzionali; contesto che è in buona parte frutto di peculiarità geogra che e geo-economiche nonché di una speci ca strati cazione storica. Tale contesto, certamente radicato nel passato, è tuttavia oggetto di un’interpretazione innovativa, volta a selezionare, in termini strategici, i migliori vantaggi competitivi, in una prospettiva orientata il più possibile al futuro. In quest’ottica vi è, ad esempio, la grande ducia verso il “ritorno al futuro” della ferrovia, favorito a livello europeo, da una crescente sensibilità ambientale e dalla diffusione di modelli gestionali e di mercato innovativi che comportano, grazie allo sviluppo progressivo della digitalizzazione dei processi, la riduzione di alcuni dei problemi storici di “irrazionalità gestionale” del settore ferroviario. Dall’altra parte, un ulteriore elemento di innovazione profonda, fortemente trasversale, è rappresentato dall’obiettivo di concedere la massima attenzione alla componente di capitale-valore che nel gergo dell’analisi dei sistemi è de nita “orgware”, in contrapposizione al cosiddetto “hardware”, quest’ultimo rappresentato da asset di natura tradizionale, come le infrastrutture. Gennady M. Dobrov2, nel 1983, affermava che per far raggiungere il successo ad un sistema tecnologico, è importante possedere un’organizzazione speci camente progettata allo scopo, l’orgware, che deve provvedere alle condizioni necessarie a utilizzare conoscenze e capacità di chi prende le decisioni permettendo l’interazione con sistemi di natura differente. Il modello dell’orgware è probabilmente il paradigma che, promosso e valorizzato come cultura all’interno dell’organizzazione, permette più di tutti gli altri di orientare la visione e quindi l’azione del sistema dell’AdSP. In una cultura aziendale ispirata all’“orgware”, e quindi, essenzialmente non introversa, al contrario di quanto spesso invece si veri ca in altri contesti in cui prevale la componente amministrativa, è costante il tentativo di stabilire interazioni armoniche con i sistemi esterni che interagiscono, sulle reti corte o sulle reti lunghe, con il mondo del porto. Concretizzazioni della loso a dell’orgware sono, ad esempio, l’utilizzo di strumenti già in precedenza richiamati, quali le “partecipazioni incrociate” e le partnership strutturali, o il coordinamento dello sviluppo territoriale (portuale-industriale) attuato con il coinvolgimento nel consorzio di sviluppo locale o, ancora, gli accordi di cooperazione internazionale ad ampio raggio stabiliti con imprese dell’Estremo oriente. Nel contesto italiano, operazioni di tale natura potrebbero essere percepite dall’esterno come un “dilatamento” del campo di azione istituzionale delle autorità portuali; ma a ben guardare, questo non è, dal momento che si tratta piuttosto di utilizzare, per i ni istituzionali, strumenti adatti a 2 Dobrov GM (1983). The Strategy for Organized Technology in the Light of Hard-, Soft-, and Org-ware Interaction.


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rispondere adeguatamente alle nuove esigenze dello scenario economico e tecnologico. Esigenze fondate, nella prospettiva dell’orgware, proprio sull’interazione sistemica fra “reti”. In questo senso, anche la creazione in autonomia di alcune strumentazioni risponde semplicemente a questa logica funzionale. Si pensi, come esempio al “Port Community System” sviluppato sulla gestione delle informazioni doganali e la cui impostazione, condivisa peraltro all’interno dell’IPCSA3, è stata guidata proprio dalla necessità, molto speci ca di Trieste, di interagire con il sistema doganale in base alle prerogative del porto franco. E di esempi, oltre a quelli citati, ve ne potrebbero essere altri, già concretamente delineatisi o ancora “in nuce” nella visione strategica del porto. Si possono ad esempio ricordare l’utilizzo innovativo del sistema delle concessioni attuato attraverso l’assegnazione di una concessione “subacquea” nell’area dello specchio acqueo del porto storico come campo-test per la robotica sottomarina utilizzata in caso di emergenze ambientali nel settore petrolifero; o ancora la decisione di de nire, nel 2020, un piano energetico integrato di lungo periodo per l’intera regione portuale che riconosca, progressivamente, la necessità di puntare all’elettri cazione ottimizzata del sistema logistico-produttivo; e ancora, in prospettiva, l’interesse crescente per il tema delle possibili relazioni fra infrastrutture portuali siche e i nodi informatici. Fra chi lavora quotidianamente al futuro del Sistema Portuale del Mare Adriatico Orientale si è

così diffusa l’idea che “il futuro del porto è quello che non è porto”: non si tratta tuttavia di un’iperbole retorica o, ancora peggio, dell’intenzione di disimpegnarsi dal nocciolo della propria missione, ma semplicemente della consapevolezza di avere a che fare con una questione di interazione fra sistemi (e fra persone che in questi sistemi lavorano). Consapevolezza che a Trieste, per una necessità ampli cata probabilmente dalla presenza storica di “con ni” e quindi dalla conseguente abitudine alla complessità del rapporto con culture e contesti commerciali molto diversicati, è ritornata ad essere, a 300 anni dall’editto di Carlo VI, la bussola per orientare la rotta di una comunità territoriale collocata allo stesso tempo nel cuore dell’Europa e al vertice più settentrionale di un “grande mare” aperto al mondo.

8 - Panoramica dell’intera area del Porto Nuovo_(credits@Fabrizio Giraldi.

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Nota - L’articolo, che riporta informazioni pubbliche e notorie, rispecchia esclusivamente la visione degli autori e non dell’ente di appartenenza degli stessi.

3 International Port Community System Association.

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Il ruolo delle infrastrutture ferroviarie nel Porto di Venezia di Marco Pasetto e Giovanni Giacomello

La costruzione di Porto Marghera fu decisa per far spazio all’aumento del traffico merci che alla ne del XIX secolo aveva saturato l’area di Santa Marta, all’epoca dedicata alle merci e nata in seguito all’arrivo della ferrovia a Venezia e con la costruzione della Stazione Santa Lucia (1860) e la Stazione Marittima (1869). Le nuove strutture portuali furono quindi erette nell’area detta dei “Bottenighi” (area poi denominata “Porto Marghera”). Nel 1917, a seguito di una convenzione tra lo Stato, il Comune e la Società “Porto Industriale” presieduta da Giuseppe Volpi, si inizio lo sviluppo del porto commerciale, seguendo il progetto dell’ingegner Coen Cagli. Porto Marghera ebbe funzioni di porto di arrivo delle materie prime e di nuovo centro industriale. Tra il 1960 e il 1970 la crescita dei traffici industriali impose la realizzazione del porto petrolifero di San Leonardo e lo scavo del canale MalamoccoMarghera per consentire a tutte le navi petroliere di raggiungere il porto, evitando il passaggio attraverso Venezia. Contemporaneamente le aree della Stazione Marittima furono ristrutturate e destinate ad accogliere il traffico commerciale delle merci più pregiate. Il crescente incremento del traffico crocieristico ha determinato alla ne del XX secolo un radicale cambiamento nel tipo di traffico: l’area della Stazione Marittima è diventata progressivamente uno scalo riservato alle navi da crociera e ai traghetti, l’area di Porto Marghera al traffico commerciale e industriale. L’area industriale di Porto Marghera già dalla metà degli anni ’80 aveva iniziato a contrarsi (il numero di addetti era diminuito a circa 23.000 addetti). La crisi del settore petrolchimico tra la metà degli anni 80 e la prima parte degli anni 90 ha portato alla graduale chiusura delle aree del petrolchimico di Porto Marghera.

Lo stato attuale di Porto Marghera: le problematiche ambientali e il rilancio economico. Allo stato attuale Porto Marghera ha una super cie di circa 2000 ettari, di cui 1447 ettari di attività commerciali, terziarie e industriali. Le aziende che vi operano sono 1.034 per un totale di 13.560 addetti. Tra le dotazioni infrastrutturali vi sono 662 ettari di canali, specchi d’acqua e infrastrutture di trasporto (strade e ferrovie) e 12 km di banchine attive. La struttura di Porto Marghera ( gura 1) può essere suddivisa in tre differenti ambiti terri-

The role of the railway infrastructures in the Venice Port by Marco Pasetto and Giovanni Giacomello The port of Venice is a set of areas distributed between Venice (on the lagoon) and another town (Marghera) on the mainland. Railway infrastructure has played a fundamental role since the birth of the port area on the mainland, called “Porto Marghera”. First of all in the Maritime station in Venice and then on the mainland in Porto Marghera, the movement of goods on railway trains has made it possible to connect the port to the hinterland and with the various international destinations. After a period of stagnation in the economy and crisis in the industry, which is recognized in the crisis in the chemical sector in Porto Marghera, new investments are being made recently to relaunch the port. The renewal of the railway station inside the port island in Marghera and the will to decontaminate polluted areas are giving new life to the Venetian (and to the Veneto) economy. The new General Regulatory Plan of the Port System Authority of the Northern Adriatic Sea has designed the development of the port of Venice for the future, focusing on the redevelopment of the southern area of the port with the construction of the new terminal in Fusina (Autostrada del Mare) and the Montesyndial terminal for the transport of containers. The strategy behind the projects lies in the partnership between sea transport and rail transport. This article will focus on both the description of the latest news regarding the port of Venice, and on the possible development of railway infrastructures inside and outside the port itself. Nella pagina a anco, in alto: Vista di porto Marghera (fonte: www.comune.venezia.it); in basso: convoglio merci in manovra nella stazione di Venezia Marghera Scalo (fonte: www.erf-spa.it).

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1 - La struttura dell’area portuale - Terminal commerciali, industriali e passeggeri (fonte: Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Settentrionale).

2 - Situazione amministrativa delle boni che dei siti inquinati di Porto Marghera (fonte: www.ingmaurogallo. com).

toriali: la prima zona industriale, situata nel nord dell’area del porto e corrispondente agli insediamenti di primo impianto che, essendo più datati e in prossimità dei centri urbani di Mestre e Marghera, hanno già subito signi cativi interventi di riconversione funzionale; il porto commerciale (che coincide con la cosiddetta “Isola Portuale”) e 54

l’area dedicata alla cantieristica navale e alla logistica; e la seconda zona industriale, situata a sud dell’area dell’porto, corrispondente per lo più con gli impianti e le strutture delle industrie chimiche (aree attualmente contraddistinte da problematiche ambientali e che necessitano di una profonda riquali cazione).


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3 - Variazione del tonnellaggio e del numero di passeggeri tra il 1997 e il 2017 (fonte: Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Settentrionale).

La maggior parte degli addetti e delle imprese operanti nel porto sono concentrati nelle prime due aree descritte, mentre nella zona sud del porto la presenza di aziende ed addetti risulta notevolmente inferiore a causa della crisi del settore chimico e delle problematiche legate alla boni ca delle aree libere. Alcune aree del porto infatti sono contraddistinte da problematiche ambientali, legate soprattutto all’inquinamento del suolo e delle acque sotterranee. Questa situazione si è generata nel tempo principalmente perché sono stati utilizzati scarti di lavorazioni (di tipo chimico e metallurgico) come terreno di riporto per aumentare lo spazio a disposizione. Inoltre, hanno contribuito allo stato attuale le emissioni incontrollate di sostanze nel corso del tempo e la ricaduta delle particelle immesse nell’atmosfera nelle aree circostanti i siti produttivi. Alla ne del XX secolo, con la rma di un programma per rilanciare l’industria chimica a Porto Marghera, è stato creato un master plan per la boni ca dei siti inquinati, nel quale sono state de nite precise linee da seguire: la costruzione di un preciso quadro conoscitivo della contaminazione dei terreni, la de nizione degli obiettivi di risanamento e delle strategie di intervento, il cronoprogramma degli interventi, la valutazione dei costi e il recupero delle aree inquinate e una oculata piani cazione territoriale ( gura 2). Negli ultimi dieci anni il traffico merci e passeggeri non ha seguito un preciso andamento: il traffico passeggeri, dopo la crisi economica del 2008, non ha subito notevoli decrementi, mentre quello merci (soprattutto rinfuse liquide) ha avuto una decisiva diminuzione. Infatti ( gura 3), successivamente alla crisi, il numero di passeggeri ha raggiunto un valore massimo di più di 2 milioni di passeggeri nel 2011 e circa 1,7 milioni nel 2017. Il traffico merci per i settori industriale, petrolifero e commerciale sta lentamente recuperando negli ultimi anni le quote di mercato perse in precedenza. Nel 2016, secondo i dati dall’Autorità Portuale, il 53,6% del traffico merci nel porto è stato relativo al comparto commerciale, mentre i prodotti petroliferi ed industriali sono stati rispettivamente il 30,6% e il 15,8% dei traffici totali (dal 2013 il settore petroli-

fero non supera i 9 milioni di tonnellate di merci). La riduzione del traffico dei prodotti petroliferi è dovuta principalmente alla cessazione degli arrivi di petrolio greggio poiché le raffinerie Eni di Porto Marghera e IES di Mantova sono state trasformate in bioraffineria (la prima) e in deposito (la seconda). Facendo invece riferimento al traffico di contenitori, in termini di TEU e non di tonnellaggio totale, i numeri risultano differenti: infatti tra il 1997 e il 2017 non vi sono state essioni di rilievo nel numero di container transitati nel porto (Figura 4). Tale andamento ventennale rispecchia le performance del mercato commerciale mondiale. Negli ultimi anni (tra il 2017 e il 2019) si è registrato un aumento del numero di container rispetto al periodo precedente, indicando che il porto svolge tutt’oggi un ruolo molto importante per il traffico merci nell’alto Adriatico. Nel 2016 le merci arrivate via mare sono state all’incirca 25 milioni di tonnellate e sono state movimentate via strada (82.9%), via ferrovia (8.9%), tramite tubature o condotte (8%) e per mezzo dell’idrovia (0.2%). La domanda ferroviaria nello scalo di Marghera ha registrato degli aumenti a partire dal 2016 (5250 treni e 2.2 milioni di tonnellate, pari a un +25% rispetto al 2015) e confermando la crescita anche nel 2017 (si sono registrati aumenti di circa il 4,3% sul traffico di merci in milioni di tonnellate e il 2,3% sul numero di treni rispetto al 2016). L’ulteriore aumento del traffico commerciale (ed in particolar modo del traffico contenitori) nel 2018 e nel 2019 richiede una fondamentale ottimizzazione della ripartizione modale via terra delle merci. Il sistema portuale (tenendo conto anche dell’area retrostante il porto) in termini di accessibilità stradale e ferroviaria deve poter essere quindi in grado di gestire l’incremento dei traffici senza ricadute negative sulla rete infrastrutturale (urbana ed extra-urbana) esterna al porto. Il compito di indirizzare, programmare, coordinare, promuovere e controllare le operazioni portuali spetta all’Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Settentrionale, ente pubblico non eco55


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4 - Andamento del traffico container in TEU tra il 1997 e il 2017 (fonte: Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Settentrionale).

nomico. Tale ente svolge la manutenzione delle parti comuni, mantiene i fondali dei canali portuali, sorveglia la fornitura dei servizi di interesse generale, amministra in via esclusiva le aree e i beni demaniali, piani ca lo sviluppo del territorio portuale. Inoltre, coordina le attività amministrative esercitate dagli enti pubblici nell’ambito portuale e promuove forme di raccordo con i sistemi logistici retro-portuali e interportuali. L’Autorità Portuale inoltre effettua valutazioni sui traffici del porto di Venezia considerando molti parametri a contorno, quali: il contesto economico internazionale, il bacino di in uenza attuale e quello potenziale, e lo stato dell’infrastruttura portuale. La sua azione è integrata con gli strumenti di piani cazione e gli indirizzi delle altre istituzioni pubbliche (tra cui l’Unione Europea e gli altri enti locali). L’evoluzione degli scenari economici e marittimi ha portato l’Autorità Portuale ad avviare lo scorso anno l’iter di revisione del Piano Regolatore Generale (risalente al 1965). Le profonde rivoluzioni dei traffici unitizzati (container e Ro-Ro), i traffici legati alla trasformazione industriale e la trasformazione del modello portuale sono alcuni degli aspetti che sono stati tenuti in considerazione per disegnare lo scenario futuro. Il nuovo Piano Regolatore Generale ha quindi dovuto tenere in considerazione alcuni concetti fondamentali: la logistica, le attività legate ai trasporti e le produzioni manifatturiere leggere hanno sostituito le tradizionali produzioni industriali (che hanno connotato lo sviluppo di Marghera nella seconda metà del secolo scorso); la nuova centralità al sistema portuale nord adriatico con lo sviluppo e la concentrazione a est delle attività produttive; il passaggio dal greggio ai suoi derivati e dagli impianti di raffinazione a quelli di distribuzione; la trasformazione della chimica tradizionale in una industria più sostenibile verso l’ambiente; il riassetto organizzativo delle imprese agroalimentari; la costituzione e lo sviluppo di un comparto 56

project cargo con aree di retro-banchina idonee all’assemblaggio dei manufatti e dei colli eccezionali destinati all’imbarco; la maggiore sensibilità ambientale verso Venezia e la laguna. Durante i lavori per il nuovo Piano Regolatore Generale si è iniziato a discutere dell’opportunità di realizzare dei nuovi terminal in alcune aree portuali dismesse, sia per le merci che per i passeggeri. Dal lato passeggeri c’è la necessità di spostare una quota del traffico crocieristico in un’area diversa dalla Stazione Marittima, in particolar modo per le imbarcazioni aventi una stazza lorda maggiore a 40.000 tonnellate. Invece, per quanto riguarda il settore merci, l’obiettivo è quello di realizzare delle nuove zone per il deposito e la movimentazione dei container. Secondo il Piano Operativo 2018-2020 dell’Autorità portuale dovrebbero essere sviluppate e incentivate alcune opere per rendere il porto di Venezia più competitivo sul mercato nazionale e internazionale. Tra queste ci sono il ridisegno dell’accessibilità nautica a Porto Marghera, il terminal Montesyndial e il Terminal “Autostrade del Mare”. Attualmente sono in corso le valutazioni per realizzare una banchina “alti fondali”, ovvero una banchina con una profondità dei fondali tale da rendere possibile l’accosto di navi portacontainer con pescaggio no a 16 metri presso la bocca di Malamocco. Tale opera dovrà essere in grado di garantire anche la piena operatività della conca di navigazione sita nella bocca di porto di Malamocco in corrispondenza del sistema MOSE. Pertanto, rimane l’idea di sviluppare una piattaforma d’altura per le navi container esterna alla Laguna, in modo tale da intercettare quei traffici che altrimenti non sarebbe possibile gestire a causa dei limiti sici relativi al pescaggio. Il terminal “Autostrade del Mare” di Fusina, già operativo dal 2014, è un tratto della nuova infrastrut-


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5 - Progetto di ampliamento del Terminal “Autostrade del Mare” di Fusina (fonte: Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Settentrionale).

tura trasportistica di collegamento fra la Grecia e l’Europa Centrale: attraverso il nuovo terminal Ro-Ro (Roll-on Roll-off ) e Ro-Pax (Roll-on e Roll-off Passengers) vi è una connessione diretta fra le linee traghetto e i servizi intermodali per la Germania (con possibile prosecuzione verso il Mar Baltico). Dal porto è operativo un servizio totalmente intermodale nave-ferrovia, che collega il Porto di Patrasso con Francoforte attraverso l’Autostrada del Mare Patrasso-Venezia e il Brennero. Questo nuovo hub portuale logistico intermodale di Venezia si sviluppa su un’area di 38 ettari ed è dotato di 2 darsene, 4 banchine portuali e 4 binari ferroviari. L’infrastruttura è ad elevata automazione e, grazie al nanziamento di 2,5 milioni Euro ottenuto nell’ambito del Programma TEN-T “Motorways of the Sea”, è stata realizzata la seconda darsena ( gura 5). L’espansione ulteriore del terminal (nuovi piazzali e strutture accessorie) consentirà lo sviluppo dei collegamenti marittimi ed il miglioramento della catena logistica del Corridoio Adriatico-Ionico, con lo sviluppo del traffico intermodale. Il secondo progetto riguarda la costruzione del nuovo terminal container “Montesyndial” ed è motivato dalla costante crescita negli ultimi anni dei traffici di container del porto (con un aumento del 83,9% di TEU negli ultimi 10 anni – gura 4) e dalla previsione di crescita al 2030 (pari al 4,7% annuo per i porti del Nord Adriatico). Il nuovo terminal dovrà essere dotato di un proprio accesso stradale e ferroviario che riguarda tutta la rete del porto. L’ipotesi progettuale prevede un’estensione di circa 84 ettari e con 1400 m di banchine ( gura 6). L’area, di proprietà dell’Autorità Portuale, è collocata nella zona industriale sud di Porto Marghera, posta sul Canale Industriale Ovest, ed è collegata tramite il bacino di evoluzione 3 al canale Malamocco – Marghera.

L’attuale impianto ferroviario del porto di Venezia L’area di Porto Marghera è collegata alla rete ferroviaria nazionale tramite una linea composta da due binari, di cui uno elettri cato che unisce la stazione di Venezia Mestre con lo scalo merci di Marghera (denominato “Venezia Marghera Scalo”). Partendo dalla stazione di Venezia Mestre ( gura 7) in direzione della stazione di Venezia Santa Lucia, i binari si spostano sulla destra, allontanandosi dal fascio diretto alla città lagunare, e entrano nell’area del porto. Si trova quindi subito un primo scambio da cui parte un binario che collega il parco Breda (un fascio di dieci binari della lunghezza massima di circa 600 metri destinato al parcheggio dei convogli in arrivo e in partenza) e la zona del porto petrolifero (scalo “parco petroli” con 4 binari della lunghezza massima di circa 500 metri). Il secondo scambio consente di collegarsi con il “parco nuovo” (un fascio di 9 binari, della lunghezza massima di circa 450 metri, sede della società che esercisce la manovra all’interno del porto). Continuando lungo il binario elettri cato si giunge alla cosiddetta “Isola portuale” al cui interno si trova la “stazione” di Venezia Marghera Scalo ( gura 7). Tale scalo, di recente ammodernato, ha lo scopo di smistare i convogli in arrivo e di formare quelli in partenza. I binari utilizzati per far partire e o arrivare i treni sono 12, a cui si aggiungono 18 binari di raccordo. Nell’attuale conformazione “Venezia Marghera Scalo” costituisce il nodo fondamentale del porto, mentre la stazione di Venezia Mestre costituisce il nodo da cui vengono immessi i convogli merci nella rete ferroviaria nazionale. Dallo scalo “parco nuovo” si diparte un altro binario che, con alcune diramazioni verso le principali aziende, serve l’intera area sud del porto. 57


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6 - Progetto del Terminal Montesyndial (fonte: Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Settentrionale).

7 - Le infrastrutture ferroviarie nel porto (Fonte: Esercizio Raccordi Ferroviari di Porto Marghera S.p.A.).

Dalla rete ferroviaria nazionale un treno entra all’interno di un porto, dove si hanno diversi terminal collegati ad una rete ferroviaria di raccordo, tramite un gestore del servizio di trasporto. Ogni terminal generalmente ha il proprio operatore interno che gestisce le manovre. Questi consegna i singoli carri del terminal al gestore della “manovra secondaria”, il quale unisce i diversi carri provenienti da più terminal e li raggruppa in un unico convoglio. Nello scalo del porto il gestore della 58

manovra secondaria consegna il treno formato al gestore della “manovra primaria”, il quale a sua volta lo porta nella stazione connessa alla rete ferroviaria nazionale per consegnarlo al gestore del servizio di trasporto autorizzato a viaggiare su rete nazionale ( gura 11). Viceversa, all’arrivo di un treno in porto, il convoglio passa dal gestore nazionale al gestore della manovra primaria e poi a quello della manovra secondaria che suddivide i diversi carri in base alla


TRASPORTI & CULTURA N.54-55 destinazione per terminal. La movimentazione dei convogli ferroviari all’interno dell’area portuale (in gergo tecnico “manovra”) è gestita dalla società “Esercizio Raccordi Ferroviari di Porto Marghera S.p.A.” (o semplicemente ERF) e svolge dal 1973 il proprio servizio nella prima zona industriale. Dal 2008 la stessa società svolge le medesime funzioni anche nella stazione di “Venezia Marghera Scalo” e nell’“Isola Portuale”. La Società, controllata dall’Autorità di sistema Portuale del Mar Adriatico Settentrionale, dal 2017 è il Gestore Unico (ovvero gestisce sia la manovra primaria che quella secondaria) del comprensorio ferroviario afferente a Porto Marghera ed è operativa 24 ore su 24.

Un possibile futuro sviluppo ferroviario di Porto Marghera La tendenza complessiva della distribuzione dei traffici dentro il Porto mostra un progressivo spostamento degli stessi verso la dorsale di via dell’Elettricità e verso la zona più a sud del porto. A ciò si aggiungono gli interventi programmati sui terminal di Fusina e Montesyndial che porteranno ad un forte incremento dei traffici ferroviari. Pertanto, risulta necessario la realizzazione di interventi infrastrutturali in grado di rispondere alla domanda di trasporto e di risolvere alcune criticità dovute all’interferenza tra manovra ferroviaria e sistema stradale ed al passaggio per la Stazione di Mestre in manovra ed in uscita dal porto. In particolare, l’interferenza tra il traffico ferroviario e quello stradale potrebbe diventare insostenibile in corrispondenza delle intersezioni in via dell’Elettricità, via della Meccanica e via della Chimica, le quali connettono la zona sud del porto con la Strada Statale Romea e la Strada Provinciale 24. Nel breve periodo l’Autorità Portuale prevede di realizzare l’adeguamento del tracciato ferroviario lungo via dell’Elettricità. Il progetto prevede la realizzazione di un raddoppio della linea e di un nuovo tracciato. Il raddoppio del tratto, compreso tra via Galvani e via Ghega, consentirà di aumentare la capacità del sistema ferroviario di comprensorio consentendo di servire in maniera più efficiente i terminal che richiedono un maggior numero di servizi ferroviari. È inoltre prevista la realizzazione di un deposito/ officina presso lo scalo merci di Porto Marghera avente lo scopo di spostare il parco officine di ERF in un’area prospiciente il parco ferroviario. La struttura sarà destinata alla manutenzione e ricovero dei locomotori e alla riparazione dei carri ferroviari Nel medio lungo periodo verrà realizzato un collegamento diretto tra la zona sud di Porto Marghera e la rete ferroviaria nazionale. Il progetto prevede di connettere le aree di maggior sviluppo del porto con la rete ferroviaria fondamentale riducendo i tempi di manovra interna al porto ed evitando il passaggio per la stazione di Venezia Mestre. A servizio dei nuovi terminal dovranno essere realizzate nuove connessioni stradali e ferroviarie. In particolar modo, per quanto concerne i collegamenti ferroviari interni ed esterni al porto, l’Autorità Portuale ha recentemente siglato un protocollo d’intesa con RFI S.p.A.. L’accordo sancisce l’istituzione di un gruppo di lavoro congiunto avente lo scopo di individuare gli interventi necessari per lo sviluppo delle infrastrutture portuali, anche in relazione alla

crescita dei traffici, e al miglioramento delle loro connessioni con la rete ferroviaria nazionale. Nello speci co, nel piano operativo triennale 2013, era stata proposta un’ipotesi di tracciato che collegasse l’area sud del porto con la linea ferroviaria Padova-Mestre ( gura 12, linee indicate con i numeri 3 e 4). Il nuovo collegamento ferroviario consentirebbe di bypassare il nodo di Mestre, immettendosi direttamente nella rete primaria all’altezza della linea dei Bivi. Il progetto prevederebbe anche la realizzazione di uno scalo ferroviario nelle adiacenze dell’area Montesyndial per la raccolta e l’organizzazione dei convogli. Una seconda ipotesi di progetto proporrebbe di collegare il Terminal Montesyndial e la stazione Venezia Marghera scalo con una connessione ( gura 12, linea tratteggiata indicata con il numero 6) che attraverserebbe il canale Industriale Ovest. Lo scalo merci a lato del teminal Montesyndial sarebbe collegato poi alla rete ferroviaria dell’area sud del porto: ciò consentirebbe di rimodulare il traffico ferroviario in entrata ed in uscita dal porto, sgravando la dorsale di via dell’Elettricità dalle merci provenienti dalle zone a sud del porto.

8 - Nave portacontainer attraccata alla banchina del canale Industriale Ovest (fonte: www.port.venice.it). 9 - Piazzale di smistamento dei container presso il porto (fonte: www.port.venice.it).

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10 - Vista dell’“Isola portuale” di porto Marghera e della stazione di Venezia Marghera Scalo (fonte: www.ship2shore.it).

Una terza ipotesi prevederebbe una stazione con una lunghezza maggiore di 750 metri all’interno dell’area portuale (a lato del terminal Montesyndial) che sarebbe collegata direttamente con la linea Padova-Mestre all’altezza della linea dei Bivi. Il binario in uscita dal porto passerebbe prima vicino al Forte Tron e si connetterebbe poi con la linea Mestre-Adria in corrispondenza del sottopasso ferroviario dell’autostrada A4. Una variante a questa ipotesi indica la possibilità di costruire una stazione all’esterno dell’area portuale (che potrebbe essere messa a servizio del traffico passeggeri nelle vicinanze dell’abitato di Malcontenta): essa sarebbe poi collegata tramite un deviatoio con un binario che entra nell’area portuale e si connetterebbe con il terminal Montesyndial.

Conclusioni Il futuro del porto di Venezia risiede nella riconversione consapevole e sostenibile delle aree dismesse e il Piano Regolatore Generale ha dato una spinta non indifferente allo sviluppo di nuove infrastrutture all’interno del porto. Il futuro passa obbligatoriamente però anche dalla “ristrutturazione” della rete stradale e ferroviaria attorno al porto stesso (e verso le direttrici internazionali). L’individuazione del tracciato ottimale che possa fungere da uscita per le merci dall’area sud del porto è un importante tappa per lo sviluppo delle nuove aree portuali e per il rilancio del traffico (in special modo merci). In questo modo si potranno incrementare i ussi di traffico e velocizzare gli scambi rendendo possibile la contesa dei servizi di trasporto diretti all’area danubiana e ai porti del nord Europa (Rotterdam, Amburgo, Anversa), intercettando nell’alto Adriatico i ussi di traffico provenienti dall’Oriente. A favore di questa solu60

zione giocano i corridoi TEN-T collocati nell’area veneta e alcuni importanti interventi ferroviari, come il tunnel di base del Brennero. Tutto ciò nell’ambito degli obiettivi previsti dal libro bianco dei trasporti della UE, dei piani di intervento di RFI e del Piano Regionale Trasporti Regione Veneto 2030. Saranno necessarie ampie e precise valutazioni tecniche per trovare la posizione più adeguata del tracciato ferroviario e della stazione, per la presenza di un’area densamente antropizzata e di molte intersezioni con le infrastrutture esistenti (in particolar modo la linea Mestre-Adria e l’autostrada A4), ma la seconda uscita da porto Marghera può esser realizzata velocemente in modo tale da non perdere le opportunità che si avranno nel breve futuro (ovvero la possibilità di aumentare i traffici verso nord e di incrementare lo scambio di merci a porto Marghera). © Riproduzione riservata

Bibliogra a Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Settentrionale, Piano operativo triennale 2018-2020, Venezia, Ottobre 2017. Lupi M., Danesi A., Farina A., Pratelli A., “Maritime container transport in Italy. Study on Deep and Short Sea Shipping routes departing from the main Italian ports on rail modal shares”, Ingegneria Ferroviaria, vol. 67, pp. 409 - 444, 2012. Cusano M., “Logistica portuale e ambiente”, Trasporti e Cultura, vol. 39, pp. 51 – 54, 2014. Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Conto Nazionale delle Infrastrutture e dei Trasporti, Ufficio di Statistica 2016-2017. Regulation (EU) N° 1315/2013 of the European Parliament and of


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11 - Suddivisione delle manovre ferroviarie (Fonte: Esercizio Raccordi Ferroviari di Porto Marghera S.p.A.).

12 - Sviluppo dei nuovi collegamenti ferroviari a servizio del porto (Fonte: Esercizio Raccordi Ferroviari di Porto Marghera S.p.A.). the Council of 11 December 2013 on Union guidelines for the development of the TEN-T. Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici, Studio sui valori di concentrazione dell’arsenico nei suoli ad uso residenziale, Novembre 2006. Gallo M., S.I.N Porto Marghera (www.ingmaurogallo.com).

Atti del convegno Nord Est: quale futuro per il sistema infrastrutturale e i porti dell’alto Adriatico? organizzato dal “The International Propeller Club – Port of Venice” a Venezia presso il VTP – Venezia Terminal Passeggeri S.p.A. - Stazione Marittima (terminal 103), con il contributo di: “ATENA – Associazione Italiana di Tecnica Navale”, “Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Settentrionale – Porti di Venezia e Chioggia”, “Ordine degli Ingegneri della Provincia di Venezia”, “Fondazione Ingegneri Veneziani” e “CIFI – Collegio Ingegneri Ferroviari Italiani – Sezione di Venezia”, 27 marzo 2018.

Sito dell’Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Settentrionale (www.port.venice.it/it/autorita-portuale-di-venezia.html). Sito del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (www. mit.gov.it/). Sito della Città Metropolitana di Venezia (www.cittametropolitana.ve.it).

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Il porto di Napoli nello scenario delle grandi trasformazioni marittime di Pietro Spirito

La trasformazione dei rapporti tra manifattura e logistica ha reso negli ultimi decenni radicalmente differenti le matrici degli scambi, l’organizzazione dei ussi, i modelli di funzionamento operativo dell’economia capitalistica. Il con ne tra produzione e logistica è progressivamente diventato meno netto: la connettività ha assunto un ruolo sempre più strategico nella de nizione della gerarchia dei rapporti competitivi tra i territori e tra le industrie. Anche nei ussi turistici sono cambiate radicalmente le logiche di articolazione del mercato: l’accessibilità determinatasi per effetto delle trasformazioni radicali indotte da un lato dalle compagnie aeree low cost e dall’altro dall’alta velocità ferroviaria - che ha connesso in modo frequente e rapido le principali metropoli italiane ed europee - ha intensi cato le opportunità di viaggio ed ha trasformato la struttura della domanda.

L’economia delle connessioni Le caratteristiche multifunzionali del porto di Napoli indurrebbero inevitabilmente a tener presenti entrambi i fenomeni di trasformazione, sia sul versante dei traffici commerciali sia sul fronte della mobilità turistica. Nella nostra analisi ci concentreremo sul traffico commerciale perché, mentre la ripresa turistica è un fenomeno positivo veri catosi a Napoli nel corso dell’ultimo lustro, manca ancora una ripresa industriale e logistica per proiettare la città partenopea in uno scenario di vera ripresa economica. La nuova rivoluzione industriale che si è svolta nell’arco di pochi decenni – a cavallo tra la ne del XX secolo e l’inizio del XXI - non si limita ad esercitare la sua in uenza sui rapporti mercantili e sul commercio internazionale. Coinvolge anche la sfera delle istituzioni, degli scenari geo-strategici, dei comportamenti sociali. Nei decenni a cavallo del Duemila, quasi un quinto della industria mondiale si è spostato dai Paesi del G7 all’I6 (i principali sei Paesi in via di industrializzazione). Le reti lunghe delle connessioni marittime hanno costruito gli itinerari primari, con servizi sempre più economici e competitivi, grazie alle economie di scala del gigantismo navale. La qualità dell’offerta complessiva di logistica è dipesa sempre di più dall’efficienza delle reti corte terrestri, e dalla qualità delle interconnessioni tra i diversi modi di trasporto. Sono questi gli elementi che fanno oggi maggiormente la differenza dal punto di vista della qualità dei servizi logistici. Nelle scelte di priorità sugli investimenti da realizzare per le reti di mobilità, va messo in evidenza

The port of Naples within the scenario of the great maritime transformations by Pietro Spirito The multifunctional characteristics of the port of Naples suggest taking into consideration current transformations in both the area of commercial traffic and that of tourist mobility; the analysis in this article however concentrates on commercial traffic because we have yet to see an industrial and logistical upturn that can project the city into a scenario of true economic recovery. Italy, and the south in particular, lacks the connecting infrastructure required to build intermodal services: the connections between ports and the railway network are an underrated priority, negotiations are underway in the port of Naples with the Italian railway system. The port system in southern Italy has, in recent years, witnessed the crisis of pure transshipment ports, such as Gioia Tauro and Taranto in particular. The gateway function reclaims a leading role, con rming that port systems can be competitive if they can build a dialogue between the surrounding territory and the system of maritime connections, The South has always had a hard time accepting its logistical marginalization with respect to supply markets and outlet markets. It undoubtedly needs infrastructural works that make its ports more competitive, but it also needs logistical services that are up to the task of providing competitive responses. On this front, the ports of Southern Italy as a whole, and the ports of Naples and Salerno in particular, must rise to the challenges of the years to come.

Nella pagina a anco, in alto: navi in porto di Napoli tra il 1890 e il 1900 (fonte: Wikipedia); nave da crociera di AIDA Cruises in uscita dal porto di Napoli (Wikipedia).

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1 - Giorgio Sommer (18341914), Strada del molo a Napoli (fonte: Wikipedia).

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che quel che manca nel nostro Paese, e soprattutto nel nostro Mezzogiorno, sono le infrastrutture di interconnessione, che costituiscono la condizione per poter rendere possibile la costruzione di servizi intermodali, oggi non sempre competitivi, perché sin qui è stata disegnata una rete più fondata sulle singole modalità di trasporto che non su efficienti meccanismi di interscambio. I collegamenti tra porti e rete ferroviaria rappresentano una priorità sin qui del tutto sottovalutata nel nostro Paese. Se si analizzano le caratteristiche strutturali dei porti del Nord Europa, viene fuori con grande chiarezza che l’infrastruttura ferroviaria presente in quei sistemi portuali consente di realizzare connessioni intermodali a condizioni competitive rispetto al tutto strada, senza quei costi di manovra e di movimentazione interna ai perimetri portuali che spiazzano il potenziale vantaggio competitivo della soluzione intermodale mare-ferro sulle medie e sulle lunghe distanze. Solo la formazione, sin dall’interno del perimetro portuale, di treni a standard internazionale, con una lunghezza pari ad almeno 750 metri e con sagoma PC80, in grado quindi di garantire competitività su tutto l’itinerario, possono consentire di attivare servizi competitivi intermodali, cominciando a ribaltare quella caratteristica dominante del trasporto su gomma nei collegamenti tra porti e destinazioni nali che caratterizza invece l’economia marittima italiana, con l’eccezione dei porti di Trieste e di La Spezia. Invece di intervenire su questa componente, si è continuato solo ad esprimere l’inutile lamento sul fatto che una parte del traffico container destinato al Nord Italia effettua una navigazione molto più lunga, sino al Nord Europa, per poi giungere a destinazione attraverso connessioni ferroviarie. Nel porto di Napoli, per svolgere un esempio concreto, il raccordo ferroviario presenta una struttura fortemente de citaria, da un lato perché presenta binari nello scalo marittimo di lunghezza pari a 350 m., che determinano la necessità di due tirate di manovra per comporre un treno, dall’altro perché, per connettersi allo scalo ferroviario di partenza di Napoli Traccia, deve attraversare a raso una via di scorrimento cittadina ad alta densità.

Con Rete Ferroviaria Italiana è stato avviato un progetto di fattibilità per costruire il nuovo raccordo nella zona orientale del porto, all’altezza della nuova Darsena di levante, il futuro terminal contenitori. Tale nuovo collegamento è stato progettato per superare i vincoli strutturali dell’attuale terminal ferroviario, migliorando la competitività delle connessioni intermodali.

Il ruolo dei porti meridionali nello scenario mediterraneo Uno degli strumenti principali per la riscrittura dell’economia meridionale è la valorizzazione produttiva della logistica, e la capacità di farne un’industria a supporto del rilancio manifatturiero. Non sarà un’equazione facilmente risolubile, considerando anche le conseguenze della crisi di lunga durata dalle quali si stenta ancora ad uscire, proprio negli Stati dell’Europa meridionale: la brusca frenata dell’economia, l’aumento dei divari regionali, gli squilibri economici e sociali che ne sono conseguiti condizionano pesantemente molti degli assetti sui quali si fondano gli equilibri della politica internazionale. Occorrerà meglio comprendere quali siano le vocazioni strategiche maggiormente adeguate per rilanciare la portualità meridionale, ricucendo quegli strappi tra porti e territorio che si sono determinati nei passati periodi, in cui sembrava che premiasse una competizione interna tra porti limitro , piuttosto che una strategia di più vasto raggio mirata a costruire un modello di sistema portuale adeguato e competitivo su scala regionale e sovraregionale. Nel corso degli anni recenti, tutta la portualità mediterranea ha recuperato uno spazio competitivo rispetto al northern range europeo, ma gli assetti tra i diversi porti mediterranei sono mutati profondamente: si sono affacciati nuovi approdi, si stanno realizzando importanti investimenti infrastrutturali. L’Italia, in questo quadro, si è caratterizzata per un elevato grado di campanilismo logistico, con una frammentazione del disegno di rete che


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2 - Stazione Marittima di Napoli vista dal Molo Beverello.

ha sempre rifuggito dalla necessità di determinare quella gerarchia delle funzioni indispensabile per generare economie di scala e unitarietà del disegno di network. È mancata del tutto una visione di sistema ed una specializzazione delle piattaforme portuali e logistiche coerente con le trasformazioni che si stavano determinando nella riorganizzazione dei processi industriali e nella geogra a delle rotte. Dalla metà degli anni Settanta del secolo passato,

è prevalsa l’idea, nell’industria come nella logistica, che “piccolo è bello”. In un mondo che costruiva un assetto competitivo di scala sempre più globale, sono continuati a prevalere i localismi, che certamente stanno anche nel codice genetico di una nazione di recente costituzione, basata più sulla gloriosa storia dei comuni rinascimentali che non sulla capacità di conseguire economie di scala adeguate ad affrontare la competizione internazionale.

3 - Area commerciale del Porto di Napoli vista dall’alto (fonte: Sito AdSP MTC).

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4 - Il Porto di Napoli visto dall’alto (fonte: Sito AdSP MTC).

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Va ricordato che nella fase di maggiore sviluppo dell’economia italiana, durante il miracolo economico del secondo dopoguerra, il nostro Paese ha potuto contare su un insieme di grandi industrie, pubbliche e private, che hanno certamente sostenuto la ricostruzione e la ripresa produttiva, consentendo anche la nascita di un articolato sistema di piccole imprese cresciute attorno alle liere condotte dalle aziende maggiormente strutturate. Esiste dunque una questione dimensionale che oggi non può più essere elusa. Anche i migliori spiriti imprenditoriali, che certamente vanno stimolati ed assecondati, non sono sufficienti per affrontare una s da del tutto diversa, data contemporaneamente dalla dimensione globale dei mercati, dalla digitalizzazione dell’economia, dalla costante instabilità del quadro economico. I porti della Campania, in particolare Napoli e Salerno, possono essere tra i protagonisti di questa opportunità di sviluppo, in segmenti di mercato che sono fondamentali per l’economia marittima: le crociere, le autostrade del mare, il settore energetico, i traffici commerciali di container e le merci varie. Nel Tirreno Centrale si concentra una catchment area pari al 13,6% del mercato nazionale dell’import e dell’export. Va ricordato che i porti servono i territori, e non viceversa. Soltanto se la logistica e la portualità si mettono in profonda sintonia con la struttura produttiva, e ne suscitano anche una ripresa di competitività, si riuscirà a superare quel tessuto di stagnazione che ha caratterizzato gli ultimi decenni del Mezzogiorno. Ovviamente, serve una forte ripartenza degli investimenti industriali nelle regioni meridionali: la

logistica può essere competitiva se riesce a contare su economie di scala determinate dalla robustezza e dalla continuità della domanda di servizi per il trasporto, lo stoccaggio e la lavorazione delle merci. La portualità dell’Italia meridionale registra, negli anni recenti, la crisi dei porti di puro transhipment, Gioia Tauro e Taranto in particolare. La concorrenza giocata dalla portualità nordafricana, che può contare su molti fattori competitivi (tra cui il basso costo del lavoro e la larga disponibilità di spazi green eld), il disegno cinese di riorganizzazione dei traffici basato sul Pireo, la crisi dei porti di puro transhipment determinano un ridisegno necessario delle basi portuali mediterranee. La funzione di gateway torna ad assumere un ruolo trainante, confermando che i sistemi portuali possono essere competitivi a condizione che sappiano costruire un dialogo tra il territorio retrostante ed il sistema delle connessioni marittime. In comparazione con i volumi prima della crisi globale nanziaria del 2009, i porti italiani gateway hanno performato meglio degli hub. I porti regionali e gateway hanno presentato un incremento di volumi del 2,2% nel 2016, rispetto al 2007. Invece, gli hub italiani di transhipment hanno registrato una media di decremento pari al 3% nel periodo tra il 2007 ed il 2016. Se da un lato la crisi dei porti di transhipment (Cagliari, Gioia Tauro e Taranto) genera una grave difcoltà in una parte rilevante della portualità meridionale, dall’altro lato la ripresa degli scali gateway può segnare una ripresa interessante dei rapporti tra territorio, industria e sistema portuale. Tra il 2013 ed il 2017 i porti meridionali di


TRASPORTI & CULTURA N.54-55 transhipment hanno perso quasi un milione di teu/anno. Il porto di Gioia Tauro, che nel 2007 era il quinto porto di transhipment in Europa, è precipitato nel 2017 al tredicesimo posto della classi ca, con una riduzione dei volumi che in dieci anni è stata pari al 28,9%. Insomma, una delle funzioni sulle quali si era basata l’identità di una parte rilevante della portualità meridionale, fondata sulla specializzazione esclusiva nel transhipment containerizzato, ha mostrato il suo lato di debolezza strutturale, per diversi fattori: la concorrenza degli altri porti mediterranei, con un costo del lavoro certamente più basso, la debolezza strategica della specializzazione sul puro transhipment, in quanto la riorganizzazione delle rotte punta a privilegiare porti con funzioni miste di gateway e transhipment: si aggiungono anche fattori di carattere normativo, sico e geogra co. Il Mezzogiorno ha sempre vissuto con sofferenza la propria marginalizzazione logistica dai mercati di approvvigionamento e dai mercati di sbocco. Si è trattato di uno storico svantaggio competitivo che deve essere superato per rimettere al centro una rivitalizzazione della produttività totale dei fattori, elemento strategico di riferimento per garantire una strutturale competitività delle regioni meridionali. Troppo spesso, quando si parla di competitività dei porti, si fa riferimento esclusivamente all’adeguamento infrastrutturale, tema certamente rilevante ma che da solo non è in grado di costruire quel differenziale di miglioramento logistico del quale abbiamo bisogno. Servono certamente opere infrastrutturali di miglioramento della competitività portuale, ma occorrono anche servizi logistici adeguati a dare risposte concorrenziali. Su questo fronte la portualità del Mezzogiorno nella sua interezza, ed i porti di Napoli e Salerno in particolare, sono chiamati ad affrontare le s de dei prossimi anni. Certamente dovranno essere completati gli investimenti programmati per migliorare la qualità complessiva della recettività portuale, ma se non si determina un salto di qualità nella organizzazione dei servizi, pubblici e privati, sarà ben difficile generare quel cambio di passo che dovrà trasformare i porti da strutture puntuali di interscambio tra mare e terra in articolazione di una catena del valore logistico complessivo al servizio del territorio. Sul versante delle opere infrastrutturali, per Napoli, ma anche per Salerno, dopo tanti anni di stasi, si sono sbloccate le procedure necessarie per realizzare i dragaggi dei fondali, uno degli elementi di fondo per adeguare i porti alle caratteristiche contemporanee del traffico marittimo. A Napoli i lavori sono in fase di conclusione, mentre i dragaggi a Salerno cominceranno alla ne del 2019. Non serve che i porti campani raggiungano fondali per accogliere le navi portacontainers da 22.000 TEU, in quanto la funzione di questi scali non sarà mai quella di essere hub di transhipment, ma devono essere raggiunte quelle profondità coerenti per accogliere navi da 10-12.000 TEU. Analogo discorso sulla rilevanza di realizzare i dragaggi riguarda il segmento delle navi da crociera, attività nella quale il porto di Napoli è posizionato, in termini di numero di passeggeri, al terzo posto in Italia, con la possibilità di crescere ulteriormente nel corso dei prossimi anni. La dimensione delle navi da crociera continua a crescere ed ormai, tra passeggeri ed equipaggio, si potranno s orare nei prossimi anni le 10.000 persone imbarcate.

La matrice originaria con la quale si sono sviluppati i sistemi portuali europei costituisce uno degli elementi fondamentali da comprendere per orientare anche gli indirizzi attraverso i quali trasformare il ruolo degli scali marittimi nello sviluppo dell’economia e dei territori. I porti del Nord Europa si sono sviluppati a sostegno della rivoluzione industriale del settore manifatturiero; in Italia il modello dominante è stato il porto emporio, determinatosi nei secoli, che dialoga prevalentemente fronte mare e che produce ricchezza sullo smercio, sull’intermediazione e sulle tasse. Insomma, si è determinata una divergenza di matrice strategica, nel confronto tra porti del Nord e del Sud Europa, tra porti industriali e porti mercantili. Ora questa frattura va ricucita, se intendiamo raggiungere una rivisitazione delle funzioni svolte dal sistema portuale del Mezzogiorno. La funzione di puro transhipment, che è parsa - in una determinata fase storica - una possibilità per rilanciare la portualità delle regioni meridionali del nostro Paese sull’asse tirrenico e su quello adriatico, si è mostrata un segmento di mercato troppo a basso valore aggiunto per non entrare in crisi nel momento in cui si è determinato lo sviluppo di Malta e dei porti nord-africani. Un Paese come l’Italia può generare una portualità competitiva solo a condizione che, alle spalle dei porti, si sviluppi contestualmente una realtà industriale densa ed articolata, capace di generare una domanda di servizi di trasporto e di logistica di connessione con l’economia internazionale. Ne consegue che lo sviluppo della funzione gateway dei porti meridionali costituisce l’elemento che può assicurare una maggiore saldatura tra connessioni marittime e sistema territoriale, per mettere a disposizione della necessaria ripresa industriale un sistema di connessione efficace e competitivo. Ovviamente, rilanciare la funzione gateway signica consolidare il tessuto produttivo delle regioni meridionali, puntando sulla capacità di sviluppo delle industrie a vocazione principalmente di esportazione sui mercati internazionali, per generare in questo modo ussi di importazione per le materie prime e ussi di esportazione per i prodotti niti. Si determinerebbe in questo modo un forte impulso al rilancio delle connessioni marittime nei porti meridionali, assicurando per questa via anche una esternalità positiva per il tessuto complessivo delle realtà produttive del Mezzogiorno, anche quelle esistenti, che potrebbero avvalersi di maggiori capacità di sbocco sui mercati internazionali, grazie all’inspessimento nella densità dei collegamenti tra i porti meridionali e le principali origini/destinazioni mondiali. Giocare all’interno la dimensione mediterranea signi ca cominciare a superare una visione di corto respiro basata sui provincialismi portuali che hanno caratterizzato l’economia marittima del nostro Paese nel corso dei recenti decenni. Vanno costruiti assi di cooperazione e di interscambio intermodale, concepiti al servizio della comunità industriale e produttiva. Nell’ambito di un bacino del Mediterraneo che può in ttire le proprie relazioni commerciali e le proprie relazioni marittime potrà contare molto lo sviluppo delle autostrade del mare e dei collegamenti ro-ro: lo short sea shipping rappresenta il 60% del trasporto marittimo complessivo di merci nella Unione Europea a 28, ed il Mediterraneo è l’a67


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5 - Il Porto di Salerno visto dall’alto (fonte: Sito AdSP MTC). 6 - Il Porto di Castellammare visto dall’alto. (fonte: idem).

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rea nella quale si registra la concentrazione maggiore di questa tipologia di traffico (29%). La rappresentazione del sistema di connessioni marittime basata solo sul traffico contenitori non corrisponde alla realtà dei fatti: mediaticamente

assorbe la quantità maggiore delle attenzioni, e rischia di essere una modalità di comunicazione che ricostruisce una lettura molto parziale degli assetti reali dell’economia marittima. In prospettiva, si potrà determinare un processo di


TRASPORTI & CULTURA N.54-55 convergenza tra le due tecniche di trasporto (container e ro-ro), anche mediante navi di concezione mista, che siano attrezzate per operare simultaneamente entrambe le tipologie di traffico (con-ro). Il mondo dell’economia contemporanea tende ad operare innovazioni che garantiscano maggiore essibilità nella organizzazione dei ussi di merce. Adriatico e Tirreno sono i sistemi portuali che devono costruire una relazione mediterranea forte, rispettivamente verso l’East Med ed il West Med. Nella prospettiva del rafforzamento del collegamento ferroviario tra Napoli e Bari, una collaborazione tra i sistemi portuali del Tirreno e dell’Adriatico diventa essenziale per con gurare un assetto logistico capace di offrire al mercato, attraverso la collaborazione con le compagnie di navigazione, una rete adeguata di collegamenti efficienti. L’orizzonte mediterraneo dei nostri tempi dovrebbe indurre il nostro Paese a ricucire questa medianità, trovando una cooperazione tra i due assi occidentale ed orientale, per affermare una propria presenza rafforzata nello scacchiere mediterraneo. Nel disegno di politica logistica del nostro Paese, il sistema marittimo-portuale è stato individuato come pivot interno al quale costruire il rilancio dell’intero sistema logistico e del trasporto merci. Tale nuova consapevolezza potrebbe consentire di disegnare strategia di maggiore respiro, che gli scali marittimi non si chiudono all’interno del recinto portuale, ma saranno invece più correttamente capaci di guardare alla intera catena del valore del ciclo logistico, nel quale lo snodo portuale costituisce una centralità strategica ed operativa. Nel corso della crisi e della recessione, l’Italia è tornata ad essere una nazione guidata dalle esportazioni: se nel 2008 il saldo della bilancia commerciale registrava un risultato negativo per 30 miliardi di euro, nel 2017 tale saldo è passato ad un valore positivo di 50 miliardi di euro. In parte, tale mutamento di segno così radicale corrisponde alla riduzione del prezzo del petrolio, ma in parte ancor più marcata questa trasformazione è dovuta alla ripresa di competitività delle esportazioni italiane. Se guardiamo all’articolazione dei ussi commerciali dell’economia italiana, comprendiamo che esistono ussi maggiormente consistenti verso e da alcune aree del mondo. È in base a questo assetto, ed alle ragionevoli previsioni, che possono essere formulate sull’evoluzione nei prossimi decenni, che deve essere de nito un modello strategico per la scelta di una politica logistica italiana che faccia l’interesse nazionale nel quadro di un posizionamento europeo. Il maggior usso commerciale (import + export) internazionale avviene con l’area UE28, che da sola assorbe il 43,3% del totale degli scambi, seguita dagli altri paesi europei (ad eccezione della Turchia) con il 14,4%. Circa il 57,7% degli scambi internazionali dell’Italia avviene quindi con gli altri Paesi dell’Europa, mentre, per la restante parte, signi cative sono le percentuali fatte registrare dai paesi dell’area MENA (Marocco, Tunisia, Libia, Egitto, Giordania, Israele, Libano, Turchia) e del Medio Oriente, rispettivamente pari all’11,9% ed al 10%. Verso il territorio americano nel suo insieme il usso è pari al 9%. Gli scambi commerciali con la Cina, invece, si attestano al 2,2%, dato che aumenta, complessivamente, al 7% se si prende in considerazione l’intero territorio asiatico. Insomma, l’area MENA costituisce il secondo bacino per rilevanza dei ussi commerciali per il nostro Paese, mentre la Cina, verso la quale è appuntata l’attenzione mediatica e politica attraverso il con-

tenitore fascinoso ed immagini co della Via della Seta, rappresenta oggi un’aliquota assolutamente marginale, destinata con ogni probabilità a crescere nei prossimi anni, ma oggi di dimensione certamente non strategica per de nire le scelte fondamentali a tutela dell’interesse nazionale. In questa direzione, anche la capacità di investire in rotte di autostrade del mare dai porti del Sud Italia verso i porti dell’area MENA e della sponda nord dell’Africa diventa un percorso necessario per offrire all’economia manifatturiera delle regioni meridionali un’opportunità di accesso a mercati che saranno in forte sviluppo nel corso dei prossimi decenni. Già oggi circa il 50% di tutto l’import-export dell’Italia parte o arriva in un porto del Mezzogiorno. Questo punto di forza va reso sistema e va considerato una leva strategica di azione per rafforzare una presenza mediterranea che costituisce un asset prezioso per la nostra economia. Nell’area MENA l’export italiano vale l’11,9% del totale, e quello del Mezzogiorno il 15%. Si tratta dunque di una partita di notevole rilevanza, che vale la pena di essere giocata. Anche per l’Europa il commercio con i Paesi del area Euro-Med (Algeria, Egitto, Israele, Giordania, Libano, Marocco, Palestina, Siria, Tunisia e Turchia) rappresenta una dimensione di ampia rilevanza strategica: nel 2017 i traffici in importazione dai Paesi Euro-Med per l’Unione hanno raggiunto un valore pari a 148,3 miliardi di euro, mentre in esportazione si raggiunge una cifra pari a 194 miliardi, con un avanzo della bilancia commerciale europea pari a 45 miliardi di euro: nell’insieme la regione Euro-Med rappresenta l’8,6% del totale del commercio esterno comunitario. Insomma, per il Mezzogiorno, per l’Italia e per l’Europa nel suo insieme, la comunità economica che abbraccia il bacino mediterraneo rappresenta l’immediata frontiera del proprio sviluppo; dal rafforzamento delle connessioni dipende la capacità di rafforzare legami dai quali può trarsi una stagione di sviluppo per la sponda nord e per quella sud del Mediterraneo. Perché ciò accada serve però sia consapevolezza degli operatori marittimi ma anche, e forse soprattutto, una iniziativa politica ed istituzionale che restituisca maggior ruolo all’Italia e all’Europa del Sud nello scacchiere mediterraneo. Occorre partire anche, e forse soprattutto, dai punti di forza che vedono già oggi il nostro Paese posizionato in modo efficace nei diversi segmenti di mercato: in particolare, nello short sea shipping l’Italia costituisce il 36% del volume complessivo di traffico di questa tipologia nel bacino del Mediterraneo. Il porto di Napoli, in questo quadro, deve continuare a mantenere la sua caratteristica di multifunzionalità, che non serve solo per equilibrare l’andamento dei traffici marittimi nelle oscillazioni tra i diversi segmenti di mercato, ma è funzionale soprattutto ad assicurare all’economia territoriale un adeguato grado di connessioni commerciali. © Riproduzione riservata

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Nuove politiche per lo sviluppo di trasporti integrati e sostenibili per il rilancio dei porti di transhipment di Taranto e Gioia Tauro di Oliviero Baccelli

L’obiettivo del paper è di contribuire alle ri essioni sul ruolo dei grandi terminal portuali dedicati ai traffici di transhipment nel settore container del Sud Italia, nello speci co Gioia Tauro e Taranto, con un’attenzione ai temi dello sviluppo economico e territoriale e dell’efficienza della logistica a supporto dell’industria manifatturiera del Sud Italia. Le analisi e le valutazioni qui proposte si inseriscono all’interno di un lone di ricerca relativo al ruolo delle infrastrutture portuali ai ni della riduzione dei costi di interscambio commerciale e a sostegno della convergenza economica, in particolare nei contesti periferici ed insulari (European Commission, 2013). Nel periodo 2003-2017, le regioni del Sud Italia hanno evidenziato un tasso di crescita del prodotto interno lordo pro-capite molto al di sotto delle aspettative e della media dell’Eurozona (Demertizis, Sapir e Wolff–Bruegel, 2019) e nazionale (SVIMEZ, 2018), pertanto sono giusti cati i numerosi strumenti di policy per la coesione attivati nell’ambito dei Fondi Europei per lo Sviluppo Regionale. Fra questi di particolare rilevanza è il Programma Operativo Nazionale “PON Infrastrutture e Reti 2014-2020 (PON I&R)” istituito nell’ambito dell’obiettivo “Investimenti a favore della crescita e dell’occupazione” del Quadro Strategico Nazionale1, che prevede rilevanti investimenti a supporto della competitività portuale. Le considerazioni qui esposte si pongono l’obiettivo di contribuire a colmare una lacuna dell’ampia letteratura esistente sul ruolo della portualità del Sud Italia (Baccelli O. 2018, Berlinguer A. 2018, Spirito P. 2018, Baccelli O. e Barontini F. 2013, Chimenti M. e Dal Dosso M. 2014, Grosso M., Leporatti L. e Tei A., 2014), derivante dalla mancata inclusione di elementi di valutazione rispetto ai recenti strumenti di governance introdotti dal legislatore nazionale nel periodo 2016-2018. Questi strumenti, sinteticamente presentati nei successivi paragra , sono stati concepiti con l’obiettivo di creare un “sistema mare” costruito intorno ai porti e catalizzare gli investimenti privati nelle aree portuali attraverso incentivi scali, sempli cazioni amministrative e nuove modalità di coordinamento delle relazioni con la retroportualità, e di permettere una maggior competitività del sistema economico ed un progetto nazionale condiviso e di lungo periodo. L’analisi si conclude con una serie di indicazioni di policy e di elementi di attenzione nell’utilizzo di fondi pubblici, di natura comunitaria, nazionale e regionale, per gli sviluppi infrastrutturali negli 1 Come da decisione della Commissione Europea C(2018) 1144 nal che modi ca la decisione di esecuzione C (2015) 5451.

New policies for the development of integrated and sustainable transport to the relaunch of the transhipment ports of Taranto and Gioia Tauro by Oliviero Baccelli This paper analyzes and assesses the role of port infrastructures in reducing commercial interchange costs and in supporting economic convergence. Starting from considerations on the role of the large port terminals dedicated to transhipment traffic in the container sector, the issue of economic-territorial development and efficiency of logistics in support of the manufacturing industry of Southern Italy is addressed. Given the low growth rate of the gross domestic product per capita for the regions of Southern Italy in the period 2003-2017, we intend to evaluate the role of the port of Southern Italy compared to the recent governance tools introduced by the national legislator in the period 20162018. These tools were conceived with the aim of creating a “sea system” built around ports and capable of catalyzing private investments in port areas and allowing greater competitiveness of the economic system. The analysis ends with a series of policy indications, underlining that it is necessary to be careful in using funds for the infrastructure development of the ports of Gioia Tauro and Taranto.

Nella pagina a anco, in alto: I trend relativi ai traffici totali di container per ambiti di mercato nel contesto italiano (espressi in .000 TEU). In basso: le quote dei diversi ambiti di mercato della portualità italiana nel settore container (anni 2005-2018 espressi in TEU); fonte: Elaborazione dati Assoporti.

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TRASPORTI & CULTURA N.54-55 ambiti portuali e retroportuali di Gioia Tauro e di Taranto.

Il ruolo del transhipment per la portualità del Sud Italia I trend di mercato dei traffici containerizzati in Italia possono essere analizzati facendo riferimento a sei ambiti di mercato, che hanno caratteristiche della domanda e modelli organizzativi della liera dell’offerta dipendenti da elementi differenti. Una prima distinzione identi ca i porti gateways, dedicati principalmente ad attività di import ed export della propria catchment area di riferimento, e porti di transhipment, la cui funzione è di supporto all’organizzazione di una compagnia marittima o sempre più spesso ad un’alleanza di compagnie marittime. In questo secondo caso le compagnie utilizzano il terminal portuale in logica hub&spokes per ottimizzare le proprie rotte e valorizzare le economie di scala sulle rotte principali (ad esempio fra il Far East e l’Europa), utilizzando navi anche da oltre 15.000 TEU, e la capillarità sulle rotte minori (ad esempio nel Mediterraneo Occidentale), attraverso una rete di feeder con navi di dimensioni ridotte, generalmente comprese fra i 500 e i 3.500 TEU. I dati presentati nella tabella successiva evidenziano come i porti di transhipment italiani abbiano registrato una rilevante contrazione dei volumi movimentati nel periodo 2005-2018, al contrario dei porti gateways dove l’incremento dei volumi è stato rilevante in tutti e quattro gli ambiti di mercato. In particolare, nell’arco Nord Tirrenico si è registrato un + 1,4 mln di TEU fra il 2005 e il 2018, con un +41% in termini relativi, mentre nell’arco Nord Adriatico il tasso di crescita è stato più consistente in termini relativi (+140%), ma inferiore in termini assoluti con + 917mila TEU. L’analisi del contributo dato dal singolo ambito di mercato alla crescita della portualità italiana è descritto nella tabella successiva, ed evidenzia chiaramente come i porti di transhipment di Taranto e Gioia Tauro abbiano ridotto la propria quota dal 40% del 2005 al 22% del 2018. La perdita di competitività è evidente, anche considerando una scala territoriale più ampia rispetto al contesto nazionale. Infatti, Gioia Tauro è stato il primo porto per movimentazione di traffici container nell’intero Mediterraneo per oltre un decennio sino al 2007, per poi scendere alla quarta posizione nel 2010 e alla nona nel 2018. Con l’obiettivo di fornire un’analisi più ampia in modo da veri care se è il modello organizzativo del transhipment ad essere non più idoneo a rispondere alle esigenze delle compagnie marittime o se è solo la portualità del Sud Italia dedicata a questa funzione a non essere competitiva nel mercato di riferimento, si è ampliato l’ambito di analisi dei dati anche ai porti di transhipment diretti competitori di Gioia Tauro e Taranto nel Mediterraneo Centrale ed Occidentale. In particolare, le strategie promosse dalle principali compagnie marittime anche con ingenti investimenti diretti nelle attività terminalistiche nel corso degli ultimi dieci anni hanno evidenziato come i porti spagnoli di Valencia ed Algeciras, il porto greco del Pireo e il porto maltese di Marsaxlokk possano essere considerati parziali sostituti di Gioia Tauro e di Taranto (Baccelli O., 2018 e Centro Studi e Ricerche per il Mezzogiorno, 2018a). Il trend di lungo 72

periodo per la somma di tutti e quattro i porti è particolarmente rilevante (+107% fra il 2005 e il 2018 passando da 8,6 a 17,8 mln di TEU), ma anche il trend di medio periodo (2012/2018) è positivo (+28,3% e quasi 4 milioni di TEU aggiuntivi movimentati). Questo trend è confermato anche per il periodo più recente (2017/2018, +8,2%). Inoltre, anche i dati relativi ai singoli porti hanno rimarcato un continuo livello di crescita, registrando fra il 2017 e il 2018 un + 7,3% a Valencia (5.2 mln di TEU), una stabilità ad Algeciras (4.4 mln di TEU), un + 20,7% al Pireo (4.9 mln di TEU) ed un + 5,1% a Marsaxlokk (3.3 mln di TEU). In sintesi, i principali concorrenti hanno registrato incrementi di traffico continui e consistenti nel corso dell’intero periodo analizzato, evidenziando la costanza della rilevanza del modello hub&spokes nelle strategie di tutte le principali compagnie marittime.

I motivi della crisi del ruolo del transhipment a Gioia Tauro e Taranto e le politiche di welfare attivate per gestire le crisi occupazionali L’analisi relativa all’andamento di lungo periodo fra il 2005 e il 2018 evidenzia come i volumi movimentati a Gioia Tauro siano scesi da 3,2 a 2,3 mln di TEU (-27,4%), mentre a Taranto da circa 720mila a zero. L’azzeramento dei volumi a Taranto è dovuto alla cessazione delle attività di transhipment da parte della compagnia taiwanese Evergreen Line e della cinese COSCO a partire dal 2014. L’impossibilità di accogliere nel terminal le navi utilizzate sulle principali direttrici intercontinentali a causa di fondali irregolari e l’indisponibilità di un efficiente sistema di rilancio terrestre via ferrovia hanno portato le due uniche compagnie operanti a Taranto a cancellare i propri servizi a vantaggio del porto del Pireo e alla revoca alla ne del 2015 della concessione demaniale di Taranto Container Terminal, società partecipata al 60% dalla società di Hong Kong Hutchinson Wampoa e al 40% da Evergreen Line, per le attività terminalistiche relative al molo dedicato ai traffici containerizzati. Le motivazioni del calo di traffico a Gioia Tauro sono dovute a scelte di natura strategica di più compagnie marittime, che hanno riorganizzato le proprie linee nell’ambito di una rapida evoluzione verso il rafforzamento sia delle alleanze sia del gigantismo navale. Questi due elementi hanno portato a rapidi cambiamenti in grado di premiare i porti di transhipment capaci di offrire due tipologie di vantaggi: 1) riduzione dei costi operativi 2) diversi cazione del rischio attraverso un mix di traffici in grado di generare anche economie di scala. La prima tipologia è legata ai tempi e ai costi dell’organizzazione dei servizi di linea, che dipendono sia dalle deviazioni rispetto alla rotta principale, quella fra il Canale di Suez e lo Stretto di Gibilterra, sia da una maggior produttività delle attività portuali, espresse in numero di movimenti di trasbordo per ora, resa possibile dai forti investimenti del terminalista per l’ammodernamento delle gru di banchina e di piazzale. Questa casistica avvantaggia i porti, quali il Pireo e Marsaxlokk, che hanno investito in nuove infrastrutture e in impianti ad alta automazione per far fronte al fenomeno del gigantismo navale, fattore strategico


TRASPORTI & CULTURA N.54-55 in grado di ampli care notevolmente i ri essi economici sui conti operativi delle compagnie marittime di eventuali inefficienze portuali. Nel primo caso gli ingenti investimenti sono avvenuti da parte del gruppo cinese COSCO a partire dal 2009, grazie all’ottenimento di una concessione di oltre 35 anni, anche grazie ad una strategia di lungo periodo ricadente nell’ambito della politica sostenuta dal governo cinese de nita Belt and Road Initiative (Frans-Paul van der Putten (ed.), Francesco Saverio Montesano, Johan van de Ven, and Peter van Ham. (2016)). Nel secondo caso il gestore del terminal è la società Malta Freeport, partecipata dalla turca Yildirim Group, dalla Terminal Link della francese CMA CGM e della cinese CMPorts, che opera sulla base di una concessione rilasciata nel 2008 e prorogata sino al 2069 in virtù degli investimenti effettuati. Una seconda tipologia di vantaggio comparato rispetto sia a Gioia Tauro sia a Taranto permette di primeggiare ai porti di Algeciras e Valencia, a cui nel corso dell’ultimo triennio si è aggiunto il porto di Barcellona dove i traffici sono passati da poco meno di 2 mln di TEU movimentati nel 2015 ad oltre 3,4 mln di TEU nel 2018 proprio grazie al forte sviluppo delle attività di transhipment. In questo secondo caso l’elemento distintivo è la capacità di mixare le attività di transhipment e le attività di gateway grazie al buon posizionamento geogra co per le attività di feederaggio nel Mediterraneo Occidentale e alla capacità di inoltro verso bacini di mercato terrestri con domanda di import-export molto rilevante. Le conseguenze occupazionali della crisi dei trafci hanno portato alla necessità di intervenire con norme speciali, ai sensi dell’art. 4 del Decreto Legge 243/2016, convertito dalla Legge n. 18/2017, attraverso la costituzione di speci che agenzie con durata 36 mesi a partire dal 2017, interamente controllate dalle Autorità Portuali. In particolare a Gioia Tauro è stata costituita la Gioia Tauro Port Agency S.r.l., che ha come oggetto sociale quello di esercitare, per conto dell’Autorità Portuale di Gioia Tauro, l’attività di fornitura di lavoro portuale temporaneo, costituendo un supporto alla collocazione dei lavoratori iscritti ai propri elenchi, pari ad oltre 500, anche attraverso ipotesi di riquali cazione professionale e ricollocazione dei lavoratori presso il porto di Gioia Tauro. Un percorso simile, basato su un mix di erogazioni per il mancato avviamento al lavoro e su attività di formazione retribuita, è stato avviato con la Taranto Port Workers Agency S.r.l. costituita nel settembre del 2017 per la gestione dei 522 lavoratori in esubero della società Terminal Container Taranto in liquidazione e per i quali non era più possibile estendere ulteriormente la durata degli strumenti di sostegno economico previsto dalle norme standard, come la cassa integrazione ordinaria e straordinaria. La Legge 18/2017 ha previsto contributi pubblici per le agenzie (inclusa quella di Cagliari, non considerata in questo lavoro) di circa 41 milioni di Euro, di cui 18,1 mln di euro per il 2017, 14,1 mln di euro per il 2018 e 8,1 mln di euro per il 2019.

dal legislatore per il rilancio della portualità, in particolare meridionale, attraverso visioni più sistemiche nelle relazioni fra porti e di integrazione delle liere logistiche fra porti e retroporti. In particolare, gli strumenti adottati sono la riforma portuale entrata in vigore con il Decreto Legislativo 169/20162 e due interventi normativi studiati appositamente per le regioni del Sud Italia e per le Isole: le Zone Economiche Speciali (ZES) e le Aree Logistiche Integrate (ALI). Questi interventi sono stati promossi in quanto l’integrazione dei porti con le altre modalità di trasporto costituisce un aspetto cruciale per il successo del sistema logistico e portuale italiano, in un contesto di rapida evoluzione che implica una chiara esigenza di maggior efficienza operativa per i sistemi portuali, e una visione sistemica degli effetti economici, per poter generare attività logistiche a valor aggiunto. Questa evoluzione strategica avviene in un quadro di sempre maggior digitalizzazione e automazione delle attività portuali, che riducono le ricadute economiche e sociali negli ambiti prettamente portuali, spostando le ricadute economiche degli interscambi in contesti territoriali più ampi. La competitività di un porto nella nuova rete di servizi di linea container, infatti, non si lega solamente alla localizzazione geogra ca, ma anche alla qualità complessiva dei servizi offerti. Di fondamentale importanza sono, quindi, la presenza di impianti e attrezzature adibiti a rapide operazioni di imbarco e sbarco dei container e alla trasmissione delle relative informazioni, che permettano di rendere rapide le operazioni di piazzale e di trasferimento del carico da una modalità all’altra, spazi dedicati allo svolgimento di attività a supporto, e collegamenti con i principali mercati di origine o destino della merce trasportata. Queste attività possono essere de nite come port-centric logistics (Knatz, 2017, Acciaro, 2013, Notteboom, 2009). La tabella di seguito riprende in modo sintetico gli elementi salienti dei tre strumenti introdotti dal legislatore nazionale dal 2016.

Le iniziative di potenziale rilancio delle relazioni portiretroporti a Gioia Tauro e Taranto

Gli strumenti per il rilancio della portualità introdotti dal legislatore nazionale dal 2016

Le opportunità offerte dal nuovo quadro normativo per il rilancio della portualità sono state parzialmente valorizzate sia a Gioia Tauro sia a Taranto, nonostante il mancato completamento dei regolamenti attuativi degli interventi normativi. In particolare l’istituzione dello Sportello Unico Doganale e dei Controlli e lo Sportello Amministrativo Unico, previsti dalla riforma portuale ed elementi centrali per le relazioni porti-retroporti a metà del 2019 non erano ancora stati promulgati. Per il porto calabrese l’evoluzione della governance è particolarmente complessa. Infatti, la riforma portuale prevedeva l’istituzione, nei primi mesi del 2017, dell’Autorità di Sistema Portuale del Mar Tirreno e Ionio e dello Stretto, con sede a Gioia Tauro (porto della core network dei TEN-T), seppur concedendo a Messina (porto della comprehensive network della rete TEN-T) autonomia nanziaria

L’obiettivo di questo capitolo del paper è di evidenziare in modo sintetico le iniziative promosse

2 Il D.lgs. 169/2016 è entrato in vigore il 15 settembre 2016.

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TRASPORTI & CULTURA N.54-55 ed amministrativa no a giugno 2017. Dopo circa quindici mesi di incertezze normative, nel Decreto Legislativo 119/2018 convertito con Legge 136/2018 del 17 dicembre 2018, è stata istituita la sedicesima AdSP, l’Autorità di Sistema Portuale dello Stretto, comprendente i porti di Messina, Milazzo, Tremestieri, Reggio Calabria e Villa San Giovanni, con alcune precisazioni rispetto al tema delle Zone Economiche Speciali che rendono incerti alcuni elementi di piani cazione3. L’Autorità precedente, che è in una situazione di commissariamento dal dicembre del 2015, è stata rinominata Autorità di Sistema Portuale dei Mari Tirreno, Mediterraneo e Ionio e comprende i porti di Gioia Tauro, Corigliano, Crotone e Palmi. Nel mese di febbraio 2019 la Regione Calabria ha presentato ricorso alla L. n. 136/2018 (sugli articoli riguardanti la nuova AdSP) presso la Corte Costituzionale. La Regione ha espresso dubbi sulla procedura che regola il potere del Comitato di Indirizzo della ZES su porti che si trovano nella Regione in cui viene formata la ZES, ma ricadono giuridicamente in un’Autorità di Sistema avente sede in un’altra Regione. Oltre a esporre dubbi su questo tema, la Regione Calabria considera critico il mancato coinvolgimento della Regione nell’istituzione della nuova Autorità dello Stretto, come avvenuto in precedenza - per la validità costituzionale dell’iter - in sede di Conferenza Stato-Regioni. Il Piano di Sviluppo Strategico della ZES è stato approvato nel marzo 2018 dalla Giunta Regionale e la ZES è stata istituita con D.P.C.M. nel maggio 2018 e sono state individuate le aree interessate dalla ZES. Queste ultime sono il macronodo di Gioia Tauro (comprendente il porto e il retroporto), il porto e il retroporto di Reggio Calabria, i porti di Villa San Giovanni, di Crotone, di Vibo Valentia e di Corigliano Calabro, gli aeroporti di Lamezia Terme, Reggio Calabria e Crotone e gli agglomerati industriali di Crotone, Vibo Valentia, Corigliano Calabro e Lamezia Terme. L’estensione complessiva della ZES sarà di 2.446 ettari su un massimo di 2.476 ettari. Nel marzo del 2019 è stato costituito il Comitato di Indirizzo presieduto dal Presidente dall’AdSP, ma ciononostante, a differenza di altre regioni come la Campania, gli effetti operativi sono ancora nulli, non essendo pervenuta alcuna richiesta da parte delle imprese per potersi insidiare nella ZES Calabria. Per quanto riguarda lo sviluppo dell’Area Logistica Integrata (ALI) del Polo Logistico di Gioia Tauro, che prevede una programmazione nalizzata al miglioramento della competitività del sistema portuale ed interportuale e all’individuazione di un interlocutore unico al ne di promuovere interventi integrati di sviluppo della logistica e dell’intermodalità, il tavolo locale è stato formalizzato il 23 Gennaio del 2017. L’ALI è formata dall’Autorità Portuale di Gioia Tauro, dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, dalla Regione Calabria, dall’Agenzia per la Coesione Territoriale e in ne dal Consorzio Regionale per lo Sviluppo delle Attività Produttive (Co.R.A.P.). Le principali infrastrutture all’interno dell’ALI sono i porti di Gioia Tauro, Corigliano Calabro, Taureana di Palmi, Vibo Valentia e Villa San Giovanni, l’agglomerato industriale di Gioia Tauro-Rosarno-San Ferdinando ed i tratti 3 La legge, all’art. 22bis, comma 3, infatti prevede che “nell’ipotesi in cui i porti inclusi nell’area della ZES rientrino nella competenza territoriale di un’Autorità di Sistema Portuale con sede in altra regione, il presidente del Comitato di indirizzo è individuato nel Presidente dell’Autorità di Sistema Portuale che ha sede nella regione in cui è istituita la ZES, facendo prevalere la logica territoriale rispetto a quella funzionale delle attività portuali.

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del corridoio TEN-T Scandinavia-Mediterraneo di Metaponto-Sibari-Bivio S. Antonello-Gioia Tauro e della linea Tirrenica. Gli investimenti in ambito ferroviario risultano particolarmente rilevanti per la competitività del porto in logica di superamento delle sole attività di transhipment, tenendo conto che dal 2015 non sono più attivi i servizi ferroviari, fortemente penalizzati dagli alti costi di manovra necessari per raggiungere gli ambiti portuali dalla linea principali, dovuti anche all’utilizzo di un raccordo di 5 km gestito da Co.R.A.P, e dalle limitazioni di modulo (515 metri) e sagoma (P/C45) della linea Metaponto–Sibari San Lucido il cui ammodernamento complessivo è previsto da RFI solo a ne 2026. I progetti attualmente nanziati dal PON I&R 2014-2020 inseriti nelle iniziative ALI riguardano alcune infrastrutture riferite esclusivamente al porto di Gioia Tauro e previste dalla programmazione del Piano Regolatore Portuale dall’inizio degli anni 2000: - Completamento viabilità comparto nord (costo di circa 18 milioni di euro e conclusione nel 2019); - Adeguamento del tratto di banchina nord esistente ai nuovi tratti di banchina nord e relativo approfondimento dei fondali (costo di circa 5 milioni di euro e concluso nel 2018); - Gateway ferroviario (costo di circa 20 milioni di euro e la cui conclusione era prevista nel 2018, ma che prevedibilmente sarà completata alla ne del 2020). In questo contesto di continue evoluzioni nelle modalità organizzative della piani cazione di sistema, frutto anche della strati cazione dei livelli di governance imposta dall’evoluzione normativa e dalle continue incertezze nell’applicazione dovuta ad assenze di regolamenti attuativi o ricorsi rispetto agli ambiti di riferimento, nel corso dei primi mesi del 2019 è avvenuto un cambio di proprietà del terminal container. La situazione di stallo nelle strategie di rilancio gestionale, frutto anche dell’equilibrato assetto societario, con il 50% del MedCenter in mano al Gruppo Contiship e il 50% in mano al gruppo MSC, si è chiarita con il passaggio dell’intero pacchetto azionario a MSC. Questa razionalizzazione, che porta ad avere un unico socio del terminal container, è stata accompagnata dalla presentazione di un nuovo piano industriale con prospettive di importanti investimenti in ammodernamenti dei mezzi tecnici per le operazioni di imbarco e sbarco già nel biennio 2019-2020 e una prospettiva di incrementi rilevanti dei traffici con obiettivo di superare i 4 milioni di TEU nel 2025, sempre in logica di hub di transhipment. Il gruppo Contship rimane attivo nel contesto portuale attraverso la gestione dell’Interporto di Gioia Tauro, progetto sviluppato nell’ambito di una partnership pubblico-privata basata su una contribuzione pubblica di 20 milioni di euro e di un intervento privato di pari importo, e assegnato tramite una gara ad evidenza pubblica avviata nel 2013. L’interporto, che si estende per oltre 320mila metri quadri nelle immediate vicinanze dell’area portuale, si prevede entrerà a regime nel 2020, con l’obiettivo la movimentazione di avviare nuovi traffici ferroviari sia di tipo containerizzato sia di tipo combinato strada-rotaia, sebbene con volumi molto limitati essendo stato presentato in sede di nalizzazione della concessione un business plan che prevede solo 28 treni settimanali a regime. Per quanto riguarda l’ambito di Taranto, la transizione avvenuta nel corso dei primi mesi del 2017


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sulla base delle indicazioni previste dalla riforma portuale non ha modi cato il perimetro di competenza dell’Autorità, mentre i soggetti coinvolti nello sviluppo delle ALI sono molto più articolati rispetto al caso calabrese. Infatti, il tavolo locale dell’ALI del Sistema Pugliese-Lucano avviato nel settembre del 2016 è formato dalle Autorità Portuali di Bari, Brindisi e Manfredonia (ora AdSP del Mar Adriatico Meridionale), dall’Autorità Portuale di Taranto (ora AdSP del Mar Ionio), dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, dalla Regione Puglia, dalla Regione Basilicata, dall’Agenzia per la Coesione Territoriale e da Rete Ferroviaria Italiana S.p.A. Le principali infrastrutture su cui insiste l’ALI sono i porti di Bari, Brindisi, Manfredonia e Taranto, a cui si appoggiano anche i centri produttivi della Basilicata, lo scalo Ferruccio, il raccordo GTS e l’annesso interporto e lo scalo ferroviario intermodale della Lugo Terminal. Il principale polo intermodale dell’ALI è l’Interporto Regionale della Puglia di Bari, Rail-Road terminal core della rete TEN-T, collegato via ferrovia con i porti di Bari, Brindisi e Taranto. L’interporto è andato incontro a notevoli difficoltà nanziarie nel corso del 2018, sfociate in un contenzioso con la Regione Puglia, che ha portato alla cessione dell’area al fondo immobiliare Prelios che

si occuperà della gestione e del rilancio delle attività dell’interporto. L’AdSp del Mar Ionio, inoltre, detiene il 33% della società consortile a responsabilità limitata Distripark, costituita per lo sviluppo dell’intermodalità e della logistica nell’area di Taranto, ma la società non è mai risultata attiva ed attualmente è in fase di liquidazione.

1 - Gli strumenti normativi adottati in Italia per il rilancio della portualità italiana. Fonte: elaborazioni dell’autore

La ZES Jonica attraversa la fase nale dell’iter istitutivo: in data 21 febbraio 2019 è stato consegnato, da parte della Regione Puglia e della Regione Basilicata, il Piano di Sviluppo Strategico (PSS) al Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) per un’ulteriore approvazione a seguito di modi che effettuate sui temi dei nanziamenti. In seguito, il PSS dovrà, a sua volta, essere approvato dalle due Regioni congiuntamente e in ne la ZES sarà istituita con D.P.C.M. La ZES Jonica fa capo all’Autorità di Sistema Portuale del Mar Ionio. Anche per Taranto i progetti attualmente nanziati dal PON I&R 2014- 2020 inseriti nelle iniziative ALI riguardano progetti solo relativi al porto di Taranto ed in entrambi i casi si tratta di interventi piani cati da oltre un decennio: - gli interventi per il dragaggio di 2,3 Mmc di sedimenti in area Molo Polisettoriale per la realiz75


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zazione di un primo lotto della cassa di colmata funzionale all’ampliamento del V sporgente del Porto di Taranto (costo di circa 18 milioni di euro e conclusione prevista nel 2020); il Collegamento ferroviario del complesso del porto di Taranto con la rete nazionale - 1^ fase funzionale n. 2 lotto: Cagioni e Piastra Logistica Taranto (costo di circa 25 milioni di euro e conclusione prevista nel 2020).

Nel corso del 2019, a seguito delle procedure di gara da parte dell’AdSp del Mar Ionio, è previsto il rilascio della concessione ad un nuovo operatore dopo cinque anni di inattività delle banchine dedicate ai traffici container con capacità teorica di movimentare oltre 2 mln di TEU l’anno. L’AdSP prevede che il Molo Polisettoriale del porto di Taranto possa riavere un importante riposizionamento strategico nel Mediterraneo centrale con il raggiungimento graduale di signi cativi traffici, grazie al rilascio della concessione alla holding turca Yilport, tredicesimo operatore terminalista mondiale, con l’obiettivo di riaprire ai traffici containerizzati già nel 2020.

Considerazioni di sintesi Le aree dedicate alla movimentazione di traffici container nei porti di Gioia Tauro e di Taranto hanno una capacità di movimentazione rispettivamente pari ad oltre 4 milioni di TEU e oltre 2 milioni di TEU4. Il tasso complessivo di utilizzo previsto per il 2019 è ben inferiore al 40% a Gioia Tauro e nullo a Taranto. Questa mancata valorizzazione costituisce un rilevante costo opportunità per il Mezzogiorno, ampli cato dai rilevanti costi di accompagnamento ai trend negativi dei traffici in corso da quasi un decennio a causa degli oneri per la collettività derivanti dagli interventi di welfare a sostegno dei lavoratori disoccupati e dai continui investimenti pubblici necessari per poter mantenere una potenziale attrattività nei confronti degli operatori economici, terminalisti e compagnie marittime. Inoltre, nonostante i numerosi interventi con strumenti legislativi speci ci, non è avvenuta la diversi cazione rispetto alle attività di puro transhipment, che hanno ricadute limitate per lo sviluppo economico territoriale. In questo quadro di contesto caratterizzato da scenari economici incerti e continui cambiamenti dei modelli di governance, resi più complessi e articolati dall’introduzione degli strumenti previsti dalle normative speciali relativi alle ZES e alle ALI, emerge il mancato utilizzo da parte dei piani catori di strumenti che, nei contesti della portualità del Nord Italia, hanno permesso alcuni elementi di rafforzamento della competitività portuale e retroportuale. In particolare, sono diversi gli strumenti in grado di offrire un sistema dei trasporti più integrato e sostenibile, a supporto dell’internazionalizzazione dell’industria manifatturiera del Sud Italia attraverso la riduzione dei costi di trasporto e di logistica. Uno di questi ha come obiettivo la riduzione dei costi della manovra ferroviaria, elemento che attualmente penalizza entrambi i porti qui analizzati. I casi di Trieste o di Venezia5 possono costituire 4 Questi dati sono tratti dal Piano Strategico Nazionale della Portualità e della Logistica del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (2015). 5 Il ruolo delle AdSP in questo ambito è stato rafforzato dalla Delibera 18 del 2017 dell’Autorità di regolazione dei Trasporti

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un modello replicabile, in quanto in entrambi i casi l’obiettivo è stato raggiunto attraverso l’istituzione di un’impresa ferroviaria a controllo diretto da parte dell’Autorità che ha permesso la sempli cazione di tutte le operazioni ferroviarie. In entrambi i casi è stato decisivo il ruolo pro-attivo delle Autorità Portuali sia nelle gestioni operative sia nell’individuazione delle soluzioni per il superamento di speci ci colli di bottiglia infrastrutturali nella rete in ambito portuale e retroportuale. I risultati per entrambi i contesti sono stati molto rilevanti: infatti, nel primo caso, il risultato è stato quello di passare da 5.048 treni del 2015 ai quasi 10.000 del 2018, mentre nel secondo caso di quasi triplicare il numero di carri ferroviari movimentati, passati da 31.034 del 2012 agli oltre 90.000 del 2017, grazie al contributo di numerose imprese ferroviarie (8 a Trieste e 6 a Venezia) che possono offrire servizi molto diversi cati. Inoltre, il ruolo di sostegno attraverso sussidi speci camente dedicati allo sviluppo di servizi intermodali ferroviari da e per i porti da parte delle Regioni, al contrario di quanto avvenuto in altri contesti del Nord Italia6, non è stato previsto negli anni scorsi e non è indicato nei documenti di piani cazione dei prossimi anni per le realtà del Sud Italia. Un ulteriore strumento potenzialmente in grado di determinare incrementi di efficienza ed efficacia nelle relazioni fra porti e retroporti e che è stato valorizzato esclusivamente negli ambiti portuali del Nord Italia e non nel Sud Italia è quello relativo ai fast corridors doganali. Questo strumento, promosso dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli a partire dalla ne del 2015, ha consentito a ne 2018 l’attivazione di 10 corridoi stradali, 7 ferroviari e 2 intermodali, in grado di permettere l’inoltro immediato delle merci sbarcate in porto verso un inland terminal o un magazzino, trasferendo i controlli e le operazioni doganali in ambiti retroportuali, con sempli cazioni procedurali ed efficientamenti logistici in grado di ridurre i costi dell’interscambio. Nel corso del 2019 la stipula di nuovi contratti di concessione sia a Gioia Tauro sia a Taranto con operatori terminalistici di rilevanza mondiale evidenzia le potenzialità di un recupero dei traffici, ma il forte sviluppo della competitività dei porti concorrenti nel corso dell’ultimo decennio evidenzia altresì la necessità di interventi di supporto sia da parte delle regioni interessate sia da parte delle Autorità al ne di creare un eco-sistema in grado di diversi care le attività rispetto al puro transhipment e ridurre i rischi di volatilità dei volumi. Il trasferimento di best practices da altri contesti nazionali non è praticamente mai avvenuto, privilegiando la ricerca di normative ad hoc, come “Conclusione del procedimento avviato con delibera n°30 del 2016- Misure di regolazione volte a garantire l’economicità e l’efficienza gestionale dei servizi di manovra ferroviaria”, che prevede un gestore unico della manovra ferroviaria in ambiti complessi. I modelli di Venezia e di Trieste prendono spunto dalle iniziative promosse nel 2014 a La Spezia, dove è stata creata la società La Spezia Shunting Railways di cui è stata promotrice l’Autorità Portuale, che detiene anche il 20% delle quote azionarie, quale soggetto aggregatore anche di imprese private interessate alla promozione dei traffici ferroviari dal porto. 6 Si veda, ad esempio, le Leggi regionali 15/2009 e 10/2014 dell’Emilia Romagna, la Legge Regionale del Friuli Venezia Giulia 15/2004 (con validità più volte prorogata attraverso ri nanziamenti sino al 2021) o degli interventi integrativi del sussidio previsto dalle norme di sostegno nazionali de nite “ferrobonus” (come previsto dal decreto interministeriale MIT-MEF 125/ 2017) promossi in modo coordinato dalla regioni Liguria, Piemonte e Lombardia per il periodo 2018-2020.


TRASPORTI & CULTURA N.54-55 le ALI, le ZES, le Agenzie di Lavoro speci camente dedicate, che in realtà non hanno evidenziato una concreta capacità di incidere sulla competitività dei due principali porti del Sud Italia. In entrambi i contesti è auspicabile un ruolo più proattivo delle Regioni e delle Autorità di Sistema anche su aspetti più immateriali, come ad esempio, l’organizzazione delle manovre ferroviarie, la creazione di fast corridors doganali, la predisposizione di coerente quadro di incentivi e sussidi mirati a ridurre i rischi di iniziative di avvio di nuovi servizi ferroviari. Le strategie future devono essere in grado di cogliere in modo concreto le opportunità rese possibili dall’esistente quadro normativo creato ad hoc, con l’ottica di ampliare le ricadute economiche derivanti dai servizi portuali e riassorbire l’occupazione attualmente sottoutilizzata, e abbandonare le policy di continua produzione di normative dalla difficile applicabilità e generatrici di un sistema di multi-level governance che indebolisce e complica la capacità decisionale su temi di particolare rilevanza per lo sviluppo economico del Sud Italia.

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Le zone economiche speciali, la nuova frontiera per lo sviluppo dei porti e del sistema industriale di Alessandro Panaro

Il fenomeno delle Free Zone, ha registrato un trend in continua crescita, che non si è arrestato durante il periodo della globalizzazione, né nel corso della crisi nanziaria mondiale degli anni scorsi: nel 1997 il numero di ZES era pari a circa 845 in 93 Paesi, tale valore è salito a circa 4.500 e coinvolge circa 135 Paesi.

Elementi di scenario internazionale Il 43% delle Free Zone nel mondo è concentrata in Asia e nella regione del Paci co; a seguire le Americhe con il 24% ed ancora l’Europa Centro-Orientale e l’Asia Centrale che raggruppano il 19% del totale. A livello di singoli Paesi spiccano la Cina ed il Vietnam con oltre 180 Free Zone. Nella stessa Cina occupano oltre 50 milioni di persone e generano 145 milioni di dollari di interscambio. L’impatto economico totale generato ammonta a oltre 68,4 milioni di lavoratori diretti e un valore aggiunto generato, derivante dagli scambi, di poco più di 850 miliardi di dollari. Secondo autorevoli stime, nelle Free Zone andrebbe a concentrarsi, con il passare del tempo, il 40% circa del totale dell’export di un Paese. Ad esempio, nelle Free Zone dei Paesi dell’Area MENA si concentra oltre il 36% del totale esportato dall’area, nell’Africa Sub Sahariana tale dato arriva quasi al 50%. In termini di occupati il dato è più variegato: gli occupati delle free zone rappresentano a livello mondiale lo 0,2% del totale. Nell’Area MENA il dato diventa dell’1,6%, nelle Americhe l’1,2% e nell’area Asiatica del 2,3% È importante il tema della governance ed al riguardo esistono public zone (gestite da soggetti pubblici) e private zone (gestite da soggetti privati). Prendendo ad analisi un panel di 2.301 Free Zone, il 62% sono risultate gestite da privati (negli anni ’80 tale percentuale era del 25%); tuttavia esistono diversi cazioni a seconda delle aree geogra che: ad esempio nelle Americhe il 73% è privato, nell’area MENA l’81% delle Zone ha natura pubblica. In Europa esistono diversi casi di Free Zone a diversi livelli di operatività (più che altro si tratta di punti franchi individuati all’interno di aree portuali); se ne contano ad esempio 10 in Danimarca, 8 in Germania, 3 in Grecia, 5 in Spagna (tra cui la famosa ZAL-Zona ad Attività Logistica di Barcellona). Uno dei casi più famosi in Europa è rappresentato dalle 14 Free Zone della Polonia che hanno creato circa 296.000 nuovi posti di lavoro; esse coprono una super cie di oltre 18mila ettari e interessano

Special economic zones, the new frontier in the development of ports and the industrial system by Alessandro Panaro The Free Zone phenomenon is a constantly growing trend that did not slow during the globalization process, or the international nancial crisis of recent years. 43% of Free Zones in the world are concentrated in Asia and in the Paci c area; followed by the Americas with 24% and Central-Eastern Europe and Central Asia which together count 19% of the total. There are public zones (managed by public entities) and private zones (managed by private entities). The SEZs in Italy were established in 2017 and are geographically delineated and clearly identi ed zones located within the borders of the country constituted by adjacent areas that must be connected functionally and economically… and include a port area. Only the regions of Southern Italy may present proposals for SEZs. The rst strong point is the existence of institutional development policies centred on the port, with entrepreneurial structures, incentives and nancial resources all nalized towards increasing the maritime infrastructure. Then there are “secondary” infrastructural connections that guarantee efficiency and effectiveness in cargo transfer. The investments in port infrastructures and in logistics have an impact on a variety of economic parameters, the rst and most obvious is surely a country’s importexport. The author illustrates the Tanger MED port – which has a structured Free Zone in the dry port area – and analyses the reasons for its success.

Nella pagina a anco, in alto: Gru di banchina (Ship-toshore) fotografate dall’area di carico scarico della banchina; in basso: in primo piano, sulla banchina, una ralla interna e, al centro, una ralla (shuttle). Sulla destra, dettaglio di una gru STS. Sullo sfondo, una portacontainer in ingresso, trainata da un rimorchiatore. L’autore ringrazia Contship per aver fotnito le foto che accompagnano questo articolo.

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1 - Operatore di piazzale (checker) supervisione l’operazione di carico (o scarico) di un contenitore, lungo la banchina (La Spezia Container Terminal).

2 - Operazioni di trasferimento di un container su una ralla (shuttle).

162 città e 232 Comuni del Paese. Katowice rappresenta la realtà più importante e vanta la presenza di oltre 260 aziende con investimenti pari a 5,5 miliardi di euro e 58.000 nuovi posti di lavoro. In queste aree della Polonia è possibile ottenere importanti bene ci in termini di esenzioni scali (su tasse analoghe alle nostre IRPEF e IRES) ed alcuni Comuni offrono anche ulteriori esenzioni per le imposte locali; gli spazi sono adeguati all’esercizio delle attività industriali e produttive, i prezzi d’affitto sono particolarmente favorevoli e si può contare sull’assistenza offerta dalle autorità locali interessate ad accogliere nuovi investitori. Le ZES in Polonia presentano anche gradi diversi di specializzazione: alcune sul settore automotive, altre 80

su apparecchiature elettriche oppure editoria ed altro. Secondo gli ultimi dati disponibili, nelle ZES polacche sono localizzate circa 80 imprese Italiane di vari settori. Una delle Free Zone più importanti dell’area MENA è a ridosso del porto di Tanger Med in Marocco. L’area logistico portuale e l’area “Franca” ospitano complessivamente circa 600 imprese di tutti i settori produttivi che realizzano un totale export di oltre 4 miliardi di euro. È una zona fondata su ingenti investimenti nel settore automotive ma anche di altri comparti manifatturieri; le imprese possono contare sulla presenza di uno dei porti più efficienti del Mediterraneo che movimenta


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3 - Prospettiva dalla cabina di un operatore STS (Shipto-shore crane) durante le operazioni di trasferimento dei container dalla nave alla banchina.

circa 3 milioni di container l’anno e di aziende logistiche di livello internazionale che gestiscono i terminal dello scalo. Uno studio di SRM focalizzato sugli Emirati Arabi Uniti (EAU) - Paese che pone le Free Zone tra i pilastri della propria economia - ha censito nelle 36 Free Zone esistenti circa 70.000 imprese che contribuiscono alla creazione di circa il 33% del PIL realizzato dal Paese. Il fatturato totale ammonterebbe a quasi 300 miliardi di dollari. Lo stesso studio censisce 330 imprese italiane presenti nelle Free Zone degli EAU che hanno un fatturato stimato in 1,4 miliardi di dollari.

Il soggetto per l’amministrazione della Zes è identi cato nel Comitato di indirizzo composto dal Presidente dell’Autorità portuale che lo presiede, da un rappresentante della Regione, da un rappresentante del consiglio dei Ministri e da un rappresentante del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. Il comitato si avvale del Segretario Generale dell’Autorità Portuale per le funzioni amministrative. Il Segretario Generale può stipulare accordi o convenzioni quadro con banche e intermediari nanziari.

Requisiti di base della ZES Quadro di Sintesi delle ZES-Zone previsti dalla Legge Economiche Speciali in Italia Volendo sintetizzare i requisiti di base che hanno Le ZES in Italia sono state istituite con Legge 3 agosto 2017 n. 123 (che ha convertito il Decreto Mezzogiorno 91/2017. Esse sono zone geogra camente delimitate e chiaramente identi cate e situate entro i con ni dello stato costituite da aree adiacenti purché presentino nesso economico funzionale…e che comprendano un’area portuale”. Solo le regioni del Mezzogiorno possono presentare proposta di Zes ubicate dove siano presenti aree portuali e, al riguardo, ciascuna regione del Mezzogiorno può presentare proposta di Zes o al massimo due proposte ove siano presenti più aree portuali. Le imprese che investiranno nelle Zes in Italia potranno avere: 1) procedure sempli cate per adempimenti burocratici e per l’accesso alle infrastrutture; 2) un credito di imposta in relazione agli investimenti effettuati. Esse dovranno mantenere l’attività nella Zes per almeno 7 anni. Viene messa in opera quindi una politica di sviluppo istituzionale che pone il “Porto al centro”, vale a dire insediamenti imprenditoriali, incentivi e risorse nanziarie tutte nalizzate a far crescere l’infrastruttura marittima ed il sistema di impresa che ruota intorno ad essa.

caratterizzato le ZES, essi sono: - essere in una Regione del Mezzogiorno; - comprendere almeno un’area portuale interessata dalla rete transeuropea dei trasporti; - prevedere incentivi in relazione alla natura incrementale degli investimenti delle imprese; - avere un PSS - Piano di Sviluppo Strategico; - speci care (eventuali) accordi o convenzioni quadro con banche ed intermediari nanziari; - avere il Soggetto per l’Amministrazione (Comitato di Indirizzo) identi cato. I bene ci in sintesi invece sono i seguenti. - In primo luogo sono previste procedure sempli cate per adempimenti burocratici e per l’accesso alle infrastrutture. La tipologia di bene cio legata agli adempimenti burocratici è subordinata all’emanazione di uno speci co decreto da parte del Governo che sancisca quali sono le facilitazioni amministrative da concedere soprattutto in termini di tempistiche in cui si forniscono risposte alle imprese in termini di ottenimento di permessi, certi cati etc. - Il credito di imposta in relazione agli investimenti effettuati nelle ZES: il credito d’imposta concesso dallo Stato per le imprese per i beni 81


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acquistati entro il 31 dicembre 2020 è per ciascun progetto di max 50 milioni di euro. Al momento per tale tipologia di incentivo sono previsti 200 milioni per il periodo 2019-2020. In aggiunta a tali incentivi, le Regioni ove la ZES è ubicata possono prevedere ulteriori bene ci rivenienti dai fondi comunitari o da speci ci provvedimenti (es. leggi regionali) che prevedono risorse per lo sviluppo delle imprese e/o delle infrastrutture. Si segnala che le imprese devono mantenere l’attività nella ZES per almeno 7 anni.

Analisi dei punti di forza

4 - Veduta notturna del piazzale e della banchina del Terminal Container Ravenna, sulla sinistra si nota l’area RORO, sulla destra una gru STS.

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Primo punto di forza è la presenza di una politica di sviluppo istituzionale che ponga il “Porto al centro”, vale a dire insediamenti imprenditoriali, incentivi e risorse nanziarie tutte nalizzate a far crescere l’infrastruttura marittima. Insieme al porto, inoltre, vi sono una serie di connessioni infrastrutturali di “contorno”, che garantiscono efficienza ed efficacia nel trasferimento delle merci, ad esempio binari ferroviari, aeroporto, sistema stradale. Nondimeno è importante la presenza, nelle ZES, di strutture di supporto che garantiscano una serie di servizi accessori alle imprese e necessari per il loro sviluppo: ad esempio centri di ricerca, uffici di servizi nanziari, centri di lavorazione logistica a valore aggiunto, strutture di grande distribuzione. Punto di forza è la scelta di favorire insediamenti manifatturieri altamente export-oriented cioè che facciano lavorare il porto per loro natura, come ad esempio l’automotive nel caso della Free Zone del Marocco o l’agroalimentare nel caso della Suez Canal Zone. Il legame tra industria e logistica marittima è uno dei presupposti fondamentali per la nascita e la buona riuscita della ZES. Vincente dovrebbe essere, inoltre, la possibilità, da parte delle Regioni di integrare gli incentivi, rendendoli così rivolti non solo alle attività tipiche di impresa come il “credito di imposta” ma

anche a stimolare l’occupazione locale, la ricerca, l’innovazione, la formazione. Da sottolineare, inoltre, che per evitare che l’impresa prenda incentivi e dopo qualche anno disinvesta, è previsto il vincolo per le aziende che devono insediarsi nella Zes (7 anni). La piena disponibilità degli enti pubblici a risolvere problematiche burocratiche è in ne un presupposto necessario e quali cante per la Zes. L’esistenza della Zona Economica facilita, inoltre, gli Scali nell’attrarre aziende logistiche di primo livello per gestire i terminal portuali. Ad esempio, in Marocco i terminal sono gestiti dalla danese APM e dalla tedesca Eurokai, due colossi marittimo Logistici mentre in Egitto vi è la presenza del colosso Emiratino Dp World e della cinese Cosco. Altro punto di forza è rappresentato dal poter presentare la ZES alle più importanti ere internazionali e meeting sul tema del mare e della logistica portando all’attenzione di investitori esteri e operatori l’esistenza di un porto in sinergia con la Zona. Ulteriore punto di forza è la presenza di una Governance della ZES molto snella (solo il Comitato di Indirizzo) e in linea con le strategie del porto e del Governo, il piano di sviluppo della ZES viene elaborato dagli organi direttivi del Porto insieme alla Regione per condividere strategie di crescita e utilizzo delle risorse disponibili con lo Stato.

L’Impatto dei porti e delle ZES sull’economia. Risultati e stime di alcune analisi. Export e Valore aggiunto Gli investimenti nelle infrastrutture portuali e nella logistica impattano su diversi parametri economici, il primo ed il più evidente è sicuramente l’import-export di un Paese; infatti, gli scali portuali forniscono un contributo determinante all’internazionalizzazione delle imprese fornendo loro una porta di ingresso ed uscita per le merci. In Italia tale impatto è molto signi cativo: il 34%


TRASPORTI & CULTURA N.54-55 dell’interscambio del sistema imprenditoriale nazionale è realizzato via mare, per un totale di oltre 240 miliardi di euro. Esso è ancor più determinante se ci si riferisce alle sole regioni meridionali: l’interscambio complessivo via mare raggiunge in questo caso il 63% del totale dell’area. Ma non è solo il ruolo “tecnico” sull’import/export che rende i porti italiani importanti per l’economia del Paese. L’impatto dei sistemi portuali, e dei servizi ad essi connessi, sul valore aggiunto del Paese è rilevante in misura analoga. È stato infatti stimato, da un’analisi realizzata da SRM (in collaborazione con Prometeia), che attualmente i nostri porti forniscono un contributo signi cativo a tale aggregato, pari a 23,5 miliardi di euro (il 22% circa è prodotto dal Mezzogiorno che è la seconda macro area del Paese dopo il Nord-Ovest che incide per il 49%). È stato altresì stimato che, se il nostro Paese effettuasse investimenti portuali tali da comportare un aumento della capacità dei nostri porti del 10%, ciò genererebbe un impatto, sempre sul valore aggiunto prodotto dalla liera marittima, pari ad ulteriori 3,2 miliardi di euro. A conferma del ruolo attivo e propulsivo della liera marittimo-portuale nel contesto produttivo nazionale. Traffico container - All’interno dell’economia generata dall’attività marittimo-portuale assume un ruolo importante quello relativo al traffico e alla lavorazione dei container, in particolare considerando il maggiore impatto in termini logistici che esso può contribuire a sviluppare. Al riguardo va sottolineato che l’Italia totalizza un traffico di 10 milioni di container l’anno (meno del traffico del solo porto di Rotterdam). Il nostro gap con i porti del nord Europa (e non solo) non deriva solo dalle quantità lavorate ma anche dalla qualità dei processi industriali e logistici. La ri essione da fare riguarda il fatto che il nostro Paese non sottopone una larga parte del contenuto dei container a processi di lavorazione logistica. Il contenitore viene solo trasbordato da una nave all’altra: il 37% del nostro traffico è solo movimentato e non lavorato. Si pensi che un container lavorato genera 2.300 euro di valore aggiunto (Stime:

Ministero Infrastrutture) mentre il solo trasbordato ne genera 300: vale a dire che, se riuscissimo a lavorare anche quel 37%, porteremmo ulteriori 8,5 miliardi all’anno nella nostra economia. L’effetto delle ZES-Zone Economiche Speciali - L’impatto delle Zone Economiche Speciali in un Paese può essere misurato da vari indicatori. Sicuramente il principale è quello relativo alle esportazioni, poiché Le ZES sono strumenti di sviluppo concepiti principalmente per attrarre in una determinata area investimenti di imprese export-oriented. Da elaborazioni di SRM (su dati World Bank) effettuate su un panel di ZES è emerso che, una volta a regime (cioè in un arco temporale tra i 7 ed i 10 anni), in media queste aree possono arrivare ad incrementare le esportazioni di un Paese no ad un +40% complessivo. Se applicassimo questa performance di crescita agli attuali volumi di export del nostro Mezzogiorno (le Zes si possono costituire infatti solo nel Sud, e ne sono previste 8), nell’arco di un decennio si potrebbe attivare un volume di export aggiuntivo pari a circa 18 miliardi di euro. Un altro indicatore rilevante dove le ZES hanno impatto è il traffico container. Un’analisi di SRM ha mostrato come, su un panel di porti del Mediterraneo dotati di Zone Economiche Speciali, tale traffico abbia avuto incrementi medi annui, negli ultimi 10 anni, dell’8,4% (si pensi che in Italia la crescita è stata nello stesso periodo pari a poco più dell’1%). Anche in questo caso, se applicassimo questa percentuale di incremento ai porti meridionali, che movimentano il 40% del traffico container italiano pari a 4 milioni di TEU, in 10 anni potremmo aumentare il volume no a 7,4 milioni di TEU. A questo incremento di traffico si assommerebbero anche i conseguenti impatti positivi relativi alla lavorazione logistica a valore aggiunto.

Caso Studio: Tanger MED Il porto di Tanger Med è tra i maggiori hub del Mediterraneo per movimentazione container e mezzi navali transitati ed è dotato, nella zona retropor5 - Il retroporto di Santo Stefano Magra (SP).

6 - A parg. 82, in alto: Prospettiva dalla cabina di un operatore STS (Ship-to-shore crane) durante le operazioni di trasferimento dei container dalla nave alla banchina. 7 - A pag. 82, al centro: operatore di piazzale (checker) supervisione l’operazione di carico (o scarico) di un contenitore, lungo la banchina. 8 - A pag. 82, in basso: Operatori a bordo nave supervisionano le operazioni di rizzaggio contenitori a bordo nave.

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tuale, di una Free Zone strutturata. Situato a circa 40 km dalla città di Tangeri, è il più grande porto del Marocco e punto d’incontro navale tra il mare Nostrum e l’Atlantico, gode di una posizione geogra ca di rilievo sullo stretto di Gibilterra e la ca84

ratterizzazione tipica del porto è che la nave, per transitare nello scalo, non ha bisogno di complesse manovre di attracco ma solo di rallentamenti per l’accosto in banchina: ciò velocizza notevolmente le procedure di imbarco e sbarco. Nonostante sia uno scalo “giovane” (il primo terminal è stato inaugurato nel 2007 e il secondo nel 2008), è in breve tempo diventato un modello internazionale di governance da imitare e un riferimento per il trasporto via nave di merci. Dal 2007 (data in cui è quasi completamente partita l’operatività del terminal) al 2017 ha aumentato la movimentazione di container di 20 volte, arrivando a oltre 3,3 milioni di TEU. Nel 2017 il traffico contenitori ha registrato una crescita dell’12% sul 2016. Di rilievo è anche la crescita che il Marocco ha effettuato, grazie alla crescita del porto, nel ranking del Liner Shipping Connectivity Index dell’UNCTAD. Il Paese è passato dal 77° posto del 2004 al 16° del 2017, scalando oltre 60 posizioni: tra le maggiori performance mondiali. La maggiore escalation si è avuta proprio dal 2007 al 2008, dove il valore dell’indicatore è salito di 20 punti. L’ascesa del porto è dovuta, oltre che ad una spinta strategica del Governo in termini di investimenti pubblici, anche a quattro driver che lo trascinano ad avere una posizione di primo piano; si enfatizza questo passaggio in quanto Tanger Med riesce a svolgere un ruolo di protagonista pur avendo di fronte il primo (e tra i più efficienti) porto container del Mediterraneo quale è lo spagnolo Algeciras, che muove una concorrenza non di poco conto allo scalo. Il primo driver che Tanger Med ha saputo sfruttare è la location geogra ca: è situato, come accennato, allo sbocco di Gibilterra, in un’area nodale quanto Suez sulla via di passaggio tra Asia, NordEuropa, Nord e Sud America ed ha banchine facilmente raggiungibili. Il secondo è la capacità che ha avuto il porto di attrarre mega carrier e terminalisti di primo livello come Eurogate, che gestisce il terminal 2, e APM (del Gruppo danese Maersk, primo vettore al mondo per volumi di container trasportati), che gestisce il terminal 1. I terminal 3 e 4, assegnati a Marsa Maroc e APM, in fase di allestimento, consentiranno di aumentare la capacità del porto ad 8,2 milioni di TEU. Il terzo driver è la capacità di svolgere il ruolo di Multipurpose, e quindi di accogliere ogni tipologia di nave, dal container, al Ro-Ro, alle rinfuse: questo rende il porto molto essibile ai mutati scenari del mercato, che oscillano in funzione dei noli e del prezzo delle rinfuse liquide (petrolio greggio e raffinato). Tanger Med è connesso, con 55 servizi regolari, a 150 porti mondiali di 66 Paesi. Veniamo al quarto driver, che è il cuore pulsante del Porto: la dotazione di una Free Zone strutturata che ha saputo infondere una grande accelerazione alla crescita dello scalo: l’area logistico-portuale e l’area “Franca” ospitano complessivamente circa 600 imprese di tutti i settori produttivi, che realizzano un totale export di oltre 4 miliardi di euro. Essa è impropriamente de nita Free Zone, in quanto si tratta in realtà di sei zone, ognuna con una vocazione diversa e concepite sempre per avere una perfetta integrazione con lo scalo. La zona è costruita, infatti, per dare piena importanza al porto, così come nella logica del legislatore italiano: un’area che traina la crescita di tutto il territorio. Le sei zone che compongono il complesso sono: - Renault Tanger Med: è l’area dove è ubicato lo stabilimento della Renault dal febbraio 2012;


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la fabbrica produce modelli di Dacia venduti in Marocco o esportati principalmente in Europa, Africa e nell’area Mena; Tanger Automotive City (TAC): è la parte della Zona dedicata al settore automotive che ruota intorno all’investimento effettuato dalla Renault-Nissan; Tanger Free Zone: si tratta di un’area dove sono ubicate in prevalenza imprese che si occupano dei settori agroalimentare e tessile e che possono bene ciare di ampie agevolazioni sia in punto amministrativo, sia scale; Tetouan Park: è un Parco Industriale e Logistico che si pone l’ambizione di fornire servizi logistici e distributivi a valore aggiunto, cioè con annesse lavorazioni industriali per le imprese della Free Zone; Tetouan Shore: area dedicata ai servizi di business (banche e assicurazioni) ed ai servizi in outsourcing (esempio: call center o gestione piattaforme tecnologiche); Commercial Free Zone: più conosciuta come Commercial Zone of Findeq è un’area destinata allo sviluppo del commercio all’ingrosso ed al dettaglio dei prodotti delle imprese dell’area interessata dalla Free Zone.

Come si è avuto modo di comprendere dalla sintetica descrizione delle attività presenti nell’area, la Zona è un progetto complesso in cui vanno previste una serie di attività non solo industriali ma anche di servizi e di commercializzazione, sempre e tutte rivolte allo sviluppo delle imprese e del porto. Il tutto contornato da una serie di agevolazioni nanziarie che vanno ad aggiungersi alle semplicazioni amministrative, che vengono concesse e che possono essere riassunte in questo modo: - esenzione dalle imposte di registro e di bollo; - esenzione dell’imposta sui brevetti e dalla tassa urbana per 15 anni; - esenzione dell’imposta sul reddito delle società per 5 anni e, dopo, aliquota ridotta all’8,75% no al 20° anno; - esenzione scale sui prodotti azionari, azioni e proventi assimilati e sul rimpatrio di capitali; - le merci che entrano nella zona sono esenti da IVA; - per alcuni settori, lo Stato, attraverso il Fondo Hassan II, può concedere aiuti nanziari per l’acquisto di terreni e/o la costruzione di unità produttive; - il trattamento previdenziale per assunzioni e contratti di dipendenti permette un abbattimento del costo del lavoro. In conclusione, il successo del porto marocchino deriva da una serie di fattori combinati tra loro. Tra questi, gli elementi chiave di maggior rilievo riguardano le favorevoli condizioni di sviluppo e le grosse opportunità economiche che il porto è stato ed è in grado di offrire agli investitori esteri logistici e manifatturieri. Tanger Med prevede, infatti, numerose facilitazioni burocratiche agli scambi commerciali, che gli permettono di superare la concorrenza degli altri porti del Mediterraneo ed essere preferito da aziende e compagnie di navigazione, nell’individuazione delle rotte più pro ttevoli e in fase decisionale per stabilire dove situare le attività produttive. Le imprese internazionali sono fortemente spinte a delocalizzare la produzione a Tangeri grazie alle condizioni convenienti che il governo offre agli investitori stranieri. La posizione geostrategica nel Mediterraneo, come più volte sottolineato,

permette a Tanger Med di con gurarsi come un ponte tra Europa e Africa ed offrire l’accesso ad un mercato di oltre 600 milioni di persone, nonché fornire un collegamento altamente efficiente da e per l’entroterra del Marocco. © Riproduzione riservata

9 - Ormeggiatore lungo la banchina – La Spezia Container Terminal. 10 - Veduta aerea del waterfront, del piazzale e dei moli Fornelli (a sinistra) e Garibaldi (destra) - La Spezia Container Terminal.

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Confronto nel trasporto merci intercontinentale tra i porti del Nord Italia e quelli del nord Europa in termini economici e ambientali di Agostino Cappelli

I volumi delle spedizioni mondiali di container evidenziano come le relazioni commerciali europee con i mercati asiatici siano ancora oggi molto superiori rispetto a quelle transatlantiche anche se le relazioni economiche mondiali sono in continua evoluzione e in particolare quelle tra USA e Cina sulla rotta del Paci co. Per le destinazioni europee l’utilizzo prevalente dei porti atlantici per tutte le destinazioni europee, dovuto alla maggiore efficienza logistica, comporta diseconomie legate al transit time, ai consumi energetici e alle emissioni carboniche. La ricerca, avviata nell’ambito del progetto europeo SONORA nel 2009 (Fornasiero, Libardo 2010/2011, Cappelli et al, Porti e Navigazione, Roma 2016) è stata aggiornata all’anno 2015-2016 in base all’evoluzione della otta e alle più recenti ricerche internazionali. Le variabili ambientali (consumi ed emissioni) determinate consentono di individuare i mercati di alcuni dei principali sistemi portuali europei raggiungibili alle migliori prestazioni offerte dalla rete intermodale. I risultati sono sintetizzati grazie alla individuazione, sul continente europeo, di curve isoergon ed isocarbon per l’intermodalità marittimo-ferroviaria a partire dal gate con l’Asia presso Port Said al ne di de nire quali siano i percorsi multimodali più efficienti in relazione alle destinazioni nali1.

Economia dei ussi mondiali di contenitori L’andamento dello shipping è da sempre fortemente correlato con l’andamento economico mondiale (Cappelli, Libardo 2011). Nonostante la crisi economico- nanziaria internazionale e le incertezze nell’andamento di alcuni paesi, quali la Cina, abbiano indotto una minor crescita degli scambi internazionali, il settore del trasporto container ha mantenuto un tasso di crescita più elevato rispetto agli altri settori. Tra le principali rotte commerciali la rotta Far EastMediterraneo/Nord Europa mantiene il primato rispetto alle altre, ma sta vivendo un momento di 1 La ricerca è stata realizzata nell’ambito del progetto europeo di cooperazione transnazionale “SoNorA – South North Axis”, nalizzato allo sviluppo di una efficiente rete multimodale di connessione tra il mare Adriatico e il mar Baltico. Il lavoro è stato svolto su incarico dell’Autorità Portuale di Venezia, con il coordinamento del Cap. Antonio Revedin. Le analisi e le elaborazioni sono state svolte dall’ing. Alessandra Libardo per conto di IUAV e quindi aggiornate all’anno 2016. Le analisi fanno riferimento a tale data ma le conclusioni cui si arriva sono ancora del tutto attuali.

A comparative economic and environmental study of the transportation of intercontinental cargo between the ports of Northern Italy and those of Northern Europe by Agostino Cappelli The volume of the world’s container shipments highlights how European trade relations with Asian markets are still much higher today than those with transatlantic markets, although global economic relations are evolving, and in particular those between the USA and China along the Paci c route. The prevalent use of Atlantic ports for all European destinations, for reasons of increased logistical efficiency, leads to diseconomies related to transit time, energy consumption and carbon emissions. This research study, launched as part of the European SONORA project in 2009 (Fornasiero, Libardo 2010/2011), has been updated to the year 2015 based on the evolution of the eet and the most recent international research. The environmental variables (fuel consumption and emissions) may de ne markets of part of the main European port system, accessible to the improved performance offered by intermodal networks. The results are summarized by simulating the isoergon & isocarbon curves on the maritime and integrated railway network on the European continent. The Suez Canal (with the Port Said node) has been selected as the origin of the ows from the Far East to identify the most efficient multimodal paths to reach their nal destinations.

Nella pagina a anco, in alto: terminal Ro-Ro nel porto di Venezia (fonte: RoPortMos, Società di gestione del porto Ro-Ro di Fusina, porto di Venezia). In basso: Porto Marghera (fonte: ARPA Veneto).

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1 - La dimensione media delle navi che arrivano dal Far East. Fonte: nostre elaborazioni su dati ITF, 2015.

sofferenza dovuto allo squilibrio tra domanda ed offerta. Gli ultimi anni hanno visto, infatti, l’introduzione di navi container di ultima generazione, che solo alcuni porti sono in grado di ricevere e che hanno indotto l’effetto “cascade” sulle rotte che interessano gli altri porti (Far East–Mediterraneo o Far East-Adriatico), provocando un generale incremento delle dimensioni della nave media che tocca i diversi porti ( g. 1). Lo sviluppo dimensionale dei vettori marittimi legato all’intento di contenere i costi unitari del trasporto ma anche alla gestione nanziaria delle grandi compagnie di navigazione, ha, da sempre, in uenzato la scelta dei porti di scalo da parte delle compagnie di navigazione. La capacità sica (fondali e banchine) di accettazione dei natanti, l’equipment portuale e le connessioni terrestri hanno determinato la preferenza delle compagnie per i porti del Northern Range sebbene questa scelta comporti, in molti casi, maggiori tempi di navigazione, consumi ed emissioni (nonostante le navi di ultima generazione abbiano migliori performance ambientali, (Maersk 2015). Tuttavia, nella UE i sistemi portuali non dovrebbero più essere in competizione tra loro, ma utilizzati per incentivare economie e libero scambio al minimo costo collettivo, ottenibile riducendo al minimo gli impatti. È importante pertanto de nire i mercati di convenienza per ciascun sistema portuale, identi candoli in base all’efficienza trasportistica (transit time e consumi) e/o la sostenibilità energetica e ambientale (consumi ed emissioni), (Fornasiero, Libardo 2009).

La metodologia di analisi utilizzata La determinazione delle aree a pari consumo energetico (isoergon) e pari emissione (isocarbon) è stata possibile a partire dai dati relativi ai mezzi di trasporto maggiormente utilizzati ed allo stato della rete (percorsi ferroviari atti al trasporto contenitori marittimi), reperibili presso speci che fonti (UIRR, 2010, IFEU, Extern-E). Le elaborazioni hanno tenuto conto: - delle caratteristiche delle navi utilizzate, classi cate in funzione della portata in numero di 88

TEU, che presentano diversi valori di velocità massime, consumi ed emissioni; - della tipologia di treni che effettuano servizio merci, delle loro prestazioni in termini di velocità commerciale, consumi e capacità di carico (il treno internazionale container tipo2 de nito a livello europeo, UIC 2009 e IFEU, ha un peso lordo medio pari a 1000 t e una lunghezza di 750 m); - dei vincoli imposti dagli standard ferroviari di circolazione per i treni merci (tracciati e scali) in termini di velocità massime consentite, dimensione delle gallerie (gabarit), lunghezza massima dei treni. Conseguentemente è stato possibile de nire: - per il trasporto marittimo, le categorie di vettori tipologici sulla base della “nave media” (ITF, 2015) che tocca i diversi porti: 7.500 TEU a servizio delle destinazioni dell’arco Nord Adriatico, 10.000 TEU per l’arco tirrenico, 9.900 per l’arco mediterraneo spagnolo, 11,700 TEU per l’arco atlantico francese e navi da 12,400 TEU e superiori per le destinazioni atlantiche; - la rete di trasporto: identi cata da archi e nodi sia marittimi (per ogni arco è stato scelto un porto di riferimento) in base alle caratteristiche ed alle funzioni svolte lato mare e lato terra. Tutti gli archi marittimi hanno come origine Port Said e rappresentano collegamenti diretti, mentre gli archi ferroviari rappresentano la schematizzazione della rete europea merci elettri cata3 ( g. 2) e possono collegare nodi portuali e ferroviari o nodi ferroviari tra loro.

Calcolo delle aree di pari tempo di accessibilità (Isocrone) Le elaborazioni effettuate per la costruzione delle curve isocrone hanno tenuto conto delle velocità commerciali medie relative ai diversi vettori, calcolate sulla base delle migliori prestazioni attualmente misurate. I tempi di navigazione necessari a raggiungere i singoli porti europei sono stati calcolati come servizi diretti dallo Stretto di Suez, sulla base delle distanze marittime4, assumendo condizioni medie di navigazione ed in considerazione della dimensione della nave e dell’applicazione dello slow steaming (ITF, 2015). I tempi di percorrenza ferroviari sono stati elaborati (Fornasiero, Libardo, 2009, 2011) sulla base delle caratteristiche infrastrutturali delle linee. La combinazione dei tempi di navigazione con i tempi di percorrenza ferroviari, calcolati sui diversi percorsi, ha consentito di identi care isocrone differenti per le relazioni commerciali che transitano attraverso i diversi porti. Il confronto e la sovrapposizione delle isocrone così elaborate ha consentito inoltre di identi care le aree di concorrenza e le aree di indifferenza tra i diversi sistemi portuali. Le prime corrispondono ad aree raggiungibili convenientemente solo me2 Typical train con gurations come from transport statistics of major railway companies /DB Schenker 2012, SNCF 2012/. In ETW average values for these train types are used. They mainly re ect the European situation. EcoTransIT_World_Methodology_Report_2014-12-04 3 La scelta di investigare le prestazioni della sola rete ferroviaria elettri cata deriva dalla volontà di perseguire un’ottimizzazione nell’uso di sistemi ambientalmente sostenibili. 4 Fonte: Autorità Portuale di Venezia, 2009


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diante l’utilizzo di uno speci co porto; le seconde corrispondono ad aree che presentano uguali valori di transit time per percorsi intermodali che transitano su due o più porti. Tali elaborazioni, che qui non si riportano per economia di spazio, sono state da guida per le successive valutazioni in termini di confronto tra le emissioni e la costruzione delle relative curve di iso-carbon.

struzione delle curve dei consumi (isoergon) per ogni alternativa portuale europea utilizzata. Anche in questo caso economia di spazio ha imposto di tralasciarne la rappresentazione.

Calcolo delle curve di pari consumo energetico (Isoergon)

Le emissioni generate dai diversi modi in fase di esercizio sono proporzionali al consumo energetico e quindi alle percorrenze effettuate (km). Tuttavia in considerazione del fatto che le navi portacontainer di ultima generazione, che raggiungono oggi prevalentemente i porti nord atlantici, hanno anche prestazioni migliori in termini di emissioni, il calcolo della Co2 emessa nel settore marittimo è stato condotto sulla base dell’ultimo report CCWG 2015 Collaborative progress Report. Lo studio analizza gli impatti ambientali provocati dal trasporto marittimo sulla base di un benchmark delle navi in circolazione sulle diverse rotte commerciali. In particolare il report riporta i valori di emissione per containerkm sulle diverse rotte calcolato sulla otta circolante negli anni 2012, 2013 e 2014. I valori utilizzati nel presente studio sono quelli relativi alla otta 2014 (determinati su un insieme di circa 3.000 navi) applicando i dati delle emissioni della rotta Asia-Mediterraneo (45 g di Co2/Teu-km) per i porti degli archi Nord Adriatico e Tirrenico e quelli della rotta Asia Nord Europa per Le Havre e l’arco Nord Atlantico. I valori di emissione del settore marittimo sono stati calcolati a partire dal gate Port Said in linea con le indicazioni della normativa europea (Regulation

Il calcolo dei consumi del trasporto marittimo è stato condotto applicando la metodologia dell’European Environment Agency “Emission Inventory Guidebook” (EMEP/EEA,2013) applicata alle navi porta container; tale procedura consente di de nire le tonnellate di combustibile/giorno consumate in relazione di: stazza delle navi, potenza media dei motori principali e ausiliari e fattori di consumo del carburante connessi alla tipologia dei motori installati. Le tonnellate complessive di carburante consumato sono state quindi calcolate sulla percorrenza Suez-porto di destinazione nale. I consumi del sistema ferroviario dipendono da numerosi fattori (Cappelli, Libardo, Fornasiero 2011): tipo di trazione, caratteristiche della linea ed in particolare lunghezza e peso del treno. Assunta la de nizione IFEU del treno tipo, si è accettato il valore medio dei consumi pari a 16,8 Wh/ gross tkm (IFEU, 2014). La determinazione dei consumi complessivi per ogni percorso intermodale ha consentito la co-

2 - Porti di riferimento dei diversi sistemi portuali analizzati e grafo ferroviario di riferimento (rete elettri cata).

Calcolo delle curve di pari emissioni (Isocarbon)

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3 e 4 - Isocarbon dei percorsi plurimodali con origine in Port Said transitanti per i principali porti europei: (a) emissioni di CO2 via Venezia; b) emissioni di CO2 via Genova).

2015/757) che richiede il calcolo delle emissioni tra porti della UE e i più vicini terminali di origine. Le emissioni prodotte dal settore ferroviario sono quelle relative alla produzione di energia elettrica, quindi dipendenti dall’efficienza energetica delle centrali di produzione. Tali valori sono stati determinati in maniera proporzionale al consumo energetico e quindi alle percorrenze chilometriche effettuate (IFEU 2008 e 2014).

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Di conseguenza è stato possibile costruire le “curve isocarbon”, riportate nel seguito per alcuni esempi signi cativi5 ( gg. 3, 4 e 5). La sovrapposizione delle “curve isocarbon” ha permesso di de nire alcune “aree di indifferenza” 5 Nella ricerca sono state simulate tutte le destinazioni e tutti i possibili percorsi integrati; nella presente memoria, per economia di esposizione, si riportano solo le sintesi gra che.


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5 - Isocarbon dei percorsi plurimodali con origine in Port Said transitanti per i principali porti europei: (e) emissioni CO2 via Antwerp).

ovvero quelle aree in cui le emissioni di CO2 risultano equivalenti qualora vengano raggiunte con percorsi plurimodali da Port Said che utilizzano porti differenti per raggiungere l’inland europeo ( gg. 6 e 7). Il confronto a coppie tra transiti in porti differenti, restituisce le “aree di indifferenza”, ovvero le aree (indicate a colori, in base al livello di emissioni generate) raggiungibili dai due porti oggetto di confronto producendo la stessa quantità di emissioni di Co2 kg/TEU. Nelle mappe, la restante parte del territorio europeo, servito dalla rete ferroviaria ma non contraddistinto da uno speci co colore, può essere raggiunto in modo “più sostenibile” da uno dei due porti messi a confronto. Per le percorrenze via Venezia/via Genova esistono numerose aree di sovrapposizione; bisogna sottolineare che entrambi gli scali consentono di raggiungere le destinazioni atlantiche a valori di emissione notevolmente inferiori rispetto all’alternativa via Antwerp (risparmiando più di 50 kg di Co2/TEU); la fascia di indifferenza isocarbon 121-130 kgCo2/TEU è collocata tra il nord ovest dell’Italia e il sud della Svizzera; la fascia di pari emissioni no a 140 kgCo2/TEU è situata nel centro sud della Francia, mentre quella con emissioni 141-150 kgCo2/TEU comprende un’ampia area che dall’estremo nord est della Spagna, passa per il centro-sud della Francia no al con ne a nord est con il Belgio; la successiva, relativa ad emissioni no a 160 kgCo2/TEU, include una fascia ad est della Spagna compresa tra Zaragoza e Valencia, l’estremo sud ovest della Francia, una parte del nord ovest della Francia e la parte nord del Belgio al con ne con i Paesi Bassi. Per i percorsi via Genova/via Valencia (Fig. 6), esistono alcune aree di indifferenza; una di queste è nel primo entroterra di Valencia per emissioni di 141-150 kgCo2/TEU e una seconda fascia compre-

sa tra Zaragoza, Andorra a Bilbao per valori di 151160 kgCo2/TEU. Via Valencia/via Le Havre ( g. 7), esiste un’ampia fascia di indifferenza che comprende tutto il nord della Francia e parte dei Paesi Bassi; va evidenziato che quest’area, relativa ad emissioni di 181-230 kgCo2/TEU, è comunque raggiungibile dai porti di Genova e Venezia a valori di emissione notevolmente inferiori comprese tra i 140 e i 160 kgCo2/ TEU. Via Le Havre/via Antwerp ( g. 8), i livelli di emissioni (di percorsi plurimodali provenienti da Port Said) per raggiungere qualunque destinazione europea sono notevolmente superiori a quelli di percorsi che utilizzano come scalo i porti nord mediterranei.

Analisi comparativa tra le aree di in uenza più sostenibili La supremazia distributiva dei porti del nord Europa deriva da alcune condizioni storiche che hanno determinato un rilevante potenziamento delle attrezzature portuali e delle reti terrestri di distribuzione ai mercati nali (Fornasiero, Libardo 2009). I risultati ottenuti confermano lo squilibrio dell’uso dei diversi modi di trasporto, evidenziando l’opportunità di una più sostenibile distribuzione dei ussi tra i porti dell’Unione Europea. Il primo risultato ottenuto è ovvio anche se in contrasto con le scelte economiche delle compagnie di navigazione e dei grandi spedizionieri internazionali. Risulta evidente, infatti, che, per i ussi merci che transitano per il Canale di Suez, le sole maggiori percorrenze di trasporto marittimo necessarie a raggiungere i porti del nord Europa li rendono non competitivi in termini di tempi di percorrenza, di consumi energetici e quindi di emissioni di CO2. 91


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6 e 7 - Evidenziate le aree di indifferenza per percorsi plurimodali provenienti da Port Said: (a) confronto dei percorsi via Venezia e via Genova; b) confronto dei percorsi via Genova e via Valencia).

Per ogni sistema portuale è stato possibile individuare le aree di indifferenza e le aree di in uenza “più sostenibili”, riportate schematicamente in Fig. 9.

La prima area di indifferenza corrisponde ad un asse ( g. 9) che dall’Italia del nord arriva all’estremo nord ovest della Francia, quasi ai con ni con il Belgio, attraversando in parte la Svizzera, per spedizioni provenienti via Venezia o via Genova. La seconda ( g. 9) attraversa longitudinalmente il nord della Spagna, quasi al con ne franco spagnolo, de nendo le zone raggiungibili a pari emissioni via Genova o via Valencia. Il territorio a est, rispetto all’area d’indifferenza indicata, rappresenta l’area d’in uenza del porto 92

di Venezia, in altre parole l’area raggiungibile dal porto di Venezia (mare + ferrovia) con il più basso livello di emissioni rispetto a quelle prodotte dagli altri porti oggetto di studio per raggiungere le medesime destinazioni. Tale area comprende Austria, Germania, Belgio, Paesi Bassi e i paesi dell’est Europa. La zona compresa tra le due aree di indifferenza indica l’area di in uenza del porto di Genova, la quale si estende dal nord-ovest dell’Italia, passando per il sud della Francia, no all’estremo nord est della Spagna. L’area a sud della fascia d’indifferenza rappresenta l’area di in uenza del porto di Valencia e comprende tutto il centro sud della Spagna ed il Portogallo.


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7 e 8 - Evidenziate le aree di indifferenza per percorsi plurimodali provenienti da Port Said: (c) confronto dei percorsi via Valencia e via Le Havre; d) confronto dei percorsi via Le Havre e via Antwerp).

Interpretazione dei risultati e considerazioni nali Le simulazioni sono state eseguite assumendo servizi diretti tra il Far East e l’Europa, pertanto la scelta di aver assunto Suez come nodo d’ingresso da cui computare le differenze di percorso, tempi ed emissioni non in cia il risultato nale. Infatti, la tratta tra Far East e Mediterraneo diviene sostanzialmente indifferente, se si assume, in termini di valutazione di scenario, un’equivalenza di efficienza e caratteristiche delle navi portacontainers sulle lunghe percorrenze, come il sistema economico competitivo richiede.

Evidentemente i risultati sarebbero diversi se si assumesse che le navi per i porti del nord Europa siano quelle più efficienti e viceversa le più obsolete quelle che servono e serviranno i porti mediterranei. Questione ovviamente scarsamente credibile in un mercato competitivo in continua evoluzione. In ogni caso la ricerca ha assunto una tipologia di navi caratteristiche per ciascun sistema portuale e quindi alcune differenze, anche in termini di emissioni per TEU, sono implicite nel tipo di otta considerata. © Riproduzione riservata

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9 -Aree di in uenza “più sostenibili” e “aree di indifferenza” per percorsi plurimodali via Venezia, via Genova e via Valencia, provenienti da Port Said.

10 - Porto container di Rotterdam (fonte: Google Earth).

Bibliogra a ARPAV - Agenzia Regionale per la Prevenzione e Protezione Ambientale del Veneto, Le emissioni da attività portuale, Venezia (2007). Cappelli A., Libardo A., Fornasiero E. (2011), “L’impatto del trasporto intercontinentale di merci: modelli per la misura degli effetti delle scelte”, Primo Piano sul Porto di Venezia 21/2011, pp.7-9.

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Cappelli A., Libardo A., Sardena A.,(2016) “Modelli di analisi delle emissioni e del bacino economico e ambientale dei porti del nord Italia nel trasporto intercontinentale di merci” - 3° Convegno nazionale Porti e navigazione: Mediterraneo e sistemi di trasporto Porti e rotte per il trasporto merci e passeggeri, integrazione economico-sociale con i paesi della sponda sud, Roma, 4 ottobre 2016 (Aracne) Confetra - Nota congiunturale sul trasporto merci Anno XII- n° 2 Luglio (2009). Containerisation International, www.ci-online.co.uk (2010).


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Delibera EEN 3/08, GU n. 100 del 29.4.08 - SO n.107 Drewry Maritime Advisors (2015) Trends in ports and shipping market –prospects for the coming years

UIC –International Union of Railways, EU Transport greenhouse gases (GHG): Routes to 2050. A Railway Perspective, Brussel, January 2010.

11 - Porto Container di Amburgo (fonte: Google Earth).

UIC 2009 UIC Energy and CO2 Database, Paris, 2009 EEA-European Environment Agency, Transport at a crossroads. TERM 2008: indicators tracking transport and environment in the European Union, Copenhagen (2009). EMEP/EEA, 2013 Emission Inventory Guidebook Fornasiero E. Libardo A., Intercontinental freight transport impacts: modeling and measuring choice effects, memoria presentata al convegno Air Pollution tenutosi a Kos nel giugno 2010.

UIRR - International Union of Combined Road-Rail Transport companies, www.uirr.com, (2010). UNCTAD - United Nations Conference On Trade And Development, Review Of Maritime Transport, United Nations, New York and Geneva (2009).

Fornasiero E., Libardo A. (2011), “Economia di mercato e sostenibilità: un ruolo dei porti italiani”, Ingegneria Ferroviaria 5/2011, pp 449-470. Fornasiero E., Libardo A., “L’intermodalità marittima e ferroviaria: efficienza trasportistica e scelte di mercato”, Economia dei servizi, Anno IV, numero 3, settembre-dicembre, pp. 413436 (2009). IFEU -Institut für Energieund Umweltforschung Heidelberg GmbH, EcoTransIT: Ecological Transport Information Tool, Heidelberg (2008). IFEU, INFRAS, IVE 2014 EcoTransIT World: Methodology and Data – Update 4th December 2014 International Monetary Fund, World Economic Outlook, Crisis and Recovery, April, ISBN 978-1-58906-806-3, (2009). ITF/OECD, 2015 The impact of megaships MAERSK: 2015/757

http://www.maersk.com/en/hardware/triple-e/

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Ri essioni sulla congiuntura della portualità italiana di Andrea Appetecchia

Porti italiani chiusi. Nella prima parte dell’anno che sta per concludersi gli organi di informazione con una frase sintetica – ma senza dubbio efficace - hanno richiamato l’attenzione dell’opinione pubblica nazionale ed internazionale: si tratta di un allarme rimbalzato per tutto il mondo, a proposito delle iniziative intraprese dal precedente Governo nazionale per contenere la temuta invasione dei migranti. Meno clamore, ovviamente, ha suscitato l’analisi dei dati di traffico commerciale (container, rotabili, rinfuse liquide e solide) dei porti italiani - di beni dunque e non di essere umani -, non solo degli ultimi mesi, ma per lo meno dell’ultimo decennio, dalla quale emerge un andamento della portualità nazionale piuttosto acco e non certo per l’intralcio dovuto all’arrivo dei migranti. I porti del nostro Paese se, da una parte, sono recentemente divenuti “indisponibili” per quanti dalle coste meridionali del Mediterraneo cercano maggiori fortune in Europa, dall’altra, ma questo ahimè da molto più tempo, sono anche poco interessati dal crescente traffico commerciale che attraversa il Mediterraneo. Si tratta di un fenomeno tutto italiano (il resto dei porti del Mediterraneo sembrano invece appro ttarne) che non dipende dall’efficienza dei porti, o da provvedimenti legislativi restrittivi, ma da un sistema complessivo di offerta trasportistica scarsamente competitivo.

Il nuovo impulso del commercio internazionale Gli scambi di merce a livello internazionale hanno subito un brusco rallentamento a partire dal 2009, scontando gli effetti della crisi nanziaria globale, dopo un lungo periodo di crescita costante che dalla ne del secolo scorso aveva caratterizzato l’andamento dei commerci internazionali. Alcuni osservatori avevano pronosticato che tale crescita - sia in termini di valore, che di volumi delle merci scambiate - non avrebbe più ripreso (al termine della congiuntura negativa internazionale) i ritmi di crescita pre-crisi anche in ragione della necessità di contenere il consumo energetico necessario per alimentare tali ritmi ed i conseguenti impatti ambientali. A partire dal 2016, il differenziale tra crescita del Commercio internazionale e del PIL mondiale è tornato ad aumentare, sia in termini di volumi, sia di valori. Emerge chiaramente dal confronto dell’evoluzione dei due insiemi (PIL e Scambi commerciali) l’andamento proporzionale, con gli scambi internazionali che sostanzialmente ampli cano gli

Considerations on the conjuncture of Italian ports by Andrea Appetecchia The Italian port system over the past few years has failed to take advantage of the extraordinary growth in international and Mediterranean basin seaborne traffic. The following article analyzes the reasons for this shortfall which, in a nutshell, are linked to the gap of the infrastructural network (accessibility) on the one hand, and on the other, to the delay in technological innovation and organization in transport & logistics companies, and nally to the poor professional quali cations of transport & logistics workers and the inferior quality of working conditions. The keys to overcoming this delay are: increasing the efficiency of the public administration; promoting organizational and technological innovation in transport and logistics companies; upgrading workers’ skills and knowledge.

Nella pagina a anco, in alto: Porto di Ancona (fonte: Autorità di Sistema Portuale del Mar Adriatico Centrale); in basso: porto di Bar, Montenegro (fonte: Autorità portuale di Bar).

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1 - Tabella 1: evoluzione del PIL mondiale e commercio mondiale. Fonte: Elaborazione ISFORT su dati World Bank e SRM, 2019.

2 - Tabella 2: ripartizione traffico marittimo mondiale (1995-2017). Fonte: SRM, 2019.

3 - Tabella 3: stime di crescita degli scambi internazionali (2018-2023). Fonte: Elaborazioni su dati IHS Global Insight, 2019.

andamenti del PIL. Tra il 2014 ed il 2016 si è assistito ad una consistente frenata degli scambi, cui ha corrisposto una modesta riduzione della crescita PIL (Tab. 1). Tra la ne dello scorso millennio e l’inizio del nuovo millennio il volume delle merci trasportate via mare sono più che raddoppiate passando da 4,7 Mld di tonnellate (1995) alle attuali 10,7 (2017). Si tratta di un mutamento ben più ampio e che non si limita ad aumento indiscriminato, ma si sostanzia anche in una redistribuzione dei volumi trasportati tra i vari segmenti di traffico, nonché tra gli ambiti territoriali di origine e di destinazione degli scambi. In particolare le rinfuse liquide salgono (+53%), mentre accelerano le rinfuse solide (+156%) ed “esplode” il traffico contenitori che è quasi quadruplicato nel periodo considerato (+394%). La diversa intensità di crescita delle varie componenti del traffico ridisegna anche le specializzazioni 98

dell’armamento e delle infrastrutture portuali, che – come indicano le più accreditate società di previsione – si sono attrezzati - e continueranno ancora a farlo per i prossimi anni - per accogliere le nuove con gurazioni del traffico con importanti ricadute commerciali, economiche ed occupazionali sulle sedi portuali e sui territori che le ospitano. Tali investimenti riguardano in particolare il traffico container (il cui peso percentuale è più che raddoppiato nel periodo osservato, passando dall’8 al 17%) ed alle rinfuse (cresciuto del 6% nel medesimo arco di tempo), ponendo meno attenzione al trasporto delle rinfuse liquide (che invece ha ridotto il proprio peso percentuale sul totale dei traffici del 15%) (Tab. 2). Si rileva inoltre una maggiore crescita dei cosiddetti Paesi emergenti, ed un innalzamento dei transiti lungo il Mar Mediterraneo grazie al rinnovato slancio del passaggio del canale di Suez. Lo scambio di contenitori tra le principali aree com-


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4 - Tabella 4: Attraversamento Canale di Suez. Fonte: SRM, 2019.

5 - Tabella 5: dinamiche evolutivi della portualità europea (2008-2018). Fonte: Elaborazioni ISFORT su dati SRM, 2019.

merciali del Pianeta (Americhe, Europa ed Asia), al netto dunque degli scambi interni, si è attestato nel corso del 2018 attorno ai 100 milioni di TEU (104,9), mentre nel 2023 dovrebbe attestarsi a 130 milioni di TEU. Il mercato Europeo rimane il primo, anche se perde poco più di 1 punto percentuale in termini di quota di traffico, in favore soprattutto degli scambi tra Paesi dell’Estremo oriente che guadagnano, sia in termini di valore assoluto del traffico che di peso speci co (Tab. 3). Le aree di maggiore scambio e anche di crescita più intensa sono collocate nel versante orientale del Mediterraneo (Estremo e Medio Oriente) ed in particolare in Cina, tuttavia la posizione centrale delle economie mature dell’Europa e del continente americano (in particolare degli Stati Uniti) rimane ancora solida, assorbendo più di 2/3 del traffico delle principali rotte del Pianeta.

Il “ritorno” del Mediterraneo La crescita del quadrante orientale del Pianeta, trainato per lo più dalla Cina, non è il solo fenomeno che sta collocando al centro degli scambi internazionali di merce il bacino del Mediterraneo. In primo luogo la “guerra” commerciale tra Stati Uniti e Cina sta indebolendo gli scambi lungo le linee transpaci che (Estremo Oriente-Nord America), in favore di quelli Asia-Europa. Tuttavia si tratta di un fenomeno recente che imprime ulteriore impulso ad un trend già attivo da tempo, legato ad un riequilibrio dei traffici tra Stati Uniti, Europa e Cina. In passato, infatti, il traffico era fortemente polarizzato all’interno delle linee di collegamento tra Estremo Oriente e costa occidentale degli Stati Uniti, mentre oggi i volumi generati da quelle tra Asia e Europa sono sostanzialmente equivalenti a quelle Transpaci che. Nel 1995 le rotte transpaciche valevano il 53% dei transiti globali e quelle

di Asia-Europa il 27%; oggi tale quota si è sostanzialmente riavvicinata con una ripartizione rispettivamente del 45% e del 42%. Il principale indicatore della crescita di rango del bacino del Mediterraneo all’interno degli scambi internazionali di merce è l’incremento tumultuoso dei transiti lungo il Canale di Suez. Tra il 2011 ed il 2018 non è tanto il numero di navi a crescere (circa del 2,2%), ma sono soprattutto i volumi di merce (42%) (Tab. 4).

La perdita di appeal dell’Italia Guardando all’orizzonte di medio e lungo termine, le nuove vie di collegamento e di modalità di trasporto confermano la rinnovata centralità del Mediterraneo, rispetto alla quale sarebbe lecito attendersi impatti coerenti sul sistema portuale italiano e sulla rete logistica nazionale. Il traffico portuale in ambito europeo nel corso degli ultimi dieci anni è mutato, con una contrazione di circa 7 punti percentuali del peso dei porti del cosiddetto Northern Range1, in favore degli scali collocati nella costa orientale (+6%) e nella costa occidentale (+1%) del Mar Mediterraneo. Il sistema portuale italiano si pone in netta controtendenza rispetto all’andamento generale continentale, in quanto, pur essendo collocato nel bacino i cui trend di traffico sono in crescita, nel medesimo periodo ha perso parte della propria quota (-2%) (Tab. 5). Qual è la ragione della scarsa attrattività della portualità italiana? I porti italiani rimangono sempre con livelli di traffico complessivi costanti. Vi sono importanti rimodulazioni sui segmenti di traffico (crescita del traffico container e di rotabili, stabilità delle rinfuse 1 Si tratta della costa settentrionale del continente europeo che comprende i maggiori scali dell’area dal porto di Le Havre, in Francia, no al porto di Amburgo, in Germania.

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6 - Nave Energia, armatore Grimaldi. Fonte: Con tarma.

7 - Imbarco camion su nave Ro-Ro “Suprema”, armatore Grandi Navi Veloci. Fonte :Con tarma.

solide e diminuzione di quelle liquide) (Tab. 6), ma l’incremento dei traffici orientali non sembrerebbe interessare l’offerta trasportistica italiana. Non è solo la via della seta ma una nuova geometria degli scambi commerciali che si va consolidando e che cerca soluzioni logistiche complessive. In Italia solo alcuni rari casi di eccellenza si stanno misurando con questi fenomeni, i dati complessivi del Paese sembrano invece mostrare uno scarso interesse. Tra il 2011 ed il 2018 il volume delle merci che hanno attraversato il Canale di Suez è cresciuto del 42%, mentre quello del sistema portuale italiano solo del 2% (Tab. 7). 100

Come già ricordato nei precedenti paragra buona parte del traffico aggiuntivo si è diretto verso gli scali collocati lungo le coste orientali del bacino del Mediterraneo, tuttavia, guardando all’andamento del traffico di un sistema portuale nazionale simile a quello italiano come quello spagnolo, si può notare che quest’ultimo tra il 2011 ed il 2016 è cresciuto del 12%, in coerenza con le performance del Canale di Suez (+18%), mentre quello italiano solo del 2% (Graf. 1). I porti e quanti vi lavorano non sono svogliati, ma è piuttosto la rete infrastrutturale che si trova alle loro spalle che ne limita l’operatività. Anche se è


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8 - Tabella 6: tonnellate di merci gestite dal sistema portuale italiano (20052018). Elaborazioni ISFORT su dati Assoporti, vari anni.

9 - Tabella 7: attraversamento Canale di Suez e traffico sistema portuale italiano (milioni di tonn.). Fonte: Elaborazioni ISFORT su dati SRM e Assoporti, 2019.

10 - Gra co 1: evoluzione traffico Canale Suez, Sistemi portuali italiano e spagnolo (2011-2016) (Numero indice 2011=100). Fonte: Elaborazioni ISFORT su dati SRM e Assoporti, 2019.

riduttivo attribuire tutta la responsabilità al vuoto di infrastrutture. Ogni qual volta si enunciano i problemi di mobilità delle merci e delle persone in Italia, infatti, si è soliti recitare il “mantra” del “gap infrastrutturale”, ma purtroppo non sono solo le lacune infrastrutturali, o i cosiddetti “missing link”, i freni che impediscono al Paese di cogliere le opportunità che gli “passano sotto il naso”. L’analisi della rete infrastrutturale nazionale ed il suo confronto con gli altri Paesi europei non segnalano un particolare de cit infrastrutturale. L’Italia non riesce a cogliere le opportunità non tanto - o almeno non solo – a causa della sottodotazione quantitativa delle reti, quanto piuttosto per la modesta capacità del sistema di assicurare collegamenti rapidi a territori, grandi metropoli all’interno e mercati di sbocco verso il resto d’Europa. Non mancano i programmi, né tanto meno l’ordinamento in priorità strategiche degli interventi (dal Piano nazionale dei trasporti del 2001 no al recente Connettere l’Italia del 2017 non sembra

mancare il supporto programmatico) e, nonostante le note difficoltà di bilancio e di posizione debitoria del Paese, neanche le risorse. Ogni anno nell’ultimo decennio, secondo i dati di bilancio delle amministrazioni centrali dello Stato, l’Italia ha mediamente “pagato” 30 miliardi per la costruzione di opere infrastrutturali per la mobilità, che si sono però dispersi, da una parte, in tanti micro interventi e, dall’altra, in grandi opere che hanno richiesto decenni per la loro realizzazione. Ciò che manca è la capacità di spendere le risorse appostate soprattutto per le cosiddette grandi opere (gli stessi dati di Bilancio ci segnalano che di anno in anno i residui degli anni precedenti sono più elevati delle risorse impegnate per la costruzione di nuove opere pubbliche) e, quando nalmente si avvia il processo realizzativo, la dilatazione dei tempi di conclusione dei lavori è impressionante (4,5 anni in media, che arrivano no a oltre 14 per le opere di maggior valore economico). Terminato il “calvario” della costruzione/completamento della rete infrastrutturale sarebbe lecito 101


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11 - Porto di Ancona, Autorità di Sistema Portuale del Mar Adriatico Centrale.

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chiedersi se, oltre all’effetto positivo sulla crescita del Paese determinato nella costruzione delle opere, fosse possibile riuscire a “guadagnare” qualcosa (in termini di contributo al PIL e di creazione di posti di lavoro) anche dall’utilizzazione di tali opere, grazie alle attività economiche della branca dei servizi di trasporto e logistica. Ma purtroppo anche questa è una delle ragioni della acca performance, oltre che dei porti, dell’intera liera dei trasporti nazionale. La debole capacità del Paese di cogliere le opportunità che interessano il bacino del Mediterraneo poc’anzi richiamate è dovuta anche all’estrema debolezza del tessuto imprenditoriale nazionale che anima il comparto dei servizi di trasporto e di logistica. Efficacia delle infrastrutture e debolezza imprenditoriale sono infatti i due corni del medesimo problema. La spiccata vocazione internazionale della manifattura, la rinnovata centralità del nostro bacino marittimo di riferimento, non sembrano aver determinato un cambio di passo dell’”industria” del trasporto e della logistica nazionale. Il made in Italy manifatturiero che sostiene il saldo positivo tra il valore delle esportazioni e quello delle importazioni del Paese non riesce a dare impulso al rilancio dei servizi di trasporto. Il saldo positivo dell’import/export nazionale tra il 2018 ed il 2016 è più che triplicato lievitando da 10 a 33 miliardi. Per riuscire a rendere sostenibile la crescita sospinta dalle proiezioni internazionali del made in Italy – ha di recente sostenuto l’editorialista del Corriere della Sera Dario Di Vico2 - si rende opportuno, oltre ad una adeguata infrastrutturazione, un più deciso sostegno da parte del comparto dei servizi di trasporto e logistica. Il made in Italy per sostenere la propria proiezione internazionale acquista i servizi di trasporto presso imprese straniere, il saldo della bilancia commerciale di tali servizi è da molti anni negativo (nel 2018 il passivo era di 5,5 miliardi). Il solo autotrasporto tra il dal 2000 al 2018 ha dimezzato la propria quota di mercato passando dal 40% al 20%. I servizi di trasporto e logistica nazionale, se vogliono recuperare le posizioni perse in questi ultimi anni, dovrebbero innalzare il proprio livello di competitività. Per farlo serve un impegno meno

generico e più incisivo da parte delle Istituzioni, soprattutto a livello europeo, cui si deve aggiungere una maggiore disponibilità da parte delle imprese ad avviare un processo di modernizzazione e di innovazione tecnologica al loro interno. Il ritardo nell’innovazione in uisce sui modelli organizzativi e sui sistemi tecnologici che ancora oggi sono poco avanzati e limitano le performance delle quasi 100 mila imprese di settore in cui lavorano poco meno di 900 mila persone con quali che professionali molto basse e livelli retributivi prossimi, se non inferiori, agli “standard del reddito di cittadinanza”. Tuttavia nel mondo dei servizi di trasporto un interessante punto di rilancio può giungere dal lavoro portuale, sia per posizione all’interno delle catene logistiche di trasporto, sia per evoluzione dell’organizzazione, sia delle imprese che del lavoro. Sebbene il settore rappresenti una piccola porzione del vasto mondo della logistica, esso però occupa una posizione strategica all’interno delle catene logistiche di trasporto ed inoltre si è già da tempo misurato con la crescita professionale dei propri addetti e l’innovazione dei modelli organizzativi e tecnologici delle imprese. Non a caso il valore economico generato da ogni singolo addetto del sub-comparto è il più elevato di tutto il settore logistico3. Il settore n dal 1994 ha vissuto una mutazione genetica dell’assetto giuridico, economico ed organizzativo delle condizioni di lavoro, cui si è sovrapposto l’ingresso di nuove tecnologie che hanno in buona parte sostituito il lavoro umano, ride nendo ruoli, funzioni e status delle imprese e degli addetti che operano in porto. La essibilità unita al rispetto della dignità e della qualità del lavoro sono già da tempo un patrimonio consolidato del mondo portuale nazionale, che potrebbe essere positivamente messo a disposizione per il complesso dei servizi di trasporto al ne di recuperare quella competitività al momento sembra essere lontana. La recente riforma del 2016 (Decreto Legislativo 169/2016), pur non avendo stravolto l’impianto della riforma del ’94, ha de nito una serie di iniziative volte ad incrementare le quali che professionali degli addetti al ne di allinearli alle nuove

2 Corriere della Sera, 7 agosto 2019 Crescita zero, il terziario aiuta. Ma come sta?

3 Valore aggiunto per addetto logistica portuale, 80.149 €; valore aggiunto per addetto movimentazione merci logistica terrestre, 28.836 € (Fonte: ISFORT, Federazione del Mare/Censis, vari anni).


TRASPORTI & CULTURA N.54-55 s de tecnologiche ed imprenditoriali che stanno interessando il settore. Si tratta di s de importanti, poiché l’incremento del traffico gestito nei porti italiani, oltre ad aumentare il gettito generato dalle tasse portuali, determina un impatto economico ed occupazionale rilevante, sia nell’ambito portuale, sia nel resto delle attività direttamente connesse alla liera logistico portuale, ma anche ad altre che bene ciano dell’indotto di tali attività. © Riproduzione riservata

Bibliogra a Assoporti/Censis, La portualità come fattore di sviluppo e modernizzazione, Roma, 2008. Assoporti, Bollettino statistico 2017, Roma 2019. Autorità Portuale di Genova, Impatto economico-sociale del Porto di Genova, RTI Prometeia, Nomisma e Teorema, Maggio 2016. Banca d’Italia, Indagine sui trasporti internazionali di merci, Roma, 2019. S. Bologna e S. Curi, “Relazioni industriali e servizi di logistica: uno studio preliminare”, Giornale di diritto del lavoro e di relazioni industriali n. 161, 2019. Confcommercio/ISFORT, Nota sui problemi e le prospettive dei trasporti e della logistica in Italia, Ottobre 2015. Confcommercio/ISFORT, Nota di aggiornamento sui problemi e le prospettive dei trasporti e della logistica in Italia, Ottobre 2016. ISFORT, Background paper convegno “Un treno che viene dal mare”, Uiltrasporti, Milano 18.10.2019. ISFORT, Il futuro dei porti e del lavoro portuale, Rapporti periodici ISFORT n. 15, 2011 e n. 16, 2012 V. Marzano, D. Aponte e M. Arena, “Alta connettività: il treno merci europeo a sostegno dello sviluppo economico e produttivo dell’Italia”, in E. Cascetta, Perché TAV, Sole 24Ore, 2019.

12 - Terminal Container porto di Bar. Fonte: Autorità portuale di Bar (Montenegro).

SRM, Italian Maritime Economy: Nuovi scenari del Mediterraneo, Napoli, 2019.

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Porto, città e territorio: relazioni da ricomporre di Michelangelo Savino

Il tema delle relazioni tra porto e città ha avuto nel corso degli ultimi anni importanti sviluppi nella ri essione urbanistica, sia sul piano teorico e metodologico, sia sul piano della progettazione. La rilevanza nasce da una reale esigenza non solo di occupare aree “dismesse” resesi disponibili, ma in molti casi di ricostruire relazioni che sono state interrotte nel corso degli ultimi cent’anni. Super uo ricordare in questa sede, le fortissime integrazioni che sono sempre esistite tra il porto e la città (di carattere sociale, economico e politico) ma anche tra le aree strettamente portuali – banchine, moli, magazzini, ma anche i luoghi in cui la “gente di mare” incontrava la “gente di terra” – con forme di continuità ed integrazione tra il fronte del porto (di variabile spessore) e i tessuti urbani che si intersecavano con le strutture portuali. Questo accadeva non solo nelle città fondaco (Venezia, Amsterdam, Bruges, ma anche tante altre città con il porto meno “diffuso” e geogra camente localizzato), ma accadeva in ogni realtà urbana in cui fosse presente uno scalo portuale, marittimo o uviale. Solo le aree dell’Arsenale (come a Venezia, che ne conserva la struttura per antonomasia) rimanevano intercluse e separate, per motivi di carattere militare e politico. L’innovazione tecnologica, i cambiamenti radicali nella logistica e nel trasporto di merci e persone hanno nel tempo richiesto spazi sempre più specializzati ed i mutamenti nelle modalità di organizzazione del settore del trasporto marittimo hanno iniziato a separare il porto dalla città. In molti casi il porto si “stacca” dalla città stessa, al punto che nascono porti senza città (tra i primi gli scali delle gloriose città amminghe a causa dell’interramento dei bacini, l’innalzamento dei fondali dei corsi d’acqua, sempre più inadatti al pescaggio dei moderni sca ), ed in altri gli spazi sempre più estesi necessari alle merci e sempre più incompatibili con le strutture urbane hanno creato porti “dilatati”, con le banchine e le relative aree di stoccaggio sempre più distanti dalle aree urbane. Londra, Rotterdam, Amburgo ma anche Genova, Barcellona o Lisbona (per citare casi più… prossimi!) sono un esempio di questa esplosione che soprattutto dalla ne degli anni ’80 (quando il trasporto marittimo intercontinentale riprende la sua rilevanza nei traffici di merci) caratterizzano tutti i porti più dinamici. Anzi, laddove non si rende possibile questo ampliamento, il porto tende a decadere o a mantenere un volume di traffici più contenuto, incidendo signi cativamente sull’economia urbana. In questo modo, da processi che interessano quasi esclusivamente il settore logistico marittimo, con logiche strettamente settoriali ma con impatti generali, emergono nuove problematiche urbane,

Port, city and territory: restoring strategic relations

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by Michelangelo Savino

Over the past few years, the theme of portcity relations has witnessed important developments in the urban planning debate. The effects of technological innovation, of the radical changes in logistics and in the maritime transport of goods and passengers have over time required increasingly specialized spaces, and transformations in the organization of the maritime transport sector have begun to create a separation between the port and the city. The direct outcome has been, on the one hand, the relocation of activities from the more historic and central areas of the city, freeing spaces for new uses, and on the other the creation of facilities and innovative equipment behind the port, often at some distance from the existing harbour. The regeneration of port areas “reclaimed” by the city for new uses, as well as the need to transform the newly vacated areas into modern and effective port structures clearly appear to provide signi cant opportunities for the economic revitalization of the territories. But they may also foster political con ict and social-economic problems: only univocal and shared strategies and a real process of planning and economic programming can ensure effective solutions.

Nella pagina a anco, in alto: Amburgo, spazio pubblico ad Hafencity (Magellan Terrassen); in basso: Salerno. Piazza della Libertà (progetto di Ricardo Bo ll.

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1 - Rotterdam. Banchina del porto.

come il recupero delle aree portuali “storiche” più prossime alle aree più centrali della città e poi la convivenza tra città e porto nelle aree di nuovo sviluppo e potenziamento dello scalo marittimo. Questi aspetti sono stati al centro della ri essione progettuale urbanistica nel corso degli ultimi cinquant’anni e potremmo dire in ogni continente, con esiti molto diversi, sia dal punto di vista delle soluzioni approntate sia dei processi che hanno condotto a nuovi assetti urbani e territoriali, sia per gli impatti economici e sociali e non meno sici sulle aree urbane e sui territori. Di seguito, alcune brevi ri essioni che cercano di mettere in luce – anche se sommariamente per lo spazio a disposizione in questo numero della rivista dedicato alla nuova logistica portuale – proprio questi aspetti che spesso da drammatici problemi si sono tradotti nell’esplorazione di inusitate risorse e nella loro valorizzazione a bene cio della collettività e dell’ambiente urbano, soprattutto nel momento in cui il rapporto città-porto ha promosso la ricerca di soluzioni urbanistiche innovative.

Abbattere i muri e riconquistare il fronte del porto

2 - Nella pagina a anco, in alto: Amsterdam. Trasformazione dell’Osterdok con il nuovo terminal crocieristico. 3 - Nella pagina a anco, al centro: Liverpool. Il waterfront ed il Museum of Liverpool. 4 - Nella pagina a anco, in basso: Rotterdam. Foto aere del nuovo terminal di Maasvlakte.

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Come accennato, è l’innovazione tecnologica che determina il potenziamento inusitato delle imbarcazioni (soprattutto per capacità di trasporto e velocità di percorrenza delle grandi distanze) e di contraltare l’inadeguatezza delle aree portuali tradizionali, quindi la forte specializzazione funzionale delle banchine e dei moli che modi cano l’organizzazione del porto e le sue relazioni con la città. Funzioni commerciali e relazioni economiche di contrattazione e scambio che un tempo si potevano svolgere al bordo della banchina, magari anche durante le attività di scarico e carico delle merci, iniziano a richiedere edi ci e spazi più ampi, esclusivi e specializzati, proprio per assolvere a tutte le necessità speci che. Immagazzinamento

e vendita delle merci hanno poi preteso super ci più ampie di stoccaggio e in molti casi anche netta separazione tra tipologie di prodotti caricati e scaricati, spazi che assumevano di volta in volta forme e struttura differenti. In ne, la necessità di migliorare le connessioni infrastrutturali del porto con il territorio sempre ampio alle spalle del porto, soprattutto in seguito allo sviluppo della rete ferroviaria, iniziano a fare del porto una realtà separata e distinta dalla città. Un processo incrementale ma apparentemente ineluttabile, che soprattutto per motivi doganali, poi di sicurezza e poi di specializzazione funzionale, spinge ad una sempre più forte demarcazione tra città e porto. La costruzione di muri, più o meno alti, spesso rafforzati da barriere infrastrutturali, segna in modo inequivocabile questa divisione che nel tempo produce anche cesura, distacco, reciproca indifferenza tra lo spazio urbano e lo spazio portuale. Le due entità crescono in modo autonomo e con mutua insofferenza: la città soffre per questa barriera che si interpone spesso tra i suoi spazi pubblici e privati ed il mare, che genera spesso congestione tra ussi commerciali e urbani, così come il porto patisce l’impossibilità di crescere ed espandersi, costretto com’è dalla cortina urbana e ad una sotto-dotazione infrastrutturale per l’impossibilità di migliorare le sue connessioni con il territorio “retroportuale” per mancanza di spazi e per tutti i vincoli che la struttura urbana gli oppone. La crescita della città, causa, ed effetto al contempo, dello sviluppo del porto è ostacolo al porto. La soluzione non può che essere il progressivo abbandono delle aree di più antico impianto (più inadeguate e più “soffocate” dalla città consolidata) per diversa collocazione che permetta un insediamento meno problematico e tutti i successivi ampliamenti. Pochi esempi: lo sviluppo lineare del porto di Genova verso ovest, verso Voltri, a poco meno di 20 km dal Porto Antico, o piuttosto il grande scalo container di Tilbury a 33 km dagli antichi bacini dell’Isle of Dogs a Londra, o ancora le ultime propaggini di Maasvlakte del nuovo Europoort di


TRASPORTI & CULTURA N.54-55 Rotterdam a più di 40 km dalla centrale Kop van Zuid, nucleo originario ma ormai zona non più del porto, oggi completamente trasformata. Questi slittamenti segnano ancora di più la separazione della città dal porto, i cui traffici mondiali lo legano ad una rete ormai globale di relazioni e sfere commerciali e produttive e sempre meno al contesto territoriale circostante. Il porto, spostandosi, lascia quindi spazi e super ci che diventano inutili al porto ma risorse preziose per la città che con processi più o meni complessi si riappropria di questi spazi. Da questo processo, nasce uno dei momenti più affascinanti della ri essione progettuale urbanistica. Solo in rari casi, queste aree sono state trattate come semplici “aree dismesse” a cui andava attribuita nuova funzione e nuova forma. In quasi tutti (sin dal primo progetto di waterfront di Boston, avviato alla ne degli anni ’70) si è trattato di riuscire a ripensare il ritrovato rapporto diretto con il mare, con la super cie acquea che in tantissime città del pianeta sono state le ragioni di nascita e crescita di quei centri urbani: si è trattato di un “bene pubblico” riconquistato da valorizzare. Ed infatti in quasi tutti i casi, il recupero del waterfront è stato innanzitutto il progetto di un “nuovo” spazio pubblico: nuovo nelle sue forme di organizzazione, di fruizione, di reinserimento nella struttura urbana più complessa; nuovo nella sua struttura spaziale, nelle forme che lo plasmano e lo caratterizzano. Gli esempi di questo sforzo progettuale sono numerosissimi, in tutti i paesi industrializzati e a tutte le latitudini. Ciò che sembra fare la differenza è spesso non la loro qualità estetica, ma piuttosto la loro dimensione “sociale”: quanto questi spazi sono vissuti, usati e integrati nella struttura urbana; quanto le loro destinazioni d’uso sono integrare nel complesso funzionamento della città, quanto il nuovo assetto sia stato esito di una strategia integrata e coerente, o quanto invece siano state frutto di un approccio meramente speculativo o piuttosto di azioni ed interventi privi di un inquadramento generale e di un qualsivoglia tentativo di armonizzazione con la città esistente. Non mancano infatti molte contestazioni e critiche ai processi di rigenerazione che sono stati avviati in molte città europee, soprattutto quando, abbattuti i muri delle aree non più portuali, si è accelerato per la realizzazione di centri commerciali e cittadelle terziarie o piuttosto di residenze private esclusive, di lusso, a volte per fare fronte agli alti costi di boni ca e recupero e attirare potenti investitori, generalmente stranieri (ed è stato l’approccio sempre più diffuso tra gli operatori pubblici soprattutto davanti al progressivo aggravarsi del debito pubblico), altre volte per approttare della favorevole congiuntura, nei momenti di massima oridezza della nanziarizzazione del sistema economico internazionale (che ha spesso privilegiato gli investimenti immobiliari con forti intenti speculativi). Non sono mancati dibattiti ed interventi anche in Italia, per quanto le pastoie burocratiche, le incertezze del mercato e le esitazioni istituzionali hanno reso molti processi di trasformazione delle aree ex portuali meno signi cativi (per dimensioni, qualità e realizzazioni) o del tutto aleatori. Solo Genova e Salerno, nel nostro paese, possono non solo vantare un dibattito progettuale e politico molto intenso, ma anche delle importanti realizzazioni e soprattutto degli esiti urbanistici degni di nota (per quanto contraddittori anch’essi 107


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5 - Liverpool. L’ Avenue Hq Building domina gli antichi docks di Mann Island.

per diversi aspetti). Nel primo caso, un’amplissima letteratura sottolinea sia la combinazione “fortunata (quanto fortuita) di nanziamenti e leggi speciali da rendere il progetto fattibile e realizzato; nel secondo, una coerenza politica (il lungo e quasi incontrastato mandato dell’allora sindaco Vincenzo De Luca) e la sinergia di diversi architetti al servizio di una sola (e forse “autoritaria”) vision progettuale. In molte altre città portuali, a fronte di numerosi progetti che la L. 94/1994 aveva stimolato, si sono avute poche realizzazioni ma moltissime polemiche e tanti progetti che ancora oggi risultano… in progress! È infatti la nuova legge sui porti, che istituisce con l’Autorità portuale una gura ben identi cabile e con ampi poteri decisionali sulle aree di competenza, oltre all’imposizione di un inequivocabile obiettivo strategico di rilancio economico dei porti e loro riposizionamento nelle reti delle rotte globali, che porta ad una riorganizzazione delle strutture portuali. Questa, a sua volta, porta alla liberazione e cessione di spazi che alle città servono per rimediare ad una sotto-dotazione di spazi aperti, aree verdi, infrastrutture, ma anche servizi e funzioni di eccellenza. La riapertura del fronte mare – uno spazio che ha intrinsecamente un grandissimo valore sociale, identitario, paesaggistico – diventa luogo privilegiato per un intervento che più che strategico è imprescindibile per il miglioramento della qualità urbana complessiva, oltre alla sua posizione così cruciale e di così alto valore immobiliare da scatenare aspirazioni e appetiti. Questo processo di restituzione non può non avere una contropartita per l’Autorità portuale, se non nella legittima opportunità di recuperare risorse o piuttosto costruire le più favorevoli condizioni allo sviluppo del porto. È su questo “scambio”, sulle forme diverse che ha assunto in luoghi diversi, che si sono costruite le nuove relazioni tra città e porto, fatte spesso di sostituzione drastica, a volte senza lasciare alcuna traccia delle precedenti attività, quasi una sorta 108

di negazione della storia dei luoghi per quanto il riconquistato affaccio sull’acqua può essere esso stesso traccia del porto che c’era; in altri casi è una relazione fatta di poche semplici evocazioni, nella toponomastica, nella conservazione di alcuni piccoli elementi (bitte, gru, imbarcazioni, piccoli bacini) che inframmezzano i nuovi tessuti, nelle piazze sull’acqua che ripetono antichi perimetri; in altri ancora, il segno portuale è forte, nel voluto mantenimento di alcune funzioni, nell’esaltazione del passato attraverso fastose celebrazioni architettoniche (musei marittimi, centri di ricerche per il mare, per esempio, quasi sempre edi ci “icona” che contraddistinguono l’area ed il processo di rigenerazione); in altri ancora, intere parti del porto sopravvivono sia perché recuperate e riattate a nuovi usi, sia con la cristallizzazione di antiche parti spesso più a scopo turistico che documentale. In ogni caso, l’intervento di rigenerazione cerca di creare forme di connessione e di integrazione tra le aree portuali e il resto della città: laddove le attività portuali almeno in parte vengono mantenute (quasi sempre il trasporto passeggeri che non richieda misure di particolare sicurezza e controllo) l’intervento urbanistico provvede ad eliminare barriere e muri e crea elementi di congiunzione e ricucitura, soprattutto con nuovi spazi pubblici, con destinazioni d’uso miste e compatibili; se scali e banchine vengono de nitivamente liberate, un tessuto più tipicamente urbano sostituisce i precedenti sedimi con edi ci di vario uso e forma, in molti casi con attività di particolare eccellenza ed attrattività per le città, migliorandone la dotazione di servizi e la qualità urbana complessiva, quando non si tratti piuttosto di funzioni esclusive e di forte richiamo: il waterfront recuperato contribuisce non solo al rilancio e alla valorizzazione della città, ma anche alla sua collocazione nei ranking internazionali della competizione ormai sempre più vivace tra le città mondiali. Ed è anche su questo piano che si giocano le nuove relazioni tra porto e città, laddove il porto – presente o passato – diventa una uno dei requisiti strategici della città contemporanea in evoluzione.


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6 - Londra. Il Millennium Dome visto dall’Isle of Dogs.

Tra reciproci vantaggi e con itti, le relazioni tra porto e territorio Alla scala territoriale, ampliando lo sguardo e spingendolo oltre la dimensione urbana, è possibile cogliere altri elementi che sottolineano le possibili sinergie tra il porto e la città, ma anche i con itti che sembrano manifestarsi oggi più che in passato. Lo sviluppo della logistica marittima, ma soprattutto il raggio di in uenza che molti porti hanno acquisito nel corso degli ultimi tempi (anche per effetto dell’ampliamento del mercato globale e lo sviluppo dei trasporti delle merci che ampliano a dismisura le catchment areas degli scali) hanno reso il legame tra il porto ed il territorio una questione di particolare rilevanza. Infatti, in quasi tutti i casi, le questioni legate alla sopravvivenza dei porti e al loro sviluppo non sono circoscritte solamente alle dimensioni dello scalo portuale (dai metri di banchina alle super ci di stoccaggio), alle attrezzature tecnologicamente più avanzate disponibili o alla qualità e all’esclusività dei servizi offerti, quanto piuttosto alle problematiche di possibile estensione del bacino di riferimento del porto per la produzione o distribuzione delle merci transitate dallo scalo, quindi ai potenziali mercati che possano essere “serviti” dal porto. Non si tratta solo di territori più o meno estesi, quanto piuttosto di regioni ad alto potenziale produttivo o ad elevato consumo di beni e servizi1, ed è evidente che la crescita di un porto dipenda anche da tutto ciò che si sviluppa alle spalle dello scalo, dalla dinamicità del contesto retrostante sempre 1 Per quanto, come affermato nel paragrafo precedente, potrebbero indebolirsi o troncarsi del tutto le relazioni tra il porto e il territorio in cui si localizza, perché lo scalo è completamente proiettato verso il sistema di rotte internazionali e globali senza necessità di un suo “retroterra” senza bisogno alcuno di relazione economica o produttiva con il territorio circostante. Per alcuni versi, in Italia, Gioia Tauro, per diverse ragioni, può essere considerato un esempio del tutto particolare id queste forme di scalo completamento “estroiettato”.

più esteso oltre che dall’efficienza del terminal marittimo. In tutti i casi, appaiono subito chiare le relative implicazioni. Innanzitutto, è evidente che per quanto possano essere ampi ed attrezzati gli scali portuali, si renda necessario un’area retroportuale altrettanto ampia ed attrezzata che sia in grado di accogliere non solo le funzioni più strettamente connesse alla movimentazione delle merci e al loro stoccaggio, ma anche altri servizi di natura commerciale o di prima trasformazione che possano interessare le merci giunte in porto prima della loro distribuzione. Soprattutto negli ultimi anni, queste funzioni hanno richiesto spazi sempre maggiori e hanno risentito subito dei vincoli sici dei porti tradizionali, ma anche delle speci che morfologie territoriali (si pensi alle asperità collinari subito a ridosso delle banchine portuali genovesi). La risposta è stata spesso la localizzazione e ampliamento di aree retroportuali, spesso distanti dallo scalo ma immediatamente connesse: “Inland terminal” e “Dry port” diventano quindi poli strategici ancor più nei luoghi in cui si rende alquanto complesso ipotizzare ampliamenti delle infrastrutture portuali e le possibilità o meno di poter realizzare questo tipo di strutture si è presto posta come una discriminante decisiva fra i diversi porti sulle rotte globali, gerarchizzando i porti più attrezzati rispetto ad altri scali “ordinari” e senza possibilità di sviluppo. Ma se alle spalle dello scalo diventa decisivo avere spazi per la crescita di attrezzature ed infrastrutture necessarie, benché complementari alle attività portuali, è altrettanto evidente che il potenziamento infrastrutturale per l’accessibilità al porto e a medio-lungo raggio (“port-centric logistics”, come viene de nita) così come le potenzialità di intermodalità tecnologicamente efficiente diventano elementi imprescindibili per il successo delle economie portuali. Soprattutto in Italia, però, come in altre realtà territoriali europee densamente urbanizzate, queste condizioni risultano quasi sempre di difficile individuazione, o almeno possibili ma non senza conitti, data la forte competizione tra funzioni ed usi 109


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7 - Nella pagina a anco, in alto: Marsiglia. Il nuovo fronte delporto con il MuCEM e la Villa Méditerranée. 8 - Nella pagina a anco, al centro: Copenhagen. Nuove costruzioni sulle ex banchine portuali ad Havnestaden. 9 - Nella pagina a anco, in basso: Liverpool. Albert Dock.

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diversi – non sempre compatibili – che concorrono per una risorsa ormai divenuta se non rara sicuramente più preziosa come il suolo. E ciò accade non tanto per le strategie che vanno approntandosi per un reale contenimento dell’uso del suolo (ben lungi dall’essere ancora efficaci se in vigore) quanto per la difficile disponibilità di aree disponibili a questi particolari usi che non siano oberate di vincoli o soggette a particolari forme di regolamentazione: potenziamento e ampliamento delle aree portuali, dunque, come possibile fattore di scontro tra istituzioni e tra i diversi stake-holders attivi sul territorio, in competizione per i progetti di trasformazione delle aree. Genova (nuovamente) o Napoli sono casi emblematici da questo punto di vista, dove l’esiguità del territorio disponibile ad usi antropici determina forme di competizione estremamente drammatiche e, di conseguenza, a con itti economici e sociali di difficile soluzione; Venezia ha esaurito le super ci sottratte alla laguna per le funzioni portuali e Trieste è prossima alla saturazione delle aree incastrate tra le pendici collinari carsiche e le esigue radure pianeggianti costiere. Con itti d’altro canto possono insorgere anche per altre ragioni, soprattutto in tempi di riduzione della spesa pubblica e di contenimento della realizzazione di opere pubbliche, per esempio per la realizzazione delle infrastrutture. In molti casi, la creazione delle strutture intermodali e di altre aree attrezzate per funzioni di logistica se non di produzione richiedono raccordi e sistemi di accessibilità specializzati o fortemente dedicati, soprattutto nelle aree ad alto tasso di urbanizzazione dove tendono a crearsi forme di commistione di traffico, con frequenti momenti di congestione e intasamento. L’esiguità degli investimenti (ancora quasi esclusivamente pubblici in Italia) spinge invece a scelte che possano risultare sub-ottimali per le economie portuali, perché tende a privilegiare la costruzione di infrastrutture per usi promiscui e non specializzati per il trasporto merci, ad esempio, risolvendo solo parzialmente problemi di rafforzamento delle connessioni e di efficientamento degli spostamenti, di uidi cazione del traffico e di risoluzione delle diverse forme di congestione. Non ultimo, sempre nel nostro paese, va rimarcata una sottovalutazione del ruolo della rete ferroviaria e delle sue potenzialità, preferendo piuttosto (perché ben si sposa con una strategia di contenimento della spesa pubblica) il primato del trasporto su gomma prevalentemente privato, sottolineandone spesso i vantaggi di maggiore essibilità e convenienza: la confusione (e strumentalizzazione) politica del ragionamento è ben dimostrata dalle recenti polemiche sull’analisi costi-bene ci dell’Alta Velocità in Val di Susa (a prescindere da un oggettivo giudizio sull’utilità o meno di quell’infrastruttura), dove persino i mancati pedaggi autostradali (su tracciati dati in concessione a privati) e la riduzione delle accise sui carburanti sono stati inseriti fra i “costi pubblici” di una soluzione ferroviaria del trasporto merci. Indubbiamente ragione di con itto territoriale sono i possibili impatti ambientali che queste strutture comportano, non solo in termini di disponibilità di suolo (come già accennato, che si traduce anche in un improvvido “consumo di suolo”), ma sicuramente altre forme di impatto possono determinarsi se non prevenute con debite valutazioni, accurati piani di insediamento e monitoraggi costanti di controllo. Questi passaggi oggi sono ritenuti imprescindibili nonostante in molti

casi non bastino ad evitare o risolvere scontri tra istituzioni e soprattutto con le comunità ed i cittadini sempre più sensibili alle tematiche ambientali per quanto non sempre altrettanto informati. Ritardi infrastrutturali ed eventuali rischi ambientali appaiono oggi elementi di criticità nelle relazioni tra porti e città e territorio, soprattutto perché – come molti osservatori lamentano – ancor prima dei nanziamenti tendono a mancare forme concrete di programmazione e di piani cazione. A fronte di buoni intendimenti governativi, delle dichiarazioni ministeriali e delle ambiziose forme di previsione regionali, la realtà non sembra smentire gli scettici sulla volontà (non tanto sulla capacità) di riuscire, nel nostro paese, a compiere una reale operazione di programmazione delle opere infrastrutturali necessarie al rilancio dell’economia nazionale, senza cadere nella solita incapacità di scegliere le operazioni effettivamente più strategiche e prioritarie, senza ripiegare su nanziamenti più ridotti ma indifferenziati per opere e per territori. Né il Piano Generale dei Trasporti di antica memoria, tantomeno il Sistema Nazionale Integrato dei Trasporti (SNIT), rivisto nel 2017, né l’elenco delle “opere utili, sostenibili, condivise” indicate nel documento ministeriale del 2017 preliminare alla redazione del nuovo Piano Generale dei Trasporti e della Logistica sembrano ovviare a questa “tradizione” italiana e quindi sciogliere quel nodo problematico che la relazione tra il porto ed il territorio sembra rappresentare, essendo il porto un fattore cruciale e privo di alternative equivalenti per lo sviluppo di questi territori, ma al tempo stesso un fattore di crisi e con itto per il futuro delle aree e degli abitanti.

Conclusioni Non tanto sull’evidenza di una stretta relazione tra città, territorio e porto, quanto su alcuni fattori di con tto, queste note hanno voluto evidenziare alcuni aspetti che oggi sembrano manifestarsi con maggiore urgenza che in passato. La rigenerazione di aree portuali “restituite” alla città e destinate a nuovi usi o piuttosto la necessità di trasformare nuove aree più o meno libere in nuove strutture portuali sembrano produrre con itti o comunque forme di concorrenza. Questo è ancora più evidente se i problemi vengono affrontati in una prospettiva esclusivamente settoriale (di traporto marittimo, di pura logistica, in termini puramente infrastrutturali, in chiave economica, come questione di natura urbanistica, come problema ambientale), piuttosto che affrontati – e magari risolti – attraverso l’individuazione condivisa delle priorità e la costruzione altrettanto condivisa delle scelte. In un campo così speci co e tecnico, questo processo trova la sua modalità ancora oggi più efcace solo negli strumenti di confronto intersettoriale ed interdisciplinare ed attraverso un corretto meccanismo di piani cazione degli interventi e di programmazione attenta delle risorse. È indubbiamente una posizione poco innovativa, un’affermazione praticamente scontata e di conseguenza banale, se non fosse che nel nostro paese risulta ancora oggi come una delle opzioni che hanno avuto meno seguito e soprattutto minima applicazione, a fronte di un approccio istituzionale prevalentemente “occasionale” e soprattutto emergenziale. Non è possibile negare che molte opere infrastrutturali siano state


TRASPORTI & CULTURA N.54-55 realizzate in ritardo, rispetto ai reali bisogni dei territori e laddove si siano create delle condizioni (in prevalenza “politiche”) favorevoli all’avvio dei cantieri (senza soffermarci sui tempi e sui costi intervenuti per il completamento delle opere), non di rado in risposta a speci che congiunture, senza un orizzonte temporale lungo, a volte a discapito di conclamate priorità. Non è un caso dunque concludere queste note con un richiamo alla necessità che programmazione e piani cazione diventino nuovamente la forma più corretta di ri essione e dunque azione per la città e per il territorio, e non solo in quelle aree in cui porto e città costituiscono un connubio strategico per lo sviluppo delle comunità © Riproduzione riservata

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Evoluzione del trasporto su strada a Singapore di Massimiliano Porto

A causa della limitata estensione territoriale, dove le strade occupano il 12% della super cie in uso1, la gestione degli spazi portuali, urbani ed industriali rappresenta una s da costante per Singapore al ne di garantire un’efficiente mobilità. La s da è poi aggravata dalla dimensione demograca. Con circa 5,7 milioni di abitanti, Singapore ha un’elevata densità demogra ca, che è destinata ad aumentare visto che si prevede che la popolazione di Singapore possa raggiungere i 6,9 milioni di abitanti entro il 20302. Tra gli inizi degli anni Cinquanta e la metà degli anni Settanta, il sistema del trasporto su strada di Singapore era del tutto inefficiente e presentava caratteristiche in comune con altre città in via di sviluppo: cattiva gestione del traffico e grave congestione nel centro-città, servizi di trasporto pubblico inadeguati e inefficienti, scarsa manutenzione delle infrastrutture e mancanza di piani e misure governative3. Inoltre, nel caso speci co di Singapore, incidevano negativamente la limitata estensione territoriale in un contesto di rapida crescita demogra ca e gli allagamenti per le strade durante il periodo monsonico4. Il punto di svolta nel sistema di trasporto via terra vi fu nei primi anni Settanta, con il Concept Plan del 1971, un programma per lo sviluppo infrastrutturale di Singapore dei successivi 20 anni, e con l’apertura del terminal per container a Tanjong Pagar nel 1972. Da un lato, lo Strategic Transport Plan incluso nel Concept Plan del 1971 proponeva di costruire una rete capillare di strade e autostrade – i chilometri della rete stradale venivano estesi dagli 800 degli anni Sessanta ai circa 3.000 nel 1990 – nonché un sistema di trasporto Mass Rapid Transit (MRT)5. Dall’altro lato, l’apertura del terminal per container a Tanjong Pagar nel 1972 aumentava la congestione stradale, rendendo evidente la necessità dell’adozione di misure strutturali per il miglioramento del sistema dei trasporti in modo tale da in1 Ministry of National Development of Singapore, A High Quality Living Environment for All Singaporeans, Land Use Plan to Support Singapore’s Future Population, January 2013, p. 51. 2 Per contrastare l’invecchiamento della popolazione e il calo del tasso di natalità, il governo ha proposto politiche per incentivare il matrimonio tra i cittadini. Inoltre, continua a mantenere una politica aperta verso l’immigrazione poiché considerata un elemento per rimanere competitivi. National Population and Talent Division (Singapore), A Sustainable Population for a Dynamic Singapore: Population White Paper, 2013. 3 Urban Systems Studies (USS), Transport: Overcoming Constraints, Sustaining Mobility, Centre for Liveable Cities (CLC), Singapore, Cengage Learning Asia Pte Ltd, 2013a, p. 4. 4 Nel 1965, la popolazione di Singapore era di 1,89 milioni. Yoshihide Matsuura, “Population Issues in Singapore and Its Implications to National Security”, NIDS Journal of Defense and Security, 18, Dec. 2017. 5 Urban Systems Studies (USS), op. cit., 2013a, p. 5.

The evolution of land transportation in Singapore by Massimiliano Porto In dealing with the case of Singapore, its strategic location, at the crossroads between the Indian Ocean and the South China Sea, and the leading role of its port are stressed as key factors in its development. Though we do not deny the importance of these factors, in this article we emphasize that the “good administration” of Singapore is in fact the foundation of its success. Singapore’s “good administration” is based primarily on three factors: long-term planning, investment and innovation. We begin by reviewing the two hundred-year history of Singapore, highlighting the innovation that its administration introduced to keep ahead of the competition. In the second part, we focus on how the administration, constantly challenged by the constraint of its limited territory, organized the land transport system in Singapore. In this city-state, where roads account for a signi cant 12% of total land use and where the population is projected to grow to 6.9 million by 2030, efficient land transportation is key to guaranteeing a better quality of life for its citizens and reducing costs for businesses.

Nella pagina a anco, da sinistra a destra, dall’alto in basso: panorama della città e del porto di Singapore (fonte: www.portialtotirreno. it); altra veduta di una parte della città-stato di Singapore (fonte: www.itasean.org); il traffico su una grande arteria (fonte: www.channelnewsasia.com); rete stradale a Singapore (mappa elaborata dall’autore con tecnologia bing).

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TRASPORTI & CULTURA N.54-55 centivare l’uso dei mezzi pubblici e ridurre l’uso dei mezzi privati. Negli anni Settanta, quindi, prendeva avvio la riforma del sistema dei trasporti pubblici. Venne incentivata la fusione delle dieci compagnie di bus cinesi che, ridotte inizialmente a tre, si fusero in un’unica compagnia, la Singapore Bus Service (SBS). Ciò favorì l’integrazione dei percorsi nonché l’uniformità delle tariffe6. Il governo provvedeva anche a riformare i taxi, vietando e punendo severamente i pirate taxi, ossia i taxi illegali. Tuttavia, con la crescita economica di Singapore migliorava il benessere dei cittadini. Ciò causò un aumento dell’acquisto di automobili che contribuì ad aumentare il traffico. Per gestire il crescente traffico fu istituita la Road Transport Action Committee (RTAC) nel 1973. Per regolare il traffico, nel 1975 la RTAC implementò l’Area Licensing Scheme (ALS), un sistema di tariffazione stradale – primo al mondo del suo genere7. Il sistema, richiedendo un pagamento – l’acquisto di una licenza – agli automobilisti per entrare nel centro di Singapore, la Restricted Zone, scoraggiava l’uso della vettura privata. I veicoli commerciali furono esentati da tale pagamento no al 1989 quando l’esenzione venne revocata. Si era infatti osservato che i veicoli commerciali attraversavano la Restricted Zone anche se non trasportavano beni e la usavano come strada alternativa alle secondarie. L’ALS svolse il suo ruolo, contribuendo a ridurre il traffico nel centro di Singapore8. Tuttavia, veniva osservato che il trafco veniva dirottato sulle strade intorno alla Restricted Zone, congestionando le strade adibite al trasporto merci. Ciò spinse le autorità di Singapore a riconsiderare l’ALS ed estenderla al di là del centro di Singapore. Nel 1995, venne istituito il Road Pricing Scheme (RPS), una tariffazione che veniva estesa alle strade e ad altre aree di congestione al di fuori della Restricted Zone. Sia l’ALS sia il RPS erano schemi manuali che richiedevano personale ai varchi delle aree a traffico limitato per essere applicato. Nel 1998 venivano sostituiti da un sistema elettronico, l’Electronic Road Pricing (ERP). L’innovazione dell’ERP è innanzitutto concettuale: far pagare l’automobilista per il traffico che sta contribuendo a causare. In pratica, il funzionamento dell’ERP ha richiesto l’installazione di una in-vehicle unit (IU), un dispositivo simile ad un POS, nella parte interna del parabrezza di ogni vettura di Singapore. Gli IU sono differenziati per colore in base alla categoria di veicolo perché vengono applicate differenti tariffe per categoria9. Il pagamento viene dedotto dall’IU da una carta di debito, CashCard, acquistabile presso banche, minimarket e stazioni di benzina. Le tariffe variano in base al livello del traffico nell’area attraversata e sono riviste ogni tre mesi. Nel successivo ERP2, le tariffe vengono modulate anche in base alla distanza percorsa dall’automobilista nel tratto congestionato10. Il successo 6 Lee Yi Der & Choi Chik Cheong, “Overview of Singapore’s Land Transport Development 1965-2015” in Fwa Tien Fang (ed.), 50 Years Of Transportation In Singapore: Achievements And Challenges, World Scienti c Publishing Co. Pte. Ltd., 2016, p. 10. 7 La licenza doveva essere comprata in anticipo negli uffici postali, nelle stazioni di benzina, supermercati, appositi stand, prima dell’ingresso nella Restricted Zone. A differenza delle strade a pedaggio, non poteva essere acquistata al varco. 8 Il volume del traffico è inizialmente diminuito del 44%, ma si è ridotto al 31% entro il 1988. Lee Yi Der & Choi Chik Cheong, op. cit., 20. 9 Le categorie sono: automobili, taxi, motocicli, veicoli commerciali leggeri, veicoli commerciali pesanti, autobus e veicoli di emergenza. Questi ultimi sono esentati dal pagamento della tariffa ERP. 10 Per una valutazione dell’ERP consultare Gopinath Menon & Sarath Guttikunda,”Electronic Road Pricing: Experience & Lessons from Singapore”, SIM-air Working Paper Series: 33-2010,

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dell’ERP nel ridurre il livello del traffico è dovuto anche al contestuale potenziamento dell’offerta alternativa per la mobilità, ossia una maggiore integrazione tra MRT, autobus e piste ciclabili. Per un porto come quello di Singapore, che ha nel transhipment la sua vocazione, può sembrare che la questione del trasporto via terra possa interessare solo marginalmente perché le operazioni di gestione dell’attività del transhipment consistono principalmente nel caricare su navi feeder le merci trasportate dalle grandi navi portacontainer destinate al porto nale. Ciò sembrerebbe confermato dal fatto che l’85% del traffico merci di Singapore è destinato al transhipment e solo il 15% al mercato locale11. Tuttavia questa sarebbe una conclusione errata. Innanzitutto, bisogna considerare che non è sempre immediatamente disponibile la nave feeder per il carico della merce arrivata dalle navi portacontainer. Ciò implica che la merce deve stazionare temporaneamente e non è sempre possibile depositarla nelle immediate vicinanze dell’ormeggio. Per ridurre al minimo i tempi di trasporto la Port of Singapore Authority (PSA) ha costruito strade interne al porto e magazzini nelle vicinanze del porto. Inoltre, negli anni Ottanta e Novanta venivano progettate infrastrutture stradali per fronteggiare l’incremento del traffico merci su strada che minimizzassero gli ingorghi stradali. Finita di costruire nel 1988, la Ayer Rajah Expressway (AYE), che si estende per 26,5 km dalla East Coast Parkway (ECP) a sud no a Tuas a ovest, è stata la prima arteria stradale costruita per il suddetto ne. Successivamente, furono costruite o migliorate, tra le altre, la Telok Blangah Road, la West Coast Highway, Jalan Buroh, la Pioneer Road. Riprendendo il pensiero di Mohinder Singh, direttore della piani cazione al Land Transport Authority (LTA), lo sviluppo stradale era necessario per gestire in maniera più uida e diretta il traffico merci su strada. In mancanza, ciò avrebbe presentato un costo per l’economia e un costo sociale dovuto al fatto che i veicoli commerciali avrebbero usato percorsi più sensitivi12. Questo sviluppo stradale ha favorito l’intermodalità integrandosi con il concetto di Distribelt. La Distribelt era stata concepita nel 1989 per favorire la trasformazione di Singapore da porto di transhipment a hub logistico. La Distribelt copre un’area di 3.700 ettari e si estende per 20 km lungo la costa meridionale; include Tanjong Pagar Terminal, Keppel Terminal, Pasir Panjang Terminal, Alexandra Distripark, Pasir Panjang Distripark e Keppel Distripark. Più di 500 tra multinazionali e trading company hanno fatto di Singapore la propria base logistica per l’Asia-Paci co13. Anche le strade che collegano alla Malesia sono strategiche per il traffico merci su strada. Durante il periodo coloniale, veniva attribuita grande rilevanza al retroterra malesiano per lo sviluppo di Singapore. Questa fu una delle ragioni che spinsero Singapore ad entrare a far parte della Federa2010. Per consultare le tariffe ERP applicate nelle varie arie fare riferimento a “Time.SG, Singapore ERP Rates Now & Later Today”. https://time.sg/erp (ultimo accesso 22/11/19). Per gli ultimi aggiornamenti consultare Ministry of Transport of Singapore, ERP. https://www.mot.gov.sg/about-mot/land-transport/ motoring/erp . 11 Jean-Paul Rodrigue, The Geography of Transport Systems, FOURTH EDITION, New York: Routledge, 2017, 440 pages. https://transportgeography.org/?page_id=7944 12 Urban Systems Studies (USS), Port and the City: Balancing Growth and Liveability, Centre for Liveable Cities (CLC), Singapore, 2016, p. 53. 13 Alan Edward Branch, Elements of Shipping, Seventh Edition, Routledge, 2012, p. 408.


TRASPORTI & CULTURA N.54-55 zione della Malesia nel 1963. Tuttavia, poco dopo l’unione emersero le prime divergenze. Sebbene il retroterra malesiano fosse importante per Singapore, questi rimaneva un porto regionale piuttosto che un porto malesiano, necessitando quindi di politiche economiche di sviluppo differenti dal resto della Federazione. Inoltre, il peggioramento delle relazioni tra Malesia e Indonesia dovuto alla cosiddetta politica del Confronto, Konfrontasi, minavano la stabilità delle attività portuali di Singapore. Di conseguenza, Singapore si separò dalla Federazione nell’agosto 1965. Iniziava una nuova epoca per un indipendente Singapore. È importante tener conto dell’evoluzione dell’economia di Singapore dall’indipendenza per comprenderne il suo sviluppo: economia ad alta intensità di manodopera negli anni Sessanta, economia ad alta intensità di capitale negli anni Ottanta, economia ad alta intensità di conoscenze negli anni Novanta. In ne, a partire dagli anni Duemila, Singapore ha spostato ancora più in alto l’asticella del suo sviluppo puntando a divenire un’economia innovation driven. Durante questo percorso, è stata quindi necessaria la riorganizzazione degli spazi industriali. Con l’accordo del 1989 con Malesia e Indonesia, Singapore spostava le attività ad alta intensità di manodopera a Johor in Malesia e a Riau in Indonesia. A questo accordo fece seguito nel 1994 l’Indonesia–Malaysia–Singapore Growth Triangle (IMSGT) che incrementò notevolmente il traffico container tra i tre Paesi. Inoltre, riprendeva vigore il traffico su strada con la Malesia attraverso la Woodlands Causeway, che aperta nel 1923, collega con la North–South Expressway in Malesia. Per ridurre il traffico su questa arteria veniva aperto nel 1998 il Second Link, conosciuto a Singapore come il Tuas Second Link. In ne, un impatto importante sul traffico merci su strada lo avrà il mega porto a Tuas quando completato. Infatti, il progetto del mega porto a Tuas ha l’obiettivo di consolidare tutti gli esistenti terminal in una sola location, eliminando quindi il trasporto merci su strada per spostare i container dai differenti terminal. Come avvenuto per il Pasir Panjang Terminal, anche per il mega porto di Tuas la costruzione avverrà per fasi. La prima fase dello sviluppo è iniziata nel 2015 e dovrebbe essere completata nel 2021. Nel 2040, quando dovrebbe essere completato, Tuas, con 26 km di ormeggi in acque profonde e con la capacità di gestire 65 milioni TEU all’anno, sarà il più grande singolo terminal automatizzato del mondo14.

concettuale: far pagare l’automobilista per il traffico che sta contribuendo a causare. Inoltre, le tariffe vengono modulate in base alla distanza percorsa dagli automobilisti nel tratto congestionato. Il solo disincentivo non sarebbe stato sufficiente a modicare la domanda di mobilità dei cittadini. Infatti, il sistema ERP ha potuto bene ciare del contestuale potenziamento e integrazione dell’offerta di mobilità che comprende MRT, bus e piste ciclabili. Ciò implica che l’esborso richiesto al cittadino per utilizzare la vettura privata in determinate aree è stato bilanciato dal miglioramento dell’offerta dei trasporti pubblici, offrendo di fatto una valida opzione alla mobilità ai cittadini.

Conclusioni

National Archives of Singapore. Building on the economic miracle. http://www.nas.gov.sg/1stCab/7585/travel_exh_Sec4.html

Nell’organizzare il sistema del trasporto terrestre l’amministrazione di Singapore si è trovata costantemente alle prese con il problema della limitata estensione territoriale aggravato dalla rapida crescita della popolazione. Per fornire un efficiente servizio di mobilità ai propri cittadini, Singapore ha incoraggiato l’utilizzo dei mezzi pubblici a discapito di quelli privati. Il disincentivo all’utilizzo dei mezzi privati è stato rappresentato dall’istituzione di un sistema di tariffazione stradale per l’accesso al centro città, l’Area Licensing Scheme (ALS), che è stato poi esteso ed è stato successivamente sostituito prima dall’Electronic Road Pricing (ERP) e poi dall’ERP2. L’innovazione dell’ERP è innanzitutto

National Population and Talent Division (Singapore), A Sustainable Population for a Dynamic Singapore: Population White Paper, 2013.

14 Urban Systems Studies (USS), op. cit., 2016, p. 80; PSA, PSA Begins a New Chapter in Singapore with Tuas Port, Building an Ecosystem to Synergise Port Operations & Co-create Supply Chain Orchestration, New Release, 3/10/2019.

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Bibliogra a Alan Edward Branch, Elements of Shipping, Seventh Edition, Routledge, 2012. Gopinath Menon & Sarath Guttikunda, “Electronic Road Pricing: Experience & Lessons from Singapore”, SIM-air Working Paper Series: 33-2010, 2010. Helen Hughes, From Entrepot Trade to Manufacturing in Helen Hughes and You Poh Seng (eds.), Foreign Investment and Industrialisation in Singapore, Australian National University Press Canberra 1969 INSYNC, “Keeping Singapore’s Free Trade Zones in check”, Singapore Customs Newsletter, Issue 45, April/June 2017. Jamie Ee, “Port of Possibilities in Singapore”, Nautilus, No. 21, 2012, pp. 14-21. Jayarethanam Sinniah Pillai, Historical assessment of the Port of Singapore Authority and its progression towards a ‘High-Tech Port’, ANU’s Asia Paci c School of Economics and Government, Policy and Governance Discussion Paper 05-19, 2005 Lee Yi Der & Choi Chik Cheong, “Overview of Singapore’s Land Transport Development 1965-2015” in Fwa Tien Fang (ed.), 50 Years Of Transportation In Singapore: Achievements And Challenges, World Scienti c Publishing Co. Pte. Ltd., 2016. Ministry of National Development of Singapore, A High Quality Living Environment for All Singaporeans, Land Use Plan to Support Singapore’s Future Population, January 2013 Ministry of Transport of Singapore, ERP. https://www.mot.gov. sg/about-mot/land-transport/motoring/erp

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Il (ri)uso del container, l’abitare e la città di Lenny Valentino Schiaretti

Da bambini, probabilmente almeno una volta nella vita, tutti noi ci siamo cimentati nella costruzione di una casa o di un ardito grattacielo con i famosi mattoncini Lego. Semplici da montare e smontare, intercambiabili tra di loro, colorati e in ne, grazie alla loro forma, adatti ad assecondare molte idee. I piccoli mattoncini di plastica, per via della loro modularità, ci aiutano a capire come i container per il trasporto delle merci siano facilmente utilizzabili come moduli per l’abitare.

I limiti dei modelli tradizionali Negli ultimi 15 anni l’utilizzo di questi moduli metallici, come alternativa ai metodi di costruzione tradizionale, si è diffuso notevolmente e le ragioni sono legate a fattori differenti. Un primo importante punto va ricercato nella necessità di un cambiamento di alcuni paradigmi dei modelli di costruzione usati no ad oggi, che mostrano alcuni limiti. Il fare architettura continua ad essere con nato entro dinamiche che appartengono ad un’eredità passata, in cui l’architettura è sempre e solo pensata come un qualcosa di immutabile, legato, forse, all’idea di permanente. I metodi di costruzione appartengono ancora a dinamiche poco più che artigianali con evidenti problematiche che abbracciano l’intero iter progettuale, dall’ideazione no alla gestione e sicurezza del cantiere. Già nel 1923, Le Corbusier1 criticava apertamente l’attitudine pigra dell’architettura e il suo arretramento tecnologico, soffocata nelle abitudini e nelle consuetudini, contrapponendole l’ Esprit Nouveau, presente in alcuni settori della produzione industriale, come quello navale, aeronautico o automobilistico. A distanza di quasi cento anni la situazione descritta dall’architetto francese non è sostanzialmente cambiata. L’architettura fatica a seguire alcune istanze della società (o non vuole?), nel pieno di profondi cambiamenti che impongono agli architetti di pensare e fare architettura partendo da presupposti diversi, più svincolati dal passato, soprattutto da quel recente passato, di cui le nostre città porteranno a lungo le cicatrici. È chiara la necessità di indirizzare i progetti verso la sostenibilità, la modularità e la reversibilità ambientale dell’oggetto architettonico, avendo come obiettivo un uso prossimo allo zero di materie prime e, se possibile, evitando l’uso irreversibile di suolo. 1 Si veda Le Corbusier, Vers une architecture, 1923

(Re)-using the container, living the city by Lenny Valentino Schiaretti In recent years, the use of containers in architecture has become a commonplace practice. A completely different method for designing and developing architecture and our cities, compared to a more traditional approach. The way many architects think and work is often still con ned to the past, unable to look to the future and to meet citizens’ needs. Sustainability, modularity, and reuse are some of the most highly debated topics today. These are words that require architecture to reconsider its approach to both the design and building phases, in order to satisfy current and future social and cultural needs, and the requirements of the city we live in. What is the reason behind the (re)use of containers in architecture? Can they be considered as a proper alternative to traditional building methods? What role can the containers play in innovative living and urban space planning, and can these new models coexist with current ones? This article seeks to answer these challenging questions, and through a short overview of examples from around the world, shows why we need to rethink architecture in a different way. A more dynamic, exible and receptive way, open to change.

Nella pagina a anco, in alto: mattoncini Lego (a sinistra) e terminal container, città metalliche che crescono a vista d’occhio (a destra). In basso: Platoon Cultural Development, Berlino.

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1 - WOBO, la World Bottle, John Habraken, 1960.

Architettura modulare e reversibile

2 - Nella pagina a anco, in alto: casa per studenti Keetwonen, Amsterdam. 3 - Platoon Cultural Development, Seul. 4 - Asilo Ogura Asaki, Saitama.

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I container possono essere così pensati, all’interno della città, come la parte Software, a bassa resilienza, facilmente installabile, rinnovabile e implementale, di un organismo costituito in cui la parte Hardware, per così dire permanente e difficilmente modicabile, è costituita dalle costruzioni tradizionali. Parte essibile e parte permanente dialogano tra di loro tramite il Network, costituto dai sistemi di viabilità 2. I moduli realizzati con container comportano quindi un basso livello di Carbon Footprint (sempre rapportato all’edilizia tradizionale), grazie ad un virtuoso iter progettuale, realizzativo e di demolizione: rapidità della fase progettuale, modularità e capacità intrinseca di sopportare carichi considerevoli, unite alla relativa facilità della loro riconversione a moduli abitativi. La fase di costruzione è inoltre sempli cata rispetto a quella di un edi cio tradizionale. Il trasporto e l’installazione giocano a loro favore, il cantiere risulta di conseguenza più economico e sicuro. La demolizione, in ne, non comporta quasi nessuna delle comuni problematiche in edilizia, quali l’abbattimento delle strutture murarie, lo smaltimento dei ri uti con i costi di trasporto e relative autorizzazioni, l’inquinamenti dell’aria e del suolo e i forti dispendi energetici: tutte cose tipiche delle costruzioni in cemento armato, caratterizzate da un’alta entropia. I manufatti realizzati con container offrono la possibilità, nuova e quasi inesplorata nel mondo dell’architettura, di spostare l’edi cio in altre aree, estendendone il suo ciclo di vita, dedicandolo a nuove funzioni e all’occorrenza ottimizzarlo. Così come, nel 1966, la “Walking City” di Archigram, progettata da Ron Herron, ipotizzava una città futurista, in perenne mutamento, la modularità offerta dall’uso dei container, forte della facilità di adattamento, in modo più site speci c e ragionato della futurista “città a piedi” del gruppo di avanguardia architettonica, apre a scenari nuovi e molto interessanti. La loro riconversione ad alta essibilità, seguendo i bisogni urbani e socio-culturali di un luogo, 2 Sul concetto Software, Hardware e Network applicato alla città si veda Pirazzoli Giacomo, Rulli Bianca Maria, Schiaretti Lenny Valentino, GreenUp! a Smart City, Allemandi & C., 2013

permette, a fronte di un limitato impegno di risorse, di far fronte a grossi problemi nella odierna complessità metropolitana, nonché di agevolare la riquali cazione ambientale in contesti urbanizzati o degradati. Viviamo in un momento sociale ed economico di crisi globale e la progettazione deve essere in grado di offrire risposte appropriate e accessibili. Le tecniche di costruzione in cemento armato, laterizio e ferro hanno dei limiti che le nostre città non sono più in grado di accogliere o mascherare e il territorio libero sta estinguendosi. È urgente una revisione dell’approccio progettuale degli spazi per abitare che, non ignorando ciò che il passato ha potuto insegnarci, possano indirizzarsi maggiormente verso progetti architettonici modi cabili nel tempo in accordo con le nuove istanze ed essere, contemporaneamente, reversibili così da lasciare il terreno, alla ne del loro ciclo di vita, nello stesso modo o addirittura migliore di come era quando vi si erano insediati. Il tema della essibilità in architettura necessita di una breve nota di ri essione. Gli obiettivi piani cati in fase di piani cazione del territorio possono variare in modo imprevisto, facendo diventare obsolete, dopo pochi anni, le previsioni fatte e rendendo necessari nuovi interventi per accogliere la futura programmazione per la gestione delle aree di suolo. Cambiamenti che fanno diventare intere parti di città degli organismi architettonici in crisi, obsoleti, abbandonati e, soprattutto, incapaci di adeguarsi al loro intorno. Pensare e progettare un organismo architettonico che preveda l’eventualità di operazioni di addizione e sottrazione, mantenendo la reversibilità dell’intervento, è un fattore che diventa quindi di notevole importanza.

Il (ri)uso dei container In questo contesto i contenitori metallici si dimostrano un chiaro esempio per dare una concreta risposta a questi cambiamenti partendo dal riuso di elementi abbandonati; un tema che ci permette di introdurre il secondo fattore che ne sta favorendo la diffusione. La notevole quantità di container parcheggiati e spesso abbandonati, nei terminal delle aree portuali a causa di un processo commerciale alterato, al punto che le società e le compagnie di commercio preferiscono far sostare, a tempo indeterminato e a pagamento, i


TRASPORTI & CULTURA N.54-55 propri container nelle aree adibite allo stoccaggio di questi “simboli della globalità”, nell’attesa, spesso vana, che possano essere nuovamente caricati con altra merce per effettuare un nuovo viaggio. Purtroppo di frequente accade che il tempo della sosta sia talmente lungo da poter ritenere il container abbandonato; gli agenti atmosferici e gli accidentali urti nei depositi, facendo deperire le parti metalliche, rendono questi box metallici non più utilizzabili. Questa situazione ha come risvolto drammatico l’aumento inesorabile dell’occupazione di suolo nelle aree dei terminal che, in alcuni casi, diventano talmente estese da poter parlare di città deserte e metalliche. I container abbandonati si acquistano a cifre molto basse che variano dai 600 ai 2.000 euro, a seconda del modello e dello stato di conservazione, a fronte dei circa 7.000 euro necessari per l’acquisto di uno nuovo. Un curioso e interessante riferimento sul riuso “creativo” di materiale industriale applicato all’architettura, può essere individuato nel progetto WOBO del 1960 di John Habraken. È forse possibile fare un parallelo tra l’approccio che ha portato l’architetto olandese a realizzare, per la nota azienda di birra Heineken, apposite bottiglie in modo da poterne estendere il ciclo di vita, facendole diventare i mattoni di una casa e l’utilizzo dei container come mattoni per (ri)costruire la città. In entrambi casi un prodotto dell’industria riceve una seconda vita: è esautorato dalla sua funzione originaria ma, grazie ad un prolungamento del suo LCA, assolve brillantemente ad altri bisogni, risolvendo allo stesso tempo altre problematiche che sarebbero sorte con il termine del suo ciclo di vita, in primis lo smaltimento. L’importanza quindi del (ri)uso dei container va oltre la mera questione formale-architettonica ma ha un forte risvolto ambientale e socio-culturale. Portatore di molti vantaggi sulla sfera pubblica, apre a nuove opportunità professionali, ad un maggiore coinvolgimento sociale ed un diverso utilizzo delle risorse, creando nuovi bisogni e stimolando nuove relazioni con le istituzioni. William Morris nel 1881 de nì l’architettura come “l’insieme delle modi che e alterazioni introdotte sulla super cie terrestre in vista delle necessità umane […], [non] possiamo con dare i nostri interessi nell’architettura a un piccolo gruppo di uomini istruiti, incaricarli di cercare, di scoprire, di foggiare l’ambiente dove poi dovremo star noi, e meravigliarci di come funziona, apprendendolo come una cosa bell’e fatta; questo spetta invece a noi stessi, a ciascuno di noi […]”3. Parole ancora oggi attuali che rimarcano l’importanza di partire da un profondo cambiamento nel modo di vedere l’intervento dell’uomo sulla città e sul territorio e una revisione del ruolo dell’architetto nel processo di piani cazione e progettazione che deve aprirsi ad un maggiore ma sopratutto concreto coinvolgimento dei cittadini.

Una breve panoramica su alcuni interventi Tra le nazioni in Europa più sensibili al problema della temporaneità dell’intervento architettonico, un posto posto di rilievo spetta all’Olanda, paese 3 Da The Prospects of Architecture in Civiliza on, discorso tenuto da William Morris presso il London Institution, 1881.

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5 - L’itinerante Puma City Shipping Container Store. 6 - Il Bar Pier88 a Padova.

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in cui i valori ambientali e sociali sono stabilmente incorporati nel sistema urbanistico, tra i più efcienti al mondo. Negli ultimi quindici anni sono stati realizzati interventi edilizi che adottano unità abitative ricavate da container o da strutture modulari temporanee; edi ci che rispondono ad esigenze momentanee o di breve durata e che da anni svolgono egregiamente la propria funzione. Essendo stati tra i primi interventi a livello urbano con container, meritano sicuramente la nostra attenzione. Ad Amsterdam, dal 2004, sono state messe in pratica politiche pubbliche per progetti reversibili, tramite un contratto d’uso temporaneo e sono nati interessanti casi studio per il riuso di aree urbane residuali, con formule di contratto temporaneo (della durata di 5 anni e rinnovabili per altri 5), con indicate le categorie di utenti a cui destinare la struttura da edi care. Rientrano in queste politiche le residenze per studenti realizzate, nel 2006 e 2008, dal gruppo Tempohousing nei quartieri periferici di Keetwonen e Diemen di Amsterdam. Gli interventi hanno riquali cato grandi aree della città, luoghi marginali ormai in disuso”. Keetwonen risulta la più grande container city al mondo con 1.034 alloggi, mentre Diemen ne ha 250. Le due case per studenti si sviluppano su cinque piani con singole unità abitative, progettate all’interno di singoli container da 40’ (12,20 m), con due affacci ciascuno ed ampie vetrate per una sufficiente illuminazione interna. Il bagno, nel centro del modulo abitativo, organizza gli ambienti di giorno (soggiorno-cucina) e notte (camera da letto), collegati tra loro da un breve disimpegno. I blocchi di appartamenti sono serviti, in entrambi i casi, da ballatoi in ferro che si

affacciano sulle corti verdi, ad uso esclusivo degli studenti, utilizzate anche come parcheggio per le biciclette. Purtroppo alcuni buoni spunti tipologici, distributivi e tecnici, presenti in questi interventi, sono stati poco sviluppati. I motivi si possono ricondurre sia a ragioni di ordine economico che legate ad un approccio progettuale inadeguato. Il modulo container ha tra i suoi limiti l’essere vincolato nelle sue proporzioni da limiti ben precisi. Venendo però utilizzato non solamente come spazio abitabile ma anche come elemento che delimita uno spazio da abitare offre notevoli opportunità al progetto, liberando nuove forme di aggregazione e dando la possibilità di creare spazi con ampie luci, totalmente svincolati dalle rigide proporzioni del container. Lo stesso ragionamento può essere applicato per l’organizzazione di spazi privati di maggiori dimensioni, probabilmente non indispensabili in una casa per studenti, ma di cui tener conto in altri tipi di residenze. Un esempio in tal senso è offerto dai due interessanti interventi realizzati dall’associazione fondata da Graft Architects, in cooperazione con Baik Jiwon e Platoon Cultural Development. Il primo, costruito a Seul nel 2009, utilizza 28 container su quattro livelli ed offre, tra le varie funzioni, un bar con una terrazza, spazi espositivi, shop, uffici e quattro alloggi per artisti con una sala polivalente al secondo piano. Molti di questi ambienti affacciano sulla corte interna, illuminata con un lucernario sul tetto. Seguendo l’esempio dell’edi cio di Seul, è stato costruito a Berlino, nel 2012, un edi cio in un vuoto urbano, costituito da 34 container disposti in modo da creare due corpi principali disposti su tre livelli, collegati in cima da altri container, appoggiati ortogonalmente ai sottostanti. Si viene così a creare uno spazio centrale a tutt’altezza, architettonicamente molto interessante. Purtroppo va segnalato che gli edi ci si appoggiano su una base in calcestruzzo armato, vani cando parte dei bene ci di una costruzione con moduli temporanei. Un virtuoso esempio di riuso dei container navali è opera dello studio di architettura Hibino Sekkei + Youji no Shiro, intervenuto su un tema molto delicato: una scuola d’infanzia in una delle aree a più alta sismicità al mondo. Per far fronte ai nuovi standard legislativi, il preesistente asilo è stato trasformato e reso esso stesso spazio educativo, così da mostrare alle nuove generazioni un differente modo di costruire la città e i suoi spazi. Un approccio che ha premiato gli architetti, capaci in breve tempo di realizzare uno spazio perfettamente rispondente alle richieste, dal basso impatto ambientale e progettato in simbiosi con l’ambiente circostante, in particolare con gli alberi preesistenti, non abbattuti ma resi parte del progetto. Il legno naturale, visibile dalle ampie nestre, rende accoglienti gli spazi interni della scuola e si contrappone all’acciaio dei container all’esterno, lasciato a vista. Alcuni interessanti progetti hanno sapientemente sfruttato le capacità statiche del container. Infatti questo modulo metallico possono essere assimilati ad una grande trave scatolare in pareti sottili. Questo grazie alla solidarietà tra travi, solaio e pareti in lamiera grecata. Tale trave scatolare ha quindi una sezione di grandi dimensioni e possiede una inerzia essionale decisamente consistente, pur a fronte di spessori molto sottili. Ciò offre l’opportunità di realizzare interessanti combinazioni


TRASPORTI & CULTURA N.54-55 volumetriche con relativa facilità. Un esempio in tal senso viene dall’itinerante Puma City, progettato nel 2008 dallo studio LOT-EK: un negozio, realizzato con 24 container riciclati, uno spazio “pubblico” essibile e removibile per poter essere spedito dovunque nel mondo. Questo negozio viaggiante sfrutta sia gli spazi liberi esterni nati dallo slittamento dei container tra di loro per creare aree esterne o terrazze, sia la libertà offerta dalla struttura portante del container: infatti le pareti laterali, in alcune aree interne, sono completamente eliminate in modo da creare ambienti più sviluppati in larghezza e adeguati alle necessità. In Italia gli interventi di edilizia temporanea sono limitati sia da ragioni culturali ma anche da questioni burocratiche. Infatti è obbligatorio richiedere una pratica per l’ottenimento di una licenza edilizia, annullando molti dei vantaggi ( essibilità, rapidità di esecuzione, mobilità, etc…) descritti in questo articolo. Nonostante le varie limitazioni, alcuni interventi realizzati sul territorio italiano, pur suscettibili ancora di miglioramenti, sono degni di menzione e possono essere considerati un valido punto di ri essione. Tra questi il bar Pier 88 a Padova. Si tratta di una struttura temporanea, interamente removibile, presentata nel 2018, su un’area demaniale nella periferia (ottenuta in concessione tramite bando di gara), affacciata sul ume Bacchiglione. Progettato dallo studio It’Ing, abbina il riutilizzo di 2 container dismessi al legno degli interni e del patio. Un impianto fotovoltaico per ridurre l’impatto energetico del locale è invece integrato nella copertura dell’edi cio. Interessante da un punto di vista sociale anche il connubio tra architettura e Street art, come il murale presente nella facciata dell’edi cio.

Conclusioni La pratica dell’utilizzo di container riciclati per creare una nuova architettura è oggi relativamente diffusa e mostra che sia possibile creare un nuovo linguaggio e dare delle nuove risposte ai problemi del progettare anche grazie ad un differente approccio al progetto, rispetto alle prassi dei decenni passati. Come spesso accade nel tentativo di percorrere nuove strade, i risultati si prestano a giudizi sia negativi che positivi. Va però riconosciuto a molti dei progetti realizzati con moduli temporanei (di cui questo articolo mostra solo alcuni esempi), di aver fornito una risposta efficace alle richieste della città e dei suoi abitanti dove molti edi ci “ tradizionali hanno spesso fallito. Questo può già considerarsi un successo. Dimostrano altresì come sia possibile pensare e fare una nuova architettura, rispondente alle necessità della contemporaneità, non chiusa in se stessa o nell’autocelebrazione e che non si arroghi il diritto di incidere in maniera permanente sul futuro dei luoghi e di chi li abita. Le periferie delle nostre città, costruite dal dopoguerra ad oggi, si sono inserite in maniera spesso violenta e irrispettosa della nostra quotidianità, in uenzando negativamente anche le nostre abitudini. Una mancanza di rispetto non solo verso il passato delle città ma soprattutto verso il futuro delle sue generazioni, obbligate ora a dover far fronte ad enormi problematiche, a volte irrisolvibili e quasi sempre dovute ad un approccio al progetto sbagliato e miope. Un’architettura quindi che non ha tenuto conto delle conseguenze e delle persone intorno ad essa. Dal momento che

l’architettura è pensata e realizzata per le persone è difficile giusti care l’operato, disseminato nelle nostre città, di generazioni di architetti e addetti ai lavori. I container non sono ovviamente la soluzione a tutti questi problemi, ma sono un interessante elemento che offre l’opportunità ai progettisti e ai cittadini di aprire gli occhi e cercare di costruire un’architettura differente e più aperta ai cambiamenti. Forse l’unica architettura che possa dirsi sostenibile. © Riproduzione riservata

Bibliogra a e Sitogra a Le Corbusier, Vers une architecture, Paris, 1939 William Morris, The Prospects of Architecture in Civilization, conferenza alla London Institution, 10 marzo 1881. Pirazzoli Giacomo, Rulli Bianca M., Schiaretti Lenny V., GreenUp! a Smart City, Turin-London-New York, Allemandi & C., 2013 Pirazzoli Giacomo, Verdesca Daniele, “Sostenibile e Reversibile”, Rivista Specializzata, n° 195, BE-MA Editrice, Ottobre 2010, p.634

Platoon Cultural Development, “Platoon Kunsthalle”, Rivista Materia, n° 67, Federico Motta Editore, Settembre 2011, p. 106 Rulli B., Schiaretti Lenny V., GreenUp. A case-study in Paris, Jahrestagung 2015 der DASL – Vorbereitender Bericht MEHR STADT_Teil 2, Ed. DASL - Deutsche Akademie für Städtebau und Landesplanung, 2015, p. 05-06, Rulli B., Schiaretti Lenny V., Finding a rede nition of the relationship between rural and urban knowledge. ICAFUS 2015, XIII International Conference on Agriculture, Food and Urbanizing Society, Amsterdam, NL, 2015 Rulli B., Schiaretti Lenny V., An innovative approach combining Urban Agriculture and Temporary Land Use. On Sustainability, 11th Sustainability Conference, Copenhagen, DK, 2015 Schiaretti Lenny V., Moduli reversibili per social housing con-temporaneo: il caso studio della RSA a Copertino, Tesi di Laurea, 2011

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De commercii evolutione: dialoghi romani sui centri commerciali e sul futuro degli spazi pubblici di Giusi Ciotoli e Marco Falsetti

A conclusione del seminario dottorale “Architettura come contenitore ibrido: lo spazio pubblico negli edi ci all inclusive” organizzato dalla professoressa Alessandra Criconia all’interno del dottorato Architettura Teorie e Progetto, si è tenuta in Roma la presentazione del numero 51 di Trasporti & Cultura. Il volume “Centri commerciali, le nuove piazze” ha offerto l’occasione – ad alcuni autori del numero e ad ospiti invitati per l’occasione – di confrontarsi su un tema di grande attualità, al quale sono connesse molteplici dinamiche e problematiche della città contemporanea. Il seminario ha visto intervenire, presso la sede di Fontanella Borghese della Facoltà di Architettura di Roma Sapienza, Orazio Carpenzano, Alessandra Criconia, Laura Facchinelli, Luca Tamini, Massimo Ilardi, Emiliano Ilardi, Carlo Cellamare, Marco Falsetti, Giusi Ciotoli e Alessandro Lanzetta. A dispetto della grande centralità che riveste oggigiorno all’interno della società, il tema del centro commerciale non è stato – salvo poche eccezioni – continuativamente indagato dalla letteratura scienti ca. In tal senso, il numero 51 della rivista e l’incontro romano segnano un passaggio importante nella comprensione di un fenomeno ancora in evoluzione, che ha profondamente cambiato il modo di vivere la città e i commerci che in essa si svolgono. Dal confronto sono emersi tre ambiti tematici: uno legato alla dimensione territoriale del centro commerciale (Carpenzano e Tamini), uno connesso alla molteplicità di concezione nei diversi contesti geogra ci e culturali e, dunque, ai cambiamenti del paradigma urbano (Facchinelli, Ciotoli e Falsetti), l’ultimo inerente le trasformazioni tipologiche e linguistiche del mercato e il conseguente mutamento di ruolo che, dagli anni Settanta, i luoghi del commercio hanno sperimentato (Criconia, Ilardi, Cellamare, Lanzetta). La natura delle trasformazioni intervenute negli ultimi anni sembra quindi suggerire un ripensamento del termine “centro commerciale” in relazione alle sue diverse scale: quella dell’edi cio, quella della città e quella del territorio. Dall’analisi del pro lo evolutivo del centro commerciale emerge infatti una pluralità di indirizzi ai quali non sempre corrisponde una univocità di risposte spaziali, bensì categorie tipologiche diverse (una galleria cittadina è molto diversa da un mall o da un retail suburbano). Occorre dunque riconoscere come da un comune “ceppo” tipologico si siano sviluppate – e si stiano ancora sviluppando – forme profondamente diverse, tanto nell’impianto architettonico quanto nella dinamica territoriale. È il caso dei grandi hub regionali che, come ha sottolineato Luca Tamini, trascendono ormai la dimensione del

De commercii evolutione: Roman dialogues on shopping centers and the future of public spaces by Giusi Ciotoli and Marco Falsetti The presentation o ssue number 51 of Transporti & Cultura was held in Rome, after the doctoral seminar “Architecture as a hybrid container: public space in all-inclusive buildings” organized by Professor Alessandra Criconia within the PhD Program “Architecture Theories and Project”. The volume “Shopping centres, the new squares” offered some authors of the issue and guests invited for the occasion, the opportunity to discuss a very topical issue, to which multiple dynamics and problems of the contemporary city are connected. The seminar was attended by Orazio Carpenzano, Alessandra Criconia, Laura Facchinelli, Luca Tamini, Massimo Ilardi, Emiliano Ilardi, Carlo Cellamare, Marco Falsetti, Giusi Ciotoli and Alessandro Lanzetta at the Faculty of Architecture of Rome Sapienza in Fontanella Borghese. In spite of its great centrality within society today the theme of the shopping centre has not been – with few exceptions – continuously investigated by scienti c literature. In this sense, issue 51 of the magazine and the Roman meeting mark an important step in understanding a phenomenon that is still evolving, which has profoundly changed the way of experiencing the city and the businesses that take place in it.

Nella pagina a anco, in alto: Outlet Village di Molfetta; in basso: il centro logistico Amazon di Passo Corese, Rieti.

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TRASPORTI & CULTURA N.54-55 non-luogo con gurandosi come super-luoghi che innescano dinamiche autonome, avulse dall’ambiente metropolitano al quale geogra camente appartengono. Il legame con l’infrastruttura gioca in questo caso un ruolo fondamentale nel conformare un network di singolarità allineate lungo una direttrice (nel caso esaminato la via Emilia estesa no a Milano). Negli ultimi anni l’avvento dell’e-commerce ha prodotto un ulteriore cambio di paradigma dando vita a grandi contenitori di merci nei quali, differentemente da tutti gli altri spazi commerciali, non avviene alcuna interazione umana “reale”. Cionondimeno, pur essendo sostanzialmente depositi di manufatti, al loro interno lavorano molte persone con il conseguente incremento lavorativo ed economico per le aree limitrofe. Basti pensare, in tal senso, al deposito di logistica Amazon di Passo Corese, nel Reatino, che dà lavoro ad oltre 1.200 persone ma, al contempo, costituisce una minaccia sia per il commercio al dettaglio che per i grandi centri commerciali. Negli ultimi anni infatti il mercato on-line si sta con gurando come ulteriore layer del sistema commerciale, un fenomeno che sta minando i luoghi sici dello scambio a favore di macrodepositi di merci che si comprano e vendono su internet. Tale successo è in realtà dovuto – oltre che alla immediatezza del mezzo – al fatto che non esiste adeguata consuetudine giuridica che regoli i diversi aspetti normativi del fenomeno – come il regime scale delle società proprietarie, il consumo di suolo, la sostenibilità ambientale di tali strutture, etc. Quello del centro commerciale-hub è una tra le tipologie in progress più indicative dell’ultimo decennio di globalizzazione. La differente scala dei traffici e della movimentazione delle merci coinvolte, sta infatti generando strutture commerciali diverse da quelle che possiamo considerare tradizionali. È infatti possibile riconoscere l’esistenza di due tipologie commerciali: una interna al tessuto urbano (evolutasi a partire dal passage parigino in arcade poi galleria etc., e ancora attiva) e una esterna, divenuta “tessuto estrinsecato” (il mall). In tal senso quest’ultima reca ancora con sé l’originaria natura “tessile”, non a caso riproduce arti cialmente la varietà di un brano di città – e la relativa struttura di nodi, poli etc. – pur essendo sostanzialmente monofunzionale. A differenza del tessuto commerciale vero e proprio, nel mall non sono infatti presenti funzioni miste come la residenza (riscontrabile invece in tutti i modelli urbani dall’arcade alla shōtengai) né tantomeno edi ci speciali quali teatri e auditorium. Proprio il legame tra teatro e commercio è alla base di un recente intervento di riquali cazione e trasformazione architettonica come il Teatro Italia a Venezia divenuto un negozio Despar. Gli esempi veneziani (Teatro Italia e Fondaco dei Tedeschi) illustrati da Laura Facchinelli introducono nel tema in questione una ulteriore dimensione di ri essione, che verte sul riuso di edi ci storici che hanno perso l’originaria funzione. A questo lone vanno ricondotti i progetti – non sempre condivisi – di Rem Koolhaas a Venezia e di Vincent Van Duysen a Roma il cui uso, talvolta disinvolto, dei linguaggi moderni ha dato vita ad una scrittura parodistica dell’edi cio commerciale. Questi sono infatti progetti “ambivalenti”: da una parte esprimono la volontà di risemantizzare

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un edi cio ormai in disuso e che non può essere ripristinato nell’originaria funzione, dall’altra tentano di porsi come collettori di brand del lusso. Relativamente ai casi romani, non si può eludere il confronto con l’altra Rinascente, quella di Franco Albini e Franca Helg, che invece stabilisce un ruolo urbano dialettico con il tessuto commerciale circostante. Diversamente da questa, la nuova Rinascente di via del Tritone costituisce un mero contenitore di esperienze effimere, tutte riconducibili al mondo pubblicitario del lusso e delle griffe, rispondendo, in tal modo, ad esigenze puramente arti ciali ed economiche (come sostenuto da Emiliano Ilardi). D’altronde la genesi di simili operazioni – oltre che alla logica speculativa – è legata al tentativo di dare nuova linfa vitale ai centri storici, in quanto «se sono sempre più numerose le persone attratte dai caleidoscopici centri commerciali – che costituiscono, ormai, le nuove piazze per vivere e incontrarsi – inevitabilmente i centri delle città vengono a poco a poco abbandonati, vittime della loro “normalità”»1. Per tale ragione, dunque, la “rigenerazione” messa in atto dalla Rinascente di Van Duysen, come nel Teatro Italia a Venezia, assume il ruolo di motore di una conversione architettonica e urbana forse necessaria (per evitare l’abbandono degli edi ci stessi) ma problematica e, in alcuni casi, nanche pericolosa per le potenziali alterazioni dei meccanismi identitari che sono associati ai luoghi della città storica. Il caso romano – sul quale indaga da tempo Alessandra Criconia – risulta oltremodo interessante perché in esso convivono i due loni evolutivi tratteggiati poc’anzi (quello legato al tessuto urbano e quello estrinsecato): accanto alle moderne declinazioni dei grandi magazzini vi è infatti un complesso sistema di polarità periferiche, sorte intorno alle grandi infrastrutture, che ha dato vita ad un paesaggio tanto criptico da un punto di vista simbolico-iconogra co quanto familiare per il fruitore. Sono questi i grandi mall periurbani di 1 Facchinelli L., Centri commerciali, le nuove piazze, in “Trasporti & Cultura”, maggio-agosto 2018, n. 51, p. 5.

Parco Leonardo, Bufalotta, Ponte di Nona e Porta di Roma, descritti da Carlo Cellammare e Alessandro Lanzetta, complessi al contempo familiari ed alieni, all’interno dei quali si ritrova – e si identi ca – tutta una comunità di abitanti-fruitori che gravita intorno ad essi. Tali edi ci ibridi, soprattutto se collocati al di fuori del tessuto commerciale della città, testimoniano i cambiamenti urbani e sociali che dagli anni Settanta ad oggi le metropoli stanno affrontando. Si tratta di quella cultura del presente e della libertà di attraversare il territorio di cui ha parlato Massimo Ilardi, e che è riscontrabile in diversi contesti globali, come testimoniano i casi del Giappone, della Corea e di Hong Kong, dove spesso coesistono, l’uno accanto all’altro, molteplici modelli urbani. L’eterogeneità asiatica impone una ulteriore ri essione sulle possibilità di comprendere le ricadute di tipologie commerciali ancora assenti nelle città europee, come le shōtengai (descritte da Marco Falsetti), le connessioni underground e in quota (indagate da Giusi Ciotoli) e gli edi ci ibridi come le stazioni ferroviarie che legano sempre più l’infrastruttura al commercio. Dalla vivacità del dibattito e dall’interesse che il numero della rivista ha suscitato all’interno del seminario emerge dunque la necessità di ampliare l’analisi sul tema dei “nuovi luoghi del commercio” e di estendere lo spettro di tali conoscenze anche ad altri ambiti disciplinari, come la sociologia e la morfologia urbana. Aperture tanto più necessarie quanto più si palesano le problematiche connesse alla globalizzazione, la comprensione delle quali potrà forse chiarire il fondamentale passaggio dall’homo ludens all’homo economicus.

1 - Nella pagina a anco, in alto: la sede di piazza Fontanella Borghese a Roma, con la sede della Facoltà di Architettura della Sapienza. 2 - Nella pagina a anco, al centro: scene urbane, Mc Arthur Glen, Designer Outlet di Castel Romano. 3 - Nella pagina a anco, in basso: Porta Urbica, Mc Arthur Glen, Designer Outlet di Castel Romano. 4 - In questa pagina: un momento della presentazione alla Facoltà di Architettura.

© Riproduzione riservata

Nella pagina seguente: veduta notturna con nave portacontainer (in alto) e container in sosta su un piazzale (in basso). Fonte: https://www. port.venice.it/it/container. html-0

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Autori Paolo Costa - Già Professore Ordinario Università Ca’ Foscari, Venezia Hassiba Benamara -Economic Affairs Officers in the TLB/Transport Section of UNCTAD Jan Hoffmann - Head, Trade Logistics Branch (TLB) of UNCTAD Luisa Rodriguez - Economic Affairs Officers in the TLB/Transport Section of UNCTAD Frida Youssef - Frida Youssef: Chief, TLB/Transport Section of UNCTAD Thierry Vanelslander - Ph.d., Research Professor on Transport, Logistics and Ports, Faculty of Business and Economics, Department of Transport and Regional Economics, University of Antwerp Francesco Filippi - Professore Ordinario di trasporti e logistica, CTL, Sapienza Università di Roma Laura Ghio - Dirigente Autorità di Sistema Portuale del Mar Ligure Occidentale e Professore a Contratto Università di Genova Vittorio Torbianelli - Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Orientale, Unità Progetti Speciali; già Prof Ass. di Economia Applicata, Università di Trieste Stefania Silvestri - Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Orientale, Unità Progetti Speciali Marco Pasetto - Prof. Ordinario, Dipartimento Ingegneria Civile Edile Ambientale, Università di Padova Giovanni Giacomello - Ingegnere PhD, DICEA, Università di Padova Pietro Spirito - Presidente dell’Autorità di Sistema Portuale del Mar Tirreno centrale Oliviero Baccelli - Direttore del Centro CERTeT (Centro di Economia Regionale dei Trasporti e del Turismo), Università Bocconi e coordinatore del Master MEMIT Alessandro Panaro - Responsabile Maritime & Energy, SRM Agostino Cappelli - già Professore Ordinario, dipartimento di Culture del progetto, Università Iuav, Venezia Andrea Appetecchia – Responsabile Osservatorio nazionale sul trasporto merci e la logistica di Isfort Michelangelo Savino - Prof. Ordinario di Tecnica e Piani cazione urbanistica, DICEA, Università di Padova Massimiliano Porto - Lecturer, Facoltà di Economia, Kobe University, Giappone Lenny Valentino Schiaretti - Architetto - Atelier LVS Architecture, Monaco di Baviera Giusi Ciotoli - PhD, DiAP, Università La Sapienza, Roma Marco Falsetti - PhD, Ricercatore Postdoc DiAP, Università La Sapienza, Roma

Questo numero della rivista è stato curato da Paolo Costa, già Presidente Commissione Trasporti al Parlamento Europeo, e Giovanni Giacomello, ingegnere PhD, DICEA, Università di Padova.

Copyright Questa rivista è open access, in quanto si ritiene importante la libera diffusione delle conoscenze scienti che e la circolazione di idee ed esperienze. Gli autori sono responsabili dei contenuti dei loro elaborati ed attribuiscono, a titolo gratuito, alla rivista Trasporti & Cultura il diritto di pubblicarli e distribuirli. Non è consentita l’utilizzazione degli elaborati da parte di terzi, per ni commerciali o comunque non autorizzati: qualsiasi riutilizzo, modi ca o copia anche parziale dei contenuti senza preavviso è considerata violazione di copyright e perseguibile secondo i termini di legge. Sono consentite le citazioni, purché siano accompagnate dalle corrette indicazioni della fonte e della paternità originale del documento e riportino fedelmente le opinioni espresse dall’autore nel testo originario. Tutto il materiale iconogra co presente su Trasporti & Cultura ha il solo scopo di valorizzare, sul piano didattico-scienti co i contributi pubblicati. Il suddetto materiale proviene da diverse fonti, che vengono espressamente citate. Nel caso di violazione del copyright o ove i soggetti e gli autori avessero qualcosa in contrario alla pubblicazione, si prega di darne immediata segnalazione alla redazione della rivista - scrivendo all’indirizzo info@trasportiecultura.net – e questa provvederà prontamente alla rimozione del materiale stesso, previa valutazione della richiesta.

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ISSN 2280-3998 / ISSN 1971-6524

www.trasportiecultura.net


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