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CITTÀ E PICCOLI BORGHI, TECNOLOGIE PER TRASPORTI A DIMENSIONE UMANA 1
Comitato Scienti co:
Oliviero Baccelli CERTeT, Università Bocconi, Milano Paolo Costa già Presidente Commissione Trasporti Parlamento Europeo Alberto Ferlenga Università Iuav, Venezia Giuseppe Goisis Filosofo Politico, Venezia Massimo Guarascio Università La Sapienza, Roma Stefano Maggi Università di Siena Giuseppe Mazzeo Consiglio Nazionale delle Ricerche, Napoli Cristiana Mazzoni Ecole Nationale Supérieure d’Architecture, Strasburg Marco Pasetto Università di Padova Franco Purini Università La Sapienza, Roma Michelangelo Savino Università di Padova Enzo Siviero Università telematica E-Campus, Novedrate Zeila Tesoriere Università di Palermo - LIAT ENSAP-Malaquais Luca Tamini Politecnico di Milano
In copertina: Minimetro di Perugia, infrastruttura e paesaggio.
Maria Cristina Treu Architetto Urbanista, Milano
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Rivista quadrimestrale
87 L’INNOVAZIONE DEI SISTEMI DI MOBILITÀ IN ITALIA: UN’OPPORTUNITÀ STRATEGICA
gennaio-aprile 2019 anno XIX, numero 53
QUALITÀ URBANA
Direttore responsabile Laura Facchinelli Direzione e redazione Cannaregio 1980 – 30121 Venezia e-mail: laura.facchinelli@trasportiecultura.net laura.facchinelli@alice.it
NELLE CITTÀ 13 ASCENSORI IN CITTÀ
INNOVATIVO E PICCOLE CITTÀ:
DALL’AEROPORTO DI BOLOGNA
La rivista è sottoposta a double-blind peer review
57 INTERMODALITÀ, TERRITORIO E Traduzioni in lingua inglese di Olga Barmine
INTERMODALE DELL’AEROPORTO La rivista è pubblicata on-line nel sito www.trasportiecultura.net 2019 © Laura Facchinelli Norme per il copyright: v. ultima pagina Editore: Laura Facchinelli C.F. FCC LRA 50P66 L736S Pubblicato a Venezia nel mese di aprile 2019 Autorizzazione del Tribunale di Verona n. 1443 del 11/5/2001 ISSN 2280-3998 / ISSN 1971-6524
TRASPORTI & CULTURA N.53
Cities and small towns, transportation technology at the human scale by Laura Facchinelli
The idea for this issue arises from our familiarity with Tuscany, Umbria, with our regions where cities were founded on hilltops and only in recent decades have expanded into industrial and residential districts on the plain, served by railway and high-speed road systems. The residents of hilltop towns have always been accustomed to steep slopes and stairs in their everyday lives, and similar difficulties challenge visitors to cities that are fascinating in terms of urban structure and atmosphere, dating back to the Medieval era. The temptation today, which is sometimes a necessity, is to use the automobile, with the inevitable consequence that it now invades our streets, sacri ces pedestrian spaces, undermines air quality. Only the structure of certain ancient hill towns makes it practically impossible for automobiles to circulate, but often this is considered to be a limit, leading to a serious problem of accessibility that can discourage both residents and tourists. How can this problem be addressed? To get past the steep stretches, the science of engineering has, since the late nineteenth century when automobiles did not yet exist, developed mechanized transportation systems that make it possible to travel up steep inclines, rapidly and in a straight line, that otherwise would require long journeys along winding roads. Gradually, technological progress has led to increasingly sophisticated and efficient systems known as “eptometric”: technologies for distances symbolically calculated as 100 metres long (an eptometre) to travel by ropeways, vertical or inclined elevators, people movers. Today the problem appears particularly urgent: for better accessibility, a city and especially a small town on the margins of the larger ows, may offer a better quality of life, and can therefore encourage residents to stay, or return there. There is also a perspective of tourist development, which could be an important factor in the economy of a region. Naturally planning a new public transport system must follow from speci c decisions made by local administrations. It is therefore important, in assessing the relationship between costs and bene ts, that the positive effects under consideration include often “forgotten” factors such as reducing pollution, saving time to travel from one place to another, reducing stress, and as a result improving citizens’ psychological and physical wellbeing, and contributing to reduce social inequality. It is necessary – when traditional transportation services are inadequate – to open the mind to unexpected and even daring new solutions. In cities, in small towns, in all the places that – in our country – have some history, eptometric systems raise questions about the compatibility of technology (with its mechanisms, forms, dimensions, materials) with the urban fabric that has survived over the centuries and sometimes remained miraculously intact. This means that these technologically innovative infrastructures, a visible and lasting expression of modernity, must respect the history of these places, their beauty and harmony. So before introducing high-tech transportation systems, it is important to de ne the solutions that can adapt best; the systems must be designed carefully and intelligently. Not necessarily by commissioning a trendy architect, who might impose his hallmark style. It could on the contrary be an opportunity to involve local professionals who know the history and the face of their own territory and that, stimulated to examine similar situations, might mature new experiences. With a watchful administration, balanced decisions, careful calculations of the construction and management costs, the social and economic results of a system will probably be positive. Familiarity with the territorial con guration of our country leads us to focus on small to medium cities, but eptometric systems are equally suited to solve the mobility requirements of metropolitan cities as well. The geographical distance should not cause us to forget that in other continents, ropeways for example have also been introduced in large urban agglomerations: a measure that not only slows down the exponential growth of traffic, but has always, in certain peripheral districts, demonstrated a social value of inclusion, and possible advancement.
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Città e piccoli borghi, tecnologie per trasporti a dimensione umana di Laura Facchinelli
L’idea di questo numero della rivista nasce dalla conoscenza della Toscana, dell’Umbria, delle nostre regioni dove le città sono sorte arroccate su una collina e solo negli ultimi decenni si sono estese con insediamenti produttivi e residenze nella pianura, che è servita dalla ferrovia e da arterie stradali percorribili velocemente. Gli abitanti dei centri storici in collina sono da sempre avvezzi, nella vita quotidiana, ai percorsi acclivi e alle scalinate, e analoghe difficoltà si trovano ad affrontare i visitatori di quelle città affascinanti per la struttura urbana e l’atmosfera che risalgono no al Medioevo. La tentazione, quando non necessità, oggi, è quella di usare l’automobile, con l’inevitabile conseguenza che questa invade le strade, sacri ca gli spazi pedonali, compromette la qualità dell’aria. Solo la struttura di certi antichi borghi rende praticamente impossibile la circolazione delle automobili, ma questo non di rado è vissuto come un limite. Pertanto si presenta un serio problema di accessibilità, che può scoraggiare sia gli abitanti che i turisti. Come affrontare il problema? Per superare i tratti acclivi, l’ingegneria ha messo a punto – già da ne ‘800, quando gli autoveicoli ancora non esistevano – speciali sistemi di trasporto meccanizzati che consentivano di superare dislivelli, di compiere velocemente in linea retta percorsi che altrimenti obbligavano a tempi lunghi su tracciati tortuosi. Gradualmente, lo sviluppo della tecnologia ha portato ad impianti sempre più so sticati ed efficienti. Si tratta dei sistemi cosiddetti “ettometrici”: tecnologie per distanze simbolicamente calcolate sui 100 metri (l’ettometro, appunto), da superare con funicolari, ascensori verticali o inclinati, people mover. Oggi il problema si presenta con particolare urgenza: con una migliore accessibilità, una città, in particolare una piccola città periferica rispetto ai grandi ussi, può offrire una migliore qualità della vita, e quindi può invogliare gli abitanti a rimanervi, o a ritornarvi. Si pone anche una prospettiva di valorizzazione turistica, che può costituire una voce importante per l’economia di un territorio. Naturalmente la programmazione di un nuovo sistema di trasporto pubblico nasce da una scelta precisa delle amministrazioni locali. È necessario che, nel valutare il rapporto costi-bene ci, si considerino, fra gli effetti positivi, voci purtroppo spesso “dimenticate” come la riduzione dell’inquinamento, il minor perditempo negli spostamenti, il minore stress, e quindi il conseguente maggior benessere psico- sico dei cittadini, oltre al contributo per la riduzione degli squilibri sociali. È necessario – quando i servizi di trasporto tradizionali sono inadeguati – aprire la mente a possibili soluzioni nuove, inaspettate, persino audaci. Nelle città, nei piccoli borghi, in tutti i luoghi che – nel nostro paese – hanno una storia, i sistemi ettometrici pongono però interrogativi sulla compatibilità della tecnica (con i suoi meccanismi, le forme, le dimensioni, i materiali) con i tessuti urbani che hanno attraversato i secoli restando, talvolta, miracolosamente intatti. Ciò comporta che queste infrastrutture tecnologicamente innovative espressione della modernità, visibili e persistenti nel tempo, sappiano rispettare la storia dei luoghi, la loro bellezza, la loro armonia. Pertanto, per introdurre sistemi di trasporto ad alta tecnologia, si debbono individuare le soluzioni più adatte; gli impianti vanno progettati con cura, con intelligenza. Non necessariamente chiamando un architetto di grido, che probabilmente imporrebbe la propria cifra stilistica. Si potrebbe, invece, cogliere l’occasione per coinvolgere i professionisti locali che conoscono la storia e la sionomia del proprio territorio e che, stimolati al confronto con altre situazioni, potrebbero maturare nuove esperienze. Con un’amministrazione accorta, con scelte equilibrate, calcolando correttamente il costo della costruzione e quello della gestione, il bilancio economico-sociale di un impianto probabilmente risulterà in attivo. La familiarità con la con gurazione territoriale del nostro Paese ci induce a considerare soprattutto le città medio-piccole, ma i sistemi ettometrici ben si prestano a risolvere le esigenze di mobilità anche delle metropoli. La lontananza geogra ca non ci faccia dimenticare che in altri continenti, per esempio, sono stati introdotti impianti a fune anche nei grandi agglomerati urbani: una misura che, oltre a frenare la crescita esponenziale del traffico, ha assunto, per alcuni quartieri periferici, una valenza sociale di inclusione, di possibile riscatto.
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Introduzione: trasporti pubblici e traffico privato nelle città di Stefano Maggi
In un libro del 1931, intitolato Difesa del traffico ferro-tranviario, Pietro Biraghi scriveva: “Ciò nonostante vediamo ogni giorno più preferito il trasporto per automezzo. A questo maggiore sviluppo penso non sia estraneo, anzi sia assai favorevole, un fattore psicologico. È fuor di dubbio che chi viaggia in automobile, sia poi esso di sua proprietà, o sia noleggiato o sia anche un semplice autobus di linea, ha la sensazione di essere più libero nei suoi movimenti, e prova una speciale impressione che gli fa ritenere di essersi un pochino elevato di grado nella scala sociale… Il fatto di condividere con pochi altri viaggiatori l’occupazione di una vettura che si sposta, e corre velocemente per trasportare lui, gli dà un certo senso di superiorità che lo soddisfa; il fatto stesso che la polvere o gli spruzzi di fango sollevati dalle ruote, ed il puzzolente scarico del motore vanno ad investire l’umile viandante o carrettiere che incontra, lo diverte; e tanto più lo diverte che ne sente le imprecazioni. La velocità del veicolo ch’egli meglio percepisce, perché la sente più da vicino, lo interessa”1.
La citazione è decisamente attuale per il tema della soddisfazione personale nel guidare un mezzo veloce e indipendente. Eravamo allora ben lontani dalla motorizzazione di massa, ma l’atteggiamento delle persone era molto simile a quello di oggi, indice di una mentalità individualistica e perciò incline ai mezzi privati, molto più che in altri luoghi d’Europa, dove il trasporto pubblico di massa su rotaia (ferrovia e poi tramvia) si era storicamente affermato nel XIX secolo.
Trasporto privato e modernizzazione Dalle cifre del 1931, l’incremento di automobili private è stato di quasi 210 volte, passando da 186.131 a 39.018.1702. La situazione, diventata nel corso del tempo sempre più insostenibile, ha reso indispensabili interventi di mitigazione del traffico, di cui si parla tanto, realizzando pochissimo. Eppure, muoversi meglio è necessario nel XXI secolo per risolvere i problemi di inquinamento e di congestione stradale, e ancora di più per avere strade sicure. Nelle metropoli, è ormai acquisita 1 Pietro Biraghi, Difesa del traffico ferro-tranviario, Roma, Tipogra a Editrice Minervini, 1931, pp. 4-5. 2 Automobile in cifre, Torino, Associazione nazionale fra industrie automobilistiche, 1931, p. 168; Automobile Club d’Italia, Autoritratto 2018, Roma, maggio 2019, in http://www.aci.it/ leadmin/documenti/studi_e_ricerche/dati_statistiche/autoritratto2018/Note_metodologiche_e_considerazioni_2018. pdf, consultazione del 14 luglio 2019.
Introduction: public transportation and private traffic in cities by Stefano Maggi The rise in the number of automobiles over the past century has been dramatic, and the situation has become increasingly unsustainable. In metropolitan cities, local administrations now consider it a priority to create transportation systems that offer an alternative to automobiles: but users of buses, trains, elevators and escalators are few, while the tendency to drive privatelyowned automobiles remains strong. Similarly, in small and medium-sized cities, for various reasons beginning with the limited access to public services, there is a widespread notion that it is essential for mobility to use one’s private means. Projects to develop sustainable mobility, especially in small and mediumsized cities, are stuck at the phase of “creating” voluntary alternatives to the car, accompanied by “light” awareness campaigns on the themes of sustainability. Little or nothing has been done to concretely induce people to leave their automobiles at home. In city planning, expansion is slowly giving way to urban regeneration and there is a new urgency to the unresolved question of integrating city planning and mobility at both the local and national levels, in legislation and in planning practices. The essays contained in this issue of the magazine, focused on innovative transport systems, offer a glimmer of hope for a better perception and realization of sustainable mobility in the twenty- rst century.
Nella pagina a anco: vedute di strade segnate dalla presenza invadente di automobili in sosta, a Genova (in alto) e Palermo (in basso). Foto di Laura Facchinelli
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TRASPORTI & CULTURA N.53 ne. Il tasso di motorizzazione italiano è tuttavia il più alto del mondo dopo gli Stati Uniti, paese con un reddito pro-capite più elevato e moderne città realizzate con grandi spazi a misura d’automobile. Il crescente traffico automobilistico che ne consegue è stato a lungo considerato un corollario indispensabile della modernità.
Muoversi in ambito urbano fra passato e presente
1 - Foto del 1939 che riprende un intenso traffico a Largo Chigi, Roma. Fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/ File:Largo_Chigi39.jpg
l’idea della necessità di trasporti sostenibili e dunque di incrementare i vari modi di trasporto pubblico, ma nelle città piccole e medie permane un circolo vizioso che – partendo dalla rarefazione del servizio pubblico – porta a pensare che l’uso dei mezzi propri risulti indispensabile e imprescindibile per muoversi. In Italia, questa condizione perdura dai decenni del “miracolo economico”, cioè dagli anni 1950-60, quando il tentativo di far affermare l’automobile nella mentalità comune, contro i mezzi pubblici, ebbe un successo tale da soppiantare tutto e da scavalcare tutti. Nel 1951, per fare un solo esempio, nacque in Parlamento il gruppo “Amici dell’Automobile”, trasversale ai vari partiti, giusti cato dal fatto che “sono ormai milioni i professionisti, gli appassionati, gli sportivi, i lavoratori dell’automobile; si è giunti a tal punto da non ammettere neanche per ipotesi di poter prescindere dall’ausilio della motorizzazione nella vita del Paese”3. Da allora, pian piano, con l’avanzare delle nuove generazioni dei “nativi automobilistici”, ognuno si è abituato a spostarsi in auto, nonché a considerare un diritto acquisito quello di andare ovunque e gratis con la propria macchina, no a generare fenomeni di forte opposizione contro qualsiasi tipo di pagamento per l’uso delle infrastrutture, dai parcheggi a tariffa ai pedaggi stradali. L’utilizzo dell’automobile ha progressivamente invaso tutto il mondo sviluppato e il trasporto pubblico ha subito ovunque un declino, più o meno accentuato a seconda degli investimenti e degli interventi di sostegno adottati per favorire la mobilità collettiva. In Italia la situazione è aggravata dalla presenza di tanti centri storici inadeguati a ospitare le macchi3 S. Foderaro, Il gruppo parlamentare “Amici dell’automobile”, in “Politica dei Trasporti”, n. 1, maggio 1951, p. 7 e p. 11.
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Il tema della mobilità sostenibile ha acquisito un ruolo sia nell’agenda dei policy makers sia nel dibattito scienti co, per l’importanza fondamentale che l’argomento riveste in numerose problematiche tra loro interconnesse che caratterizzano le moderne società: dalla qualità dell’ambiente alla salute, dalla qualità della vita al grado di felicità riportato dagli individui. Tutti temi fra il sociale e l’economico che hanno trovato negli ultimi anni alcuni indicatori, per renderli in qualche modo “misurabili”. In una società in mano agli algoritmi, la “misurabilità” diventa un elemento importante di preparazione all’azione. Questo vale anche per l’analisi costi-bene ci nei trasporti (peraltro “pilotabile” – come si è visto in più casi – perché il risultato dipende dagli ingredienti contenuti nell’algoritmo). In ogni caso, si continua a ragionare con funzione meramente conservativa dello stato attuale. Per fare un solo esempio, si continua in maniera preponderante – rispetto alle nuove infrastrutture e servizi pubblici – a progettare e a realizzare nuove strade per contenere un numero sempre maggiore di auto, quando si sa bene che occorre incentivare gli spostamenti con i mezzi pubblici. Il carattere multidimensionale del dibattito sulla mobilità sostenibile e la stretta interdipendenza tra i vari aspetti coinvolti richiede un approccio multidisciplinare alla ricerca sul tema, capace di coinvolgere competenze provenienti dai vari ambiti disciplinari oggetto d’analisi. E invece dominano le ricerche ingegneristiche ed economiche, trascurando quelle sulla salute e sugli aspetti socio-culturali. I nuovi modelli di mobilità sostenibile passano infatti per una nuova cultura della mobilità, con cui tutti dovranno confrontarsi, dai policy-makers ai produttori di mezzi di trasporto. Per esempio, chi produce auto sportive “rombanti”, dovrà spiegare ai propri clienti affezionati al rumore i vantaggi dei nuovi motori elettrici. Negli ultimi due decenni, il problema del traffico è stato esaminato soprattutto per i suoi effetti sull’inquinamento da polveri sottili – grazie anche all’implicito sostegno delle case produttrici di automobili interessate a vendere la nuova produzione meno inquinante – mentre un’attenzione molto minore ricevono i temi della congestione stradale e della saturazione dello spazio, fattori che hanno ri essi importanti sulla qualità della vita. Oltre il 60% della popolazione dell’Unione europea vive in centri abitati con più di 10.000 abitanti. La maggior parte dei cittadini europei si trova quindi alle prese con problemi simili e le istituzioni sono alla ricerca di soluzioni condivise. A causa del traffico, ogni anno l’Europa perde circa 100 miliardi di euro, mentre aumentano le emissioni inquinanti e gli incidenti stradali si concentrano in città: un incidente mortale su tre si veri ca in area urbana, con vittime gli utenti più deboli, cioè pedoni e ciclisti. Questi dati allarmanti hanno indotto sempre di più
TRASPORTI & CULTURA N.53 le amministrazioni locali a considerare tra le proprie priorità di intervento la creazione di sistemi di trasporto alternativi all’auto. Tuttavia, ad oggi i cittadini utenti di autobus, treno o dei nuovi sistemi come ascensore, scala mobile, people mover, sono ancora molti di meno rispetto ai non utenti. A parte alcuni esempi di centri turistici in Svizzera, di cui il più noto è Zermatt, e soprattutto Pontevedra in Spagna4, le città sono invase dalle automobili e dalle moto, con l’individualismo imperante di chi vuole muoversi in maniera “insostenibile” per la società, per l’ambiente e per la salute. Questo “impero” della motorizzazione privata ha frenato la creazione dei modi di trasporto collettivi e la crescita dei servizi di trasporto pubblico. Va sottolineata anche la carente percezione delle cifre e dei problemi dei trasporti da parte dell’opinione pubblica, che fa capire quanto manchi la comunicazione dei fatti “trasportistici” anche recenti: ed esempio, la diffusione eccessiva dei mezzi a motore non trova alcun riscontro nelle conoscenze collettive, perché – come al solito – ciò che cambia lentamente di fronte ai nostri occhi si tende a non guardarlo e dunque a non comprenderlo. Ad oggi vi sono molteplici iniziative dell’Unione europea che si muovono nella direzione di incentivare e premiare un trasporto urbano ed extraurbano sostenibile, sia dal punto di vista economico e ambientale che da quello sociale, come ad esempio il premio “Sustainable Urban Mobility Plans (SUMPs)” rivolto alle amministrazioni locali. Un altro aspetto su cui la normativa europea è particolarmente signi cativa dal punto di vista della sostenibilità sociale dei trasporti è quello dei diritti dei passeggeri. La Commissione, nella sua Comunicazione a Parlamento e Consiglio del 2011 (COM 2011-898) ha, infatti, affermato: “Le regole sui diritti dei passeggeri nell’UE garantiscono un livello minimo di tutela dei cittadini e in tal modo facilitano la mobilità e l’integrazione sociale, contribuendo a istituire condizioni eque per gli operatori di trasporto appartenenti allo stesso modo di trasporto o a modi diversi…Per incoraggiare un numero signi cativo di cittadini a passare dal trasporto privato a quello collettivo e a scegliere un viaggio intermodale come alternativa agevole e affidabile, occorre una normativa unionale dei diritti dei passeggeri che garantisca condizioni uniformi di accesso per i passeggeri e un livello minimo di qualità del servizio. I passeggeri devono poter ritenere che il loro viaggio non sarà un avvenimento incerto o stressante”.
I progetti di sviluppo della mobilità sostenibile, soprattutto nelle città piccole e medie, sono fermi alla stadio di “creazione” di alternative volontarie all’automobile e di sensibilizzazione “leggera” verso i temi della sostenibilità. Poco o niente è stato fatto per indurre le persone a lasciare a casa l’automobile, ad esempio parcheggi a pagamento e divieti d’ingresso rigidi nei centri storici. Poco si sta facendo sulla limitazione dello spazio per le auto4 Cfr. H. Monheim, Better mobility with fewer cars: e new transport policy for Europe, Geographical paper n. 165, January 2003, https://www.reading.ac.uk/web/ les/geographyandenvironmentalscience/GP165.pdf; C. Mosquera et alii (a cura di), Pontevedra. Otra ciudad, Pons Seguridad Vial SL, Madrid 2015. A Zermatt circolano soltanto piccoli veicoli elettrici, mentre le auto devono fermarsi a Täsch, a 7 km di distanza con un parcheggio da 2.100 posti coperti; da qui si può proseguire in taxi o in treno ogni 20’. A Pontevedra sono state attuate molte misure per l’eliminazione delle barriere architettoniche, per la riduzione del traffico e della velocità, per le pedonalizzazioni, per i percorsi sicuri casa-scuola, all’interno di un modello di recupero della città per le persone, con al centro il pedone e non l’automobile.
mobili, da restituire ai pedoni e da assegnare alle biciclette e ai mezzi pubblici. Qualche pista ciclabile, poche corsie preferenziali per i bus, alcuni esempi di bike sharing sono stati realizzati; alcuni esempi di sistemi di trasporto collettivi innovativi sono stati completati negli ultimi anni. Quindi, qualche timido intervento per affrontare la questione c’è stato, come dimostra questo numero della rivista Trasporti e Cultura, ma nel complesso ci si continua a muovere in auto in maniera assolutamente preponderante. È chiaro che negli ultimi 60-70 anni si è creato un sistema economico e sociale sempre più legato all’automobile e che quindi ora è difficile tornare indietro. Molte persone hanno basato la loro vita sul viaggio in auto: non soltanto quei lavoratori che devono spostarsi per motivi professionali, ma anche tutti coloro che hanno scelto di vivere in luoghi lontani dal posto di lavoro per i più svariati motivi, dal minore costo delle abitazioni alla volontà di abitare isolati in campagna. In una situazione di completa dispersione degli insediamenti residenziali, commerciali e industriali, il trasporto pubblico non può arrivare dappertutto e se le distanze da percorrere non sono alte, risulta anche difficile creare dei “nodi” di scambio dove far lasciare l’auto e trasferire le persone sui mezzi pubblici collettivi, perché quando i cittadino è salito in auto risulta molto difficile farlo scendere. Spesso, quando qualche amministratore o mobility manager gli fa presente l’alternativa del servizio pubblico, risponde in maniera scocciata, come se il traffico non fosse un suo problema, semmai sono gli altri che devono risolvere a lui la questione delle code che incontra quando va a lavoro o quando torna, aumentando la capacità delle strade di contenere automobili.
Il modal split e la mentalità di spostamento Nella piani cazione urbanistica, si sta oggi faticosamente passando dall’espansione alla rigenerazione urbana e si pone con nuova urgenza il problema mai risolto di integrare urbanistica e mobilità a livello sia locale che nazionale e a livello sia di legislazione che di piani cazione. Nelle città metropolitane, l’accessibilità all’“area vasta” riporta in auge il trasporto pubblico e in particolare i servizi ferroviari, da connettere insieme5. Nel Rapporto Ecosistema urbano di Legambiente 2018, si rileva che… “Dopo anni di stasi tornano nalmente a crescere anche le isole pedonali, grazie a grandi interventi di recupero dello spazio cittadino, realizzati a Palermo, Firenze, Cosenza e in diversi altri centri della penisola. Mentre è in grossa sofferenza il trasporto pubblico locale, dove alla contrazione dell’offerta tra 2008 e 2017 si accompagna una scontata riduzione dei passeggeri: nell’ultimo anno in media gli abitanti delle città italiane hanno fatto tre viaggi di andata e ritorno al mese su bus, tram e metropolitane”6.
Il servizio di trasporto pubblico ha riportato andamenti differenziati secondo le dimensioni delle città: nelle piccole si continua a veri care una con5 Innovazioni tecnologiche e governo della mobilità Rapporto 2018, Camera dei Deputati, Roma 30 gennaio 2019, Mario Sebastiani Presentazione del Rapporto S.I.Po.Tra. 6 Legambiente, Ecosistema urbano. Rapporto sulle performance ambientali delle città, 2018, p. 12.
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2 - Una piazza di Pisa dove le automobili in sosta sovrastano visivamante gli edi ci storici.
trazione del servizio, con una media di 33 viaggi all’anno per residente nel 2017 (34 nel 2016 e 35 nel 2015); le città di medie dimensioni hanno una media di 70 viaggi all’anno; quelle grandi sono passate da 211 nel 2015, a 217 nel 2016, a 222 nel 20177. Eppure anche nelle città piccole (meno di 80.000 abitanti), vi sono consistenti differenze fra una e l’altra: spiccano in particolare i casi di Siena con 156 viaggi per abitante e di Belluno con 818. Il trasporto pubblico locale dipende in maniera preponderante dai contributi pubblici: biglietti e abbonamenti coprono (o dovrebbero coprire) il 30 per cento dei costi, per cui Regioni e Comuni devono mettere in media 2,19 €/km per avere il servizio, mentre nel Regno Unito bastano 1,21 €/ km e in Germania 1,67 €/km. Si tratta di cifre così consistenti da mettere in difficoltà i Comuni se le Regioni non decidono di impegnare voci notevoli del loro bilancio, dato che il nanziamento del trasporto pubblico locale è stato trasferito alle Regioni con il Decreto legislativo 422/19979. Si tratta dunque di un costo molto alto per le nanze pubbliche, accompagnato da un costo molto alto per il cittadino, che non trova incentivo economico nell’uso del mezzo pubblico. Per fare un esempio pratico, la Toscana ha portato il prezzo del biglietto a 1,50 € in tutte le città capoluogo, senza introdurre alcun tipo di agevolazione per le famiglie. Per andare da una periferia al centro, una famiglia di 3 persone paga 4,50 € per andare e 4,50 € per tornare. Si tratta di 9 € a fronte di una spesa di carburante che potrebbe risultare circa 1/5, se la distanza percorsa è intorno ai 10 km. Dunque, con il mezzo pubblico non va quasi nessuno, se non 7 Ivi, pp. 18-19. 8 Ivi, p. 59. 9 Decreto Legislativo 19 novembre 1997, n. 422, “Conferimento alle regioni ed agli enti locali di funzioni e compiti in materia di trasporto pubblico locale”.
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è da solo e – in genere – se non ha l’abbonamento, il quale abbassa molto il costo di viaggio in caso di necessità di spostamento giornaliero. È purtroppo molto scarso l’uso delle reti su ferro: il trasporto pubblico locale si affida ai bus, lenti e irregolari, perché bloccati nel traffico, visto pure che il tasso di motorizzazione medio ha riportato un altro incremento, da 62,4 a 63,3 auto ogni 100 abitanti nell’ultimo anno. Nonostante i 3/4 degli spostamenti siano inferiori a 10 km e un quarto più breve di 2 km, distanza che potrebbe essere percorsa in bicicletta o a piedi, il numero di automobili continua ad aumentare10. Se le persone che possono farlo cominciassero a spostarsi senza auto, nirebbero le fastidiose code delle ore di punta, che ormai caratterizzano anche le città piccole.
Conclusioni Il trasporto pubblico nelle città piccole e medie ha bisogno di una “scossa”, attualmente sembra qualcosa a sé stante, come se non avesse rapporti con la mobilità cittadina, destinato soltanto a un’utenza debole perché priva di auto o moto (studenti, anziani, immigrati). Il trasporto pubblico deve invece diventare un elemento di congiunzione della città, la progettazione delle linee va raccordata alla politica della mobilità e quindi alla gestione del traffico, con scelte coraggiose che devono venire anche dall’alto, cioè dallo Stato, come ha scritto il presidente di Legambiente nell’ultimo rapporto Ecosistema urbano: “di fronte alle difficili s de della lotta ai cambiamenti climatici, della riduzione di tutti gli impatti ambientali, della tutela della salute e della maggiore vivibilità del10 Legambiente, Ecosistema urbano. Rapporto sulle performance ambientali delle città, cit., pp. 19-20.
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le città italiane, ancora non ci siamo. Restiamo ancora troppo ancorati alle iniziative spot del ministro di turno o alla buona volontà del sindaco visionario… mentre abbiamo evidentemente bisogno che tutti i primi cittadini - e tutti insieme - decidano di rigenerare lo spazio urbano dando nuovi usi e funzioni ad aree marginali o degradate, di investire sull’efficienza dei servizi... O che pedonalizzino parti importanti del centro storico e sviluppino la rete dei mezzi pubblici come avvenuto a Firenze. Che più in generale prendano decisioni, a volte anche impopolari, per l’interesse collettivo, senza fare troppi calcoli elettorali… Serve poi un governo delle città a livello nazionale”11.
Nelle gran parte dei Comuni piccoli e medi, purtroppo, non esiste sinergia fra trasporto e traffico: il bus urbano di rado ha un ufficio pubblico che piani chi e controlli il servizio, mentre il traffico è di solito appannaggio del comando di polizia municipale, che peraltro deve dedicarvi gran parte del proprio tempo, per l’enorme diffusione dei veicoli in movimento e in sosta. Per non parlare del treno, che è visto come un corpo estraneo alla città, sul quale non si può incidere, perché a gestione statale (treni Frecce e Intercity) o regionale (treni regionali). Gran parte dei Comuni non distingue neppure tra programmazione (Regione) e gestione del servizio (Trenitalia o altre imprese), in una completa confusione di ruoli e in una generale mancanza di competenze speci che. A parte qualche caso di buona pratica, come l’Alto Adige, dove è stata creata una rete di trasporto mettendo insieme orari e tariffe di treni, bus urbani, pullman extraurbani e persino funivie e cabinovie, nonchè piste ciclabili, con un’ottima visione d’insieme, la situazione del trasporto si può sintetizzare con uno slogan: “tutti in macchina”, e
se qualche amministratore si prova a far scendere dall’auto i cittadini o a limitare la sosta, ci sono rivolte feroci, non solo dei cittadini ma anche dei commercianti, erroneamente convinti che il cliente arrivi solo e soltanto in automobile. I saggi contenuti in questo numero della rivista, che parlano di sistemi innovativi di trasporto, come i people mover e gli ascensori, di recupero di ferrovie minori e tranvie, di intermodalità fra aereitreni-autoveicoli-biciclette, di accessibilità, forniscono tuttavia uno spiraglio di speranza per una migliore percezione e realizzazione della mobilità sostenibile nel XXI secolo.
3 - La Piazza Grande di Gubbio si offre alla vista in tutto il suo splendore grazie all’assenza di autoveicoli. Le foto di queste due pagine sono di Laura Facchinelli.
© Riproduzione riservata
11 Ivi, pp. 5-6.
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Ascensori in città di Marco Pasetto e Giovanni Giacomello
Il trasporto verticale in molte città del mondo avviene per mezzo di sistemi denominati “ettometrici”: il termine deriva dalla parola “ettometro” e signi ca lunghezza, o distanza, di 100 metri e viene utilizzato perché si presta bene a descrivere i sistemi di trasporto su breve distanza. Questi sistemi sono adatti per creare collegamenti urbani da realizzare in aree orogra che complesse (quali i centri cittadini) o in spazi poco ampi. I sistemi ettometrici sono stati impiegati nelle grandi città (New York, Stoccolma, Parigi, Napoli, ecc.) a partire dalla ne del secolo XIX per la mobilità urbana grazie alla ridotta necessità di spazio rispetto ad altri sistemi di trasporto. Più recentemente, a partire dagli anni ’70 del XX secolo, i sistemi di trasporto di tipo ettometrico sono stati al centro del dibattito pubblico e politico in molte grandi e medie città (all’estero e in Italia) per la riquali cazione dei centri storici. I motivi di tale svolta possono essere sintetizzati nel voler preservare il centro storico dall’automobile e/o rendere possibile il collegamento di zone poste a diverse quote nella stessa città. Alcuni esempi di queste riquali cazioni, che sono avvenute anche di recente tra la ne del secolo XX e l’inizio del XXI, sono riscontrabili in città quali Genova, Perugia, Todi, Frosinone, Biella, Catanzaro, Milano, Napoli e Venezia, dove sono stati costruiti nuovi impianti di tipo ettometrico. A questa categoria appartengono quindi i marciapiedi e le scale mobili, gli ascensori, gli ascensori inclinati, i “people mover” (con monorotaia o con fune) e le funivie.
L’ascensore e il suo funzionamento L’ascensore verticale - L’ascensore verticale è un sistema di trasporto a guida vincolata che permette lo spostamento di una o più persone in elevazione. L’ascensore è utilizzato sia per lo spostamento delle persone all’interno di edi ci sia per facilitare la salita e la discesa delle persone all’esterno degli edi ci (rimpiazzando quindi altri sistemi di spostamento quali la funivia, la funicolare, ecc.). Tutti gli ascensori sono dotati di molteplici sistemi di sicurezza (freni di emergenza, meccanismo di arresto anticaduta, ecc.) Il funzionamento - Gli ascensori possono avere diversi sistemi di funzionamento e si distinguono principalmente per tipo di azionamento: idraulico ed elettrico. Esistono anche ascensori di tipo elettrici a tamburo ma sono molto rari. Gli ascensori elettrici tradizionali, detti anche “a fune”, sono di tipo diretto o indiretto. Generalmen-
Elevators in the city by Marco Pasetto and Giovanni Giacomello The lift (or elevator) is a vertical means of transportation that moves people (or goods) in a building or structure. The lift facilitates people movement and improves travel comfort, guaranteeing accessibility both inside and outside public and private buildings. Since most of the world’s population (about 75%) lives in urban areas, the lift has become one of the most widely used transport modes in the world after the car: 11 million lifts have been built around the world, and Italy is the second country in the world for the number of lifts installed (more than 900,000). Historically, the elevator was invented in 1743 in Versailles (France). This transport mode has been constantly innovated from a technological point of view. After World War II, the lift was still considered to be a useful transport system only in speci c types of building (skyscrapers). In recent years, the elevator has risen to the rank of other popular transport systems: a vehicle similar to a funicular, that can carry a number of persons from one point in a city to another. Recent developments include a horizontal lift that allows people to cover short distances within cities. Since the world population will continue to grow in coming years, it is necessary to plan new cities in terms of infrastructure and transport systems: lifts will become decisive in the case of cities that tend to develop in height. The history of this transport system and how it works will be examined brie y, while vertical and inclined lifts will be listed, describing the most signi cant case studies with a special focus on Italy.
Nella pagina a anco, in alto: ascensore Castelletto Levante, Genova.; in basso: ascensore inclinato a Turku, Finlandia.
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1 - Ascensore inclinato Quezzi, Genova. 2 - Cabine dell’ascensore Montegalletto, Genova.
te la cabina è mossa tramite delle funi di acciaio (oppure tramite cinghie) che vengono trascinate da una puleggia motrice collegata ad un argano azionato da un motore elettrico o direttamente connessa al motore. L’altro capo della fune è collegato ad un contrappeso (pari a quello della cabina più metà della portata) per rendere inferiore il carico che il motore deve muovere. Nell’ascensore di tipo diretto le funi (a cui sono collegate da un lato la cabina e dall’altro il contrappeso) sono trascinate per attrito da una puleggia connessa all’argano. Il tipo indiretto consiste in un più complesso meccanismo di funi e pulegge che riducono la velocità dell’ascensore ma ne aumentano la portata. Il motore dell’ascensore normalmente è a corrente alternata di tipo asincrono trifase perché robusto, poco costoso e richiede poca manutenzione. Gli inverter e altri sistemi elettronici hanno reso il funzionamento dell’ascensore elettrico molto semplice e funzionale, permettendo di variare la velocità del motore all’approssimarsi dello stesso al piano di arrivo. Attualmente gli utenti infatti non avvertono nessuna oscillazione o vibrazione anche viaggiando a velocità elevata (in Italia si va da 0,8 m/s a 8 m/s). Negli impianti idraulici lo spostamento della cabina è reso possibile da una pompa elettrica che invia olio (i primi impianti utilizzavano l’acqua) in pressione ad un cilindro che a sua volta spinge verso l’alto un pistone; questo pistone agisce direttamente o indirettamente attraverso un sistema di funi e pulegge sulla cabina. La pressione dell’olio provoca il movimento ascensionale della cabina dell’ascensore. La discesa della cabina avviene aprendo una valvola di discesa (la cabina scende, come il uido, per effetto della forza di gravità), mentre lo stazionamento ad un piano si ottiene tramite una valvola di non ritorno del uido. L’ascensore idraulico ha numerosi svantaggi che sono legati a: corsa dell’ascensore (limitata dalla lunghezza massima del pistone, che generalmente non supera i 20 metri), necessità di smaltire l’olio presente nell’impianto durante la manutenzione dello stesso (con relativi problemi di riciclaggio), difficoltà nella gestione di un usso elevato di passeggeri e velocità contenuta entro certi limiti (non oltre 1 m/s). L’ascensore inclinato - Un particolare caso di ascensore, molto simile a una funivia o a una funicolare, è l’ascensore inclinato, il cui principio di funziona-
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mento è il “sollevamento” (mentre nel caso della funivia o della funicolare il mezzo è “trascinato” dalla fune portante). L’ascensore inclinato è infatti dotato di una serie di funi come un ascensore qualsiasi (la funicolare ha invece una sola fune). Il controllo del funzionamento in un ascensore tradizionale è demandato al passeggero, mentre nel caso di grande usso di persone e nel caso di sistemi di trasporto pubblici il controllo dell’ascensore è gestito da una sala di controllo remota. La manutenzione degli ascensori inclinati è del tutto simile a quella degli ascensori tradizionali ed è affidata al personale delle industrie produttrici di ascensori. Gli ascensori inclinati sono costituiti dai medesimi meccanismi e sistemi che compongono un ascensore tradizionale (sicurezza, comando e controllo, blocco porte, sollevamento, frenatura, ecc.). Il percorso degli ascensori inclinati solitamente è di tipo rettilineo con un’unica pendenza (compresa tra i 15° e i 75°). Si possono incontrare ascensori inclinati anche con vie di corsa curve (soprattutto in impianti privati) ma la norma EN 81-221 non prevede l’inserimento di curve lungo la via di corsa degli ascensori inclinati, rendendo necessario il ricorso all’analisi dei rischi (Direttiva 95/16/CE). Si possono trovare anche vie di corsa di ascensori inclinati con cambiamenti di pendenza: l’ascensore è dotato in questo caso di un sistema di variazione dell’assetto della cabina dell’ascensore stesso. In generale le vie di corsa degli ascensori inclinati possono avere una lunghezza massima di 400-500 metri e sono costituite da travi in acciaio (oppure da rotaie ferroviarie). La velocità massima degli ascensori inclinati è di 4 m/s. Gli ascensori inclinati trovano impiego principalmente per migliorare la mobilità all’interno dei centri abitati posti su alture e colline e per collegare più agevolmente punti di interesse storico (centri storici, monumenti, forti e bastioni). Attualmente il loro campo principale di utilizzo riguarda il trasporto pubblico, in particolare nelle città medievali alle pendici di colline o arroccate sulla cima di una collina. Le applicazioni di questi sistemi sono molteplici: sempli care il trasporto disabili in 1 La normativa UNI EN 81-22: 2014 contiene le regole per la progettazione, l’installazione e il montaggio e le prescrizioni di sicurezza per gli ascensori con cabina sospesa da funi o catene e traslante in un piano verticale lungo guide che sono inclinate con un angolo compreso tra 15 ° e 75 ° rispetto all’orizzontale.
TRASPORTI & CULTURA N.53 aeroporti, stazioni ferroviarie o della metropolitana (come a Napoli); garantire una maggiore fruibilità per anziani, mamme con passeggini e disabili in castelli o aree archeologiche poste in zone particolarmente accidentate (come avviene nel Forte di Bard in Valle d’Aosta); proporre attrazioni turistiche particolari in torri o grattacieli molto alti con una forte connotazione architettonica o in edi ci su più livelli sfalsati; collegare efficacemente alberghi di lusso o resort ad una spiaggia privata.
Ascensori in città Ascensori verticali - Per la conformazione del territorio su cui si sono sviluppate (compreso tra il mare e le colline retrostanti), Napoli e Genova sono state tra le prime città in Italia a dotarsi di ascensori verticali utili a raggiungere aree poste a differenti quote. Gli impianti della città di Genova sono stati descritti in un apposito paragrafo in seguito. L’ascensore verticale più antico di Napoli è quello denominato “Sanità”, perché collega il ponte della Sanità in via Santa Teresa degli Scalzi con il quartiere Sanità. L’elevatore, la cui corsa tra le due fermate è pari a 22 metri, è in funzione dal 1937 e ha una portata massima pari a 650 kg (circa 8 persone). A Napoli ci sono altri tre ascensori verticali: “Chiaia”, “Acton” e “Ventaglieri”. Il primo, composto da due ascensori, collega via Chiaia con piazza S. Maria Degli Angeli (Monte di Dio) e (dal 1990) è di tipo oleodinamico (ha sostituito quello a fune del 1956). La differenza di quota tra la fermata in via Chiaia e quella di Piazza S. Maria Degli Angeli (via Nicotera) è di 16,6 metri. L’ascensore ha una capacità massima di 850 kg (circa 15 persone). Il secondo collega piazza del Plebiscito con via Ferdinando Acton percorrendo una distanza tra le due fermate di circa 12 metri. L’elevatore, il cui utilizzo è gratuito, è dotato di sistemi automatici di sicurezza che, in caso di guasto, riportano l’ascensore ad una delle fermate. Come il precedente, si tratta di un impianto di tipo oleodinamico e ha una portata massima di 830 kg (circa 14 persone). Il terzo, insieme ad alcune scale mobili, collega la parte bassa del parco Ventaglieri, nel quartiere Montesanto, con la parte alta di via Avellino a Tarsia. L’impianto è composto da due ascensori che insieme hanno una portata massima pari a 850 kg (circa 15 persone). Tutti gli ascensori verticali a Napoli sono pubblici e sono gestiti dall’Azienda Napoletana Mobilità (ANM) S.p.A.. Roma, oltre ai numerosi ascensori presenti nella metropolitana, ha (dal 1997) due ascensori verticali che collegano vicolo del Bottino - tra l’uscita della stazione della metro A e piazza di Spagna con Trinità dei Monti. I due ascensori, che possono contenere 11 persone ognuno e sono ad uso gratuito, hanno un doppio sistema di sicurezza (in caso di sospensione della corrente elettrica e in caso di blocco). Purtroppo il sistema di ascensori si ferma due rampe di scale prima della ne della salita di Trinità dei Monti. Anche la città di Milano, con i suoi numerosi grattacieli, contiene numerosi ascensori. I più interessanti a livello di mobilità pubblica sono: l’ascensore circolare panoramico che da piazza Garibaldi porta a Piazza Gae Aulenti, per il trasporto pubblico nel contesto del nuovissimo quartiere Porta Nuova di Milano; gli ascensori panoramici dei grattacieli del City Life (nuova area di riquali cazione destinata ad un mix di funzioni pubblico/private e con edi ci progettati da Zaha Hadid, Arata Isoza-
ki e Daniel Libeskind); l’ascensore in piazza Duca D’Aosta, che collega la piazza al piano mezzanino della stazione Centrale di Milano; l’elevatore della Torre Branca (disegnata da Giò Ponti nel 1933 e considerata una vera opera d’arte di Milano) che, con una corsa di circa 90 metri, consente di arrivare in cima alla torre per ammirare lo skyline di Milano. A Catanzaro è stato costruito recentemente un ascensore verticale che collega il parcheggio di via Domenico Marincola Pistoia (posto a circa una decina di metri al di sotto del centro città) con il Corso Giuseppe Mazzini, permettendo di parcheggiare comodamente l’auto e di essere a pochi minuti dal centro di Catanzaro. L’impianto è chiamato “Bellavista” perché dalla cabina e dal punto di arrivo in prossimità del centro città si può godere di un bel panorama. Anche l’ascensore verticale che intende realizzare il Comune di Costigliole d’Asti permetterà agli utenti di bene ciare della visuale sul centro storico del paese e sulle colline circostanti perché sarà dotato di una cabina panoramica vetrata. L’impianto (che dovrebbe essere completato entro il 2019) servirà a collegare in maniera più veloce e diretta il parcheggio del Piazzale Alpini e l’ampia super cie attigua ai campi sportivi comunali (attualmente poco utilizzati come parcheggio) e Piazza Medici del Vascello (il centro del paese). Il collegamento con l’ascensore sarà risolto dal lato del centro storico con una passerella e dall’altro con una breve rampa di accesso. L’elevatore, con una capienza di 12 persone, costerà circa 300 mila euro e si svilupperà lungo il sedime della scalinata pedonale esistente che già collega attualmente i due livelli del paese per un dislivello complessivo di circa 20 metri. La disponibilità di nuovi parcheggi in piazzale Alpini, comodamente raggiungibili con l’ascensore, consentirà di aumentare il numero di parcheggi in centro del paese da dedicare alle fasce più sensibili dell’utenza (disabili, mamme con neonati, soggetti ultraottantenni), diminuendo nel contempo il usso di traffico nel paese stesso. All’estero si trovano diverse tipologie di ascensori verticali, molti dei quali sono di tipo panoramico. Il più interessante è l’”Elevador de Santa Justa” a Lisbona (Portogallo). La torre da cui si accede all’ascensore è una struttura neogotica costruita alla ne del XIX secolo dall’ingegnere Raoul Mesnier du Ponsard con tecniche e materiali che hanno molte similitudini con la Tour Eiffel. La differenza di quota tra il piano inferiore (Rua de Santa Justa, nella Baixa) e quello superiore (largo do Carmo) è di trenta metri. È presente un viadotto che rende possibile l’accesso al piano superiore nel quale è presente un locale da cui si può godere di uno splendido panorama della città. Un altro ascensore molto spettacolare è il “Bailong Elevator”. Questo impianto, che si trova nella località cinese di Wulingyuan, è stato costruito tra il 1999 e il 2002 su di una parete montuosa dalle altezze vertiginose (tra i due piani vi sono 326 metri di corsa) suscitando molte polemiche perché la zona è stata de nita patrimonio dell’umanità dall’Unesco nel 1992. In ne altri due esempi di ascensori in città estere sono quelli presenti nella Sky Tower (alta 328 metri) a Auckland in Nuova Zelanda e quello presente all’interno dell’Hotel Radisson Blu a Berlino. Nel primo caso tre ascensori di vetro portano le persone in cima alla torre (da cui si può godere di un immenso panorama) con una corsa totale di 186 metri. Nel secondo caso, invece, l’ascensore è di vetro 15
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3 - Ascensore inclinato di Todi. 4 - .Ascensore di Santa Justa, Portogallo.
ed è stato costruito all’interno di un acquario cilindrico alto 92 metri dando l’impressione a chi lo utilizza di essere dentro l’acquario. Ascensori inclinati - A Todi (Perugia) l’ascensore inclinato, costruito nel 1998, permette di osservare il panorama e di raggiungere comodamente e rapidamente il centro storico della città. Partendo dal parcheggio di Porta Orvietana (il cui costo comprende il biglietto per l’ascensore), la cabina dell’impianto supera in pochi minuti un dislivello di circa 52 metri no a Viale della Vittoria. L’ascensore percorre tra le due fermate una corsa di 134 metri con un’inclinazione costante di 24 gradi e ha una portata massima di 2250 kg. A causa dei suoi 21 anni di servizio e della continua manutenzione necessaria, l’elevatore inclinato non riesce a garantire un usso di turisti costante. Recentemente il comune di Todi (maggio 2019) ha proposto alla regione Umbria di costruire altri due ascensori verticali per collegare il parcheggio esistente ai piedi dell’ascensore inclinato con il centro città. Si tratta di un sistema che, a partire da un tunnel pedonale la cui entrata sarebbe ricavata vicino al parcheggio, coprirebbe verticalmente un dislivello totale di circa 38 metri (prima all’interno del colle e poi all’aperto) no ad arrivare ad una passerella che lo connetterebbe al belvedere dei Giardini Oberdan. Con lo stesso scopo è stato costruito l’impianto presente nella città di Frosinone. L’elevatore collega i parcheggi di via Francesco Veccia con via Casilina in corrispondenza di piazzale Vittorio Veneto, nel centro storico della città. L’impianto, che passa al di sotto della via Biondi, è stato oggetto di polemiche a causa di numerosi fermi dovuti a problemi di manutenzione. Nel 2007 è stato installato un ascensore inclinato nella metropolitana di Napoli all’interno della stazione Mergellina della linea 6: l’impianto viene utilizzato per scendere dall’interno dell’edi cio di stazione al piano della linea della metropolitana. L’ascensore inclinato di Cuneo è un impianto che 16
collega la parte bassa della cittadina piemontese (Oltregesso) con il centro cittadino (Corso Giuseppe Garibaldi). Durante la salita e la discesa è possibile ammirare, anche in questo caso, il panorama della città. Il progetto nacque all’inizio del 2000 (progetto di funicolare) ma solamente nel 2005, vista la bassa pendenza da superare e la brevità del percorso senza fermate intermedie, si optò per un ascensore inclinato. L’impianto, iniziato a costruire nel 2006 e aperto al pubblico nel 2009, copre in circa 45 secondi un dislivello totale di circa 27 metri. La cabina di ultima generazione può portare in totale circa 26 persone. L’ascensore inclinato di Ariccia (Roma), entrato in funzione nel dicembre del 2011, collega il parcheggio Bernini sotto il Ponte di Ariccia con piazza di Corte. L’impianto è inteso a valorizzare il borgo seicentesco dotandolo di un’infrastruttura moderna che permette una maggiore fruizione della città, eliminando traffico e inquinamento dal centro. Un ulteriore esempio di ascensore inclinato è quello costruito per migliorare l’accesso al forte di Bard, un complesso forti cato costruito sulla rocca che sovrasta il borgo di Bard, in Valle d’Aosta. Il forte, che attualmente ospita diverse tipologie di esposizioni e musei (arte antica, arte moderna, fotogra a, ecc.), è stato totalmente restaurato e aperto ai visitatori nel gennaio 2006. Dal 2016 è presente un impianto composto da tre ascensori inclinati (corsa totale di circa 107 metri, inclinazione compresa tra 36 e 52 gradi e portata 1.150 kg) che permettono di raggiungere comodamente il forte dal fondovalle. Un impianto con ascensore inclinato è operativo anche a Biella dal 2018. La storica funicolare, costruita nel 1885 per collegare il quartiere di Biella Piazzo a Biella Piano, era diventata obsoleta ed era stata oggetto di un completo recupero con un intervento non invasivo. Il progetto di restauro ha portato in due anni ad un completo riutilizzo della sede di corsa dove è stato installato un ascen-
TRASPORTI & CULTURA N.53 sore inclinato che corre su rotaie. La stazione di valle è situata in piazza Curiel e quella di monte in via Avogadro. Il tragitto, che dura pochi minuti, copre una lunghezza complessiva di 177 metri. Il mezzo di trasporto urbano è gratuito ed è il modo più suggestivo e veloce per visitare la parte alta della città, lasciando l’auto nel parcheggio della stazione di valle. Il progetto nasce con l’intento di mantenere una mobilità alternativa, efficiente, non inquinante, oltre che la memoria storica e urbanistica dell’abitato. È già in fase di costruzione invece l’ascensore inclinato tra l’abitato di Riva del Garda e il bastione veneziano che sovrasta il paese stesso. Il percorso ripercorre, innovandolo, il vecchio tracciato della funivia. L’ascensore sarà costruito senza intaccare il bastione storico e avrà il terminal superiore all’interno del ristorante panoramico posto a lato del bastione stesso. Dall’ascensore si potrà godere dello stupendo panorama di Riva del Garda e del lago. Un esempio di progetto di ascensore inclinato per raggiungere mete di rilievo storico-culturale è il caso di Brescia e del suo castello. Il percorso, in parte sotterraneo e in parte panoramico, inizia dalla Fossa Bagni e termina al Piazzale della Locomotiva (ovvero il piazzale antistante l’ingresso del Castello). L’ascensore inclinato potrebbe trasportare turisti e visitatori al castello in meno di un minuto ( no a 600 persone all’ora a pieno regime). Per realizzarlo servirebbero più di 2 milioni di euro e un anno di lavori, mentre i costi di gestione annui sono stati quanti cati in 20 mila euro. Il sistema, il cui progetto coinvolge il Comune, Brescia Mobilità e la Fondazione Brescia Musei (che si occupa della gestione del millenario maniero cittadino) non ha ancora avuto il via libera per la sua effettiva costruzione (forse anche a causa degli elevati costi di costruzione e di manutenzione). In Italia esistono altri esempi di ascensori inclinati. Ad esempio: a Rapallo (presso il Santuario di Montallegro), a Loreto, a Imperia, a Pino Torinese e a Torino. All’estero è stato inaugurato all’inizio del mese di giugno 2019 a Turku (città di quasi 200mila abitanti in Finlandia) un nuovo ascensore inclinato che conduce sulla collina di Kakolanmäki. L’elevatore serve per assicurare un collegamento rapido della zona alla rete dei trasporti urbani. L’impianto a fune, realizzato con un investimento complessivo di 5 milioni di euro, si ispira alla funicolare di Castel San Pietro di Verona. Il nuovo impianto, chiamato “Kakolan Funicolaari”, è di proprietà della municipalità ed è gestito da un operatore locale: in funzione per 21 ore al giorno, collega gratuitamente la nuova zona residenziale (riconversione urbanistica di un complesso carcerario in cui troveranno a vivere oltre 2.500 persone) con la fermata di autobus ai piedi della collina. L’ascensore, con una corsa lunga 132 metri, è in grado di trasportare 480 persone all’ora superando in 1 minuto e 11 secondi un dislivello di 30 metri, grazie all’automazione integrale non necessità di personale di manovra e, come un normale ascensore, può essere chiamato semplicemente premendo un pulsante. Stoccolma presenta degli ascensori dalla forma sferica che percorrono attraverso delle rotaie l’esterno dell’edi cio sferico più grande del mondo, l’Ericsson Globe Arena (uno spazio per concerti ed altri eventi inaugurato nel 1989). Gli elevatori, inaugurati nel 2010 e noti come “Skyviewe”, portano gli utenti a 130 metri di altezza in cima all’Ericsson Globe, dalla cui vetta si può ammirare lo skyline della parte meridionale di Stoccolma. Gli ascensori han-
no una cabina del diametro di circa 4,5 metri e sono in grado di portare no a 16 persone. Sono presenti altri esempi di ascensori verticali al di fuori dell’Italia. Ad esempio in Francia vicino a Ponte D’Orleans a Parigi è presente un ascensore inclinato perfettamente inserito nella facciata di un edi cio che accoglie una residenza universitaria. L’ascensore ha 9 fermate unilaterali, 60 m di corsa, un’inclinazione costante di 25° e una portata massima di 630 kg. Sempre in Francia, il trasporto pubblico a Le Tréport tra la parte bassa della città (lungomare) e la parte alta avviene mediante degli ascensori inclinati (che hanno rimpiazzato le precedenti funicolari). L’impianto, composto da 4 ascensori paralleli con propria via di corsa (di lunghezza 160 metri ciascuna), ha un’inclinazione costante di 32 gradi e una portata massima di circa 500 kg per ascensore. Altro esempio in Francia è l’ascensore costruito nella metropolitana di Parigi nella stazione di Saint-Lazare con corsa di circa 8 metri, inclinazione costante di 30 gradi e una portata massima di circa 600 kg. In Spagna sono presenti due esempi di ascensori inclinati: il primo a Bilbao (realizzato nel 2004) e il secondo a Vizcaya (nel nord della Spagna). Quest’ultimo impianto è stato costruito nel 2017 e ben si inserisce nel contesto della città. L’ascensore inclinato segue una linea retta, minimizzando la quantità di suolo ingombrato dalla via di trasporto, consentendo l’accessibilità e migliorando la vivibilità urbana. Presenta 3 fermate, una lunghezza dell’impianto di 46 metri, un’inclinazione costante di circa 14 gradi e può portare un massimo di 1875 kg.
5 -Un’altra veduta dell’ascensore di Santa Justa.
Il caso di Genova: una s da in verticale Genova propone uno spettacolare percorso tra i tetti di ardesia per godere del panorama del porto e del mare: la città è infatti ricca di ascensori e funicolari che conducono nei luoghi più antichi e panoramici. Tra la ne XIX secolo e gli inizi del XX secolo, la città di Genova visse una straordinaria trasformazione urbanistica, nella quale alcuni tra i più so sticati mezzi per la mobilità urbana allora conosciuti furono in breve tempo realizzati. Iniziarono a prendere forma le funicolari e le cremagliere, gli ascensori pubblici (questi ultimi pensati in punti strategici della città, come Castelletto, via Crocco e piazza Manin). La tradizione di realizzare ascensori pubblici, pur con qualche rallentamen17
TRASPORTI & CULTURA N.53 to, è sopravvissuta a quella delle funicolari, proseguendo anche dopo la seconda guerra mondiale, con l’ascensore del Ponte Monumentale, di via Montello e delle Mura degli Angeli, no a quelli inaugurati nel 2010 in via Bari e nel 2015 nel Quartiere Quezzi. In totale gli ascensori pubblici a Genova sono 12. Il più famoso ascensore è quello di Piazza Portello che, in pochi minuti, permette di raggiungere il belvedere Montaldo (noto anche come Spianata Castelletto). Costruito nel 1910 e restaurato nel 2010, copre un dislivello di 57 metri e ha due cabine con una portata di 25 persone. Mentre l’ingresso a valle è all’interno di un palazzo, la stazione a monte è costruita completamente all’esterno in stile liberty con vetrate che consentono di godere del panorama della città. Nelle immediate vicinanze è presente un altro ascensore, detto “Castelletto Ponente” (in contrapposizione con il precedente, detto “Castelletto Levante”). Le stazioni, poste a circa 61 metri di distanza l’una dall’altra, sono: quella di valle, posta lungo il percorso pedonale “Salita alla Spianata di Castelletto” (raggiungibile attraverso la galleria stradale Giuseppe Garibaldi, tra piazza del Portello e largo Zecca) e in quella di monte, in via Gaetano Colombo. L’ascensore, costruito nel 1929 e riaperto di recente (febbraio 2019) dopo il necessario restauro per innovare impianti e dispositivi elettrici, può trasportare 27 persone. Un altro ascensore è presente in cima a via Balbi: l’ascensore di Montegalletto, unico nel suo genere perché percorre prima un tratto orizzontale (lunghezza 100 metri) e poi un tratto verticale (lunghezza 70 metri). L’impianto, costruito nel 1929 e ammodernato nel 2004, ha una portata massima di 1.800 kg per ciascuna cabina e collega via Balbi a corso Dogali. L’ascensore del Ponte Monumentale, che collega via XX Settembre a corso Podestà superando un dislivello di 23 metri, è stato costruito nel 1959 e ha due cabine con una portata massima di 18 persone. Vi è un ascensore che collega inoltre corso Armellini, nei pressi di piazza Manin, con via Assarotti e via Contardo. L’impianto, costruito nel 1941, copre un dislivello di 32 metri. L’ascensore Magenta-Crocco si trova al termine della funicolare Sant’Anna collegando corso Magenta, nei pressi della stazione a monte della funicolare, con via Antonio Crocco, nella parte superiore del quartiere di Castelletto. La differenza di quote tra la stazione a valle, che ha un’uscita anche su via Acquarone, e quella a monte è di 49 metri. L’ascensore ha due cabine con una capienza di 30 persone ciascuna ed è stato costruito nel 1933. L’ascensore in via Montello, aperto nel 1967, collega via Ponterotto a via Montello (nelle vicinanze di piazza Manin) e corso Montegrappa. Ha due cabine della capienza di 10 persone e il dislivello tra le due fermate è di 43 metri. L’ascensore “Dino Col” collega via Dino Col con via Rinaldo Rigola coprendo un dislivello di 46 metri. L’ascensore è inserito all’interno di un condominio: la stazione a monte è situata sul tetto dell’edi cio e collegata alla strada tramite una passerella, mentre la stazione di valle è alla base del condominio. Ha, come il precedente, delle cabine con una capienza di 10 persone ed è entrato in servizio nel 1963. L’ascensore inclinato di Villa Scassi, realizzato nel 1977, collega via Cantore a corso Scassi. Per raggiungere il primo impianto, chiuso nel 2007, era necessario percorrere un tunnel di circa 200 metri. Nel nuovo impianto, aperto nel 2016, la cabina 18
percorre prima un tratto orizzontale, lungo tutta quella che una volta era la galleria pedonale, per poi agganciarsi al sistema verticale con cui supera il dislivello di 26 metri (impianto traslatore-sollevatore simile a quello di Montegalletto). L’ascensore verticale in via Imperia, che in origine aveva una fermata intermedia in corso Montegrappa, collegava il tunnel di Borgo Incrociati, sottopasso ferroviario pedonale nei pressi della stazione ferroviaria di Genova Brignole, con via Imperia, superando un dislivello di 34 metri. L’ascensore ha due cabine della capienza di 10 e 12 persone. Aperto nel 1954, dal 2008 il servizio è limitato tra le fermate di corso Montegrappa e via Imperia in concomitanza con l’avvio dei cantieri per il prolungamento della metropolitana. Questo ascensore ha subito danni ingenti con l’alluvione del 9 ottobre 2014. Attualmente i due ascensori della stazione Brignole della metropolitana consentono di superare il dislivello tra passo Borgo Incrociati e corso Montegrappa. L’ascensore di via Bari, aperto nel 2010, è situato nel quartiere del Lagaccio e collega via Centurione, l’omonima fermata della cremagliera PrincipeGranarolo e via Bari, superando un dislivello di circa 12 metri. L’ultimo ascensore di Genova è di tipo inclinato ed è stato inaugurato nel 2015 nel quartiere di Quezzi. L’impianto collega via Piero Pinetti a via Susanna Fontanarossa, con una fermata intermedia in via Portazza. Questo ascensore ha una corsa con due inclinazioni: a partire da valle, i primi 27 metri hanno un’inclinazione di circa 44 gradi, successivamente un raccordo lungo 48 metri circa porta l’inclinazione dell’ultimo tratto, lungo 55 metri, a circa 30 gradi. Il percorso totale di 131 metri si sviluppa, a partire da valle, in galleria per i primi 27 metri, in trincea per i successivi 23 metri e in sopraelevazione per gli ultimi 81 metri. Il dislivello totale superato è di circa 75 metri
La torre per i test sugli ascensori Con i suoi 246 metri è la più alta torre al mondo destinata al collaudo degli ascensori: questa struttura si trova a Rottweil, cittadina del Baden-Württemberg, nella Germania sudoccidentale, dove opera il centro di Ricerca e Sviluppo dell’azienda Thyssenkrupp Elevator. La città è nota anche come la “Città delle Torri” per i suoi alti campanili e per le postazioni difensive di origine medievale. La zona è abbastanza isolata, lontana dalle grandi città e dai centri abitati, e dagli aeroporti, dove un impianto del genere non sarebbe stato autorizzato. La torre è stata realizzata speci catamente per testare e certi care le innovazioni della tecnologia ascensoristica di Thyssenkrupp: è dotata di 12 vani di test in cui si collaudano ascensori che viaggiano no ad una velocità di 18 metri al secondo. Operativa dal 2016, non è la torre di collaudo più alta del mondo, perché in Finlandia c’è un impianto analogo di 330 metri, ma questo è costruito interamente sottoterra, all’interno di una miniera abbandonata. La torre tedesca però ricostruisce per intero quelle che sono le condizioni operative di un impianto tradizionale all’interno di un edi cio molto alto (perché risente ad esempio dell’azione del vento). La torre di Rottweil ospita inoltre sulla sua sommità un punto panoramico che offre una vista impareggiabile no alle Alpi, il che costituisce una buona occasione di visibilità turistica per la zona.
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Il futuro degli ascensori Thyssenkrupp ha presentato un nuovo sistema ascensoristico, chiamato “Multi”, capace di muoversi sia lateralmente (con velocità di 5 m/s) sia verticalmente, utilizzando un unico vano grazie a dei magneti. Il sistema prevede la presenza di più cabine che si muovono all’interno di un ridotto numero di vani, aumentando del 50% la capacità di trasporto delle persone e riducendo del 60% i picchi di energia elettrica richiesti per l’alimentazione. Questo sistema, che non ha limiti di peso, in uenzerà drasticamente l’architettura e il design degli edi ci futuri, perché richiede uno spazio inferiore all’interno degli edi ci rispetto agli ascensori tradizionali, permettendo di recuperare il 25% di super cie per uso abitativo o commerciale. Il sistema senza cavi è alimentato da un centro di controllo al quale ogni cabina si collega in modalità sicura e ridondata.
Conclusioni La necessità di sviluppare “smart cities” sempre più evolute e a portata del cittadino ha portato a rivalutare lo stato dell’arte della mobilità verticale e a ragionare su un loro sviluppo futuro, sia come metodo di spostamento in città che in relazione ai futuri edi ci intelligenti e sicuri. Il settore degli ascensori (uno dei ori all’occhiello dell’industria italiana) si dovrà cimentare in molte nuove s de: progettazione integrata, digitalizzazione con app dedicate, manutenzione predittiva degli impianti, ecc. In questa competizione la ricerca di nuovi e “moderni” tipi di impianto (realizzati con materiali ultraleggeri e dotati di elettronica intelligente e di sistemi di recupero dell’energia in frenata) punta al risparmio energetico (dimezzando il consumo che ha attualmente un impianto) e a tecniche manutentive di tipo predittivo (a livello mondiale si è stimato in oltre 44 miliardi di dollari all’anno il costo della manutenzione dei 12 milioni di ascensori ad oggi presenti). Il miglioramento e la riquali cazione della mobilità attraverso l’installazione di ascensori possono avvenire in quei centri storici che, soprattutto in Italia, presentano luoghi a quote molto diverse (arroccati su promontori o colline, con vie impervie da salire o scendere e centri città difficili da raggiungere dai parcheggi pubblici). In queste situazioni e con le nuove tecnologie gli impianti inclinati potrebbero trovare sempre più impiego là dove altre forme di trasporto (come la funivia) non sono edi cabili. Gli ascensori inclinati, attraverso un sistema che sembra una via di mezzo tra quello delle scale mobili e l’ascensore tradizionale, sono impianti che presentano un alto grado di versatilità. Tali sistemi infatti possono trovare naturale installazione sia “all’aperto”, consentendo di superare piccoli dirupi e rilievi, che all’interno degli edi ci più ampi e strutturati (metropolitane, aeroporti, ecc.). L’ascensore (verticale o inclinato) è quindi un sistema di trasporto molto utile e allo stesso tempo altamente sicuro da realizzare per godere di viste architettoniche e paesaggistiche molto suggestive in punti difficili da raggiungere per altri sistemi di trasporto (ad esempio, località turistiche con spazi panoramici posti in cima a elevati pendii o zone della stessa città poste a quote diverse). È da ricordare però che il loro costo molto elevato e la ne-
cessaria e continua manutenzione (caratteristiche presenti anche in sistemi alternativi all’ascensore) potrebbero costituire un freno all’espansione di questi mezzi di trasporto. © Riproduzione riservata
Bibliogra a Enzo Fornasari, Ascensori e impianti di sollevamento. Tecnologia legislazione e norme tecniche del trasporto verticale, Maggioli Editore, Santarcangelo di Romagna (RN), 2014. Eduardo Bevere, Gerardo Chiaro e Andrea Cozzolino, Storia dei trasporti urbani di Napoli, vol. 1 e 2, Cortona, Edizioni Calosci, 1999, ISBN 88-7785-153-8. Arcangelo Merella, Lionello Calza, Mauro Marsullo e Paolo Bandini (a cura di), Sistemi non convenzionali di trasporto pubblico, Franco Angeli, Milano, 2007. Riccardo Stagliano, “Ascensori, lo strano record d’Italia. Sono più che in America e Cina”, La Repubblica, 29 ottobre 2008. Luca Mazzari “La città vecchia e gli ascensori una s da in verticale”, La Repubblica, 17 aprile 2013. Sito del Comune di Catanzaro (www.comunecatanzaro.it). Sito della testata giornalistica Genova 24 (www.genova24.it). Sito della rivista Il Progettista Industriale (www.ilprogettistaindustriale.it). Maria Mezzetti, “L’industria degli ascensori nello scacchiere della smart city”, Industria Italiana (www.industriaitaliana.it), 26 ottobre 2018. “Il Comune di Costigliole d’Asti presenta ai cittadini il progetto dell’ascensore verticale”, ATnews (www.atnews.it), 26 febbraio 2019. Rebecca Mantovani, “La torre per il test degli ascensori”, Focus, 1 settembre 2015. “Leitner, nuovo ascensore inclinato a Turku in Finlandia”, Il Messaggero, 6 giugno 2019. “Brescia: un ascensore inclinato per raggiungere il castello”, MilanoToday, 11 luglio 2019. “Roma: in ascensore a Trinità dei Monti”, Adnkronos, 11 novembre 1997. Sito “La mia Liguria” a cura della Regione Liguria (www.lamialiguria.it). Sito dell’Azienda Napoletana Mobilità (ANM) S.p.A. (www. anm.it). Sito del Gruppo Millepiani S.p.A. (www.gruppomillepiani. com). “Todi. Trasmesso il progetto della nuova risalita del parcheggio di porta orvietana”, Umbria Notizie web, 6 maggio 2019.
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Sistemi di trasporto innovativo e piccole città: esperienze europee di Andrea Spinosa
Un luogo può sfuggire alla percezione di inaccessibilità grazie alla presenza di un treno, un tram oppure una semplice scala mobile: più il trasporto è inclusivo, maggiore sarà la percezione di accessibilità che ne risulterà. Poiché la declinazione più importante per l’accessibilità è quella di essere “per tutti”, è importante sottolineare la funzione abilitante dell’infrastruttura: un modo per inquadrare – e apprezzare - la poliedricità del concetto di accessibilità come risposta a esigenze spaziali, ergonomiche, sociali. A questo articolato quadro esigenziale il mercato cerca di dare risposta con prodotti che sovente richiamano – quantomeno nominalmente - l’innovazione e la sostenibilità: ferrovie a cremagliera, funicolari, ascensori urbani e tapis-roulant. L’articolo cerca di ricostruire una panoramica delle più recenti esperienze di maggiore interesse in termini di efficienza funzionale ed efficacia applicativa di queste tecnologie.
Il trasporto per tutti La vera innovazione nella piani cazione dei trasporti è non tanto di tipo tecnologico quanto di paradigmi. L’obiettivo non è più lo spostamento in sé quanto il superamento stesso del concetto di uniformità e standard. Proseguendo in questo parallelismo sociale e territoriale, si potrebbe dire che proprio riconoscendo ed enfatizzando le differenze si arricchisce l’immagine della norma. La normalità diventa pluralità di differenze, non uniformità ssa de nita attraverso standard, medie e misurazioni statistiche. La normalità si frammenta in una pluralità di modi di agire, di pensare, di “funzionare”. Una carrozzina che trova un marciapiede senza scivolo ha il suo corrispettivo in un trasporto pubblico carente e poco efficace che non pone alternative al ricorso al mezzo privato. Al contrario uno spazio pubblico fruibile da tutti trova il suo corrispettivo in un trasporto pubblico attraente, affidabile e accessibile a tutti. Ed ecco che le infrastrutture di trasporto trovano nel tessuto sociale il corrispettivo (un rapporto quasi sempre omesso quando non del tutto trascurato) delle interazioni che stabiliscono con il territorio: - passaggio dalla s ducia del non avere alternative alla ducia di potersi muovere da soli e in libertà; - passaggio dalla staticità dell’ineluttabilità alla dinamicità della possibilità di avere una scelta. Un luogo inaccessibile sarà sempre lontano e remoto; un luogo accessibile sarà sempre in grado di cogliere le opportunità di un mondo in sempre più rapida trasformazione. Per una Città come per
Innovative transport systems and small cities: experiences in Europe by Andrea Spinosa Transport infrastructures in uence the perception of remoteness and isolation: a location can prevent inaccessibility where a train, tram or a simple urban escalator is available. The more inclusive the transportation, the more accessible will be the place that it serves. Because the most signi cant degree of accessibility is accessibility “for everyone”, it is important to underline the enabling function of this infrastructure. In this sense, the versatility of the concept of accessibility is appreciated as a response to spatial, ergonomic and social needs. An inaccessible place will always be distant and remote. An accessible place will always be ready to seize the opportunities of a rapidly changing world. For both a City and a Village, the true de nition of being “smart” lies in its capacity to guarantee maximum social inclusion within its own territory. The article focuses on several successful European projects in which transport is a key element in solving the problem of accessibility, in the broadest sense of the term. Remote locations - sometimes in a geographical sense, sometimes in an economic and social sense - have found new collective drive by regenerating an old tramway line, or a modern ropeway: the Schönbuchtal railway, the elegant introduction of escalators and funiculars into Italian medieval towns, the chiaroscuro of the use of people-movers as urban transport systems. The journey ends with the most recent cable systems, funiculars and ropeway systems, such as the futuristic gondola lift. Nella pagina a anco, in alto: Minimetro© di Perugia (foto Brady Dorman); in basso: unità diesel in doppia composizione RS1 sulla Schönbuchbahn (foto Filipp Münst).
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La riscoperta delle ferrovie locali
1 - Mondovì, funicolare (foto Michelangelo Musso).
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un Borgo, la vera declinazione dell’essere “smart” è tutta nella capacità di garantire la massima inclusione sociale al proprio territorio. È in questa inclusione che ritroviamo i classici quattro fattori dell’accessibilità, le quattro lenti che discriminano lontananza o vicinanza, accessibilità o inaccessibilità, abilità o disabilità: - geogra ca: in senso orizzontale, quando c’è una discontinuità di mezzo, oppure verticale, quando c’è una differenza di quota altimetrica; - sociale: quando l’accessibilità è preclusa ad una determinata classe (d’età, di reddito, ecc.); - percettiva: quando un luogo appare distante perché degradato e poco rassicurante; - economica: quando è il costo – percepito dello spostamento a rendere un luogo distante. Tralasciare anche uno solo di questi aspetti per concentrarsi sugli altri o, peggio, affidare alla sola tecnologia la risoluzione del problema dell’accessibilità porterà al fallimento, anche se si è armati delle migliori intenzioni.
In Germania la ferrovia della valle dello Schönbuch1 che collega la città pedemontana di Böblingen al centro montano di Dettenhausen rappresenta un modello in termini di ripristino e miglioramento della capacità di attrazione di una linea ferroviaria locale. La Schönbuchtal (con il suo famoso parco nella Foresta Nera) è situata nel quadrante sudoccidentale della regione di Stoccarda, la capitale dell’industria automobilistica tedesca. Nel corso della seconda metà del Novecento la valle ha subito una rapida urbanizzazione principalmente in seguito al ri usso di de-urbanizzazione dell’agglomerato consolidato di Stoccarda. Alla Grande Stoccarda si sono affiancati otto centri metropolitani secondari: uno di questi è Böblingen che con la vicina Sindel ngen (sede della DaimlerChrysler) forma una conurbazione di 120.000 abitanti. La maggior parte di questi centri sono collegati al centro di Stoccarda tramite la S-Bahn2: ma la Schönbuchtal ne resta esclusa. La valle nel complesso ospita circa 72.000 abitanti suddivisi in 12 comuni. I centri situati in prossimità della vecchia linea ferroviaria hanno una popolazione compresa tra 5.000 e 12.000 abitanti. Data l’attrattività del cluster urbano di Böblingen-Sindel ngen, la grande maggioranza degli spostamenti avvengono verso queste due città situate allo sbocco della valle, mentre una parte minore hanno come destinazione Stoccarda. Dato l’isolamento della valle nel contesto della rete di trasporto di massa, il tasso di motorizzazione locale è piuttosto elevato: 610 autovetture per 1.000 abitanti nel 2003 contro le 390 delle zone servite dalla S-Bahn. Il servizio passeggeri sulla linea di Schönbuch è stato abbandonato nel dicembre 1966, dopo 52 anni di servizio. Nel 1988, Deutsche Bahn (DB) annuncia l’intenzione di sospendere anche il traffico merci. Le autorità locali, sotto la forte spinta della cittadinanza, si mobilitano contro la chiusura de nitiva della linea: nel 1989 la Provincia di Böblingen avanza nalmente la proposta di ripristinare un servizio passeggeri per 2.500 passeggeri/giorno, il 25% in più rispetto al servizio di trasporto con corriere. In accordo con la Provincia di Tübingen viene istituito un Consorzio di iniziativa locale di diritto pubblico3: i due enti acquistano la sede ferroviaria nel 1993 al prezzo simbolico di 1 marco. DB, che considera la linea un ramo secco, avalla l’operazione senza fornire alcun sostegno nanziario per la riapertura della linea. Il risultato: il progetto è stato approvato su una stima di 2.500 passeggeri/giorno rispetto ai 2.000 raccolti dalle corriere regionali. Dopo otto mesi di servizio il carico era di 4.300 passeggeri. Nel 2013 la linea ha raggiunto gli 11.200 passeggeri giornalieri (+448%). A fronte di un tale aumento di domanda si è reso necessario l’acquisto di nuovo materiale rotabile e l’allungamento delle banchine di fermata per consentire il servizio con rotabili accoppiati. 1 Si veda. https://www.schoenbuchbahn.de/,Lde/start.html. Alla pagina seguente ci sono i rapporti più recenti sui lavori di elettri cazione della linea: https://www.schoenbuchbahn. de/,Lde/start/Gutachten+zur+Zukunft.html 2 S-Bahn è la ferrovia veloce, che nelle grandi aree metropolitane tedesche completa la rete del trasporto di massa della U-Bahn (metropolitana). Seppure con uno standard di servizio nettamente superiori è paragonabile alla RER francese o alle “linee S” attivate a Milano e Torino. 3 Così come previsto dal diritto tedesco.
TRASPORTI & CULTURA N.53 La riapertura della linea ferroviaria nella valle della Schönbuch è interessante per diversi motivi: dimostra che è possibile, sulla base di una iniziativa locale, acquisire un’infrastruttura ferroviaria dismessa per creare un’offerta attraente attraverso un modesto investimento in grado di creare una notevole sinergia su un piccolo territorio. Senza questo effetto attribuibile senza ombra di dubbio al nuovo servizio, la valle avrebbe proseguito nella fase di spopolamento e periferizzazione iniziata dagli anni Ottanta, con perdita di valori dei terreni e fenomeni di degrado tipici delle regioni metropolitane “remote”. Al contrario si è registrata un’inversione di tendenza con una ripresa della crescita della popolazione (+17% in 6 anni) e la riquali cazione dei comuni dell’alta Schönbuchtal, i più penalizzati rispetto ai processi circadiani della regione. Nel 2015, con l’utenza feriale salita a 12.200 passeggeri è stata approvata l’elettri cazione della linea e la realizzazione di un sistema di segnalamento che permetta di portare la frequenza dei treni a 10’.
Percorsi meccanizzati: scale mobili, tapis-roulant e ascensori inclinati Potenza4 con i suoi 819 m di altitudine è il capoluogo più alto dell’Italia peninsulare. Sorge lungo una dorsale appenninica alla sinistra del ume Basento ed è racchiusa da un arco montuoso assai suggestivo, le Dolomiti Lucane, in cui la natura ancora incontaminata è anche un’attrattiva turistica. Ma Potenza, con i suoi 70.000 abitanti, mantiene le dimensioni di un borgo nel centro antico, arroccato nella parte alta della città. Un borgo che da pochi anni è tornato raggiungibile anche con il mezzo pubblico grazie ad una complessa struttura meccanizzata di scale mobili denominata “Santa Lucia”. Si tratta di 26 rampe, per uno sviluppo di 600 metri, che si percorrono in circa 15 minuti e collegano la parte bassa, occupata da numerosi uffici e scuole ed abitata dall’80% dei residenti, con il Centro storico all’altezza di una delle porte più antiche, Portasalza. Complessivamente la città ha oggi un sistema di scale mobili che si estende per 1.380 m con una capacità di trasporto complessivo di 18.000 persone/ora. La città di Tokyo, prima al mondo per scale mobili urbane, ha un sistema di poco superiore (1.540 m). Le scale del percorso “Santa Lucia” si aggiungono ad altri impianti precedenti come la scala mobile “Prima” (viale Marconi–piazza Vittorio Emanuele, di 430 metri, inaugurata nel 1994), la scala mobile di Via Armellini-Via Due Torri, lunga 147,3 metri, inaugurata nel 2008 e la scala mobile Basento, 150 metri, che collega la stazione di Potenza Centro con il Mobility Center, nato come centro direzionale della città. Il caso di Potenza è paradigmatico tanto dei primati costruttivi quanto delle difficoltà di garantire una qualità quotidiana dell’esercizio di questi impianti: a quasi venticinque anni dall’apertura della prima scala si registrano problemi di in ltrazioni e disservizi. In un classico caso di “sindrome del vetro rotto” l’Amministrazione adduce un problema di scarsa frequentazione, che nei fatti è dettato più dalla carenza manutentiva che dall’effettiva utilità 4 La pagina ufficiale dedicata alle scale mobili urbane: http:// www.comune.potenza.it/?p=388
delle opere. In questo non è un fatto secondario la recente dichiarazione di dissesto nanziario delle casse comunali, con la decisione di affidare in gestione gli impianti ettometrici. Dal 2015 è stato introdotto un biglietto di 25 centesimi a passeggero; al momento i tre impianti maggiori restano dei non-luoghi e molti ne lamentano il degrado: da una domanda potenziale di 15.000 passeggeri giornalieri, mediamente non si raggiungono i 2.000 passaggi.
2 - Funicolare di Viseu, Portogallo. L’impianto, inaugurato il 25 settembre 2009, unisce la Feira de S. Mateus al Sé, la Cattedrale della città, con un percorso a raso separato dagli spazi pedonali da recinzioni leggere (foto Ruben Rebelo).
Maggiore successo in termini di qualità manutentiva e conservazione è quello dei tre sistemi meccanizzati di Spoleto5. Per la cittadina umbra Kenzo Tange, nel 1987, immaginò una completa pedonalizzazione del centro storico con la previsione di tre percorsi attrezzati con tapis roulant che funzionassero come una “metropolitana” distribuendo i ussi pedonali sull’acropoli. Nel 2007 viene attivato l’asse parcheggio “Spoletosfera” (da 350 posti), 5 Per una dettagliata descrizione dei percorsi si veda http:// www.prolocospoleto.it/piantina-spoleto.pdf
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3 - Cabina del Poma di Laon, sistema dismesso nel 2016 (foto Jean-Henri Manara).
Piazza della Libertà-Teatro Romano; nel 2010 quello parcheggio “Via del tiro a segno”, Duomo-Rocca Albornoziana; nel 2014 è la volta del percorso parcheggio “Posterna” (456 posti) - Piazza Campello. Quest’ultimo rappresenta l’arteria principale di tutto il progetto “Mobilità alternativa” di Spoleto: dal piano inferiore del “Posterna” partono infatti due percorsi meccanizzati distinti. Il primo consta di una galleria arti ciale di 600 metri, in leggera pendenza, scavata ad una profondità di 25 metri con uscite: Teatro Nuovo, piazza Pianciani, via Saffi (palazzo Comunale), piazza Campello (Rocca Albornoziana, Ponte delle Torri). Il secondo percorso consta di una serie di scale mobili che raggiungono piazza Moretti, nella zona della Torre dell’Olio e del teatro e centro congressuale di San Nicolò e del Museo Caradante. Accanto a questi sistemi lineari, una famiglia di sistemi ettometrici puntuali che ha riscosso un discreto successo come risposta all’accessibilità dei centri storici minori è quella degli ascensori inclinati: paradigmatici sono gli impianti di Todi, dal parcheggio di Porta Orvietana a Viale della Vittoria, e di Frosinone, dalla Città Bassa a piazzale Vittorio Veneto. Altro impianto molto interessante è quello realizzato dalla Regione Valle d’Aosta nel 2006 nell’ambito del progetto di apertura al pubblico del Forte di Bard6.
Cremagliere e funicolari Le ferrovie tradizionali trovano un limite siologico nella pendenza del 35 per mille, limite che si alza al 120 per mille con le tramvie e in genere con i veicoli ferroviari leggeri (quindi con un ridotto carico massimo per asse). Per pendenze superiori è necessario ricorrere ad un ammorzamento oppure ad un vero e proprio traino. Nel primo caso, la cremagliera, al centro del binario si inserisce una terza rotaia a dentiera (con denti a pro lo trapezio) sulla quale si incastra un pignone con lo scopo di aumentare la presa durante la marcia con pendenze che possono arrivare no al 300 per mille (impianto del Cordovado, in Brasile). Ma la scienza 6 https://www.fortedibard.it/gallery-fotogra ca/
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delle costruzioni ferroviarie è in grado di risolvere problemi tecnici ben più complessi e, quando non esistano possibilità di scelta di tracciati di minore acclività, si ricorre al traino di una fune agganciata ad un apposito argano motore posto alla stazione di monte. Con una funicolare si può arrivare a toccare pendenze del 48 per cento (Monte Pilato, Svizzera) e, addirittura, del 62 per cento come accadeva sulla prima funicolare del Vesuvio (in servizio dal 1880 al 1906). Molti sono gli impianti storici riquali cati con l’introduzione di vetture di ultima generazione e spesso “brandizzate” come i tram urbani: tra le cremagliere, in Catalogna per esempio, vale la pena citare la linea della Valle del Nuria7 o quella di Montserrat8. Una più recente realizzazione è la linea tranviaria a dentiera del Puy-de-Dôme: la Panoramique des Dômes9, inaugurata nel 2012, unisce con un percorso di 5,2 km un grande parcheggio per autobus ad una speciale piattaforma panoramica a 1.414 metri di altezza realizzata sul vulcano più famoso di Francia. Le funicolari sono uno storico vanto dell’ingegneria ferroviaria italiana: gli impianti di Genova10 e Napoli sono tra i più importanti al mondo e, nel caso della funicolare Centrale di Napoli, tra quelli più trafficati11. L’isolamento di Orvieto12 è quello di tanti centri medievali: un centro storico racchiuso come uno scrigno in cima ad un’acropoli che trova nell’inaccessibilità la sua ragione natia. La funicolare collega la stazione ferroviaria – sulla linea “lenta” RomaFirenze – con il centro storico superando circa 580 m di sviluppo con un dislivello di 157 m. L’ultimo tratto (l’arrivo è a Piazza Cahen) è costituito da una galleria lunga 123 metri scavata nella rocca tufacea. Anche per questo motivo la funicolare è di tipo “va e vieni” a singolo binario, con un raddoppio a metà percorso per permettere l’incrocio delle due vetture che si avvicendano in salita e discesa. L’impianto odierno è nato sulle ceneri del precedente impianto a contrappeso d’acqua (come la funicolare S. Anna di Genova). Orvieto ha 20.806 abitanti dei quali 8.738 risiedono nell’acropoli. In media il centro è visitato da 2.800 turisti al giorno (semestre estivo): 12.983 sono gli spostamenti giornalieri da/verso la rupe. Con 741.000 passeggeri all’anno e circa 2.180 passeggeri giornalieri la funicolare assorbe il 17% degli spostamenti: questi numeri confermano la lungimiranza di Wladimiro Giulietti, sindaco dal 1975 al 1980, che vedeva nella funicolare la pietra angolare per avviare la completa pedonalizzazione del centro cittadino. L’impianto di Mondovì13 ha una storia molto simile a quella di Orvieto: il primo impianto, a contrappeso d’acqua, è inaugurato il 12 ottobre 1886. Nell’estate del 1888 venne acquisito dalla Società Monregalese per opere pubbliche costituitasi allo 7 https://www.valldenuria.cat/es/verano/cremallera/ 8 https://www.cremallerademontserrat.cat/home/ 9 https://www.panoramiquedesdomes.fr/ 10 Si veda alla pagina ufficiale: https://www.amt.genova.it/ amt/trasporto-multimodale/funicolari/. Recentemente è stata predisposta anche una pubblicazione: https://www.amt.genova.it/amt/wp-content/uploads/2018/12/DepliantSulTettodellaCitta.pdf 11 I passeggeri per giorno feriale al 2018 sono stati: 27.630 per la funicolare centrale; 13.000 per la funicolare di Chiaia; 11.470 per la funicolare di Montesanto; 3.285 per la funicolare di Mergellina (fonte ANM Spa). 12 https://www.orvietoviva.com/funicolare-e-bus-orvieto/ 13 http://www.comune.mondovi.cn.it/vivere-la-citta/turismo/conoscere-mondovi/breo/funicolare/
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scopo a Mondovì. L’esercizio subisce varie sospensioni nel tempo per problemi di manutenzione o di modi ca no alla trasformazione a trazione elettrica avvenuta il 23 dicembre 1926. A causa del calo di utenza, ma soprattutto per la inderogabilità di costosi lavori per adeguarsi alle nuove normative di sicurezza, venne chiusa provvisoriamente a partire dal 24 dicembre 1975. La ricostruzione iniziata nel 1998 si conclude con l’inaugurazione, il 16 dicembre 2006, di uno degli impianti più moderni d’Europa. La funicolare di Mondovì misura 544 m e supera un dislivello di 137 m: rappresenta il principale accesso al Centro storico. Gli spostamenti urbani quotidiani sono 14.960: di questi 1.980 (13%) si svolgono con la funicolare. Un ottimo esempio di rilancio di un impianto storico è rappresentato dalla funicolare di Lugano14, che unisce il borgo antico sulle rive del Ceresio alla stazione ferroviaria. La Hungerburgbahn15 di Innsbruck, aperta nel 2007, è invece una delle più interessanti tra le nuove realizzazioni. Con un percorso di 1.843 metri supera un dislivello di 290 metri: sono presenti 4 fermate di elevata qualità formale e spaziale, progettate da Zaha Hadid. Qui è risolto in maniera tanto ingegnosa quanto elegante uno dei problemi tipici delle funicolari: trattandosi di impianti inclinati, le fermate sono gradonate con una accessibilità necessariamente ridotta. Le vetture della Hungerburgbahn sono costituite da una scocca entro la quale sono montate 5 sezioni basculanti 14 https://www.ticino.ch/it/commons/details/Funicolare-Lugano-Stazione-FFS/92040.html 15 https://nordkette.com/de/home.html
che seguono l’inclinazione della livelletta. In piano sono perfettamente allineate in posizione orizzontale e questo permette una piena accessibilità a raso di tutti gli spazi interni.
4 - 1Teleferica di Funchal, Madeira (foto Ekaterina Pokrovsky).
I people-mover di Laon e Perugia. Due impianti paradigmatici Scale mobili, funicolari: la moderna evoluzione di questi due sistemi ha prodotto un sistema a cavo con frequenza continua proprio come un tapisroulant. È il minimetrò di Perugia che ha un precedente meno noto ma non meno interessante: si tratta del Poma 200016 di Laon, un sistema di trasporto leggero su pneumatici a guida automatica tipo people-mover. Inaugurato nel 1989, il Poma permetteva di raggiungere la città alta di Laon – Dipartimento dell’Aisne nel nordest della Francia – dalla stazione ferroviaria. Laon, che è un comune di 28.360 abitanti, ha un’area urbana che comprende 7 comuni e 35.930 abitanti. Anche Laon, come molte altre città europee, nella seconda metà del Novecento ha visto la scomparsa del tram per i più moderni ed economici autobus. Il servizio, ridotto negli anni Ottanta a sole 6 linee ha visto scendere l’utenza ben al di sotto del 10% degli spostamenti totali. Così è dal 1971 che si fa strada l’idea di ripristinare un servizio tranviario, ma di tipo innovativo: nel 1972 la società Poma16 Si veda la pagina: https://fr.wikipedia.org/wiki/Poma_ 2000_de_Laon
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5 - Pendenze massime per ciascuna tecnologia di trasporto.
galski, di Grenoble, propone un sistema sperimentale a fune per il collegamento del Centro storico con la città bassa. Il Poma appare come la soluzione ideale per numerose ragioni: è un sistema automatico, e questo garantisce ridotti costi di esercizio, e allo stesso tempo ha elevate frequenze di servizio. Il 4 febbraio 1989, il servizio è aperto al pubblico. La frequenza del nuovo servizio è di un passaggio ogni 2’. La durata del viaggio è di 3,5’ contro i 9’ della vecchia tranvia. Oltre ai due terminali c’era una sola stazione intermedia. Nel 1990 il Poma trasporta 867.700 passeggeri, 1.520.000 nel 2004: il nuovo sistema vince la nostalgia del vecchio tram e convince la cittadinanza al punto da diventare un vero e proprio landmark, almeno quanto la celebre cattedrale gotica. Un successo almeno no all’arrivo a ne vita dell’impianto: per i 20 anni di esercizio viene completamente rinnovato ad un costo di 9,6 milioni di euro. Ma in vista dei 30 anni di esercizio si rendono necessari ulteriori interventi di manutenzione straordinaria per 4 milioni di euro. L’Amministrazione, già esitante sul milione di euro per la manutenzione ordinaria annuale, il 27 luglio 2016 vota per la chiusura e lo smantellamento dell’impianto (ad un costo di 2,9 milioni di euro). Al di là delle considerazioni meramente politiche il sistema aveva visto un forte calo dei passeggeri no a 550.000 del 2014. Un calo dovuto alla diminuzione dei residenti del centro storico ma anche a una politica sempre più recalcitrante verso la chiusura del Centro alle auto. Evoluzione del sistema di Laon, rimasto a tutti gli effetti un prototipo, è il Minimetro di Perugia. Si tratta di un impianto estremamente più articolato: inaugurato nel 2008, si sviluppa per circa 4 km con 5 fermate oltre ai due capolinea. Si tratta anche in questo caso di un APM (Automated People Mover) con trazione a fune e cabine che adottano un sistema di agganciamento durante la trazione e sganciamento in stazione. La tecnologia funiviaria è derivata dalle funicolari classiche mentre dai moderni people-mover (come quello dell’ospedale San Raffaele di Milano e del satellite dell’aeroporto di Fiumicino) sono mutuate le ruote su pneumatici (rispetto alle funicolari classiche che adottano la trazione su ferro). 18 cabine viaggiano – equidistanziate - agganciandosi alla fune traente che impone loro un moto costante regolato a seconda delle necessità dal centro di controllo (più lento durante le ore di morbida e più veloce
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durante le ore di punta) che nei 7 metri al secondo trova la sua velocità ideale. In prossimità delle stazioni il veicolo si sgancia dalla fune attraverso l’apertura idraulica delle ganasce della morsa di serraggio e viene rallentato dall’attrito esercitato da una fascia di pneumatici di cui sono rivestite le pulegge ssate ai lati dell’imbocco di banchina. Le banchine presentano delle porte di protezione, in corrispondenza delle quali sosta il veicolo. Dopo la salita e discesa dei passeggeri la cabina viene accelerata tramite una seconda serie di pulegge ad asse verticale disposte ai lati dell’uscita della banchina chiamate “travi di sincronizzazione”. Queste pulegge – come quelle di frenata agiscono per attrito sui pattini posti lateralmente sulle vetture consentendo di gestirle indipendentemente dal moto costante della fune che nelle stazioni passa sotto le travi di sincronizzazione. Ai capolinea delle piattaforme girevoli invertono il senso di marcia dei veicoli inserendoli nella via di corso di ritorno. Come quello di Laon, anche il sistema perugino è stato oggetto di critiche circa la sostenibilità dei costi di esercizio e manutenzione. Il costo annuale di esercizio del Minimetro è di 3,82 milioni di euro per 4.831.200 posti e 19,3 milioni di posti/km a fronte di 348 passaggi per giorno feriale (stimando una capacità di 20 posti per cabina) e 288 nei ne settimana. Per ricambi e manutenzione tra il 2014 e il 2016 sono stati spesi circa 519 mila euro l’anno. Se ne ricava un costo di esercizio e manutenzione pari a 0,277 euro per posto km (5,54 euro per vettura km). Un valore da confrontare con il costo operativo lordo di 3,50-3,80 euro per vettura/km di un autobus da 12 metri: a parità di posti offerti (85) il Minimetro avrebbe un costo di 23,5 euro per vettura km. Un costo che va oltre il guadagno economico di un servizio elettrico a guida vincolata in sede propria e che ammonisce sull’importanza di coniugare l’efficienza tecnologica con l’efficacia dell’inserimento urbano e della riorganizzazione di tutto il sistema della mobilità al contorno. Sui sistemi ettometrici (cioè quelli di breve raggio) resta poi un fattore del quale è bene tenere sempre conto: l’apertura o meno alla possibilità di accedere a pezzi di ricambio commerciali. Nel caso di sistemi chiusi (cioè protetti da brevetto) è palese che si debba tenere in conto una maggiorazione delle spese di manutenzione ordinaria e straordinaria. C’è un terzo caso paradigmatico di applicazione dei sistemi people-mover: è il Sistema Automático de Transporte Urbano17 (SATU) realizzato nel 2004 nel comune metropolitano di Oeiras, a 15 km da Lisbona. La prima misurava 1.150 metri a via unica con incroci alle fermate (3). Il piano SATU prevedeva uno sviluppo di 25 km con una rete di Personal Rapid Transit18: dopo la realizzazione della prima 17 https://www.publico.pt/2018/06/03/local/reportagem/ m-da-linha-para-o-satu-1832900 18 Trasporto Personale Automatico è un sistema di trasporto pubblico con una offerta a richiesta, idealmente con fermate a richiesta non prede nite, che usa piccoli veicoli indipendenti su una rete di linee a corsia protetta e guidata. L’idea ha trovato la sua prima – e paradigmatica, per certi versi – applicazione nel Morgantown Personal Rapid Transit, realizzato nel 1975 per unire i tre campus della West Virginia University (WVU) al centro di Morgantown. Ha rischiato di essere smantellato nei primi anni Duemila per un forte degradamento del servizio (affidabilità inferiore al 50%) ma è poi stato completamente ristrutturato riaperto nel 2018. Si sviluppa per 5,8 km e ha una frequentazione giornaliera media di 16.000 passeggeri. Per maggiori informazioni si consulti la pagina ufficiale sul portale della WVU: https://transportation.wvu.edu/prt
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6 - Nuove vetture tramviarie di Blackpool (foto Bombardier).
7 - Hungerburgbahn, nuovo funicolare di Innsbruck (foto Bloodua).
tratta per una spesa di 23 milioni di euro, nonostante l’elevata densità territoriale19, il sistema non ha mai riscontrato il favore dell’utenza con un usso medio di soli 512 passeggeri per giorno feriale. Nel 2015 l’esercizio è stato sospeso ma recentemente in occasione delle elezioni amministrative, si è tronato a parlare di un rilancio del progetto. 19 Con 3.936 ab/km2 (2018, Ine) Oeiras è uno dei comuni con la densità più elevata in Portogallo.
Sistemi sospesi: nuovi orizzonti per le cabinovie Una funivia è un mezzo di trasporto in cui delle cabine risultano sospese ad una fune e vengono trainate da un’altra fune. Si tratta di impianti nati per la capacità di superare dislivelli anche notevoli, che stanno trovando interessanti applicazioni come mezzo di sorvolo di aree urbane complesse. 27
TRASPORTI & CULTURA N.53 La transizione dall’impiego rurale a quello urbano avviene in Sudamerica a partire dagli anni Novanta. Caracas20, Medellin21 e poi La Paz22 realizzano ciascuna diverse linee utilizzando la tecnologia MGD (Monocable Gondola Detachable): un impianto cosiddetto a monofune – di sospensione e traente – in cui le cabine possono sganciarsi una volta arrivate in stazione. La tecnica dell’ammorsamento automatico permette l’imbarco e sbarco dei passeggeri con grande comfort e sicurezza a velocità ridottissima nelle stazioni che in marcia raggiunge i 6,0 m/s. In questo modo, a seconda della capacità della cabina, si possono raggiungere portate anche di 3.600 persone/ora. Il primo impianto europeo di tipo moderno si realizza nel 2007 con la teleferica del Parc de Montjuïc23 di Barcellona. Nel 2012 in occasione della XXX Olimpiade, dopo una gestazione quantomeno accidentata, a Londra viene aperto l’impianto della Emirates Air line24, che con un percorso di 1.100 metri unisce la penisola di Greenwich ai Royal Docks. A fronte di un costo di 51,2 milioni di euro, i numeri della linea non sono esaltanti: troppo costosa (3,40 sterline con la Oyster card) e poco utile per i pendolari, troppo economica per un servizio turistico, la Emirates line trasporta meno di 5.000 persone al giorno (1,5 milioni di passeggeri all’anno) a fronte di una capacità di progetto di 2.500 passeggeri/ora. A Coblenza25 la funivia torna ad una valenza prevalentemente turistica: l’impianto alla con uenza di Reno e Mosella è realizzato a scopo dimostrativo da Doppelmayr-Garaventa per l’Esposizione Vivaistica Mondiale del 2011. Unisce il lungoreno e la Basilica Kastorkirche con la collina della Fortezza. Destino analogo per l’ultima arrivata, la funivia di Berlino26: impianto dimostrativo realizzato stavolta dalla Leitner AG per unire la stazione Neue Grottkauer Straße della linea U5 alla collina di Kienberg, che ospiterà la Fiera Mondiale del Giardinaggio del 2017 (IGA). Ma il fermento intorno agli impianti a fune riguarda tanto il presente quanto l’immediato futuro. Quattro impianti sono in avanzata fase di studio in Svizzera: Sion27 (Gare–Piste de l’Ours); Fribourg (Gare– sortie autoroutiere); Morges28 (Gare–Tolochenaz) e Ginevra29 (Plan-les-Ouates–aéroport de Coitrin). In Germania il progetto più avanzato è quella di Wuppertal30, città già celebre per la Schwebebahn, la ferrovia sospesa. Dopo l’apertura dell’aerotram sul porto di Brest31 (19 novembre 2016), tre impianti sono allo studio in Frania: Grenoble32 (Sasse20 Si veda l’ottimo reportage di Steven Dale: http://gondolaproject.com/tag/caracas/ 21 http://gondolaproject.com/medellin/ 22 Si veda il portale ufficiale della rete con ottime immagini e dati aggiornati: http://www.miteleferico.bo/ 23 https://www.telefericdemontjuic.cat/ca/la-ruta-del-teleferic 24 https://www.emiratesairline.co.uk/ 25 https://www.seilbahn-koblenz.de/homepage.html 26 https://www.seilbahn.berlin/de/berlin-von-oben-erleben/ oeffnungszeiten-preise.html 27 https://www.htr.ch/story/sitten-beantragt-konzessionfuer-gondelbahn-22885.html 28 https://www.24heures.ch/vaud-regions/la-cote/telepherique-urbain-s-envolera-sitot-ciel-morgien/story/24623011 29 https://www.rts.ch/info/regions/geneve/9222964-desetudiants-de-l-ep -planchent-sur-une-telecabine-urbaine-ageneve.html 30 http://www.seilbahn2025.de/projekt-seilbahn.html 31 https://www.bibus.fr/fr/se-deplacer/tram-bus-telepherique/telepherique-ligne-c 32 https://france3-regions.francetvinfo.fr/auvergne-rhonealpes/isere/grenoble/bientot-telepherique-urbain-grenoblemodele-medellin-1653282.html
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nage), Tolosa33 (Téleo per il policlinico di Rangueil) e soprattutto Parigi. Il Câble A-Téléval34 è il nome dato alla linea Créteil-Villeneuve-Saint-Georges via Limeil-Brévannes ed è il primo progetto funiviario lanciato nella città metropolitana di Parigi in una delle banlieue più problematiche. A questa serie di progetti in corso si aggiunge la linea Battistini–Casalotti, nella periferia occidentale della città di Roma35. Come si vede, al momento il campo di applicazione delle funivie sembrano essere le grandi città piuttosto che i piccoli centri. Se gli impianti dimostrativi come Coblenza o Berlino, oppure quelli rurali o inseriti in aree turistiche hanno un costo di realizzazione relativamente contenuto (10-12.000 euro al metro) quelli inseriti in aree edi cate hanno costi maggiori per espropri, diritti di sorvolo, servitù ma anche opere accessorie per garantire una adeguata accessibilità alle stazioni. Spesso altrettanto sottovalutati sono i costi di esercizio per posto-km offerto: se questi restano bassi se paragonati ad altri sistemi di trasporto a impianto sso, non lo sono le manutenzioni, che in genere rappresentano oltre la metà del budget per i costi operativi.
Conclusioni Per qualsiasi tecnologia di trasporto collettivo in sede propria – sia una scala mobile o una ferrovia - è necessario adottare e mantenere un approccio olistico: non esiste “la” soluzione ma “una” soluzione imprescindibile dal contesto in cui la si realizza. Perché anche la scelta più efficiente può creare delle diseconomie se impiegata in maniera non efcace. Analizzando in dettaglio la casistica presentata nell’articolo è possibile desumere una legge generale per la stima della produttività di un sistema di trasporto collettivo in sede propria (TCSP). Data una area urbana di super cie SU (in km2) con un centro storico di super cie SC si immagini di realizzare una nuova linea di TCSP di lunghezza λ (in km) con un numero s di fermate o punti di accesso (per sistemi lineari tipo tapis roulant) entro il perimetro del centro storico. Si consideri poi i seguenti fattori che descrivono l’accessibilità complessiva del sistema: -
α = [1,0] se il centro storico è zona a traffico limitato (1=sì; 0=no) ß = [1,0] se la nuova linea è attivamente integrata con percorsi ciclopedonali (1=sì; 0=no) γ esprime (in percentuale) il grado di accessibilità alla nuova linea (100% totale; 75% se sono presenti ascensori e dispositivi ad accesso diretto; 50% se sono presenti ascensori e dispositivi attivabili su richiesta; 40% se sono presenti barriere di moderata estensione; 25% se sono presenti barriere di elevata estensione; 0% se l’intera struttura non è servita da alcun presidio atto a superare eventuali dislivelli).
Sulla direttrice di progetto esiste una domanda complessiva di spostamento D. Il nuovo sistema di TCSP ha un bacino di captazione esprimibile la somma del rapporto tra una fascia di 500 metri per lato e l’estensione dell’area urbana (bacino indiret33 https://www.tisseo-collectivites.fr/projets/teleo 34 http://www.cable-a-televal.fr/ 35 Il progetto è descritto alla pagina seguente: http://www.romametropolitane.it/articolo. asp?CodMenu=10721&CodArt=10740
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to) più il rapporto tra la somma di un’area circolare di 500 metri per lato per ciascun punto di accesso o fermata e l’estensione del centro storico (bacino diretto): φ = λ · SU-1 + (3,14 · 0,52 · s) · SC-1 Della domanda complessiva D di spostamenti il nuovo sistema di TCSP ne assorbirà una quota ϱ esprimibile come estensione del bacino φ ampli cato per i fattori di accessibilità: ϱ = φ · (1 + α · 0,52 + ß · 0,25 + γ · 0,13) I fattori di accessibilità α, ß e γ generano una ampli cazione compresa entro il campo [0, 190%]. Una delle proprietà forse meno evidenti di sistema di trasporto a impianto sso è quella di aumentare la resilienza intrinseca di un’area urbana, piccola o grande che sia. Una rete di trasporto ben sviluppata garantisce una ripartizione modale equilibrata: le persone - e talvolta le merci - possono viaggiare su vettori collettivi e non solo su mezzi privati. Una rete siffatta sostiene lo sviluppo urbano inducendo la densi cazione degli spazi e quindi un migliore utilizzo dei suoli: progettazione urbana→gestione della mobilità → ottimizzazione delle risorse pubbliche Un ciclo che si chiude con una maggiore disponibilità di risorse per la collettività ovvero per la realizzazione di nuovi progetti di inclusione sociale e arricchimento dei servizi locali.
Bibliogra a Bauman Z., Bordoni, 2015, Stato di crisi, Einaudi, Torino
8 - Tabella riepilogativa dei costi indicativi di ciascuna tecnologia idonea a risolvere problemi di accessibilità geogra ca
Monardo B., Spinosa A., 2014, “Accessibility planning per nuove strategie di rigenerazione insediativa” in Ricci M., Battisti A., Monardo B. (a cura di), I Borghi della Salute, Altralinea Ed. Firenze Ewing R., Bartholomew K., 2013, Pedestrian - and Transit Oriented Design, Urban Land Institute; Revised ed. edition Cerema, 2011, Ministère de l’Ecologie, de Développement durable, des Transports et du Logement, “Les plans d’accessibilité de la voirie et des espaces publics. Analyse et retour d’experiences”, Ed. CERTU, Lyon (https://www.cerema.fr/fr/ centre-ressources/boutique/plans-accessibilite-voirie-espacespublics-pave) Litman T. A., 2008, Evaluating Accessibility for Transportation Planning. Measuring People’s Ability to Reach Desired Goods and Activities, Victoria Transport Policy Institute, Victoria (Canada) (https://trid.trb.org/view/859513) Ditmar H., Ohland G., 2003, The New Transit Town: Best Practices In Transit-Oriented Development, Island Press Bauman Z., 2000, Liquid Modernity, Polity Press, Cambridge Dupuy G., 1991, L’urbanisme des réseaux. Théories et méthodes, Colin, Paris
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Il trasporto a fune a Napoli di Giuseppe Mazzeo e Carmela Fedele
Napoli rappresenta un caso interessante di struttura urbana ad elevata complessità morfologica. La linea di costa disegna il con ne di un territorio dalla forma molto articolata che dalla stretta striscia sul mare si eleva verso le colline che le fanno da corona a formare una sorta di “città obliqua”. Per lunga parte della sua storia Napoli si è ampliata sul pianoro prospiciente il mare, con pochi grandi contenitori urbani, come Castel Sant’Elmo e la Certosa di San Martino, posizionati sulle colline. Quando lo sviluppo urbano ha indirizzato l’espansione verso nord, verso ovest e verso est, anche l’arco collinare è stato inevitabilmente investito dal processo di urbanizzazione. Per adattarsi alla conformazione dei luoghi, oltre ad una rete stradale che assecondava le curve di livello, si è fatto ricorso a particolari tipologie di mezzi – le funicolari – che collegassero con rapidità l’area collinare, in particolare le colline del Vomero e di Posillipo, con la città storica e consentissero il trasporto agevole di persone (e inizialmente anche di merci). In questo modo si sono superate le difcoltà della rete stradale storica, strutturata sulle pedamentine e su percorsi generalmente stretti, dall’andamento tortuoso e dalle pendenze a volte decise (Alisio, 1978; Gravagnuolo, Bel ore, 1994; Stenti, 1998). Il risultato ha condotto alla realizzazione, tra la ne dell’800 ed i primi trent’anni del ‘900, di 4 funicolari: tre di collegamento tra il Vomero e la parte centrale della città, ed una di collegamento tra Mergellina e Posillipo.
Le funicolari in esercizio I quattro impianti funicolari di Chiaia, Montesanto, Centrale e Mergellina (in ordine di costruzione) rappresentano segmenti fondamentali della mobilità urbana, soprattutto per la funzione di connessione rapida che essi svolgono tra parti importanti della città stessa e tra nodi di interscambio dell’intero sistema della mobilità. Da oltre un secolo la trazione a fune serve – con le sue 16 stazioni – le aree comprese tra il centro cittadino e la zona collinare, trasportando circa 60.000 passeggeri al giorno, come riporta sul proprio sito l’Azienda Napoletana di Mobilità (ANM), e svolgendo un servizio fondamentale all’interno del complessivo sistema della mobilità cittadina. Controllo delle stazioni, comfort e rapidità sono tra i punti di forza di un mezzo di trasporto preferito da molti cittadini di Napoli che lo utilizzano per i loro spostamenti quotidiani. Tale apprezzamento si estende sempre di più anche agli utenti occasionali, che possono utilizzarlo per raggiungere
Funicolar transportation in Naples by Giuseppe Mazzeo and Carmela Fedele Naples represents an interesting case of a city with signi cant morphological complexity. The coastline de nes the boundary of a territory with a highly irregular shape, rising from the narrow strip in front of the sea towards the hills and forming a crown around the city, a sort of “oblique city”. For a long time, Naples was a city located on the plateau overlooking the sea, with a few large urban buildings positioned on the hills, such as Castel Sant’Elmo and the Certosa di San Martino. When urban development sped up, the urbanization process inevitably expanded to the hillside as well. This process made it necessary to implement a new mobility network. To adapt to the system of hills, the new road network was supplemented by special transportation typologies, known as funiculars, which facilitated the transportation of people from the hilly areas, in particular the Vomero and Posillipo districts, to the historic city. This proved to be a solution to the arduous historical network of roads, which generally consisted of narrow serpentine trails (known as pedamentine) running up slopes that were often very steep. The result was the construction of four funiculars between the late nineteenthcentury and the 1930s, three of which connected the Vomero to the central city, and one linking Mergellina and Posillipo.
Nella pagina a anco, in alto: Funicolare Centrale, esterno della stazione di piazza Fuga al Vomero.; in basso: Funicolare Centrale, tratto in galleria nella zona di intersezione dei convogli. Tutte le foto dell’articolo sono di Giuseppe Mazzeo.
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1 - Funicolare Centrale. Interno e binari della stazione di piazza Fuga al Vomero.
2 - Funicolare Centrale. Interno della stazione di piazza Augusteo. In evidenza le strutture di Pierluigi Nervi e Arnaldo Foschini.
alcuni tra i principali luoghi di interesse turistico. D’altra parte, la stessa esperienza di viaggio su una delle funicolari è di per sé una “singolarità” presente in poche altre aree urbane. La più importante tra le quattro è la Funicolare Centrale, la cui denominazione deriva dalla sua collocazione intermedia rispetto alle funicolari di Chiaia e Montesanto. La Funicolare Centrale, lungo la quale vi sono quattro stazioni, collega il quartiere Vomero a via Toledo, in pieno centro storico ed in prossimità di uno dei principali poli culturali ed amministrativi 32
della città, ossia l’area tra piazza Municipio e piazza Carità. Inaugurata il 28 ottobre 1928 è, tra i quattro impianti a fune gestiti dall’Azienda Napoletana di Mobilità, quello che trasporta il maggior numero di passeggeri, in quanto è utilizzata dal 45% del totale dei passeggeri delle funicolari (Comune di Napoli, 2016). Ciò è dovuto anche al fatto che la stazione di piazza Fuga al Vomero forma un nodo di interscambio con la Funicolare di Chiaia e con la Linea 1 della Metropolitana. Nei giorni feriali, secondo il gestore (ANM), utilizzano il servizio oltre 28.000 utenti, mentre nei giorni festivi il servizio viene utilizzato da circa 10.000 persone.
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3 - Funicolare di Chiaia. Esterno della stazione Cimarosa al Vomero.
4 - Funicolare di Chiaia. Interno della stazione Cimarosa al Vomero.
La linea si estende per una lunghezza di 1.234 metri, con una pendenza media del 12%, ed è percorsa da due treni, ciascuno composto da 3 vetture aventi una capacità massima di 450 passeggeri. Tali caratteristiche pongono la Funicolare Centrale tra i più importanti impianti urbani a fune al mondo per lunghezza, efficienza e capacità di trasporto: solo per fare qualche confronto, basti pensare, in Italia, agli impianti di Bergamo (235 metri, 100 posti), Genova (Zecca-Righi, 378 metri, 150 posti), Livorno (656 metri, 40 posti). In Europa, si ricordano gli esempi portoghesi, con funicolari tutte di piccole dimensioni, mentre a Zagabria in Croazia
è in funzione la più piccola funicolare al mondo (66 metri, 28 posti). Un caso particolare è quello di San Francisco e dei suoi tram a trazione funicolare. Tornando alla Funicolare Centrale, di grande interesse architettonico è la stazione inferiore. Essa fa parte di un complesso edilizio polifunzionale, progettato da Pier Luigi Nervi e da Arnaldo Foschini, che accoglie nella parte superiore il Teatro Augusteo (1.600 posti con un’ardita copertura in cemento armato) e nella parte inferiore la stazione della funicolare (Stenti, 1998). L’edi cio ha modicato l’assetto della cortina di palazzi nobiliari su via Toledo grazie ad un intervento a forte valenza 33
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5 - Funicolare di Chiaia. Binari della stazione Cimarosa al Vomero.
6 -Funicolare di Chiaia. Binari ed interno della stazione di Parco Margherita.
architettonico-urbanistica che ha reso necessario anche la realizzazione di uno slargo innanzi agli edi ci. Le due strutture, innovative ed integrate, sono inglobate in una quinta urbana fortemente classicista (Gravagnuolo, Bel ore, 1994). La Funicolare di Chiaia collega il Vomero e il quartiere di Chiaia attraverso quattro stazioni. La stazione superiore (Cimarosa) è anche nodo di interscambio con la Linea 1 della metropolitana e con la Funicolare Centrale, mentre quella inferiore (Parco Margherita, nel quartiere di Chiaia), è nodo di interscambio con la Linea 2, gestita dalle Ferrovie dello Stato. Entrato in funzione il 15 ottobre 1889, l’impianto di Chiaia è il più antico tra le quattro funicolari della città e venne realizzato con lo scopo di invogliare i napoletani a trasferirsi nel nuovo quartiere 34
residenziale che stava sorgendo, per iniziativa della Banca Tiberina, sulla collina del Vomero (Alisio, 1978). Nel primo periodo di funzionamento venne utilizzata una trazione a vapore, trazione che fu trasformata in elettrica nel 1900. Nella stazione di via Cimarosa sono esposti alcuni dei macchinari dismessi, compresa l’antica vettura. La linea si estende su una lunghezza di poco superiore ai 500 metri e una pendenza costante del 29%. È percorsa da due treni costituiti da due vetture ciascuno con capacità massima di 300 passeggeri. In media utilizzano il servizio circa 15.000 viaggiatori nei giorni feriali e 5.000 in quelli festivi. Alla ne degli anni ‘70 venne effettuata la totale trasformazione dell’impianto e delle stazioni. Grandi polemiche e perplessità suscitarono la demolizione delle stazioni neoclassiche di testa e il progetto delle nuove stazioni a cura degli architetti Augu-
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sto De Fazio e Gaetano Borrelli Rojo (Gravagnuolo, Bel ore, 1994). Ciò portò al loro completamento secondo il disegno di quelle demolite. Successivamente, tra il 2003 e il 2004, la funicolare è rimasta chiusa all’esercizio per la ventennale operazione di manutenzione straordinaria e per consentire l’adeguamento dell’impianto alle più recenti normative in tema di sicurezza e l’installazione di nuove infrastrutture quali scale mobili e ascensori. La stazione di via Cimarosa, inoltre, è stata collegata direttamente, mediante un passaggio sotterraneo lungo via Bernini, con la stazione della Linea 1 della metropolitana di piazza Vanvitelli e con la Funicolare Centrale. Il progetto iniziale prevedeva anche il collegamento diretto, mediante una galleria, tra la stazione di Parco Margherita della funicolare e la stazione Amedeo della Linea 2. Tale collegamento non è stato realizzato perché, secondo analisi più recenti, le funicolari si presentano allo stato perfettamente integrate al sistema metropolitano urbano ed extraurbano e pertanto non si ritengono necessari ulteriori interventi di miglioramento (Comune di Napoli, 2016). Complessivamente il sistema Linea 2 – Funicolare di Chiaia – Linea 1 consente di raggiungere, con i mezzi pubblici ed un unico biglietto integrato, un’area molto vasta della città e, soprattutto, i suoi principali servizi amministrativi, ospedalieri, culturali, di trasporto regionale, nazionale ed internazionale. Il Piano Urbano della Mobilità Sostenibile (Comune di Napoli, 2016) contiene anche una azione che vuole incentivare la mobilità ciclo-pedonale ren-
dendo più semplice ed immediata l’intermodalità tra bici e trasporto pubblico. A questo proposito il Comune di Napoli ha previsto la predisposizione di rastrelliere in alcune stazioni della rete metropolitana e nella Funicolare di Chiaia. Si sta valutando l’inserimento di tali strutture leggere in altre stazioni che abbiano idonee caratteristiche di sicurezza e di accessibilità. La Funicolare di Montesanto, inaugurata il 30 maggio 1891, è il secondo impianto a fune di cui la città di Napoli si è dotata. Lungo la sua linea sono presenti tre stazioni. Connette la parte più alta del quartiere Vomero con Piazzetta Montesanto, nodo di interscambio con le due linee EAV (Ente Autonomo Volturno, gestore della Cumana e Circum egrea) e con la Linea 2 della metropolitana. Altra particolarità è il fatto che le stazioni di testa della Cumana, della Circum egrea e della funicolare (gestita da ANM - Azienza Napoletana Mobilità) sono posizionate nello stesso edi cio, facilitando in questo modo l’interscambio. La stazione della Linea 2 (gestita da Trenitalia) è a poche decine di metri. A differenza delle funicolari Centrale e Chiaia, praticamente tutte interne, la funicolare di Montesanto si sviluppa quasi tutta in esterno, lungo il costone tufaceo. L’edi cio di piazzetta Montesanto, in stile liberty e soggetto a vincolo architettonico, è stato oggetto, tra il 2004 ed il 2011, di una profonda ristrutturazione che ha portato ad una completa integrazione funzionale e sica delle tre reti, con ussi di ingresso e di uscita separati attraverso un sistema di ascensori e scale mobili, una nuova segnaletica e
7 - Mappa dei trasporti a Napoli (aggiornata a marzo 2019).
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8 - Funicolare di Montesanto. Esterno della stazione di Montesanto. A sinistra la vecchia stazione “restaurata delle linee Cumana e Circum egrea”. A destra la nuova struttura in vetro ed acciaio della stazione della funicolare.
9 - Funicolare di Montesanto. Interno della stazione inferiore di Montesanto.
assenza di barriere architettoniche. Accanto a parti dell’edi cio originario restaurato, sono state realizzate nuove “addizioni” in acciaio e vetro, come la copertura della piattaforma di arrivo dei treni o la parete esterna della stazione di testa della funicolare. Il tetto della torretta nord è stato trasformato (ma non ancora aperto al pubblico) in una terrazza urbana, accessibile anche da una scala esterna all’area delle stazioni. La nuova stazione, progettata dall’arch. Silvio D’Ascia, ha ottenuto il premio ANCE 2010. La Funicolare di Montesanto è utilizzata, in media, da circa 12.500 utenti nei giorni feriali e 4.000 in quelli festivi. Numerosi i turisti che usano il collegamento per raggiungere Castel Sant’Elmo e il 36
Museo di San Martino, due dei principali attrattori culturali della città. Per inciso, va ricordato che le stazioni delle funicolari poste al Vomero sono state integrate con scale mobili poste a lato delle scalinate pubbliche e con tappeti mobili, cosicché esse sono collegate tra di loro mediante agevoli percorsi meccanizzati pubblici. In relazione alle scale mobili urbane non si può non accennare agli studi e alle proposte di Michele Cennamo, il cui volume La città obliqua. Tecnologia Ambiente e Mobilità a Napoli (1984) ben descrive la speci cità planoaltimetrica della città. Cennamo propone il recupero dei percorsi storici di risalita su scala proprio mediante il ricorso a scale mobili ed ascensori.
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10 - Principali caratteristiche tecniche delle funicolari in esercizio (in ordine di costruzione). Si evidenzia il dato molto interessante della ridotta lunghezza delle quattro tratte che va però messa in relazione con la pendenza che esse superano. La connessione tra i due dati rappresenta il principale fattore di successo della rete napoletana di funicolari.
La quarta funicolare è quella di Mergellina. In esercizio dal 24 maggio 1931 è la più recente delle quattro ed è stata realizzata per agevolare l’accessibilità alle nuove lottizzazioni che si andavano formando sulla parte alta della collina di Posillipo verso Villanova. Lungo il percorso sono presenti cinque stazioni. Per gli scorci sul Golfo di Napoli e per la sua valenza paesaggistica questa tratta è probabilmente anche la più spettacolare e scenogra ca, anche se non ha assunto ancora una vera e propria vocazione turistica. In media utilizzano il servizio circa 3.500 viaggiatori nei giorni feriali e 2.000 in quelli festivi. L’esercizio della Funicolare di Mergellina si è svolto con regolarità no agli inizi degli anni ’80 quando, a causa della vetustà dell’impianto ed a seguito di vari passaggi societari, l’esercizio è stato più volte interrotto. La fusione delle preesistenti società di trasporto in “società unica”, conclusa nel 2013, ha portato al trasferimento della gestione della funicolare all’Azienda Napoletana Mobilità.
Le funicolari ipotizzate o dismesse A cavallo del passaggio del millennio la rete della mobilità della città di Napoli è stata oggetto di un profondo rilancio sia di tipo strutturale – con nuove linee, nuove stazioni ed interconnessioni – che gestionale, con la sistematizzazione complessiva delle reti, con una speci ca attenzione al loro sviluppo e con un processo di maggiore coordinamento tra le società di gestione che ha portato, tra l’altro, all’introduzione di un biglietto integrato valido su tutte le reti (Papa, Tri letti, 2010). All’interno di questo processo si è anche ipotizzato l’ampliamento della rete delle funicolari urbane con la progettazione di una nuova linea – detta “Linea dei Due Musei” – tra l’area di piazza Cavour e Capodimonte. Nel 2009 fu redatto un piano di fattibilità da parte dell’Agenzia Campania per la Mobilità Sostenibile (ACAM) che prevedeva tre tratti: il primo, un tapis roulant tra il Museo Nazionale e Piazza San Giuseppe dei Nudi; il secondo, una funivia no a viale Colli Aminei; il terzo, un sottopassaggio di collegamento con il Museo di Capodimonte. Un percorso che avrebbe richiesto circa 10 minuti, con il tratto della funivia percorso ad una altezza di 22 metri, 12 corse ogni ora con un usso previsto di 168 mila passeggeri l’anno. Al progetto di funicolare dei Due Musei, non realiz-
zato, è seguito anche l’ipotesi di una linea metropolitana di collegamento (linea 9), che ha subito la stessa sorte; ad oggi, quindi, il tema dell’accessibilità rapida al Museo di Capodimonte resta ancora non pienamente risolto, attese le ingenti risorse necessarie per superare i problemi connessi all’orogra a dei luoghi, alla presenza di cavità, di aree di interesse archeologico e di importanti infrastrutture idriche (Comune di Napoli, 2019). È stato, invece, dismesso il collegamento in funivia tra la Mostra d’Oltremare e la Collina di Posillipo, di cui restano i piloni tra gli edi ci di viale Kennedy ed entrambe le stazioni di testa, realizzate su progetto di Giulio De Luca (Alisio, 1978; Gravagnuolo, Bel ore, 1994). La funivia venne inaugurata nel 1940 ed è rimasta in funzione no al 1961, quando l’esercizio si è interrotto anche a causa delle procedure di fallimento dei gestori delle stazioni di testa. Posto che la stazione di valle di tale funivia è localizzata in prossimità della stazione della linea su ferro della Cumana che collega Montesanto con l’area dei Campi Flegrei, anche tale funivia avrebbe potuto integrarsi con la rete del trasporto pubblico veloce. In alternativa a tale linea, periodicamente viene proposto un ulteriore collegamento su fune tra Coroglio e via Manzoni-Posillipo.
La rete urbana di mobilità. Considerazioni Napoli è una città ricca d’infrastrutture su ferro e, contemporaneamente, congestionata oltre misura dal traffico automobilistico. Per far fronte a questo paradosso, l’amministrazione comunale, come accennato in precedenza, aveva portato avanti a partire dagli anni ‘90, un ambizioso processo di piani cazione integrata che coordinava le previsioni del nuovo Piano Regolatore con quelle relative alla mobilità. L’obiettivo era ridurre la congestione da traffico privato, che costituisce uno dei maggiori problemi della città, e valorizzare l’ambiente urbano portandolo verso un livello più elevato di qualità (Mazzeo, 2009). All’interno del sistema di piani cazione degli anni ’90, l’amministrazione comunale aveva individuato nel sistema dei trasporti uno strumento fondamentale di trasformazione urbana in quanto da esso derivava un miglioramento complessivo dell’accessibilità sica e funzionale con l’inserimento di nuove centralità periferiche nel circuito
11 - Nella pagina seguente, in alto: funicolare di Montesanto, esterno della stazione di Morghen al Vomero. 12 - Nella pagina seguente, al centro: Funicolare di Mergellina, esterno della stazione di Mergellina. 13 - Nella pagina seguente, in basso: Funicolare di Mergellina, attrezzature dismesse della funicolare in esposizione nella stazione di Mergellina.
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TRASPORTI & CULTURA N.53 urbano. Il progetto di sistema metropolitano dei trasporti, una volta completato, avrebbe dovuto portare le linee metropolitane da 2 a 10, le stazioni da 45 a 114, i nodi intermodali da 5 a 36, la popolazione servita dal 25% al 70% e il territorio coperto dal servizio da 1.900 a 4.350 ettari (Comune di Napoli, 2003). Allo stato attuale il territorio comunale è servito da 64 stazioni delle linee metropolitane, oltre alle 16 stazioni delle funicolari, e da 10 nodi di connessione; il completamento dei cantieri in corso porterà alla realizzazione di ulteriori 13 stazioni della rete metropolitana e di altri 4 nodi di connessione (Comune di Napoli, 2016). Le azioni che si sono portate avanti nel corso degli anni hanno cercato di realizzare operazioni di decentramento verso le periferie di funzioni pregiate, con il simultaneo potenziamento del trasporto pubblico su ferro e della sua interconnessione con il sistema stradale e con le reti regionali e nazionali. Agli strumenti messi a punto negli anni ’90 (Programma Urbano dei Parcheggi e Piano Urbano del Traffico) è seguita nel 2016 l’approvazione del Documento direttore del Piano Urbano della Mobilità Sostenibile (PUMS), più volte richiamato. Esso prevede una serie di obiettivi (riduzione del numero di morti per incidenti, riduzione delle emissioni di CO2, riduzione degli spostamenti su strada, …) alcuni dei quali possono essere efficacemente raggiunti incrementando l’efficienza della rete su ferro. In tutti i documenti richiamati si conferma che all’interno della rete metropolitana napoletana le linee funicolari rappresentano segmenti fondamentali per la mobilità urbana in quanto il sistema di trasporto a fune garantisce da oltre un secolo, in speci che aree ad elevata caratterizzazione residenziale e commerciale, la connessione veloce, pedonale e sostenibile tra la città storica e la sua espansione collinare. In generale, la rete di mobilità su rotaia rappresenta per ogni città un elemento indispensabile per la mobilità. Inoltre, essa si con gura come una tipologia doppiamente sostenibile in quanto, a quella propria derivante dalla ridotta quantità di energia necessaria a trasportare gli utenti, si aggiunge il contributo alla riduzione del traffico automobilistico. Estendere le reti su ferro rappresenta quindi un modo intelligente di perseguire azioni che contribuiscono a ridurre le emissioni di gas effetto serra. A queste si aggiunge la realizzazione di nodi di interscambio, che rappresenta un modo per moltiplicare il bacino di utenza potenziale e per rendere più vivibili aree urbane per effetto della presenza continua di ussi in movimento. Napoli potrebbe rappresentare un esempio potenzialmente positivo di questi effetti, se l’efficienza delle reti fosse effettiva e non teorica. Dopo un periodo promettente nel quale piani cazione, programmazione ed interventi si sono sviluppati con continuità e rapidità, la città sta lentamente ritornando ad una situazione di inefficienza che interessa anche la mobilità. Se si mette insieme la quasi completa dismissione della rete tramviaria, che negli anni ’50 si estendeva per circa 190 km, la riduzione delle linee su strada e della loro frequenza, il ritorno alla bigliettazione autonoma da parte delle diverse società di gestione, lo stato di quasi fallimento di alcune di queste società, la riduzione delle fonti di nanziamento, si ottiene una situazione che solo una nuova stagione di piani cazione integrata può superare, nell’ottica di una mobilità efficiente di livello europeo. A questa nuova stagione può dare il suo contributo la gara per 38
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14 - Funicolare di Mergellina. Binari e panorama dalla stazione di monte di via Manzoni.
l’affidamento dei servizi tecnici per sviluppare ed approfondire il livello direttore del PUMS più volte richiamato, in modo da pervenire, nei prossimi anni, alla sua adozione e de nitiva approvazione.
Papa, E., Tri letti, G. (2010), “Il sistema della mobilità. La cura del ferro”. In R. Papa (cur.) Napoli 2011. Città in trasformazione. Vol. 2, Napoli, Electa, 80-165. Silvio D’Ascia Architecture, https://www.dascia.com/montesanto-fr.
© Riproduzione riservata Stenti, S. (a cura di) (1998) Napoli Guida, 14 itinerari di architettura moderna, Napoli, Clean Edizioni.
Bibliogra a e sitogra a Alisio, G. (1978) Lamont Young. Utopia e realtà nell’urbanistica napoletana dell’Ottocento, Roma, Officina Edizioni. AMT https://www.amt.genova.it/amt/wp-content/uploads/ 2018/12/DepliantSulTettodellaCitta.pdf ANM http://www.anm.it/index.php?option=com_frontpage &Itemid=1 http://www.anm.it/index.php?option=com_content&task=vi ew&id=73&Itemid=100. Camerlingo, E. (2000), “Le stazioni come occasioni di riqualicazione urbana”. In AA.VV., La metropolitana di Napoli. Nuovi spazi per la mobilità e la cultura. Napoli, Electa. Cennamo, M. (1984), La città obliqua. Tecnologia Ambiente e Mobilità a Napoli, Napoli, Fratelli Fiorentino. Comune di Napoli (2003), Piano delle cento stazioni, http://www.comune.napoli.it/flex/cm/pages/ServeBLOB. php/L/IT/IDPagina/2396 Comune di Napoli (2016), Piano Urbano della Mobilità Sostenibile - livello direttore, http://www.comune.napoli.it/ ex/cm/ pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/ 28525. Gravagnuolo, B., Bel ore, P. (1994) Napoli Architettura e urbanistica del Novecento, Napoli, Edizioni Laterza. Mazzeo, G. (2009), “Naples”, Cities. Vol. 26, n. 6, pp. 363-376. DOI: 10.1016/j.cities.2009.06.001.
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Marconi Express, la monorail dall’aeroporto di Bologna alla stazione centrale di Rita Finzi
Con il Marconi Express, Bologna si proietta nel futuro, realizzando un progetto innovativo per il nostro paese. Si tratta, infatti, della prima monorotaia in Italia; con ruote in gomma, alimentato elettricamente e privo di conducente a bordo essendo totalmente automatico; una grande innovazione dal punto di vista tecnologico, nella regolazione della circolazione e nelle caratteristiche architettoniche. L’infrastruttura, che si sviluppa per 5 km collegando la stazione ad alta velocità all’aeroporto di Bologna, è composta da due capolinea: “Aeroporto” e “Stazione FS”, più una stazione intermedia, “Lazzaretto”, posta a circa metà del percorso. In questa stazione si incrociano le vetture ed è presente il deposito-officina, ove è dislocato il posto di comando centralizzato. Dallo scalo Marconi sarà possibile raggiungere in circa 7 minuti la stazione ferroviaria, da qui Firenze in 30 minuti, Milano in 1 ora e Roma in 2. Il tempo medio di attesa previsto in ora di punta è di soli 3 minuti e 45 secondi, ma la tecnologia è in grado di adattare in tempo reale la frequenza delle corse alla domanda degli utenti, rendendo più efficiente il sistema, soddisfacendo la clientela e permettendo di ottimizzare i costi di gestione dell’infrastruttura. Il Sistema trasporterà no a 50 passeggeri per veicolo. Elementi come la passerella, il ponte per lo scavalco del sistema autostradale e le fermate sono stati studiati pensando ai fattori ambientali caratterizzanti il paesaggio bolognese e sono stati disegnati dall’architetto Massimo Iosa Ghini. Il progetto, infatti, si sviluppa con l’idea di integrazione con il contesto bolognese interpretando in chiave contemporanea le forme e gli archetipi dell’edilizia rurale di pianura.
Storia del progetto La società di progetto concessionaria Marconi Express SpA, responsabile della progettazione, costruzione e gestione per 40 anni dell’infrastruttura, si è costituita all’indomani dell’aggiudicazione, con la partecipazione al 75% del Consorzio Integra, a cui la società ha affidato la costruzione, e al 25% di Tper, a cui ha affidato la futura gestione. La rma dell’accordo quadro fra Regione Emilia Romagna e Comune di Bologna del 2006 sancì l’avvio del progetto Marconi Express, che è passato poi attraverso un lungo ed accurato iter autorizzativo, no all’apertura dei cantieri avvenuta a ottobre del 2015. L’avvio dell’esercizio commerciale del people mover con l’apertura al pubblico è previsto entro il 2019. L’intera infrastruttura, completa della tecnologia di trasporto, ha richiesto un investimento complessivo di circa 125 mln di euro
Marconi Express, the monorail between the Bologna airport and the central rail station by Rita Finzi The project was developed to establish a link with the countryside outside Bologna, giving a modern interpretation to the forms and archetypes of the rural architecture of the plains. The architectural elements that constitute the walkway, the bridge and the stops were designed taking into account the interesting environmental features that characterize the area around the city. The infrastructure, which is 5095 metres long, is composed of a monorail with two terminals – one at the airport and one at the train station – with an intermediate stop at Lazzaretto, about halfway along the route, where the cars cross paths. The stops and the bridge over the ringroad/motorway system were designed following a model of architecture that considers the need to connect the infrastructure to an urban fabric that is set to undergo major redevelopment work, but is partially absorbed by the outlying countryside. Its stops are located in different contexts in terms of both architectural structure and urban fabric. The project emerges as an opportunity to create a long and environmentally friendly ‘belt’, with photovoltaic panels and green areas. The architecture of the route and the individual stops blends into the urban setting, using elements that create transparency and lightness, and conveying the idea of motion while also drawing inspiration from traditional forms. The stations are an excellent example, because they t into the landscape beautifully, borrowing the architectural forms and lines of the rural architecture of the plains.
Nella pagina a anco, in alto: la struttura, i piloni e i pannelli fotovoltaici; al centro: la monorotaia e la sua struttura portante; in basso: la stazione all’Aeroporto Guglielmo Marconi di Bologna.
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Progetto architettonico Il progetto del Marconi Express è stato curato dalla società di ingegneria STS di Bologna in collaborazione, per il concept architettonico, con l’architetto Massimo Iosa Ghini ed il suo studio associato. La costruzione interamente in acciaio dona un’insolita leggerezza alla struttura, che poggia su pile di calcestruzzo. Anche le stazioni sono in struttura metallica; il tutto è verniciato di un bianco che permette alla struttura di inserirsi nel paesaggio bolognese. La trave metallica, composta a sua volta da due travi pre-assemblate, è l’elemento più importante del sistema strutturale che caratterizza l’opera perché rappresenta la rotaia stessa su cui corrono le navette dove prendono anche energia permettendo di evitare l’utilizzo di linee elettriche aeree. Le campate dell’infrastruttura vanno dai 25 ai 60 mt il che vuol dire dalle 35 alle 80 tonnellate di peso. La campata tipo ha una luce di 35 m e le travi delle singole campate sono collegate fra loro con un giunto Gerber, un sistema piuttosto complesso che permette un movimento di sola rotazione sull’asse orizzontale, escludendo il movimento torsionale. La navetta, che presenta due coppie di ruote di scorrimento e 4 più piccole di stabilizzazione, è progettata in maniera che ci sia sempre una sola ruota per volta sul giunto stesso, assicurando il massimo del comfort. L’opera è sicuramente unica nel panorama infrastrutturale italiano e rara in quello mondiale, perché di solito simili monorotaie vengono realizzate su strutture in calcestruzzo armato e, in ogni caso, con meno vincoli di spessore strutturale che si traducono di conseguenza in un maggiore impatto visivo. Al di là della forma-funzione, lo studio Iosa Ghini ha cercato di dare al progetto una sua propria e contemporanea identità nel rispetto del contesto e della tradizione inerente al tessuto urbano nel quale si va ad inserire. Per questo motivo si è ispirato a elementi caratteristici della città e della sua prima periferia, caratterizzata da una campagna tipica padana: così le pile di sostegno del tracciato evocano l’imposta dell’arco tipico dei portici bolognesi, l’inclinazione dei portali sull’A14 ricorda quella delle 2 torri, la forma delle stazioni stesse richiama l’archetipo delle abitazioni di pianura dell’Emilia e così via. Progettare e “vestire” quest’opera infrastrutturale è stata anche per l’Arch. Iosa Ghini l’occasione per ribaltare l’opinione comune, che considera le grandi infrastrutture solamente funzionali all’attività per la quale sono state progettata e realizzate, tramite l’elevazione della stessa a status di opera architettonica attraverso la ricerca di soluzioni progettuali, stilistiche e di ricerca sui materiali utilizzati che le possano donare un valore sul piano sia dell’estetica e della memoria collettiva che della sostenibilità ambientale. 1 - Vista dall’esterno della stazione “Lazzaretto”. 2 - I sistemi di sicurezza con doppia porta. 3 - Il capolinea “Stazione FS”.
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di cui 25 mln apportati dai soci di Marconi Express, 27 mln di contributo pubblico regionale, 13 mln da parte dell’Aeroporto di Bologna, principale fruitore del servizio, e 60 mln nanziati dalle Banche. Il debito verso le Banche verrà restituito dal Concessionario, secondo il Piano Economico Finanziario in circa 15 anni, attraverso i ricavi da bigliettazione, che nel piano si stimano in graduale crescita di anno in anno, vista l’ascesa dei volumi di traffico dell’Aeroporto di Bologna.
La via di corsa Il tracciato della linea è lungo per la precisione 5.095 m e si snoda interamente in sopraelevata, dove corre una monorotaia dedicata. La struttura è sorretta da 125 pile in calcestruzzo di altezza variabile compresa fra 5,2 e 18 mt, costruite con una distanza di 30 o 40 m l’una dall’altra. La scelta delle luci discende ovviamente dalla tipologia di vin-
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Stazioni e navette Nella fermata intermedia di Lazzaretto sono previsti l’incrocio delle vetture, il deposito-officina e il posto di comando centralizzato per la gestione in remoto del sistema. Questa fermata è situata all’interno del nuovo comparto urbano nel quale trova posto il nuovo polo universitario e un’area destinata allo sviluppo residenziale e terziario. Le navette predisposte saranno tre al lancio, con la possibilità di implementarne un’ulteriore successivamente, qualora se ne dovesse avere necessità. La capacità omologata va da un minimo di 50 pas-
seggeri per veicolo a un massimo di 72, dato calcolato sulla base di 4 o 6 persone a metro quadro, comprese le valigie. Con due veicoli il sistema è in grado di trasportare almeno 420 passeggeri per direzione l’ora, 840 nelle due direzioni; con tre veicoli, i passeggeri/ora per direzione diventano 560, 1.120/ora nelle due direzioni. La capacità di trasporto del sistema, con soli 2 veicoli in funzione, va quindi dai 3,3 ai 5 milioni di passeggeri all’anno, secondo le ore di funzionamento.
4 - La navetta automatica P30 della Intamin Trasportation. 5 - Particolare dell’illuminazione e dei pannelli informativi presenti nelle stazioni.
Tecnologia A differenza dei classici impianti a fune orizzontale, il Marconi Express è a trazione elettrica, a 750 Volt in corrente continua, la medesima tensione della rete loviaria cittadina. La tecnologia, fornita dalla società svizzera Intamin Transportation, leader mondiale in questo settore, ha caratteristiche innovative: guida vincolata su sede propria, alimentazione elettrica, automazione integrale (senza guidatore a bordo), con porte di banchina per la massima sicurezza dei passeggeri in stazione. I veicoli corrono su di una trave metallica-via di corsa, ad una altezza media di circa 6-7 m dal piano di campagna, dalla quale si può scendere, ogni 500 m, attraverso scale di sicurezza collegate ad una passerella d’emergenza che affianca la via 43
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6 - Particolare della monorotaia e della passerella di emergenza.
di corsa lungo l’intero tracciato. Un’innovazione importante è costituita dall’installazione di pannelli fotovoltaici integrati su circa la metà della via di corsa, pannelli che, con una capacità produttiva di 665 MWh annui, sono in grado di fornire il 35% dell’energia necessaria per il funzionamento del sistema, e generando un impatto ambientale positivo pari a 300 tonnellate di CO2 in meno o 14.000 alberi in più.
Sostenibilità Il progetto preliminare, predisposto dal Comune di Bologna, aveva già individuato un tracciato a bassissimo impatto ambientale, attraversando per la maggior parte del percorso aree ai margini della città, prive di abitazioni e fabbricati in genere. La preoccupazione del concessionario, infatti, è sempre stata quella di realizzare un’opera d’ingegneria che comunque si inserisse in modo equilibrato e compatibile con il contesto, con particolare attenzione al disegno delle pile e delle strutture delle tre stazioni. L’architettura dell’intero progetto tiene conto e conferisce priorità all’esigenza di efficienza energetica, di riduzione dell’impatto ambientale, del comfort e della qualità della fruizione per gli utenti. Il linguaggio architettonico rispecchia la volontà di realizzare un progetto che dialoghi con l’aspetto tecnologico delle nuove risorse energetiche con l’attenzione rivolta alla qualità dell’ambiente ed al risparmio energetico. Queste tematiche, care all’architetto Iosa Ghini, coinvolgono anche la scelta dei materiali e delle soluzioni tecnologiche. Il materiale di rivestimento utilizzato per le stazioni, la lamiera stirata in acciaio, permette di far ltrare la luce e rende più luminosi gli ambienti, consentendo un risparmio sull’illuminazione arti ciale mentre l’orientamento delle strutture e del percorso è una delle linee guida dell’idea progettuale grazie alla quale sono posti i pannelli fotovoltaici, sia sulla balaustra della passerella sia sulle falde inclinate della copertura della fermata Lazzaretto: nel primo caso il disegno nasce per migliorare la resa dei moduli, nel secondo la copertura della stazione è sfalsata per permettere l’inserimento dei pannelli a sud ovest. La super cie della lamiera stirata in acciaio si collega 44
alla struttura, permettendo l’alloggiamento dei sistemi fotovoltaici non disturbando l’architettura del paesaggio circostante, ma mantenendo la loro funzione di generatori di energia. Dal punto di vista energetico questi pannelli, per il loro posizionamento, garantiscono i requisiti di performance energetica non compromettendo il sistema strutturale dell’involucro delle stazioni e del percorso.
Il ponte sull’autostrada A14 L’opera che, all’interno dell’intero progetto, ha richiesto più impegno, offrendo anche le maggiori soddisfazioni, è sicuramente il ponte autostradale. Dal punto di vista ingegneristico costituisce un piccolo capolavoro: la luce massima dell’impalcato è pari a 95 m, nel punto in cui si rende necessario superare l’autostrada A14, avendo la necessità di oltrepassare, non in ortogonale, le 12 corsie autostradali di transito e 4 corsie di emergenza presenti nella con gurazione nale di progetto del sistema tangenziale di Bologna. Considerato l’impegno costruttivo e strutturale, il ponte sull’autostrada è l’unica opera già concepita e realizzata con una doppia via di corsa e un’altezza maggiorata no a 250 cm. Dovendo in ogni caso sottostare ad un passo dei giunti di dilatazione minore di 60 m, lo schema statico prevede una trave tampone centrale con luce di 60 m connessa a due travi laterali con sbalzi di 17,5. La concezione dell’intera struttura è stata informata alla necessità di essere posta in opera con un solo sollevamento notturno. Con questo schema costruttivo è stato possibile svolgere i lavori di ssaggio della trave in pochissimo tempo creando pochissimi disagi alla circolazione autostradale.
Vantaggi dell’infrastruttura La realizzazione di un’infrastruttura come quella del Marconi Express accresce sicuramente non solo il valore dell’intera area metropolitana bolognese, ma l’intero più vasto sistema territoriale regionale, in un’ottica di ammodernamento del territorio e di incremento della sua capacità di attrarre ussi turistici e di business, aumentando-
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7 - Il tracciato del Marconi Express.
ne così la competitività che sempre di più oggi si gioca fra aree vaste del territorio. Infatti collegare velocemente una delle principali stazioni dell’Alta Velocità italiana, quale è quella del capoluogo emiliano, ad un aeroporto internazionale, signi ca poter ampliare i ussi in transito dall’aeroporto Marconi diretti e/o provenienti dall’area toscana ed intercettarne di nuovi da e per l’area lombarda e veneta; in altri termini, signi ca interconnettere la rete di trasporto ferroviario AV alla rete di trasporto aeroportuale internazionale. Le caratteristiche di questo people mover rispondono ai bisogni espressi dall’utenza attuale e potenziale dell’aeroporto Marconi. Si tratta in gran parte di viaggiatori che, recandosi occasionalmente in aeroporto (1 o 2 volte l’anno), prevalentemente per viaggi o affari, richiedono un servizio dalle prestazioni molto elevate. Questo moderno sistema di collegamento città-aeroporto, rientra nella visione strategica di sviluppo di un’infrastruttura chiave quale l’aeroporto Marconi. Il Marconi Express è parte integrante del progetto di ammodernamento e internazionalizzazione dell’aeroporto del capoluogo emiliano-romagnolo, centro nevralgico per i trasporti grazie anche alla sua centralità geogra ca. Negli ultimi anni si è modicata sensibilmente la tipologia dei viaggiatori aeroportuali poiché il bacino di provenienza si è ampliato: è aumentata sia la quota dei passeggeri provenienti dalla provincia di Bologna, sia quella degli utenti provenienti da altre regioni italiane e Paesi europei. Il numero dei passeggeri trasportati è in forte e continua crescita e, a fronte di questo trend positivo, è stato ritenuto necessario e strategico un efficace e veloce collegamento con la città. Le alternative di trasporto prese in esame in sede di valutazione del progetto, in particolare l’alternativa “Servizio ferroviario Bargellino” e “Servizio ferroviario Aeroporto”, mostravano caratteristiche non in linea con le esigenze degli utenti dell’aeroporto per quanto riguarda tempi di viaggio,
frequenze, affidabilità, comfort e riconoscibilità del servizio. Questi servizi sono, infatti, strutturati per rispondere alle esigenze di chi si sposta abitualmente nell’area bolognese, in primis lavoratori e studenti, che si muovono senza o con pochi bagagli, hanno acquisito una forte familiarità con la rete del trasporto locale e sanno orientarsi agevolmente nelle stazioni di interscambio. Il Marconi Express invece, proprio perché disegnato intorno alle aspettative dell’utenza aeroportuale, contribuisce meglio alla visione strategica di sviluppo di una infrastruttura chiave quale l’aeroporto Marconi. La caratteristica saliente della tecnologia del people mover è infatti quella di poter adattare in tempo reale la frequenza delle corse alla domanda del momento, ad esempio aumentando il numero di corse orarie nei momenti di maggiore afflusso e riducendole nei periodi più leggeri. Questa elasticità, impensabile per altri sistemi quali ad esempio l’aerobus, consente di ottimizzare i costi di gestione e rendere certamente molto efficace il servizio. Un’opera come quella del Marconi Express proietterà ancor di più il centro dell’Italia al centro dell’Europa, contribuendo a rendere Bologna uno degli hub più grandi e frequentati di Italia. © Riproduzione riservata
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Tram, metro e treni per il ridisegno del sistema urbano policentrico della città di Sassari di Alfonso Annunziata, Giuseppe Fiori e Francesco Annunziata
Una premessa d’obbligo è che esistono sistemi urbani, caratterizzati da un insediamento principale e da insediamenti, di minore densità abitativa, che gravitano sul primo, soprattutto per scarsità di servizi di differente tipo, con la conseguente nascita di ussi veicolari. La dispersione urbana, dilatando le distanze tra le parti del nuovo aggregato, stimola un alto livello di sviluppo della motorizzazione privata, con le conseguenze ormai note in termini di degrado ambientale. Accanto a questa constatazione, è ormai conclamata l’esigenza di interventi sul sistema di trasporto collettivo d’Area Vasta, che si pre ggano l’obiettivo di spostare quote signi cative di utenza dal mezzo privato al mezzo collettivo. In questa nuova Area Vasta, che vorrebbe trasformarsi in un nuova città, ove riequilibrare il ruolo dell’insediamento principale e della periferia degradata, allontanandosi dal tradizionale rapporto di dipendenza città-campagna e dando attenzione al recupero ed alla valorizzazione della periferia, il problema della mobilità e quindi delle infrastrutture di trasporto va affrontato nell’impostazione culturale di vedere le differenti infrastrutture viarie come un sistema nalizzato alla progettazione della nuova città, e quindi non solo scelte derivanti da una preliminare piani cazione territoriale che abbia considerato il ruolo del sistema dei trasporti, prevalentemente rivolto al soddisfacimento delle esigenze della mobilità. Si va facendo largo la considerazione del sistema Tram-Treno, ossia di sistemi nei quali i mezzi tramviari circolano su percorsi ferroviari locali, di una rete tramviaria territoriale al servizio dell’Area Vasta, pensata come embrione della nuova città. In questo sistema si prospetta il passaggio dell’intera rete ferroviaria, indipendentemente dallo scartamento, da ferroviario a tramviario. Spesso siamo in presenza di aree vaste laddove si deve operare su presenti infrastrutture ferroviarie che possono essere riquali cate nell’ambito di una coerente attività di piani cazione urbanistica del territorio. Siamo in presenza della necessità di riquali care i patrimoni infrastrutturali esistenti, preliminarmente alla progettazione di nuovi corridoi, che potrebbero invece rivelarsi convenienti in una logica di estensione del recuperato sistema TramTreno (Molinaro, 2013; Spinosa, 2010). Spesso infatti l’inserimento di nuove linee metropolitane entro un contesto urbano fortemente strutturato si è rivelato difficoltoso, particolarmente laddove si deve operare su sistemi urbani ove risulta assente una piani cazione della mobilità urbana, Queste negatività del trasporto viario possono essere ridotte solo attraverso una reale integrazione
Titolo Streetcars, subways and Autore train to redesign the polycentric urban system of the city ofpicimin Sassari Fuga. Qui aborers conemo od maio
ipis re lam dolo quiam ut rem repe plab by Alfonso Annunziata, Giuseppe ipsaperum anda idignimet poritam vendio Fiori and Francesco Annunziata quatissiment officia velias aut oditi quunt
repro vellatur am inverchit exped quat aut pa cum con coremporro expelitatum quam autat et quunt labor si odis reptat There arequuntur, urban systems, built around a perero blabo. Nemporio te digendaera core urban settlement and surrounded nessmaller eat exresidential estioraerae volum laciet by settlements with unt facesto volecup lesser density thattaerspi dependendundis greatly ondunt et eos core, numet, qui the due cusant primarilyrestia to thecus lackidunto of ratquam services, ra accustthereby earum repraes tiamus. available generating Borit hitaque non dispersion endissincit exerumq vehicle traffic. Urban increases uisque am, aturi dolescite comnis simpos distances, encouraging the use of private et officiu stiumqu amustiu et ut automobiles and leading, as rerumque a consequence, et environmental aut archili gentur mostemThere venistiundi to degradation. is a voloreicil maximil ipsanih estiandae clearly ascertained need toitemos shift signi cant verum dolor alibus atiore eum re numbers of users fromne using theirilisown que volorem eturia mi, et volorest, vehicles to relying onnos collective means ofsim enim nobitia temquo id qui quiaspeditat transportation, with an intervention on the eos disquos ut rerem sam iusa consed Vast Area collective transport system. In que licitius, et Area volectem vellibus, this newas Vast – this isratio also test, the case in apis nonsed pediciendam, Sassari – whichquaestemque would like to be transformed nullupt inulparum ipictat. into a new city, striking a new balance in Faccabo. Ecae nis eatent volorum etur? the relationship between core settlement Ucientinctus quiate and degraded rerum, suburbs,sitas breaking the nullabo remque ad ma volorenda corum, comnim dependency between city and countryside reiciaregenerating cus, optatquam simus cum, and and developing thesinctor epudaercius, berume et hilictate suburban area,ommolo the problem of mobility, and vendipsandem et aborat rem fugiass as a result of transport infrastructure, must iminumet dolorem be addressedexpediti by considering the diffharuptas erent restorinfrastructures mint es secumet ommoAmodipsam road as a system. system quis doluptiatur nobisofaccus atatcity, mi, nalized towards sequi the design the new voluptati volorfurther aligenimet going one step than thequaepudant planning labo. Nam vitaeptaquis approach that vendae considerslique transport merely in molupie ntibusamus offictio terms of satisfying mobilityvolore, requirements. dolupta tisimeniant omnis re dollab One system under consideration is theipsunt quisque di dolorehenis demporepudis Streetcar-Train system, a system in which alibus dipidi travel qui on que verovit the streetcars local railroadibuscius, tracks; od eribearum autatque aquidenet, regional streetcar network the dolest service et, of odigeni volorum as ipisthe et exera samus the Vast andebit Area, considered embryo of acum newnos city.et fuga. Us, consequia volorem oluptio quamtovoluptatur, omnimporecus It is important aim for a real integration dest, in et ipiciis citiam sit elitibu sandis of non-urban collective transportation and venissitis aut experiasjointly rerio blandio. Ribusci urban transportation, with a coherent mpore, iur sanissequae suntium et city planning approach forvendis the entire quaesto region. mod quam, ut il es mo voluptae
Nella pagina a anco, in alto: Tram-Treno nel punto di transizione fra rete urbana ed infrastruttura ferroviaria.; al centro: fermata d’ incrocio “Cliniche”; in basso: transito in viale italia con semaforizzazione stradale asservita.
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1 - Il sistema di relazioni costruito dalla rete tramviaria nel contesto territoriale.
tra trasporto collettivo extraurbano e trasporto urbano, unita ad una coerente attività di piani cazione urbanistica del territorio. A questo riguardo, l’innesto di un sistema metropolitano leggero sulle diverse direttrici di ingresso e di uscita può consentire di spostare una decisiva quota di trafco privato verso il servizio pubblico, ed in questa logica va perseguito lo sviluppo e la prevista valorizzazione dei collegamenti di super cie su ferro come mezzo fondamentale di ingresso e di uscita dalla nuova città, e di ricucitura tra i differenti quartieri già esistenti anche se Comuni autonomi marginali.
Un caso particolare: una proposta per il sistema urbano policentrico di Sassari Oggetto della presente memoria è il sistema urbano policentrico che trova riferimento nella città di Sassari e nei territori ad essa collegati. Questo va attraversando una crisi profonda, che ha inizio assai prima di quella scatenata dall’economia 48
nanziarizzata a partire dagli anni 2007/08, che si è aggiunta a quella preesistente: decenni di mancato intervento pubblico, sostituito dal mito del “libero mercato”, insieme all’assenza di politiche industriali e di programmazione, hanno lasciato il campo ad una deindustrializzazione selvaggia e ad una disoccupazione devastante. Tale crisi è, d’altro canto, connessa alla con gurazione della città, che discende da un’espansione urbana che si è sviluppata dando vita ad agglomerati con scarsa densità abitativa, secondo un modello che prende il nome di “dispersione urbana”. Esso comporta un forte consumo di suolo, e dunque accresciuti costi per le urbanizzazioni, la realizzazione di servizi e sottoservizi, cui si deve aggiungere la perdita di suolo produttivo ed una costante lievitazione dei prezzi delle aree fabbricabili e degli immobili. La dispersione urbana, dilatando le distanze tra le parti della città, stimola un alto livello di sviluppo della motorizzazione privata, con le conseguenze ormai ben note per la salute dei cittadini, il depauperamento di piazze e strade, di monumenti e palazzi e, più in generale, di degrado ambientale, ma con effetti altrettanto pesanti per le attività economiche e per la qualità della vita dei cittadini sassaresi e dello hinterland.
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2 - Il Tram-Treno in via delle Conce.
Risulta pertanto evidente che una riduzione dell’uso del mezzo privato costituirebbe uno strumento valido per contenere, sia pure solo parzialmente, gli esiti della crisi. Al momento esiste l’opportunità per interventi sul sistema di trasporto collettivo di area vasta che si pre ggano l’obiettivo di spostare signi cative quote di utenza dall’auto privata al mezzo pubblico. L’idea progetto della metropolitana di super cie di Sassari nasce nel 1990, come indicazione di piani cazione e programmazione contenuta nel Piano Provinciale dei Trasporti, e si sviluppa a seguito di un lungo processo caratterizzato da ulteriori fasi di piani cazione e di programmazione, da ripetute fasi di condivisione socio-politica ed in ne da fasi di progettazione. L’obiettivo principale perseguito sin dall’inizio era la realizzazione di un sistema di trasporto molto efciente e di minimo impatto ambientale a servizio dell’Area vasta sassarese, compreso il collegamento all’aeroporto di Fertilia ed il ripristino della penetrazione urbana di Alghero. Esso era basato sulla riquali cazione ed il massimo utilizzo dei rami ferroviari esistenti (Sassari-Sorso, Sassari-Tempio, Sassari-Alghero) già sottoposti a miglioramento funzionale con i nanziamenti della legge 910/86 i cui interventi si possono sintetizzare come segue: - doppio binario per un’estesa di 3.464 m, no alla fermata Rodda Quadda della Sassari-Sorso; correzione dei tracciati sulla Sassari-Alghero e Sassari-Sorso, con la realizzazione di nuovi viadotti per rendere più veloci i collegamenti fra la città ed i poli estremi. Per rendere efficaci i miglioramenti strutturali richiamati, il Progetto Generale Metropolitana Leggera di Sassari “Completamento rete urbana di Sassari e collegamento all’aeroporto di Alghero/ Fertilia” prevedeva la trasformazione dei rami afferenti a Sassari, delle Ferrovie della Sardegna (ora ARST), in Tramvia Territoriale con caratteristiche simili a quelle che, successivamente, verranno adottate dai sistemi Tram-Treno.
Validato il progetto ed ottenuto il nanziamento europeo, il bando di gara prevedeva, nell’ambito del Progetto Generale, un primo lotto funzionale di 7 km che, collegando l’Emiciclo Garibaldi, la Stazione F.S., S. Maria di Pisa, Latte Dolce, Sassari 2, Monte Rosello basso, V.le Sicilia, connettesse la linea per Sorso con quella per Tempio, così da soddisfare un bacino di utenza di circa 40.000 abitanti. Del primo lotto venne purtroppo realizzato soltanto un primo stralcio funzionale, che attualmente collega Emiciclo Garibaldi con S. Maria di Pisa, dedicando, a partire dalla stazione RFI, uno dei due binari al tram e l’altro parallelo all’esercizio ferroviario. Sulla stessa direttrice verso Sorso pertanto coesistono, in evidente con itto funzionale, i due sistemi di trasporto. Ormai sono trascorsi oltre 10 anni da quella prima attivazione e la Città sconta le resistenze di chi, nonostante la disponibilità di ulteriori nanziamenti, non ha ancora colto la valenza strategica di un nuovo assetto territoriale dei trasporti in sede ssa. Questo primo intervento, insigni cante rispetto all’intero sistema proposto, per la prima volta in Italia, comunque utilizzava un veicolo idoneo a percorrere sia infrastrutture stradali urbane che ferroviarie, anticipando di fatto quanto previsto dalli linee guida nazionali sui sistemi Tram-Treno del 2012.
La nuova proposta progettuale di Rete Tramviaria Territoriale Asse Principale Passante - Visto il lungo tempo trascorso dal primo intervento e la scarsa attenzione al problema della mobilità da parte delle Autorità competenti, alla luce delle innovazioni tecnologiche per i veicoli tramviari, sia per quanto riguarda i veicoli che le tipologie di alimentazione, la proposta che in questa sede viene avanzata, partendo da quanto n qui realizzato, vuole riaffermare 49
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soddisfare una parte signi cativa di domanda di trasporto, assegnando al sistema tramviario la funzione fondamentale di rapida e diretta (per brevità di tracciato) connessione delle periferie al centro, secondo tracciati che rispondano al Codice della Strada; - conseguire la maggior integrazione possibile con il sistema di trasporto pubblico e privato, localizzando le fermate in luoghi di elevata accessibilità ed agevole corrispondenza; - garantire la più ampia connettività del Sistema Tramviario Territoriale con la rete ferroviaria regionale (RFI), in modo da offrire l’opportunità di più instradamenti nell’ottica della migliore intermodalità. Constatata la debolezza, in termini di attrattività dell’utenza, del tipo di esercizio tipicamente ferroviario che attualmente ha origine presso la stazione RFI di Sassari, con attestamenti separati per ciascuna direttrice, la proposta di schema di rete si basa su un Asse Principale Passante di circa 44 km, costituito dalla relazione Sorso-Sassari-Alghero sulla quale innestare nuovi rami urbani di attraversamento che consentano una migliore accessibilità fra i poli territoriali e/o le periferie urbane ed il centro della città, comprendente: - a livello territoriale: l’indispensabile ed indifferibile elettri cazione della Sassari-Sorso; il fondamentale collegamento con l’aeroporto di Fertilia; il ripristino della penetrazione urbana di Alghero ed il suo prolungamento verso Sud sino av.le della Resistenza; - a livello urbano: il collegamento dei quartieri periferici di S.Orsola Sud e Li Punti a NordOvest; la connessione S.Orsola Nord-Baldedda, con un percorso ad anello della linea per Sorso con la tratta urbana della linea per Tempio, non più utilizzata per il trasporto locale, in direzione Nord-Est.
3 e 4 - Il Tram-Treno nel capolinea Emiciclo Garibaldi (in alto) e in via Sant’Anna (in basso).
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il criterio base teso all’implementazione di un sistema Tram-Treno che esalti le caratteristiche di compatibilità del veicolo tramviario con l’infrastruttura ferroviaria esistente annullando, di fatto, le rotture di carico che oggi avvengono nei punti di interconnessione fra i due sistemi, al ne di poter costituire un servizio frequente ed equilibrato sia a scala territoriale che urbana. In particolare, si intende di poter: - permettere una concreta fattibilità dell’opera in tempi e costi programmabili con gradualità di interventi, utilizzando nel breve periodo il massimo delle infrastrutture ferroviarie, dei sistemi di sicurezza della marcia (passaggi a livello automatici e segnalamento) esistenti o in fase di realizzazione; - eliminare, nel più breve tempo possibile, la promiscuità tra esercizio ferroviario e tramviario, nelle tratte immediatamente utilizzabili dal vettore tramviario con modesti impegni nanziari, al ne di agevolare non solo una concreta realizzazione di una rete organica, ma anche liberare le periferie urbanizzate dai vincoli determinati dall’infrastruttura ferroviaria, favorendo l’integrazione fra i quartieri periferici ed evitando notevoli impegni nanziari per opere non nalizzate agli obiettivi proposti;
Linea di Forza Urbana - In ambito urbano, l’ipotesi di rete si basa sulla realizzazione di una linea di forza di 12.225 m, integrata con l’asse principale passante che, collegando i quartieri periferici con il centro della città, attraverso un itinerario SudNord Ovest, a partire da piazzale Segni serva in successione S.Giuseppe, Emiciclo Garibaldi, Stazione F.S., Piazza S. Antonio, S. Maria di Pisa, S. Orsola Sud, S. Orsola Nord, e arrivi a Li Punti. Il percorso ipotizzato, utilizza una parte importante già realizzata, sia urbana che ferroviaria, rispettivamente di 2.470 m + 1.720 m. Le nuove prospettive urbanistiche, la proposta prioritaria di estendere l’elettri cazione no a Sorso pongono le premesse affinché la realizzazione delle tratte esterne alla città compatta contribuisca, da una parte, al raggiungimento di obiettivi di integrazione urbana dei quartieri periferici con il centro, dall’altra ad una razionalizzazione degli interventi che rispondano prioritariamente alle esigenze delle nuove scelte urbanistiche ed al principio di realizzare opere che non richiedano notevoli impegni nanziari se non quelli necessari per il raggiungimento degli obiettivi preposti. In quest’ottica la seconda parte della linea di forza urbana S.Orsola Nord–Li Punti di 2.530 m potrà essere realizzata in tempi e costi programmabili con gradualità di interventi che integrano con l’asse principale passante per Sorso, sicché su questa tratta si sommeranno le frequenze dei tram diretti verso Sorso con quelle della tratta urbana Emiciclo Garibaldi–Li Punti.
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5 -Schema della rete tramviaria territoriale.
6 - Capolinea su sede ferroviaria presso il quartiere periferico di S. Maria di Pisa.
L’esercizio tramviario sarà agevolato dall’utilizzo dei 3.464 m del doppio binario realizzato sino a Rodda Quadda e pertanto non si prevedono interferenze nei due sensi di marcia in ambito periurbano. La possibile attivazione di questo collegamento in tempi abbastanza brevi, raggiungendo alcuni degli obiettivi iniziali che erano stati posti alla base della realizzazione della tratta in esercizio, consentirebbe: - una maggiore funzionalità al tratto urbano attualmente in esercizio, derivante dall’estensione del servizio sino a Sorso; - un collegamento rapido tra una parte importante della periferia ed il centro;
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una risposta alla pendolarità scolastica che, agevolata dal sistema di coincidenze con il trasporto pubblico extraurbano, troverebbe, tramite la linea tramviaria, facilità di accesso agli istituti superiori presenti nel contesto attraversato; - un incremento immediato dell’utenza trasportata sulla tratta in esercizio ove andranno a sommarsi a quelle urbane le frequenze del collegamento con Sorso; - un miglior utilizzo del nuovo materiale rotabile. Questa tratta si caratterizza inoltre: - per la semplicità e l’economicità di realizzazione del tracciato, inserito in un ambito non ancora soggetto ad urbanizzazioni, e che non 51
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7 - Grafo della rete tramviaria territoriale.
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richiede opere aggiuntive per lo spostamento ed il rifacimento di sottoservizi; per l’unicità tipologica di esercizio tramviario che consente di non realizzare impegnative opere strutturali per sovrappassare la linea per Sorso nel punto di bivio, protetto da semaforizzazione stradale ferroviario; per un inserimento ambientale a basso costo; per dare risposta immediata all’utenza dei quartieri periferici attraversati ed alla potenziale utenza che potrà usufruire e godere dei servizi previsti lungo il parco lineare urbano; per la realizzazione di una fermata inserita nel parco urbano, facilmente accessibile alle diverse modalità, non esclusa quella ciclabile e l’interscambio con i servizi ferroviari SassariPortotorres; per il declassamento e la riquali cazione della S.S. n° 131 in asse urbano, attraverso la realizzazione di opere per la calmierazione del traffico ed un adeguato arredo urbano, che consentono, senza eccessivi oneri nanziari, un facile accesso dell’infrastruttura tramviaria al tessuto urbano di Li Punti.
Le economie derivanti dalla linea di forza urbana, secondo i criteri esposti, rispetto alla proposta di tracciato FdS/ARST, oggetto tutt’ora di dibattito cittadino, potrebbero garantire la realizzazione della tratta S.Orsola Nord–Pirandello Baldedda, con un tracciato parallelo alla strada provinciale Buddi-Buddi sino alla connessione con la linea 52
per Tempio, aprendo scenari che tenderebbero a soddisfare una quota signi cativa di domanda di trasporto, proveniente dai quartieri residenziali del quadrante Nord-Est altrettanto densamente abitati (40.000 abitanti), peraltro già dotati dell’infrastruttura ferroviaria attualmente chiusa all’esercizio. La tratta si caratterizza per dare risposta alla domanda di trasporto pendolare generata dagli Istituti superiori dislocati lungo l’itinerario ad anello, nonché a quella diretta verso il centro e proveniente dai quartieri periferici di S. Maria di Pisa, Latte Dolce, Sassari due, Monte Rosello, Sacro Cuore, V.le Sicilia. La Sassari-Tempio e le sue valenze turistiche, ambientali e sociali - Occorre ricordare che la linea per Tempio prosegue con funzioni turistiche in direzione di Tempio, ed oltre per Palau. Potrebbe essere considerata l’opportunità di disporre, in prospettiva, di un servizio con valenza turistica anche in considerazione di indiscutibili pregi ambientali del territorio attraversato, oltre al concorso nel contrastare il fenomeno dello spopolamento delle aree interne derivante dalle carenze di accessibilità territoriale. Il collegamento all’aeroporto di Fertilia e la nuova penetrazione urbana di Alghero - Da ultimo appare opportuno richiamare che la proposta comprende la trasformazione al sistema TramTreno della linea ferroviaria Sassari-Alghero ed il
TRASPORTI & CULTURA N.53 collegamento per l’aeroporto di Fertilia con una bretella di circa 7.000 m con origine poco distante dalla stazione di Olmedo, in direzione Alghero, e l’estensione dei collegamenti tramviari all’interno della città di Alghero, ad iniziare dal ripristino della penetrazione urbana verso il porto e la sua prosecuzione verso Sud sino a V.le della Resistenza, per una lunghezza di circa 4.000 m. Tali integrazioni urbane alla linea esistente si rendono indispensabili per implementare il collegamento con l’aeroporto di Fertilia oltre che per far assumere alla linea tramviaria un ruolo importante anche sotto l’aspetto dell’accessibilità urbana e della distribuzione modale della domanda di trasporto. Esistono infatti le condizioni urbanistiche affinché, con una tratta tramviaria in ambito urbano, soggetta alle regole del Codice della Strada, venga rimosso quel presunto ostacolo di tipo sico alla circolazione stradale che, nel 1988, con un provvedimento poco lungimirante, aveva determinato la cancellazione della penetrazione urbana della linea ferroviaria. Questo provvedimento, se da un lato cedeva spazio al traffico privato su gomma, dall’altro penalizzava signi cativamente la domanda di trasporto su ferro della tratta Sassari-Alghero che aveva subito l’arretramento della stazione dal centro città alla periferia. Oggi il sistema Tram-Treno proposto consentirebbe di realizzare un asse su sede ssa in grado di assumere la funzione di collettore principale della mobilità urbana fra due punti periferici della città di Alghero, che al tempo stesso consenta un collegamento diretto tra i poli principali dell’Area Vasta (asse principale passante), da centro a centro e da centro all’aeroporto, determinando un’offerta di trasporto in grado di recuperare una quota signi cativa di utenza dal trasporto privato. Il veicolo - Per quanto riguarda il materiale rotabile l’ipotesi è di individuare un vettore che, soprattutto per le lunghe tratte extraurbane, e per quelle più sensibili urbane, non richieda la predisposizione della linea aerea di alimentazione ma che sia compatibile, per sagoma, ingombro, estetica, livello di inquinamento , viste le attuali offerte dell’industria ferroviaria e quelle in prospettiva, tendenti a sostituire, nei veicoli ibridi e/o bimodali, i generatori diesel con innovativi sistemi di alimentazione, nei tracciati urbani delle città interessate, e che sia in grado di offrire un livello di comfort particolarmente adatto all’utenza da soddisfare. Il veicolo rappresenta il miglior compromesso tra un vettore ferroviario tradizionale (per il livello di comfort) ed un tram per la sua provata compatibilità a poter circolare indifferentemente sia su linee tramviarie urbane che su tracciati ferroviari. Tale veicolo, diffuso in Europa come risposta all’accresciuta domanda di mobilità, ha dato impulso allo sviluppo di un nuovo modo di spostarsi nelle aree suburbane facendo rinascere tratte ferroviarie destinate alla dismissione e recuperando nuova utenza dal trasporto privato (Alstom, 2018). Dando uno sguardo al futuro sembra quindi di intravedervi la possibilità di adottare nell’immediato veicoli ibridi a bassa emissione (diesel-elettrici), e successivamente ad emissione zero (idrogeno) che non richiedano la realizzazione della linea area di alimentazione: ne deriverebbero vantaggi economici ma principalmente ambientali e di sicurezza evitando alla città la ragnatela dell’antiestetica pali cazione.
Alcune considerazioni riassuntive
8 - Fermata d’incrocio presso la Stazione RFI.
L’insieme della proposta pre gura quindi una rete tramviaria territoriale al servizio del sistema urbano policentrico di Sassari, fondata su: - l’elettri cazione e la trasformazione in tramvia della Sassari-Sorso; - l’elettri cazione e la trasformazione in tramvia del ramo urbano della Sassari-Tempio, - il collegamento tramviario trai poli principali dell’Area Vasta (Sassari, Alghero-Portotorres) e tra questi e l’aeroporto di Fertilia. Non può sfuggire che la proposta consente di abbattere i vincoli urbanistici derivanti dagli attraversamenti ferroviari, favorendo così una più stretta integrazione tra gli stessi quartieri attraversati. Con riferimento ad un progetto alternativo attualmente all’esame del Comune di Sassari si devono osservare in particolare taluni limiti: - esso non tiene conto delle infrastrutture esistenti, venendo meno al principio del massimo utilizzo delle stesse; - mancano punti di interscambio sia con la mobilità privata che con il trasporto pubblico urbano, venendo così meno al principio di integrazione modale tra i vari vettori; - insiste nella ricercata conservazione dell’esercizio ferroviario da una parte e la distinzione di quest’ultimo da quello tramviario dall’altra; - non tiene conto della sempli cazione del regime di esercizio grazie all’adozione diffusa del servizio tramviario; - non tiene conto delle economie derivanti dalla regolamentazione di tipo tramviario in tutto il comparto Nord di Sassari; - non tiene conto della possibilità di accesso al centro di Sassari e di Alghero con un’unica modalità di trasporto, anche dai centri vicini dell’Area Vasta. Il concetto che ha guidato la proposta illustrata è che ogni componente del trasporto, parte di un sistema unitario e parte importante dell’organizzazione di un sistema urbano integrato, svolge un ruolo corrispondente alle proprie peculiarità tecniche ed economiche, e tutte le componenti, 53
TRASPORTI & CULTURA N.53 organizzate gerarchicamente, concorrono a de nire quell’assetto territoriale, funzionale all’assetto socio-economico pre ssato. In questo modo si con gura la funzione della tramvia come sistema territoriale “forte”, se dotato di quelle necessarie caratteristiche di diffusione spaziale, di puntualità e di efficienza del servizio (Porcu, 1996). La de nizione del sistema integrato di trasporto nell’Area di Sassari deve essere raggiunta perseguendo l’obiettivo dell’ottimizzazione delle risorse disponibili, con la massima attenzione all’uso ed al riuso di quelle già esistenti sul territorio. In quest’ottica appare evidente che il sistema ferroviario dell’Area ha una valenza elevata nella gerarchia dell’offerta di trasporto; infatti, la rete infrastrutturale esistente, sia essa a scartamento ordinario che ridotto, ha costituito la base da utilizzare e da ampliare per potenziare l’accessibilità al territorio, perseguendo anche obiettivi ambientali e di riequilibrio modale.
Ri essioni per una differente impostazione del sistema dei trasporti Si è spesso sostenuto, scrive Secchi (2005, p.81) che ”la soluzione di volta in volta data ai problemi della mobilità e della circolazione sia la maggiore responsabile del progressivo cambiamento…dei territori e della città, del loro ruolo, della loro dimensione e della loro forma”. Lo spazio dei ussi (Bonomi, 2014; Castells, 2010) implica nuove gerarchie, entro le quali sono ridenite la con gurazione ed il ruolo delle differenti reti della mobilità: queste si costituiscono sempre più come strumento di selezione di funzioni e di località, tale da rideterminare le geogra e delle armature insediative di vaste aree (Magnani, 2005). Le reti della mobilità, favorendo movimenti di concentrazione e dispersione, che si inseguono e si confondono, determinano una condizione di instabilità del territorio e determinano, in ne, l’incapacità della città di darsi una forma duratura. Inoltre, la mobilità è uno dei temi fondamentali di una nuova questione urbana sorta, come ogni questione urbana, da una crisi che sancisce la ne di una concezione della città (Secchi, 2013). Poter accedere ai servizi ed alle opportunità, alle risorse che la città contiene, propone in una forma nuova il tema dell’equità. Pertanto, uno dei temi fondamentali di un nuovo paradigma urbano diviene la costruzione di un sistema minuto ed articolato di reti, di percorsi, di dispositivi che migliori le condizioni di permeabilità e di accessibilità di un territorio, ed in particolare rinforzi il sistema delle connessioni che servono le aree marginali, partendo dall’adeguamento delle reti infrastrutturali, così da garantire ad ogni comunità e ad ogni categoria di utenti quel diritto alla mobilità da cui dipende la possibilità di fruire agevolmente dei servizi fondamentali (Annunziata et al., 2018). Queste condizioni consentono, come nota Paola Pellegrini (Astolfo e Boano, 2014), di mantenere, creare e ridistribuire il capitale spaziale. Tutto ciò impone la ricerca di nuovi metodi e nuove forme di governance e, non meno, di una nuova visione della città e del territorio: entro questa visione (Belanger, 2013; Pavia, 2014) le reti infrastrutturali si costituiscono come ossatura di una forma unitaria ma aperta, in divenire, che non 54
persegua l’uniformità, ma mantenga le diversità, ricomprendendo entro le proprie maglie un insieme eterogeneo di forme e parti urbane, favorendo la copresenza di pratiche diverse e di distinte modalità di “concezione dello spazio e di percezione del tempo” (Magnani, 2005, p. 60). Inoltre, l’esigenza di costruire una con gurazione urbana ugualmente ed altamente accessibile implica la ride nizione dei caratteri costitutivi e topologici e delle relazioni gerarchiche di questo. Il ne è la costruzione di un sistema intermodale, costituito da reti isotrope integrate, che organizzino complementarietà e sinergie tra forme diverse del movimento. L’intelaiatura di questo sistema è costituita dalle le reti del trasporto di massa, integrate nei nodi con le infrastrutture della mobilità privata e con un tessuto continuo costituito dal sistema degli spazi aperti, delle reti ambientali e dalle reti dei percorsi ciclo-pedonali (Marshall, 2005; Fabian, 2013). Questo insieme di reti integrate pre gura sia una trama concepita per favorire il più ampio movimento di persone e risorse, sia delinea la cornice entro cui dispiegare una più ampia strategia tesa a recuperare i pori, gli interstizi, i residui, insieme alle vie secondarie ed ai margini, in un mosaico continuo di spazi aperti praticabili (Fabian, 2013). Le infrastrutture possono costituirsi come congegno per integrare territori distinti, ridurre la segregazione delle aree marginali, favorire la pluralità di usi e di comportamenti, al contempo preservando la continuità e la stabilità dei sistemi bio- sici e, conseguentemente, la diversità se integrano questioni ed elementi propri dell’architettura, della mobilità e del paesaggio, (Shannon & Smets, 2010). Le reti infrastrutturali diventano, in questo senso, strumento per un progetto dello spazio antropico che supporta la simbiosi tra sistemi insediativi e sistemi bio sici declinandosi secondo un principio di corrispondenza tra la siogra a, l’idrogra a, le cenosi, del luogo e le pratiche ed i codici che presiedono ai modi in cui l’uomo abita il territorio, modi candolo (Mc Harg, 1969; Nijhuis & Jauslin, 2015; Tjallingii, 2015). Costruire comunità sostenibili, promuovere l’inclusione e la giustizia sociale implica, anche, ricongurare le reti della mobilità, ride nirne le gure, i criteri ed i requisiti che ne informano i caratteri morfologici e topologici e i rapporti gerarchici (Secchi, 2000), e conferire ad esse il ruolo e la funzione di armatura intorno a cui disporre le reti insediative ed ambientali, i diversi materiali urbani, le nuove centralità, le sequenze degli spazi aperti. © Riproduzione riservata
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9 - Tram-Treno ”Sirio” e Treno Storico per turismo in Stazione RFI di Sassari . Bonomi A. (2014), Città in nita, città diffusa, An one e Zeto, 25: 117-120. Castells, M. (2010), The rise of the network society, Wiley & Blackwell, Chichester.
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Intermodalità, territorio e architettura: il nuovo Polo Intermodale dell’Aeroporto di Trieste di Claudio Meninno e Adriano Venudo
A distanza di circa un anno dall’entrata in esercizio del Nuovo Polo Intermodale del Trieste Airport si propone una ri essione comparativa sul percorso progettuale, piani catorio e di studio complessivo che sta alla base del progetto esecutivo e della realizzazione del nuovo hub di Ronchi dei Legionari. Di seguito si illustrano i principali temi e luoghi, tecniche, strumenti e metodi utilizzati per ideare, dimensionare e integrare questa nuova infrastruttura intermodale al territorio, sia rispetto al pro lo urbanistico e viabilistico, che rispetto alle scale e agli ambiti (locale, regionale, nazionale, internazionale) che inevitabilmente una infrastruttura di questo calibro investe. In particolare si pone un focus sugli effetti propulsivi e sulle relazioni del Polo Intermodale con le infrastrutture locali direttamente coinvolte della città Mandamento, con l’intero sistema regionale della mobilità e dei trasporti, con le tendenze indotte sulle inversioni modali, e con il quadro internazionale delle dorsali economiche e dei corridoi modali. Il Polo intermodale annesso all’Aeroporto di Trieste è il frutto di una ricerca del Dipartimento di Ingegneria e Architettura dell’Università degli Studi di Trieste in convenzione con l’Aeroporto Friuli Venezia Giulia S.p.a.1 Le necessità che hanno delineato il brief di ricerca derivano dalle situazioni contingenti della struttura aeroportuale, dalla volontà di contribuire ad un processo di crescita del numero dei passeggeri e dalla necessità di migliorare l’accessibilità regionale complessiva. La maggiore difficoltà è stata costituita dalla road map particolarmente stringente per il rispetto degli impegni presi e dal pieno soddisfacimento di alcuni parametri quantitativi e qualitativi a fronte di un business plan che presentava un disallineamento tra gli obiettivi da raggiungere e la reale disponibilità nanziaria dell’operazione. La richiesta era quindi quella di proporre una soluzione formale e funzionale in grado di comprimere i tempi ed ottimizzare il budget senza ledere gli aspetti quantitativi e qualitativi dell’opera.
Inserimento territoriale, integrazione infrastrutturale e modelli di riferimento L’Aeroporto di Trieste-Ronchi dei Legionari rappresenta lo scalo più ad Est del territorio nazionale. 1 La Convenzione DIA-UNITS/Aereoporto FVG spa ha permesso la costituzione di un gruppo di ricerca post-doc composto da: Thomas Bisiani, Luigi Di Dato, Claudio Meninno, Adriano Venudo e Marko Verri il cui referente scienti co è stato il prof. Giovanni Fraziano.
Intermodality, territory and architecture: the new intermodal hub of the airport in Trieste by Claudio Meninno and Adriano Venudo One year after the New Intermodal Hub of the Trieste Airport officially opened, it is time for a comparative study of the design and planning process underlying the construction of the new hub at Ronchi dei Legionari. The authors illustrate the main themes and places, techniques, tools and methods used to conceive, scale and integrate this new intermodal infrastructure into the territory, in terms of city and road planning, and with respect to the the local, regional, national, and international scales and dimensions that an infrastructure of this calibre inevitably impacts. The intermodal Hub annexed to the Trieste Airport is the result of a research project by the Department of Engineering and Architecture at the Università degli Studi within the context of an agreement with Aeroporti Friuli Venezia Giulia S.p.a. The requirements that de ned the research brief derive from the contingent situations of the airport complex, the desire to contribute to the growth of passenger ow and the need to improve access from the region in general. The request was thus to provide a formal and functional solution to speed the project up and optimize the budget without repercussion on the quantitative and qualitative aspects of the work.
Nella pagina a anco, in alto: e al centro: vedute della passerella pedonale che collega l’aerostazione: al polo intermodale; in basso: Polo intermodale, rendering della soluzione progettuale elaborata in fase di ricerca.
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1 - Il polo intermodale nel contesto territoriale delle infrastrutture di trasporto.
Per la sua posizione geogra ca di “porta per l’Est” va inquadrato in un contesto che passa da una scala di riferimento regionale a una di livello nazionale e transnazionale, facendo quindi parte di un sistema più ampio che, dalla pianura padanoveneta a Ovest, si estende verso i paesi dell’Est Europa e dell’Asia, assicurando allo stesso tempo anche i collegamenti marittimi attraverso i porti dell’Alto Adriatico. Lo spostamento del baricentro del commercio mondiale dall’Europa all’Asia e le nuove possibilità di scambi verso il Far East, rappresentano una grande opportunità per la Regione Friuli Venezia Giulia, situata all’incrocio dei corridoi trasportistici multimodali quali il Corridoio Adriatico-Baltico che mette in relazione Nord e Sud Europa, il Corridoio Mediterraneo, lungo la direttrice Est-Ovest, il sistema del NAPA2, e la via della Seta, il cui recentissimo sviluppo è al centro di numerosi programmi economici e politici intercontinentali. La primaria importanza della collocazione geopolitica del Friuli Venezia Giulia viene evidenziata anche nel documento predisposto dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti quale contributo per il Quadro Strategico Nazionale del 2020-2030 il quale evidenzia la rilevanza della piattaforma nordorientale come ambito privilegiato di relazione tra il nostro Paese ed i mercati dell’Europa 2 Il NAPA - North Adriatic Ports Association è il sistema di porti dell’arco nord-Adriatico costituito da Rijeka, Koper, Trieste, Venezia e Ravenna
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centro-orientale (con la Via della Seta e il Corridoio Mediterraneo). Nell’evoluzione della tematica delle piattaforme territoriali, contenuta nel Nuovo Piano Nazionale della Logistica 2011-2020, che individua le aree logistiche unitarie nelle quali viene suddiviso il territorio nazionale al ne di rendere maggiormente efficace l’assetto logistico ed infrastrutturale, la piattaforma logistica del Nord-Est comprende Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige, considerando l’intera relativa dotazione infrastrutturale (viaria, ferroviaria, aeroportuale e portuale) in una logica sistemica. Il Trieste Airport è ad oggi l’unico aeroporto intermodale del Nord-Est. Esso è servito da una stazione bus, dalla fermata del treno, dal casello dell’autostrada A4, ed è posizionato in adiacenza alla SS14. Inoltre, assieme allo scalo di Milano Malpensa, all’Aeroporto “Sandro Pertini” di Torino e allo scalo toscano “Galileo Galilei” di Pisa è uno dei quattro aeroporti intermodali del Nord Italia, che in fase di studio e progetto sono stati utilizzati come casi studio per comparare, dimensionare e veri care l’efficacia del modello di intermodalità da utilizzare, in quanto casi simili perché integrano treno, linee TPL e auto all’aereo. Il Trieste Airport di Ronchi dei Legionari e il Karnten Airport di Klagenfurt sono gli unici scali della Regione Transfrontaliera (Italia, Slovenia, Austria e Croazia) a poter garantire uno scambio intermodale completo tra i mezzi.
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Oggetto di indagine, metodi e veri che Lo studio che ha preceduto il progetto ha indagato i modelli di intermodalità più razionali e più efficienti da applicare per lo sviluppo di un polo intermodale organico all’Aeroporto di Trieste3, integrato con la rete infrastrutturale regionale di primo livello (strade statali e autostrada) e del trasporto pubblico locale (APT e SAF), sia per quanto riguarda la parte su gomma che per quella ferroviaria, con ri essi positivi riscontrabili anche a scala ampia (da quella mandamentale a quella regionale). Il tutto è stato inserito in uno scenario allargato di sostenibilità degli interventi nel medio periodo, aggiornato alle condizioni della congiuntura economica dell’epoca4. È stato elaborato un programma funzionale complesso in grado di integrare sette modalità di trasporto (aereo, treno, automobile, trasporto pubblico locale, bicicletta, pedone), con le rispettive necessità funzionali, e contemporaneamente lo sviluppo urbanistico delle grandi aree di trasformazione contermini (comparti est e ovest del polo intermodale), di cui la parte infrastrutturale del polo costituisce la dorsale di comunicazione prin3 Vi è una discrepanza tra i documenti ufficiali riguardanti la ricerca che identi cano l’aeroporto con il nome di “Ronchi dei Legionari” o “FVG” e l’attuale denominazione “Aeroporto di Trieste” che venne adottata nel corso del 2016, durante l’iter di realizzazione del polo intermodale ad esso annesso. Precedentemente vi era una certa confusione nell’identi care il nome esatto dell’aeroporto che presentava una dicitura ufficiale particolarmente articolata quale “Trieste No-Borders Airport Pietro Savorgnan di Brazzà Ronchi dei Legionari Friuli Venezia Giulia” e spesso veniva identi cato come “Aeroporto di Ronchi dei Legionari” o “Aeroporto FVG”. La nuova dicitura ufficiale rispecchia maggiormente il codice IATA da sempre attribuito all’aeroporto e cioè “TRS”. 4 La ricerca si articola in due fasi consecutive. Da novembre 2012 a ottobre 2013 viene de nito l’assetto intero del polo intermodale e dello sviluppo delle aree ad esso annesso, mentre nell’anno successivo viene sviluppato uno studio più approfondito sugli scenari evolutivi riguardanti i comparti posti ad est e ovest adiacenti al polo stesso.
cipale. Il modello di intermodalità e il programma funzionale sono stati i punti di partenza del progetto ed in particolare: il modello intermodale adottato si imposta sull’utilizzo di uno schema su 2 livelli: il livello terra (piastra al suolo di circa 10 ettari) prevede l’organizzazione per sedi separate-affiancate dei5 “ ussi meccanizzati” e il primo livello (passerella pedonale attrezzata con tapis roulant, che si estende per 450 m), quello dei ussi pedonali, li connette tutti. Il tutto è completato da un anello ciclabile che si collega mediante rampe e adeguati ascensori ad entrambi i livelli.
2 - Il polo intermodale nel contesto delle infrastrutture di trasporto.
Il nuovo Polo Intermodale di Ronchi dei Legionari: composizione architettonica ed organizzazione infrastrutturale L’ottimizzazione del programma e delle tecnologie costruttive di questa grande infrastruttura viene ottenuta grazie alla de nizione della composizione architettonica degli elementi che costituiscono il complesso: l’elemento rettilineo sospeso (passerella pedonale di connessione) di dimensioni territoriali è il connettore sia visivo che funzionale dell’intero intervento, oltre a costituirne l’elemento iconico ed identi cativo. In questo modo si ottiene un’integrazione architettonica e circolatoria tra le singole parti tale da ridurre ed ottimizzare gli elementi funzionali richiesti (connessioni puntuali fra le diverse modalità) con conseguente riduzione delle risorse economiche necessarie e del consumo di suolo. In particolare l’elemento architettonico rettilineo è stato utilizzato come copertura della stazione dei bus e delle corriere extraurbane, riducendo spazi ed elementi aggiuntivi. Sotto alla grande passerella di connessione sono stati integrati gli spazi di attesa, i servizi (bagni, ristoro e locali tecnici), la biglietteria ed una zona coperta per migliorare l’utilizzo dell’area di carico-scarico del-
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3 - Polo intermodale, schema 3D e funzioni principali.
le corriere e dei bus, contemporaneamente, per la stazione ferroviaria, la grande passerella diviene il naturale sovrappasso dei binari, integrata ai sistemi di risalita (scale mobili, scale, ascensori, rampe). L’intervento, nalizzato al potenziamento dei servizi di trasporto della regione Friuli Venezia Giulia e allo sviluppo dell’intermodalità dell’hinterland isontino e triestino, è in linea con le indicazioni contenute nel libro Bianco dei Trasporti UE, nonché con le strategie regionali del Piano della Mobilità e dei Trasporti del Friuli Venezia Giulia, mirando alla piena integrazione ed interoperabilità dei singoli componenti della rete di primo livello (SR e Autostrada) e alla interconnessione fra le varie reti modali del sistema di trasporto regionale, interregionale ed internazionale. Non da ultimo, va segnalato che il nuovo Polo Intermodale intercetta ben due corridoi TEN-t europei quali l’asse Adriatico-Baltico e quello Mediterraneo5.
Andando nello speci co del progetto6, a seguito 5 L’intervento si inquadra inoltre all’interno dei suggerimenti formulati dalla Commissione Europea nella Comunicazione COM(2009) 279 def. del 17/6/2009 “Un futuro sostenibile per i trasporti: verso un sistema integrato, basato sulla tecnologia e di agevole uso”. 6 Oltre che nella parte documentale e descrittiva che ha dato origine a varie pubblicazioni, i risultati della ricerca si con gurano come linee guida progettuali per le successive fasi di approfondimento. L’attuale polo intermodale è il frutto di un iter progettuale e realizzativo sia interno all’ufficio tecnico aeroportuale che, successivamente, sviluppatosi attraverso un appalto integrato con gara pubblica. La realizzazione nale, pur con varie modi che del caso, segue nella sostanza le linee di indirizzo tracciate dalla ricerca universitaria. Le varie fasi del
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della valutazione costi/bene ci di sette ipotesi alternative riguardanti i layout di distribuzione e organizzazione degli elementi costitutivi in relazione all’attuale aerostazione e alla viabilità stradale prospiciente, si è optato, utilizzando anche le SWOT, per la con gurazione che prevede la collocazione del nuovo Polo Intermodale di fronte all’aeroporto, scavalcando la SS14 con una struttura a ponte nord-sud in grado di connettere tutti i settori della piastra al suolo dedicati alle varie modalità, e utilizzando un sistema a doppio “loop” per la viabilità locale di accesso, con adeguata capacità e livello di servizio per organizzare e smistare i ussi automobilistici provenienti dalle due direttrici privilegiate: Trieste e Venezia. Tutta la viabilità interna al nuovo Polo Intermodale è organizzata con lo stesso principio viabilistico, ovvero con un anello infrastrutturale (a senso unico e a rotazione oraria) che permette di collegare tutte le aree e gli edi ci del Polo Intermodale in maniera uida vista la sezione stradale adottata (tipo C1), conservando anche un margine di capacità e di livello di servizio per evitare la saturazione dell’infrastruttura in uno scenario futuro di crescita, espansione e sviluppo dei comparti urbanistici adiacenti. L’ottimizzazione dei percorsi pedonali ha determinato il posizionamento dei diversi dispositivi cardine per l’intermodalità: sono state studiate le distanze ottimali per le diverse tipologie di scambio modale che, seppur prevalentemente riguardante progetto hanno ricevuto premi e riconoscimenti sia a livello nazionale che internazionale per l’innovazione dell’approccio ed i risultati raggiunti.
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i traffici da e per l’aeroporto, prevede ed agevola anche l’interazione tra ussi di trasporto “estranei” all’utilizzo diretto dell’aeroporto. In questo modo il Polo Intermodale è funzionale anche al territorio e non solo all’aeroporto. La successione degli elementi architettonici secondo il programma funzionale, a partire dalla stazione aeroportuale vede la passerella pedonale in qualità di attore principale; successivamente, oltre la strada statale 14, si giunge un parcheggio coperto multipiano con circa 500 posti auto e proseguendo si giunge l’area della sottostante stazione delle corriere, accessibile scendendo di un livello. Proseguendo verso sud si arriva, sempre in quota, alla zona della stazione ferroviaria a cui si accede attraverso delle scale mobili, degli ascensori e delle rampe. Ad est della stazione delle corriere è stato ricavato un parcheggio a raso di notevoli dimensioni con circa 850 posti auto; a ridosso della stazione ferroviaria c’è un’ulteriore area parcheggio con ulteriori 300 posti auto circa. È stata inoltre realizzata una pista ciclabile collegata con la rete regionale ReCir delle vie ciclo-pedonali (FVG2 e FV5), importante connessione per l’implementazione della mobilità rail-bike, in costante crescita sia in molte aree europee. Considerando la Nuova Disciplina in materia di Ostacoli e Pericoli alla Navigazione Aerea dell’aeroporto di Ronchi dei Legionari, l’ambito di intervento non ricade nella zona di sedime dell’Aeroporto ed in particolare gli edi ci, per le loro caratteristiche plano-altimetriche, non interferiscono con la Zona Libera da Ostacoli che ricade tutta all’interno
del sedime aeroportuale ed esclude anche l’attuale edi cio dell’aerostazione. Per questa ragione tutti i manufatti architettonici si sviluppano nell’area antistante l’aerostazione inclusa tra la linea ferroviaria Trieste-Venezia a Sud e la Strada Statale 14 a Nord. Sempre a seguito dei regolamenti ENAC, i nuovi edi ci e le strutture in elevazione del Polo Intermodale raggiungono una quota massima non superiore a 15 metri e comunque inferiore all’altezza massima dell’edi cio aeroportuale esistente, seguendo quindi un coordinamento complessivo ed integrazione delle volumetrie in relazione anche al paesaggio circostante.
4 - Passerella pedonale, collegamento con aerostazione e sovrappasso della strada statale.
Risultati Gli esiti della ricerca dimostrano la fattibilità sia tecnica che economica della prima fase di sviluppo del polo intermodale nel breve e nel medio periodo oltre a delinearne la compatibilità con le analisi condotte preliminarmente. Gli scenari evolutivi per lo sviluppo urbanistico indotto dal polo intermodale pongono in evidenza l’estrema versatilità della soluzione proposta, senza intervenire ulteriormente sulla struttura viabilistica esistente. È inoltre emerso come un approccio di carattere architettonico ad un problema precedentemente percepito come meramente funzionale, abbia permesso di giungere ad una sintesi formale e funzionale capace di dare risposta a tutti gli aspetti e alle problematiche iniziali. La successiva fase di realizzazione - attraverso un appalto integrato condotto con modalità partico61
TRASPORTI & CULTURA N.53 larmente efficaci grazie all’operatività raggiunta tra progettisti, ente appaltante, direzione lavori, ditte esecutrici e tutti gli altri attori coinvolti - ha permesso di concludere in poco più di cinque anni un iter iniziato con la ricerca universitaria qui illustrata. Questo ha permesso in tempi rapidi di dotare e rendere operativo uno snodo intermodale importante per il territorio e per gli scenari evolutivi di carattere più ampio, decongestionando le infrastrutture esistenti e favorendo lo sviluppo dei trasporti, delle comunicazioni e dell’economia locale. Basti pensare che l’aeroporto di Trieste è uno dei pochi aeroporti italiani direttamente connessi con l’alta velocità il che apre scenari molto interessanti, ampliando il raggio d’azione di una struttura precedentemente percepita solo come di interesse locale, cosa che l’ha resa appetibile per gestori aeroportuali di caratura nazionale. Questo potrebbe aprire la strada ad evoluzioni ulteriori, inserendo l’aeroporto di Trieste all’interno di sistemi di connessione su scala allargata per favorire implementazioni positive tra diversi nodi infrastrutturali nazionali ed innescando dinamiche positive per l’intero territorio.
Il ruolo strategico del nuovo Polo Intermodale di Ronchi dei Legionari presso il Trieste Airport L’Aeroporto del Friuli Venezia Giulia di Ronchi dei Legionari è un aeroporto internazionale che ha una capacità operativa stimata di 2.000.000 di passeggeri/anno7. La collocazione dell’Aeroporto è strategica e baricentrica: è vicino al Veneto e alle regioni della Slovenia e dell’Austria, con distanze relativamente brevi dai principali centri regionali (33 km da Trieste, 40 km da Udine, 80 km da Pordenone, 20 km da Gorizia), interregionali (120 km da Venezia, 115 km da Treviso, 200 km da Verona, 140 km da Padova) e internazionali (50 km da Koper, 130 km da Ljubljana, 170 km da Klagenfurt, 160km da Lienz, 110 km da Fiume, 160 Km da Pola). Ad oggi il nuovo Polo Intermodale, dopo un anno di esercizio, sviluppa la piena interconnessione fra le varie reti modali del sistema di trasporto regionale. Gli obiettivi attesi, e confermati dai risultati del primo anno di esercizio8, rilevano già una rilevante riduzione della congestione sulla rete stradale (SS14) e soprattutto una importante riduzione del tempo di viaggio sulle più importanti dorsali di mobilità regionali, ampliando così il “livello di servizio” di un ampio territorio, a bene cio del viaggiatore. Tutte le valutazioni alla base delle proposte progettuali, sia infrastrutturali che architettoniche, per il Polo Intermodale e per il riassetto viabilistico complessivo del Mandamento sono partite dall’analisi del bacino d’utenza del Trieste-Airport poiché si estende su tutta la Regione Transfrontaliera. In particolare si evidenzia come il 43,2% dei passeggeri provenga da Trieste, il 23,1% da Udine, il 15,4% da Gorizia, il 17,6% dalle vicine Slovenia e Croazia e solo 1,3% dall’Austria. L’accessibilità con i mezzi pubblici è garantita da 3 linee di Trasporto Pubblico che collegano lo scalo con Gorizia, Trieste e Udine. 7 Fonte: Trieste Airport. 8 Il primo anno di esercizio - 2018-2019 – del Polo Intermodale ha fatto registrare all’Aeroporto un incremento dei passeggeri di oltre il 20%.
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L’attuale livello di servizio del Polo Intermodale, così come elaborato nello studio iniziale qui illustrato, soddisfa abbondantemente il traffico di previsione dell’Aeroporto, stimato oltre il milione di utenti, il traffico generato dalla fermata FRI, dall’autostazione bus e dal pendolarismo locale per il quale si è previsto un uso e relativo turn over prudenziale del parcheggio a raso del nuovo Polo Intermodale. Oltre al suddetto fabbisogno del Polo Intermodale e dei futuri Comparti Urbanistici, il livello di servizio del sistema infrastrutturale locale che integra anche la SS14, reimpostato sul principio ad “anello+tornante” con le nuove sezioni viabilistiche, potrà garantire un ulteriore margine di assorbimento di traffico (ipoteticamente generato dai Comparti limitro ) no ad un 35-40% del TGM previsto. Oltre tale soglia il sistema andrà in crash, in particolare sull’arco della SS14. Eventuali ipotesi di variazioni dei ussi e quindi della capacità del sistema, (ad es. in relazione ad un notevole aumento dei ussi aeroportuali, oppure del traffico generato dalla fermata FRI, o dalle aziende/attività dei futuri Comparti Est e Ovest) potranno essere soddisfatte in prima istanza riducendo il livello di servizio generale e la portata di servizio alla classe inferiore (“D”), il che implicherà un aumento dei tempi di attesa nelle intersezioni, nei parcheggi, nelle code, nella riduzione della velocità di progetto, un aumento dei tempi di percorrenza e di utilizzo dei servizi e strutture. In seconda istanza, per risolvere tale criticità, si potrà valutare l’opportunità di aumentare proporzionalmente la portata dell’arco della SS14 (per aumentarne la portata) e poi dell’anello del Polo Intermodale. Per tale ragione tutti gli scenari prevedono delle fasce di rispetto stradali.
Previsioni di intermodalità e monitoraggio dei primi risultati Dopo il primo anno di esercizio (2018-2019) si è registrato un notevole aumento dell’utilizzo del trasporto pubblico, in particolare del treno, il che fa ben sperare sulla corretta valutazione delle previsioni elaborate al momento del dimensionamento dei ussi e degli spazi (2012-2013). La nuova fermata RFI presso il Polo Intermodale ha movimentato 195.000 passeggeri9, di cui il 20% per utilizzo diretto dell’aeroporto, il che signi ca un primo grosso cambiamento nelle pratiche d’uso della mobilità a favore del TPL, che ha e avrà un impatto positivo sul territorio regionale. Questo trend positivo di conferma delle previsioni e degli obiettivi è anche rafforzato dai dati del primo anno di esercizio derivanti dalle società di Trasporto Pubblico Locale su gomma. Sono infatti 3 le compagnie di autobus che oggi servono lo scalo regionale: APT Gorizia per il trasporto locale, Flixbus e Florentia Bus per trasporti transfrontalieri. APT Gorizia, che nel 2018 ha registrato 94 mila passeggeri da/per l’aerostazione, opera sulle tratte locali regionali ed in particolare con la linea 51 che collega Udine e Trieste Airport via autostrada e Trieste città, ogni mezz’ora. Da settembre 2018 ad aprile 2019 Flixbus ha registrato 2.116 passeggeri che hanno utilizzato la fermata autostazione del Polo Intermodale Trieste Airport. La compagnia è oggi attiva con 4 linee (Nizza-Fiume, Zagabria-Ginevra, 9 Fonte dati: Assaeroporti e ENAC.
TRASPORTI & CULTURA N.53 Verona-Zagabria) e dal 6 maggio ha aperto la nuova tratta Trieste Airport-Napoli. Florentia Bus propone invece la linea internazionale Firenze-So a.
Conclusioni La ricerca ha avuto il merito di dare una risposta estremamente concreta attuando un confronto tra una materia più tecnica, quello della trasportistica intermodale, ed un settore come la composizione e la progettazione architettonica la cui componente artistico-umanistica risulta caratterizzante e ciò ha contribuito ad innescare un’ibridazione disciplinare tale da accelerare l’intuizione e la sintesi creativa, delineando soluzioni innovative ed efficaci in campi tradizionalmente lontani dal fare artistico. Gli elementi del progetto che sono risultati particolarmente efficaci per il raggiungimento degli obiettivi ed il rispetto dei limiti operativi imposti, sono: - da un punto di vista viabilistico, l’aver cercato di operare il minor numero possibile di modiche all’infrastruttura esistente, adattandola e andando ad aggiungere un sistema di distribuzione dedicato al polo intermodale costituito da un anello principale dotato di sottosistemi distributivi che può permettere, inoltre, lo sviluppo dei comparti urbanistici limitro ; - strategicamente, aver concepito l’infrastruttura intermodale come un sistema capace di offrire nuove potenzialità sia per l’areale locale che per quello di respiro nazionale ed internazionale. In particolare il collegamento con la ferrovia e la costituzione di una fermata dell’alta velocità ha permesso di migliorare la strategia generale dell’aeroporto e di inserire il polo stesso all’interno di ragionamenti infrastrutturali di carattere più ampio rispetto alle aspettative di partenza; - da un punto di vista compositivo e funzionale, l’essere riusciti ad operare una riduzione e sintesi degli elementi che compongono il programma funzionale generale ha permesso di comprimere sia le tempistiche di realizzazione che i costi generali, dando risposta effettiva ad uno dei limiti iniziali più stringenti.
Commissione della Comunità Europea: COM 370/2001 Libro Bianco; Commissione della Comunità Europea: COM 44/2009 Libro Verde TEN-T: A policy review –Towards a better integrated trans-European transport network at the service of the common transport policy; Musso A., Le opportunità offerte dal trasporto intermodale, Roma, 2010; Dalla Chiara B., Benzo G., Maringo D., Interporti e terminali intermodali : progettazione, gestione, sistemi telematici, riferimenti normativi, terminologia, Hoepli, Milano 2002; Pastorino M.N., Introduzione alla piani cazione del sistema trasporto aereo, Franco Angeli, Milano 2009; Dalla Chiara B., Sistemi di trasporto intermodali: progettazione ed esercizio, EGAF EDIZIONI, Forlì, 2009; Uir, Il disegno dell’interportualità italiana, Fattori di crescita, sviluppo della logistica e dinamiche territoriali, Censis, Roma 2009; Uir, Il sistema interportuale nelle piattaforme logistiche territoriali, Censis Roma 2010; Federal Ministryof Transport, Building and Urban Development, Freight Transport and Logistic Action Plan, 2010; Forte E., D’Ambra L., Siviero L., Interporti in Italia tra intermodalità e retroportualità: un’analisi di efficienza con frontiera di produzione stocastica, XIII Scienti c Meeting of The Italian Society of Transport Economics, Messina 2011; Danielis R., I trasporti in Italia: mercati e politiche, SIET 2012; Fraziano G., Bisiani T., Di Dato L., Meninno C., Venudo A., Verri M., Le regole del gioco. Scenari architettonici e infrastrutturali per l’Aeroporto FVG, Edizioni Università di Trieste, Trieste, 2015; Dalla Chiara B., Progettazione ed esercizio. Sistemi di trasporto intermodali. Approccio tecnico-operativo per la progettazione e l’esercizio delle varie modalità (stradale, ferroviaria, marittima e uviale), EGAF Edizioni, Forlì 2015
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Nota Introduzione e conclusioni di questo articolo sono a
cura di Claudio Meninno e Adriano Venudo. Paragra : Oggetto di indagine, metodi e veri che; Il nuovo Polo Intermodale di Ronchi dei Legionari: composizione architettonica ed organizzazione infrastrutturale; Risultati, a cura di Claudio Meninno. Paragra : Inserimento territoriale, integrazione infrastrutturale e modelli di riferimento; Il ruolo strategico del nuovo Polo Intermodale di Ronchi dei Legionari presso il Trieste Airport; Previsioni di intermodalità e monitoraggio dei primi risultati, a cura di Adriano Venudo.
Bibliogra a Friedlaender A.F., Harrington I., Intermodalism and integrated transport companies in the United States and Canada, Journal of transport economics and policy, September 1979 Del Viscovo M., Economia dei trasporti, UTET 1999;
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La riapertura della ferrovia Foggia-Lucera di Salvo Bordonaro
I primi espliciti riferimenti ad una linea ferroviaria con cui realizzare il collegamento ferroviario più breve da Roma verso il Molise risalgono al 1844. Questa direttrice si completava con il naturale proseguimento verso il litorale adriatico e poco importava se il raccordo si fosse realizzato a nord o a sud di Termoli: l’importante era giusti care, con quell’ultimo tratto dal valore imprecisato, il ruolo che quella ferrovia avrebbe potuto avere come ulteriore trasversale Tirreno-Adriatico. Il dibattito che ne seguì, gli accesi comizi e le feroci controversie sulla scelta del tracciato non portarono alcun bene cio alla realizzazione dell’opera che restò sulla carta ancora per molti decenni tanto più che ai notabili dello Stato Ponti cio, nel cui ambito territoriale si sviluppava gran parte del tracciato, non interessava minimamente la realizzazione dell’opera. Il 14 luglio 2009, nell’occasione della inaugurazione della Foggi-Lucera si sono espressi forti auspici per la naturale prosecuzione verso Campobasso . Un accordo di programma tra la provincia di Foggia e quella di Campobasso permise la realizzazione dello studio di fattibilità che nessuna delle due regioni, Puglia e Molise prese mai in seria considerazione. La Foggia – Lucera resta a testimoniare l’impegno di Regione Puglia e Ferrovie del Gargano nel promuovere una mobilità al passo con i tempi in questa aerea molto vivace della Capitanata.
Il quadro storico L’isolamento geogra co, sociale ed economico del Molise sarebbe balzato prepotentemente agli occhi dei nuovi governati che all’indomani dell’Unità d’Italia si trovarono a fare i conti con una rete ferroviaria da ridisegnare in gran parte e da integrare laddove ve ne fossero le condizioni. Cadde però nell’oblio, in quei frangenti, la questione della direttrice Roma-Puglie ed invece restò, nel dibattito ferroviario post-unitario, l’esigenza di collegare Foggia con Lucera in ragione della propensione di entrambe a svolgere il ruolo di centro amministrativo ed economico della provincia dauna. A conferma di ciò, nella legge n° 5858 del 28 agosto 1870, che attribuiva al Governo la facoltà di concedere per Decreto Reale all’industria privata la costruzione e l’esercizio delle strade ferrate, al titolo III l’articolo 20 estendeva i bene ci di tale disposizione legislativa al tronco ferroviario LuceraFoggia-Manfredonia. In quelle more si costituì il “Consorzio per la Ferrovia Lucera–Foggia–Manfredonia” a cui, nel 1871, fece pervenire i suoi studi di fattibilità, primo fra
Reopening the railway between Foggia and Lucera by Salvo Bordonaro The Foggia-Lucera railway, which opened for business in 1887, changed hands from the Rete Adriatica to the Ferrovia dello Stato in 1905. In 1935 it was expanded with a new track that, moving away from the original station at Lucera, penetrated into the city. The new urban tract was a great success, but paradoxically it also became the cause for the later collapse of the railway service. In 1967, the passenger rail service was suppressed and a substitute bus service was instituted, with obvious and evident limitations. There were vain attempts at re-establishing the railway connection, through the 1980s, when the problem was addressed with determination Work to reopen the section of railroad had been proceeding for some time, now that it was inserted into the context of a railway connection between Rome and the Apulia region that ran through Campobasso, Lucera and Foggia. In 1982 the “Direttissima Foggia-Roma” was included in the Piano Poliennale of the Ferrovie dello Stato. Construction to reopen the Foggia-Lucera began, but progressed slowly. A new project recommended that the old tracks be dismantled and new ones built using technically advanced solutions. Following a further interruption in 2008, when ownership shifted to the Concessionaria Ferrovie del Gargano, the new line was completed. Initiatives are underway to continue the railway through to Campobasso.
Nella pagina a anco, in alto: treno lungo la linea FoggiaLucera; in basso: stazione di Foggia, treno per Lucera 2009.
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TRASPORTI & CULTURA N.53 nomiche a danno della ben più blasonata Società Strade Ferrate Meridionali presso la cui Direzione dei lavori l’ing. Dovara venne a ricoprire la carica di Capo sezione per la sede d’Ancona nei successivi vent’anni. Nel corso degli anni seguenti, una serie di provvedimenti legislativi nazionali precisarono meglio la tipologia della costruenda linea ed i relativi oneri a carico dei concorrenti. Il progetto esecutivo del tratto Foggia-Lucera fu approvato il 1° agosto 1884 e subito dopo ebbero inizio i lavori di costruzione affidati all’impresa Caputo che riuscì a portare a termine la realizzazione del tracciato nell’estate del 1887. L’inaugurazione avvenne la calda domenica del 31 luglio 1887. Il servizio regolare cominciò il giorno seguente con 3 corse giornaliere e questa cadenza si conservò invariata almeno no ai primi decenni del Novecento.
L’andamento del tracciato della Foggia-Lucera Il tracciato ferroviario, muovendosi da Foggia a Lucera, si alzava (e si alza) blandamente di quota e, se si eccettua il suggestivo colpo d’occhio a nord-est a scorgere le prime alture garganiche o a nord-ovest guardando le timide balze su cui si erge Lucera, nel complesso il paesaggio naturale non offre grandi attrattive. È il paesaggio antropico, segnato dalle colture agricole a costituire la maggiore attrattiva e, se si ha la fortuna di essere da queste parti tra aprile e giugno, un mare di generose spighe di frumento ondeggerà intorno alla ferrovia. Ancora più accattivante, nella stessa stagione, il passaggio tra mirabili folle di pittoreschi girasoli.
L’esercizio alle Ferrovie dello Stato e il collegamento con Lucera Città 1 - La stazione di Foggia fu interessata alle prove di attivazione del servizio di trazione in corrente continua (1931). 2 - Una automotrice percorre la stretta curva che porta verso la stazione di Lucera Città da lungo tempo soppressa.
tutti, l’ingegnere Federico Gabelli1. La sua relazione è molto dettagliata: chiarisce, tra le altre cose, che la scelta di indicare la posizione passante della stazione di Lucera ai piedi della collina su cui si erge Porta Troia ha il senso di costruire le premesse per un futuro collegamento verso il Molise e Campobasso in particolare. Negli anni seguenti nessun altro progettista osò mai mettere in discussione la collocazione ed il ruolo della stazione di Lucera a conferma della scelta lungimirante dell’ing. Gabelli. Nel 1876 fu la volta del progetto dell’ing. Paolo Dovara2, espertissimo studioso di cose ferroviarie, che concludeva la sua Proposta di ferrovia economica ipotizzando tre scenari: - una ferrovia a scartamento normale ma con rotaie da 32 kg/metro lineare; - una ferrovia a scartamento ridotto in sede propria; - una ferrovia a scartamento ridotto in sede promiscua. Nessuna di queste sue ipotesi fu mai presa in alcuna considerazione poiché tutte mettevano in gioco imprese straniere specializzate in ferrovie eco1 Pordenone 1832 – Napoli 1889. 2 Cremona 1835 – Lecce 1917
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Anche la “Rete Adriatica” alla ne dovette soccombere alla statalizzazione della rete ferroviaria italiana decretata dalla legge 1° luglio 1905, ma il passaggio di consegne avvenne con un anno di ritardo per le ben note vicende della proroga accordata e subito dopo revocata alla compagnia ferroviaria. La statalizzazione non comportò alcuna modi ca sostanziale al servizio ferroviario, sia in termini di numero di corse sia in termini di materiale rotabile utilizzato, almeno no al 1933, quando giunsero a far servizio sulla Foggia-Lucera le prime automotrici FIAT con motore a combustione interna: si trattò per lo più di ALn 56 e successivamente di ALn 556 della serie 1202-1300. In ultimo arrivarono le ALn 556 della serie 1301-1399. Soltanto gli sporadici treni merci e i treni misti restarono appannaggio delle eleganti locotender del gruppo 851. Sempre negli anni Trenta, sulla scorta di quanto stava accedendo da altre parti in Italia, anche a Lucera si realizzò un tratto di ferrovia a penetrazione urbana: i lavori furono eseguiti in tempi molto brevi e con il sostegno pressoché univoco delle nanze comunali. Il primo di luglio 1935 s’inaugurò il nuovo tracciato che, distaccandosi alla radice est della originaria stazione di Lucera, s’inerpicava, costeggiando il viale della ferrovia, n quasi sotto le mura di Porta Troia. Il nuovo
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3 - La stazione di Foggia in una vecchia cartaolina.
4 - Stazione di Lucera, 2009.
tratto urbano riscosse un gran successo di pubblico tanto che dovettero essere incrementate le corse giornaliere ma, paradossalmente, ciò costituì, al contempo, la ragione del successivo tracollo del servizio ferroviario.
La cessazione del servizio passeggeri Il 15 dicembre 1966 si costituì a Lucera il “Comitato cittadino per la difesa della Ferrovia” che, in risposta alla ventilata ipotesi della chiusura della ferro-
via, organizzò persino una “marcia su Foggia” con corteo, striscioni e slogan e una raccolta di rme davanti al Duomo. Una richiesta d’incontro giunse a Roma all’On. Pietro Nenni in qualità di Presidente del “Comitato per il riassetto delle Ferrovie”. Da Roma risposero nell’aprile del 1967 impegnandosi a riesaminare la decisione di chiudere al servizio viaggiatori la Foggia-Lucera anche in considerazione della tragica catena d’incidenti, alcuni anche mortali, che segnavano la statale 17, stretta in appena sei metri d’asfalto e delimitata da una doppia la di alberi tenaci che mal fungevano da barriera al traffico, la cui consistenza emulava quello autostradale! 67
TRASPORTI & CULTURA N.53 invernale, il quadro numero 337 riportasse chiara questa indicazione. La linea rimase attiva, almeno sulla carta, per uno sporadico servizio merci, di cui si hanno poche tracce, presumibilmente per l’inoltro di qualche carro a vari committenti lucerini, cosa anche questa ben presto affidata al trasporto specializzato su gomma. Sin da subito il servizio sostitutivo mostrò evidenti limiti in relazione ai tempi di percorrenza, alla capienza degli autobus e, cosa ancora più grottesca, alle economie di gestione. I malumori, piuttosto che dissolversi, si rafforzarono e nel decennio seguente si susseguirono un gran numero d’iniziative volte al ripristino del servizio ferroviario troppo frettolosamente soppresso, ma bisognerà aspettare gli anni Ottanta perché il problema sia affrontato con la giusta determinazione.
Il dibattito tecnico e politico degli anni Settanta ed Ottanta ed i progetti correlati
5 - Orario del 1926 della linea Foggia-Lucera-Manfredonia.
6 - Stazione di Foggia, treno del Lucera, in una foto del 1961.
Se Roma tergiversava, la Regione Puglia lasciava ben intendere i suoi propositi dichiarandosi disponibile a nanziare da subito il riassetto della statale 17 così, a partire dal 5 ottobre 1967, fu attivato un servizio sostitutivo con autobus sebbene già in settembre, con l’entrata in vigore dell’orario
Sin dagli inizi degli anni Settanta si lavorava per il progetto di riapertura della tratta di nostro interesse, ormai inserita a tutti gli effetti nel contesto di una ben più importante relazione ferroviaria tra Roma e la Puglia passante appunto per Campobasso, Lucera e Foggia. Nell’ambito delle Ferrovie dello Stato il progetto vide coinvolti alcuni dei tecnici di maggior fama tra cui è importante citare l’ing. Piero Muscolino, autore del libro Lucera e il treno3 ricco di elementi utili a comprendere la portata delle scelte tecniche ed economiche che andavano maturando in quel contesto. In rapida sintesi, si prospettava l’apertura di un corridoio ferroviario tra Roma e Foggia su tracciati in massima parte già esistenti e attivi, altri da realizzare ex-novo tra cui il tanto auspicato Campobasso-Lucera ed in ne l’ultimo tratto da ripristinare al servizio tra Lucera e Foggia. Un itinerario dal radicato carattere locale avrebbe potuto innalzarsi al rango di “direttissima” RomaPuglie con interventi opportunamente indirizzati ad eliminare le curve più strette retti cando il tracciato ove possibile, con la soppressione dei numerosi attraversamenti a raso con la viabilità ordinaria, ed in ultimo con l’adozione di materiale rotabile veloce e confortevole. Il contenuto del Progetto Muscolino-Ziccardi (1973) fu al centro di un affollato convegno organizzato a Lucera il 5 dicembre 1981, presso il Convitto Nazionale Bonghi: nel corso dei lavori l’ing. Piero Muscolino presentò il progetto del nuovo collegamento ferroviario attorno al quale erano già unanimi i consensi delle Amministrazioni locali dei Comuni e delle Province pugliesi e molisane. A seguito di quel convegno il Consiglio Comunale di Lucera approvò all’unanimità un ordine del giorno in cui si chiedeva al governo di stanziare con urgenza le risorse per la costruzione della linea che avrebbe dovuto costruirsi con la partecipazione delle Ferrovie dello Stato e degli enti territoriali interessati, regioni, province e comuni. Nel gennaio 1982 la “Direttissima Foggia-Roma” venne inserita nel Piano Poliennale delle Ferrovie dello Stato: ne davano notizia i quotidiani nazionali, tra cui Il Tempo, avvertendo che sarebbero ini3 Piero Muscolino, Lucera e il treno, Calosci editore, Cortona 1982
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TRASPORTI & CULTURA N.53 ziate le procedure per la realizzazione del tronco Foggia-Lucera incluso nel Programma integrativo degli interventi di risanamento, potenziamento ed ammodernamento delle linee della rete delle Ferrovie dello Stato, approvato con la legge n° 17 del 12 febbraio 1981 e resa esecutiva con il D.M. n° 1667 del 30 luglio 1981. Poco dopo iniziarono i lavori affidati all’impresa Michele Sarcone di Ascoli Satriano. Da un lato si lavorava alla ristrutturazione della stazione di Lucera e dall’altro venne completamente rimosso l’armamento lungo tutto il tracciato e si lavorò sul corpo stradale nell’intento di ricostruire il rilevato con nuovi materiali e con una nuova geometria rispondente all’esigenza di elevare in modo signi cativo la velocità della linea. Era prevista la soppressione di due importanti attraversamenti a raso lungo la statale 17 per Campobasso (al km 5) e alle porte di Lucera in località San Giusto, mentre si decretò di non eliminare il passaggio a livello ubicato all’uscita di Foggia sulla ex statale 16, almeno in un primo tempo, per il traffico non elevato che l’arteria sopportava, ormai spodestata dalla nuova tangenziale cittadina. I lavori, iniziati di gran lena, già nella primavera del 1984 rallentarono no a fermarsi completamente all’inizio dell’estate per l’esaurimento dei fondi. Ancora una volta furono deluse le aspettative ed anche i più appassionati protagonisti di quella stagione dovettero rassegnarsi ad attendere, ancora a lungo, tempi e circostanze migliori.
La concessione alle Ferrovie del Gargano e la realizzazione del nuovo tracciato Il 24 novembre 1986 la Società Ferrovie del Gargano inviò una lettera molto importante al Ministero dei Trasporti e all’Assessorato dei trasporti della Regione Puglia (prot. n° 772/1986): era la richiesta dell’integrazione della propria linea ferroviaria San Severo–Peschici con le linee delle Ferrovie dello Stato Foggia-Lucera e Foggia-Manfredonia, in previsione della dismissione da parte dell’azienda statale. Nella missiva si metteva in particolare l’accento sulla necessità di raccordare il Gargano e Lucera con Foggia attraverso collegamenti ferroviari maggiormente consoni alle esigenze delle popolazioni residenti, con tutti i bene ci derivanti dall’affidamento ad un unico gestore del servizio ferroviario. Per la Foggia-Lucera si metteva in risalto l’accresciuta esigenza di mobilità del comprensorio del subappennino dauno, giusti cata dalla crescita demogra ca, per garantire la quale il ritorno del treno a Lucera era visto come la soluzione più adatta. Giusto qualche anno ancora di incontri, colloqui, intese e poi nalmente con il Decreto Interministeriale n. 743/ C13 del 22.10.97 si acconsentì alla Società Ferrovie del Gargano S.r.l., il subingresso alle Ferrovie dello Stato S.p.A., nella concessione per l’esercizio della linea Foggia–Lucera, dismessa nel 1967, al ne di ripristinare il relativo servizio. Sulla scorta del progetto redatto dall’Ing. Oliva i lavori furono affidati al consorzio temporaneo d’imprese ATI Della Morte-SAFAB che s’incaricò di smantellare de nitivamente il vecchio tracciato costruendo, di fatto, il nuovo e dotandolo di tutte quelle opere atte a risolvere in via prioritaria il problema delle frequenti intersezioni stradali esistenti con l’eliminazione dei passaggi a livello,
tranne i due posti nei pressi di Lucera, e l’armonizzazione, con ripristino funzionale, della viabilità locale. Venne alla luce, da queste premesse, il progetto de nitivo redatto dall’Ing. Vittoriano Bruno che, intervenendo sulle obsolete e contraddittorie scelte progettuali precedenti, le portò a soluzione con proposte tecniche che, proiettando la costruenda opera tra le più avanzate nel panorama europeo, consentirono la rapida ripresa dei lavori nella prospettiva, nalmente, della completa realizzazione dell’opera. Il 26 ottobre 2005, con la Determinazione del dirigente dell’Assessorato alle Opere Pubbliche, Settore lavori Pubblici, numero 682, la Regione Puglia approvò il nuovo progetto esecutivo con la relativa copertura nanziaria. In questa seconda fase i lavori erano stati affidati all’impresa SEAP Costruzioni Generali S.p.A. con sede a Napoli e tutto sembrava ormai avviato a soluzione senonchè l’impresa si trovò a fare i conti con l’improvvisa e massiccia impennata dei prezzi delle materie prime che si manifestò negli anni 2006-2007. Perso ogni elemento di convenienza economica e nell’impossibilità di reperire fondi aggiuntivi per far fronte alla inedita situazione dei mercati, si giunse alla risoluzione consensuale del contratto. La battuta d’arresto però non è durata a lungo: nel marzo 2008 la Ditta Tonelli & C Impresa di Costruzioni Generali di Mondovì ha sottoscritto il contratto per il completamento delle opere, circostanza che si è nalmente realizzata nell’autunno del 2008 con la consegna ufficiale alla Concessionaria Ferrovie del Gargano.
7 - Il viadotto che scavalca la ex Strada Stale 16.
Le manifestazioni per l’apertura al servizio commerciale della Foggia-Lucera Il 14 luglio 2009 alle 11.38 in punto il convoglio inaugurale, composto dall’ETR 330.003 e dall’ETR 330.001 in comando multiplo, classi cato con il numero 418, è partito alla volta di Lucera salutato fragorosamente dalle sirene dei convogli di Trenitalia presenti in stazione. Sul convoglio hanno preso posto i massimi dirigenti delle Ferrovie del Gargano e tanti altri esponenti delle istituzio69
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8 e 9 - il treno lungo la linea Foggia-Lucera.
ni locali e regionali nonché i rappresentanti della stampa e delle emittenti radio-televisive locali. Sul lo della velocità massima ammessa dalla linea, 120 km/h, il treno ha raggiunto Lucera in poco più di 14 minuti attestandosi al binario 1 della stazione dove si sono svolte le cerimonie ufficiali: ad attenderlo nella città federiciana sul secondo binario l’ETR 330.002. Con lo stesso assetto dei convogli, alle 13.30 è iniziato il servizio viaggiatori secondo l’orario previsto ed il viaggio è stato gratuito per il resto della giornata, con partenze alternate nei due sensi e cadenzate ogni mezz’ora. Alle 4.30 del 15 luglio è partito da Foggia il primo convoglio in servizio regolare: i passeggeri, in virtù di un accordo con le aziende di trasporto di Foggia e Lucera, possono, muniti del biglietto ferroviario, utilizzare i bus urbani per ogni destinazione. Nei successivi giorni di luglio si è registrata un’afuenza media giornaliera di circa 2.000 persone, mentre in agosto il dato giornaliero medio è sceso, quasi dimezzandosi. Nel successivo mese di settembre, con la riapertura delle scuole ed il ritorno dei pendolari, il nuovo servizio ferroviario ha acquisito in pieno il suo ruolo.
Il rilancio, effimero, del progetto per il collegamento per Campobasso e Roma Con lo sprone legislativo e nanziario dell’Unione Europea e dello Stato Italiano ed il contributo delle due Amministrazioni Regionali di Puglia e Molise, il 22 febbraio 2006, nella stessa giornata, le Giunte Provinciali di Foggia e Campobasso varano le delibere per l’approvazione del Protocollo d’intesa tra le due Amministrazioni Provinciali ai ni della realizzazione del collegamento ferroviario Lucera–Campobasso. Questi atti formali seguono 70
precedenti iniziative legislative e tecniche quali ad esempio, il Piano dei trasporti del Molise, già varato nel giugno 2002, ed analogo strumento della Regione Puglia. In tutti i documenti esaminati si pone l’accento sulla necessità di costruire un corridoio tra la Puglia ed il Lazio, alternativo all’itinerario esistente via Caserta, secondo una direttrice sud-est/nordovest ormai giudicata la migliore per togliere dall’isolamento il Molise proiettando nel contempo interessanti contributi di nuovo traffico sia viaggiatori che merci verso gli assi principali della nuova rete dei trasporti europei interessanti l’Italia (Asse nord-sud e Corridoio 5). Nello Studio di Fattibilità realizzato dalle “Ferrovie del Gargano” ed assunto dalla Regione Puglia, lo sviluppo della tratta, di nuova realizzazione, Lucera-Campobasso è di 68,809 chilometri su sede predisposta per il doppio binario sebbene con armamento ed esercizio a binario unico, almeno in una prima fase. Elettri cata ed attrezzata per una velocità commerciale di 84 Km/h, i tempi di percorrenza sono stimati in circa 50 minuti tra Lucera e Campobasso e in poco meno di un’ora tra Foggia e Campobasso. Il tracciato ipotizzato si snoda tra Campobasso, Mirabello Sannitico, Gildone, Riccia, Gambatesa, Volturara Appula, Motta Montecorvino e Lucera. Le caratteristiche geologiche, la morfologia e l’ubicazione dei centri abitati impediscono al tracciato di accostarsi signi cativamente alla popolazione residente (fatta eccezione per le due località poste alle estremità) ed è per questa ragione che nello studio di fattibilità viene sottolineato con chiarezza il ruolo di corridoio della nuova linea. Nel complesso, le dimensioni stimate della domanda di trasporto passeggeri al giorno sono indicate in una media di 3.000 unità secondo i dati riferiti all’anno 2006, destinate a raddoppiare nelle proiezioni al 2030. Incoraggiati dai primi dati rilevati nell’esercizio giornaliero sin qua espletato
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sulla Foggia-Lucera, si può affermare che le stime appena indicate debbano essere sensibilmente implementate. Con queste premesse, il 10 ottobre 2006 a Campobasso viene sottoscritto il Protocollo d’intesa tra le due Amministrazioni Provinciali ai ni della realizzazione del collegamento ferroviario Lucera–Campobasso nel quale si assumono concreti impegni in ordine agli adempimenti tecnici, operativi e nanziari necessari alla realizzazione dell’opera. Il successivo 25 ottobre 2006, nell’imminenza dei festeggiamenti per il 75° anniversario della ferrovia garganica, i vertici delle “Ferrovie del Gargano” ricevettero il formale invito a partecipare alla attivazione dell’organismo di coordinamento per la realizzazione dell’importante opera infrastrutturale. Il 14 luglio 2009, nell’occasione delle manifestazioni per l’inaugurazione della Foggia-Lucera, il progetto del proseguimento della linea verso Campobasso ha ricevuto nuovi impulsi e qualche voce si è distinta prospettando la data del 2012 per la sua realizzazione.
solidano l’attaccamento dei viaggiatori al vettore ferroviario. A tal proposito si stima che, sempre nel 2018, gli utenti lungo la tratta siano stati 619.918 per un totale di 14.505.840 viaggiatori/km. Ci sono margini per poter conquistare ancora viaggiatori al servizio ferroviario ma non sono amplissimi: la consistenza e la dinamica demogra a della regione non permettono di coltivare grandi illusioni! L’integrazione con altre direttrici di trasporto e la gestione più snella dell’interscambio nell’ambito del sistema dei trasporti della città di Foggia può fare da volano alla crescita dell’utenza. In tal senso costituiscono motivo d’interesse il ripristino del servizio ferroviario verso Manfredonia e la possibilità di un collegamento verso l’aeroporto regionale di Bari ed un giorno anche verso quello di Foggia, che si prepara ad esercitare nella regione un ruolo di maggior rilievo grazie all’ampliamento in corso di realizzazione. © Riproduzione riservata
Bibliogra a L’esercizio attuale della Foggia-Lucera Nell’anno appena trascorso (2018), Ferrovie del Gargano, concessionaria della linea, ha assicurato 19.312 corse nei due sensi di marcia per un totale di 374.186 treni/km effettuati. L’orario è articolato in 30 corse giornaliere feriali e 10 corse festive per ciascuno dei due sensi di marcia. L’indicatore di regolarità del servizio ferroviario si è attestato al valore del 99,90% a fronte del valore indicato nel contratto di servizio pari al 98,5%. Il valore dell’indicatore di puntualità ha registrato un 99,50%, ben più performante del livello richiesto del 95%. Sono risultati considerevoli che accrescono e con-
Pasimeni C., a cura di, Ferrovie e territorio in Puglia 1855-2006, edizioni CIFI, Lecce. Bordonaro S., Pizzolante B. (2009), Binari in terra dauna. Le ferrovie Foggia-Lucera e Foggia-Manfredonia, Tipolitogra a Ennio Cappetta & C., Foggia. Maggi O. (2017), Le Ferrovie, Il Mulino, Bologna. Muscolino M (1982) Lucera e il treno, Calosci, Cortona
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Conegliano e la ferrovia: storia e sviluppo urbanistico di Federico Antoniazzi, Sara Gerometta, Elodie Manceau e Mirco Modolo
L’arrivo della ferrovia a Conegliano nel 1855 è una tappa fondamentale per lo sviluppo economico della città e del suo territorio. Questo avvenimento rappresenta prima di tutto la vittoria di una battaglia, combattuta valorosamente dal podestà Concini, per portare la ferrovia a Conegliano, a scapito del tracciato inizialmente previsto tra Treviso e Udine che doveva passare per Oderzo. Questo avvenimento si intreccia con la ne della dominazione austriaca del Veneto, in quanto nel 1866 anche la città di Conegliano ed il Veneto vengono annessi all’Italia Unita. Segue un periodo di sviluppo industriale ed urbanistico, trainato dall’arrivo della ferrovia, che permette a Conegliano di assumere una posizione di rilievo nella Marca Trevigiana, ruolo enfatizzato dalla realizzazione del collegamento ferroviario Conegliano-Vittorio Veneto nel 1879. A questo punto, la storia di Conegliano e della sua ferrovia non avrebbe dovuto discostarsi di molto da quella di altri centri italiani della stessa importanza, se non fosse per i tragici avvenimenti di Caporetto che lasceranno una traccia indelebile su Conegliano e il suo territorio. La ferrovia assume infatti un ruolo centrale nello sforzo bellico e viene utilizzata da entrambi gli eserciti per lo spostamento di truppe durante le operazioni militari. Alla ne del con itto e con l’avvento del Fascismo, la ferrovia ritrova il suo ruolo centrale nello sviluppo economico di Conegliano e del suo territorio, grazie anche al compimento della linea da Vittorio-Veneto al Fadalto, che viene ceduta dalla Società Veneta alle Ferrovie dello Stato. Con il boom economico degli anni Sessanta, Conegliano, centro commerciale e industriale, si sviluppa notevolmente e la ferrovia continua a rappresentare uno strumento a servizio del progresso economico come fu n dai suoi primi anni di vita a ne Ottocento. Ma il declino del trasporto ferroviario, a favore del mezzo stradale, inizia a marcare inesorabilmente la ferrovia, specie nella sua componente industriale, con immediate ricadute in termini di servizio e anche di prestigio. Negli ultimi anni del XX secolo Conegliano è soggetta ancora a notevoli trasformazioni urbanistiche, in uenzate nuovamente dalla posizione della ferrovia nel suo tessuto urbano. Anche il trasporto ferroviario subisce una metamorfosi profonda e la ferrovia si ricon gura come mezzo di trasporto metropolitano per un’area densamente popolata quale il Veneto.
Conegliano and the railway: history and urban development by Federico Antoniazzi, Sara Gerometta, Elodie Manceau and Mirco Modolo Like many Italian cities, Conegliano was positively impacted by railway development between the eighteenth and nineteenth centuries. The urban development of the city spread out from the mediaeval hill-town because of the location of the railway station, which also fostered industrial development to the detriment of other cities in the same area. At the same time, railway development was a factor in many important historical events, such as the end of the Austrian domination of Venetia, WWI and the defeat at Caporetto, among others. This paper seeks to explain how railway development has modi ed the urban and economic development of the city throughout its recent history.
Nella pagina a anco, in alto: carta delle ferrovie concesse e tramvie extraurbane, 1936; in basso: stampa di ne Ottocento raffigurante la stazione ferroviaria di Conegliano.
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1 - La stazione di Conegliano durante l’occupazione austriaca seguita alla disfatta di Caporetto.
L’arrivo della ferrovia a Conegliano e il collegamento con Vittorio Veneto: il dibattito sullo sviluppo territoriale La storia della ferrovia a Conegliano inizia intorno al dibattito sul tracciato della ferrovia VenetoIllirica e la battaglia di Concini per Conegliano e Pordenone (Vecchiet, 2005). Nel 1851 la ferrovia arriva da Venezia a Treviso e da lì deve raggiungere Udine, per connettersi in un secondo tempo con la ferrovia Meridionale da Vienna a Trieste e permettere di congiungere Milano e Venezia con Vienna1. I progettisti decidono in un primo tempo di selezionare il percorso più breve, passando per Oderzo e Codroipo, piuttosto che per Conegliano e Pordenone. Una delle ragioni principali risiede nel fatto che l’Austria era interessata fondamentalmente al carattere militare e strategico delle ferrovie, motivo per il quale i tracciati proposti rispondevano talvolta a logiche diverse da quelle dello sviluppo dei territori attraversati. Solo grazie all’ingegno del Podestà di Conegliano, che capì l’importanza che la ferrovia avrebbe rappresentato per lo sviluppo economico ed industriale della città e del suo territorio, fu possibile de nire un nuovo tracciato2, questa volta lungo la fascia pedemontana. Conegliano, città collinare arroccata intorno al suo castello, scende a valle e si espande tra la collina e la ferrovia nella zona del refosso3. Il 1 In realtà in un primo tempo anche la variante PortogruaroPalmanova era stata presa in considerazione, ma Udine si attivò n dal 1844 per domandare il passaggio della ferrovia (Vecchiet, 2015). 2 La scelta nale venne fatta grazie all’intervento di Concini su proposta di Luigi Negrelli, direttore della Direzione per la costruzione delle strade-ferrate Lombardo Venete in Verona, e amico personale di Radetzky. 3 Il refosso è la denominazione comune dell’area ai piedi del
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fabbricato viaggiatori attuale è quello di origine, progettato dall’ingegnere Eleno Gerola (Caniato, 1998), pur avendo subito alcune modi che e parziali ricostruzioni in seguito agli avvenimenti bellici. Si tratta di un edi cio di un certo rilievo per l’epoca, considerando la relativa importanza di Conegliano lungo la linea. L’arrivo della ferrovia a Conegliano determina anche l’entusiasmo delle città di Ceneda e Serravalle, che vedono la possibilità di essere collegate al nuovo mezzo di trasporto (Ruzza, 1979). Le due città decidono quindi di nanziare a proprie spese il progetto di una ferrovia da Conegliano a Belluno (progetto Grubissich), per il Fadalto, alternativa al progetto Treviso-Feltre-Belluno (progetto Locatelli). Con l’annessione al regno d’Italia i due comuni decidono la loro fusione e la denominazione “Vittorio”, in onore del re d’Italia Vittorio Emanuele II4, a cui seguirà l’epiteto “Veneto” in seguito alla battaglia del 1918. Il progetto della ferrovia Conegliano-Vittorio Veneto viene inserito all’interno di una ri essione di ampio respiro, che mirava a collegare Venezia, attraverso il Cadore, con l’Austria e la Germania e che rimarrà in voga no ai giorni nostri. Il progetto, se da un lato trova il sostegno del Cadore e di Venezia, che cerca di competere con il porto di Trieste, dall’altro vede la forte obiezione di Feltre e in una certa misura colle, oggi occupata dagli edi ci lungo via Mazzini e Corso Vittorio Emanuele II, che conteneva in passato il fossato delle forti cazioni cittadine, da cui il nome. 4 «Ma dov’è questo Vittorio?...» chiese S. M. Vittorio Emanuele II, quando nel 1866 lo condussero in un campo di cavoli per inaugurare la nuova città. Infatti il terreno che divideva, alla distanza di circa un chilometro, Ceneda da Seravalle non era che un campo coltivato quando l’uni catore d’Italia guardò d’intorno e permise che le due antiche città si fondessero in una sola, che portasse il glorioso e benedetto suo nome. Ora dallo stesso punto si vede il palazzo dei regi Uffici, la nuova stazione, il giardino comunale, e la bella strada, ancheggiata da un viale d’ippocastani, denominata giustamente Concordia: e che in pochi anni, popolandosi di case e giardini, completerà la fusione di Ceneda e Seravalle nella sola città di Vittorio (Caccianiga, 1879).
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2 - Il centro di Conegliano gravemente danneggiato durante l’occupazione austriaca seguita alla disfatta di Caporetto.
anche quella di Belluno, che non vuole essere collegata a questa direttrice da una diramazione da Ponte nelle Alpi. Nel 1877, dopo continue polemiche e interruzioni, anche a causa del grave terremoto del 1873, la tratta Conegliano-Vittorio Veneto (progetto Gabelli) viene concessa alla società Veneta5, senza alcun cenno alla prosecuzione per il Fadalto. La linea Treviso-Feltre-Belluno sarà realizzata dal canto suo poco dopo, grazie alla legge del 1879 sul completamento della rete ferroviaria. Con l’inaugurazione di questo tronco di 14 chilometri nel 1879, Conegliano diventa quindi il capolinea della nuova linea ed un importante nodo di scambio per le persone e le merci a servizio di una vasta area della provincia di Treviso e del Bellunese. La costruzione dell’elettrodotto Cellina ai primi del Novecento apporterà inoltre una fonte di energia per lo sviluppo industriale della città, che si concretizzerà con la creazione del mobili cio Dal Vera, primo stabilimento industriale di rilievo (Brunetta, 1989).
Il ruolo militare della ferrovia e lo sviluppo delle industrie Zoppas La Grande Guerra ed in particolare la disfatta di Caporetto sono gli avvenimenti storici che più hanno marcato la storia di Conegliano e del suo territorio. Il trasporto ferroviario gioca un ruo5 Con Regio decreto 9 dicembre 1877 si fece concessione alla Società Veneta di costruzioni della ferrovia da Conegliano a Vittorio per anni 90, salvo riscatto dopo anni 20, e col l’annuo sussidio chilometrico di lire mille per anni 35 ed altra sovvenzione annua per anni 35 eguale alla media della spesa, che lo Stato avesse sostenuto nell’ultimo decennio, per la manutenzione della parte di Strada Nazionale, della di Allemagna N. 47, in provincia di Treviso, che, per effetto della costruzione ferroviaria, passava alla classe di strada provinciale (Gasca, 1887-1892).
lo signi cativo durante il con itto bellico per il trasporto di truppe e di approvvigionamenti, al punto tale da determinare in alcuni casi la vittoria o la scon tta di interi eserciti. Il caso italiano non fa eccezione, anche per via della morfologia del territorio e della concentrazione delle truppe sul fronte orientale. La posizione strategica di Conegliano, posta sulle linee di adduzione verso il fronte friulano e verso il Cadore, determina prima di tutto la necessità di realizzare degli importanti lavori di ampliamento della stazione e dei piazzali a con itto già iniziato. Conegliano, che dispone già di importanti infrastrutture militari, subisce la pressione dello sforzo logistico con notevoli disagi per la popolazione e le attività produttive. Il rallentamento dell’attività economica e i notevoli disagi subiti dalla popolazione residente sono comunque poca cosa rispetto alla catastrofe provocata dalla disfatta di Caporetto e dal conseguente ritiro delle truppe oltre il ume Piave: l’esercito austriaco entra in cittá il 9 novembre 1917. Durante questo periodo la città subisce delle distruzioni tremende. L’edi cio della stazione, per ironia della sorte, viene occupato dall’esercito di colui che aveva provveduto alla sua realizzazione, e forse anche per questo rimane intatto, cosa che invece non avviene nel 1944 a causa dei bombardamenti alleati. Con la ne del con itto la città di Conegliano si riorganizza e si ricostruisce intorno alla ferrovia. L’angolo tra il Viale della Stazione (oggi viale Carducci) e Corso Vittorio Emanuele II6 (di fronte alla Gradinata degli Alpini7) diventa il nuovo baricentro della città. In questo punto sorgono nuovi edi ci, tra cui il Palazzo della Cassa di Risparmio della Marca Trevigiana costruito negli anni Venti dopo le distruzioni causate dal con itto. Ma è so6 L’attuale Via Mazzini era infatti denominata Corso Vittorio Emanuele II anche in questo tratto, no al 1946. 7 Un tempo Salita delle Pescherie Vecchie, costruita nel 1838, e rinominata Gradinata degli Alpini nel 1950.
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3 - Visione d’insieme di Conegliano e della sua rete di trasporti.
prattutto ai margini della città, al di là della ferrovia, che sorgono i primi segni della futura sionomia operaia ed industriale della città: è nell’ampia area compresa tra il prolungamento di Via Pittoni e Via Manin che sorge in epoca fascista il primo stabilimento della Zoppas per la produzione di cucine economiche e sempre lì si trovano le prime case operaie. Il regime fascista, che si appoggia in larga parte sulla borghesia cittadina, considera l’industrializzazione e la ferrovia come elementi di progresso e decide di portare a compimento il collegamento Conegliano-Ponte nelle Alpi8, che viene inaugurato nel 1938 a Conegliano alla presenza di Benito Mussolini. La tratta Vittorio Veneto–Ponte nelle Alpi rappresenta una vera e propria opera d’ingegneria per l’epoca, con la realizzazione di viadotti e gallerie di una certa importanza. La linea viene infatti realizzata sulla base del progetto originale di Grubissich che mirava a realizzare un collegamento internazionale tra Venezia e Monaco attraverso il Cadore ed il Tirolo. Rimane il fatto che, con il completamento della linea, il nodo ferroviario di Conegliano assume un ruolo ancora maggiore, in quanto la linea per Ponte nelle Alpi si connette alla rete esistente anche a nord ed entra nel perimetro di gestione delle Ferrovie dello Stato. 8 Al di là della retorica del regime, una delle principali motivazioni era anche quella di fornire occupazione in un periodo caratterizzato dalla grave crisi industriale del 1929, per cui si procedette al massiccio impiego di manodopera in cantieri di opere pubbliche.
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La transizione post-industriale della città e della ferrovia A partire dagli anni Sessanta, il boom economico si concretizza anche per la città di Conegliano e il suo territorio. La ferrovia svolge un ruolo importante in questo senso, specialmente grazie alla presenza dello scalo merci e dei raccordi industriali, che hanno permesso alle industrie un miglior accesso ai mercati e alle fonti di approvvigionamento delle materie prime. L’industrializzazione, che aveva solide radici n dalla costruzione della ferrovia, si sviluppa intorno al settore dei mobili e delle cucine, no alla creazione di un vero e proprio cluster industriale relativo alla lavorazione dell’acciaio inox. Questo settore riveste un’importanza strategica per Conegliano, forse superiore anche a quella del Prosecco, anche se quest’ultimo per via della scuola enologica e per la sua fama riveste un carattere particolare. Le industrie, che si sono in un primo momento sviluppate nella zona intorno alla stazione ferroviaria, vengono man mano spostate in periferia (Dal Vera), con la sola eccezione del complesso della Zoppas, che continua ad occupare la vasta area a sud della stazione no alla fusione con Zanussi e il trasferimento di tutte le attività produttive a Susegana. Lo stabilimento di Susegana ha tra l’altro il vantaggio di essere raccordato direttamente alla ferrovia, il che permette di movimentare direttamente i carri merci senza ricorrere al costoso trasbordo su carrelli, che rimase molto attivo almeno no alla ne degli anni Novanta. Un
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tentativo simile, ma di poco successo, viene realizzato nell’area industriale di San Giacomo di Veglia, sempre nel comune di Conegliano, lungo la linea per Vittorio-Veneto (Michielon, 2001). Dal punto di vista urbanistico la città si struttura grazie alla nuova circonvallazione, realizzata negli anni Sessanta, che permette di deviare il traffico di transito fuori dal centro città. Nell’area intorno alla stazione vengono realizzati numerosi interventi di riquali cazione tra cui la costruzione del complesso di Corte delle Rose e più recentemente il complesso del Biscione (1996), lì dove sorgeva in passato il consorzio agrario. Questo intervento, molto importante dal punto di vista urbanistico, permette infatti di spostare la stazione degli autobus e corriere a ridosso della ferrovia e di ripensare la circolazione stradale e la disposizione del mercato settimanale. L’ultimo intervento viene realizzato nel 2009 con la ristrutturazione dell’edi cio ex-Banca Popolare, ricostruito negli anni Venti e abbandonato a partire dagli anni Cinquanta. Ma è soprattutto la dismissione delle industrie Zoppas a sud della stazione che lascia un enorme vacuum urbano nel tessuto cittadino. In quest’area di 11 ettari vengono infatti prospettati degli interventi edilizi al ne di spostare e concentrare in quest’area un insieme di servizi pubblici dispersi sul territorio. Questo intervento, di vasta portata, si scontra però con una controtendenza demograca, che vede la popolazione di Conegliano diminuire a vantaggio dei paesi limitro , principalmente a causa dell’elevato valore immobiliare e di una diffusa tendenza alla dispersione urbana. Gli stru-
menti urbanistici e di governo del territorio, coniugati alla difficile situazione nanziaria italiana che limita le risorse a disposizione degli enti locali, non riescono ad invertire questa tendenza, trascinando la questione della nuova città per molti anni no ai giorni nostri. Il completamento della Colombo Est (via Amerigo Vespucci) con la realizzazione del nuovo ponte sul Monticano, parallelo alla ferrovia, è un altro esempio di questa problematica. Questo intervento, no ad oggi bloccato dal completamento della riquali cazione dell’area ex-Saita, permetterebbe infatti di modi care profondamente la circolazione stradale, trasformando il viale della stazione in una vera e propria promenade urbana. La ferrovia dal canto suo subisce numerose trasformazioni tecnologiche e organizzative a cavallo del nuovo millennio. La linea Venezia-Udine viene elettri cata nel 1960 decretando la ne della trazione a vapore anche su questa linea. Nel 1986 vengono realizzati degli importanti lavori di armamento e viene sostituita la pensilina centrale in stile Liberty con quella attuale. La linea Conegliano-Ponte nelle Alpi evita in extremis una chiusura programmata nel 1985 e riesce a sopravvivere in condizioni decenti no ai lavori di ammodernamento del 2006. Le Ferrovie dello Stato, che diventano società per azioni nel 1992, subiscono delle profonde trasformazioni anche a seguito delle direttive europee, che impongono una separazione operativa tra il gestore della rete (RFI) e l’operatore ferroviario (Trenitalia). Inoltre la competenza sul trasporto regionale passa alla regione Veneto, che
4 - Interventi urbanistici nell’area della stazione ferroviaria.
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5 - La stazione negli anni Sessanta (fonte archivio storico Fondazione FS).
6 - Treno regionale in arrivo da Belluno sulla sinistra e sulla destra un locomotore di manovra per lo stabilimento Veneta Nastri, nella zona dello scalo merci (Thomas Radice, Gennaio 2018)
sviluppa un ampio programma di investimenti sotto l’acronimo SFMR (Sistema Ferroviario Metropolitano Regionale). Conegliano è inserita nella seconda fase del programma, che prevede un 78
miglioramento dell’infrastruttura (segnalamento, soppressione passaggi a livello, modi che al piano del ferro) al ne di aumentare la frequenza dei collegamenti verso Treviso, Venezia e in un secon-
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do tempo anche verso Belluno (per cui viene programmata l’elettri cazione della linea per Ponte nelle Alpi). I principali lavori avvengono nel 2006 con la riquali cazione degli impianti, un nuovo sistema di controllo e gestione (ACC) centralizzato a Mestre e la razionalizzazione dello scalo merci. Ma questa razionalizzazione comporta anche la ricerca di maggiori economie, per cui lo scalo merci viene chiuso al traffico diffuso e il piazzale ceduto in parte alla società Veneta Nastri per il solo trasporto a treno completo. La ferrovia viene così a ricon gurarsi come mezzo di trasporto principalmente metropolitano, venendo meno la componente industriale che l’aveva caratterizzata per più di un secolo. Nel 2017 in ne i lavori di riquali cazione del fabbricato viaggiatori vengono intrapresi al ne di dotare l’impianto di marciapiedi più alti e accessi per le persone disabili. Un’apertura del sottopasso pedonale della stazione verso il lato sud è stata più volte invocata ma mai realizzata. Questa apertura, specie se in corrispondenza della nuova città che sarà edi cata al posto della Zoppas, permetterebbe infatti di ricon gurare la stazione come baricentro della città. Il completamento della Colombo Est e la pedonalizzazione di Viale Carducci permetterebbero inoltre di ricon gurare i ussi stradali e pedonali intorno al nuovo baricentro, creando un vero e proprio cardo e decumano per la città.
Bibliogra a Brunetta E., 1989, Storia di Conegliano, Il Poligrafo, Padova.
7 - La stazione di Conegliano vista dal castello. Fonte: Wikipedia, Vaghestelledellorsa, Paolo Steffan.
Caccianiga A., 1879, “La nuova ferrovia Conegliano-Vittorio”, Illustrazione Italiana VI/16, Fratelli Treves, Milano. Caniato L., Palugan G., 1998, Conegliano tra Ottocento e Novecento: gente, palazzi e strade, Canova, Treviso. Gasca C.G., 1887-1892, Il codice ferroviario, dell’avvocato Gasca Cesare Luigi, Hoepli, Milano. Michielon M., 2001, Linea ferroviaria Conegliano-Ponte nelle Alpi, IX Commissione permanente (Trasporti, poste e telecomunicazioni), Interrogazione parlamentare 5-06313, 30/01. Ruzza V., 1979, La ferrovia Conegliano-Vittorio Veneto (18791979), Il Flaminio, Vittorio Veneto. Vecchiet R., 2015, Il primo treno di Udine 1836-1866. Una rassegna di fonti e documenti, Biblioteca Civica, Comune di Udine. Vecchiet R., 2005, Casarsa e la ferrovia in Friuli 1836-1855. Una rassegna di fonti e documenti, Comune di Casarsa della Delizia.
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I sistemi ettometrici: soluzioni di ingegneria applicate al territorio di Tito Berti Nulli
I centri storici italiani, spesso arroccati e con sviluppi verticali, sui picchi delle zone collinari e montuose, testimoniano la lunga e ricca storia del Paese: un patrimonio paesaggistico di rara bellezza e nostra componente identitaria. La conservazione di questo patrimonio è minacciata dalla diminuzione della popolazione residente e in particolare delle famiglie giovani, dalla chiusura di servizi pubblici e privati essenziali e dalla contrazione delle attività economiche. Fra le principali criticità che minano il futuro dei Centri storici, a sviluppo verticale, spicca l’isolamento e le difficili accessibilità. D’altro canto le con gurazioni orogra che ed urbanistiche fanno registrare un basso grado di adattabilità nei confronti dei tradizionali sistemi di trasporto collettivo e soprattutto del traffico privato. Il requisito fondamentale dei nuovi sistemi di trasporto, di tipo ettometrico, è quello della adattabilità ai differenti contesti e dei contenuti costi di investimento e di esercizio. I sistemi ettometrici sono mezzi di trasporto destinati a servire brevi distanze con percorsi complessivi contenuti entro i 3-4 km. Le brevi distanze sono accoppiate ad alcune peculiarità quali: automatismo dei movimenti, sede riservata, elevata accessibilità. Alla grande affidabilità si accompagna un facile inserimento nei tessuti urbani, soprattutto storici, con costi di impianto e di esercizio, spesso, in grado di autosostenersi se combinati con interventi di riquali cazione delle aree di contorno e di gestione globale della mobilità. Altro requisito che caratterizza gli ettometrici è la complementarità con altri sistemi di trasporto, a formare una vera e propria rete urbana. Su scala macro, i sistemi ettometrici possono essere classi cati in relazione alle peculiarità di funzionamento e si distinguono in sistemi: - verticali (ascensori convenzionali, ascensori inclinati, scale mobili, funicolari, teleferiche, impianti di risalita ecc.); - orizzontali (tapis roulant, shuttle, people mover, minimetrò). In grande sintesi le peculiarità dei sistemi ettometrici sono così schematizzabili: - disponibilità spazio-temporale (distribuzione dei punti di accesso e di uscita del sistema calibrata sugli addensamenti delle origini/destinazioni e ottima frequenza di servizio); - ottime velocità commerciale (tempi di trasporto ridotti); - comfort (paragonabile a quello dei mezzi privati); - sicurezza del sistema per le varie fasi dello spostamento; - affidabilità; - ridotti costi di investimento e soprattutto costi contenuti di esercizio.
Eptometric systems: engineering solutions applied to the territory by Tito Berti Nulli Historic city centres in Italy, often perched on the peaks of hilly or mountainous regions, bear witness to the long and rich history of the country: a landscape heritage of rare beauty, and a strong component of the country’s identity. The most critical issues that endanger the future of vertically-developed historic city centres are isolation and difficult access. It is true of course that their orographic and urbanistic con gurations nd it hard to adapt to traditional systems of collective transportation, especially private automobile traffic. The new eptometric (APM) type of transportation systems can be adapted to different contexts, require smaller investment and running costs, provide excellent commercial speeds and satisfactory comfort; furthermore, they are complementary to other modes of transport, forming a true urban network. APM systems may be classi ed in relation to their speci c modes of operation, and are divided into vertical systems (conventional elevators, inclined elevators, escalators, funiculars, ropeway conveyors, lift systems) and horizontal systems (tapis roulants, shuttles, people movers, minimetros) of which the author illustrates several signi cant examples.
Nella pagina a anco: impianto di risalita a Narni.
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Ingegneria del trasporto verticale: paradigmi e progetti La traslazione verticale, di cose e persone, era già stata affrontata ed in parte risolta, nell’antica Grecia attraverso ascensori verticali, a vite e in legno, a Siracusa con Archimede, nelle regge di Versailles e Caserta e nel palazzo di Inverno a S. Pietroburgo. È tra ne Ottocento inizi Novecento che si diffondono rapidamente in diverse zone d’Europa. Solo in anni relativamente recenti si iniziano ad utilizzare i traslatori verticali come vero e proprio trasporto pubblico in città come Genova (1909 doppio ascensore con cabine da 15 persone) e Napoli (negli anni ‘20 si installano gli ascensori di Chiaia e del Quartiere Sanità). Negli ultimi mesi del 1933 viene inaugurato un ascensore in servizio pubblico fra la terrazza dei Cappuccini di Amal e la strada litoranea organizzato su due tronchi: uno esterno, l’altro interno all’edi cio, entrambi capaci di trasportare undici persone. Ad Ancona nel 1956 sono stati installati, lungo la scogliera, due ascensori in servizio pubblico per collegare la spiaggia al Passetto, un giardino pensile sistemato fra strapiombi a precipizio sul mare. Con l’entrata in servizio dell’impianto si supera il dislivello di 34 metri. Sistemi ettometrici, un utile confronto: le funicolari e gli ascensori inclinati - Le funicolari sono caratterizzate da una offerta di trasporto compresa tra 1.800 e 2.500 passeggeri-ora per direzione, considerando cabine con una capienza tra 75 e 100 posti e lunghezze tra i 400 e i 500 metri. Le velocità sono generalmente alte (oltre i 5 m/sec). I costi di investimento, variabili in relazione alle opere civili, all’importanza delle stazioni e delle fermate intermedie, si aggirano tra 8 e 12 MEuro. I costi di esercizio, in uenzati dal personale per il presenziamento, in cabina e in sala controllo, si attestano tra i 300-400 mila euro anno. In Italia numerose sono le funicolari in esercizio: nell’area napoletana e a Capri, a Catanzaro, ad Avellino, a Mondovì, a Livorno, a Montecatini, nella città di Bergamo. Gli ascensori inclinati hanno portate inferiori, ma possono agire accoppiati: risultano particolarmente utili se vengono richieste modeste capacità di trasporto orario, e bassi costi di esercizio e di manutenzione. Le caratteristiche tecniche principali sono: - velocità max: normalmente 1,5 - 2,5 m/s; - portata massima cabina: 40 pax, normalmente tra 15 e 25 pax; - inclinazione: tra 15° e 75°; - lunghezza tracciato: variabile, normalmente tra i 35 m e i 14 m. Generalmente con cabine da 25 posti si riescono a garantire offerte di trasporto comprese tra 600 e 1.000 passeggeri/ora per direzione (con lunghezze medie in inclinato tra 100 e 150 metri). I costi di investimento sono decisamente inferiori compresi tra 1 e 2 MEuro. Per l’esercizio, il funzionamento è assimilato a quello dell’ascensore verticale, senza presenziamento in cabina e con monitoraggio esterno. La normativa attuale sugli ascensori inclinati consente un monitoraggio in remoto con un contenimento dei costi. Le applicazioni di ascensori inclinati ad uso pubblico, in Italia, sono di recente impiego. Gli impian82
TRASPORTI & CULTURA N.53 ti sono presenti in Umbria (città di Todi, Perugia e Narni), in Toscana (Certaldo), nelle Marche (Osimo, Treia e Loreto), nel Lazio (Frosinone) in Piemonte (Cuneo), in Valle d’Aosta (Bard), in Sardegna (Castelsardo) in Sicilia (Calatabiano). Scale mobili per risalire le città - Le scale mobili possono superare, in tronconi di successivi, dislivelli anche molto alti: la velocità delle scale mobili variano da un minimo di 0,5 m/s a un massimo di 0,65 m/s. Rappresentano un sistema di trasporto continuo, sicuro e gradevole e trovano una giusti cazione per il loro utilizzo solo nel caso in cui debbano essere assicurate portate orarie tra 3.600 e 6.000 pers/h. La bassa velocità ne sconsiglia l’utilizzo in percorsi troppo lunghi e poco attrattivi. Il limite principale è rappresentato dall’effetto “barriera” per la fruizione anche a soggetti a capacità motoria ridotta. Le scale mobili sono state già largamente utilizzate in uso pubblico come percorsi di risalita meccanizzati nei centri storici. Alcune soluzioni particolari: La funicolare basculante di Porto - Quando le variazioni di pendenza della livelletta, su cui scorre l’inclinato, sono molto forti, occorre ricorrere a soluzioni con cabina basculante. In questo modo l’utenza non subisce il disagio dell’inclinazione del pavimento della cabina. Il piano di calpestio viene mantenuto in orizzontale attraverso un sistema idraulico che ne regola l’inclinazione. Un esempio recente di funicolare basculante è stato realizzato da Poma Italia nella cittadina portoghese di Oporto (funicolare Dos Guindais). Collega la sponda destra del ume Duero con il centro città (Rua Augusto Rosa) e il complesso della cattedrale. L’impianto esistente dal 1891 è stato recentemente recuperato dopo più di un secolo di inattività; la cabina, molto panoramica, ha una capienza di circa 25 persone e utilizza una stazione di monte sotterranea rispetto alla quota della piazza. Ascensore a doppia livelletta con cabina basculante: il caso di Bad Herrenalb - La particolare orogra a del sito, in piena Foresta Nera, è stata affrontata con un impianto che ha accoppiato la cabina basculante con la doppia livelletta. È il caso dell’inclinato nei dintorni di Karlsruhe che collega la stazione ferroviaria dei famosi “tram-treno” con una zona commerciale-residenziale. Il traslatore verticale-orizzontale di Montegalletto a Genova - Il superamento del dislivello tra le differenti quote che caratterizzano le città verticali può essere affrontato con due distinti approcci progettuali: attraverso un tunnel orizzontale, generalmente pedonale di lunghezza massima compresa entro i 100/200 metri, e un pozzo verticale meccanizzato, con ascensore a fune e/o a pistone, in relazione alla velocità e alla portata richiesta dall’impianto. È il cosiddetto approccio dei due cateti. Se si utilizza “l›ipotenusa”, del pendio da meccanizzare, occorre ricorrere a sistemi riconducibili ad ascensori inclinati e/o funicolari. Nei casi in cui il tunnel pedonale ha lunghezze eccessive (non gradite dall’utenza) oppure il versante da meccanizzare pone vincoli di edi cato, si può ricorrere ad una soluzione mista del tipo adottato a Montegalletto a Genova. L’impianto, costruito da Poma Italia, viene de nito come “impianto integrato orizzontale e verticale”. In questo modo non c’è rottura di carico e l’utente rimane in vettura nel passaggio dal movimento verticale a quello orizzontale. La tratta orizzontale ha una lunghezza di circa 235
metri (il punto di partenza si trova su via Balbi) e quella verticale supera un dislivello di circa 69 metri (punto di arrivo su via Corso Dogali). I veicoli in esercizio sono due e si muovono ad una velocità di circa 4,5 m/s per la tratta orizzontale e di circa 1,6 m/s per quella verticale. Il sistema ha una capacità di trasporto di 417 pax/ora e le cabine hanno una capienza massima di 23 passeggeri. Traslatori orizzontali e people mover - Con l’esposizione universale sui trasporti di Vancouver, del 1986, si sono posti all’attenzione mondiale i traslatori orizzontali e i people mover anche al servizio degli spostamenti urbani. I sistemi, prima utilizzati prevalentemente in campo aeroportuale per collegare i vari terminal, hanno trovato applicazioni anche all’interno delle città collegando quartieri e centri storici. Uno dei primi esempi in Europa, è stato quello di Leon in Francia a cui sono seguiti esempi in Italia, a Perugia, a Venezia e a Milano. Sono sistemi che si modellano sull’orogra a del terreno con curve orizzontali e verticali, in grado spesso di superare lunghe distanze, dell’ordine di km, con pendenze che possono comodamente superare livellette del 50/60 per mille. Per sostenere i costi di investimento, e di esercizio, hanno bisogno di elevate domande di trasporto, generalmente oltre 20.000/25.000 passeggeri medi giorno, possibili solo in aree urbane dense o in centri turistici di consolidata tradizione. Questi sistemi hanno bisogno di sedi totalmente
1 - Nella pagina a anco, in alto: ascensore di Colle Val d’Elsa per la risalita al centro storico. 2 e 3 - Nella pagina a anco, al centro e in basso: ascensore inclinato a Cuneo. 4 - In questa pagina: veduta dell’ascensore inclinato di Todi.
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TRASPORTI & CULTURA N.53 riservate attraverso infrastrutture su viadotto o in galleria, condizione che fa lievitare i costi di investimento sempre al di sopra di diverse decine di milioni di euro. L’esercizio avviene con cabine passive, trainate da funi, o con vetture dotate di motorizzazioni proprie, anche di tipo elettrico. Il primo esempio italiano è stato quello del Minimetrò di Perugia che, per le sue caratteristiche di sperimentalità, ha ottenuto nanziamenti dai Ministeri dei Trasporti e delle Infrastrutture e dell’Ambiente. L’utilizzo di sistemi funiviari in campo urbano - Soluzioni particolari, da indagare con grande attenzione per i ri essi nel sistema paesaggistico ed ambientale in cui si collocano, sono riferibili all’utilizzo dei sistemi funiviari in campo urbano. Un importante esempio, in Italia, è rappresentato dalla funivia monofune con grappoli di cabine tra Mazzarò e Taormina, in esercizio dal 1993. L’impianto supera un dislivello di circa 170 metri con una velocità massima di 5 m/s ed una portata di circa 650 passeggeri/ora per direzione. In campo europeo un’applicazione analoga è stata realizzata in Portogallo nella città di Porto lungo la sponda sinistra del ume Douro al servizio delle cantine storiche del celebre brandy. Il campo di applicazione ideale degli impianti a fune, nel trasporto urbano, è orientato dalla portata oraria molto al di sotto di una tranvia e/o di una metropolitana di super cie. Generalmente non si riescono a superare le 600-700 persone/ ora per direzione e dalla lunghezza massima realizzabile con singoli anelli di fune, attualmente 3 o 5 km. Particolarmente interessati a questo tipo di trasporto urbano sono i grandi centri dell’America Latina. È recente la realizzazione di una funivia urbana (Doppelmayr) a La Paz in Bolivia, inaugurata nel luglio 2015. Un altro storico esempio italiano di applicazione di funivia in campo urbano riguarda il collegamento tra il centro storico della Città di San Marino e il Borgo Maggiore. Inaugurata nel 1959, la funivia supera un dislivello di circa 170 metri ed è uno dei mezzi di trasporto più usati, soprattutto dai turisti, per raggiungere il centro della Repubblica di San Marino.
Una nuova frontiera: gli ascensori a levitazione magnetica L’abbandono delle funi, e dei sistemi meccanici in genere, per la movimentazione delle cabine, nelle traslazioni verticali ed orizzontali, rappresenta una delle nuove frontiere del trasporto su brevi e medie distanze. La levitazione magnetica, già applicata sui sistemi ferroviari di media e lunga distanza - basta pensare al collegamento tra Shanghai e l’aeroporto di Pudong entrato in esercizio nel 2002 - può essere estesa ai sistemi ettometrici. L’azienda tedesca Thyssenkrupp Elevator ha in corso una sperimentazione a Rottweil, città della Germania sud occidentale, su una torre costruita appositamente di 246 metri, con ascensori in grado di muoversi sfruttando la levitazione magnetica. Il progetto, denominato Multi, consente, attraverso l’impiego della tecnologia lineare, di far viaggiare più cabine all’interno dello stesso vano alla velocità di almeno 5 metri al secondo. Il nuovo sistema senza cavi 84
TRASPORTI & CULTURA N.53 prevede la possibilità di collegamenti combinati, in verticale e in orizzontale utilizzando la stessa cabina. Rivoluzionari potranno essere i ri essi nelle applicazioni alla mobilità urbana e nei collegamenti tra le diverse quote delle città verticali.
I costi di investimento ed esercizio dei sistemi ettometrici Per i costi di investimento degli ascensori inclinati, delle scale mobili, degli ascensori verticali e dei people mover si può fare riferimento a due parametri fondamentali: - il costo a base d’asta che comprende tutte le opere civili ed impiantistiche; - il costo totale che somma alla base d’asta gli importi a disposizione della stazione appaltante (IVA, espropri, imprevisti, spese tecniche). Per un utile confronto e per fornire dei parametri di riferimento, in tabella sono evidenziati i costi totali dell’opera (costo delle opere civili e degli impianti) per metro di dislivello superato. Le oscillazioni sono riferite alle diverse portate del sistema e alla complessità dell’impianto. I costi di gestione degli ettometrici sono fortemente in uenzati dalle tipologie di presenziamento (esclusiva o combinata con altre attività quali controllo parcheggi, rimando alla polizia municipale, presenziamento di aree commerciali, etc.), dall’intervallo del servizio, generalmente riconducibile su 2 e 3 turni e dalla tipologia e dalle caratteristiche dell’impianto. I valori variano in funzione dei soggetti gestori e dei contratti applicati (azienda di TPL con contratto autoferrotranvieri o cooperativa di servizi) e tengono conto di contratti di manutenzione del tipo full-service (manutenzione ordinaria e straordinaria). Il costo complessivo di esercizio di un impianto di media dimensione oscilla tra 80.000 e 130.000 euro/anno. I valori sono riferiti ad un impianto di media lunghezza e capacità (es. 2 rampe di scale mobili) o in alternativa ad un ascensore inclinato con lunghezza intorno ai 100 metri di corsa.
5 e 6 - Nella pagina a anco, in alto e al centro: la funicolare di Mondovì. 7 -- Nella pagina a anco, in basso: l’ascensore inclinato di Todi. 8 e 9 - In questa pagina: l’ascensore inclinato di Treia.
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L’innovazione dei sistemi di mobilità in Italia: un’opportunità strategica per il miglioramento della qualità urbana di Michelangelo Savino
Coerentemente con lo spirito che anima la rivista, l’attenzione che questo numero di Trasporti e Cultura ha dedicato all’innovazione dei sistemi di mobilità - ed in particolar modo ai sistemi ettometrici, percorsi meccanizzati e le più innovative soluzioni di trasporto urbano a breve raggio – è diretta non solo ai caratteri tecnici e tecnologici di queste nuove modalità di trasporto quanto anche alle valenze di carattere urbanistico e paesaggistico, economico e sociale che queste possono assumere. Non diversamente, come già alcuni autori dei saggi contenuti nel numero hanno ben evidenziato, non va sottovalutata la portata sociale che queste soluzioni possono avere, non solo per rendere la città più accessibile ed inclusiva, ma anche perché la mobilità spaziale è ormai riconosciuta come un fattore strategico per la riduzione delle disuguaglianze spaziali ancor prima che sociali1. Di questi ultimi aspetti della questione vorremmo occuparci in queste note, a chiosa di una raccolta di saggi articolata e ricca di spunti di ri essione, che meritano di essere evidenziati per le loro importanti implicazioni. In particolare vorremmo sottolineare come gli impatti urbanistici, sociali ed economici di alcune di queste soluzioni tecniche mutino signi cativamente in ordine ai contesti nei quali vengono inseriti. Soprattutto se ne vorrebbe rimarcare la capacità non solo di assolvere a funzioni di accessibilità, ma di poter rappresentare anche l’occasione per un rinnovamento delle politiche urbane che siano indirizzate, oltre che al miglioramento della mobilità, anche alla trasformazione della città e delle condizioni di vita urbana. Ma perché tutto questo possa davvero risultare strategico per il nostro futuro, è divenuto ormai necessario che, ad una progressiva modernizzazione delle infrastrutture e degli impianti, si accompagni anche la costruzione di un servizio di trasporto collettivo integrato e di una nuova cultura della mobilità. Diventa, quindi, imprescindibile valutare con 1 Non ho modo alcuno di richiamare il dibattito disciplinare che si è sviluppato nel corso degli ultimi anni sul ruolo della mobilità come fattore di giustizia sociale, laddove la garanzia di accessibilità e mobilità territoriale (non solo urbana, anche se nelle aree urbane metropolitane il fenomeno risulta più evidente) si traduce per gli abitanti, non solo in una riduzione dei processi di segregazione spaziale, ma soprattutto in un più ampio ventaglio di opportunità di lavoro, di fruizione di servizi, di scelta e quindi di potenziale miglioramento delle proprie condizioni di vita. Temi che sono stati introdotti da tempo, ma ultimamente ribaditi con forza da Martens (2012, 2017). È più utile forse rimandare al recente manifesto della Fondation Jean Monnet pour l’Europe (Aa.vv. 2018), nel quale la “giustizia spaziale” a cui la mobilità contribuisce in modo determinante viene inserita coerentemente nel quadro degli obiettivi di sostenibilità perseguiti dall’Unione Europea e in modo trasversale nei 17 SDG (Obiettivi di Sviluppo Sostenibile) delle Nazioni Unite.
The innovation of mobility systems in Italy: a strategic opportunity to improve urban quality by Michelangelo Savino Innovation in mobility favoured by people-moving systems, mechanized routes and the most recent short-span urban transportation solutions has become a strategic factor today, now that spatial accessibility is considered a decisive element in reducing the processes of segregation, as well as granting access to job opportunities, and making it possible to use services, thereby improving one’s personal quality of life. It is not a coincidence that the most interesting cases of new systems presented in this issue refer to: new means to access historic hill towns and small city centres that risked being abandoned, and to encourage tourism and the economic development that comes with it; ways to reinforce and integrate public transportation into large and medium-size cities; guaranteed forms of access to inland territories that have been marginalized by development in recent years. In more than one case however, their realization has also been an opportunity for urban regeneration initiatives and for the revitalization of public spaces, illustrating the many impacts and bene ts (not always taken into consideration) that innovation in transport systems can ensure.
Nella pagina a anco, in alto: ponte attrezzato a Potenza; in basso: scale mobili ad Assisi.
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TRASPORTI & CULTURA N.53 to – l’opportunità strategica per la de nizione di scenari di sviluppo della città e del suo territorio di medio-lungo periodo e di maggiore respiro, in una prospettiva in cui sostenibilità e qualità della vita possano rappresentare i principi guida. Anche senza richiamare gli esempi presentati già dagli autori che hanno contribuito al numero2, girando per il nostro paese e ancor più l’Europa, sarebbe possibile presentare altri numerosi impianti ed altri esempi ancora di soluzioni che sono state realizzate nel corso degli ultimi anni. Senza dubbio la loro diffusione è strettamente connessa alla forte innovazione tecnologica che ha caratterizzato questi sistemi di mobilità che li ha resi versatili e adeguati a tanti diversi e contrapposti contesti, quali soluzioni “universali” (e a costi signi cativamente contenuti, aspetto non secondario per gli amministratori) a molteplici problematiche. Ed ogni luogo avrebbe bisogno di una sua speci ca descrizione, ma per economia di battute tenteremo una sorta di riduttiva tassonomia che permetta di dare un quadro di alcune salienti questioni urbanistiche.
I nuovi sistemi di trasporto nei centri di medie e piccole dimensioni
1 - Minimetro di Perugia, lungo il percorso. 2 - Perugia, scale mobili nella Rocca Paolina.
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attenzione, sotto diversi aspetti, gli effetti che i nuovi sistemi di spostamento possono produrre, tra i quali la possibilità che essi possano costituire anche occasione di rigenerazione urbana e di conseguenza presentarsi come opportunità per un ripensamento generale degli assetti urbani, della distribuzione di funzioni ed attrezzature, innesco di processi di recupero o trasformazione di edi ci e quartieri. La pur circoscritta localizzazione di un nuovo impianto o la creazione di un sistema di trasporto complementare ai sistemi “tradizionali” dovrebbero essere – se i piani della mobilità ed i piani urbanistici venissero elaborati con un approccio meno settoriale e maggiormente integra-
L’interesse che sistemi ettometrici, impianti a fune o altre soluzioni di accessibilità meccanizzata hanno sollevato negli ultimi anni è strettamente connesso, in molti casi, alle particolari situazioni urbane o territoriali in cui questi sono stati realizzati. E, in molti casi, queste soluzioni hanno costituito una decisiva svolta nelle forme di accesso ma anche di organizzazione della struttura urbana dei centri. La loro messa in funzione è stata tanto più eclatante quanto minori erano le dimensioni dei centri urbani interessati dalle soluzioni tecnologiche approntate, soprattutto perché in molti luoghi queste hanno rappresentato l’inizio di una trasformazione sociale ed economica radicale. In quasi tutti i casi si è trattato di borghi e cittadine la cui accessibilità – limitata ai mezzi tradizionali - ha costituito negli ultimi decenni ragione di declino e soprattutto una forma di freno allo sviluppo: che i centri si trovassero in altura all’interno di territori dall’orogra a complessa; che fossero borghi in contesti resi ormai marginali nella rete dei collegamenti regionali o nazionali; che fossero insediamenti frammentati in aree urbane “segregate” rispetto alle aree di nuovo insediamento abitativo spesso cresciuto “a valle”. Indubbiamente la profonda trasformazione della distribuzione della popolazione nel nostro paese e le conseguenti trasformazioni del sistema insediativo che ne è seguito hanno determinano le problematiche, di cui l’accessibilità limitata ha rappresentato la questione più sentita dalle comunità locali. Ad un generale e ciclico usso di popolazione verso la città e verso le aree a maggiore tasso di crescita, in molte realtà il declino dei centri è stato conseguenza anche dello scivolamento “in pianura” degli abitanti che, pur resistendo al “richiamo della città” e rimanendo nei tanti borghi e 2 Si rimanda per i diversi esempi europei ed italiani (dei quali solo alcuni saranno richiamati più dettagliatamente in queste note) ai saggi di Andrea Spinosa, Giovanni Giacomello e Tito Berti Nulli.
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3 - Funivia di Erice.
centri collinari e montani del nostro paese, hanno poi sentito il bisogno di una diversa collocazione. Per diverse ragioni: non solo il trasferimento delle attività economiche (e quindi dei posti di lavoro) verso altri luoghi più accessibili, quanto anche l’emergere di nuovi modelli culturali dell’abitare, della socialità e dello scambio, del tempo libero sui quali – se non propriamente il carattere “relativamente periferico” di questi centri – sicuramente pesano i limiti imposti all’accessibilità (per un’orogra a complessa, per una struttura insediativa strutturalmente rigida, per l’assenza di spazi di parcheggio e sosta, per le difficoltà di circolazione) e quindi al pieno raggiungimento dei livelli di qualità di vita ritenuti oggi irrinunciabili. Lo spopolamento di questi insediamenti ha molte ragioni, ma quelle indicate non risultano secondarie. D’altro canto i limiti all’accessibilità sembrano divenire un ostacolo anche per la crescita del turismo, inteso oggi come una leva di sviluppo indispensabile, sia come alternativa al declino delle attività economiche tradizionali, sia come volano per il rilancio delle stesse, in un intreccio di cui spesso sfuggono cause ed effetti. Dalla funicolare di Certaldo e Orvieto alla funivia di Erice; dal percorso meccanizzato di Cascia agli ascensori di Feltre, Todi, Camerino3, molti impianti sono stati realizzati, dapprima per un rapido collegamento per i residenti tra centri in altura e i servizi a valle (che fosse la stazione ferroviaria, il nuovo nucleo residenziale, le aree commerciali e direzionali spostatesi in zona di più facile accesso); gli impianti sono poi diventati la soluzione che ha 3 Interessante l’elenco di tutte le strutture di risalita di diversa tipologia che la Regione Marche ha nanziato nel corso degli ultimi anni per vari comuni, sia per migliorarne le condizioni di collegamento sia per ridurre l’accessibilità carrabile nei centri città e nei centri storici. Cfr.: ttp://www.regione.marche.it/Regione-Utile/Infrastrutture-e-Trasporti/Impianti-di-risalita#Tematiche-correlate.
favorito l’incremento dei ussi di visitatori e turisti nei centri4 per divenire con il tempo essi stessi un’attrattiva turistica (come succede a Montecatini Terme, o piuttosto a Brunate, Mondovì o Capri) sia che si tratti di impianti storici ma adeguatamente ristrutturati e modernizzati, sia che si tratti di impianti tecnologici più avanzati. In molti contesti, quello che sembra costituire spesso uno dei problemi complessi resta l’inserimento di questi impianti (delle stazioni e dei locali tecnici, più che dello stesso tracciato), nel paesaggio, all’interno dei tessuti storici o degli ambiti ancora naturali che devono attraversare, quando non siano le opere accessorie (soprattutto le ampie aree di sosta e parcheggio che sempre vengono previste alla base degli impianti). Solo nel corso degli ultimi anni, alla forte innovazione tecnologica che caratterizza questi sistemi (e che contemporaneamente ha stimolato una sempre più scrupolosa progettazione di ogni singola componente) si accompagna un’altrettanta accurata progettazione degli spazi urbani che completano questi impianti, mentre è possibile affermare che nel caso delle aree destinate al parcheggio – ma non solo nel nostro paese – si richieda ancora uno sforzo di maggiore creatività e qualità progettuale (che la momento sembra aver riguardato solo gli aspetti della gestione delle aree di sosta e la loro 4 A Spoleto, soprattutto per far fronte al crescente numero di visitatori dei grandi eventi che la città ospita, si sono resi necessari più impianti: le scale mobili per i parcheggi di Ponzianina e Posterna, il percorso meccanizzato (tapis roulant) di Spoletosfera, quindi l’ascensore per la Rocca albornoziana. I vari interventi sono stati programmati nel quadro del progetto “Mobilità alternativa per Spoleto città aperta all’uomo ovvero città senza auto”, ideato dal Comune di Spoleto in collaborazione con la SSIT – Società Spoletina di Impresa Trasporti, il cui primo stralcio è stato inaugurato nel 2007 ed il terzo e ultimo nel 2014, che contemplava la realizzazione dei parcheggi multipiano a completamento dei nuovi sistemi di risalita. Il sistema è entrato de nitivamente a regime nel 2015.Cfr.: http://www.inu.umbria. it/?p=328.
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TRASPORTI & CULTURA N.53 supporre che il declino di molti di questi centri sia legato a dinamiche più profonde e strutturali, per le quali la mobilità meccanizzata può rappresentare solo una (e forse parziale) delle risposte da dare a questi territori6.
I nuovi sistemi di trasporto nelle città e nelle aree metropolitane
4 - Funicolare di Certaldo. 5 - Metropolitana di Genova.
integrazione tariffaria nei costi del servizio di trasporto). Restano però alcuni aspetti critici, nonostante sia indubbio che queste soluzioni abbiano garantito in molti casi la riduzione dell’accessibilità carrabile nei centri minori (e di conseguenza la diminuzione di inquinamento e congestione e la salvaguardia dei tessuti storici, oltre al miglioramento della qualità ambientale, favorita anche dalla successiva pedonalizzazione e riquali cazione degli spazi pubblici e un rinnovamento dell’arredo urbano) giusti candone l’investimento, spesso “impegnativo” per le amministrazioni dei comuni5. Infatti, se ben evidenti sono stati i bene ci economici indotti dai progetti di riorganizzazione della mobilità, soprattutto legati allo sviluppo del turismo e al fatto che queste soluzioni hanno evitato l’abbandono progressivo dei centri da parte degli abitanti, va ammesso però che i processi di rivitalizzazione che hanno costituito uno dei presupposti ai progetti di costruzione o di riattivazione e modernizzazione degli impianti hanno avuto breve respiro in molti casi, lasciando 5 Le valenze sociali ed economiche e non puramente “trasportistiche” di questi sistemi di risalita è evidente anche dalla frequenza con cui gli enti locali, sempre con il supporto dei governi regionali, siano riusciti ad accedere a fondi comunitari per la costruzione o modernizzazione degli impianti, risolvendo spesso la drammatica esiguità dei bilanci comunali o le difficoltà di erogazione di fondi pubblici statali e regionali. Non che questo si sia tradotto frequentemente anche in una riduzione dei tempi di realizzazione, ovviati spesso più dall’enorme progresso tecnologico registrato nel settore che spesso fa della velocità di costruzione uno dei fattori di competitività tra le imprese costruttrici.
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Diversamente, nelle città sistemi ettometrici, ma anche impianti a fune e altre soluzioni di mobilità non convenzionali, presentano non solo una maggiore varietà di tipologie e di realizzazioni, quanto piuttosto un ruolo maggiormente strategico nell’organizzazione dell’accessibilità urbana. Quasi sempre, più che le speci che caratteristiche tecniche degli impianti o la loro localizzazione, la rilevanza è data dalla possibilità di integrare questi mezzi nella struttura più articolata e complessa del trasporto pubblico, ossia il modo con il quale ascensori, funicolari, sino ai più moderni people-mover, riescono a completare l’organizzazione del trasporto pubblico, assicurando connessioni più rapide, collegamenti lungo tracciati più acclivi, complessi o impossibili da coprire con i mezzi tradizionali; o ancora aumentando la portata su tratte a maggiore o crescente domanda di trasporto. Nel complesso, quello che si rileva è uno sforzo per approntare soluzioni sempre più complesse – dal punto di vista tecnico – ma anche più universali che permettano al servizio per l’accessibilità di diventare più capillare oltre ad inseguire obiettivi di sostenibilità (riduzione del consumo di carburanti e quindi delle emissioni inquinanti, con il ricorso ad altre forme di alimentazione) e di efficienza laddove i mezzi di trasporto più convenzionali non siano in grado di assicurare i livelli di qualità richiesti (frequenza, numero di corse, adattamento alla rete stradale esistente), evoluzione di una logica che ha favorito lo sviluppo in via quasi esclusiva del trasporto su gomma a scapito di ogni altro sistema di trasporto. Genova e Napoli, sia per efficienza delle soluzioni che per numero di impianti funzionanti7, rappre6 La SNAI (Strategia Nazionale per le Aree interne) ha favorito nel corso degli ultimi anni una speci ca attenzione sulle complesse problematiche dei territori e dei piccoli Comuni che risultano lontani dai servizi essenziali, dagli assi principali di comunicazione e la cui marginalizzazione ha assunto dal 2012 rilevanza “nazionale” con l’approvazione di una speci ca strategia e di particolari provvedimenti per la valorizzazione e sviluppo di aree e centri. Cfr.: http://www.programmazioneeconomica.gov.it/2019/05/23/strategia-nazionale-delle-aree-interne/. Per un’ampia ri essione sulle problematiche ed una prima valutazione delle prospettive e degli esiti di alcune politiche promosse, si veda: De Rossi (2018). 7 Come si desume dal sito dell’AMT di Genova, in città sono operativi 10 ascensori, 3 funicolari (tra le quali si annovera anche il noto ascensore di Castelletto), 1 ferrovia a cremagliera, necessarie ad affrontare i forti dislivelli che separano parti signi cative della città dal centro. Il sistema. Cfr.: https://www.amt.genova.it/ amt/trasporto-multimodale/ascensori/. Ma le novità sono date dalle forme di integrazione non solo con il servizio di trasporto pubblico tradizionale (che verrà potenziato con lobus), ma anche con la recente attivazione di una “navebus” (dal centro all’aeroporto via mare), la riattivazione della linea ferroviaria a scartamento ridotto Genova-Caselle, la metropolitana leggera Brin-Brignole, la creazione del servizio di ferrovia urbana della Genova-Ventimiglia. Cfr.: http://www.metrogenova.com/index. asp. Gli aspetti di maggior rilievo sembrano essere le prospettive di potenziamento di questo sistema integrato, in un’ottica di assoluta sostenibilità . Cfr.: https://pums.cittametropolitana.
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sentano gli esempi più interessanti nel nostro paese; ad esse si aggiunge Perugia che nel corso degli ultimi vent’anni ha visto la città dotarsi di scale mobili, ascensori e di una minimetro, mentre la Regione Umbria tenta un rilancio delle ferrovie minori che innervano la regione. Per quanto dotate di uno o solo due impianti, anche altre città hanno tentato di affrontare alcuni disagi di accessibilità attraverso questi sistemi, soprattutto laddove ad un centro storico ancora abbarbicato sulle alture si contrappone la città moderna sviluppatasi a valle: dalla storica funicolare di Bergamo (1887) o piuttosto il noto tram di Opicina di Trieste alla funicolare di Catanzaro (riattivata solo nel 1998 seppure con servizio discontinuo), il complesso sistema di scale mobili di Potenza8 a cui si potrebbero aggiungere gli esclusivi impianti di Belluno (scale mobili dal parcheggio di Lambioi al centro), di Verona (dal Lungadige al Castello di S. Pietro, per un prevalente uso turistico), i timidi tentativi di Reggio Calabria e Messina9. genova.it/. Non diversamente Napoli, dove la rete ferroviaria di grande estensione grazie alle ferrovie urbane e suburbane (le 2 linee della ferrovia Circumvesuviana, la Cumana, la cosiddetta MetroCampania, a cui va aggiunta la rete regionale di Trenitalia), si completa con i 4 storici impianti di risalita a fune, le 2 linee di metropolitana tradizionale, per completare il sistema di trasporto pubblico tradizionale su gomma, con autobus e lobus, cfr.: http://www.comune.napoli.it/trasporti-mobilita. Ma per il caso di Napoli si rimanda al saggio di Giuseppe Mazzeo e Carmela Fedele, qui contenuto, rimarcando solo come – a fronte delle difficoltà attuali – il rinnovamento del sistema della mobilità su ferro di Napoli ad inizio degli anni ’90 sia stato uno dei primi esempi italiani di integrazione del trasporto pubblico, indicando una strategia che molte città nel nostro paese hanno poi seguito… Esattamente come nel XIX secolo quella stessa città è stata il luogo di maggiore innovazione del trasporto urbano in Europa prima e nel Regno d’Italia, poi. 8 Considerato ”il sistema di trasporto meccanizzato più lungo d’Europa”, il sistema di scale mobili Viale Marconi-ArmelliniSanta Lucia ha una lunghezza complessiva di 1,3 chilometri ed è organizzato attraverso 3 impianti e con una capacità di trasporto di 18 mila persona l’ora (realizzato tra il 1994 ed il 2010); a questo si è aggiunto nel 2012 la scala mobile Basento, che unisce la stazione ferroviaria di Potenza con il centro storico. 9 Si tratta nel primo caso di un sistema composto da tapis roulant ed un ascensore, aperto nel 2009 ma solo parzialmente e sporadicamente funzionante ancora oggi e nel secondo di un sistema di scale mobili realizzato nel 2007-2009, ma mai entrato in funzione.
Non diversamente dai piccoli centri, anche nelle grandi città, questi impianti si sono trasformati in un’attrazione: in molti casi si tratta di impianti storici che hanno la capacità di esercitare un particolare fascino sull’immaginario collettivo o di assicurare vedute panoramiche e viste che li rendono particolarmente attrattivi per i turisti; in altri (e Perugia rappresenta il caso più emblematico) per la stessa esperienza che il breve tragitto può garantire anche attraverso nuovi percorsi verso la città (che si tratti del suggestivo attraversamento ipogeo della storica Rocca Paolina o della panoramica ascensione al centro storico attraverso condomini, ma anche aree verdi, colline ad ulivo sino alla stazione di arrivo che offre la vista sul Monte Subasio); in ne, quale icona di una inconsueta capacità di innovazione e trasformazione che una città può offrire, soprattutto in quelle realtà che soffrono di un certo ritardo nell’adeguamento dei propri servizi di collegamento (come accade soprattutto nel nostro Mezzogiorno). In altri casi ancora, l’introduzione di questi sistemi innovativi possono rappresentare anche l’occasione per proporre una diversa organizzazione del trasporto collettivo, tentando anche di valorizzare altri sistemi esistenti di cui non si colgono (nell’attuale assetto dei servizi) le potenzialità, non solo in termini di mobilità sostenibile. È il caso delle ferrovie secondarie quasi tutte dismesse o in via dismissione nel nostro paese che non ha saputo valorizzare pienamente questo prezioso capitale sso sociale. Lo ricordano nei loro saggi contenuti in questo numero della rivista Salvo Bordonaro (citando il recupero della ferrovia Foggia-Lucera) ed Alfonso e Francesco Annunziata con Giuseppe Fiori (sottolineando la necessità di servire con un sistema articolato e plurimodale un territorio policentrico a bassa domanda, ottimizzando le risorse esigenti e riuscendo anche a valorizzare un patrimonio altrimenti destinato all’abbandono). A sottolineare il ruolo strategico che queste infrastrutture possono svolgere, non ultimo il progetto di Stefano Boeri e associati per la stazione di Matera delle Ferrovie Appulo-Lucane, in occasione della nomina della città a Capitale europea della Cultu-
6 - Mappa degli impianti speciali a Genova.
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TRASPORTI & CULTURA N.53 si rimanda al saggio di Rita Finzi –, Pisa13) è impossibile al momento dare un’oggettiva valutazione, data la loro recente introduzione. Se nel caso di Pisa e Bologna, il collegamento tra aeroporto e centro città risponde a un crescente numero di utenti che giusti cano l’investimento (a fronte di una debole incidenza delle infrastrutture sulla riduzione del traffico nelle aree centrali, con la creazione di parcheggi scambiatori lungo il tracciato), nel caso di Venezia non paiono del tutto evidenti i vantaggi offerti dal sistema di collegamento a breve raggio alla città (sia nel senso del contenimento degli arrivi a piazzale Roma sia nell’assicurare l’accesso pedonale al terminal crocieristico). Indubbio, nei vari casi, è stato il contributo di questi impianti all’introduzione di una forte carica di innovazione al sistema di trasporto urbano complessivo, soprattutto nell’immaginario collettivo, lasciando presupporre un processo di trasformazione del trasporto secondo canoni “internazionali” spesso auspicati nelle nostre città anche per emulazione di quanto accade nelle altre grandi città europee. Il tentativo di rendere quanto più efficiente e funzionale l’attività di questi impianti, una volta realizzati, ad integrazione del servizio di trasporto collettivo convenzionale, ha spesso determinato lo sforzo che in molti comuni si è compiuto per l’integrazione tariffaria, la modalità di funzionamento del servizio (coordinamento orari, corse e frequenze, in particolar modo), soluzioni che hanno portato generalmente ad un incremento dei passeggeri e ad una migliore qualità del servizio. Non tutto pare risolto, soprattutto laddove l’utenza mostra una scarsa propensione allo spostamento intermodale: ad una “debole” cultura del trasporto – come vedremo in seguito – si aggiunge una certa riluttanza all’interscambio, alle rotture di carico e all’utilizzo di più e diversi mezzi per raggiungere la meta. La piena efficienza di questi impianti e soprattutto dei sistemi di mobilità si scontra ancora oggi con la generale diffidenza della società italiana nei confronti del trasporto collettivo, e non solo per la sua relativa qualità e per le sue basse prestazioni.
La vera s da: la mobilità integrata 7 - Ingresso sud delle scale mobili a Belluno. 8 - Tapis roulant a Reggio Calabria.
ra per il 201910. Ultimi in ordine di realizzazione e indubbiamente soluzioni più affascinanti (per complessità di costruzione, capacità di portata, potenzialità di sviluppo) sono i people-mover, che sono stati attivati nel nostro paese con molto ritardo, e non senza polemiche sia tecniche che politiche. Di questi sistemi (Venezia11, Bologna12 – per il quale 10 Proprio per questa occasione, sempre a Matera, il Piano Urbano della Mobilità della città di Matera aveva previsto il “Sistema integrato per l’accessibilità pedonale dei rioni Sassi”, nanziato con fondi europei per la realizzazione di 3 “percorsi aiutati” con ascensore e percorsi meccanizzati per garantire l’accessibilità all’area dei Sassi. Il progetto è incorso in diverse vicissitudini, soprattutto per l’inserimento degli impianti in un contesto particolarmente fragile, di altissimo valore architettonico, storico, monumentale, paesaggistico e archeologico del patrimonio. 11 Cfr.: http://actv.avmspa.it/it/content/people-mover-0. 12 Cfr.: http://www.marconiexpress.it/il-people-mover.
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Tuttavia la s da del futuro non si gioca tanto nell’innovazione dei sistemi di trasporto. Per quanta innovazione si possa iniettare nei mezzi e nelle infrastrutture, la vera frontiera del cambiamento è piuttosto la costruzione di un sistema di trasporto davvero efficiente e capace di soddisfare i bisogni di una comunità dotata di una sensibilità particolare per una mobilità differente. E questo è ancor più vero nella prospettiva di un futuro sostenibile, dove la rinuncia alla mobilità veicolare privata rappresenta l’obiettivo più ambizioso ma anche più difficile da conseguire. Due elementi appaiono decisivi per una mobilità urbana e territoriale concretamente e realisticamente sostenibile: la costruzione di un sistema del trasporto collettivo integrato e la diffusione di una diversa cultura della mobilità. In entrambi i casi, l’introduzione di impianti di trasporto non convenzionali, ancorché innovativi, risulta strategica da un lato come completamento della dotazione 13 Cfr.: http://pisa-mover.com/.
TRASPORTI & CULTURA N.53 delle strutture di servizio così come della capacità del sistema di rispondere ad una domanda di mobilità sempre più ampia e territorialmente diffusa; dall’altro come fattore di promozione del trasporto collettivo in una società che deve contribuire in modo sempre più consapevole ed opportuno al miglioramento delle condizioni ambientali. La prima mossa dovrà essere la costruzione di una nuova nuova strategia del trasporto collettivo integrato. Da qualche tempo i Comuni sono chiamati a redigere i Piani Urbani della Mobilità Sostenibile (PUMS), così come indicato dal Decreto legge del 4 agosto 2017 con le relative linee guida14, che in parte riprendono le linee europee15. Queste indicazioni spingono verso una radicale trasformazione di questi strumenti, per quanto nel nostro paese la piani cazione dei trasporti in realtà non si sia pienamente affermata (Donati, Petracchini, 2015). Si tratta, infatti, non di un piano tecnico e settoriale (così come sono stati concepiti tradizionalmente i “Piani urbani della mobilità”), quanto di un piano strategico multisettoriale ed integrato che dovrebbe discendere da un preliminare scenario di sviluppo urbano, che dovrebbe costituire una sorta di visione condivisa, coerente e di medio-lungo periodo, di tutte le politiche urbane per l’assetto della città e del territorio. Senza prescindere dai contenuti più speci ci e marcatamente tecnici di un piano dei trasporti, le soluzioni propugnate dovrebbero essere in grado di dare risposte molteplici e trasversali alle problematiche della città e della sua comunità, non riduttivamente colte in termini di passaggi rilevati a cordone o di ussi di spostamento quantitativamente calcolati su speci che direttrici: queste metodologie - per quanto oggi completate da analisi GPS ed altre tecniche di rilevamento – poco dicono sulle ragioni degli spostamenti16; tantomeno possono essere improntate ad un’esclusiva valutazione di prestazione tecnica del sistema. Le conseguenze di una “distratta” e alquanto banale piani cazione dei trasporti rischiano di ridurre le potenzialità e l’efficacia dell’innovazione, possono determinare nuove problematiche a cui prestare attenzione, nuove emergenze in un contesto di ridotte risorse e di lesinati investimenti. Questi nuovi strumenti di programmazione, nei quali si con da, dovrebbero rappresentare la pronta e completa risposta ad una domanda di fruizione ai servizi della città e alle diverse zone della città determinate da più e differenti bisogni della collettività, e spesso riferiti alle nuove forme dell’abitare, della produzione e del lavoro, nonché alle differenti richieste di spostamento per il tempo libero, la cultura ed il divertimento, componenti non più marginali ed occasionali della vita quotidiana. E nell’impossibilità di offrire 14 Cfr.: https://www.osservatoriopums.it/wp-content/uploads/ 2017/10/linee_guida.pdf. 15 Cfr.: https://www.eltis.org/it/mobility_plans/strumentiper-i-piani-di-mobilita. 16 Inutile nascondersi che anche i più recenti piani della mobilità (più o meno sostenibili) delle città italiane soffrono di una drammatica carenza di dati e di informazioni necessarie ad una strategica programmazione. I notevoli costi di rilevazione con sistemi più o meno tradizionali, ma ancor più il mancato approntamento di sistemi di monitoraggio, controllo e veri ca dei ussi di spostamento, o piuttosto l’insorgenza di nuova domanda di servizio o piuttosto le ragioni dell’esaurirsi di quelle esistenti restano affidate spesso a congetture o analisi parziali. Questa insufficienza di dati rende spesso le scelte operate dai piani per la mobilità poco efficaci e soprattutto nel breve-medio periodo, privi di sostanziali riscontri di efficacia e di reale impatto sociale ed economico.
risposte esaurienti ai bisogni (per i limiti oggettivi di espansione delle reti, per il contenimento degli investimenti) occorre l’individuazione di soluzioni che limitino i disagi e comunque assicurino forme di mobilità ed accessibilità che solo in parte comportino il ricorso al mezzo veicolare privato. In una prospettiva di questa natura, le nuove forme di mobilità che gli impianti innovativi possono assicurare diventano fondamentali, soprattutto per la loro capacità di completare l’offerta ed estendere la rete superando i limiti dei mezzi convenzionali ed ottimizzare la capacità di raccolta degli utenti alle fermate dei vari sistemi, e di conseguenza l’efficienza del sistema e la qualità delle sue prestazioni. Si tratta non solo di immaginare un piano capace di garantire l’utilizzo semplice e confortevole dei mezzi, ma anche di seguire una modalità diversa di organizzare (ed assicurare) il servizio in caso di più operatori (si tratta dunque di governance dei trasporti, di coordinamento e capacità manageriale, di collaborazione tra società di servizi e fornitori di trasporto pubblici e privati17, un campo si deve misurare anche le differenti capacità delle amministrazioni locali di sapere affrontare le questioni). È importante inoltre raggiungere quella che oggi rappresenta la frontiera più avanzata del servizio di trasporto pubblico, il cosiddetto MaaS – Mobility as a Service18, un servizio di trasporto pubblico che possa prevedere – proprio partendo dal presupposto di un sistema integrato, omogeneo e coerente – la capacità del singolo utente di organizzare il suo viaggio end-to-end, in modo autonomo, combinando opportuna-
9 - Il tapis roulant e sistemazione viaria a Reggio Calabria
17 Anche in questo caso, si tratta cioè di trovare le soluzioni più adeguate alla situazione attuale, davanti all’imponibilità del gestore unico (soluzione tradizionale abbandonata sia per i limiti di bilancio pubblico – ai diversi livelli, regionali o anche solo comunali –, sia per le condizioni di libera concorrenza, per la trasformazione del mercato anche nel settore dei servizi, ecc.) per riuscire a integrare e gestire sistemi più complessi. 18 MaaS da intendersi come «il superamento dell’idea di mobilità privata individuale incentrata sul possesso esclusivo di un’automobile, per approdare al concetto di mobilità integrata supportata da un’ampia ed eterogenea offerta di servizi webbased di nuova concezione, destinata a migliorare l’esperienza “viaggio” per ogni classe di utenza e, contestualmente, ad aumentare l’efficienza e l’efficacia del trasporto». Cfr. Società Italiana Docenti di Trasporti (2018).
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TRASPORTI & CULTURA N.53 mente mezzi diversi e differenti tratte, spesso gestite anch’esse da piattaforme digitali, componente indispensabile della smart city, così come viene generalmente proposta dall’Unione Europea. È evidente come in un contesto del genere, la possibilità offerta dagli impianti tecnologicamente più avanzati permette di assicurare un’offerta ben più articolata e capillare, ma come affermato precedentemente, solo in un quadro coerente e coordinato di un servizio multimodale integrato questi possono esprimere tutte le potenzialità che la tecnologia può offrire. È sul piano di una cultura al trasporto collettivo sostenibile, però, che oggi si s da il futuro. Per quanto si possano innovare tecnologicamente i sistemi di trasporto19, infatti, l’assenza di un’adeguata cultura della mobilità sostenibile – che privilegi il ricorso al trasporto collettivo e soprattutto la preferenza per mezzi di trasporto pubblico o di qualunque altro sistema alternativo all’uso del mezzo privato –potrebbe rendere del tutto inefficaci questi cambiamenti20. A differenza di quanto si possa credere, nonostante la diffusione nella società di una consapevolezza ambientale che sembra spingere la collettività verso una maggiore attenzione alle emissioni atmosferiche, all’inquinamento, verso l’introduzione di nuove abitudini e pratiche personali che contengano il consumo di risorse naturali e assicurino un ambiente ed una qualità urbana migliori – obiettivi ai quali questi sistemi sembrano davvero garantire un apporto strategico decisivo – il trasporto pubblico, per quanto efciente, per quanto innovativo, non sembra aver ancora conquistato il campo. È indubbiamente su questo piano che si rende necessario affrontare le s de più complesse. Come già accennato, va innanzitutto registrato il gap che ancora si rileva tra il generale sviluppo delle informazioni e conoscenze, da un lato, e la conseguente crescita di consapevolezza individuale e collettiva delle ragioni della sostenibilità e il sostanziale cambiamento di abitudini e pratiche, anche in questo caso individuali e collettive, dall’altro. È indubbiamente l’aspetto più complesso della ri essione e dell’azione verso la sostenibilità – e la mobilità sostenibile – poiché è proprio sul cambiamento degli stili di vita che è facile incontrare maggiore resistenze anche da parte delle frange più responsabili delle comunità (La Rocca, 2011), soprattutto laddove la disponibilità alla rinuncia ad incrementare il “debito am19 Solo per rimarcare la celerità dei cambiamenti tecnologici in questo settore, è forse il caso in questa sede citare con poche battute la micromobilità elettrica – che si tratti di carrozzelle o scooter elettrici non più esclusivamente per le persone affette da disabilità, o piuttosto di monopattini elettrici, segways, oxboards, di recente diffusione – la cui diffusione indica nuove forme di mobilità un tempo impensabili e di cui non è ancora evidente quale cambiamento della mobilità individuale potranno indurre. 20 In effetti come sottolinea l’ISTAT (2017): «Dopo la debole ripresa del 2014, torna a calare la domanda di trasporto pubblico locale nei capoluoghi di provincia, pari a 186,8 passeggeri per abitante contro i 189,5 dell’anno precedente. La essione è spiegata quasi interamente dalle forti variazioni di segno opposto registrate a Roma e Milano (–6 e +4,1% di passeggeri trasportati, rispettivamente). Per la prima volta negli ultimi cinque anni aumenta, invece, l’offerta del Tpl: da 4.425 a 4.503 posti-km per abitante. La ripresa si deve essenzialmente ai servizi di metropolitana, la cui produzione è cresciuta di oltre il 10% in valore assoluto (+15,7% a Milano), mentre è diminuita o rimasta invariata la produzione delle altre principali modalità (autobus –1,6%, lobus –4,6%, tram +0,3%)». Cfr.: https://www.istat.it/it/ archivio/202275.
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bientale” è strettamente congiunta al desiderio di raggiungere un dato livello di benessere personale (acquisito? atteso? auspicabile?) che resta puramente soggettivo e spesso irrazionale, soprattutto ai ni di un comportamento ambientalmente virtuoso. D’altro canto, «[…] manca ancora un capillare lavoro di suggestione popolare capace di alimentare immaginari di vita urbana ed extraurbana che incorporino come naturali e positivi la mobilità sostenibile (trasporto pubblico, bicicletta, pedonalità innanzitutto) e la sostenibilità in generale. Sono le menti preparate dei cittadini che daranno cittadinanza alle proposte di mobilità sostenibile, alla bicicletta. Lo stiamo vedendo in quelle città italiane dove sono i giovani appassionati di bicicletta ad aver dato spontaneamente vita a un ritorno della ciclabilità in città conquistando terreno culturale che prima decine di sperimentazioni progettuali non avevano ottenuto» (Pileri, 2014). Molto lavoro resta ancora da fare, e solo in parte i processi partecipativi che spesso accompagnano la redazione dei PUMS (a volte per scelta responsabile delle amministrazioni locali, altre volte solo per ossequio delle Linee guida comunitarie e nazionali) possono rimediare ad una cultura globale che – per un prevalente individualismo, per un’ossessiva ricerca di appagamento personale, per una super ciale ma permanente indifferenza al degrado ambientale – non sembra maturare la necessaria consapevolezza anche nel caso della mobilità. In questo difficile processo di costruzione di mentalità e comportamenti virtuosi, la singolarità delle soluzioni e l’evoluzione tecnologica di questi sistemi di trasporto possono giocare un ruolo imprevisto ed inconsueto, modi cando per esempio la scarsa propensione all’intermodalità (che diventa una diversa “esperienza” di spostamento), alla rottura di carico (se il sistema è efficiente e connesso ad altri sistemi efficientemente), inducendo una progressiva rinuncia del mezzo privato. Un’ultima annotazione, che forse dovrà trovare sviluppo in un’altra sede, va indubbiamente fatta su un altro aspetto, velocemente accennato in precedenza, che si lega strettamente alla questione: la realizzazione di questi nuovi impianti e il recupero di ferrovie dismesse con il loro capitale sso di stazioni e fermate; o ancora le forme e i luoghi di interscambio che possono generare, si propongono generalmente come un’occasione di progettazione urbana e di riorganizzazione urbanistica. Non si tratta solo di ipotizzare le forme di collegamento tra i sistemi o piuttosto la sistemazione dei diversi servizi a completamento del trasporto (parcheggi, ad esempio), e non solo dell’inserimento di questi impianti nel tessuto edilizio storico e non solo. Soprattutto nelle città di maggiori dimensioni, l’occasione si è tradotta spesso nella costruzione di nuovi spazi pubblici, limitro agli impianti e non solo in corrispondenza delle fermate o dei punti di attestazione delle linee: a volte alla realizzazione del nuovo impianto o stazione è corrisposta la progettazione accurata delle aree pedonalizzate, di piccole piazze e spazi verdi. La loro creazione diventa poi un fattore importante per la rivitalizzazione dei tessuti urbani, se non degradati spesso trascurati dagli investimenti pubblici (concentrati sugli spazi di maggiore rappresentanza). In altri casi può ridursi ad un
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10 - Progetto dello studio Stefano Boeri Architetti per la stazione FAL di Matera.
minimo processo di arredo urbano, ma anche questo può diventare, in una più articolata e complessa dinamica, l’opportunità per una di risigni cazione sociale dello spazio urbano21. Una nuova accessibilità diventa spesso l’elemento di maggiore attrattività, di richiamo per nuove attività economiche e nuove dinamiche di aggregazione sociale, soprattutto nei quartieri non centrali. Rimando ad altri numeri di questa rivista il richiamo al ruolo svolto nella generale trasformazione della città dalla realizzazione di nuove linee di trasporto, ma soprattutto dall’accurata progettazione delle fermate (si pensi a quanto accaduto nelle stazioni della metropolitana di Napoli, nel sottosuolo come negli spazi di supercie). Non diversamente stazioni di funicolari o i punti di partenza e arrivo dei percorsi meccanizzati, quando non le stesse strutture degli impianti (dal “ponte attrezzato” di Potenza alle strutture metalliche del people-mover di Venezia, per esempio) diventano occasione per ride nire formalmente gli spazi attraversati. Più coraggiosamente (come nel caso già citato di Perugia), sono state l’occasione per ridisegnare completamente gli spazi pubblici limitro . Su questi aspetti – spesso evidenti alla progettazione urbanistica – la progettazione della mobilità non sembra aver ancora raggiunto una piena consapevolezza e ancora oggi, in molte realtà del nostro paese, la costruzione delle città e la sua rigenerazione solo relativamente sono temi connessi alla progettazione del sistema del trasporto. Il cammino è intrapreso, ma c’è ancora un lungo percorso da affrontare… e anche in questo caso l’innovazione (delle visioni strategiche, delle politiche ancorché dei sistemi di mobilità) sembra il passo decisivo.
Bibliogra a Aa.vv. (2018), “Sustainable Mobility An Appeal to European Decision-Makers”, Debates and Documents Collection, n. 9, The Jean Monnet Foundation for Europe, Lausanne. Cfr.: https:// infoscience.ep .ch/record/253731/ les/Manifeste-EN.pdf Donati A., Petracchini F. (2015), Muoversi in città. Esperienze e idee per la mobilità nuova in Italia, Edizioni Ambiente, Milano. De Rossi A. (2018), Riabitare l’Italia. Le aree interne tra abbandoni e riconquiste, Donzelli editore, Roma. La Rocca R.A. (2011), “Mobilità sostenibile e stili di vita”, TeMA, vol. 4, n. 2, pp. 29-42. Martens K. (2017), Transport justice: Designing fair transportation systems, Routledge New York -London. Martens K. (2012), “Justice in transport as justice in accessibility: applying Walzer’s ‘Spheres of Justice’ to the transport sector”, Transportation, vol. 39, n. 6, pp. 1035–1053. Pileri P. (2014), “La mobilità sostenibile nasce da un’intenzione culturale”, in Ministero dell’Ambiente (a cura di), Ambiente urbano e mobilità: azioni per uno sviluppo sostenibile del territorio, Roma. Società Italiana Docenti di Trasporti (2018), “Soluzioni innovative per la mobilità urbana: prospettive ed opportunità”, position paper per il XXIII Convegno Internazionale “Società Italiana dei Docenti di Trasporti”, Roma, 10 ottobre. Cfr.: http:// www.sidt.org/wp-content/uploads/2018/10/Position-Paper_ SIDT_2018.pdf.
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21 Quanto è accaduto a Reggio Calabria, successivamente all’inaugurazione della scala mobile nel 2009 e che negli anni successivi ha visto contrarsi nelle vie adiacenti all’impianto diverse attività ristorative e ricreative, facendo per un periodo non molto lungo (purtroppo) il luogo della movida cittadina.
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Il World Tunnel Congress 2019 a Napoli. Opere in sotterraneo, fra innovazione, tecnologia, architettura e arte di Giovanni Giacomello
L’Italia, il primo paese in Europa e il secondo al mondo per lunghezza complessiva di gallerie stradali e ferroviarie, ha ospitato a Napoli a maggio il World Tunnel Congress (WTC) dal titolo Tunnels and Underground Cites: Engineering and Innovation meet Archaeology, Achitecture and Art. La conferenza internazionale infatti è stata organizzata, vista la sede del convegno, in modo tale da mescolare i temi dell’ingegneria e della geotecnica con quelli propri della cultura italiana (archeologia, architettura ed arte). Napoli infatti è una città che unisce tutti questi temi: dall’ingegneria delle infrastrutture alle opere geotecniche (ferrovie, metropolitane, strade, ecc.), dall’archeologia all’architettura (gli scavi archeologici, il rinvenimento di beni archeologici durante lo scavo di gallerie, edi ci e palazzi ricchi di storia e architettonicamente stupendi, ecc.) no ad arrivare all’arte (stazioni della metropolitana arricchite con opere d’arte moderna e personalizzate con pitture murali). Promosso dalla “Società Italiana Gallerie” (SIG) e dall’“International Tunnelling and Underground Space Association” (ITA - AITES), il World Tunnel Congress è stato accolto negli spazi della mostra d’oltremare. La mostra d’oltremare, situata vicino allo Stadio San Paolo di Napoli, è il principale punto di riferimento per l’organizzazione di congressi in città. L’area ha una grande estensione che comprende un palacongressi, un teatro, sale convegni di diversa capienza (per consentire meeting di piccole, medie o grandi dimensioni), un parco polifunzionale, un ristorante e un hotel. All’interno della mostra d’oltremare sono state costruite una copia del castello di Gondar (Africa) e la fontana dell’Esedra, dove giochi di acqua e di luce restituiscono uno spettacolo unico ed indimenticabile. La SIG è un’associazione che cura la promozione, il coordinamento e la divulgazione di studi e ricerche nel campo della costruzione delle gallerie e delle grandi opere sotterranee. La SIG, il cui presidente attuale è l’Ing. Andrea Pigorini (Responsabile Ingegneria delle Infrastrutture di Italferr S.p.A.), organizza e coordina convegni, congressi, corsi, visite tecniche presso i principali cantieri di opere in sotterraneo in realizzazione. La Società raccoglie circa 700 soci (enti, committenze pubbliche, università, studi professionali, società di ingegneria, imprese di costruzioni e esponenti delle industrie del settore). La SIG aderisce all’“International Tunnelling and Underground Space Association” (ITA – AITES) come “Nation Member” in rappresentanza dell’Italia, e partecipa ai lavori dell’associazione e all’attività dei gruppi di lavoro in cui l’associazione è divisa. Aderiscono all’ITA, fondata nel 1974 (stesso anno di fondazione della SIG), 78 Paesi del mondo. L’associazione promuove e stimola i
World Tunnel Conference in Naples. Underground works meet innovation, technology, architecture and art by Giovanni Giacomello “Tunnels and Underground Cities: Engineering and Innovation meet Archaeology, Architecture and Art” was the title of the World Tunnel Congress held in Naples from 3 to 9 May 2019. The international conference sought to mesh issues in engineering, geotechnics and geology with the themes of archaeology, architecture and art. The international community of the underground works engineering sector is called upon to address the social needs intensely expressed by national and international communities, which underground works can satisfy. Design and construction engineering methods can potentially integrate with disciplines (such as archaeology, architecture, art, etc.) that have been unrelated or divergent in the past, to provide answers to the emerging needs of modern communities. A current challenge is the placement of some services in underground spaces in order to liberate surface areas (potentially dangerous objects or structures). These areas can then be regenerated and redeveloped in a synergic process involving various disciplines. Italy, which holds the record after China for tunnel length, is affected by these community needs, and as a country is one of the major tunnel builders in the world.
Nella pagina a anco, da sinistra a destra, dall’alto in basso: stazione Toledo a Napoli; resti archeologici nelll’area della stazione di Amba Aradam della Metro C a Roma; tunnel San Pasquale, sempre della Metro C; cantiere del Tunnel di base del Brennero.
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TRASPORTI & CULTURA N.53 processi di piani cazione, progettazione, costruzione, manutenzione e sicurezza delle gallerie e dello spazio sotterraneo al ne di studiarne le relative questioni. L’assemblea generale dell’ITA, che si riunisce ogni anno, viene ospitata da una nazione (membro dell’ITA) in occasione dell’annuale congresso mondiale WTC. Quest’anno si è svolta in corrispondenza con il WTC 2019 la quarantacinquesima assemblea generale ITA–AITES. La Società Italiana Gallerie aveva già organizzato con l’ITA due precedenti edizioni del WTC. Il primo congresso internazionale, dal titolo Grandi Opere Sotterranee, nel 1986 a Firenze (trattando il tema dell’uso del sottosuolo con sessioni speci che sulle tecnologie del tunnelling) e il secondo, sul tema Progress in Tunnelling after 2000, nel giugno 2001 in collaborazione con l’associazione svizzera Swiss Tunnelling Society FGU. Nell’aprile 2016, durante l’assemblea generale dell’ITA a San Francisco, la Società Italiana Gallerie ha vinto la candidatura per ospitare il WTC 2019 a Napoli. Il convegno WTC 2019 ha avuto, dal 6 all’8 maggio, undici sessioni tecniche con la presentazione di numerosi lavori scienti ci, ma durante l’intera durata del Convegno ci sono state altre numerose sessioni speciali, meeting, incontri, corsi e visite tecniche. Le undici sessioni tecniche hanno avuto come argomenti: “Archaeology, Architecture and Art in underground construction”, “Environment sustainability in underground construction”, “Geological and geotechnical knowledge and requirements for project implementation”, “Ground improvement in underground constructions”, “Innovation in underground engineering, materials and equipment”, “Long and deep tunnels”, “Public communication and awareness”, “Risk management, contracts and nancial aspects”, “Safety in underground construction”, “Strategic use of underground space for resilient cities” e “Urban tunnels”. Dei 730 articoli ricevuti dal comitato scienti co il 23 settembre 2018, sono stati presentati 180 lavori mentre i poster sono stati 405. La novità introdotta dall’edizione italiana del WTC è stata l’e-poster: i poster non sono stati stampati in formato cartaceo ma gli articoli digitali sono stati diffusi e resi consultabili sull’applicazione dell’evento. Gli e-poster sono stati pensati per dare valore agli autori che non hanno avuto la possibilità di illustrare dal vivo i propri lavori, facilitando anche il confronto diretto tra i partecipanti e gli autori stessi. I tre migliori e-poster sono stati premiati nel corso dell’ultima giornata del congresso. Il WTC 2019 ha visto la partecipazione dei massimi esperti del settore, tra cui ricercatori e professori universitari, professionisti, e rappresentanti delle principali società di costruzione e di ingegneria per un totale di 2.700 partecipanti (provenienti da 73 paesi). Sono stati presenti inoltre 230 espositori e sponsors. Tra i relatori d’eccezione della cerimonia d’apertura ci sono stati esponenti di punta di vari settori (dall’ingegneria dei trasporti al mondo politico, dalle grandi imprese del settore delle costruzioni all’archiettura, ecc.): Prof. Ennio Cascetta, Gianluigi Vittorio Castelli, Martin Herrenknecht, Martin Knights, Mauro Moretti, Pietro Salini, Prof. Guido Tonelli e Prof. Alessandro Viscogliosi. Altri 40 relatori di grande importanza per il settore “tunnelling e ingegneria del sottosuolo” hanno fatto da introduzione alle sessioni tecniche e/o sono stati docenti ai corsi di formazione dell’ITA. Il convegno internazionale infatti è stato strutturato suddividendo i primi giorni in workshop/tavoli di lavoro
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Non sono mancate le visite tecniche, durante il WTC: alla galleria borbonica sotterranea, all’acquedotto greco-romano e ai resti sotterranei dell’an teatro romano. Sono state compiute, il 9 maggio, anche altre visite al di fuori della sede del WTC: presso i cantieri della linea C della metropolitana a Roma dove il progetto intende valorizzare i resti archeologici incontrati durante lo scavo della stessa; ai cantieri del tunnel di base del Brennero (in Trentino Alto-Adige), opera grandiosa a cavallo tra Italia e Austria, presso i cantieri di costruzione del tunnel ferroviario della linea AV Napoli-Bari al di sotto degli Appennini (nei pressi di Napoli); ed in ne presso i cantieri della metropolitana di Napoli (linee 1 e 6). Tra le visite sono spiccati gli eventi speciali “AAA” (Archeologia, Architettura e Arte) che si sono tenuti dal 6 all’8 maggio presso la Galleria Borbonica, una delle vie sotterranee più affascinanti di Napoli. Questo antico passaggio sotterraneo è stato commissionato dai Borboni principalmente per scopi militari e collega il Palazzo Reale con via Domenico Morelli (dove era presente una caserma militare). I partecipanti hanno potuto così scoprire il mondo sotterraneo di Napoli unendo l’interesse per l’ingegneria con quello per l’archeologia e l’arte. Prima di accedere alla galleria borbonica, i partecipanti alla conferenza hanno potuto ascoltare interventi di relatori di fama mondiale del settore (quali ad esempio, Reynolds, Viggiani, Wifstrand) all’interno del Salone degli Specchi nel Palazzo Serra di Cassano, dal quale si accedeva poi alla galleria stessa. Gli eventi speciali AAA sono stati organizzati con l’aiuto di ITACUS (International Tunnelling and Underground Space Association’s Committee on Underground Space), uno dei quattro comitati di lavoro permanenti di ITA. Il convegno, svoltosi principalmente presso la mostra d’oltremare, ha avuto degli eventi collegati al WTC 2019 (alcuni dei quali però riservati ai soci ITA) in altri suggestivi luoghi di Napoli: il complesso monumentale di Santa Chiara, il Teatro San Carlo, il Belvedere Carafa, il Museo ferroviario di Pietrarsa, il sito archeologico di Posillipo e la grotta di Seiano. Nei giorni del congresso è stata eletta Jinxiu Yan come presidente di ITA – AITES in rappresentanza della Cina, ed è la prima donna presidente dell’associazione. Giuseppe Lunardi è stato invece nominato vice presidente di ITA – AITES. È stata in ne scelta la città dove avrà luogo il congresso nel 2022, ovvero Cancun, in Messico. La prossima tappa invece sarà Kuala Lumpur per il WTC 2020, per poi passare il testimone a Copenaghen (Danimarca) nel 2021.
Le motivazioni della scelta di Napoli quale luogo ideale per il WTC 2019 Il convegno ha avuto come tema principale l’ingegneria delle gallerie e i metodi di scavo, trattando anche di geologia, geotecnica, architettura, arte e archeologia. La città di Napoli riassume tutti questi aspetti. A partire dalla strati cazione del suolo, composta da depositi piroclastici - tufo giallo e pozzolana (indici dell’intensa dell’attività vulcanica del vicino complesso egreo) - e da sabbie o sabbie limose di origine marina o uviallacustre, la s da ingegneristica nella città è piuttosto complessa. La maggior parte delle aree costiere
TRASPORTI & CULTURA N.53 della città derivano da boni che relativamente recenti (1400-1800) e la falda è relativamente vicina alla super cie del terreno. Le tecniche utilizzate per costruire gallerie nel sottosuolo napoletano sono molte e diversi cate e molto spesso di tipo particolare proprio a causa della conformazione del terreno. Un esempio molto particolare è l’“arti cial ground freezing”, usato ampiamente e con successo a Napoli per garantire stabilità e impermeabilità durante gli scavi sotto la falda freatica attraverso terreni granulari sciolti e tufo fratturato. Le tecniche innovative implementate nella costruzione della linea metropolitana di Napoli sono state quasi considerate degli esperimenti su vasta scala, rappresentando un’opportunità unica di raccolta di dati sul campo. Altra s da molto interessante, dal punto di vista ingegneristico, nel centro storico di Napoli è stata la costruzione di pozzi verticali per la metropolitana. È stato utilizzato un nuovo macchinario (recentemente sviluppato), chiamato “Vertical Shaft Sinking Machine” (VSM), capace di costruire in maniera sicura, controllata e veloce pozzi di diametro compreso tra 4,5 metri e 9,0 metri. La s da è stata vinta perché il monitoraggio degli edi ci circostanti il sito di costruzione hanno indicato degli spostamenti trascurabili (inferiori a 1 mm). La costruzione della nuova linea della metropolitana ha reso possibile il ripensamento approfondito del processo di progettazione in modo che l’ingegneria potesse essere allineata con l’architettura, integrando perfettamente le due con i metodi di costruzione, gli standard e la tecnologia. I lavori della metropolitana hanno quindi permesso di creare un allineamento tra l’ingegneria e l’architettura dove l’arte è diventata il lo conduttore dell’opera: la continua scoperta, nello scavo, di manufatti e resti di età precedenti ha trasformato l’opera in un importante lavoro che ha coinvolto quindi anche l’archeologia. La possibilità di conoscere la storia della città dalle sue origini al Medioevo ha spinto per la creazione di spazi museali archeologici all’interno delle stazioni. La tripla “A” rappresenta quindi un connubio tra archeologia, architettura e arte con l’ingegneria, creando un nuovo ambiente urbano che coinvolge l’intera città, dando un nuovo volto alle piazze del centro e della periferia. I lavori della nuova metropolitana infatti proseguono contemporaneamente agli scavi archeologici e all’esplorazione del labirinto di tunnel, serbatoi e cavità (costruiti pressoché nel periodo greco e romano) che nasconde la città nel sottosuolo. Le scoperte archeologiche che sono state fatte hanno permesso di ampliare la conoscenza di aree ed epoche non ancora pienamente note. Negli scavi sono stati trovati più di 3 milioni di manufatti e gli spazi museali delle stazioni daranno la possibilità ai futuri passeggeri della metropolitana di vedere alcuni dei manufatti (soprattutto quelli più grandi) una volta completati i lavori. La necessità di riprogettare le stazioni e la metropolitana con scopi museali ha portato ad un processo di vera trasformazione della città: dal riutilizzo degli spazi alla riorganizzazione delle corsie automobilistiche, dalla realizzazione di aree per giardini al rinnovamento urbano. La linea 1 della metropolitana rappresenta un progetto integrato: arte e architettura legate con un intreccio che migliora la qualità della vita nell’ambiente urbano. Ogni progetto urbano ha avuto un approccio diverso senza imporre requisiti in termini di età o stile. Si è deciso di migliorare la dimensione estetica dei grandi spazi urbani integrando alcune opere di
arti visive nell’architettura: sono stati chiamati diversi architetti (Aulenti, Blanca, De Moura, Mendini, Orlacchio, Siza, ecc.) per gli interni e sono state commissionate diverse opere d’arte contemporanea ad artisti campani per l’esterno.
1 - L’ing. Andrea Pigorini, presidente del SIG, insieme a Olivier Vion, presidente ITA-AITES e all’ ing. Renato Casale, presidente comitato organizzatore del WTC 2019.
Conclusioni A conclusione del WTC 2019 il presidente di SIG, Andrea Pigorini, ha espresso la sua soddisfazione per l’ottimo risultato del congresso: come emerso durante il convegno, è possibile collocare le infrastrutture e i servizi negli spazi sotterranei ma questo deve essere fatto nel rispetto dell’ambiente e delle culture del passato. Solo dal connubio tra ingegneria, architettura, arte e archeologia si può arrivare a questo risultato ottenendo delle opere che, oltre ad essere stabili e solide, sono belle. Il presidente del comitato organizzatore del WTC 2019, Renato Casale, ha osservato che il convegno ha rappresentato una grande opportunità di incontro e condivisone delle esperienze, discutendo di cultura, industria, progresso tecnologico, metodologie di scavo e ricerca. Durante il convegno è stato inoltre possibile discutere problemi e questioni aperte: dalle strategie future del settore, alla ristrutturazione degli spazi urbani per arrivare alla richiesta di infrastrutture sicure e durature. Allo stesso modo ha commentato il professore Daniele Peila del Politecnico di Torino, coordinatore del comitato scienti co del WTC 2019. L’aggregazione di molti professionisti del settore determina un dibattito pubblico e un dialogo che portano a soluzioni e conclusioni pro cue e condivise da molti. La conferenza ha inoltre reso possibile la creazione di reti di imprese, professionisti ed esperti per l’ampliamento delle conoscenze e del business. © Riproduzione riservata
Sitogra a www.wtc2019.com www.ita-aites.org www.societaitalianagallerie.it www.wtc2018.ae
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Sempre sulle corde, le funivie connettono di Laura Facchinelli
L’Alto Adige è la patria delle funivie: era l’anno 1908, ai tempi della monarchia asburgica, quando venne realizzata la prima funivia aerea di montagna del mondo, da Bolzano al Colle. Lo racconta Wittfrida Mitterer, direttrice del Curatorium per i Beni Tecnici Culturali di Bolzano, nel volume da lei curato Sempre sulle corde. Le funivie connettono (Athesia editrice, Bolzano 2018). Il volume è stato pubblicato in concomitanza con una mostra sul tema degli impianti a fune allestita nel Forte di Fortezza, nell’ambito della preziosa attività di conservazione e diffusione della conoscenza svolta dallo stesso Curatorium. I contributi, rmati da alcuni fra i maggiori esperti, raccontano la storia degli impianti a fune che – sviluppando la tecnologia delle teleferiche già usate per l’agricoltura ad alta quota e per i trasporti dei materiali nelle miniere – a partire da ne ‘800 consentirono un trasporto sicuro anche di persone. Lo sviluppo delle funivie è legato n dall’inizio alla rapida crescita del turismo di massa. Il citato primo impianto del 1908 era stato costruito da un albergatore di Bolzano che era proprietario anche di una trattoria sul Colle. L’idea fu subito apprezzata e ripresa con altri impianti analoghi. Luis e Josef Zuegg furono dei pionieri, che maturarono grande esperienza durante la prima guerra mondiale e successivamente realizzarono importanti impianti. I primi, rudimentali sostegni di legno furono ben presto sostituiti da più robusti elementi di metallo, e furono cambiate e via via rese più sicure e confortevoli anche le cabine. Negli anni Venti e Trenta del ‘900 le costruzioni funiviarie stimolarono gli architetti ad affrontare un nuovo compito progettuale, quello del costruire in montagna. Il saggio di Joachim Moroder e Horst Hambrusch pone in evidenza la Nordkettenbahn realizzata a Innsbruck, per la quale la città di Innsbruck indisse un concorso di architettura, che fu vinto da Franz Baumann. Questi progettò, prevedendo l’uso di legno e pietra locale, la stazione a valle, la stazione intermedia con hotel annesso e la stazione a monte, a 2.256 m di quota (la funivia venne aperta nel 1928). Dato il successo di quelle costruzioni, al tempo stesso innovative e in armonia col paesaggio alpino, l’architetto ottenne in seguito incarichi anche per strutture alberghiere, come quella – davvero splendida, con la sua struttura arcuata - sul monte Pana, in val Gardena. Negli anni Trenta fu molto attivo nella progettazione di alberghi alpini anche l’architetto Gio’ Ponti, che elaborò anche un complesso progetto di rete funiviaria fra Bolzano e Cortina, che si sarebbe dovuto estendere, con varie diramazioni, per 160 km. Dopo la seconda guerra gli impianti si moltiplicarono in tutto il Tirolo al servizio degli sport in-
Increasingly on the ropes, cableways connect by Laura Facchinelli The rst aerial tramway was built in 1908 from Bolzano to Colle, in the Alto Adige region. The story is told by Wittfrida Mitterer, director of the Curatorium for the Cultural and Technical Heritage of Bolzano, in the book she edited Sempre sulle corde. Le funivie connettono, published by Athesia. The development of aerial tramways was related from the very beginning to the rapid growth of mass tourism. In the 1920s and 1930s lift construction stimulated architects to address a new design problem, that of building in the mountains. After World War II, facilities for winter sports multiplied throughout the Tyrol through the present time, when we are witnessing a veritable assault on the landscape of the Dolomite mountains. Some sustain that the era of ropeways understood as a means for tourist transportation in the Alpine areas is heading towards its de nitive epilogue, due to its evident impact on the environment. The future of aerial tramways shifts to cities and metropolises which, all around the world, are being suffocated by growing automobile traffic, while public transportation by bus or rail is, in many cases, stretched to the limits. In some cities in South America, the introduction of aerial cable cars has proven to be a great success. The important thing is to adapt the cable car systems to each speci c environmental context, and that these processes become part of a project to integrate transportation into existing systems.
Nella pagina a anco, in alto: stazione a monte della funivia Nordkette, Innsbruck; in basso a sinistra: la funivia del colle, cartolina del 1908; in basso a destra Expo-Skyliner di Hannover. Le immagini che accompagnano questo articolo sono tratte dal volume Sempre sulle corde. Le funivie connettono, curato da Wittfrida Mitterer.
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1 - Cableway di Medellin, Colombia.
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vernali: sempre più veloci, sempre più in alto. Fra gli impianti funiviari più famosi, va citato Dolomiti Supersky che, con i suoi impianti di risalita e i 1.200 km di pista, è uno dei caroselli sciistici più grandi del mondo. Negli ultimi decenni non si sono più costruite funivie classiche con due cabine, una per senso di marcia, ma sempre più spesso cabinovie con una sola fune e tante cabine che girano costantemente in tondo, aumentando la capacità dell’impianto. La moltiplicazione degli impianti a fune ha determinato un vero e proprio assedio dei paesaggi dolomitici. Ma quanto potrà ancora espandersi il settore delle funivie in montagna? Heiner Monheim, nel suo saggio, sostiene che le funivie, intese come mezzo di trasporto turistico nelle aree alpine, stanno andando verso la ne: per ragioni di protezione dell’ambiente; perché il cambiamento climatico riduce l’innevamento e ci sono dei limiti ecologici alla produzione di neve arti ciale; perché gli sport invernali stanno diventando meno attrattivi. Pertanto, più che costruire nuove funivie, si sostituiscono e rinnovano gli impianti esistenti. La nuova s da è costituita dalle funivie urbane, come soluzione per i problemi di traffico. Alcune funivie storiche, non più in funzione mantengono comunque un interesse, pertanto meriterebbero di essere tutelate, affinchè resti possibile un’esperienza emotiva simile a quella che oggi si prova salendo su una locomotiva a vapore. Ernst Streule, partendo dall’esperienza svizzera, ri ette
in termini storici, economici e tecnici in quali modi sarebbe possibile il recupero di quelle funivie. Non si tratta di musealizzare un impianto, ma di mantenerlo in esercizio, all’interno di un programma regionale di turismo. E se per ogni impianto, ogni 20 o 30 anni, è necessario un rinnovamento tecnico ai ni della sicurezza, nel caso di funivie storiche di interesse culturale, questo rinnovamento potrebbe prevedere la sostituzione degli elementi tecnici, mantenendo però, il più possibile, la sostanza originaria. Un obiettivo, indubbiamente, di non facile attuazione. Il fattore estetico è sempre più importante, tanto che gli impianti funiviari, inizialmente progettati secondo modalità puramente funzionali, negli ultimi decenni sono stati contrassegnati da una ricerca sempre più evidente di un’architettura di qualità e di grande effetto, pertanto per progettare stazioni e tralicci sono stati chiamati architetti famosi. Nella ricca sequenza di immagini che rende interessante e piacevole il volume, c’è spazio per uno sguardo ravvicinato su alcuni elementi costitutivi degli impianti: funi, piloni, veicoli, edi ci. Interessante la serie dei collegamenti più signi cativi, fra montagna e pianura, scelti e ordinati dalla curatrice in senso cronologico. Dal complicato sistema di trasporto dei minerali nelle miniere della Val Ridanna (1871), alle storiche funicolari e cremagliere (inizio ‘900), alla citata prima funivia del Col-
TRASPORTI & CULTURA N.53 le (1908), rendendo merito a pionieri come Josef Riehl e i fratelli Zuegg, e gradualmente arrivando allo Skirama Plan de Corones (1963). Per ciascun impianto vengono documentate, anche per immagini, le trasformazioni attuate nel tempo, evidenziando il ruolo di aziende altoatesine come la bolzanina Leitner, azienda leader nella realizzazione di impianti funiviari, che anche negli anni recenti ha realizzato impianti importanti. Gli interventi del nuovo millennio partono dall’Expo-Skyliner Hannover (2000) e comprendono sia impianti montani (Monte Bianco Skyway 2015) che urbani (minimetro di Perugia, 2008, people mover di Venezia, 2013) no alla funivia di Berlino (2017).
Il futuro delle funivie è nelle città. Prime esperienze in Sud America Città e metropoli, in tutto il mondo, sono soffocate dal crescente traffico automobilistico, mentre il trasporto pubblico effettuato con bus e mezzi su rotaia, in molti casi, è al limite. In queste condizioni una funivia presenta molteplici vantaggi: niente sede di transito a terra, tempi stretti di realizzazione, notevoli prestazioni con bassissimi costi di esercizio. Anche se non mancano limiti (nel raggio d’azione, nel numero di fermate) e problemi (non ultima la resistenza dei proprietari dei terreni “sorvolati”). Le funivie urbane si stanno affermando nell’America del sud, in Asia, nelle aree nord-africane, mentre in Europa, nora, sono state realizzate solo funivie “occasionali”, legate ai grandi eventi. Pioniera nella costruzione di funivie urbane è stata Medellin, città colombiana con 4 milioni di abitanti. Qui la ditta Leitner ha realizzato la funivia “Metrocable”. Le linee in funzione sono quattro (la prima risale al 2004), mentre un’altra è in costruzione, e il biglietto costa appena 30 centesimi. L’amministrazione della città considera i progetti di funivie una misura socio-politica molto importante: infatti in questa città, che negli anni ’90 era considerata una delle più pericolose del mondo, dopo l’apertura della funivia si è registrato un netto calo dei delitti, e questo perché il nuovo mezzo consente di collegare i quartieri più poveri, vere e proprie favelas, che sono insediate sui ripidi pendii collinari. Nella città di La Paz, capitale della Bolivia, è in corso la realizzazione – a cura della ditta Doppelmayr - della più grande rete di funivie urbane esistente al mondo. Con un milione di abitanti, la città si sviluppa in collina intorno ai 3.500 metri di altitudine, con dislivelli no a 500 metri fra i quartieri. La prima tratta è stata aperta nel 2014; attualmente sono in funzione sei tratte e la rete, una volta ultimata, comprenderà 26 stazioni su una lunghezza di 30 km. L’impianto può trasportare 3.000 persone all’ora per direzione. I passeggeri possono completare l’intero percorso senza cambiare vettura e, grazie alle cabine vetrate, possono osservare il tto tessuto urbano che stanno sorvolando. Come precisa Wittfrida Mitterer, la funivia è un progetto di mobilità molto importante per la popolazione di questa città, che presenta strade tortuose e sempre congestionate dal traffico. Per le forti pendenze e la presenza di una tta rete di falde idriche, la tradizionale soluzione della ferrovia sot-
2 - La copertina del libro di Wittfrida Mitterer.
terranea non era proponibile sia dal punto di vista tecnico che da quello economico, e comunque la rete funiviaria, una volta ultimata, costerà meno di un quarto di una rete di metropolitana. Come nel caso di Medellin, anche a nella capitale boliviana la presenza di questo sistema di collegamento efficace e sicuro ha ridotto sensibilmente la criminalità. Il trasporto funiviario urbano presenta molte potenzialità per risolvere i problemi di trasporto urbano, soprattutto nelle metropoli con tratti collinari. L’importante è che le funivie vengano adattate, di volta in volta, alle particolari condizioni dell’ambiente, e che questa modalità entri a far parte di un progetto di trasporto aperto all’innovazione e integrato con i sistemi già esistenti. © Riproduzione riservata
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Venezia: ferrovie e grandi infrastrutture di Laura Facchinelli e Michelangelo Savino
I trasporti e le infrastrutture non sono determinanti solo per lo sviluppo economico, ma modellano la forma urbana e trasformano l’organizzazione complessiva della città e del territorio, la distribuzione delle funzioni, l’intensità e i percorsi dei ussi di merci e persone. Venezia e il suo territorio sono un esempio di questo radicale riassetto. L’Ateneo Veneto di Venezia ha dedicato a questo tema, nei mesi di marzo e aprile 2019, un ciclo di incontri intitolato Venezia. Ferrovia e grandi infrastrutture, organizzato dalla nostra rivista con il Gruppo di Studio Paesaggi Futuri e curato da Laura Facchinelli (direttore responsabile) e Michelangelo Savino (membro del Comitato Scienti co). Il leit-motiv dei quattro incontri è stato quello che, da sempre, ispira la nostra rivista e che vuole rimarcare il ruolo centrale dei trasporti nella vita quotidiana ma anche evidenziare che l’innovazione tecnologica che incessantemente modi ca le caratteristiche di veicoli e servizi, che a loro volta modi cano le forme di spostamento, le condizioni e la qualità della vita dei cittadini. I trasporti richiedono infrastrutture – binari e stazioni ferroviarie, autostrade, porti, aeroporti –, occupano spazi che nel tempo di dilatano e si contraggono, spesso si incastonano nel tessuto urbano in modo con ittuale; altre volte si compongono armoniosamente con la struttura urbana; sempre determinano impatti sul territorio che lentamente vengono metabolizzati. In un modo o nell’altro, il rapporto spaziale che si sviluppa risulta decisivo. È questa una delle principali ragioni per cui infrastrutture e trasporti richiedono una progettazione attenta, conciliando i requisiti tecnici con le esigenze economiche ma anche con la riduzione degli impatti ambientali, massimizzando i bene ci sociali e l’interesse collettivo. Non si tratta solo di costruire in chiave ecologica (ridurre l’inquinamento, la congestione, i rischi per la salute ecc.), ma anche di inserire attrezzature e servizi con attenzione nel paesaggio, pensando al presente ma anche al futuro. Pertanto i trasporti, nella loro evoluzione, inducono a riprogettare città e territori; sono legati strettamente all’evoluzione della società nel suo insieme e alla vita dei singoli. I trasporti non si risolvono, quindi, solo in una questione tecnica, in una questione funzionale. E non possono essere solo esito di un calcolo economico, ma investono anche ragioni e modi dello sviluppo urbano, dell’evoluzione sociale, della dimensione personale e psicologica, i rapporti familiari e le relazioni sociali.
Venice: Railroads and major infrastructure
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by Laura Facchinelli and Michelangelo Savino The article summarizes the goals and results of a cycle of meetings coordinated by Laura Facchinelli and Michelangelo Savino for the Ateneo Veneto, dedicated to Venice, the Veneto region and the decisive role of infrastructure in the profound transformations of cities and territories over the past century. These meetings have focused on: 1) the transformations that took place in Venice in the midnineteenth century with the construction of the railroad, which not only introduced new functions but also initiated a radical reorganization of the urban structure; 2) the devastating organization of the city on the mainland of Venice under the in uence of the railroad network, and that could become a guiding element for a different urban scenario within a sustainable post-industrial perspective; 3) the relations between Venice and the surrounding region, exempli ed by the mountains in Belluno, where the lack of infrastructure strategies and short-term planning policies have been prejudicial to development and created problems that have yet to be resolved; 4) the role of infrastructure in ensuring Venice’s relations with the rest of the world, not just in terms of tourist accessibility, but in terms of Venice’s strategic position within the global networks and the revitalization of its role as a city and economic centre.
Nella pagina a anco, in alto: piazzale della stazione ferroviaria di Venezia S. Lucia; in basso: una nave da crociera transita nel bacino di San Marco. Foto di Laura Facchinelli.
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1 – Venezia, le trasformazioni da metà Ottocento con l’arrivo della ferrovia
1 - La stazione di Venezia Santa Lucia inaugurata nel 1866 e rimasta in funzione no al 1940. 2 - Foto storica del ponte stradale per il collegamento con la terraferma, inaugurato nel 1933.
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I trasporti sono altresì legati alla cultura, sotto molteplici punti di vista: Ingegneria, Architettura, Urbanistica, Economia, Sociologia, Psicologia, Arti sono soltanto alcune delle discipline che entrano in gioco e che si rendono necessarie per comprendere i legami tra società, territorio e trasporti, le reciproche in uenze, le conseguenze. L’intento che ha ispirato e guidato l’organizzazione di questi incontri è stato proprio quello di sottolineare queste connessioni e di promuovere questa “diversa” consapevolezza prendendo in considerazione Venezia e il Veneto. I primi tre incontri - legati dal lo conduttore Venezia. Ferrovie, sviluppo, società – hanno analizzato la relazione di Venezia con la ferrovia. Il quarto incontro, coordinato e condotto da Paolo Costa, è stato invece aperto agli scenari internazionali e al ruolo delle grandi infrastrutture nella globalizzazione, volendo evidenziare come i trasporti risultino determinanti (e per Venezia in particolare) ancora oggi (nell’epoca dell’immateriale e delle reti virtuali) per costruire scenari di sviluppo di grande respiro. Le Infrastrutture per connettersi col mondo (titolo dell’incontro) non hanno la sola funzione di connettere, lanciando lo sguardo alle grandi direttici planetarie, ma diventano una strategia per rilanciare il ruolo internazionale di Venezia, pensando al futuro.
Il primo incontro è stato dedicato all’arrivo della ferrovia a Venezia e alle conseguenze sulla città. Nell’immaginario collettivo la città di Venezia è rimasta invariata nel corso dei secoli: in realtà il tessuto urbano ha subito grandi mutamenti, soprattutto a partire dall’800, quando la stazione va ad inserirsi in modo dirompente nel settore nordorientale della città dietro la chiesa di Santa Lucia. Laura Facchinelli, ricostruendo i 25 anni che, a metà ’800, cambiarono le sorti di Venezia, ha ripercorso i progetti e dibattiti che dal 1841, anno d’inizio dei lavori del ponte ferroviario translagunare e della tratta di ferrovia da Marghera a Padova, hanno condotto al 1846, quando il ponte venne aperto all’esercizio e la prima stazione venne aperta. Seguì la demolizione di tutti gli edi ci che si affacciavano sul Canal Grande ad ovest della chiesa di Santa Maria di Nazareth per fare spazio alla stazione de nitiva, che venne inaugurata nel 1866. Ne risultò una radicale trasformazione della zona estrema di Cannaregio, dapprima e poi progressivamente un ribaltamento di prospettiva per la città, dal mare alla terraferma. La presenza della stazione ferroviaria portò ad un incisivo processo di trasformazione urbana, con la creazione di un percorso pedonale più ampio dalla stazione a Rialto, la costruzione di due ponti in ferro per l’attraversamento del Canal Grande, la messa a punto di progetti per avvicinare il punto di approdo delle navi alla ferrovia, progetti che si concluderanno, intorno al 1880, con il trasferimento del porto in un luogo raggiungibile con i binari e la creazione di nuovi insediamenti produttivi. La ferrovia è stata pertanto punto di partenza di un nuovo assetto urbano. Dei processi che si veri carono nella città lagunare nella seconda metà dell’800 ha parlato il prof. Guido Zucconi dell’Università IUAV di Venezia nella sua relazione L’Ottocento: l’età della trasformazione e dell’omologazione, sottolineando come il dibattito che accompagnò le trasformazioni urbanistiche della città ne alterarono la struttura peculiare ed unica in un tentativo di modernizzazione che ha assunto spesso il carattere di normalizzazione di Venezia, di “omologazione” appunto alle città di terraferma, negandone la sua originale natura an bia. L’arch. Riccardo Domenichini, architetto, ha invece illustrato le fasi successive di questo processo nel secolo breve mostrando “come nei primi decenni del Novecento con una serie di interventi sia edilizi sia sui percorsi conseguenti allo sviluppo della testa di ponte insulare ha luogo un processo che porta in tempi relativamente brevi a una profonda ristrutturazione degli equilibri urbani. Mentre il Bacino di San Marco perde completamente il ruolo di porto della città e tutta l’area verso i Giardini e il Lido si caratterizza sempre più in funzione della vocazione turistica, con lo sviluppo della testa di ponte a ovest e la rete di collegamenti fra questa e il centro città quella che era un’area del tutto periferica assume un ruolo centrale nel momento in cui si istituisce e si rafforza l’asse di collegamento con la terraferma”. La ferrovia si risolve, quindi, in uno dei fattori decisivi del cambiamento della struttura sica, sociale ed economica della città lagunare che affronta la volta del secolo e il nuovo millennio.
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2 – Stazioni ferroviarie veneziane: Venezia, Mestre e le altre Nell’immediato entroterra veneziano, ferrovia e stazione sconvolgono la plurisecolare matrice territoriale e soprattutto impongono una diversa e nuova organizzazione del sistema insediativo. Lo sguardo si sposta su Mestre, Marghera e su quella conurbazione che si estenderà vieppiù verso ovest e nord negando nel loro sviluppo i precedenti insediamenti. La stazione impone un nuovo orientamento all’abitato storico di Mestre: la nuova griglia urbana guida lo sviluppo in direzione nord-sud (dal cuore storico di Mestre verso lo scalo ferroviario e le aree produttive limitrofe), una maglia che progressivamente si riempie di attività e funzioni. La rapida costruzione di Porto Marghera e della città-giardino rafforza questa direttrice ma anche il legame funzionale di Mestre con la zona industriale, stabilendone ineluttabilmente il destino di quartiere residenziale al servizio della fabbrica. La ferrovia condiziona la realtà urbana: i fasci di binari diventano barriere e producono luoghi di degrado, una complessiva bassa qualità urbana che oggi rappresenta una delle questioni più urgenti che la città si trova ad affrontare. Ma la ferrovia può divenire anche occasione di riscatto e riorganizzazione, come lascerebbero presupporre i progetti delle nuove “Porte” che ai bordi della conurbazione mestrina si offrono come punti di interscambio modale, ma soprattutto come fattori di riorganizzazione dell’area metropolitana e del sistema insediativo “disperso” in cui è andato trasfornandosi il sistema urbano veneziano. Un quadro non insolito, comune a molte realtà urbane italiane e non solo, che richiede oggi un impegno progettuale energico ma soprattutto innovativo, come ha sostenuto l’arch. Anna Buzzacchi, presidente dell’OAPPC di Venezia e della FOAV del Veneto, perché le stazioni tornano oggi a rappresentare un polo urbano strategico, in un quadro di profonda innovazione tecnologica del trasporto ferroviario. Questo impone allora che la stazione venga concepita non più come un luo-
3 - Primo piano di Michelangelo Savino durante il convegno all’Ateneo Veneto.
go di sosta e carico e scarico, ma piuttosto quale strategica polarità urbana, quella “porta urbana” fortemente connessa, accogliente, funzionale e capace di offrire servizi anche diversi da quelli connessi al trasporto; ma deve essere anche progettata con cura, e deve essere circondata da spazi pubblici pregevoli, da cortine di edi ci che producano un’elevatissima qualità ambientale. Oggi la progettazione della stazione ferroviaria diventa opportunità di una più generale e pervasiva rigenerazione urbana. Il dott. Danilo Gerotto, responsabile della Direzione Sviluppo del Territorio e Città sostenibile del Comune di Venezia, ha confortato questa prospettiva presentando i progetti in corso proprio a Mestre, per la riquali cazione della stazione ferroviaria e la rigenerazione della zona limitrofa, esaltando le forme di connessione che permetteranno in un prossimo futuro di rimediare alla frattura che ancora oggi separa (e segrega) Marghera da Mestre. La mobilità diventa quindi opportunità per ricucire e favorire una maggiore integrazione, ma anche dare nuovo senso ai luoghi della città, sviluppare nuove funzioni che possano contribuire ad un rilancio del sistema urbano, e, in una prospettiva sostenibile, ad una sua riquali cazione ambientale.
4 - I relatori del quarto incontro all’Ateneo Veneto: da sinistra Giulio De Carli, Paolo Costa e Stefano Soriani.
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5 - Esterno della stazione di Venezia Mestre.
Ma questa realtà presenta anche alcuni coni d’ombra, ha sottolineato il dott. Giovanni Seno, Direttore Generale del Gruppo AVM di Venezia. Se l’aspetto più innovativo della mobilità contemporanea è indubbiamente l’integrazione intermodale – più che la tecnologia spinta che contraddistingue i settori del trasporto su ferro, o su gomma o su acqua –, bisogna però anche sottolineare che questa appare oggi una frontiera ancora lontana da raggiungere. Non si tratta infatti di costruire sistemi di trasporto sempre più veloci e moderni, quanto di riuscire ad incidere sui comportamenti dei singoli e delle famiglie, che – in Italia in particolar modo – sembrano mostrare ancora molta resistenza ad affidarsi esclusivamente al trasporto pubblico.
3 – Venezia e la sua montagna: il ruolo della ferrovia e della strada nelle relazioni con il Bellunese Dopo l’entroterra, nel terzo incontro, lo sguardo si è spinto oltre, verso il territorio regionale e soprattutto verso la montagna veneta, che per Venezia ha rappresentato qualcosa di più di una delle “province dell’Impero”. Tra la città lagunare e il Bellunese, infatti, è esistita una relazione fortissima nel corso del tempo: Venezia affonda le sue radici nel Cadore, si potrebbe affermare ricordando come i tronchi del Cansiglio e dell’Alpago abbiano permesso l’edi cazione di questa città an bia. Ma la regione del Bellunese era anche passaggio strategico per le merci veneziane che si dirigevano verso i paesi nordici e cerniera strategica per la difesa dei domini della Serenissima dalle truppe imperiali, costante minaccia. Elemento di questo particolare connubio tra la capitale e il Bellunese è anche il singolare sistema di collegamenti che li unisce, strategicamente basato sull’acqua, attraverso il Piave ed i suoi immissari i cui utti spingono tronchi e “zattieri” dalle vette montane no alla laguna. Un sistema di connessioni che, nella sua evoluzione, invece di rafforzare il legame lo allenta, lo spezza. Lo ha raccontato il dott. Marco Perale, storico e attualmente Assessore alla cultura del Comune di Belluno, nella sua ricostruzione storica delle relazioni tra la laguna e la sua montagna, sottolineando come nella storia dei sistemi dei trasporti sia possibile riconoscere cause e ragioni del ritardo economico e del mancato sviluppo dell’area bellunese. Non tanto il declino economico della città madre, quanto l’obsolescenza di una modalità di trasporto multisecolare spingono verso un radi108
cale mutamento del sistema di comunicazione. La caduta della Serenissima ed il suo inglobamento nell’impero asburgico decidono, però, i destini del Bellunese: non più strategica terra di frontiera, il sistema di strade che avrebbe dovuto compensare il declino del trasporto su acqua non viene realizzato, completato o modernizzato; così come una certa miopia imprenditoriale impedisce la costruzione di una ferrovia che da Venezia attraverso il Bellunese garantisca il collegamento con il Nord Europa, rendendolo sempre più marginale no alla realizzazione della ferrovia del Brennero che lo isolerà sempre più rispetto ai grandi ussi di merci e persone. Il ritardo nel potenziamento del sistema stradale, l’incompleta realizzazione dell’autostrada A27 e la progressiva chiusura delle linee ferroviarie ormai secondarie presenti nell’area bellunese, incidono quindi sullo sviluppo economico così come oggi sembrano limitare il pieno sfruttamento delle grandi potenzialità turistiche del territorio. Il prof. Marco Pasetto, docente di Strade, ferrovie, aeroporti dell’Università di Padova, ha condotto l’attenzione su due aspetti che appaiono oggi decisivi per lo sviluppo delle aree montane, attraverso nuovi tracciati ferroviari alpini: - innanzitutto la necessità di connettere i territori attraverso sistemi che possano avere elevata efficienza ma bassi impatti ambientali, che sappiano quindi rompere isolamento e marginalità di questi territori ma nel pieno rispetto dell’ambiente; - quindi, attraverso una sapiente progettazione tecnica ed un’appropriata piani cazione territoriale, occorre cercare di restituire a questi territori montani (in Europa in una posizione strategica internazionale) un ruolo importante, assicurando che questi corridoi (dove corrono treni spesso ad alta velocità e ad alta capacità di merci e persone) permettano non solo di “attraversare” queste aree quanto piuttosto inserirle in un sistema di relazioni territoriali, offrendo opportunità di sviluppo. Ancora una volta, le infrastrutture, ed in una prospettiva sostenibile soprattutto le ferrovie, possono concorrere a costruire un diverso futuro.
4 – Venezia, infrastrutture per connettersi col mondo In un mondo in cui le relazioni appaiono ormai senza con ni né limiti, un mondo in cui il ruolo delle connessioni internazionali ed intercontinentali è strategico per lo sviluppo sociale ed economico, Venezia ed il Veneto devono saper formulare una prospettiva in termini di sistema di collegamenti sulle grandi direttici, con particolare attenzione per il sistema portuale e per quello aeroportuale, hub infrastrutturali divenuti ormai imprescindibili per una maggiore competitività dei sistemi territoriali. Nel convegno dedicato alle prospettive di sviluppo per la città di Venezia, ha iniziato Paolo Costa, già docente dell’Università Ca’ Foscari e Presidente della Commissione Trasporti al Parlamento Europeo che ha sottolineato come ci siano due modi di vedere Venezia dall’esterno: c’è la Venezia “storica” e c’è Venezia “nodo urbano”, uno degli 88 nodi urbani dell’Europa. Di ri esso, ci sono due atteggiamenti psicologici: da un lato piangere sulla Venezia che muore, dall’altro sperare nella sua
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trasformazione. E Venezia sembra avere due destini: il primo, l’attrattività turistica, oggi dimensione praticamente esclusiva; il secondo, l’opportunità di ricollocarsi nelle reti globali, puntando su accessibilità e re-routing, potenziando strategicamente aeroporto e porto. Questo vuol dire una base economica che possa affrancare la città dalla monocultura turistica. Venezia è considerata un nodo europeo di 300.000 abitanti ma che tenendo conto dei ussi che la interessano raggiunge una dimensione di 5 milioni di abitanti (alla stregua di altri importanti nodi internazionali vicini come Bologna, Milano, Monaco di Baviera, Lubiana). Per trasformarla in un sistema competitivo occorre, però, costruire un piano di sviluppo. Valorizzando la sua qualità di nodo portuale, aeroportuale, di testa di un’idrovia e di terminale di un sistema integrato strada-ferrovia (fattori strategici riconosciuti più all’esterno che al proprio interno) Venezia potrebbe trasformarsi in uno dei nodi europei più importanti. Ma per tutto questo, si rende necessario un organismo capace di gestire il processo; occorrono istituzioni capaci di una visione, occorre stabilità e cooperazione tra tutti gli attori del sistema territoriale. Giulio De Carli, Managing Partner di One Works, nel merito, ha parlato delle potenzialità che la struttura aeroportuale veneziana possiede. Nel 2006 è stato approvato il masterplan dell’aeroporto di Venezia Tessera con diversi progetti di potenziamento dello scalo. E gli effetti si sono manifestati quasi subito, dato che per il periodo 20092015 il Piano Nazionale Aeroporti, ha riconosciuto Venezia come terzo aeroporto nazionale suggerendo un ulteriore potenziamento. L’aeroporto di Venezia ha avuto, nel 2018, 11 milioni di passeggeri, ma la sua capacità potrebbe permettere di raggiungere i 18 milioni di transiti. Due le condizioni, però: spazio adeguato per lo sviluppo infrastrutturale e collegamenti dell’aeroporto col territorio. Se nel primo caso sono già in corso i lavori per l’ampliamento del terminal, che si concluderà nel 2025, nel secondo non si possono nascondere le difficoltà per la realizzazione di una connessione ferroviaria che renda efficiente, funzionale e sostenibile l’integrazione dello scalo nel più vasto sistema territoriale del Nord Est. La ferrovia si mostra oggi come il vero fattore determinante della crescita dello hub per moltiplicare i suoi effetti sociali ed economici a scala vasta. L’incontro si è concluso con l’analisi di Stefano Soriani, docente di Geogra a economico-politica
presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia. “Se l’aeroporto ha un futuro radioso, diversa è la situazione per il porto. I porti con gurano la geogra a mondiale, sono linfa vitale del processo di globalizzazione, ma sono strutture complesse da gestire”, soprattutto in una difficile fase di transizione in corso in questi ultimi anni. Tre sono gli elementi in gioco: - i porti sono di nuovo attrattori per le produttività industriali quali cate, e questo elemento modi ca il rapporto porto-città; - i porti stanno diventando cluster di infrastrutture, orchestrazione di network; - i porti diventano strategici nella riorganizzazione delle rotte commerciali, con il potenziamento delle relazioni col nord Africa e l’incredibile crescita del traffico containerizzato tra Estremo Oriente e Unione Europea (Via della Seta).
6 - Terminal dell’aeroporto di Venezia Marco Polo (da Wikipedia).
Il porto di Venezia ha un’ottima localizzazione, ma è posto dentro la laguna e questo comporta alcune oggettive difficoltà alla sua crescita a cui potrebbe ovviare forse una visione innovativa, presupponendo però che per Venezia il porto è ancora una delle leve fondamentali dello sviluppo. Una visione strategica che tenga in conto questa risorsa oggi è urgente. Il futuro è asiatico, ha concluso Paolo Costa, dobbiamo prenderne atto: riconoscendo le risorse a disposizione, dobbiamo semplicemente trovare il modo migliore di organizzarci, costruendo scenari di ampio respiro e di medio-lungo periodo e a grande scala. Piuttosto che consumare il tempo (altra risorsa preziosa) in futili discussioni “opera per opera” sarebbe necessario, per il nostro futuro, ri ettere attentamente su quali infrastrutture si rendono oggi effettivamente imprescindibili per Venezia, per l’Italia. © Riproduzione riservata
Nella pagina seguente: lungo il percorso del minimetrò di Perugia (foto di Laura Facchinelli).
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Autori Stefano Maggi – Prof. Ordinario di Storia Contemporanea, Università di Siena Marco Pasetto - Prof. Ordinario di Strade Ferrovie e Aeroporti, DICEA, Università di Padova Giovanni Giacomello - Ingegnere PhD, DICEA, Università di Padova Andrea Spinosa – Libero professionista esperto in infrastrutture e piani cazione dei trasporti. Giuseppe Mazzeo - Ricercatore, Istituto di Studi sul Mediterraneo, Consiglio Nazionale delle Ricerche (ISMedCNR), Napoli Carmela Fedele - Architetto, già dirigente del Comune di Napoli. Rita Finzi – Presidente Marconi Express, Bologna Alfonso Annunziata - Dipartimento di Ingegneria Civile, Ambientale ed Architettura, Università degli studi di Cagliari Giuseppe Fiori - Ingegnere Civile-Trasporti, libero professionista Francesco Annunziata - Dipartimento di Ingegneria Civile, Ambientale ed Architettura, Università degli studi di Cagliari
Claudio Meninno. Architetto, Assegnista di Ricerca Dipartimento Ingegneria e Architettura, Università di Trieste Adriano Venudo. Architetto, Ricercatore Dipartimento Ingegneria e Architettura Università di Trieste Salvo Bordonaro - Geologo, storico dei trasporti ferroviari Federico Antoniazzi – Esperto di Infrastrutture e Trasporti, Washington DC Sara Gerometta – Graphic designer, Venezia Elodie Manceau – Geographer, UMR Géographie-Cités, Paris Mirco Modolo – Funzionario archivista, Archivio centrale dello Stato (Mibac), Roma Tito Berti Nulli – Società Sintagma SrL Michelangelo Savino - Prof. Ordinario di Tecnica e Piani cazione urbanistica, DICEA, Università di Padova
Questo numero della rivista è stato curato da Stefano Maggi, Prof. Ordinario di Storia contemporanea, Università di Siena, e Michelangelo Savino, Prof. Ordinario di Tecnica e Piani cazione urbanistica, DICEA, Università di Padova.
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