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ALTA VELOCITÀ INGEGNERIA E PAESAGGIO 1
In copertina: Stazione Mediopadana Reggio Emilia, progetto di Santiago Calatrava. Foto Kai-Uwe Schulte-Bunert, fornita dal Comune di Reggio Emilia.
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67 NON SOLO ALTA VELOCITÁ: ESIGENZE E PROGRAMMI PER IL SERVIZIO FERROVIARIO REGIONALE
Rivista quadrimestrale settembre-dicembre 2013 anno XIII, numero 37 Direttore responsabile Laura Facchinelli
5 ALTA VELOCITÁ, INGEGNERIA E PAESAGGIO di Laura Facchinelli
Direzione e redazione Cannaregio 1980 – 30121 Venezia Via Venti Settembre 30/A – 37129 Verona e-mail: info@trasportiecultura.net laura.facchinelli@alice.it per invio materiale: casella postale n. 40 ufficio postale Venezia 12, S. Croce 511 – 30125 Venezia
7 LE GRANDI DIRETTRICI EUROPEE PER L’ALTA VELOCITÁ FERROVIARIA di Marco Pasetto e Stefano Damiano Barbati
17 ALTA VELOCITÁ-ALTA CAPACITÁ, IL PUNTO DI VISTA DI UN ESPERTO di Carmelo Abbadessa
Comitato Scientifico Giuseppe Goisis Prof. Ord. di Filosofia Politica, Università Ca’ Foscari, Venezia Cristiana Mazzoni Parigi - Prof. HDR, Ecole Nationale Supérieure d’Architecture, Strasburg Marco Pasetto Prof. Ord. di Strade, ferrovie e aeroporti, Università di Padova Franco Purini Prof. Ord. di Composizione Architettonica, Università La Sapienza, Roma Enzo Siviero Prof. Ord. di Tecnica delle costruzioni, Università IUAV, Venezia Maria Cristina Treu Prof. Ord. di Urbanistica, Politecnico di Milano La rivista è sottoposta a referee Traduzioni in lingua inglese di Olga Barmine La rivista è pubblicata on-line nel sito www.trasportiecultura.net 2013 © Laura Facchinelli Norme per il copyright: v. ultima pagina Editore: Laura Facchinelli C.F. FCC LRA 50P66 L736S Pubblicato a Venezia nel mese di dicembre 2013 Autorizzazione del Tribunale di Verona n. 1443 del 11/5/2001
ISSN 2280-3998
21 PROBLEMATICHE DELLE OPERE D’ARTE NELLA RICLASSIFICAZIONE DELLE LINEE AD ALTA VELOCITÁALTA CAPACITÁ
di Stefano Damiano Barbati
73 SUCCESSI E CRITICITÀ DELL’ALTA VELOCITÀ. UN CONFRONTO FRA PARIGI E SHANGHAI SU SOSTENIBILITÀ E IMPATTO AMBIENTALE di Cristiana Mazzoni e Fan Lang
79 GRAND VITESSE, APPROCCI E PROSPETTIVE DELLA RICERCA IN FRANCIA E IN ITALIA di Gabriella Trotta Brambilla
83 IL SISTEMA DELL’ALTA VELOCITA E I NUOVI TERMINAL IN SPAGNA di Oriana Giovinazzi
di Claudio Modena, Carlo Pellegrino, Giovanni Tecchio, Mariano Angelo Zanini
27 LE RADICI DEL “PROBLEMA VAL DI SUSA” intervista a Mario Virano a cura di Laura Facchinelli
35 L’ALTA VELOCITÁ IN ITALIA, UN VILIPENDIO ALLA VENUSTAS di Enzo Siviero
39 INTERVENTO DI MITIGAZIONE AMBIENTALE NELLA VALLE DEL SAN PELLEGRINO PER LA TRATTA ALTA VELOCITÁ FIRENZE-BOLOGNA di Riccardo Renzi
43 ALTA VELOCITÁ IN ITALIA, LE STAZIONI di Alessia Ferrarini
49 LA NUOVA STAZIONE SOTTERRANEA DI BOLOGNA di Giovanni Giacomello
55 LA GALLERIA DI BASE DEL BRENNERO di Konrad Bergmeister
61 NAPOLI, INTEGRAZIONE DELL’ ALTA VELOCITÁ CON GLI ALTRI SISTEMI DI TRASPORTO di Vincenzo Torrieri e Deborah Sanzari
89 PAESAGGIO E SCRITTURA. IL PREMIO LETTERARIO PAESAGGI FUTURI di Laura Facchinelli
93 ALTRA MUSICA, ALTRO SPAZIO intervista a Ivan Fedele a cura di Laura Facchinelli
99 VIAGGIO NELL’UOMO PER UN NUOVO UMANESIMO ECOSOFICO, DOVERI DI CUSTODIA E STRUMENTI DI DIFESA DELL’AMBIENTE di Claudio Maruzzi
105 ANGIOLO MAZZONI IN TOSCANA di Milva Giacomelli
111 ALTA VELOCITÁ/ALTA CAPACITÁ, OCCASIONE SFRUTTATA OD OCCASIONE PERDUTA? RIFLESSIONI PER UNA GIORNATA DI STUDIO di Marco Pasetto
ALCUNI EFFETTI DELL’ ALTA VELOCITÁ FERROVIARIA NELL’AREA METROPOLITANA PADANA di Giulio Maternini
LINEE FERROVIARIE A CONFRONTO: LA STORICA DEL FREJUS E IL NUOVO COLLEGAMENTO TORINO-LIONE di Pasquale Cialdini
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High-speed rail, engineering in the landscape by Laura Facchinelli
There is never enough discussion about railways. Because railways should constitute the backbone of all connections, for the mobility of people and the transportation of goods. Whereas there is a real prevalence of road traffic, both automobiles and lorries, which is obvious to everyone. This is the legacy of post-war policies, which clearly favoured highways in their public works programmes, and offered significant incentives to the automobile industry. There is never enough discussion about railways because trains are the fastest, safest and most environmentally sound means of transportation, as well as the most comfortable, and in the final analysis, the most economic. Of course not all railroads are equal. And not all citizens are equal for railroad service managers. It is a well-known fact that, while high-speed long-distance service aims for quality (because it is considered a “superior” service: costly and profitable), regional service (low cost, and governmentfunded) is mediocre and unreliable. This is why people prefer to use their cars when they can. This having been said, a High-speed railway network is essential for a modern country. This monograph issue will provide an overview of the construction of the High-speed network in Italy, within the framework of the great European transportation corridors. We will show that building a new High-speed railway network is not a whim (though many think it is!) but a necessity, to increase the potential of railway lines by “specializing” them: slow traffic on the historic tracks, High-speed service on the new ones. Though construction is slowly progressing, there are some criticalities and obstacles along the way. Among the criticalities, we examine a project for the mitigation of the environmental impact on land lacerated by the High-speed railway through the Mugello (the theme of environmental destruction deserves to be examined objectively and rigorously). Among the obstacles, is the tenacious and violent public opposition that has far overstepped the boundaries of the law, and is slowing down construction on the Turin-Lyon line and the long tunnel in the Val di Susa. In an interview with the director of the Observatory, we examine the errors that have led to this situation, but we also take a look, step by step, at the progressive decline of the infrastructure planning effort, from the idealism of the 1960s and 70s to today’s commonplace repetitive forms. Our country, with its splendid harmony between nature and landscape, has suffered lasting destruction, to which most people remain indifferent. Constancy and determination, on the other hand, distinguish the realization of the new Brenner Pass line with its Base Tunnel: this is a major work along a fundamental axis for connections to central and northern Europe. High-speed also means stations, and hence architecture, as well as important urban nodes for mobility and commerce. A survey of new Italian stations, with a focus dedicated to the underground station in Bologna, is followed by an account of the stations built in Spain. Another international comparative analysis focuses on Paris and Shanghai, metropolises that have dealt with the issue of High-speed railways thanks to a collaboration agreement with their relative ministries, and turned their attention to a serious and urgent issue: sustainability and environmental impact. The Culture section opens with an account of the new initiative promoted by our magazine: the Paesaggi Futuri Literary Award. The objective is to discover the landscape as it is interpreted by writers. On the occasion of the awards ceremony, a conference has been organized entitled “Landscape and Psyche”, which will open a new chapter in the exploration of the bond between the places that we live in, with their beauty or their disharmony, and our state of mind. We are also interested in listening not only to writers, but to the figures who express themselves in other Arts as well. We present an interview with the director of the Music Biennale, which dedicated the most recent edition to contemporary composers and their sense of space, and hence their relationship with place. This issue of the magazine was edited by Prof. Marco Pasetto, of the Department of Civil, Environmental and Architectural Engineering of the University of Padua, which will organize a conference on the same theme.
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Alta Velocità, ingegneria e paesaggio di Laura Facchinelli
Di ferrovia, non si parla mai abbastanza. Perché la ferrovia dovrebbe costituire la spina dorsale dei collegamenti, sia per la mobilità delle persone che per il trasporto delle merci. Invece, come ben sappiamo, prevale nettamente la circolazione dei veicoli stradali, sia automobili che tir. È il retaggio di scelte compiute nel secondo dopoguerra, quando fra le opere pubbliche prevalsero nettamente le autostrade, e contemporaneamente si incentivò l’industria automobilistica. Non si parla mai abbastanza di ferrovia perché il treno è il mezzo più veloce, più sicuro e rispettoso dell’ambiente, ma anche più comodo e, in ultima analisi, più economico. Certo che le ferrovie non sono tutte uguali. E non tutti i cittadini sono uguali per chi gestisce il servizio ferroviario: è risaputo infatti che, se il servizio veloce sulle lunghe distanze punta sulla qualità (dato che si tratta di un servizio “pregiato”: costoso e remunerativo), il servizio regionale (low cost, finanziato dallo Stato) è scadente e poco affidabile. E proprio per questa ragione, chi può preferisce l’automobile. Fatte queste precisazioni, per un paese moderno è fondamentale dotarsi di una rete ferroviaria ad Alta Velocità. In questo numero monografico facciamo il punto della realizzazione della rete ad Alta Velocità nel nostro paese, inquadrandola nel disegno delle grandi direttici europee. Precisando che realizzare una nuova rete ferroviaria veloce non è un capriccio (sono in molti a pensarlo!), ma una necessità, per aumentare la potenzialità delle linee, grazie a una “specializzazione” delle stesse: traffico lento sulle linee storiche, servizio veloce sulle linee nuove. Se i lavori, lentamente, ma procedono, ci sono però criticità e ostacoli. Fra le criticità, esaminiamo un intervento di mitigazione ambientale su un terreno lacerato dagli interventi dell’Alta Velocità nel Mugello (è un tema, quello dei danni ambientali e paesaggistici, che meriterebbe di essere esaminato con obiettività e rigore). Fra gli ostacoli, è sotto gli occhi di tutti l’opposizione tenace, violenta, ben oltre i limiti della legalità, che sta rallentando i lavori in Val di Susa per la costruzione del tratto Torino-Lione con la lunga galleria. In un’intervista al responsabile dell’Osservatorio riesaminiamo gli errori che sono alla radice di questa situazione, ma anche ripercorriamo, passo passo, il progressivo depauperamento dell’impegno progettuale in tema di infrastrutture: dalle idealità degli anni Sessanta-Settanta del ‘900 alle odierne forme ripetitive e banali. Il nostro paese, splendido per l’armonia fra natura e paesaggio, ha subito continui oltraggi, nella generale indifferenza. Procede, invece, con costanza e determinazione, la realizzazione della nuova linea del Brennero con la Galleria di Base: è un’opera di grande impegno lungo un asse fondamentale per i collegamenti col centro e nord Europa. Alta Velocità vuol dire anche stazioni, e quindi architetture, ma anche grandi nodi urbani della mobilità e del commercio. A una panoramica sulle nuove stazioni italiane, con un primo piano dedicato a quella sotterranea di Bologna, segue un resoconto sulle stazioni costruite in Spagna. Un altro confronto internazionale porta alla ribalta Parigi e Shanghai, metropoli che si confrontano, in tema di alta velocità ferroviaria, grazie all’accordo di collaborazione dei relativi ministeri. L’attenzione è puntata su una questione grave e urgente: la sostenibilità e l’impatto ambientale. La sezione Cultura si apre con un resoconto di una nuova iniziativa promossa dalla rivista: si tratta del Premio Letterario Paesaggi Futuri. La finalità è quella di scoprire il paesaggio visto dagli scrittori. Per la premiazione è stato organizzato un convegno dal titolo “Paesaggio e Psiche”, col quale abbiamo aperto un capitolo nuovo di indagini sul rapporto stretto fra i luoghi della nostra vita, con la loro bellezza o disarmonia, e il nostro stato d’animo. Ci interessa ascoltare non solo gli scrittori, ma anche le personalità che si esprimono attraverso le Arti. Ed ecco l’intervista al direttore di Biennale Musica, che ha dedicato l’ultima edizione ai compositori contemporanei e al loro senso dello spazio, e dunque al loro rapporto con il luogo. Questo numero della rivista è stato realizzato col Dipartimento di Ingegneria Civile, Edile e Ambientale dell’Università di Padova, che ospiterà un convegno sullo stesso tema.
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Le grandi direttrici europee per l’Alta Velocità ferroviaria di Marco Pasetto e Stefano Damiano Barbati
Non c’è società attiva ed economicamente prospera che non abbia posto le proprie basi su una rete di infrastrutture di trasporto articolata ed efficiente. Le infrastrutture hanno messo in relazione comunità eterogenee, ancorché lontane fra loro, concorrendo ad evolverle grazie allo scambio di merci, persone, culture e tradizioni. Grazie alle infrastrutture, lo scambio è avvenuto all’interno di territori i cui confini si sono progressivamente ampliati, talora sino a ricomprendere interi continenti. L’Europa, oltre i limiti amministrativi e politici dell’Unione, ne è il più eclatante esempio: le frontiere sono state progressivamente abbattute, perché gli intrecci sociali e commerciali hanno giustificato un mercato comune che però, solo mediante una rete di trasporto coordinata, si è potuto attuare. Tale rete ha tratto beneficio da un sistema di trasporto sicuro, efficiente ed eco-sostenibile, quale quello ferroviario che, per coprire le lunghe distanze del continente ha dovuto potenziarsi in termini di capacità e, soprattutto, velocità. La rete ferroviaria europea per l’alta velocità è nata, dunque, con un obiettivo ambizioso: collegare in modo continuo ed economicamente competitivo le realtà sociali e produttive disseminate nel continente. Per la natura sovranazionale e per le caratteristiche intrinseche di costo, l’alta velocità non ha assunto un carattere di distribuzione capillare sul territorio. Ma essa ha comunque dato vita ad assi preferenziali di spostamento che veicolano merci e persone, con costi sostenibili, impatti ambientali tollerabili, e livelli di sicurezza ed efficienza più che concorrenziali rispetto al trasporto su gomma, che oramai ha condotto a saturazione la capacità delle infrastrutture ad esso dedicate.
Introduzione La «rete ferroviaria europea» per l’alta velocità nasce con l’idea precisa di creare un sistema di trasporto sovranazionale, efficiente, efficace e sostenibile. Il conseguimento dell’obiettivo è affidato alla realizzazione di una rete principale, che richiede il superamento dei limiti delle reti nazionali che, per tradizione, non sono sempre tra loro in completa armonia. Per attuare tale modalità di trasporto vi è, innanzitutto, un’esigenza di velocità: i collegamenti tra i centri principali europei hanno bisogno di tempi di percorrenza brevi e velocità operative elevate. I tracciati dell’alta velocità devono essere perciò semplici, sfruttando a pieno le potenzialità dei treni, senza compromettere la sicurezza e il comfort dei passeggeri. L’infrastruttura deve creare le condizioni sufficienti a garantire velocità operative
High-speed rail in Italy and Europe: the strategic corridors in support of economic union by Marco Pasetto and Stefano Damiano Barbati History has taught us that there is no active and economically prosperous society that has not been grounded in a systematic and efficient transport system. These networks have connected heterogeneous, even distant communities, contributing to their development with the exchange of goods, people, cultures and traditions, within territories the boundaries of which have progressively expanded, sometimes embracing entire continents. The most striking example is Europe: the frontiers have been progressively dismantled because the social and trade interrelationships have justified a common market, which required however the implementation of a coordinated transport network. This network has benefited from a safe, efficient and eco-sustainable transport system, such as the railways, which, because of the distances on the continent, had to improve capacity and, above all, speed. The European High-speed rail network was therefore conceived with an ambitious goal: to connect the social and productive realities scattered across the continent, in a seamless and economically competitive way. Due to its supranational nature and intrinsic costs, High-speed rail has not achieved widespread distribution. But it has opened up preferential travel routes that carry goods and people, with sustainable costs, tolerable environmental impact and levels of safety and efficiency that are more competitive than road transport, the infrastructure of which has reached the saturation point. Nella pagina a fianco: un treno ad alta velocità in linea. Foto fornita da Ufficio Stampa FS.
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1 - Rete Ferroviaria per l’Alta Velocità e Convenzionale in esercizio (EU, 2010).
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ben superiori a quelle delle reti nazionali, mediamente attestate sui 140-160 km/h. Per sfruttare al meglio la rete, quindi, occorre un’ottimizzazione del sistema, con treni più veloci e i più alti livelli di prestazioni. Il materiale rotabile, per certi versi, non costituisce un reale problema, perché sono disponibili diversi modelli di treno (non sempre armonizzati) che permettono una velocità di tracciato superiore a 300 km/h, anche se le potenzialità non ne vengono appieno sfruttate: oggi si tende a considerare accettabile il compromesso di un più limitato investimento sui treni veloci di ultima generazione, ciò che porta ad impiegare, per le linee dell’alta velocità (HSL, AVL), treni (HST, TAV) in grado di superare velocità operative di 200 km/h sulle linee convenzionali e di 250 km/h sulle linee costruite con i criteri comuni dell’alta velocità. Ancor prima di stabilire l’assetto della rete, diversi stati europei hanno provveduto a migliorare i collegamenti ferroviari interni e sovranazionali tra le città principali, con opere ingegneristiche importanti: Roma, Parigi, Bruxelles, Francoforte, Amsterdam, Madrid, Barcellona e Londra sono state poste in diretta relazione oramai da diversi anni. L’Italia è in prima linea nell’opera di infrastrutturazione: nel 1977 è stato inaugurato il primo collegamento tra Firenze e Roma, anche se è divenuto pienamente operativo solo dal 1988. Sebbene più complesso e imponente, il collegamento tra Parigi e Lione è stato realizzato nel 1981, mentre il tratto sovranazionale più lungo, fra Spagna, Francia e Germania, è stato completato e reso operativo nel triennio tra 1992 e 1995. Anche il collegamento tra Fran-
cia e Regno Unito è relativamente recente: risale al 1994. La pianificazione dell’alta velocità europea si è fondata su queste prime esperienze e la nuova rete ne ha assorbito le tratte all’interno delle direttrici strategiche (come risulta dalla rete di trasporto trans-europea TEN-T). Purtroppo però, i progetti della maggior parte dei grandi assi sono stati elaborati in parziale assenza di una normativa tecnica comune. Per questo motivo, l’obiettivo dell’omogeneità dell’offerta è stato disatteso negli aspetti tecnici e ingegneristici, in special modo nel rinnovo delle reti nazionali esistenti e nella strutturazione delle nuove linee. Questo ha comportato un aggravio di costi e la proliferazione di standard, cui solo in parte ha sopperito la costituzione dell’agenzia europea ERA (European Railway Agency) e l’introduzione del sistema ERTMS (European Rail Traffic Management System, 2005) su sei nuovi assi strategici. Oggi sono diversi gli attori che concorrono a determinare le decisioni che riguardano, più o meno direttamente, la rete ferroviaria europea. Sotto il profilo politico, è stato istituito un Consiglio permanente dei Ministeri dei Trasporti nazionali, che aggiorna le politiche dei trasporti attraverso un dialogo tra singola nazione e continente. La necessità di quest’organo è fondamentale, poiché occorre coordinare i nodi della rete, lo sviluppo degli accessi al confine e, allo stesso tempo, si deve collegare il nuovo livello di esercizio alle esigenze e alle prestazioni della rete locale. In questo contesto opera la “Union Internationale des Chemins
TRASPORTI & CULTURA N.37 de fer” (UIC), che si occupa di ordinare gli standard di progettazione, costruzione ed esecuzione, oltre che di sicurezza, di protezione delle utenze e della salute pubblica in campo ferroviario. L’obiettivo di una rete continentale è anche una questione economica di equità: tutti gli utenti devono avere lo stesso servizio, in modo indipendente dalla loro collocazione nel territorio. Questo significa avere tariffe e servizi commisurati all’offerta, gli stessi livelli di efficienza e condizioni analoghe di accesso al sistema di trasporti. Purtroppo questa rimane una condizione di “equità ideale”: una politica comune non è oggi attuabile, in assenza di un organo gestionale unico, svincolato dalla sovranità dei singoli stati. Non ci sono, infatti, le condizioni che permettano di offrire le medesime opzioni di scelta in termini di trasporto modale e intermodale; le economie locali non sono bilanciate, per cui anche la medesima tariffa non risulterebbe equa; lo squilibrio economico non consente una pianificazione della manutenzione e del rinnovo dell’infrastruttura. Per tutti questi aspetti, la rete continentale è oggi lo specchio dell’economia e della propensione all’innovazione dei trasporti.
Un’infrastruttura uguale per tutti Già dai primi anni ‘90 è risultata chiara la presenza di forti ostacoli, di natura tecnica, all’armonizzazione dell’infrastruttura ferroviaria europea. Diverse sono sia le regole di progettazione (scartamento, alimentazione, trazione, potenza erogata, sistemi di controllo, standard geometrici), che quelle di esercizio: sotto questo profilo la rete non è efficiente. Una rete europea deve essere costruita su un’unica piattaforma tecnica e dovrebbe elevare le singolarità nazionali a uno standard comune; questione tutt’altro che semplice e che, ovviamente, richiede cospicui finanziamenti, oltre che tempo. Non è solo un problema di armonizzazione dimensionale, ma anche di coordinamento di tutto il ciclo della vita del treno e dell’infrastruttura. La Direttiva 96/48/CE del Consiglio del 23 luglio 1996 (sull’interoperabilità del sistema ferroviario trans europeo ad alta velocità) ha tentato di fare ordine sulla questione, ma il tentativo è fallito, perché ha avuto la meglio il principio di comunione delle disponibilità presenti: la maggior parte dei sistemi infrastrutturali e costruttivi è stata accettata praticamente nelle condizioni in cui si trovava. Il nodo della questione è la reale capacità di investimento degli Stati Membri: le nuove linee saranno sempre progettate con un criterio unico e per garantire velocità operative superiori a 250 km/h; le linee convenzionali modificate possono fare riferimento a criteri di aggiornamento diversamente restrittivi, quindi agli standard nazionali. Il risultato di questa decisione è un segno palese di discontinuità con l’idea generale di rete omogenea di alto livello, perché la maggior parte degli Stati ha scelto di rinnovare una parte della rete esistente, che è incompatibile con velocità superiori a 300 km/h. La realtà delle definizioni è disattesa dalle azioni, dai decreti attuativi e dall’esercizio ordinario, al punto che oggi sussistono punti della rete in cui la velocità è limitata a valori compresi tra 130 km/h (nelle aree densamente abitate) e 180 km/h (nelle regioni ad orografia tormentata). È ragionevole pensare che l’obiettivo di una rete comune, basata quindi su condizioni di esercizio effettivamente raggiungibili su tutta la rete, sia possibile solo per
velocità operative dell’ordine dei 160 km/h. Appare chiaro che l’Europa è lontana sia dall’offerta dell’Asia (260 km/h) che dagli obiettivi dell’America (220 km/h). Nonostante tutto, la rete è in continua espansione sul territorio: 2/3 del tempo programmato per la sua realizzazione sono trascorsi, mentre ancora vi sono cantieri aperti, progetti in fase di approvazione, fondi insufficienti da integrare e ripensamenti sull’opportunità di questa scelta. Il termine ultimo per dare all’Europa una rete comune è ora solo sulla carta: il 2025 sulla base delle ultime direttive, con fase intermedia di controllo fissata con la scadenza di Horizon 2020. Il riferimento per il raggiungimento di una rete comune omogenea è a lungo termine, previsto per il 2050.
I corridoi europei La definizione dei progetti strategici avviene di norma a livello europeo, sulla spinta di piccoli gruppi di nazioni che sponsorizzano i progetti stessi. Per questo motivo, nonostante ci sia un’oggettiva chiarezza nei documenti ufficiali, a vari livelli amministrativi sussiste un’elevata confusione sulla reale composizione della rete ferroviaria europea per l’alta velocità. La rete nazionale esistente contiene tracciati che sono inseriti nella rete europea per l’alta velocità, in parte costruiti, in parte in fase di progettazione. Allo stesso tempo è possibile osservare diversi tracciati locali, o porzioni di essi, che soddisfano le caratteristiche minime richieste dalle linee HSL. Risulta evidente come l’Alta Velocità sia sono una piccola parte della rete ferroviaria
2 - In alto: assi della rete TEN-T.
3 - In basso: stato di avanzamento degli assi per l’Alta Velocità.
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4 - Confronto tra la Rete Ferroviaria Europea che soddisfa i livelli minimi HSL (sinistra, 2010) e la Rete Ferroviaria Nazionale (destra, 2011).
5 - I corridoi europei italiani.
complessiva. La maggiore confusione deriva dal confronto tra le direttrici principali (corridoi) e le direttrici previste dai progetti strategici. Sono due reti analoghe, giacché considerano percorsi lineari, omogenei e continui che collegano i centri principali dell’economia continentale; tuttavia fanno capo all’intero sistema di trasporto (nel caso dei corridoi) o al solo sistema ferroviario (nel caso dei progetti strategici per l’alta velocità). La natura dei percorsi è diversa, perché i progetti sviluppano gli obiettivi su modi 10
di trasporto diversi: l’esempio più comune riguarda i corridoi pan-europei e i corridoi ERTMS. La rete trans-europea riguarda diversi modi di trasporto e ha come obiettivo l’integrazione intermodale tra le vie su gomma (ingegneria stradale), su ferro (ingegneria ferroviaria) e su acqua (ingegneria navale e portuale). I corridoi sono dieci (da I a X). All’interno dei progetti s’individuano due filoni principali, per la rete stradale (TEM) e per le ferrovie (TER). L’Italia è coinvolta solo parzialmente ed in alcuni
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6 - La rete PAN-EUROPEA (rif. EU-1990).
corridoi. Lo schema di questi corridoi è pensato per attraversare le Alpi e la Pianura Padana. Il primo corridoio percorre l’Europa da Nord (Berlino) a Sud (Palermo); un secondo “Corridoio dei due mari” coinvolge anche la Svizzera e percorre l’Europa, ancora da Nord (Rotterdam) a Sud (Genova); infine, si ha il Corridoio V, che attraversa il continente da Kiev a Lisbona, attraverso tutta la pianura Padana. Il progetto si è adeguato alle disponibilità finanziarie correnti, si direbbe lentamente, ed è in fase di attuazione. Lo stato attuale del processo di costruzione e messa in esercizio delle nuove linee non è in linea con i tempi programmati. Il ritardo, tuttavia, non è un fatto solo italiano e si estende su tutta la rete. Il progetto TER fa capo a una commissione economica (UNECE - United Nations Economic Commission for Europe) istituita nel 1990 con un accordo internazionale ristretto tra diciassette nazioni: Armenia, Austria, Bosnia Erzegovina, Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Georgia, Grecia, Ungheria, Italia, Lituania, Polonia, Romania, Federazione Russa, Repubblica Slovacca, Slovenia e Turchia. In seguito hanno aderito altri stati: Bielorussia, Lettonia, Moldavia, Montenegro, Serbia, ex Repubblica iugoslava di Macedonia e Ucraina. Il Progetto TER è organizzato in tre pacchetti operativi/linee di intervento: - la partecipazione attiva e il sostegno dei paesi membri attraverso l’accordo con il fondo fiduciario, depositato presso l’UNECE, che nomina un comitato direttivo del progetto così come il suo più alto organo amministrativo e politico, formato da delegati nazionali di ciascun paese partecipante; - il progetto per gli stati in via di sviluppo (ufficio centrale a Bratislava, ospitato dal governo della Slovacchia), con il personale dell’ufficio di coordinamento delle attività di progetto; - Uffici nazionali di progetto, istituiti o designati in ciascun paese partecipante, per mantenere i contatti tra le attività nazionali e quelle nell’ambito del progetto. Questi uffici nazionali operano sotto la responsabilità di un coordinatore nazionale nominato localmente. I piani d’azione annuali e a più lungo termine sono stabiliti dal comitato direttivo e il lavoro è fatto dal personale del progetto, gruppi di lavoro ad hoc, gruppi di esperti, e, quando richiesto, da consulenti esterni in stretta cooperazione con i paesi membri. Questo progetto è separato dal sistema di corridoi
dell’ERTMS, del 2005. In questo caso si è cercato di superare gli ostacoli nazionali, che hanno prodotto ritardi e continue variazioni contingenti (di natura politica, sociale e finanziaria). Si è voluto superare anche l’aspetto tecnico-legislativo proponendo un unico sistema di vincoli, valido per tutti i corridoi, indipendentemente dal territorio attraversato. La struttura di supporto per la pianificazione e la progettazione si fa carico di sovraintendere a tutti gli aspetti dell’opera, inclusi i finanziamenti, l’esercizio e la gestione del coordinamento. L’European Rail Agency (ERA) è l’agenzia ferroviaria europea responsabile per la gestione delle norme comuni di sicurezza e di interoperabilità. Essa agisce con l’obiettivo di facilitare i contatti tra le diverse autorità nazionali competenti. L’attuale configurazione dei corridoi ERMTS coinvolge le nazioni dell’Europa Centrale. Il corridoio A attraversa la Svizzera e opera un doppio attraversamento delle Alpi, verso Milano e Novara, in direzione Genova, dove dovrebbe avvenire il potenziamento dell’interscambio con il porto. Col 2013 si chiude l’accordo interministeriale tra Italia e Svizzera per il trasferimento del traffico merci, dalla gomma al ferro, e per il potenziamento del corridoio europeo tra Genova e Rotterdam. L’opera coinvolge, tra l’altro, la realizzazione del Terzo Valico sulla linea ferroviaria Genova-Milano e i lavori sul nodo ferroviario del Porto di Genova, sull’asse Genova-Novara-Basilea. Sono in corso di svolgimento incontri preliminari tra i delegati ministeriali: sono in fase di discussione gli accordi tra Italia e Svizzera per il potenziamento della linea fino a Chiasso, in entrambe le direzioni e verso il ramo che conduce a Milano.
I treni dell’AV e l’influenza sull’avanzamento dei lavori I treni che circolano sulla rete sono gli stessi che copriranno i viaggi quotidiani sui corridoi dell’Alta Velocità. Non sono costruiti e progettati secondo un unico standard, ma dovranno viaggiare su linee alimentate a 25KV CA a 50Hz, su uno scartamento di 1.435 mm, pendenza massima del 18‰. Attualmente sono operativi circa 97 treni, diversi per costruttore, per peso assiale, per composizione/ famiglia, sagoma limite o gabarit, trazione e alimentazione, qualità del materiale rotabile, massi11
TRASPORTI & CULTURA N.37 ma lunghezza possibile dei treni, massima massa totale dei treni. Il loro numero cresce oltre i 160, se si considerano anche le varianti relative al medesimo modello, cioè i treni con gli stessi dati di targa e diversa potenza erogata, numero di motori, tipo delle combinazioni per la trazione e l’alimentazione, numero di vagoni. La velocità operativa media dei treni circolanti è di 249,8 km/h (min. 160 km/h; max. 320 km/h). Le velocità massime, in media pari a 264,9 km/h, sono sostanzialmente legate alla geometria dei tracciati sui quali essi operano e alle regole dell’esercizio del servizio. Per questo motivo, e a causa delle diverse tecnologie adottate, dal 1976 a oggi, si è passati da un valore minimo di 200 km/h a un massimo di 380 km/h. Occorre precisare che, sebbene l’infrastruttura sia regolata con un elevato grado di uniformità degli standard prestazionali, l’anello debole del sistema rimane la rete convenzionale esistente. Dall’esame delle velocità si evincono gli sforzi fatti, in alcuni casi, per adattare la trazione all’offerta energetica delle diverse reti locali attraversate. Appare chiaro che un treno che deve soddisfare contemporaneamente regimi di esercizio diversi non può ottimizzare le prestazioni, diversamente da ciò che avviene in linee armonizzate. Gli Stati hanno mostrato nel tempo, a riguardo, un interesse variabile, soprattutto nel momento in cui si discutevano le questioni tecniche. In Italia, l’assetto finale delle linee per l’Alta velocità richiede: traffico misto (passeggeri e merci); velocità massima di 300 km/h; scartamento di 1.435 mm; raggio di curvatura minimo di 5.450 m; pendenza massima del 18‰; sopraelevazione massima di 10,5 cm; raggio minimo dei raccordi altimetrici di 20.000 m; carico massimo per asse di 25 t; larghezza della sede di 13,6 m; interasse dei binari dell’ordine di 4,5 - 5 m; sezione delle gallerie naturali di almeno 82 m²; alimentazione a 25 kV CA 50 Hz; alimentazione dei tratti di penetrazione urbana a 3 kV CC;
7 - I corridoi europei e italiani del sistema ERTMS.
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distanza media tra due sottostazioni elettriche di 50 km; distanza media tra due posti di comunicazione 24 km, di movimento 48 km. Francia, Italia, Spagna e Germania sono i paesi che hanno maggiormente sviluppato la costruzione di nuove linee, seguiti da Regno Unito e dagli stati dell’Europa settentrionale (Belgio e Olanda tra tutti), i quali tutti si sono uniformati ai medesimi parametri per le linee di nuova costruzione. La Spagna ha investito in modo particolare sugli assi Madrid-Barcellona (635 km), Madrid-Siviglia (472 km), Madrid –Valladolid (180 km) e CordobaMalaga (170 km). In via di completamento è l’asse di collegamento verso la Francia nel tratto Barcellona-Perpignan (340 km). Probabilmente la Spagna è la nazione che soffre i maggiori disagi legati alle differenze dell’infrastruttura, poiché le linee convenzionali adottano uno scartamento di 1.668 mm al posto dello standard ordinario di 1.435 mm. La Francia (SNCF) dispone di diversi assi operativi: Parigi-Lione (427 km); Parigi-Tours (282 km); Parigi-Calais (329 km); Lione-Marsiglia (251 km); Parigi-Metz (301 km); Parigi-Londra (480 km); Londra-Bruxelles (352 km). Sono invece in fase di costruzione le linee direttrici tra Dijon-Mulhouse (425 km), Meltz-Strasburgo (96 km) e Tours-Bordeaux (303 km). La Francia ha investito in modo particolare sulla flotta di treni di ultima generazione della famiglia del TGV e al termine del ciclo di sostituzione dei treni più vecchi (in linea di massima tutti i prodotti tra il 1982 e il 1994) avrà un sistema omogeneo (circa 500 treni). Nel programma industriale è prevista la piena operatività, sia su tutta la rete TEN (ove i treni saranno in grado di operare oltre i 300 km/h, oltre che in condizioni di esercizio ordinario sulla rete HSL), che sulle reti convenzionali degli stati confinanti. La Germania ha aderito al programma generale con un po’ di ritardo (1991), giacché disponeva di un programma nazionale di potenziamento delle
TRASPORTI & CULTURA N.37 linee interne, con l’obiettivo di elevare le prestazioni della rete, garantendo velocità operative superiori a 250 km/h. Per questo motivo si può affermare che la rete HSR ha in gran parte sviluppato il coordinamento dei percorsi esistenti con il confine. In generale tutti i progetti di nuove linee hanno accolto i nuovi standard, ponendo come obiettivo una velocità di 300 km/h. Le direttrici nuove già completate e operative collegano FrancoforteKoln (177 km) e Ingolstadt-Nurberg (89 km); sono invece in fase di costruzione le linee tra EbensfeldErfurt (122 km) e tra Munchen-Leibzig-Berlino. Per queste si useranno treni costruiti dopo il 2000, della famiglia ICE-3, con velocità superiori a 330 km/h. Tra tutti gli stati coinvolti, la Germania è probabilmente la nazione che è riuscita nel proposito di coniugare gli obiettivi degli investitori pubblici e privati, proprio perché l’attenzione è stata rivolta alla rete esistente piuttosto che alle nuove opere. L’Italia è un cantiere aperto e continuo, e lo sarà probabilmente per tutta la durata del progetto. Sebbene si sia partiti con un certo anticipo, le attività sono state distribuite in modo parziale sul territorio. Sono operativi i collegamenti tra Roma-Napoli (circa 200 km), Torino-Milano (sono in costruzione le linee di nodo), Milano-Treviglio (28 km) e Padova-Mestre (26 km). Sono in fase di cantierizzazione diversi lotti sul territorio, in particolare sulla direttrice Milano-Bologna-Firenze. Purtroppo l’infrastruttura è oggetto di discussione interna, in parte perché ha assorbito quasi completamente gli investimenti pubblici previsti per l’ambito ferroviario, e in parte perché non è chiaro il collegamento con la rete esistente. Il rapporto tra l’infrastruttura, la società civile e il territorio è controverso ed è difficile da gestire, soprattutto quando le parti non comunicano in modo costruttivo e quando gli eventi degenerano in contrasti violenti o, nelle situazioni più semplici, di ostruzione. In Italia abbiamo una situazione delicata sulla
linea Torino-Lione, in particolare nella Val di Susa, dove è dovuto intervenire l’Esercito e dove sono frequenti i casi di cronaca che interferiscono con le attività di cantiere. Le informazioni disponibili e relative alle altre nazioni mostrano in generale un impegno minore, per certi versi debole. Nella maggior parte dei casi, gli standard offerti sono bassi, con velocità operative pari o di poco superiori a 200 km/h. La ragione di questa difficoltà varia da caso a caso: in generale si soffre della mancanza di interesse degli investitori e della necessità di elevare gli standard della rete esistente (250 o 300 km/h). Ancorché ingenti, gli investimenti sono diretti sulla rete nazionale esistente e sullo sviluppo di collegamenti mancanti, che però vengono adeguati alla rete esistente e non già agli standard continentali. In ogni caso, è alto il coinvolgimento delle nazioni principali (Francia, Italia, Spagna e Germania) nei diversi progetti e nei cantieri aperti su tutto il territorio europeo e trans-continentale, verso l’Asia e l’Africa.
Quali prospettive per il futuro. Verso Horizon 2020 e oltre A fronte di prospettive che promuovevano un mercato in continua espansione e in simbiosi con l’evoluzione tecnologica, la realtà attuale vede un graduale declino del mercato e del trasporto ferroviario dal 2000 a oggi. Le diseconomie generate dalle reti nazionali impongono alla rete continentale servizi e prestazioni che disattendono le attese dei consumatori. Questo dipende in parte dalla mancata armonizzazione, ma in gran parte dalla carenza di intermodalità/interoperabilità. Per questo motivo sono allo studio diversi pacchetti operativi che mirano a migliorare le tendenze nel periodo che ci conduce al 2020. Occorre fare
8 - Inefficienze dei treni dell’alta velocità operativi.
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TRASPORTI & CULTURA N.37 riferimento, per questo, al Libro Bianco dei trasporti, che prevede un incremento della competitività della ferrovia rispetto a tutti gli altri modi di trasporto e, parallelamente, un maggiore sforzo verso il coordinamento con essi. Particolarmente delicato risulta, a oggi, il collegamento tra i porti e la ferrovia, a causa delle barriere tecniche e amministrative (anche doganali). Il piano strategico prevede una revisione delle procedure di valutazione dell’efficienza degli investimenti pubblici sul territorio nazionale, con l’obiettivo di legare i trasferimenti all’efficienza del sistema (costruzione ed esercizio, servizi ed efficienza operativa) e alla effettiva capacità di attrarre investimenti privati. Come descritto in precedenza, è ormai consolidato un diverso approccio all’alta velocità tra le nazioni emergenti e l’Europa centrale. Nel primo caso si è deciso di investire esclusivamente sul potenziamento della rete esistente; nel secondo caso si è cercato un equilibrio tra le questioni finanziarie, il territorio e la società civile. Alla fine di luglio 2012, è stato presentato in modo ufficiale dall’associazione UNIFE (Association of the European Rail Industry) il progetto Shift2Rail. UNIFE è l’associazione degli industriali europei del settore ferroviario e unisce i sostenitori delle tre maggiori associazioni europee: AICMR (Association Internationale des Constructeurs de Matérial Roulant), AFEDEF (Association des Fabricants Européens d’Equipements Ferroviaires), CELTE (Constructeurs Européens des Locomotives Thermiques et Electriques), tutte con sede in Francia. Dal 1992, l’UNIFE è divenuta un organismo di livello continentale ed è stata trasferita formalmente a Bruxelles, ha assorbito alcune delle maggiori associazioni nazionali e costituisce il riferimento sia del mercato ferroviario diretto sia di tutto l’indotto. SHIFT2RAIL è un progetto nato con l’obiettivo di raccogliere i contributi, provenienti da tutti gli operatori del settore ferroviario, della ricerca e dell’innovazione tecnologica. Tutte le iniziative sono rivolte a due aspetti strategici di carattere generale: incentivare gli studi volti a creare le condizioni per un aumento della capacità di trasporto, sia su scala locale sia continentale; determinare un graduale trasferimento della mobilità dalla strada alla ferrovia, creando nuove condizioni di mercato in grado di attirare investimenti privati nel settore ferroviario e sviluppando nuovi sistemi a favore dell’efficienza e della sicurezza del viaggio. Sotto il profilo tecnico, il progetto si propone di investire sulle ricerche innovative volte a migliorare il processo produttivo e il ciclo di vita in esercizio dei vari attori del settore ferroviario dal materiale rotabile, ai servizi, fino all’infrastruttura e ai sistemi di controllo e di sicurezza. In coda ai programmi europei FP6 e FP7, nel 2014 parte la programmazione delle proposte per Horizon 2020. Si tratta di un piano di investimenti sul sistema di trasporti continentale, che dovrebbe determinare il collegamento permanente tra il sistema di trasporti e i settori della ricerca e dell’innovazione tecnologica.
Considerazioni finali Il settore ferroviario ha da qualche tempo deciso di investire sull’Europa e sull’infrastruttura dell’alta velocità. Gli Stati Membri, ognuno con il proprio contributo e sotto la guida degli organi comunitari, hanno adottato questo indirizzo senza non poche difficoltà, anche di origine finanziaria. Il soste14
gno deciso del gruppo storico che ha proposto le prime attività di coordinamento è, ancora oggi, la chiave dell’avanzamento dei lavori (Italia-RFI/Trenitalia; Francia-SNCF; Spagna-RENFE; GermaniaDeutsche Bahn). Sebbene le cose siano partite con una certa lentezza, ora una quota consistente della rete è completata ed è in esercizio. I progetti strategici e i relativi finanziamenti mirati hanno supportato il processo fino al cantiere, anche quando le condizioni politiche e la congiuntura economica suggerivano altre soluzioni. L’Europa ha prodotto anche pacchetti normativi tecnici ed economici con carattere sovranazionale, percorrendo la via dell’armonizzazione e della liberalizzazione dell’intero comparto ferroviario. Certo è un fatto: l’ultimo decennio è stato difficile per tutti i settori dell’economia e la domanda di trasporto, anche di qualità, ha subito un’inversione di tendenza che ha in parte sconfessato tutte le previsioni di crescita. Appare in modo chiaro anche la volontà comune di aiutare la crescita della domanda di trasporto su treno, a parziale riduzione di quella su strada. Tutte le politiche mirano a spostare quote di mobilità tra questi due modi di trasporto e sono ingenti gli sforzi fatti per rendere il treno appetibile. Questa scelta ha aumentato il collegamento tra il settore ferroviario e, in modo trasversale, i settori della ricerca. L’obiettivo è quello di raggiungere gli obiettivi di Horizon 2020, non già rivedendo al ribasso le soglie da raggiungere, bensì aumentando gli impegni per fare in modo che ora la crescita sia più veloce. In accordo con il programma previsto per la rete TEN-T occorre terminare 22.140 km di linea ad alta velocità entro il 2020, per procedere successivamente al potenziamento della rete tra il 2020 e il 2030 per 30.750 km. I programmi guardano all’Europa, ma anche all’Asia e all’Africa perché a oggi è questa la direzione più plausibile dello sviluppo e della crescita economica. Rivedere il mercato con quest’ottica può apparire particolarmente ottimista, oggi in modo particolare. Se però le previsioni saranno mantenute e verificate, anche solo in parte, la scelta della ferrovia sarà anche la soluzione più vicina all’ambiente. O, almeno, quella che possiamo permetterci con le tecnologie a oggi disponibili. Riproduzione riservata ©
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9 - I sei corridoi europei del progetto ERTMS.
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TRASPORTI & CULTURA N.37
Alta Velocità–Alta Capacità, il punto di vista di un esperto di Carmelo Abbadessa
Il Barone di Munchhausen era uno splendido inventore di immaginifiche storie false ma a forza di raccontarle finiva egli stesso per crederle vere. Oggi credo che si verifichi un fenomeno simile quando si parla di TAV (Treno Alta Velocità): un’incredibile serie di notizie sbagliate viene ripetuta così tante volte (... e talvolta in buona fede!) che alla fine sono considerate verità quelle che sono invece falsità o mezze-verità o esagerazioni. E su questi argomenti si basano migliaia di dibattiti! Poiché sono un ingegnere “addetto ai lavori”, con 30 anni in FS e poi 10 di libera professione, sempre nel settore infrastrutture, provo un certo sgomento nel sentire e leggere tante informazioni sbagliate, soprattutto pensando che da queste si formano opinioni che, quando arrivano ai politici, provocano decisioni sbagliate, dannose e costose. Cito alcune affermazioni ricorrenti. 1) Le nuove linee per la TAV servono solo per i VIP, che usano i costosi Eurostar. Ma non è vero! 2) La linea attuale della Val di Susa per la Francia (per il Frejus) non è satura e quindi possiamo prevedere incrementi di traffico per moltissimi anni senza TAV. Ma non è vero! 3) Anche sull’attuale linea Venezia/Mestre - Trieste si possono ottenere, con impianti più moderni, incrementi di traffico tali per cui non è necessario progettare una nuova linea AV per almeno dieci anni. Ma non è vero! 4) C’è un progetto europeo già disponibile come alternativa alla TAV: l’ERTMS, con cui possiamo avere sulle vecchie linee sino ad un treno ogni tre minuti e mezzo e si possono far viaggiare in tutta Europa treni passeggeri e merci a 250 km/h. Ma non è vero! Per dimostrare perché quanto sopra non è vero, devo premettere alcune informazioni e concetti, ben noti agli esperti. Attuale distribuzione modale dei trasporti - Oggi circola in ferrovia, in Italia, meno del 9% del traffico viaggiatori e merci; un altro 9% circa va per mare e più dell’80% su strada; trascuro, per semplificare, il traffico aereo e gli oleodotti. Previsioni di traffico - Superata questa crisi mondiale, iniziata a metà 2008, la maggior parte degli esperti ritiene che si tornerà, come prima, ad incrementi di traffico, viaggiatori e merci, di circa il 3% per anno (di più sulle direttrici per l’Europa orientale). Se invece la crisi non cesserà ci saranno problemi di sopravvivenza ed i dibattiti sui trasporti diventeranno trascurabili! Tempi di costruzione - Per grandi infrastrutture, come una nuova linea ferroviaria, occorrono almeno 12 anni per i lavori di realizzazione (anche
High-speed/High-capacity, an expert’s point of view by Carmelo Abbadessa When the subject is TAV (High-speed Railway), an incredible series of erroneous information emerges, tending to present the High-speed train as a luxury for the few and to demonstrate that the connections to the Val di Susa and the Venice-Trieste line could be guaranteed by reinforcing existing lines. The author, who has been an expert engineer for 30 years, illustrates the current situation of the lines and of the trains, their relative traffic capacity and the forecasts. And demonstrates that if by means of a proper transportation policy, the idea is to increase railway traffic, then we must build a High-capacity System, increasing from two to four tracks along the major routes; slower traffic may remain on the old lines and faster traffic on the new ones (thereby adding rapid regional trains by day and cargo trains by night). The result is traffic at homogeneous speed on each track, with a capacity of more than 500 trains per day on four tracks compared to the little more than 200 possible today on a double track. On the two new tracks, we will obviously use the most advanced technology and European standards, which currently exist only for High-speed, and which allow the new trains and conductors to circulate throughout Europe. In conclusion, building new High-speed lines is not only important but inevitable, if one wants High-Capacity transportation, and to be part of Europe.
Nella pagina a fianco, in alto: ponte strallato sul fiume Po, sulla linea AV Milano-Bologna”; in basso: treno AV in linea. Foto fornite da Ufficio Stampa FS.
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TRASPORTI & CULTURA N.37 di più, prima, per discutere, criticare ed approvare, come insegna il caso della linea AV della Val di Susa per il Frejus); il Progetto Definitivo del nuovo Tunnel del Brennero, ad esempio, prevede almeno 12 anni di lavori (io ho partecipato al progetto, nel Consorzio internazionale che ha vinto la gara europea, come coordinatore degli impianti tecnologici e del modello d’esercizio). A proposito, pochi sanno che i lavori per questo tunnel (56 km, il più lungo del mondo, assieme a quello del Gottardo, anch’esso in costruzione) sono già iniziati: il Presidente Napolitano ha inaugurato tre anni fa il cantiere per il tunnel pilota, necessario per avere certezze geologiche e per servizi vari (smaltimento delle acque, trasporti di energia, ecc.); inizierà dopo lo scavo delle altre due gallerie, ognuna a semplice binario, da 250 km/h. A lavoro completato, fra più di 12 anni, nelle fasi iniziali è previsto un esercizio a 200 km/h di velocità massima per i treni passeggeri, ma è previsto che i treni merci siano l’80% del totale e quasi tutti avranno velocità non superiori a 120 km/h. Treno e linea - Errore sistematico: quando si parla di Alta Velocità si pensa soprattutto al Treno AV mentre la cosa più importante è la Linea AV. Infatti… il treno di oggi ha prestazioni (sicurezza, potenza, velocità, accelerazione, rumore, comfort, ecc.) che saranno certamente molto diverse fra cento anni, con l’inevitabile progresso tecnologico; e quanto diversi sono i treni di oggi rispetto a quelli di cento anni fa! La linea ha caratteristiche, soprattutto di tortuosità e pendenza, che saranno uguali anche fra cento anni (la forza centrifuga e la forza di gravità rispetteranno sempre le stesse leggi!); e la velocità di un treno dipende moltissimo da queste caratteristiche: un moderno treno AV deve necessariamente andar piano su una linea tortuosa ed a grande pendenza. Ricordiamoci sempre, quindi, di essere grati ai nostri avi, che hanno costruito linee (ad esempio la Milano - Venezia, in gran parte ultimata nel 1846) per treni da 36 km/h – l’Alta Velocità di allora... – su cui noi andiamo oggi, in molti tratti, in pianura, a 180 km/h. E la maggior parte delle linee italiane ha più di cento anni! Diverso è il discorso per le linee di montagna: anche lì i nostri avi sono stati bravissimi, ma le tecniche di costruzione delle linee non permettevano lunghe gallerie e quindi forti tortuosità e forti pendenze furono inevitabili; ovviamente piccoli raggi di curvatura costringono a basse velocità anche in discesa ... nel rispetto della forza centrifuga, e forti pendenze costringono a far treni corti (e quindi bassa capacità di trasporto) per le potenze dei locomotori necessarie in salita ... ed anche della forza di gravità non son prevedibili modifiche. A proposito di tortuosità, lasciatemi raccontare come cose evidenti per gli esperti possono sfuggire ad altri. In una puntata del 2012 di Report, la trasmissione TV della Gabanelli, sulle polemiche TAV - NO/TAV, la telecamera inquadra il tachimetro di un treno merci che, in discesa, segna una velocità massima di 47 km/h; il cronista chiede al macchinista come mai vada così piano anche in discesa ed il macchinista, sorridendo, risponde: “Non vede quanto sono strette le curve? Devo rispettare le velocità previste e non ho intenzione di deragliare!”. La trasmissione ha segnato così un autogol; si è capito infatti il motivo per cui la linea non ha molti treni: su strada i tempi sono nettamente inferiori ed è facile prevedere che il trasporto merci diminuirà ancora, su quella linea. Solo una nuova 18
linea può risolvere il problema che, fra l’altro, è europeo e non certo locale. Capacità di traffico – É un argomento complesso, che dipende da molti parametri; se pensiamo a flotte di treni omogenei, tutti alla stessa velocità – circolazione omotachica – anche su due soli binari potremmo ipotizzare, con moderni impianti di sicurezza e segnalamento per il distanziamento dei treni, un elevato numero di treni (quasi 300 al giorno su linee AV a doppio binario), soprattutto se dimentichiamo le fasce orarie necessarie per l’ordinaria manutenzione, che per ovvi motivi di sicurezza va fatta in assenza di circolazione treni. In pratica, su un doppio binario, con moderno segnalamento e Blocco Automatico, la presenza sia di treni lenti (merci e Sistema Metropolitano) che veloci – circolazione eterotachica – non permette di superare 230 treni al giorno (dato massimo reale della Mestre–Padova, pur attrezzata con un efficiente “Blocco Automatico”, prima dei due nuovi binari); fra l’altro, con tali densità di traffico, ogni piccolo guasto provoca gravi ritardi, a catena. Se si vuole un’Alta Capacità di traffico sulle linee principali c’è quindi un solo sistema: passare dal doppio al quadruplo binario, come già si è iniziato a fare, costruendo nuove linee, interconnesse a quelle attuali, per separare i treni lenti dai treni veloci; e l’Alta Capacità è del sistema a quattro binari e non della nuova linea. Sicurezza – É l’argomento più importante. La strada ha avuto 3.650 morti e 265.00 feriti nel 2012 (dati Istat - ed erano molti di più negli anni precedenti) mentre le ferrovie hanno meno di 10 morti all’anno fra viaggiatori e ferrovieri a bordo (oltre a circa 70 morti, poco dipendenti dalla densità di circolazione treni, per investimenti - soprattutto suicidi - in stazione ed in linea e per incidenti ai passaggi a livello). Tenendo conto che le ferrovie trasportano circa il 10% della strada, l’indice di sicurezza è nettamente - di circa 40 volte - a favore delle ferrovie! Risparmio energetico/inquinamento – Il coefficiente d’attrito ruota-treno/rotaia è circa 5 volte più basso di quello ruota-auto/asfalto ed inoltre quasi il 90% del traffico è su linee elettrificate. Evito altri numeri. Politica dei trasporti – Tutti i nostri politici dichiarano di voler trasferire traffico dalla strada alla ferrovia, per i motivi sopra indicati; ma, tenendo presenti i tempi di realizzazione di nuove linee, per trasferire il solo incremento di traffico dei prossimi 10 anni (circa il 30% in più in 10 anni, una volta superata la crisi attuale), si dovrebbe trasportare in ferrovia il quadruplo del traffico attuale. E non si toglierebbe ancora nulla dalle strade! Qualità della vita - Nelle scelte politiche, e non soltanto per le grandi infrastrutture, il criterio di scelta dovrebbe tener conto (come tutti spesso facciamo, anche inconsciamente), della qualità della vita dei cittadini, con uno sguardo al futuro ed alla collettività. Ma, anche se non è gradevole ricordarlo, il più basso livello della qualità della vita è la morte! E per questo non si possono ignorare le considerazioni sulla sicurezza appena fatte. Al miglioramento della qualità della vita contribuisce anche l’abbassamento del livello di inquinamento e quindi anche il risparmio energetico. Eppure, quando si discutono i progetti di nuove linee ferroviarie, che certamente servono per migliorare la qualità della vita di tutti, si sente parlare di più di fastidio per i cantieri (che interessano, per pochi anni, quelli che abitano vicino) e per il
TRASPORTI & CULTURA N.37 rumore dei treni (che invece oggi si può facilmente abbattere); e troppo spesso l’interesse di pochi (“nimby”: not in my back yard!) va a danno di quello di molti, capovolgendo il concetto stesso di democrazia. Risultato: il trasporto ferroviario diminuisce e le migliaia (ogni anno!) di morti e feriti sulle strade vengono considerati una fatalità. E invece a questo bisogna ribellarsi! Anche il paesaggio influisce sulla qualità della vita, ed è ovvio l’obbligo di rispettarlo con qualsiasi infrastruttura e di aprire dibattiti, nelle fasi di progetto, per ascoltare pareri e cercare soluzioni. Ma il risultato che abbiamo sotto gli occhi è che le strade (che richiedono molto più spazio della ferrovia) si moltiplicano ed il territorio che occupano è enorme e l’inquinamento è arrivato a livelli preoccupanti e crescenti.
Conclusioni Riprendendo quanto detto nella lunga premessa, se, con una corretta politica dei trasporti, si vuole davvero incrementare il traffico ferroviario, dobbiamo realizzare un Sistema AC - Alta Capacità - passando da due a quattro binari su tutte le linee principali; possiamo così tenere sulle vecchie linee il traffico più lento e sulle nuove quello più veloce (aggiungendo però anche treni regionali veloci di giorno e treni merci di notte), realizzando così una circolazione quasi omotachica (velocità omogenee, come detto) su ogni binario, con una capacità di più di 500 treni al giorno sui quattro binari contro i poco più dei 200 attuali sul doppio binario. Sui nuovi due binari, ovviamente, utilizzeremo le tecnologie più moderne e gli standard europei, che oggi esistono solo per l’Alta Velocità e che permetteranno, ai nuovi treni ed ai macchinisti, la circolazione ferroviaria in tutta Europa (interoperabilità, con un brutto ma efficace termine tecnico europeo); oggi, invece, è quasi sempre necessario fermarsi alla frontiera e cambiare locomotore e macchinisti, dato che gli impianti di segnalamento e sicurezza (e spesso anche quelli della Trazione Elettrica) sono diversi in ogni nazione ed incompatibili fra loro. In definitiva, realizzare nuove linee per l’Alta Velocità non è importante ma è inevitabile, se si vuole avere un’Alta Capacità di trasporto e se si vuole restare in Europa Nulla vieta, poi, che su una linea AV si vada a velocità minori: con una circolazione a 180 km/h su una linea “tracciata” per 300 km/h (bassa pendenza e curve a grande raggio) si ha maggior comfort, minor bisogno di manutenzione a terra ed a bordo, più basso rumore e minore assorbimento di energia. Grave sarebbe invece, fra molti anni, non poter andare, per la “geometria del tracciato” delle nuove linee, a velocità elevate con i treni del futuro (che saranno più potenti e più silenziosi di oggi, certamente). Attenzione: ogni beneficio è annullato se non si potenziano anche i Nodi (“hub” si direbbe per un aeroporto), come del resto si è già iniziato a fare da tempo, e se non si realizzano migliori condizioni di marketing e di informazione.
viaggiatori e merci, permettendo un grande incremento di traffico; in Italia circolano ogni giorno più di 8.000 treni e sono meno di 400 quelli Alta Velocità. Risposta al punto 2 – Le caratteristiche dell’attuale, antica, linea della Val di Susa costringono ad avere treni lenti e corti: fra non molto il traffico merci potrebbe ridursi quasi a zero in ferrovia, aumentando i volumi di traffico sulla strada. E la qualità della vita di chi abita li?... Non dimentichiamo che i problemi sono gli stessi della linea del Brennero, dove i sindaci continuano a chiedere con urgenza la nuova linea, con il grande tunnel del Brennero. Risposta al punto 3 – Sull’attuale linea Venezia Trieste si possono sicuramente ottenere, con un miglioramento tecnologico, incrementi di traffico, spostando la saturazione della linea forse di 10 anni: ma allora siamo in ritardo di 5 anni, dato che per progettare, approvare ed eseguire la nuova linea (ovviamente Alta Velocità europea, per quanto già detto) saranno necessari circa 15 anni! Risposta al punto 4 – L’ERTMS (European Rail Traffic Management: sistema di gestione europeo del traffico ferroviario) è un Blocco Automatico (B. A.) Radio e le norme europee ne hanno dato gli standard (non il progetto) necessari per l’interoperabilità (cioè, ripeto, la possibilità per treni e macchinisti di circolare in tutta Europa con impianti e regolamenti unificati). Già da molti anni le principali linee italiane sono dotate di efficienti tipi di B.A. che permettono distanziamenti treni, in sicurezza, dell’ordine dei tre/quattro minuti; ma certo non si può, con l’ERTMS, cambiare la velocità delle vecchie linee (che dipende dal “tracciato”, cioè soprattutto da curve e pendenze). In Europa l’Italia ha realizzato per prima questo tipo di Blocco, sulle nuove linee AV, ottenendo importanti riconoscimenti internazionali. Mi piacerebbe che questi argomenti entrassero nei dibattiti. Riproduzione riservata ©
Si fa presto, adesso, a dare delle risposte alle affermazioni sbagliate citate all’inizio. Risposta al punto 1 – Le nuove linee AV servono a creare un Sistema Alta Capacità, a quattro binari, che risolve molti problemi di circolazione dei treni 19
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TRASPORTI & CULTURA N.37
Problematiche delle opere d’arte nella riclassificazione delle linee ad Alta Velocità/Alta Capacità di Claudio Modena, Carlo Pellegrino, Giovanni Tecchio, Mariano Angelo Zanini
La valutazione dello stato di condizione dello stock di ponti esistenti in Italia e in Europa (trattasi qui di ponti ferroviari ma la condizione è similare se non più grave per le opere stradali), è diventato un problema crescente negli ultimi anni per gli enti gestori che, oltre a dover garantire la manutenzione ordinaria e straordinaria delle opere, sono responsabili della sicurezza delle stesse in rapporto ad una domanda di traffico in continua crescita e a requisiti di sicurezza strutturale e funzionale, recepiti dalle normative di settore, sempre più stringenti. Molte strutture sono progressivamente diventate inadeguate nei confronti dei nuovi standard di traffico del sistema di trasporto su rotaia, dato l’incremento di valori di carico per asse, i maggiori volumi di traffico, l’incremento delle velocità di progetto ed i conseguenti effetti dinamici correlati. A questo quadro generale si combinano i concomitanti effetti di degrado naturale dei materiali dovuti a processi di ammaloramento della struttura legati a cause di tipo fisico (gelo-disgelo, incendio) o chimico (carbonatazione, corrosione delle armature, attacco di solfati, reazioni alcali-aggregati, aggressione di sostanze acide, aggressione da sali contenuti nell’acqua di mare…) o fattori ambientali del contesto in cui l’opera si inserisce di tipo idrologico o geologico-geotecnico, conseguenti anche ad azioni antropiche (ad esempio nei frequenti fenomeni di erosione e maggior scavo dell’alveo con possibile scalzamento fondazionale). Tali effetti di degrado portano ad un ammaloramento che influenza la durabilità dell’opera, con una riduzione delle prestazioni nel tempo della stessa. Per un’opera infrastrutturale costituisce pertanto un problema molto rilevante la determinazione “vita residua” in esercizio, in relazione all’accresciuto impatto dei trasporti e del traffico e alle concomitanti problematiche di degrado del materiale, dal momento che il danno meccanico combinato con le patologie legate all’invecchiamento (ageing) dell’opera, se non monitorato può causare perdita di funzionalità delle strutture o nel caso più grave cedimenti critici, con interruzioni del servizio ben più gravi di quelli che per analoghi motivi vengono generati nel trasporto stradale, sia per la rigidità plano-altimetrica dei tracciati e delle possibili deviazioni, che per le differenti caratteristiche dei relativi mezzi di trasporto ferroviari. La gestione e manutenzione di un sistema infrastrutturale richiede pertanto l’individuazione di metodologie adeguate e affidabili per la valutazione, il ripristino e il rinforzo delle opere esistenti.
The problem of engineering
infrastructures in reclassifying High-speed/ High-capacity lines by Claudio Modena, Carlo Pellegrino, Giovanni Tecchio, Mariano Angelo Zanini
The present article addresses the topic of the structural and functional adaptation of existing bridges along High-speed railway lines. In the first part the most common railway bridge typologies are briefly presented, highlighting the typical deterioration processes they suffer, caused by aging. The discussion then focuses on the primary issues relative to the functional renovation of bridges crossed by High-speed trains. Simplified approaches for testing static and dynamic actions are described, and a specific focus examines possible damage caused by vibrations and fatigue, influencing the residual life of existing bridges.
Nella pagina a fianco: vedute di treni Frecciarossa in linea. Foto fornite da Ufficio Stampa FS.
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TRASPORTI & CULTURA N.37
Caratteristiche e patologie tipiche dei ponti ferroviari
1 - Tipologie storiche di ponti ferroviari in acciaio: ponte a travi gemelle, sez. trasversale e pianta. 2 - Tipologie storiche di ponti ferroviari in acciaio: ponte a trave reticolare aperta e via di corsa inferiore, sez. trasversale e prospetto.
La metodologia operativa per la verifica dello stato di condizione delle opere in ambito ferroviario, ha visto un’evoluzione negli ultimi anni, finalizzata ad un controllo sistematico dei vari manufatti (Ferrovie dello Stato 1999). Il controllo deve fornire probanti elementi di giudizio sulle condizioni di stabilità e di conservazione delle opere, per i riflessi che le stesse hanno sulla sicurezza e regolarità dell’esercizio. L’evoluzione è andata pertanto nel segno di una maggior oggettività del rating, e di una più facile confrontabilità dei giudizi sullo stato di conservazione dei manufatti, in maniera tale da individuare un ordine di priorità per gli interventi. Nel sistema di gestione e manutenzione si è passati pertanto dall’utilizzo della “Istruzione 44C (1994)” che regolava frequenza, modalità e relative verbalizzazioni delle visite di controllo ai ponti, gallerie ed alle altre opere d’arte, alla definizione dell’algoritmo Domus (2000), per la definizione del giudizio sullo stato delle opere d’arte e di un criterio di priorità per gli interventi necessari di ripristino e/o rinforzo, alla riorganizzazione delle procedure di verbalizzazione delle visite alle opere d’arte, in ottemperanza a quanto già disposto dalla precedente Istruzione 44C, tramite la Metodologia Operativa RFI DPR MO IFS 424 A (2012). Degli oltre 16.000 km di linea ferroviaria gestita da Rete Ferroviaria Italiana (RFI S.p.A), circa 500
km sono su ponti in genere. Anche escludendo le opere minori di luce L< 5m, 83 km delle linee sono impostati su travate metalliche, se ne contano all’incirca 3.100 (Conti Puorger A., Traini G., 1984), e circa 288 km su ponti in muratura, in numero superiore a 11.200 per questo ordine di luci, (il numero è di gran lunga superiore, 56.340, se si considerano anche ponticelli con L<5m). Le problematiche relative all’invecchiamento delle strutture risultano pertanto particolarmente evidenti per le travate metalliche di diversa tipologia e luce (travi gemelle, a maglia triangolare, ecc.) e per ponti in muratura, ossia per i manufatti di più vecchia costruzione. La maggioranza delle opere in muratura ha più di 100 anni, essendo state realizzate nel periodo 1840-1930, mentre le travate metalliche più vecchie risalgono agli inizi del ‘900 e circa l’80% delle opere ha più di 50 anni (Ferrovie dello Stato 1907, 1916, 1945). In molti casi è già stato superato dunque il periodo di vita attesa in termini di convenienza fra interventi necessari di manutenzione e completa ricostruzione/sostituzione dell’opera, stimato in 100 anni per gli archi murari e 70 anni per le strutture metalliche. Per quanto riguarda la classificazione tipologica, le opere d’arte presenti sulla rete ferroviaria possono essere classificate: - in base alla funzione svolta (ponti, viadotti, cavalcavia, sottovia, opere di sostegno, gallerie, ecc.); - in base ai materiali impiegati (opere in acciaio, in calcestruzzo, in cemento armato, in muratura, ecc.). Ai fini manutentivi, la classificazione in base ai materiali impiegati assume un’importanza di rilievo, dato che permette di individuare patologie tipiche di determinati materiali per opere d’arte diverse da un punto di vista della funzione svolta. I ponti a travata metallica I ponti storici a travata metallica sono su schema semplicemente appoggiato, del tipo a travi gemelle, fino a luci di 25 m circa; a parete piena, a semplice e doppio binario con via superiore o inferiore, fino a luci di 30-40 m, a trave reticolare per luci maggiori a 35-38 m fino a 100 m. Per il collegamento delle varie membrature tradizionalmente è stata adottata la soluzione con chiodature a caldo, e solo in seconda battuta si è ricorsi all’utilizzo di bulloni torniti in fori calibrati. Dai primi anni ’70 è stata introdotta la tecnica della saldatura in officina per l’unione di lamiere e profilati metallici, in modo tale da dover realizzare in opera il minor numero possibile di giunti. I principali effetti di degrado dovuti all’invecchiamento che si riscontrano su questo tipo di opere sono legati alla corrosione, che porta nei casi più gravi alla delaminazione degli elementi e perdita di spessore. La corrosione è accelerata da ristagni di umidità, presenza di fessure, attacchi chimici, contatto con differenti metalli (bulloni zincati con acciaio corten), concentrazione di sali da evaporazione, correnti elettriche vaganti. Altri effetti pericolosi per la sicurezza strutturale derivano dalla fessurazione sulle saldature e sulle delle lamiere, in particolare in corrispondenza dei giunti, e alla rottura delle connessioni chiodate o bullonate indotte dagli effetti di fatica per eccessivo numero di cicli di carico-scarico con livelli di tensione anche ridotti tipici di queste strutture leggere in cui la componente di sollecitazione dovuta ai carichi permanenti è ridotta rispetto alle escursioni (cicli
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TRASPORTI & CULTURA N.37 di tensione) che sono prodotti dal passaggio dei carichi mobili, ulteriormente amplificate per gli effetti dinamici di vibrazione. L’intento che si sta perseguendo da alcuni anni è quello di sostituire, con altre nuove, le travate metalliche, di costruzione ante 1916, realizzate in genere in ferro, e dimensionate con sovraccarichi che non consentono l’aumento dei pesi assiali e/o delle velocità. L’indirizzo generale è quello di prevedere la sostituzione delle travate metalliche con altre nuove solo per quelle non suscettibili di sostituzione con impalcati a travi in ferro incorporate nel conglomerato cementizio o con impalcati in c.a. o in c.a.p., essendo le spese di manutenzione delle opere d’arte più rilevanti per le opere metalliche. I ponti in muratura Lo schema statico di ponte ad arco in muratura risulta sicuramente la soluzione strutturale più utilizzata fino ai primi del Novecento, in quanto tale tipologia strutturale consentiva l’utilizzo di materiali da costruzione non resistenti a trazione, come murature e pietrame. Tale soluzione strutturale da un lato caratterizzata da realizzazioni di pregio architettonico, comportava delle limitazioni in presenza di grandi luci e dislivelli significativi. Generalmente gli archi in muratura sono strutture piuttosto robuste, e questo ha consentito per lunghissimo tempo il mantenimento in funzione per l’esercizio ferroviario, nonostante l’avanzare progressivo del degrado contestuale all’incremento dei carichi e delle velocità di progetto dei treni. Si possono evidenziare diverse patologie che caratterizzano spesso questo tipo di opere, che rappresentano le strutture più vetuste tra i ponti ferroviari attualmente in esercizio. Per quanto riguarda il degrado delle fondazioni, non sono infrequenti problemi legati alle dislocazioni di mattoni dovuti a erosione dei giunti, scalzamento e cedimenti differenziali che possono essere estremamente pericolosi data l’iperstaticità degli schemi strutturali. A livello delle sovrastrutture, la volta può essere affetta da problemi di deterioramento dei mattoni ed erosione dei giunti di malta, efflorescenze, (spesso dovuti a insufficiente impermeabilizzazione, cicli gelo-disgelo, radicamento di vegetazione), deformazioni con fessurazioni longitudinali o trasversali (legati anche ad eventuali cedimenti fondali), separazione fra i conci per gli archi, e perdita di materiale all’intradosso con riduzione dello spessore della volta nei casi più gravi. Frequenti sono movimenti del timpano laterale (scorrimenti, rigonfiamenti, distacco dalla volta), soggetto a incrementi di spinta laterali per l’imbibizione del materiale di riempimento (dovuto al malfunzionamento del sistema di smaltimento delle acque) e l’aumento dei carichi mobili. Per quanto riguarda tale tipologia costruttiva, nelle moderne linee ferroviarie tale soluzione risulta oramai abbandonata, essendo tali opere praticamente soggette ad interventi nell’esclusivo ambito del rinforzo strutturale e adeguamento funzionale delle linee esistenti.
rizzati da strutture massive per lo più funzionanti a compressione semplice sono stati utilizzati per l’allargamento dei ponti ad arco e raddoppio delle linea ferrate. L’uso massiccio del calcestruzzo armato per ponti a travata (o “solettoni”) risale all’immediato dopoguerra, con il ricorso secondo la prassi costruttiva dell’epoca, alla realizzazione di impalcati a travate in c.a. con soletta collaborante, aventi luce media compresa tra 20 e 25 m e caratterizzate dallo schema strutturale di semplice appoggio. Le soluzioni con calcestruzzo armato precompresso sono successive: le prime applicazioni sulla rete ferroviaria italiana si hanno sulla linea Direttissima Roma-Firenze negli anni ’60. Attualmente è il materiale più utilizzato per le travi dei ponti aventi luci mediograndi (20-60 m). Per ponti monocampata a luci medio-piccole il c.a. è stato utilizzato negli anni anche per soluzioni di ponti integrali, in cui la soletta viene gettata in continuità con le spalle, eliminando i giunti strutturali. Esempi più recenti sono sottovia scatolari, in cui la struttura integrale è collegata inferiormente da una platea di fondazione (soluzione a scatolare utilizzata per i sottovia, impiegata per monoliti a spinta costruiti a lato della linea esistente e successivamente varati utilizzando la tecnica dell’infissione oleodinamica, permettendo in tal modo di garantire la continuità dell’esercizio della linea ferroviaria. Le strutture in cls (armato e precompresso) presentano in generale meno problemi legati all’adeguamento funzionale delle linee, essendo di epoca più recente rispetto ad altre tipologie (travate metalliche e ponti in muratura storici), tuttavia possono essere affetti da problemi di degrado anche accentuato, spesso localizzato in punti specifici (come ad esempio giunti strutturali, appoggi)
3 - Ponti ferroviari a singola campata ad arco dei primi anni del ‘900 (FS, Torino 1907): prospetto di ponte in muratura. 4 - Ponti ferroviari a singola campata ad arco dei primi anni del ‘900 (FS, Torino 1907): prospetto di ponte in muratura.
I ponti in calcestruzzo, calcestruzzo armato, calcestruzzo armato precompresso Le opere in cls si sono inizialmente diffuse in ambito ferroviario come sostitutive delle strutture a volta in muratura per l’economia e rapidità di esecuzione e per i minori costi di manutenzione delle opere murarie rispetto alle strutture in acciaio. Ponti in cls ad arco debolmente armati, caratte23
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5 - Patologie tipiche dei ponti esistenti in muratura: fessurazioni della volta con separazione del timpano laterale, efflorescenze, erosione superficiale dei mattoni, penetrazione di umidità e vegetazione, scalzamento del sistema fondale alla base. .
che si sono rivelati punti di estrema debolezza per tali soluzioni costruttive. La scarsa attenzione ai dettagli e agli aspetti di durabilità tipica delle realizzazioni in cls armato del dopoguerra e degli anni ‘60, (insufficiente copriferro, giunti termici insufficienti o mancanti, insufficiente armatura di diffusione per effetti locali, mancanza d’impermeabilizzazione, posizionamento errato dei pluviali per lo smaltimento delle acque) hanno accelerato nel tempo i fenomeni di degrado e le difettosità intrinseche di questo tipo di strutture. Conseguentemente fenomeni di carbonatazione, corrosione delle barre, espulsione dei copriferro, fessurazioni localizzate e diffuse, perdita di precompressione nei cavi degli impalcati in c.a.p, sono frequenti in questo tipo di strutture, con diversa gravità a seconda dei casi. Strutture miste acciaio-calcestruzzo Le prime realizzazioni di strutture miste in ambito ferroviario hanno riguardato l’impiego di solettoni in cls con travi a doppio T incorporate. Tale soluzione è tipica per ponti ferroviari di piccola luce, quando si vuole limitare l’altezza dell’impalcato: i solettoni sono formati da una serie di travi metalliche con profilo a doppio T annegate in un getto di calcestruzzo che le ricopre completamente, lasciandone in vista la sola piattabanda inferiore. Poiché la resistenza dell’impalcato è affidata totalmente alle travi metalliche, eventuali fessurazioni del calcestruzzo possono preoccupare solo in quanto aumenta il rischio di corrosione di queste travi, che oltretutto non sono ispezionabili. Altre soluzioni, più recenti, sono costituite da travi in acciaio a sezione aperta o a cassone con soletta in calcestruzzo collaborante, resa solidale alle travi in acciaio per mezzo di connettori. La sezione mista presenta delle caratteristiche di rigidezza superiori a quella di solo acciaio, ha delle migliori caratteristiche d’inerzia termica, contribuisce a ridurre le vibrazioni, e consente una notevole flessibilità delle soluzioni planimetrica e di geometria delle sezioni da adottare per gli schemi a travata. La maggior parte dei ponti ferroviari realizzati in struttura mista, così come quelli realizzati con travi in c.a. o c.a.p. sono di recente realizzazione (epoca successiva al 1945) e non presentano particolari difficoltà nelle operazioni di riclassificazione, se non legati alla valutazione dello stato effettivo di
6 - Patologie tipiche dei ponti esistenti in acciaio: corrosione, delaminazione degli elementi con perdita di spessore, rottura delle giunzioni chiodate per fatica.
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manutenzione della struttura e dei possibili effetti combinati di danneggiamento meccanico (indotto per esempio dalle maggiori vibrazioni) e di degrado dei materiali.
Effetti sulle opere d’arte legati alla riclassificazione delle linee Nell’ambito delle opere collocate lungo le linee ad Alta Velocità/Alta Capacità, emerge la necessità di un adeguamento statico a fronte delle maggiori sollecitazioni indotte dal passaggio dei convogli a velocità maggiori rispetto a quelle delle linee di normale connessione. Contestualmente è sorta anche la necessità, veicolata dall’aggiornamento introdotto nella normativa tecnica italiana dell’ultimo decennio, di un adeguamento sismico finalizzato alla mitigazione delle potenziali vulnerabilità per le opere ubicate in zona sismica. Nel corso degli anni si è resa più volte necessaria la valutazione dell’adeguatezza delle opere d’arte a rinnovate esigenze e caratteristiche del traffico circolante. Tale adeguamento è stato spinto anche dalla necessità di uniformare lo standard progettuale dei ponti in sede europea, per favorire la circolazione ferroviaria e consentire l’interoperabilità delle linee. L’evoluzione del quadro normativo è stata contrassegnata da alcune tappe fondamentali (1916, 1925, 1945, 1995), coincidenti con la ridefinizione di nuovi “treni di progetto”, carichi di tipo convenzionale (assiali o distribuiti) definiti allo scopo di produrre sulle strutture sollecitazioni superiori a quelle dei treni in circolazione. Gli indirizzi elaborati in ambito comunitario con gli Eurocodici sono stati recepiti con la circolare N.I./ SC/PS-OM/2298 del 2 giugno 1995 (aggiornata il 13/01/97) riguardante “Sovraccarichi per il calcolo dei ponti ferroviari. Istruzione per la progettazione, esecuzione e collaudo”, che distingue due tipi e inseriti nella normativa vigente DM.14.01.2008, con l’introduzione dei due nuovi modelli di carico, LM71 per il traffico normale e SW per il traffico pesante. Tale norma ha introdotto una sostanziale modifica, oltre che nella definizione dei carichi accidentali, anche nella valutazione degli effetti dinamici rapportati alla lunghezza caratteristica dell’elemento e allo standard manutentivo.
TRASPORTI & CULTURA N.37 Nell’effettuazione delle verifiche delle strutture, le sollecitazioni e gli spostamenti determinati per l’applicazione statica dei treni di carico, devono sempre essere incrementati per tenere in debito conto la natura dinamica del transito dei convogli: in aggiunta ai treni di progetto vanno difatti considerati i carichi di categoria, riguardanti i carichi realmente circolanti. In base ad accordi internazionali, ai fini della circolazione dei carri, le linee delle principali reti ferroviarie sono state classificate in categorie caratterizzate da un peso massimo per asse e dal peso massimo per metro corrente. Di fatto, nell’ultimo ventennio, si è posta la necessità di elevare le linee fondamentali alla categoria D4 utilizzata in sede europea quando invece in precedenza le linee principali erano di categoria C4, e portare praticamente tutte le linee secondarie alla categoria C4. Per la determinazione degli effetti dinamici indotti dai carichi reali, in relazione al potenziamento delle linee esistenti generalmente vengono condotte delle verifiche semplificate: tali analisi consistono nel confrontare le linee di influenza dei carichi reali con i rispettivi rodiggi, considerando l’effetto di incremento dinamico indotta dalla velocità di transito. Nel caso le verifiche non siano soddisfatte viene definita una limitazione di velocità per compensare con minor incremento dinamico l’aumento di carico. Un altro aspetto rilevante tra le problematiche da prendere in considerazione durante le attività di riclassificazione delle linee ferroviarie è la tematica della fatica dovuta all’esercizio di carichi ciclici, avente ruolo preminente per i ponti con impalcato a travate metalliche. Tale patologia viene registrata nella maggior parte dei casi a livello dei dettagli strutturali, i quali sottoposti a cicli di carico periodici (come quelli derivanti dal passaggio dei convogli ferroviari) collassano per valori di tensione inferiori a quelli caratterizzanti il comportamento a rottura dello stesso materiale costituente i vari elementi. Molti studi sono stati sviluppati nel corso dei passati decenni su questa tipologia di danneggiamento strutturale, osservando come questi fenomeni siano maggiormente presenti per elementi soggetti a numeri elevati di sollecitazioni cicliche e range di escursione tensionale elevati. Lo scopo di tali lavori è infatti quello di andare a stimare per ciascun dettaglio costruttivo la vita residua, ovvero il numero di cicli di carico rimanenti prima di giungere a rottura del dettaglio per fatica, in maniera tale da stimare una tempistica entro cui andare ad eseguire interventi di adeguamento strutturale prima di raggiungere le condizioni di collasso locale o nei casi peggiori di collasso globale. Un altro aspetto meritevole di approfondimento nella valutazione della capacità strutturale di opere da ponte a travate in acciaio durante le operazioni di riclassificazione delle linee è quello della stima degli effetti dalle vibrazioni indotte dai flussi di circolazione ferroviaria sugli elementi strutturali componenti i ponti. Nell’analisi delle vibrazioni è necessario l’impiego di stazioni sismologiche digitali portatili in grado di rilevare con precisione tutte le vibrazioni indotte sulle strutture, fornendo oltre ai parametri di picco delle componenti del moto del suolo e le frequenze sollecitanti le strutture. La normativa vigente più aggiornata è la UNI 9916 del 2004, che fornisce una guida per la scelta di metodi appropriati di misura e di trattamento dei dati per la valutazione degli effetti delle vibrazioni sugli edifici. Le analisi delle vibrazioni nell’ambito delle atti-
vità di Structural Health Monitoring permettono quindi di andare a valutare gli effetti dinamici in termini di deformazioni e spostamenti indotti dal passaggio di convogli ferroviari, e nell’ottica della rifunzionalizzazione di linee esistenti per upgrade a flussi ferroviari AV/AC, consentono di valutare gli effetti derivanti dalla circolazione dei convogli a velocità maggiorate lungo la linea.
Conclusioni Il contributo proposto presenta gli aspetti principali inerenti alle operazioni di riqualificazione di linee ferroviarie e alle relative operazioni di rifunzionalizzazione delle opere d’arte presenti lungo il tracciato ferroviario. Nella prima parte del lavoro vengono passate in rassegna le principali tipologie di opere d’arte presenti lungo i tracciati ferroviari italiani, evidenziando i potenziali aspetti di vulnerabilità legati all’insorgenza di fenomeni di deterioramento dei materiali e invecchiamento delle strutture. Nella seconda parte vengono descritte le principali problematiche legate alle rifunzionalizzazione dei ponti metallici approfondendo le tematiche della fatica e dell’aumento delle vibrazioni indotte dal passaggio di convogli ferroviari a velocità superiori rispetto a quelle per cui erano state progettate le opere originariamente. È importante notare come la quantificazione della vita residua delle opere da ponte, specie per le più datate, sia oggigiorno uno degli aspetti salienti nella gestione delle reti infrastrutturali e pertanto risulti imprescindibile che operazioni di rifunzionalizzazione delle linee ferroviarie debbano essere pianificate razionalmente proprio partendo da questi concetti di gestione del tempo del patrimonio infrastrutturale esistente. Riproduzione riservata ©
Bibliografia Conti Puorger A., Traini G., (1984). Attuali orientamenti nella progettazione e costruzione di travate metalliche per i ponti delle FS, “Ingegneria Ferroviaria”, Aprile 1984. Ferrovie dello Stato, (1945). Nuovi sovraccarichi per il calcolo dei ponti metallici, Circolare N.54 del 15 Luglio 1945. Ferrovie dello Stato, (1907). Modalità da adottarsi per la compilazione dei progetti dei manufatti, Direzione Generale FS, Torino 1907. Ferrovie dello Stato, (1916). Norme tecniche riguardanti le opere metalliche che interessano le ferrovie pubbliche, “Gazzetta Ufficiale del Regno” n 128 del 31-5-1916. Ferrovie dello Stato, (1999). Specifica Tecnica Riclassificazione delle linee e circolabilità delle locomotive sui ponti, del 4-101999.
7 - Tipologie storiche di ponti ferroviari in acciaio: ponte a trave reticolare chiusa sul fiume Tagliamento a Latisana.
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Le radici del “problema Val di Susa” intervista a Mario Virano a cura di Laura Facchinelli
La realizzazione di una nuova linea ferroviaria ad Alta Velocità/Alta Capacità è un’impresa assai complessa, già nella fase progettuale. Oltre agli aspetti prettamente tecnici si presenta l’esigenza di un corretto inserimento nel contesto ambientale. Questo significa che il progetto dev’essere pensato per un luogo ben preciso ed elaborato sulla base di un confronto con il territorio. Se questo non avviene, si possono presentare problemi difficili da affrontare, come in Val di Susa, dove si lavora alla costruzione della linea Torino-Lione. Per capire quali errori sono stati compiuti abbiamo intervistato Mario Virano, Presidente dell’Osservatorio sulla Torino-Lione. Che ha ripercorso con noi la storia delle grandi infrastrutture di trasporto, interpretando le ragioni che nel nostro Paese hanno portato, dagli eccellenti risultati dell’epoca del boom economico, a un progressivo impoverimento nel disegno progettuale e nell’uso dei materiali. Fino all’attuale diffusa situazione di degrado, dove non resta che attendere uno scatto di orgoglio per recuperare creatività e prestigio. Trasporti & Cultura - Nel nostro paese c’è una contraddizione: l’Italia che è stata esempio nel mondo di armonia e bellezza del paesaggio, ed è stata ammirata dai viaggiatori del grand tour, da mezzo secolo sta progettando in modo sciatto, anonimo, talvolta arrogante. In particolare nelle infrastrutture, che sono le opere più visibili e persistenti nel territorio, da tempo non c’è più quella capacità progettuale, quell’inventiva degli anni ’50-70 del Novecento che abbiamo visto recentemente in una mostra alla Triennale di Milano. Secondo lei per quale motivo si è verificato tutto questo? E quali sono le linee conduttrici per imprimere un cambiamento di rotta? Mario Virano – La realizzazione delle infrastrutture stradali ha avuto un “prima” e un “dopo” ed il discrimine è costituito dall’esempio ferroviario. Prima della diffusione del treno la strada accompagnava fisicamente il territorio, seguiva le curve di livello ed aveva un’integrazione obbligata e naturale con il suolo, connaturata alle sue stesse modalità costruttive. In altre parole era il territorio a comandare le infrastrutture. Nella seconda metà dell’800 si cominciano ad affermare le ferrovie, con le loro regole ferree imposte da livellette e raggi di curvatura che creano una nuova artificialità rispetto al territorio. Non accompagnano più le curve di livello, ma saltano da curva di livello a curva di livello: in corrispondenza degli avvallamenti si fanno i viadotti ed in corrispondenza dei rilevati le gallerie. Si comincia a scoprire il possibile senso dell’artificialità delle infrastrutture e questa “scoperta”, che nasce dalle ferrovie, si estende poi nella realizza-
The roots of the “Val di Susa problem”
An interview with Mario Virano by Laura Facchinelli The construction of a new High-speed/ High-capacity railroad line is a complex endeavor even in the planning phases. In addition to the purely technical aspects, it needs to be correctly integrated into the environmental context. This means that the project must be conceived for a specific site and developed on the basis of its relationship with the territory. If this does not occur, problems may arise that are difficult to deal with, like in Val di Susa, where construction of the Turin-Lyon line is underway against strong opposition. To understand the mistakes that were made we interviewed Mario Virano, President of the Turin-Lyon Observatory. He went over the history of great transport infrastructure with us, interpreting the motives that in our country, have led from the excellent results of the economic boom to a progressive impoverishment in planning and the use of materials, to today’s widespread deterioration. And on the issue of the Turin-Lyon High-speed line, Virano takes stock of the works in progress, which are concentrated on the construction of the great tunnel.
Nella pagina a fianco, in alto: la vallata nella quale si colloca la Stazione Internazionale la di Susa, frutto di un concorso di architettura vinto dal giapponese Kengo Kuma; in basso: stato del sito dopo la realizzazione dell’opera pevista.
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TRASPORTI & CULTURA N.37 zione delle nuove strade, pensate come “ferrovie della gomma”, con caratteristiche dettate dalla necessità di garantire gli standard trasportistici dei veicoli. Nasce così una nuova generazione di strade (autostrade) con performance omogenee non più determinate dalle caratteristiche dei territori attraversati, ma predefiniti in termini prestazionali assicurati attraverso i requisiti di infrastrutture artificiali tanto quanto le ferrovie. Questo processo nasce prima della guerra con le autostrade degli anni ’20 (Milano-Laghi, MilanoTorino ecc.) ma si afferma nel dopoguerra, e trova il suo coronamento più emblematico nell’Autostrada del Sole. I “facitori” di questa stagione infrastrutturale erano ben consapevoli del significato, dell’importanza e della straordinarietà degli interventi che stavano realizzando. Per fare l’Autostrada del Sole non c’è stata un’analisi di impatto ambientale come la intendiamo oggi, ma tutti hanno operato con una grande sensibilità per la portata ambientale e paesaggistica dell’opera in rapporto con i territori da attraversare: per far ciò quei “facitori” hanno mobilitato il meglio della cultura progettuale dell’epoca (Morandi, Nervi, Zorzi, ecc.) che erano non solo i migliori progettisti italiani, ma anche tra i migliori del mondo ed hanno progettato un’opera di grandissima qualità sia come manufatto che come inserimento ambientale grazie alla loro grande consapevolezza culturale che si stava facendo un’operazione straordinaria che sarebbe stata letta come segno della contemporaneità. Un segno ed una operazione concettualmente non molto diversi da quelli del periodo medioevale, quando sopra una montagna si costruiva un’abbazia: si compiva una violazione, ma … T&C - Ma si costruiva per sempre, nel modo migliore possibile …
1 - La nuova Stazione Internazionale di Susa: un’opera che rispetta e valorizza il territorio.
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Mario Virano – Proprio così. Io considero la costruzione dell’Autostrada del Sole e quel periodo una grande pagina della cultura professionale (progettuale, realizzativa ed ambientale) delle infrastrutture italiane. E non è sicuramente un caso che in quel periodo, mentre si realizzavano queste opere prototipali nella piena consapevolezza della loro eccezionalità (senza cadere nella banalizzazione della quotidianità ordinaria degli anni successi-
vi), si è anche creata ed affinata la formula delle concessioni per la loro realizzazione e gestione con un’invenzione (in ambito IRI, Partecipazioni Statali) della stessa qualità, sul piano imprenditoriale e finanziario, di quella ingegneristica di Zorzi, Musmeci, Nervi, Morandi. E non è certo un caso che, in quello stesso periodo, si siano “inventate” anche le aree di servizio autostradale a partire da uno spunto mutuato dagli Stati Uniti, ma che, in Europa, è diventato il modello (italiano) da seguire: prima con gli autogrill Pavesi, poi con quelli della società Autogrill si è creata l’organizzazione gestionale e la tipologia che hanno fatto scuola (e business). Insomma, da qualunque angolazione la si guardi, quella è stata una pagina di altissimo livello, in cui i “facitori” di infrastrutture erano consapevoli del loro ruolo e lo stavano gestendo al meglio per lasciare un segno permanente di qualità nella trasformazione e nell’ammodernamento del territorio alla luce delle nuove esigenze dei nuovi modelli di vita. T&C – Quanto dura questo fenomeno? Mario Virano - Questa pagina interessante, positiva, straordinaria finisce con gli anni ’70 perché si banalizza. Dal momento pionieristico, in cui si aveva la consapevolezza dell’operazione straordinaria, si passa ad una fase routinaria in cui si riduce l’opera stradale al suo esclusivo valore d’uso. Se si deve fare un ponte per attraversare un fiume ci si comincia a chiedere se c’è proprio bisogno di chiamare Morandi, che fa spendere un sacco di soldi con i suoi ponti strallati, o Musmeci, che s’inventa oggetti misteriosi come il ponte sul Basento quando basta avere due piloni con sopra una trave: una soluzione “da catalogo” costa sicuramente di meno. I “facitori” e tutti quelli che, in qualche modo, facevano (e fanno) parte della catena (i programmatori, gli amministratori pubblici, le imprese e i progettisti, quindi tutta la filiera) hanno ritenuto, in una sorta di progressivo svilimento utilitaristico, che in fondo le strade e le infrastrutture esaurissero il loro ruolo ed il loro significato nel loro impiego, ignorando le valenze territoriali e paesistiche di cui sono portatrici. Così arriviamo all’evento che trovo più emblematico: nel 1972 il Parlamento italiano vota una legge per vietare di fare le auto-
TRASPORTI & CULTURA N.37 strade. Riflettiamo sull’enormità di tale decisione: in generale se una cosa non la si vuole fare basta non farla e non la si fa. Se c’è bisogno di una legge per impedirla, significa che quella cosa è considerata nociva. C’è stato un momento, a cavallo degli anni’70, in cui la progressiva dequalificazione delle opere, l’arbitrarietà decisionale legata a logiche di campanile, lo squallore di tanti interventi – strade, superstrade, autostrade – hanno determinato una dequalificazione fisico-ambientale ed una perdita di credito della complessiva categoria dei “facitori di strade”, che ha delegittimato nell’opinione pubblica, le ragioni stesse della loro esistenza, del loro operato e delle loro opere. Tanto è vero che il Parlamento ha considerato quei prodotti – le autostrade – alla stregua di un prodotto “nocivo”, vietandone la costruzione per i successivi decenni fin quasi ai nostri giorni. Va detto che, allora, gli ambientalisti rappresentavano, a dir molto, l’1 per cento del Parlamento. Quindi vuol dire che il livello di delegittimazione era talmente radicato nell’opinione pubblica che la maggioranza assoluta del Parlamento – che era costituita da Democristiani, Comunisti, Socialisti, Repubblicani e Liberali – ha ritenuto di approvare una legge che oggi ci sembra quasi una follia. Io credo che la crisi sia derivata dalle colpe dei “facitori” che, ritenendo di poter abbassare il livello delle loro opere al mero valore d’uso e perdendo di vista i valori ambientali, hanno portato ad una delegittimazione radicale dell’intero settore agli occhi dell’opinione pubblica. T&C – Quali sono state le conseguenze? Mario Virano - Questa situazione si è tradotta in un fenomeno molto grave dal punto di vista culturale. Infatti per legittimare le opere nuove di cui si sentiva comunque l’esigenza, si è imboccata la strada della tendenziale “invisibilità” delle nuove opere e del loro occultamento come valore. Si cessa di realizzare le opere pensando che debbano ambire ad essere un valore per il territorio. Per le infrastrutture si afferma il modello delle fognature: tutti sono convinti che siano necessarie, ma tutti pensano che non si debbano vedere (e, tutto sommato, meno se ne parla meglio è). Le infrastrutture hanno mutuato il modello di legittimazione dalle fognature, con una totale dissociazione dalle ragioni funzionali che le motivano: “le faccio perché servono, ma so che faccio una cosa che è meglio che non si noti, perché tocca la decenza pubblica”. E questo è diventato foriero di una vera e propria concezione mimetica ed autodepressiva delle opere. Ho avuto la fortuna di lavorare con Riccardo Morandi negli ultimi anni della sua vita: l’avevo chiamato come presidente del Comitato Scientifico della EDOS SpA, che io dirigevo, e che si occupava di studi, ricerche e progetti. Riccardo Morandi mi raccontava spesso che la sua più grande amarezza era stata la progettazione del ponte sul Reno, in Emilia, dove lui aveva previsto uno dei suoi ponti strallati. Questo suo progetto era passato – se ricordo bene – per quattordici Commissioni Ambiente (regionali, provinciali, comunali, ecc.) con una babele di competenze istituzionali. Alla fine l’obiezione insuperabile che gli venne fatta fu “ma i piloni si vedono”. E quel ponte strallato a campata unica a grande luce non venne realizzato, scegliendo un banale ponte a travi appoggiate e pile nell‘acqua. Questo esito è emblematico di una concezione distorta della tutela del territorio e del
paesaggio, che si è riverberata fin nella valutazione di impatto ambientale e nella concezione delle compensazioni. Si tratta di due aspetti di un medesimo problema, che considera la realizzazione di un’infrastruttura indiscutibilmente ed inevitabilmente foriera di danni da esaminare in sede di valutazione di impatto ambientale. Teoricamente la valutazione di impatto, potrebbe essere algebrica (col segno più o col segno meno), ma praticamente è considerato ineludibile il segno meno del “valore sottratto”. Quindi l’obiettivo non può che essere quello di cercare di danneggiare il meno possibile il territorio con la realizzazione dell’opera agendo con due sole variabili: la mitigazione (ridurre il danno al minor livello possibile) e/o la compensazione (remunerare il danno non mitigabile). È una forma preluterana di mercato delle indulgenze e in questo caso si tratta di indulgenze ambientali. Tutto questo nel tempo è diventato cultura disciplinare e senso comune introiettando la identificazione della nozione di opera con quella di danno: il risultato è che l’idea stessa di un progetto infrastrutturale che possa e debba, almeno come obiettivo, portare valore aggiunto al territorio che attraversa, appare velleitaria ed irrealistica nonostante le buone pratiche. T&C – E oggi, com’è la situazione? Mario Virano – In base all’esperienza più recente – grosso modo fine anni ’90, inizio duemila – mi sembra che si stia determinando una consapevolezza nuova. Si è visto il carattere fallimentare di esperienze elusive della sfida della complessità e della qualità, opere che nascono già delegittimate e che vengono percepite come una minaccia contro cui inevitabilmente si forma una più o meno
2 - Il sito della nuova Stazione Internazionale di Susa.
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3 - Schema del tunnel di base di 57 km: 45 in Francia, 12 in Italia.
vasta opposizione sociale, considerata portatrice di valori contro i disvalori dell’intervento. Questo è il background dal quale dobbiamo affrontare i problemi di oggi ma, come dicevo, negli ultimi anni, dei fenomeni nuovi ci sono. Anzitutto si comincia finalmente a comprendere che, con una logica puramente difensiva (“non faccio fare nulla”) alla fine ci infiliamo nel paradosso di Pangloss del “Candide” di Voltaire, a cui capitano tutte le sciagure di questo mondo, ma è convinto di vivere nel migliore dei mondi possibili; infatti se qualcuno pensa che qualunque modifica o innovazione non può che peggiorare ulteriormente l’esistente, vuol dire che di fatto pensa di vivere nel migliore dei mondi possibili, il che palesemente non è. Nel frattempo si sono affermati dei modelli di successo che hanno in parte corretto, nell’opinione pubblica, la visione pregiudizialmente negativa delle infrastruttre. Per esempio i ponti di Calatrava, di Foster e quelli di Van Berkel sono diventati dei simboli positivi che hanno portato parecchia gente ed una parte significativa della cultura più avveduta, a dire: “allora si possono fare dei ponti belli da vedere”: che non è necessariamente un male se il pilone porta-stralli si vede, visto che a Rotterdam quello di Van Berkel e quello di Calatrava a Siviglia sono diventati simboli identitari dei luoghi e portatori di valore. Idem dicasi per il viadotto “Millaud” di Foster che è diventato un’attrazione turistica a sé. Si è così dimostrato con esempi concreti che la modernità può dialogare col paesaggio immettendo del “valore aggiunto” che arricchisce la storia. Ma perché ci sia questo dialogo le modificazioni che vengono introdotte devono essere di livello adeguato, portatrici di modelli di qualità contemporanea, comparabili con il ricco patrimonio del passato. Quindi gli interventi nuovi vanno gestiti con quella consapevolezza culturale che avevano i grandi autori dell’ Autostrada del Sole. Nel fenomeno-Calatrava (al di là dell’indubbia bravura del progettista) ha giocato anche il fatto che, in quegli anni, la Spagna era vista come un esempio di rinascita di un intero Paese e i suoi corifei nel mondo sono stati probabilmente i film di Almodovar e i ponti di Calatrava. Adesso anche la Spagna ha i suoi problemi e quindi il suo messaggio si è un po’ appannato. Negli ultimi anni è però cresciu30
ta in tutta Europa una sensibilità nuova dentro la cultura dei facitori di opere e nella parte più avveduta dell’opinione pubblica. Non è un caso ad esempio, che il programma dell’Alta Velocità in Italia si sia imperniato anche su un discreto numero di stazioni di grande qualità, che si sono poste il problema di lasciare un segno di modernità che dialoga con gli ambiti urbani e che è comparabile, almeno come ambizione, con le grandi operazioni nelle stazioni di fine Ottocento. Le stazioni di Porta Susa a Torino, di Firenze, di Bologna, di Napoli ecc.: mostrano il legame tra la realizzazione di una grande infrastruttura e nuove grandi operazioni urbanistiche con l’attenzione all’immagine urbana destinata a durare centinaia di anni. Il progetto di Kengo Kuma per la stazione di Susa si colloca in questo filone di ambizioni. T&C –Queste chiavi di lettura che lei propone sono molto interessanti. A proposito della realizzazione di grandi infrastrutture e dei fenomeni di opposizione decisa, radicale – come quella che si verifica in Val di Susa – mi sembra di capire che questa opposizione si verifica nei confronti della ferrovia, più che nei confronti della strada. La strada, in fondo, la possiamo utilizzare subito con la nostra automobile, in modo diretto e immediato, e quindi in fondo è un regalo che ci viene messo a disposizione, mentre la ferrovia può sembrare che serva meno, e comunque per salire in treno devo pagare un biglietto. Lei cosa ne pensa? Mario Virano – Credo che questo fenomeno involutivo manifestatosi soprattutto negli ultimi anni sia espressione di un declino della cultura ambientalista, nel senso di una sua riduzione all’ordinarietà della difesa dello status quo. Questo processo è ancora più chiaro nella posizione dei Verdi francesi, che per 15 anni, senza tentennamenti, sono stati strenui difensori della ferrovia (anche della Torino-Lione). Invece, nell’arco degli ultimi due anni, a seguito di varie questioni il Movimento si è spaccato al proprio interno ed è emersa una forte componente (in alcuni casi maggioritaria) contro le grandi opere. Per comprendere questa mutazione occorre ricordare che nel periodo della Presidenza Sarkozy la Francia ha avallato ben 15 grandi opere per circa 245 miliardi, risorse che nell’immediato non ci sono e anche in futuro sarà difficile reperire; pertanto, quando è stato eletto Hollande,
TRASPORTI & CULTURA N.37 si è imposta una selezione delle priorità e si sono verificate delle tensioni con una discussione che si è sviluppata in un clima fortemente competitivo (caratterizzando anche i lavori della “Commissione Duron” che ha suggerito un ventaglio di proposte con il suo rapporto denominato “Mobilité 21”). In questo clima i Verdi, che si erano sempre schierati per la ferrovia contro la strada e per il riequilibrio modale, si sono spaccati a metà: una parte permane su questa linea, ma l’altra ritiene che “non essendo in grado di prendere nessuna posizione di lungo periodo l’unica opzione strategica diventa quella di occuparsi delle piccole cose, rinunciando alle grandi trasformazioni”. E questa è anche la linea, grosso modo prevalente, dell’ambientalismo italiano, che si mescola con il radicalismo politico e abbandona ogni concreta prospettiva di reale “riformismo ambientale” preferendo ad esso la narrazione a-temporale di utopie palingenetiche, immaginando una trasformazione della società nei suoi fondamenti. Un personaggio di successo come Luca Mercalli - che vive in Val di Susa ed è uno dei teorici del movimento No-TAV – ipotizza un futuro non meglio identificato, con un assetto socio-produttivo di tipo neo-benedettino: nel periodo abbaziale c’era un sistema che viveva intorno all’abbazia; oggi le abbazie sono i centri info-telematici che mettono in relazione le parti del mondo per via essenzialmente immateriale e intorno a questi nuclei si crea un sistema di produzione-consumo a chilometro zero. In questa concezione non ci sarebbe più bisogno dei grandi trasporti, né del riequilibrio tra ferrovia e strada perché l’opzione è talmente radicale che si elimina il problema stesso del trasporto. In altri termini si rimette in auge il tema dell’utopia, in cui si racconta come si vorrebbe che andassero le cose in un futuro indeterminato, anziché occuparsi di che cosa fare concretamente perché le cose cambino giorno per giorno. Così facendo si rinuncia alla grande conquista del Rinascimento, che ha sostituito l’utopia solo raccontata della “Città del Sole” di Campanella, con i progetti di trasformazione in cui si organizzano risorse, competenze, saperi (che siano Raffaello, Piero della Francesca, Brunelleschi) per fare opere del proprio tempo. Questa evoluzione di una parte della cultura ambientalista cerca una legittimazione politico-filosofica e socio-culturale attraverso l’elaborazione ed il messaggio della “decrescita felice”: tuttavia le recenti esperienze di decrescita assai infelice (a seguito della crisi internazionale) hanno reso assai poco credibili tali suggestioni tra i cittadini dei vari Paesi. È questo il contesto in cui si deve operare. Siccome le ferrovie sono tra gli investimenti più duri e rilevanti in termini finanziari (necessariamente in capo alla spesa pubblica) è indispensabile ragionare in termini ragionevolmente lunghi ed in base a forti motivazioni strategiche. Se si teorizza un pensiero debole rivolto alle piccole cose e ad un orizzonte breve, ma nello stesso tempo si proclama la necessità di “cambiare il mondo”, allora si comprende come la ferrovia sia un bersaglio in qualche modo più esposto di quanto non sia la strada, che sembra più reversibile, che si può far fare ai privati, che ha tempi realizzativi più brevi e appare meno strategica, con un respiro un po’ più occasionale. Esistono certamente anche i comitati contro le autostrade, ma, come dire, si tratta di fenomeni assai meno strutturati. T&C - Parliamo dunque di Alta Velocità ferroviaria. Quali errori hanno determinato il “problema Val di
Susa”? Quali misure sono state adottate? A che punto siamo? Mario Virano – La conflittualità in Val di Susa ha un’origine precisa e deriva dal fatto che non si può tentare di elaborare a tavolino, sia pure con i migliori progettisti del mondo, un progetto e aprire la discussione con le comunità locali sulla base di un progetto che è e si chiama (particolare non irrilevante) “progetto definitivo”. L’origine è questa, accompagnata anche dalla peculiarità che è stata un’operazione condotta in regime di nascente “Legge Obiettivo”. Una legge che io ritengo positiva nel senso che voleva sottrarre alle spinte localistiche opere di interesse nazionale o internazionale. Però c’è modo e modo di applicarla. Diciamo che, nel suo momento nascente, in Piemonte, anche per una serie di ragioni politiche locali, ne è stato fatto un uso particolarmente gladiatorio. Il combinato disposto di un progetto già definito, e di una procedura metodologicamente gagliarda sicuramente ha creato non pochi problemi, a cui si è accompagnata una gestione del conflitto senza la consapevolezza che, quando l’ordine pubblico tocca decine di migliaia di persone, diventa un problema politico-sociale. Questo intreccio ha determinato un’esasperazione tale che si è tradotta in un’esplosione che ha segnato un discrimine difficilissimo da recuperare. Anche perché si è consolidato in posizioni politiche, in risentimenti personali, ha messo radici in maniera molto forte. L’origine, comunque, è nella partenza col piede sbagliato. Il problema è molto indicativo se viene letto in parallelo con la vicenda – stessa opera, stessa montagna, valle simmetrica – in Francia dove non è successo nulla di questo genere, anzi sono partiti praticamente subito i cantieri delle discenderie: non solo senza problemi, ma con un largo consenso, e ancor oggi quelle opere vengono ricordate come pagine positive che hanno determinato sviluppo, lavoro, occupazione, rispetto dell’ambiente. T&C - Perché questa differenza fra Italia e Francia? Mario Virano – Questo è un tema molto interessante. Bisogna ritornare indietro di qualche anno. La Francia, fino al 1995, aveva i nostri stessi problemi. Quando hanno provato a realizzare l’Alta Velocità nella zona di Marsiglia hanno avuto decine di migliaia di persone in piazza e scontri con la polizia, così come quando si è posto il problema della centrale nucleare Superphenix dove ci scappò anche il morto. A quel punto un ministro intelligente di origine italiana, il ministro Bianco, disse: basta, non possiamo immaginare che noi facciamo i migliori progetti possibili e c’è sempre la gente che non ci capisce. Forse c’è qualcosa di sbagliato nel meccanismo. E allora introdusse un primo correttivo attraverso una circolare, che sostanzialmente imponeva una “banalità” che è però il cuore della questione: il confronto con le popolazioni si fa prima di fare il progetto, non dopo. Questa indicazione, data dapprima con una circolare e poi strutturata in maniera più organica con la legge Barnier, detta del debat public, sostanzialmente dice che quando si intende realizzare un’infrastruttura si prepara un dossier con i dati essenziali dell’opera a livello di prefattibilità. Questo dossier passa a un soggetto terzo che gestisce il debat public, e in tre mesi, estensibili a sei, sente obbligatoriamente tutti quelli che ne hanno titolo: amministratori locali, associazioni culturali, am31
TRASPORTI & CULTURA N.37 bientalisti, sindacati, imprenditori, più quelli che chiedono di essere sentiti. Poi l’incaricato stende un report finale in cui dà conto della situazione che è emersa. A quel punto il dossier torna al promotore, che ha tre possibilità: può abbandonare l’opera o può andare avanti ignorando le criticità emerse; questi due casi praticamente non succedono mai. Si realizza quasi sempre la terza possibilità: cioé il promotore redige il progetto tenendo presenti le osservazioni. Il che vuol dire che il 70% delle questioni è risolto, e poi si tratterà sul 20-30 %, a progetto fatto. Il nodo centrale è questo. Noi per la Val di Susa abbiamo dovuto fare tutto questo ex-post. Il primo progetto è stato totalmente abbandonato ed integralmente rifatto. A quel punto era più difficile ripartire, con 50 mila persone che si erano mobilitate contro l’opera. Noi abbiamo fatto questa operazione attraverso l’Osservatorio, siamo arrivati a un progetto totalmente nuovo, che passa da un’altra parte ed è fatto in modo completamente diverso. Quando si è insediato il governo Monti, il ministro Passera ci ha chiesto di capitalizzare l’esperienza che avevamo fatto trasformandola in indicazioni per il Governo e per il Parlamento per modificare la legislazione italiana e introdurre norme tipo il debat public francese anche in Italia. Noi l’abbiamo fatto, abbiamo pubblicato un report (Quaderno n.9 dell’ Osservatorio) con un confronto fra le varie esperienza internazionali, le audizioni e le raccomandazioni; il ministro ha scritto il disegno di legge: il Governo è finito prima che il disegno di legge andasse in Parlamento, ma mi auguro che il nuovo Governo lo riprenda. Se non si fa questa operazione, noi non usciremo da questa condizione di conflittualità permanente. T&C – Adesso la situazione per l’Alta Velocità in Val di Susa qual è? Mario Virano - Siamo riusciti, attraverso questo processo, ad avere un progetto totalmente nuovo, realizzato con la partecipazione di una parte rilevante dei Comuni. L’Osservatorio ha avuto due fasi: nella prima, iniziata il 12 dicembre del 2006 e finita il 28 giugno 2008, l’agenda prevedeva di dare risposta alle quattro principali domande che venivano dal territorio e fino a quel momento erano rimaste inevase: - quale capacità residua ha la linea ferroviaria storica prima di farne una nuova? - qual è la domanda di traffico nell’intero arco alpino, visto che si fanno Gottardo e Brennero? - che cosa si fa sul collo di bottiglia del nodo metropolitano di Torino? - quali sono le possibili alternative di tracciato in Val di Susa? Siccome nel frattempo, nel maggio 2008, il Parlamento Europeo aveva dato un termine per la presentazione di eventuali progetti, pena la perdita dei finanziamenti, c’è stata una rapida accelerazione: ho riunito l’Osservatorio facendo presente che, col ritmo di lavoro normale non saremmo riusciti a rispettare quella scadenza e che l’unica strada possibile era quella di chiudersi in “conclave” in un eremo a Prat Catinat, a 1760 m. di quota, per cercare, attraverso un lavoro no-stop, di raggiungere un accordo entro in 30 giugno. Dopo tre giorni (e relative notti) abbiamo raggiunto l’obiettivo con l’intesa sul tracciato. Il 29 luglio 2008 si è riunito a Roma il Tavolo Istitu32
zionale di Palazzo Chigi che ha ratificato l’accordo e la proposta è andata a Bruxelles, guadagnandosi 760 milioni di finanziamento iniziale. L’operazione a quel punto era dunque partita. Il Tavolo Politico ha quindi cambiato la mission dell’Osservatorio: da quella di rispondere alle domande inevase, a quella della “governance” del progetto. Nella prima fase (quella delle risposte ) tutti i Comuni del territorio – favorevoli, contrari o neutri – facevano parte dell’Osservatorio; nel momento del cambiamento della mission, 13 Comuni su 50 si sono chiamati fuori per una contrarietà di principio all’opera prescindendo dalle sue caratteristiche progettuali e di tracciato. Il lavoro è proseguito con tutti gli altri e sviluppando il progetto preliminare che poi ha superato positivamente la valutazione di impatto ambientale e la delibera CIPE con l’approvazione in linea tecnica. Poi è iniziata la “governance” del Progetto Definitivo, compreso il concorso di architettura per la Stazione Internazionale di Susa vinto da Kengo Kuma. Il progetto definitivo è stato ultimato a gennaio 2013 ed ha iniziato l’iter approvativo il 15 aprile, e si concluderà entro l’anno; quindi si passerà all’appalto dell’opera principale, ovvero il tunnel di base, con le gare indette dal nuovo Promotore bi-nazionale, che si costituirà non appena i due Parlamenti avranno ratificato l’Accordo ItaliaFrancia completando la procedura attualmente in corso alla Camera dei Deputati e all’Assemblea Nazionale. Nel frattempo è operante in territorio italiano il cantiere per la realizzazione di una fondamentale opera collaterale, la galleria geognostica de “La Maddalena”, nel Comune di Chiomonte, analoga alle tre “discenderie” già realizzate in Francia negli anni scorsi. Queste gallerie servono per conoscere la geologia della montagna ma, ad opera ultimata, costituiranno anche le “uscite di sicurezza” del tunnel di base che devono essere posizionate ad intervalli non superiori a 15 km. Siccome il tunnel è di 57 km, di cui 45 in Francia e 12 in Italia, si comprende perché in territorio francese se ne siano realizzate tre mentre in Italia solo una. L’opera in Italia è particolarmente importante perché scavata con TBM a differenza dei lavori d’oltralpe che hanno utilizzato tecniche di scavo tradizionali. La cosiddetta “talpa” è già all’imbocco della galleria ed inizia lo scavo meccanizzato entro ottobre. Quindi dove i gruppi No-TAV avevano costituito la “libera repubblica della Maddalena” per impedire l’avvio dell’opera con blocchi stradali e l’arbitraria, unilaterale e discrezionale sospensione di Schengen in una parte del territorio europeo, è tornata la legalità, si lavora su tre turni per sette giorni su sette ed il cantiere procede regolarmente, sia pure con problemi vari di ordine pubblico. T&C - È possibile delineare un quadro sintetico delle trasformazioni dell’antagonismo contro l’opera in questi anni ed i caratteri attuali? Mario Virano - Il movimento No TAV nasce nel 2005 come moto di popolo, guidato dai Sindaci, contro un progetto specifico di linea ferroviaria impattante sul territorio, con un tracciato sulla sinistra orografica del fiume Dora Riparia, presentato al confronto pubblico ad uno stadio di elaborazione ormai pressoché definitivo. Quel movimento si è conquistato una legittimazione istituzionale straordinaria, ottenendo dal Governo prima il ritiro del progetto contestato, poi l’interlocuzione ai massimi livelli politici con il “Tavolo di Palazzo Chigi” e
TRASPORTI & CULTURA N.37 l’istituzione dello strumento partecipativo dell’ Osservatorio per definire un progetto radicalmente diverso dal precedente attraverso un lavoro collegiale. Questa prospettiva “riformista” ha coinvolto la maggioranza delle Amministrazioni che hanno scelto il dialogo, mentre una parte del movimento, che non ha mai accettato alcuna subordinata che non fosse l’abbandono puro e semplice del progetto e la rinuncia dell’Italia all’opera, ha scelto la lotta dura senza più reali discrimini rispetto al ricorso alla violenza, alleandosi alle frange estreme dell’antagonismo nazionale ed internazionale, con una minoranza irriducibile ed irragionevole che, passo dopo passo, sembra scivolare ormai sul crinale pericoloso del terrorismo. Questa deriva è caratterizzata da molteplici interazioni: la pratica della violenza da parte di una minoranza che si muove nella logica della guerriglia recide giorno dopo giorno i legami popolari anche con chi in Valle è contrario alla Torino-Lione, ma rifiuta certi metodi; il conseguente senso di crescente solitudine di queste frange antagoniste ne radicalizza ancor più il modus operandi, dando vita ad un pericoloso avvitamento comportamentale; intanto le azioni delle Forze dell’Ordine e della Magistratura hanno rotto il senso di impunità che per anni aveva contraddistinto una parte del movimento, che si riteneva legibus solutus; alla fine dell’impunità si è accompagnata poi una contradditoria e un po’ incerta, ma percepibile, fine dell’omertà che ha costituito a lungo l’habitat dell’illegalità. A tutto ciò si aggiunga l’effetto psicologico dell’avanzamento progressivo dei lavori (e del progetto) che consolidano nella pubblica opinione il senso dell’irreversibilità dell’opera e dell’inanità velleitaria delle contrapposizioni frontali.
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di scavo evitando ogni traffico di mezzi pesanti su gomma in valle; nel periodo 2014-2015 si costituisce il Promotore Pubblico (che subentra ad LTF) abilitato a bandire le gare per l’opera principale, e si perfezionano le procedure per l’acquisizione del contributo europeo al 40%; nel 2016 iniziano i lavori del tunnel di base destinati a durare 10 anni di cui circa 8 per gli scavi e 2 per l’attrezzaggio tecnico; nel decennio 2016- 2026, mentre si realizza il tunnel di base, i due Stati cominciano l’ammodernamento delle tratte nazionali di adduzione eliminando le singolarità che penalizzano la linea in Italia ed in Francia in modo che l’apertura del nuovo traforo alpino alla quota di pianura possa essere utilizzata al meglio sull’intera direttrice.
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T&C - È possibile fare una previsione sul completamento della Torino-Lione? Mario Virano - Ho già sottolineato che la parte cruciale dell’opera è la trasformazione della linea di montagna in linea di pianura realizzando il Tunnel di Base di 57 km (di cui solo 12 in Italia). Questo è il motore dell’intera operazione, (l’intendence suivra). Questo è anche l’obiettivo su cui si concentrano tutte le iniziative politiche e diplomatiche, gli sforzi finanziari e le elaborazioni tecniche. Si tratta comunque di un percorso complesso ed in parte vulnerabile per le molteplici incombenze da adempiere, per la pluralità dei soggetti coinvolti e per il tempo realizzativo necessariamente lungo. Tuttavia è possibile ipotizzare una road map ragionevolmente attendibile per le decisioni: - il 12 novembre 2013 è iniziato lo scavo meccanizzato con TBM della galleria geognostica de “La Maddalena” a Chiomonte che durerà per circa due anni e che, ad opera finita, diventerà una delle 4 “uscite di sicurezza” del tunnel di base (le altre 3 sono in Francia, ultimate dal 2009); - nel 2014 cominciano i lavori dei primi 9 km di una canna del tunnel di base in Francia a S. Martin la Porte, realizzata come intervento geognostico ma già in asse e di sezione propria dell’opera finale; - nel 2015 si realizzano in Francia ed in Italia le opere preliminari a S. Jean de Maurienne ed a Susa dove si anticipa una galleria di 2 km per raccordare ferroviariamente l’area di cantiere alla linea storica in modo da utilizzare solo il treno per tutte le movimentazioni dei materiali 33
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L’Alta Velocità in Italia, un vilipendio alla venustas di Enzo Siviero
In Italia, la storia delle ferrovie si è sempre intrecciata con l’alta qualità dei ponti e viadotti realizzati in un secolo e mezzo di esercizio. Ancor oggi, le splendide strutture in muratura con le loro magnifiche arcate grandi e piccole, talora anche in curva o in obliquo, destano stupore e meraviglia, non solo per la tenuta nel tempo e per la capacità di “reggere” carichi ben superiori a quelli del passato, ma soprattutto per la loro piena integrazione nel paesaggio circostante. Anzi, oserei dire che, al pari dei mitici acquedotti romani, essi stessi “sono” paesaggio. Questo atteggiamento mentale, invero assai colto ed efficace da ogni punto di vista, è sempre stata la regola delle ferrovie in tutto il mondo ma, senza ombra di dubbio, ancor più per l’Italia ideologicamente “pontificale” che, con tali presupposti, con una invidiabile tradizione e con l’orgoglio del “ferroviere”, avrebbe potuto cogliere l’occasione di “interpretare” in chiave moderna l’Alta Velocità come vera e propria palestra di cultura tecnica intersecata con una forte sensibilità paesaggistica, che certamente non poteva mancare nel Bel Paese. Le premesse erano ottime. Una trattativa privata “senza gara” in extremis prima che entrassero in vigore le direttive europee, General Contractors di assoluto rilievo quali ENI, IRI, FIAT, una significativa libertà di azione “sul territorio”, un blando vincolo economico che nel tempo si sarebbe poi rivelato ancor più permissivo. E ancora, un capitolo di spesa “a borsa quasi libera” quanto a opere compensative, uno staff tecnico di prim’ordine messo in campo ad hoc, per progettare e dirigere i lavori per le nuove opere, un rapporto molto stretto con i territori attraversati, una sostanziale “benevolenza” del Committente preoccupato di portare a casa il risultato funzionale nel più breve tempo possibile. E via di seguito... Ma il risultato, ahimè, non ha corrisposto alle aspettative, ed è sotto gli occhi di tutti! Una manifesta cecità della committenza! Una pressoché totale disattenzione degli apparati di tutela del Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Ben poco hanno potuto (o voluto) fare le Soprintendenze per le sistematiche violenze territoriali perpetrate in nome di una pseudo-efficienza operativa volta alla (ipotetica) velocità di realizzazione! Dopo vent’anni, il quadro che emerge in tutta evidenza è quello di una incultura generalizzata dove il termine “opera d’arte” è ridotto ad un misero eufemismo. Funzionalità? Certo, ci mancherebbe che l’Utilitas non ci fosse! Sicurezza? Ma quando mai si può mettere in dubbio che la Firmitas non sia la prima preoccupazione per ogni ingegnere responsabile per legge!
High-speed in Italy, a vilification of venustas by Enzo Siviero In Italy, the history of railways has always been linked with the superior quality of the bridges and viaducts that have been built for them. These magnificent masonry structures with their large and small arches, sometimes built on bends or running obliquely, remain striking and inspiring. In fact, they are characterized by their durability and their ability to “bear” loads much greater than those of the past, but also for their total integration into the surrounding landscape. Italy has inherited a glorious tradition. Morandi, Krall and Zorzi, are considered the finest designers of the past, and their projects are world-famous to this day. Unfortunately, this tradition has not had the necessary continuity, and later projects have been often characterized by their insufficient attention to the quality of design and the inclusion into the urban landscape. A reversal of the trend in this sense is desirable for the future, so that Italy may once again be a protagonist and epitome of this extraordinary tradition of bridges and High-speed.
Nella pagina a fianco: viadotto sul Basento di Sergio Musmeci.
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1 - In alto: veduta aerea dell’antico borgo di Sgurgola con l’infrastruttura principale che taglia in due il territorio, il ponte moderno costruito accanto a quello antico forse di età romana, e la torre merlata di origine medievale. 2 - Al centro: viadotto Fiumarella di Riccardo Morandi. 3 - In basso: progetto del ponte ferroviario a Chioggia (2007 - progetto E.Siviero-F. Bontempi) a superamento del canale Po di Brondolo.
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Ma che dire dell’estetica? O, più modestamente, dell’architettura di queste opere? Ma questi sedicenti “progettisti” conoscono la storia dei ponti (anche solo di quelli italiani)? A ben vedere, ciò sarebbe stato ampiamente sufficiente a “farsi un’idea” sul significato sociale del termine Venustas che, assieme alle sopracitate Utilitas e Firmitas, chiude la triade “vitruviana” (ma anche albertiana e palladiana giusto per limitarci ai più noti architetti di un passato forse troppo lontano per essere ricordato dagli ingegneri, paghi della loro innegabile capacita di “risolvere” ogni problema, per l’appunto squisitamente “tecnico”!). A parte le ferite territoriali certamente inevitabili per le forti limitazioni delle geometrie prescritte,
molto spazio avrebbe potuto essere riservato alle tematiche di mitigazione intrinseche alla sede ferroviaria e alle sue pertinenze più strette. Così come, in ben altro modo, si sarebbero dovute risolvere le frammentazioni territoriali nei luoghi interclusi. E che dire delle opere compensative che, solo in rarissimi casi, sono state oggetto di attenzioni anche per l’architettura e il paesaggio circostante. Ma quel che più irrita chiunque abbia un minimo di sensibilità è la mostruosa accozzaglia di travi “a geometria variabile” laddove nessuna attenzione è stata posta ai raccordi tra impalcati e rilevato, tra campate adiacenti, travi alte travi basse, uso dell’acciaio e del calcestruzzo, senza alcuna logica financo geometrica, se non quella estremamente banale, dell’utilizzo di quel che ciascun prefabbricatore aveva “a magazzino” ovvero più conveniente al carpentiere di turno, nella miserrima dinamica contrattuale dei subappalti, senza alcun coordinamento colto o quanto meno volto a non assecondare ogni richiesta in nome di velocità realizzativa ed economica! Ma siamo poi così certi che i costi finali non potessero essere ben più contenuti? Ovvero che le tematiche architettonico-paesaggistiche intrinseche nella tradizione italiana e non solo, fossero così impossibili da affrontare con la necessaria attenzione? In fondo, l’ultima grande opera capace di trasformare i luoghi, le genti e le culture è stata la mitica Autostrada del Sole, completata con risultati a dir poco eccezionali in pochi anni, con mezzi certamente limitati e con uno straordinario coraggio capace di superare anche le diffidenze dell’establishment ministeriale del tempo. E dire che per taluni era addirittura ritenuta irrealizzabile! Un’opera che tutto il mondo ci ha invidiato, tanto da meritare il plauso internazionale con una apposita mostra al MoMa di New York. Ebbene, soffermiamoci sulla qualità complessiva dei progetti. Ricordiamo almeno alcuni nomi di progettisti che appartengono all’eccellenza mondiale: Riccardo Morandi, Giulio Krall, Silvano Zorzi, giusto per citarne alcuni... Talune opere sono ormai la parte finale della nostra gloriosissima storia. Ma chi ha raccolto il testimone di tanta gloria? Quanti ponti dell’Alta Velocità sono degni di essere ricordati per la loro eccellenza? Credo si possano contare sulle dita di una mano! Nè sono bastate le straordinarie personalità di Giorgio Macchi, Mario Paolo Petrangeli e Giuseppe Mancini per qualificare l’intero tracciato. Episodi locali volti a risolvere problematiche particolari, senza pensare ad una loro generalizzazione. Fu vera gloria? Invero a me sembra che ci sia molta polvere e ben pochi altari.... La banalizzazione degli esiti è diventata la regola per tutti. Sembra quasi che vi sia stata una vera e propria competizione. Vinca il peggiore! In effetti voglio qui soffermarmi in particolare sulla TorinoMilano e sulla Milano-Bologna, ove tutto quanto ho inteso segnalare ha trovato un inaudito riscontro palesemente esibito a mo’ di trofeo dell’incultura generalizzata e ampiamente praticata! Nessun pentimento. Nessuna vergogna. Nessun ripensamento. Solo l’orgoglio di una realizzazione “grande” per quantità e ingegno tecnico! Ma molto “piccola” quanto agli aspetti qualitativi per la negazione dell’architettura e la scarsa attenzione al paesaggio. Eppure, sarebbe bastato un banale “confronto” con Francia e Spagna, per non parlare poi della Repubblica Ceca, per chiedersi se a progettare e realizzare questo “mostro dalle mille ramificazioni” siano effettivamente gli stessi “ita-
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gnamento di Pierluigi Nervi sulla buona arte del costruire è ormai un’eredità negletta, come ho avuto modo di scrivere in un recente saggio ora in corso di pubblicazione, laddove l’insegnamento dei Ponti nelle nostre Università non contempla, se non in modo marginale, qualche riferimento alla storia e alla concezione progettuale avanzata, mentre fiumi di ore vengono impiegate per insegnare la normativa italiana e gli Eurocodici. Finiremo per regalare agli architetti anche questa componente della professione più squisitamente appannaggio degli ingegneri. Alla fine di ottobre del 2013 sono stato invitato in Cina, in occasione del 55° anniversario della Fuzhou University, ad aprire un convegno sull’insegnamento dei ponti. In tale occasione, ho avuto modo di “raccontare” la nostra storia più recente a partire da fine ‘800 con Camillo Guidi, Giuseppe Albenga, Giulio Krall, Adriano Galli, Arturo Danusso, Luigi Santarella, Luigi Stabilini, Riccardo Morandi, Pierluigi Nervi. E ancora Francesco Martinez y Cabrera, Fabrizio De Miranda, Mario Paolo Petrangeli, Marcello Arici, Giuseppe Mancini, Piergiorgio Malerba, Luigino Dezi, e così via..., ciascuno presentato con il proprio libro e almeno un’opera. Ebbene, un tempo chi insegnava ponti ne era anche progettista. Oggigiorno ciò non è più possibile, e ormai la maggioranza di docenti non ha mai progettato alcunché. Ecco quindi una chiave di lettura dell’attuale desolazione nella incapacità di perseguire la concezione progettuale come atteggiamento mentale prioritario! Non dobbiamo dunque rammaricarci se l’Alta Velocità ha avuto questi esiti. Non era difficile prevedere quanto puntualmente si è verificato. Se è vero, come è vero, che la storia è maestra di vita, l’aver trascurato la storia ha cancellato i veri maestri ormai relegati a mere citazioni di un passato glorioso, senza alcun riscontro rispetto ad un oggi che di certo non ci fa onore. Non ci resta che confidare nell’azione colta, paziente e determinata di Mario Virano, Commissario per l’Alta Velocità (forse non a caso architetto...), per riabilitare l’Italia almeno nella futura tratta Torino-Lione, e sperare che questa occasione valga da esempio per migliorare la concezione progettuale anche della tratta Milano-Verona-Venezia, ancora nel limbo della fattibilità! Consolazione a futura memoria... Riproduzione riservata ©
Bibliografia M. Virano, Parole sulla strada, a cura di Fabrizio Bonomo, Torino, 2002. M. Virano, Novaroad-un living bridge intermodale per il territorio, l’Arca Edizioni, Milano, 2008 AA.VV., Infrastrutture viarie, luoghi, architetture e paesaggi, 4th International SIIV Congress, Palermo, 2007 E. Siviero, M. Culatti, F. Siviero, Il guasto del territorio, Il modello veneto fra storia e futuro, a cura di O. Longo, Il Poligrafo, Padova, 2008 M. Arici, E. Siviero, Nuovi orientamenti per la progettazione di ponti e viadotti, Dario Flaccovio Editore, 2005. E. Siviero, L’insegnamento di P. L. Nervi. Un’eredità negletta?, a cura dell’Università Federico II di Napoli, nel volume “Il mondo di Pier Luigi Nervi. Luoghi, forme, strutture”, 2014.
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Intervento di mitigazione ambientale nella valle del San Pellegrino per la tratta Alta Velocità Firenze-Bologna di Riccardo Renzi
Il sottile limite su cui si basa la distinzione tra opera infrastrutturale, di natura prettamente tecnicistica, e intervento di landscape architecture, mai quanto in questa realizzazione tende ad assottigliarsi fino a divenire impercettibile1. Le recenti definizioni di una crescente dimensione paesaggistica del fenomeno architettonico2 aiutano a comprendere una sensibilità diversa, che il sistema di revisione contemporanea della cultura del progetto comprende all’interno di una più ampia accezione dei margini operativi entro ed oltre i quali muoversi, travalicando quelle zone da sempre relegate a discipline di natura tecnica, per imporre un nuovo strumento di controllo del processo di gestione dello spazio ove spesso si demanda ad altre competenze. Se per un’appartenenza sovra-ordinata relativa alla sfera del paesaggio riscontrabile in un’opera infrastrutturale l’attribuzione è indubbia, infatti, rimane in un terreno instabile quella che è una collocazione della gestazione progettuale3. L’intero insieme di azioni volte a dare una risposta funzionale e pratica all’opera infrastrutturale, quale diretta rispondenza di un sapere ingegneristico, escludono quasi sempre l’ambito relativo alla progettazione architettonica4. La vicenda della linea ferroviaria Alta Velocità in Toscana, nel Mugello, è questione dalle molteplici problematiche, non nuove a causa del contesto rilevante rappresentato da due determinanti fattori: la presenza dell’Appennino tosco-romagnolo, con le sue caratteristiche orografiche di difficile superamento per una linea infrastrutturale, che non può essere pensata in salita ed in discesa se non entro certi limiti, ed il paesaggio prevalentemente naturale, da tutelare nei confronti di modificazioni che ne possano alterare le caratteristiche. Da quest’ultimo punto di osservazione nessuna opera infrastrutturale sembra adattarsi alle necessità di non modificazione di un luogo che presenti caratteristiche tali come il Mugello. Eppure le necessità di un Paese quale l’Italia passano, assieme ad opportunità di sviluppo attuale e futuro, attraverso il consolidamento di una rete di trasporto capace di rendere più flessibile lo spostamento 1 Cfr. M. Jakob, Il paesaggio, Il Mulino, Bologna, 2009, e P. D’Angelo (a cura di), Estetica e Paesaggio, Il Mulino, Bologna 2009 2 Cfr. P. Gregory, La dimensione paesaggistica del progetto architettonico, Laterza, Bari, 1997. 3 Si pensi alla realizzazione degli spazi interni alle gallerie o al progetto di un ponte che, sebbene legate a forme derivate da sistemi tecnologico-funzionali, hanno valenza di architetture e rapporti con il paesaggio. 4 Cfr. J. Schwartz, The sensuality of Engineer, in C. Girot, A. Freytag, A. Kirchengast, D. Richter, Landscript n.3 Topology, Jovis, Berlino 2013, pp.213-225.
Project to mitigate the environmental impact of the Florence-Bologna High-speed railway in the San Pellegrino Valley by Riccardo Renzi The thin line between a purely technical approach to infrastructure and the scope of landscape architecture, has never been as thin as in this project, in which it has become so fine as to be almost imperceptible. The story of the Highspeed railway in Tuscany, in the area of the Mugello, raises many problematic issues because of the particular natural context represented by two critical factors: the presence of the Appenine mountains with their taxing topography, difficult to overcome for any infrastructure, which cannot be conceived in its ascending and descending sections except within specific limits, and the prevalently natural landscape that must be protected from changes that alter its characteristics. The theme of speed is particularly pertinent to the vocation as landscape architecture of the project to mitigate its environmental impact in the San Pellegrino valley, developed by Fabrizio Rossi Prodi.
Nella pagina a fianco: vedute dell’intervento di mitigazione ambientale nella valle del San Pellegrino.
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1 - Particolare dell’intervento di mitigazione
tra nord e sud, da sempre divisi da condizioni di viaggio difficoltose nell’approssimarsi dei nodi appenninici, portando come beneficio ambientale la riduzione di percorsi autonomi su gomma, con l’inquinamento atmosferico che ne consegue. In questa ottica relativamente recente5 l’ultimazione del sottoattraversamento di Firenze, con la creazione della nuova stazione ipogea progettata da Foster, e con quello di Bologna, andrà a completare la tratta Napoli-Milano con tempi di percorrenza mai pensati prima. Il tema della velocità riguarda molto da vicino la vocazione alla landscape architecture dell’intervento di mitigazione ambientale nella valle del San Pellegrino6 a cura di Fabrizio Rossi Prodi7. Il progetto diviene dispositivo di verifica di una nuova accezione del viaggiare dettata dal sistema ferroviario Alta Velocità che, sfiorando i trecento chilometri orari, tende ad annullare la percezione dello spo5 Riguardo alle linee di sviluppo sull’Alta Velocità si veda G. Dematteis, L’assetto spaziale del sistema urbano europeo, in G. Dematteis, P. Bonavero (a cura di), Il sistema urbano italiano nello spazio unificato europeo, Il Mulino, Bologna, 1997, pp.51-66. 6 L’intervento si trova nel comune di Firenzuola al confine tra Toscana ed Emilia Romagna. 7 Con Simone Abbado e Marco Zucconi.
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starsi da parte del passeggero8. Da sempre invece il viaggio in treno ha accompagnato un’esplorazione del panorama permettendo una cosciente misurazione del tempo e del luogo grazie al cambiare del paesaggio, con le sue geometrie fisiche, con le distinzioni tra ambiente urbano e naturale e con i suoi colori in continua mutazione. La natura dell’Appennino ha reso poi obbligatoria la scelta di distribuire grande parte9 della tratta in soluzioni ipogee, con tutte le difficoltà che ne sono seguite nel corso delle realizzazioni, contribuendo ad aumentare quella distanza tra viaggiatore e percezione dei luoghi attraversati. Ma a differenza di una qualsiasi altra grande opera infrastrutturale - si pensi al tunnel della Manica o ai recenti sottoattraversamenti autostradali francesi10 - nella tratta 8 Cfr. C. Gasparrini, Passeggeri e viaggiatori, Meltemi, Roma, 2003. 9 Il tratto Firenze-Bologna è lungo 91 km e viene percorso per il 93% in gallerie, di cui la più estesa è quella di Vaglia con 18 km di lunghezza. Fonte Rete Ferroviaria Italiana, RFI. 10 Il tunnel ferroviario della Manica è tra i più lunghi del mondo con i suoi 50 km circa, mentre il tratto autostradale Duplex A86 Rueil-Vaucresson-Velizy, aperto nel 2011 la cui lunghezza è di circa 10 km, è tra i più grandi esempi di interramento stradale non creato per superare sistemi montuosi o collinari ma per preservare il paesaggio.
TRASPORTI & CULTURA N.37 Credits: Progetto: Fabrizio Rossi Prodi con Simone Abbado e Marco Zucconi Collaboratori: Emiliano Romagnoli, Nicola Spagni, Paolo Giannelli Imprese: CAVET – Il Casone S.p.A. Foto: Paolo Colaiocco – Il Casone S.P.A. – Fabrizio Rossi Prodi – Quinto Ciavattella Localizzazione: Firenzuola area San Pellegrino Cronologia: 2005-2006 progetto Dati dimensionali - superficie lotto: 43.200 m²
2 . Veduta d’insieme dell’intervento.
ferroviaria Firenze-Bologna ogni uscita di galleria segna uno scorcio intenso sul paesaggio naturale che, per quanto breve11, risulta carico di stimoli visivi. È proprio l’intenso paesaggio dell’Appennino a dettare le linee del disegno generale, attraverso le curve dei morbidi profili che accompagnano le cadenze del sistema collinare ed attraverso il gioco di pieni e vuoti generati dalle valli e dalle cime. La roccia appenninica manomessa dall’intervento umano, forata dagli attraversamenti ferroviari ed alterata da tracciati che ne segnano nuove e suggestive prospettive, sembra rinascere grazie al progetto di contenimento verticale realizzato che, oltre a definire il limite dell’intervento infrastrutturale, restituisce un’identità a un brano di territorio in trasformazione. La roccia riappare quindi in tutta la sua integrità, modulata da ricorsi orizzontali ed intervallata da pozzetti a ricordo di fontana posti ad intervalli regolari per la fuoriuscita delle acque. Il tema della citazione appare in tutta la sua forza come allegoria della natura quale roccia scavata, viene declinato secondo una logica che permetta
una lettura in senso stratigrafico, capace di far leggere l’intero insieme come parte di una lacerazione sul sistema collinare ed al tempo stesso favorendo la capacità di racconto di una idea di paesaggio. Il progetto offre qui una duplice lettura: quella interna che ne permette un accostamento con la sezione di una roccia aperta, interpretata e reinventata secondo linee regolari, e quella esterna che invece evoca i termini di un simbolico abbraccio tra la collina e il passaggio della linea ferroviaria. La conclusione che si può trarre da un’opera di architettura realizzata come questa è l’auspicio che essa possa servire a maturare una cultura del progetto, in Italia, quale dispositivo di integrazione tra ambiente antropico e paesaggio naturale a supporto delle reti infrastrutturali, che serva a tutelare i luoghi che compongono il quadro del Paese ed a garantire un miglioramento per tutte quelle situazioni alterate da interventi realizzati in funzione di un univoco sapere tecnico. Riproduzione riservata ©
11 Il tempo di passaggio nell’area di progetto è pari a circa due secondi e mezzo.
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Alta Velocità in Italia, le stazioni di Alessia Ferrarini
L’avvento dell’Alta Velocità prima in Francia e successivamente nel resto d’Europa ha riattivato l’interesse collettivo per il viaggio in treno e per la ridefinizione dell’architettura ferroviaria. L’Alta Velocità consente un viaggio più rapido, che inaugura un’esperienza sensoriale accelerata in cui la percezione del rapporto spazio-tempo cambia, assume connotazioni più intime. È un viaggio compiuto attraverso tunnel sotterranei, viadotti sopraelevati, traiettorie parallele a quelle dei binari preesistenti, che trasformano le nuove stazioni e i nuovi binari nei cardini della mappa del nuovo viaggio. La realizzazione dell’AV, come sostiene Calatrava, trasforma il territorio da un punto di vista sia tecnico–economico sia paesaggistico. Facilitare lo spostamento delle persone può recare benefici in termini di sviluppo economico a tutte le aree coinvolte e consentire maggiori relazioni tra i piccoli centri e le grandi città. Il rinnovato sistema della rete ferroviaria induce a pensare a un modello di stazione innovativo, emancipato dall’idea tradizionale di luogo di arrivo e di partenza e che assume un ruolo fondamentale nel contesto urbano, con “effetti attivi e retroattivi sull’urbanizzazione della città”. “Le stazioni si pongono dunque non solo come macchine per il flusso dei passeggeri ma anche come elementi di riqualificazione del territorio e motori di sviluppo dello stesso” (Guarnieri in “Parametro” 2005). In Italia, l’introduzione dei treni ad Alta Velocità aggiorna la storia dell’architettura ferroviaria nazionale. I nodi ferroviari AV (Roma Tiburtina, Torino Porta Susa, Bologna Centrale, Reggio Emilia AV Mediopadana, Napoli Afragola, Firenze Belfiore) alcuni già inaugurati, altri in corso di realizzazione, sono interessanti sia per l’aspetto urbanistico sia per quello tecnico, tecnologico e funzionale. Diventano l’occasione per sperimentare soluzioni strutturali innovative e sistemi alternativi a energia zero, che riducono il costo degli impianti meccanici e rispettano l’ambiente. Inoltre le stazioni sono progettate per i requisiti tecnologici e di comfort dei treni Alta Velocità e ciò ha un effetto sulla loro organizzazione spaziale e funzionale: la rapidità del nuovo viaggio si riflette nella forma degli edifici, nei servizi che essi offrono, nella semplicità dei percorsi e facilità di orientamento. Nei progetti per le stazioni AV la condizione di limite fisico e ideale e di spazio di rottura rispetto alla città viene superata: le stazioni sono porte urbane, pezzi di città integrati e integranti la città stessa. Nodi di interscambio dei diversi sistemi di traffico e di trasporto, divengono luoghi urbani di grande attrazione, animati dalle presenza di attività commerciali.
High-speed trains in Italy, the stations by Alessia Ferrarini The new High- speed railway network runs across the territory of Italy along two major routes: the Turin-Venice axis, which extends to Trieste and Eastern Europe, and the north-south axis, which cuts across the country from Milan, via Naples, down to Sicily. The HS system touches all the major metropolitan areas of the country, and thus represents an important instrument for cultural, social and city-planning development. Made possible by extensive excavation work and the construction of viaducts and railway bridges, the High-speed network represents a work of landscape engineering that is progressively transforming not only the rail transport system, but also the territories and metropolitan areas that it serves. It is a complex phenomenon that delivers more than just shorter running times and faster travel, although these can appear as its most consistent and significant results. The new railway system suggests a “new” model for train stations, emancipated from the traditional concept of place of arrival and departure. The new HS stations, unlike the historic terminals, are railway corridors distinguished by an innovative architectural language that depicts a different type of station for the 21st century. The contemporary design reasserts the role of the station as an element capable of establishing a new relationship with the landscape, and of serving as a catalyst for urban development. In fact, the intermodal junctions become new urban centres.
Nella pagina a fianco, in alto: elemento architettonico della stazione AV di Roma Tiburtina; in basso: particolare della stazione Reggio Emilia AV Mediopadana. Foto fornite da Ufficio Stampa FS.
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1 - La stazione Reggio Emilia AV Mediopadana in un’inquadratura dalla parte dei binari. Le foto in questa pagina sono state fornite dall’Ufficio Stampa FS.
2 - La stazione di Roma Tiburtina vista dai binari.
3 - Treno Frecciarossa nella stazione di Torino Porta Susa.
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Del resto progettare una stazione ferroviaria significa anche interrogarsi sul rapporto tra spazio della città contemporanea e spazio della mobilità, intesa come sistema di relazioni dinamiche a scala urbana e interurbana. La complessità di questi molteplici aspetti è testimoniata dalle stazioni italiane progettate per le linee Alta Velocità/Alta Capacità, poiché funzionano contemporaneamente come interscambio di traffico, come edificio stratificato multifunzionale e come spazio aperto. “La Stazione di Roma Tiburtina”, afferma Paolo Desideri, capogruppo dell’equipe di progettisti (ABDR Architetti Associati); ha una identità duplice: atopica e contestuale, poiché appartiene alla dimensione sovra locale tipica dei grandi nodi di scambio internazionali ma è al centro della città di Roma in un’area caratterizzata da tessuti urbani consolidati. Roma Tiburtina AV, inaugurata il 28 novembre 2011, è concepita come una grande galleria urbana, che collega il quartiere Nomentano con il parco urbano di Pietralata. La stazione ponte, è una grande galleria aerea che assolve contemporaneamente alla funzione di stazione ferroviaria internazionale e di grande boulevard urbano. Il fabbricato è un parallelepipedo di vetro supportato esternamente da una struttura reticolare a maglia piramidale, cui sono fissati i solai dei volumi interni concepiti come elementi appesi e galleggianti destinati sia agli spazi commerciali sia alle funzioni specialistiche (business office, deposito bagagli, ecc..). Questa soluzione strutturale consente di realizzare nella parte centrale del ponte uno spazio di attraversamento e di connessione tra la città e il mondo ferroviario. Progettata dal Gruppo Arep con Silvio D’Ascia e Agostino Magnaghi, il 14 gennaio 2013 è stata inaugurata la stazione di Torino Porta Susa, una galleria coperta in acciaio e vetro, lunga 385 metri, che rievoca le grandi hall ottocentesche e garantisce la prosecuzione naturale dei percorsi preesistenti e la funzionalità interna dei modi di accesso ai binari e alle vie cittadine. Il volume della galleria è configurato come un sistema di “blocchi funzionali”, le cui facciate interne delimitano la hall centrale: un percorso della lunghezza di 385 metri, che collega in senso longitudinale via Cernaia-via Grassi a Corso Matteotti e Corso Vittorio Emanuele II. Concepita nella sua doppia natura di nodo intermodale e di ritrovato pezzo di città, l’edificio ferroviario è strada, galleria commerciale e nodo intermodale e per questa sua natura “eclettica” promuove un processo di trasformazione e riqualificazione urbana. Qualche mese più tardi, il 9 giugno 2013, la nuova stazione di Bologna Centrale Alta Velocità ha aperto ai viaggiatori. È il primo passo di un programma di riorganizzazione complessivo dell’attuale struttura ferroviaria bolognese, pensata per migliorare il traffico nel nodo ferroviario, collegando le due stazioni, e per ricucire il tessuto urbano, recuperando le aree circostanti. L’intero progetto si svilupperà per tappe ed entro il 2016 si prevede l’apertura al pubblico di tutti i servizi connessi al trasporto ferroviario. Bologna Centrale Alta Velocità, la cui realizzazione è stata assegnata a Italferr, è un grande “camerone” sotterraneo di circa 640 metri di lunghezza, 56 di larghezza. È articolata su tre livelli interrati: il piano binari AV, posto a circa 23 metri sotto la quota dell’attuale piazzale di stazione, la hall AV, a circa 15 metri, destinata nella parte centrale ai
TRASPORTI & CULTURA N.37 servizi ferroviari e alle estremità a parcheggio; infine il piano kiss&ride (posto a -7 metri) che quando sarà operativo svolgerà il ruolo di strada sotterranea di attraversamento della stazione in senso longitudinale. Questa zona sarà collegata con il parcheggio interrato Salesiani, già funzionante, e con due ulteriori parcheggi previsti in seconda fase. Il kiss&ride potrà essere utilizzato come sosta breve per taxi, auto private, mezzi di servizio e di soccorso. Si accorciano così i tempi di viaggio sulla MilanoFirenze, mentre la differenziazione dei flussi ferroviari AV da quelli metropolitani decongestiona le linee di superficie esistenti, destinate al potenziamento del trasporto locale e regionale. Mentre Bologna Centrale espone la complessità delle problematiche che si pongono negli interventi di innovazione e riqualificazione delle strutture storiche, patrimonio architettonico di importante valore urbano, la nuova stazione Mediopadana dell’Alta Velocità, progettata di Santiago Calatrava e inaugurata il 9 giugno 2013, diviene perno di un territorio più vasto al di là dei confini provinciali e regionali, ed è parte di un sistema infrastrutturale che comprende tre ponti, il nuovo casello autostradale e altri interventi sulla viabilità. È la sola stazione sulla tratta MilanoBologna a essere collocata all’esterno della città consolidata (nella frazione di Moncasale a 4 km da Reggio Emilia), e, sulla scorta delle stazioni francesi del TGV Mediterranée (Avignone, Valence e Aix-en-Provence), è destinata a svolgere un ruolo fondamentale nella trasformazione e nello sviluppo di una nuova centralità urbana al di fuori alla città consolidata. La scelta di collocare la stazione AV a Reggio Emilia è determinata dalla posizione strategica della città, equidistante dall’imbocco delle autostrade del Brennero e della Cisa, e al centro di una ramificazione di linee ferroviarie regionali che consentono il collegamento veloce e capillare con punti strategici del territorio emiliano e lombardo. La stazione Mediopadana, è concepita come un nodo intermodale di area vasta che va da Reggio Emilia a Modena, Parma, Piacenza e si estende a nord fino alle province di Mantova e Cremona, comprendendo un potenziale bacino di 2 milioni di utenti. È una struttura in acciaio a forma di onda, la cui lunghezza complessiva è di 483 metri, mentre la larghezza è variabile fino ad un massimo di 50 metri e l’altezza media è di 20 metri. La copertura è formata da 457 portali concepiti come una successione ripetuta di 13 portali a sezione chiusa e dalla geometria differente che delinea l’andamento sinusoidale dell’infrastruttura. Ogni modulo è formato da 25 portali distanziati tra loro di circa un metro generando l’effetto di onda dinamica. L’onda si propaga sia in pianta sia in elevazione, originando un volume tridimensionale ad andamento sinusoidale. La struttura si sviluppa su due livelli: quello inferiore, a cui si accede dall’esterno, che ospita i servizi propri della stazione e quello superiore dove si trovano i binari. In corrispondenza delle banchine di salita e discesa dai treni è prevista la realizzazione della copertura in vetro, che è realizzata con pannelli rettangolari translucidi in vetro stratificato, collocati tra i portali mediante un telaio in alluminio. La copertura è sorretta da una struttura mista acciaio-calcestruzzo composta da una trave a cassoncino longitudinale appoggiata ogni 25 metri circa su due supporti in calcestruzzo. Quattro scale mobili per lato collegano i due livel45
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4 - Stazione di Torino Porta Susa. Foto fornita da Ufficio Stampa FS.
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li, mentre due ascensori panoramici sono collocati nella zona centrale. È su questo nodo intermodale che graviterà anche una delle fermate della metropolitana di superficie Reggio-Bagnolo, attualmente in fase di costruzione, che permetterà ai passeggeri di raggiungere la centrale Stazione FS di Reggio Emilia in pochi minuti. I materiali utilizzati nel progetto sono prevalentemente l’acciaio ed il calcestruzzo, entrambi tinteggiati di bianco, ed il vetro, collocato fra le strutture a portico. La stazione Mediopadana dell’Alta Velocità è espressione di un approccio tecnico altamente raffinato, che reinterpreta in modo originale e sorprendente l’idea della galleria come luogo di celebrazione della macchina e del movimento. La nuova stazione insieme ai ponti e al casello autostradale, opere di Santiago Calatrava, si inserisce con un linguaggio forte e altamente simbolico nel tessuto del sistema territoriale locale. Una progressiva realizzazione di interventi complementari è la sfida per il futuro come grande opportunità per lo sviluppo delle attività economica e industriale locale. Le architetture di Santiago Calatrava sono i cardini principali di una nuova identità paesaggistico -architettonica della città reggiana che coinvolge altri interventi connessi che riguardano opere infrastrutturali (Tecnopolo nell’area delle ex Officine Reggiane), viabilistiche (completamento della tangenziale Nord, riqualificazione dei principali assi di accesso alla Mediopadana) e di mitigazione ambientale (attuazione per stralci del progetto Rete, documento sistematico che si occupa dell’integrazione paesaggistica delle opere dell’architetto spagnolo e delle aree limitrofe), in corso di costruzione. Il progetto prevede che l’impatto ambientale e paesaggistico sia mitigato mediante la riqualificazione a verde delle zone lungo il tracciato ed all’altezza dell’ingresso della stazione. Inoltre la zona compresa fra l’autostrada Milano-Bologna ed il tracciato dell’Alta Velocità sarà sistemata a verde mediante alberature di medio-basso fusto che coprono la parte bassa della stazione fino circa all’al-
tezza del passaggio dei treni, lasciando comunque la visuale libera sulla pensilina ondulata in acciaio. Anche la nuova stazione alta velocità di Napoli Afragola, in fase di costruzione, è collocata in una zona periferica, a nord di Napoli, e costituisce un elemento di grande importanza strategica per lo sviluppo futuro del territorio e il riequilibrio ambientale e paesaggistico dell’area. Nella relazione di progetto Zaha Hadid afferma che “la sfida principale del progetto architettonico è quella di creare un nodo di interscambio trasportistico ben organizzato che sia al contempo un segno nel paesaggio in grado di annunciare simbolicamente l’arrivo nella città di Napoli”. Fondamentale snodo di collegamento nell’ambito del nuovo assetto dei trasporti campano, Napoli Afragola sarà integrata con le principali direttrici stradali mentre le linee regionali che si dipartiranno dalla nuova stazione saranno potenziate e dotate, nei tratti urbani, di nuove fermate con l’obiettivo di migliorare la mobilità nell’intera area metropolitana. L’idea progettuale si fonda sulla volontà di coniugare nel progetto della stazione AV due aspetti: quello urbanistico e quello architettonico, ideando una forma fluida che sembra generarsi dal terreno per poi di nuovo affondarvi. La stazione si connota come segno architettonico di forte identità per tutto il territorio ed è concepita come un ponte che, vitalizzato dalle funzioni commerciali, segna un percorso all’interno di un volume di calcestruzzo e vetro che assicura la connessione del tessuto urbano, scavalcando la ferrovia. La struttura si solleva fino a circa 9 metri di altezza inclinandosi dolcemente alle estremità dove si apre per accogliere il flusso dei passeggeri che, dalla grande hall centrale del ponte, attraverso scale e rampe mobili, sono indirizzati verso i treni. Il concetto del ponte nasce dall’idea di allargare la passerella, che collega le varie banchine, fino a trasformarla nella galleria passeggeri principale della stazione e nel fulcro del nuovo parco naturalisticotecnologico destinato a riqualificare e valorizzare l’area. Il ponte assicura inoltre la connessione del
TRASPORTI & CULTURA N.37 territorio, evitando che la ferrovia diventi un elemento di discontinuità e lega le due fasce del parco che si estendono sui lati dei binari, creando un effetto di continuità tra l’area delimitata dall’anello viario e il paesaggio circostante. La qualità dinamica della figura architettonica è perseguita anche all’interno dell’edificio nell’organizzazione dei percorsi e nella distribuzione spaziale, sia in direzione orizzontale sia verticale. Gli accessi alla stazione, sistemati sulle estremità est e ovest del ponte, agiscono come degli imbuti che raccolgono e incanalano i flussi verso il nodo centrale della sala passeggeri, dove sono collocate la biglietteria e le sale d’aspetto. Questa ampia apertura centrale, posta alla quota intermedia, consente l’orientamento verso il basso, dove sono distribuite le funzioni ferroviarie e collega visivamente gli spazi commerciali con le diverse componenti funzionali. Da questa sala il passeggero può dirigersi verso il piano superiore, dove si sviluppa il centro commerciale con i caffè e i ristoranti, o verso il basso, al piano dei binari. Il volume della stazione, che si sviluppa per una lunghezza di circa 350 metri, raggiunge un’altezza massima di 25 metri dalla quota del ferro con i volumi in acciaio della galleria commerciale. Al centro del corpo principale l’apertura della galleria si amplia a descrivere un grande vuoto su tre livelli. La continuità strutturale tra il tetto e le pareti interne fa percepire questo grande spazio centrale come uno spazio esterno in continuità con il paesaggio circostante. Un altro intervento importante, in corso di realizzazione, è la stazione AV Firenze Belfiore, progettata dallo studio Foster and Partners insieme ad Ove Arup. Nella relazione di progetto si evidenzia che il “compito della nuova stazione Alta Velocità di Firenze è di essere un simbolo della rinascita urbana della città. Una sfida particolare, che il progetto per questa stazione deve affrontare è come fare in modo che i passeggeri, che sbarcheranno dai treni nella stazione 25 metri sotto terra, possano percepire immediatamente come raggiungere la città e i mezzi di trasporto”. A partire da questo principio la stazione si configura come un volume unico, della lunghezza di 454 metri e della larghezza di 52 metri, in cui il sistema dei percorsi e della circolazione è studiato in modo da separare i diversi tipi di traffico e da garantire la massima fluidità ed economia nei tempi di spostamento dei passeggeri, attraverso la presenza di scale meccaniche, ascensori e nastri trasportatori. Tutti i passeggeri in entrata ed in uscita attraversano la galleria commerciale, posta al piano superiore; qui per tutta la lunghezza si sviluppano due percorsi “porticati”, dalle cui balconate è possibile osservare i movimenti che si svolgono ai livelli sottostanti. Il livello più basso è occupato dai binari sui quali si affacciano gli altri due livelli destinati a spazi commerciali e a belvedere. Una copertura ricurva in vetro e acciaio inossidabile consente alla luce solare di filtrare fino ai binari e ai marciapiedi. I materiali, la luce e il sistema di comunicazione con l’esterno diventano, nel progetto di Foster & Arup, importanti segnali della città che si trova al di fuori: i materiali si alleggeriscono progressivamente dal basso verso l’alto fin a raggiungere il livello sotterraneo dei binari, consentendo ai viaggiatori di vedere il cielo al di là della volta vetrata e di “sentire l’aria della città”, mentre un sistema ben organizzato di collegamenti verticali mette in rapida comunicazione i differenti livelli della stazione con
l’esterno. Firenze Belfiore è una importante testimonianza dell’architettura ferroviaria contemporanea, che reinterpreta la storica galleria dei treni ottocentesca come una grande copertura “tecnicistica e meccanizzata” che contiene l’intera stazione e i differenti ambiti funzionali. Caratteristica comune degli edifici descritti è la scomparsa della facciata: un involucro dall’effetto dinamico e trasparente tende a diventare il rivestimento esterno più consueto. Nella rassegna di progetti presentati si delinea un modello di architettura ferroviaria pensato per la città e questa volontà si esprime attraverso lo studio delle relazioni tra i percorsi interni e quelli all’esterno e nella permeabilità costante che si intrattiene tra il contesto urbano e quello ferroviario. Le stazioni contemporanee tornano a identificarsi con la realtà urbana, attraverso soluzione tecnologiche e linguaggi adeguati. Riproduzione riservata ©
Bibliografia e sitografia Agences des Gares, Arep (a cura di), Parcours, 1988-1998, Diagonale, Roma 1998. Paolo Desideri, Slash 174, in “Roma Stazione Tiburtina”, allegato a “Area”, n. 76, p. 8. “Parametro” 2005 M. Guarnieri, E. Mattutini, A. Pedrazzini, in “Parametro”, 258-259, luglio-ottobre/July-October. Alberto Ferlenga, Reggio Emilia: un paesaggio ridisegnato. Grandi Opere sotto tutela, in “Casabella”, n. 831 novembre 2013, pp. 35-39. Alessia Ferrarini, Stazioni. Dalla Gare de l’Est alla Penn Station, Electa, Milano 2004. Alessia Ferrarini (a cura di), La stazione del XXI secolo, Ferrovie dello Stato ed Electa, Milano 2007. AA.VV., Stazioni luoghi per la città, Electa Milano 2004. Philip Jodidio, Santiago Calatrava, Taschen, Köln, 1998 Zaha Hadid, Dinamismo di un architetto, in “Concorso internazionale di progettazione per la nuova stazione Alta velocità Napoli Afragola”, allegato a “Domus”, n. 870, maggio 2004, p.31. Opuscolo del progetto Europeo Railhuc, Reggio Emilia. Stazione Mediopadana dell’Alta Velocità, Reggio Emilia, 2012 Paolo Ventura, Città e stazione ferroviaria, Firenze University Press, Edifir, Firenze 2004 Paul Virilio, La freccia del tempo, in “Domus Dossier”, n. 4 giugno 1996, pp.7-9. www.km129.it www.comune.re.it/retecivica/urp/retecivi.nsf/DocumentID/ B12E80B36C6AACE6C1257946003F56AF?opendocument www.archimagazine.com/aafra.htm www.fsitaliane.it/fsi/Il-Gruppo/Innovazione-e-sviluppo/LeNuove-Stazioni
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TRASPORTI & CULTURA N.37
La nuova stazione sotterranea di Bologna di Giovanni Giacomello
La città di Bologna fin dall’epoca romana è sempre stata punto di incrocio tra le principali vie di comunicazioni del Paese. Tuttora, oltre ad essere un polo attrattivo per tutto l’hinterland, è un importante nodo per molti sistemi di trasporto, all’intersezione delle principali direttrici stradali e ferroviarie Nord-Sud ed Est-Ovest del Paese. Il polo intorno a cui gravitano la maggior parte degli spostamenti è la stazione ferroviaria Centrale situata in un punto strategico della rete ferroviaria italiana. Bologna Centrale è una delle principali stazioni italiane per grandezza (78.000 m² circa) e per volumi di traffico (circa 750 treni e 80.000 passeggeri al giorno). La zona della stazione è inoltre un nodo importante anche per le principali linee di autobus urbane ed extraurbane. La nuova stazione sotterranea per le linee ad Alta Velocità è posta a 23 metri di profondità rispetto alla superficie ed è la chiave di volta del progetto di potenziamento del nodo di Bologna. Essa è riservata ai treni a media e a lunga percorrenza ed è situata in corrispondenza della stazione Centrale nell’area occupata dagli ultimi cinque binari, dal lato di via de’ Carracci.
La storia Il progetto dell’attuale stazione Centrale, inaugurata nel 1876, fu proposto dall’architetto Gaetano Ratti, il quale aveva pensato ad un impianto volumetrico regolare con riferimenti stilistici al Quattrocento fiorentino. Negli anni successivi diversi interventi modificarono l’impianto iniziale: la costruzione dell’ala del piazzale ovest (1926), per i nuovi binari di testa, la costruzione dell’ala est (1934) e altre modifiche apportate nel dopoguerra. All’inizio degli anni ’90 lo sviluppo di treni veloci portò alla necessità di potenziare e ammodernare strutturalmente e funzionalmente il nodo ferroviario. Lo sviluppo tecnologico e la nascita di treni veloci dimostrò che era necessario prevedere dei binari dedicati alle linee ad Alta Velocità in una stazione completamente interrata al di sotto della stazione storica. Nel contempo, nell’ambito dello stesso progetto fu deciso di riorganizzare e sviluppare il “Sistema Ferroviario Metropolitano” (SFM): un servizio basato sulla stessa rete ferroviaria, convergente a raggiera sulla stazione di Bologna Centrale, per migliorare il servizio per gli utenti dell’area urbana e metropolitana. Approvato nel 1994 il Masterplan da parte degli enti locali, le Ferrovie dello Stato affidarono nel 1997 l’incarico di progettare il nuovo complesso architettonico della stazione centrale all’architetto
The new underground railroad station in Bologna by Giovanni Giacomello The Bologna central railway station, opened in 1876, is one of the most important Italian stations in terms of size and volume of traffic. The project to renovate the station, which also includes the underground section for High-speed trains, was developed by architect Arata Isozaki in 2008 and aims to reunite two very distinct parts of the urban network of Bologna that the railway line had divided: the Old Town (south), the industrial district of the “Bolognina” and the fair grounds (to the north). The plan for the new station is a “raised” rectangular-shaped building, which will extend from the old station over the tracks all the way to the Bolognina. The new underground station for the High-speed lines, on the other hand, is located 23 meters below the surface and is the keystone of the project to upgrade the node of Bologna. It is reserved for medium-and long-distance trains and is located at the central station in the area occupied by the last five tracks on the side of Via de’ Carracci. The new High-speed Bologna Central station was inaugurated on June 8th 2013, at the conclusion of the “first phase” of construction (which began on March 8th 2004). For now, the underground station has 4 fully operational tracks, but, between 2014 and 2016, other areas will open to the public. A complementary achievement to the new station is the people-mover, which will link the Marconi Airport in Bologna to the Central railway station, carrying passengers to the airport in just 8 minutes.
Nella pagina a fianco: due vedute della nuova stazione sotterranea di Bologna.
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TRASPORTI & CULTURA N.37 1 - In questa pagina: A sinistra (a) la planimetria del percorso previsto per il people mover; a destra in alto (b) la fermata del people mover all’aeroporto; a destra in basso (c) la sezione trasversale della fermata del people mover nella stazione ferroviaria centrale. Fonte: a) http://www.marconiexpress. it/sites/default/files/gallery/ immagini/me_tracciato1.jpg, anno 2012, b) e c) dal Corriere di Bologna, anno 2012.
2 - Nella pagina a fianco, in alto: foto aerea della stazione centrale di Bologna una volta completato il progetto di Isozaki. Fonte: Andrea Maffei Architects - http://www. amarchitects.it/portfolioitem/stazione-di-bolognacentrale, tra giugno 2007 e giugno 2008. 3 e 4 - Nella pagina a fianco, al centro e in basso: due vedute della stazione.
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catalano Ricardo Bofill. La stazione, luogo di massima concentrazione di servizi di trasporto, fu pensata come un elemento di ricucitura tra il centro storico e la città sviluppatasi a nord dei binari. Il progetto (denominato “quartiere della stazione”) prevedeva una grande “piastra” che, scavalcando i binari come un ponte, andava a saldare il centro storico con il quartiere retrostante, formando una piazza digradante che si raccordava con via Pietramellara. La “piastra” comprendeva nel progetto servizi importanti, come un auditorium di 2.000 posti e due edifici a torre di 84 metri di altezza con usi terziari e ricettivi. Sul fronte opposto, lato via de’ Carracci, la “piastra” si raccordava con un “camerone” interrato contenente, a quota -23 metri, quattro nuovi binari dell’Alta Velocità e una grande galleria a due livelli sovrapposti. Il progetto fu però bloccato anche a causa di un referendum cittadino, il cui risultato si opponeva alla demolizione dello storico fabbricato viaggiatori. Nonostante il progetto complessivo di Bofill sia stato accantonato, l’impostazione generale del masterplan, il progetto della stazione come nodo integrato sono stati ripresi quando, nel 2006, è stato sottoscritto da parte di Regione Emilia-Romagna, di Rete Ferroviaria Italiana, della Provincia e del Comune di Bologna un accordo sugli assetti territoriali e infrastrutturali della nuova stazione ferroviaria Centrale. Esso prevede numerose opere: la realizzazione di un grande progetto di riassetto urbano di una vasta area della città, la valorizzazione delle funzioni complessive della nuova stazione, il miglioramento dell’accessibilità al sistema stazione, la costruzione di nuovi sistemi di trasporto e di nuove infrastrutture complementari (come l’asse stradale Nord-Sud che collegherà via Pietramellara/via Bovi Campeggi e via de’Carracci/ via Fioravanti). Questa soluzione rappresenta da un lato l’occasione di riqualificazione complessiva del trasporto pubblico, regionale e metropolitano, e dall’altro la possibile amplificazione anche del ruolo della stazione Centrale di Bologna per la progressiva implementazione del servizio ferroviario metropolitano, delle linee ad Alta Velocità e per l’integrazione, in ambito urbano, con la metro tranvia e con il “people mover” (che collegherà la stazione ferroviaria con l’aeroporto). Le strategie contenute nell’accordo sono state rese operative, per quanto riguarda la stazione di Bologna, attraverso l’attivazione di tre grandi progetti, di cui i primi due attualmente in corso:
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riqualificazione degli edifici della stazione storica e opere esterne di accesso alla stazione; nuova stazione sotterranea AV; nuovo complesso integrato.
Il progetto della nuova stazione Il progetto della nuova stazione, che comprende anche quella sotterranea per l’alta velocità, è stato sviluppato dall’architetto Arata Isozaki, a capo di un gruppo formato da Ove Arup & Partners e dallo studio italiano M+T & Partners, vincitore del concorso internazionale bandito da RFI nel giugno 2007. Il progetto di Isozaki si propone di ricucire due parti molto distinte del tessuto urbano di Bologna che la linea ferroviaria aveva diviso: a sud il centro storico (concentrato e radiocentrico, raffigurante il passato della città), a nord il quartiere industriale della “Bolognina” e quello della fiera (regolari e rettangolari, raffiguranti il moderno). La nuova stazione è stata pensata come un condensato di città, sia per gli usi sia per l’organizzazione degli spazi interni: insieme al recupero dell’edificio attuale, la nuova stazione avrà la trama urbana della “Bolognina”, in un tentativo di ricucitura delle due parti della città in un nuovo insieme collegato, con la realizzazione di edifici di pari altezza, rapportata a quella delle costruzioni circostanti. Il progetto prevede che la nuova stazione sia un complesso formato da tre elementi volumetrici, una “piastra”, un “tubo e un’”isola”. La “piastra”, dovendo mantenere i binari nella posizione che attualmente occupano, sarà un edificio “sopraelevato” di forma rettangolare, che dalla vecchia stazione (di cui avrà la stessa lunghezza) si prolungherà sopra i binari fino a raggiungere la Bolognina. Questo volume rettangolare di colore bianco, distaccato dagli edifici esistenti, ospiterà tutte le funzioni commerciali, biglietterie e sale di attesa; da esso si scenderà ai binari attraverso scale mobili e ascensori. Una serie di corti interne e di lunghi tagli sulla copertura porteranno la luce naturale all’interno, illuminano gli spazi di circolazione dei viaggiatori e i binari sottostanti. L’”isola” sarà invece situata nel quartiere Mercato Navile, davanti alla nuova sede del comune di Bologna, ed è stata pensata come ulteriore spazio di ingresso alla stazione. La “piastra” e l’”isola” saranno collegate infine da un “tubo” vetrato, che si
TRASPORTI & CULTURA N.37 affaccerà verso i treni in movimento e le colline di Bologna. I lavori di riqualificazione della stazione storica, che interessano oltre 12.000 m² di aree interne, sono suddivisi in 4 aree di intervento: il restauro architettonico dell’edificio, in collaborazione con la Sovraintendenza ai Beni Culturali, la realizzazione di nuovi sottopassi, ascensori e scale mobili per il miglioramento dei flussi e la creazione di nuove aree aperte al pubblico. Rientrano nel progetto anche opere infrastrutturali esterne, finanziate dal CIPE con 24 milioni di euro, tra cui: un parziale interramento di via Pietramellara con un unico senso di marcia, l’integrazione del sistema dei sottopassi e la creazione di un parcheggio interrato a un livello con nuovi posti auto e moto.
La nuova stazione AV sotterranea Bologna Centrale Alta Velocità nasce dalla necessità di separare il traffico ad Alta Velocità da quello regionale e metropolitano, per migliorare l’efficienza e la regolarità dei servizi, creando nel contempo le basi per il loro futuro sviluppo. L’opera è infatti parte integrante del Passante AV di Bologna (operativo da giugno 2012): 17,8 km di binari che attraversano il centro urbano, prevalentemente in galleria (10,5 km circa), connettendo le linee AV Milano-Bologna e Bologna-Firenze. La costruzione in sotterranea garantisce, da un punto di vista architettonico, un miglior utilizzo dello spazio e un minore impatto sul tessuto urbano. I temi ispiratori del progetto sono stati “il luogo urbano” e la “cattedrale gotica”, che rimandano all’immagine di uno spazio collettivo forte e simbolico. Ulteriori vantaggi derivano dalla liberazione dei binari di superficie da quasi tutti i treni AV e dalla separazione dei flussi fra treni AV e treni ordinari: il potenziamento dei servizi regionali, il miglioramento della puntualità di tutti i treni del nodo di Bologna (tanto per i treni del trasporto regionale - che sono quelli che fino all’inaugurazione hanno sofferto di più - quanto per quelli ad Alta Velocità), la diminuzione dei tempi di viaggio sulla linea Milano-Firenze. La nuova stazione si inserisce inoltre in un più complessivo intervento sulla stazione di Bologna che prevede la realizzazione di un nuovo sistema (che coprirà complessivamente 42.000 m²), punto in cui convergono i traffici ferroviari nazionali e internazionali, quelli regionali e metropolitani e il trasporto pubblico urbano. Infatti la nuova stazione AV è stata costruita in corrispondenza dell’attuale stazione, conservando il vantaggio di essere in posizione centrale, a ridosso del centro storico, e garantendo un facile interscambio tra i treni a lunga percorrenza e quelli regionali. È costituita da un grande vano sotterraneo (640 metri di lunghezza, 41 metri di larghezza e 23 metri di profondità), realizzato mediante uno scavo a cielo aperto tra i più grandi mai realizzati in Europa in ambito urbano e si sviluppa su tre livelli collegati da un sistema di 42 scale mobili, 4 scale fisse e 26 ascensori: - il piano “AV” (25.800 m², a quota -23 metri rispetto al piano del ferro dei binari in superficie), dove trovano sede i 4 binari dedicati ai treni veloci e 2 banchine; - il piano intermedio “hall AV” (14.800 m², a quo51
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5 - A sinistra: veduta della stazione AV di Bologna. 6 - A destra: Frecciarossa in sosta nella stazione AV di Bologna. Foto fornita da Ufficio Stampa FS.
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ta -15 metri rispetto al piano del ferro dei binari in superficie), destinato ai servizi ferroviari (biglietterie self service, desk informativi, bagni) e commerciali (bar, edicola, tabaccheria, ecc.) per i viaggiatori; - il piano kiss&ride (27.600 m², a quota -7 metri rispetto al piano del ferro dei binari in superficie), sede di una strada sotterranea che attraversa la stazione in senso longitudinale, utilizzabile per la sosta breve di auto private, per i taxi e i mezzi di servizio e soccorso per carico e scarico persone (ingresso da via Fioravanti, uscita per i taxi su via de’ Carracci). Dal piano kiss&ride si può inoltre accedere al parcheggio interrato “dei Salesiani” (488 posti con entrata da via Matteotti e da via Serlio) per la sosta lunga. I 4 binari di cui dispone la nuova stazione sono tutti passanti e sono contraddistinti dai numeri da 16 a 19, in continuità con la numerazione dei binari di superficie (è previsto il ripristino entro il 2016 dei binari dal 12 al 15, temporanemanete soppressi per consentire lo scavo). Le due banchine che servono i binari sono specializzate a seconda della direzione del treno: una - quella collocata tra il 16 e il 17 - è specializzata per i servizi Sud/Nord (direzione Milano/Torino, e Verona/Bolzano) e l’altra - collocata tra il 18 e il 19 - è specializzata per i servizi Nord-Sud (direzione Roma/Napoli). Il prolungamento dei sottopassi pedonali esistenti garantisce il tradizionale accesso dalla Piazza delle Medaglie d’Oro (lato centro storico) e l’accesso da via de’ Carracci (lato quartiere “Bolognina”: ciò consente la ricucitura dei due quartieri (che sono strutturalmente divisi dai binari), migliorando la permeabilità preesistente i lavori. In uno dei sottopassaggi è anche prevista la possibilità di transitare in bicicletta. La nuova stazione Bologna Centrale AV è stata inaugurata l’8 giugno 2013, alla conclusione della “prima fase” dei lavori (iniziati l’8 marzo 2004). A questo stadio la stazione sotterranea ha pienamente in funzione i 4 binari della stazione sotter-
ranea, con i relativi marciapiedi, la hall AV, i nuovi sottopassaggi, in continuità con quelli della stazione esistente, il parcheggio Salesiani e il nuovo atrio di via de’ Carracci. Progressivamente, tra il 2014 e il 2016, saranno disponibili al pubblico altre zone della stazione: - la strada sotterranea che si sviluppa longitudinalmente sopra ai nuovi binari AV (piano kiss&ride), che consentirà l’accesso diretto alla stazione AV del traffico stradale da via Fioravanti e dal nuovo asse viario Nord-Sud; - gli ulteriori parcheggi sotterranei (circa 300 posti), posti su due piani mezzanini all’interno della stazione, previsti in seconda fase e accessibili dal piano kiss&ride (per un area totale di parcheggio pari a 9.300 m²); - il ripristino dei binari di superficie dal 12 al 15 (che permetteranno di aumentare ulteriormente la capacità della stazione di superficie e di attuare completamente il Servizio Ferroviario Metropolitano); - l’interconnessione per la fermata in sotterranea dei treni veloci da e per Venezia con il completamento dell’interconnessione del passante con la linea Bologna - Padova; - l’arredo urbano definitivo. L’opera, realizzata da Rete Ferroviaria Italiana (Gruppo FS Italiane), è stata progettata da Italferr (la società di ingegneria del Gruppo FS Italiane), che ha effettuato anche la direzione lavori e realizzata dal costruttore Astaldi. L’investimento complessivo di Rete Ferroviaria Italiana, committente dell’opera, è di 530 milioni di euro. Particolare cura è stata rivolta alla sostenibilità ambientale, alla scelta dei materiali e all’installazione di dispositivi per il risparmio energetico. Per aumentare il confort ambientale, la diffusione della luce naturale dall’alto e favorire la visibilità degli spazi e l’orientamento del viaggiatore, le pareti interne sono state realizzate prevalentemente in vetro e l’illuminazione artificiale è garantita da apparecchi a tecnologia led a lunga durata. La stazione Bologna Centrale AV è la prima stazio-
TRASPORTI & CULTURA N.37 intermedia di Bertalia-Lazzaretto: una grande area in corso di riqualificazione destinata ad accogliere un nuovo insediamento abitativo e universitario. Le fermate saranno dotate di porte di banchina a protezione dei passeggeri. Il tempo di percorrenza dalla stazione centrale all’aeroporto, comprensivo del tempo per la fermata intermedia, è stimato in 8 minuti circa. Riproduzione riservata ©
Bibliografia e sitografia Ciufegni S., Sacchi F., e Utzeri L., La nuova stazione AV di Bologna: le opere di sostengo e consolidamento degli scavi e il sistema di monitoraggio, “Ingegneria Ferroviaria”, n. 3, Marzo 2012, Collegio Ingegneri Ferroviari Italiani. http://www.rfi.it/cms/v/index.jsp?vgnextoid=f6711ea1908ea1 10VgnVCM1000003f16f90aRCRD#3 Bruner M., Il Presidente G. Napolitano fra i primi viaggiatori della nuova stazione Bologna Centrale AV, “Ingegneria Ferroviaria”, n. 7 e 8, Luglio e Agosto 2013, Collegio Ingegneri Ferroviari Italiani. Bernabei P., Gerlini M., e Mori P., Architettura e progetti per Bologna Centale. Lo sviluppo urbano della Stazione di Bologna Centrale in 150 anni di storia, La Tecnica Professionale, n. 1 e 3, Gennaio e Marzo 2013, Collegio Ingegneri Ferroviari Italiani.
ne Alta Velocità al mondo ad utilizzare il sistema ERTMS (European Railways Traffic Mangement System) di Livello 2 (senza segnali luminosi laterali), già operativo sulle altre linee AV. Tramite la rete GSM Railway, l’ERTMS gestisce e controlla il distanziamento in sicurezza dei treni dal Posto Centrale di Bologna, il centro tecnologico che governa l’intero traffico AV da Milano a Firenze. La realizzazione del progetto di Isozaki (che avrà un costo di circa € 340 milioni) consentirà di collegare le diverse parti della stazione, quella storica su piazza delle Medaglie d’Oro e quella nuova sotterranea, realizzando al contempo una nuova centralità urbana.
Opere complementari La fermata Mazzini. Inaugurata lo stesso giorno della nuova stazione interrata, la fermata è collocata sulla linea Bologna-Prato, fra le stazioni di Bologna Centrale e Bologna San Ruffillo ed è nuovo tassello del Sistema Ferroviario Metropolitano. Realizzata all’interno della città, consente di raggiungere il centro di storico in poco più di 5 minuti e rappresenta una nuova porta d’accesso alla città per i pendolari residenti nell’hinterland. Il people mover. È il mezzo di trasporto scelto per collegare l’aeroporto Marconi di Bologna con la stazione ferroviaria Centrale. Il mezzo di trasporto sarà a guida vincolata, con alimentazione elettrica e senza conducente a bordo e percorrerà una monorotaia sopraelevata a circa 6-7 metri di altezza. Il people mover entrerà nella stazione ferroviaria centrale di Bologna percorrendo l’ultimo tratto parallelo a via de’ Carracci e si arresterà al capolinea collocato fra i due sottopassaggi principali. Al di sotto della fermata del people mover vi sarà il piano kiss&ride e la stazione per l’Alta Velocità. Il capolinea dell’aeroporto Marconi sarà collegato direttamente al terminal partenze tramite un passaggio coperto e sopraelevato. Oltre ai due capolinea, lungo il percorso di 5 km sarà posta la fermata
http://www.amarchitects.it/portfolio-item/stazione-di-bologna-centrale/ http://www.arup.com/Projects/Bologna_Railway_Station. aspx Elia M. M., e Migliorini C., Le nuove stazioni di Bologna AV e Reggio Emilia AV Mediopadana, “La Tecnica Professionale”, n. 6, Giugno 2013, Collegio Ingegneri Ferroviari Italiani. Comunicato Stampa di RFI dell’8 giugno 2013. http://www.fsitaliane.it/fsi/Il-Gruppo/Innovazione-e-sviluppo/Le-Nuove-Stazioni/Nuova-Stazione-AV-Bologna. http://www.grandistazioni.it/cms/v/index.jsp?vgnextoid=86 72bb78efcea110VgnVCM1000003f16f90aRCRD http://www.iosaghini.it/architecture/mobility/people-mover/ http://www.marconiexpress.it/il-progetto
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TRASPORTI & CULTURA N.37
La Galleria di Base del Brennero di Konrad Bergmeister
L’arco alpino, con le sue vallate e le sue vette, presenta da tempo immemore una barriera naturale per gli escursionisti, le armate, i viaggiatori e le merci. Da sempre, queste montagne possono essere superate soltanto attraverso i loro passi. Dei circa 135 passi alpini non coperti da ghiacciai, il Brennero, a 1.370 m, è il valico più basso delle Alpi centrali, transitabile tutto l‘anno. Dai tempi della preistoria molti popoli sono passati di qui, per scambiare merci, per portare la guerra, scoprire paesi lontani, andare in pellegrinaggio e conquistare nuovi spazi. La funzione del collegamento sopra il Brennero è rimasto sempre lo stesso. Si tratta in ogni caso di uno dei passi più importanti d‘Europa. Oltre un terzo di tutto il traffico transalpino passa per il Brennero. L’asse TEN Berlino–Palermo (ovvero il corridoio 5 Helsinki-Valletta nel cosiddetto CORE network) è, attualmente, il corridoio nord-sud maggiormente sviluppato in Europa. Una delle tratte più importanti è il passaggio per l’arco alpino e, quindi, la Galleria di Base del Brennero. Grazie a questo collegamento sotterraneo dall’andamento pressoché orizzontale, si elimineranno per il traffico ferroviario del futuro le pendenze dell’attuale linea ferroviaria del Brennero, che risale a quasi 150 anni fa. In particolare, la Galleria di Base del Brennero, il cuore del progetto, e le vie di accesso nord e sud risultano indispensabili per collegare le reti ferroviarie nazionali a nord e a sud delle Alpi. Nell’UE, la Galleria di Base del Brennero è considerata un progetto modello delle reti di trasporto transeuropee TEN. Questo progetto transfrontaliero è il più importante attraversamento delle Alpi e diventa la galleria più lunga del mondo. La Galleria di Base del Brennero è necessaria per trasferire una quota significativa del traffico dalla strada alla rotaia. La diminuzione dell’inquinamento atmosferico e acustico che ne deriverà porterà un netto miglioramento sia dal punto di vista ecologico che della qualità di vita in questa zona. Il trasporto merci sulla ferrovia di montagna, ancora oggi, è lento ed estremamente scomodo. Sono necessarie fino a tre locomotive per portare il peso di un treno merci in cima al Passo e, successivamente, per frenarlo in discesa. A tanto si aggiunge il fatto che le locomotive vengono cambiate al Brennero a causa dei diversi sistemi di trazione impiegati dalle ferrovie in Austria (15 kV 162/3 Hz di corrente alternata) ed in Italia (3 kV di corrente continua). Il tratto centrale del corridoio, da Monaco a Verona, richiede una particolare abilità di coordinamento, considerata la partecipazione di tre Stati (Italia, Austria e Germania) e la sensibilità ecologica delle strette valli alpine. La realizzazione della Galleria
Titolo The Base Tunnel of the Autore Brenner Pass by Konrad Bergmeister Fuga. Qui aborers picimin conemo od maio ipis re lam dolo quiam ut rem repe plab There are roughly 135 Alpine passesvendio which ipsaperum anda idignimet poritam are not blocked Theoditi Brenner quatissiment offiby ciaglaciers. velias aut quunt Pass, an altitude of 1370 m, is thequat lowest reproatvellatur am inverchit exped aut pass in the Alps and is open yearpa cum concentral coremporro expelitatum quam round. a third of alllabor transalpine c autat etOver quuntur, quunt si odis traffi reptat moves Brenner Pass. perero across blabo.the Nemporio te digendaera The axis (meaning nes TEN eat 1exBerlin-Palermo estioraerae volum laciet unt the Helsinki-Valletta Corridor 5 of the facesto volecup taerspi endundis dunt et so-called CORE Network) at present, eos numet, cusant restiais,cus idunto qui the most ra developed north-south ratquam accust earum repraes corridor tiamus. in Europe. One of the endissincit most important Borit hitaque non exerumq sections is the Alpine passage and, simpos uisque am, aturi dolescite comnis thus, Tunnel. Thanks et ut et offithe ciu Brenner stiumquBase amustiu rerumque to horizontal et this aut almost archili completely gentur mostem venistiundi underground line,ipsanih rail traffiitemos c in theestiandae future voloreicil maximil will not dolor have to negotiate the slopes of re verum alibus ne atiore ilis eum the railway line, which sim queexisting voloremBrenner eturia nos mi, et volorest, is almost 150 years old.id Thequi Brenner Base enim nobitia temquo quiaspeditat Tunnel is necessary tosam shiftiusa a signifi cantque eos disquos ut rerem consed portion of traffi c from road totest, rail. The licitius, as et volectem ratio vellibus, decrease in airquaestemque and noise pollution apis nonsed pediciendam, will remarkably improve nullupt inulparum ipictat.both the environmental habitat and the quality Faccabo. Ecae nis eatent volorum etur?of life in this area.rerum, sitas quiate nullabo Ucientinctus The Brenner Base Tunnel is corum, a low-gradient remque ad ma volorenda comnim tunnel thatoptatquam will link Fortezza reicia cus, simus(Italy) cum,tosinctor Innsbruck (Austria) and,berume excluding epudaercius, ommolo et the hilictate junctions, will be et 55 km long. Near vendipsandem aborat rem fugiass Innsbruck, tunnel will link to the iminumet the expediti dolorem haruptas existing railway bypass and will reach a restor mint es secumet ommo modipsam length of 64 km, sequi making it theaccus longest quis doluptiatur nobis atat mi, underground railway stretch inquaepudant the world. voluptati volor aligenimet The made up of labo.system Nam includes vendaea network lique vitaeptaquis the main tunnels, the exploratory molupie ntibusamus volore, tunnels, offictio and the access and interconnecting dolupta tisimeniant omnis re dollab ipsunt tunnels. all ofdolorehenis these were laid end to end, quisque If di demporepudis they be 230 As of February alibuswould dipidi qui km quelong. verovit ibuscius, 2014, 30 km tunnels had beenet, quidenet, odoferibearum autalready que dolest excavated. odigeni andebit volorum ipis et exera samus cum nos et fuga. Us, consequia volorem oluptio quam voluptatur, omnimporecus dest, in et ipiciis citiam sit elitibu sandis venissitis aut experias rerio blandio. Ribusci mpore, iur sanissequae vendis suntium et quaesto mod quam, ut il es mo voluptae
Nella pagina a fianco, in alto: cunicolo esplorativo AicaMules. In basso: lavori per le gallerie principali a Mules. Entrambe le foto: BBT SE/Jovanovic.
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TRASPORTI & CULTURA N.37 di Base del Brennero e delle tratte di accesso nord e sud è di fondamentale importanza in termini di trasporto, economia ed ecologia.
Situazione del traffico 1 - In alto: avanzamento lavori (in arancione). Fonte: BBT SE. 2 - In basso: L’asse TEN 5 da Helsinki a Valletta
Chi al giorno d’oggi attraversa il Brennero in autostrada, si trova a dover inevitabilmente affrontare l‘elevato volume di traffico ed il gran numero di mezzi pesanti. Lo sviluppo del traffico lungo l’autostrada può venir rappresentato in cifre come
segue: nel 1975, subito dopo la conclusione dei lavori di realizzazione dell’autostrada del Brennero da Innsbruck a Bolzano, sono state trasportate attraverso il Brennero 10 milioni di tonnellate di merci. Nel 2008 l’Autostrada del Brennero ha quasi raggiunto, con 48 milioni di tonnellate di merci e circa 5 milioni di veicoli all’anno, il suo volume di trasporto massimo. In giornate critiche oltre 35.000 veicoli leggeri e 7.000 veicoli pesanti attraversano il Brennero. Solo un terzo del traffico merci – cioè circa 15 milioni di tonnellate – valica questo passo alpino su rotaia. In seguito all’aumento del traffico passeggeri locale su rotaia ogni giorno circolano già 240 treni tra Innsbruck e Steinach/Brennero; la capacità massima è pari a 260 treni al giorno. L’apertura dei confini all’interno dell’UE, la libera economia di mercato e l’internazionalizzazione favoriscono le attività transfrontaliere. Ininterrotto è anche il traffico di turisti verso l’Italia negli ultimi 20 anni. Considerando tali sviluppi economici e sociali in Europa, le simulazioni del traffico dimostrano che il transito merci aumenterà a lungo termine. Il trasporto merci oltre il Brennero era pari a 42,1 milioni di tonnellate nel 2012, di cui 12,7 milioni su rotaia. Il tratto ferroviario, includendo il trasporto passeggeri locale, raggiunge la saturazione con un trasporto merci pari a 18 milioni di tonnellate. L’obiettivo è quello di trovare una soluzione transfrontaliera che da una parte sgravi l’ambiente e gli abitanti e che dall’altra faciliti il commercio ed il trasporto merci. Grazie alla Galleria di Base del Brennero, a seconda del piano di esercizio applicato, possono venir trasportate fino a 50 milioni di tonnellate di merci, di modo che l’attuale traffico merci nel suo totale si possa sviluppare lungo la ferrovia sotterranea. In condizioni di massima utilizzazione della Galleria di Base del Brennero tra Innsbruck e Fortezza (uscita autostradale di Bressanone), i gas serra – espressi in CO² equivalente – si ridurranno di mediamente 160.000 tonnellate all’anno.
Sostenibilità La sostenibilità della Galleria di Base del Brennero va considerata sia per gli ambiti relativi all’ecologia, le conseguenze dei pericoli naturali ma anche per quanto concerne la società. Per valutare l’effetto della Galleria di Base del Brennero in termini di traffico si devono considerare le conseguenze del trasferimento del trasporto merci dalla gomma alla rotaia. Il trasferimento conseguibile del trasporto merci dalla strada alla nuova ferrovia del Brennero con galleria di base dipende fortemente dalle condizioni quadro infrastrutturali, di organizzazione logistica della ferrovia e di politica dei trasporti. In tale contesto è importante che la Galleria di Base del Brennero faccia parte del Corridoio Europeo TEN da Helsinki a Valletta. È necessario adottare provvedimenti di politica dei trasporti a favore del vettore rotaia. Pertanto, in data 18 maggio 2009, i tre Ministri di Germania, Austria ed Italia, i cinque governatori dalla Baviera a Verona e le due società ferroviarie ÖBB e RFI hanno sottoscritto un Piano d’Azione. Nello scenario di consenso il bilancio delle emissioni dell’effetto serra, espresso sotto forma di anidride carbonica equivalente, è pari a meno 6,7 milioni di tonnellate e, nel caso di massimo utilizzo della Galleria di Base del Brennero, a 56
TRASPORTI & CULTURA N.37 degli effetti del corridoio, tale bilancio ecologico sarebbe ancora e di gran lunga più positivo. Per la Galleria di Base del Brennero si dovrebbe studiare ed applicare anche lo sfruttamento delle acque ipogee calde. Le acque ipogee vengono deviate attraverso il portale del cunicolo di drenaggio (futuro impiego del cunicolo esplorativo) nella zona di Aica e Innsbruck/gola del torrente Sill. La produzione di energia termica utile dipende dalla temperatura alla quale le acque ipogee possono venir raffreddate. Per il portale di Aica il rendimento termico calcola-
to è pari a 36 MW per un raffreddamento a 14°C e a 60 MW per un raffreddamento a 8°C. Per il portale nella gola del torrente Sill/Innsbruck si possono ottenere 6 MW per un raffreddamento a 14°C e 12 MW per un raffreddamento a 8°C. Con il trasferimento del traffico merci dalla strada alla rotaia si riducono gli incidenti stradali indotti dal trasporto merci. Il traffico sulla ferrovia presenta già un tasso di incidentalità ridotto rispetto alla strada. Anche l’affidabilità dei trasporti ferroviari è notevolmente migliore rispetto al trasporto su strada.
3 - Rappresentazione schematica della Galleria di Base del Brennero. Fonte: BBT SE.
4 - Veduta delle canne della galleria. Fonre BBT SE.
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5 - In alto: Il deposito die Ahrental (AHR-LU). Foto: BBT SE/ Quinger. 6 - In basso: lavori nella galleria Padaster (WOL-TU) Foto: HeidelbergCement AG, Steffen Fuchs
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Il progetto La Galleria di Base del Brennero è una galleria ferroviaria in piano che collegherà Fortezza (Italia) a Innsbruck (Austria), che da sola raggiunge una lunghezza di 55 km. In prossimità di Innsbruck, la galleria si interconnetterà con la circonvallazione ferroviaria esistente ed assumerà, di conseguenza, un’estensione totale di 64 km, divenendo così il collegamento sotterraneo più lungo al mondo. Grazie a questo collegamento sotterraneo dall’andamento pressoché orizzontale, si elimineranno per il traffico ferroviario del futuro le pendenze dell’attuale linea ferroviaria del Brennero, che risale a quasi 150 anni fa. La Galleria di Base del Brennero ridurrà la lunghezza totale della tratta tra Fortezza e Innsbruck di ca. 20 km. La pendenza longitudinale della Galleria di Base del Brennero è pari a 6,7 ‰ sul lato nord e a 4 ‰ sul lato sud del Brennero. L’altezza del vertice si trova a 790 m s.l.m., il che significa che la galleria si snoda più di 580 m al di sotto del Passo del Brennero (1370 m s.l.m.). La velocità massima del tratto per treni merci è stata indicata, nello studio di fattibilità, in 120 km/h e per treni passeggeri in 250 km/h. Il tempo di percorrenza della linea storica è attualmente
pari a ca. 80 minuti e scenderà a 25 minuti quando i treni potranno passare per la Galleria di base. La Galleria di Base del Brennero è costituita da due canne a binario singolo che corrono ad una distanza di 30 - 70 m. Tali due canne principali hanno un diametro interno di 8,1 m e sono collegate tra di loro, ad una distanza regolare di 333 m, grazie a cunicoli trasversali i quali fungono da via di fuga in situazioni di emergenza. In mezzo alle due canne principali della Galleria di Base del Brennero, a 12 metri sotto di esse, viene costruito un cunicolo esplorativo continuo. Esso presenta un diametro di 6 m e una lunghezza complessiva di circa 55 km. Il portale nord si trova nella gola del Sill, a sud di Innsbruck, mentre il portale sud è posto ad Aica (Alto Adige). Nella realizzazione della Galleria di Base del Brennero si pone particolare attenzione a una prospezione preventiva approfondita della montagna. Nell’ambito del progetto preliminare (1999–2003) e del progetto definitivo (2003–2010) sono stati eseguiti sondaggi geognostici per oltre 26 km, in parte fino alla quota della galleria. Costruendo il cunicolo esplorativo preventivo si mira a garantire una maggior chiarezza circa i rapporti geologici e idrogeologici. Già nelle due tratte del cunicolo scavate nel granito di Bressanone (Aica-Mules) e nella fillade quarzifera di Innsbruck (Innsbruck-Ahrental) sono state fatte importanti scoperte. Tali conoscenze sono tenute poi in considerazione nella progettazione delle gallerie principali. In tal modo, da un lato, si riesce a ridurre il rischio legato all’edificazione e a ottimizzare i metodi di costruzione e, dall’altro lato, è possibile bandire con più esattezza le gare di appalto per le gallerie principali. Inoltre, nella fase di costruzione è possibile trasportare il materiale di scavo ai depositi tramite il cunicolo esplorativo. Durante l’esercizio operativo, il cunicolo esplorativo sarà impiegato come cunicolo di drenaggio e di servizio. In tal modo, l’acqua ipogea che si accumula all’interno delle gallerie principali verrà fatta defluire e sgorgherà dalla montagna nei pressi dei portali della gola del Sill e di Aica. Un ulteriore vantaggio fondamentale garantito dal cunicolo carrabile consiste nel poter svolgere interventi di ispezione e manutenzione regolari senza influire sul traffico ferroviario. Il 18 aprile 2011, il cunicolo esplorativo è stato dedicato all’ex coordinatore dell’UE per il potenziamento dell’asse ferroviario Berlino–Palermo, Karel Van Miert, quale riconoscimento dei suoi meriti, ed è ora nominato “Cunicolo Karel-Van-Miert”.
Stato dei lavori Il sistema comprende un intreccio di canne principali, cunicoli esplorativi, gallerie di accesso e di interconnessione. Se si mettessero in fila le singole gallerie, si arriverebbe a 230 km di scavi. A febbraio 2014 si è arrivati a scavare 30 km di gallerie. Nella Galleria di Base del Brennero, quattro gallerie di accesso laterali conducono dalla superficie in profondità al cunicolo esplorativo e alle canne principali. Queste si trovano ad Ampass, Ahrental, Wolf nei pressi di Steinach e Mules. Durante i lavori di costruzione, tali cunicoli laterali vengono impiegati per trasportare i componenti delle enormi frese (con le quali vengono scavate grandi tratte delle gallerie principali) nel cuore della montagna, per poi essere assemblati in cameroni di montaggio, appositamente realizzati. Tutto il traffico di
TRASPORTI & CULTURA N.37 cantiere e la rimozione del materiale di scavo avviene attraverso queste gallerie laterali di accesso. Per tale motivo, esse presentano una sezione di scavo di ca. 110 metri quadrati. In Austria sono stati terminati i lavori di scavo relativi alle gallerie di accesso di Ampass e Ahrental, la tratta del cunicolo esplorativo Innsbruck-Ahrental e le due gallerie logistiche (galleria Padaster e galleria Saxen) a Steinach am Brenner. Attualmente sono in corso dei lavori di costruzione per il lotto costruttivo “Wolf II”. Inoltre è in corso l’appalto di altri tratti di galleria tra Tulfes e Steinach am Brenner (lotto costruttivo “Tulfes-Pfons”). Inoltre è in corso l’appalto di altri tratti di galleria tra Tulfes e Steinach (lotto costruttivo “Tulfes-Pfons”). In Italia sono stati ultimati la galleria di accesso di Mules e il tratto di cunicolo esplorativo Aica-Mules. Attualmente, sono in corso gli scavi dei primi chilometri delle canne principali e i lavori per il cunicolo esplorativo che proseguirà in direzione nord verso il Brennero. È anche in corso la gara di appalto per il lotto costruttivo “Sottoattraversamento dell’Isarco” in cui è prevista la realizzazione di una galleria artificiale che attraversi l’Alta Val d’Isarco a nord di Fortezza e che si inserisca nella stazione di Fortezza. I cantieri sono stati allestiti il più lontano possibile dalle aree residenziali. Per ridurre al minimo il traffico nei villaggi circostanti, è stata realizzata una rete di viabilità di collegamento che parte dall’autostrada e porta direttamente ai cantieri principali. La gestione delle opere viene portata avanti in modo responsabile, tenendo in considerazione criteri tecnici, economici, ecologici e anche sociali, da parte degli esperti di BBT SE insieme a progettisti esterni ed imprese di costruzione.
Deposito definitivo del materiale di scavo Per la costruzione della Galleria di Base del Brennero, in totale vengono scavati circa 22 milioni di m³ di marino. Circa il 30% è composto da roccia pregiata, che può essere reimpiegata come materiale edile per altre opere. Ad esempio, il granito di Bressanone estratto a Mules è ideale per essere additivato al calcestruzzo come inerte. Un quarto può essere impiegato come materiale di ripiena per riempimenti e riporti (tomi). Attualmente sono in corso analisi scientifiche per verificare alcune proposte innovative di riciclo del materiale di scavo al momento non riutilizzabile e per ora destinato al deposito definitivo. Il volume dei depositi è stato stimato per eccesso in 17 milioni di m³ per circa tre quarti del marino prodotto. Tale volume corrisponde alle dimensioni di un cubo alto circa 250 m ed è suddiviso in quattro aree di deposito maggiori situate lungo il tracciato. Nella progettazione si è posta particolare attenzione a collocare i depositi nelle vicinanze delle gallerie di accesso laterali al fine di evitare inutili trasporti su strada. Nella realizzazione dei depositi si è proceduto all’asportazione dello strato di humus, che è stato depositato temporaneamente ai margini delle aree di cantiere. Alla chiusura dei depositi, lo strato di humus sarà ricollocato in sede. Le superfici a prato verranno rese nuovamente agricole e le ex zone boschive saranno rimboscate con specie autoctone, come pini, pioppi, aceri montani e querce peduncolate. Riproduzione riservata ©
Ambiente e logistica di cantiere L’attenta gestione delle risorse naturali è un elemento caratterizzante la progettazione e la realizzazione della Galleria di Base del Brennero. BBT SE è impegnata a minimizzare gli impatti dell’opera sull’ambiente e la natura. Per tale motivo, gli imbocchi delle gallerie sono inseriti nel paesaggio con cura e attenzione e i depositi del materiale proveniente dagli scavi sono ubicati nelle immediate vicinanze delle gallerie di accesso laterali. Circa il 30% di tutto il materiale estratto durante la costruzione della Galleria di Base del Brennero può essere riutilizzato. BBT SE ha iniziato a raccogliere dati su fauna e flora, agricoltura e silvicoltura, qualità dell’aria e inquinamento acustico lungo tutto il corridoio del Brennero già molto prima dell’avvio dei lavori di costruzione. Al fine della tutela delle risorse idriche vengono eseguiti monitoraggi lungo l’intero tracciato presso tutte le sorgenti, i fiumi e le acque superficiali note, nonché monitoraggi delle acque di falda mediante 1.350 punti di misurazione. La dettagliata documentazione permette di valutare gli eventuali cambiamenti riguardanti le risorse idriche durante la fase di costruzione o successivamente al fine di intraprendere i possibili interventi di mitigazione. È prevista la realizzazione di misure di compensazione mirate, definite di concerto con le autorità preposte e i Comuni. Terminati i lavori, i terreni oggetto di occupazione temporanea per i cantieri saranno ripristinati e rinverditi.
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Napoli, integrazione dell’Alta Velocità con gli altri servizi di trasporto di Vincenzo Torrieri e Deborah Sanzari
La Campania è servita dalla linea Alta Velocità Milano-Bologna–Firenze-Roma-Napoli–Salerno, che prevede quindi nella regione due poli rispettivamente a Napoli e a Salerno. Il tema dell’integrazione dell’AV ferroviaria con i servizi di trasporto locali va quindi affrontato a scala della regione focalizzandosi sulle due aree di Napoli e di Salerno. Ma per capire meglio come l’Alta Velocità ferroviaria si integri con il sistema di trasporti regionale bisogna preliminarmente allargare il punto di vista al tessuto territoriale della Campania. Perché la mobilità è un’esigenza imprescindibile del cittadino; perché i servizi per la mobilità condizionano la vita quotidiana; perché il sistema dei trasporti nel lungo termine finisce per condizionare notevolmente l’organizzazione urbanistica del territorio. Ed in Campania, ma soprattutto nell’area napoletana, questi paradigmi di validità generale assumono un particolare significato per il ruolo rilevante che il sistema dei trasporti, ed in particolare le ferrovie, hanno giocato nel condizionare le trasformazioni del territorio.
L’AV ferroviaria ed il tessuto urbano regionale Risale all’inizio del secolo scorso la formulazione di un esteso programma di ferrovie locali, realizzato con il concorso di capitale privato, anche non italiano, in regime della concessione. Si è strutturata una rete ferroviaria in grado di connettere il territorio retrostante il golfo di Napoli con architettura radiale, incentrata su Napoli. Ad est le linee della Circumvesuviana, a servizio dei territori a sud e nord del Vesuvio: l’area Vesuviana costiera, l’agro nocerino-sarnese e la penisola sorrentina a sud, l’area nolana a nord; ad est le linee della Cumana a servizio dell’area flegrea; a nord la linea per Cancello-Benevento, a servizio del Casertano e del Beneventano, e la ferrovia Alifana a servizio dell’alto Casertano. La rete si completava poi con le linee delle Ferrovie dello Stato incentrate sul nodo di Napoli: la Roma-Napoli via Cassino; la Roma-Napoli via Formia; la Napoli-Salerno; la linea locale Villa LiternoNapoli a servizio dell’area flegrea, la linea CasertaSalerno. Nell’area Salernitana non vi sono stati investimenti sulle ferrovie locali da parte di privati, per cui la rete ferroviaria si limita alle linee dello Stato: la linea costiera Salerno-Battipaglia che prosegue verso la Calabria e due linee locali minori: la Caserta-Sarno–Salerno e l’anello Salerno-Mercato S. Severino-Nocera-Salerno.
Naples, integrating Highspeed railways with other transportation services by Vincenzo Torrieri and Deborah Sanzari The paradigm by which transport infrastructures, and railways in particular, strongly affect the settlement of a region, is substantially confirmed in the Campania region, specifically in the area overlooking the Bay of Naples, where the presence of an extensive rail system built between the two World Wars, fostered the construction of major industrial plants along the coast, and later, with the reconstruction subsequent to World War II, an urban sprawl that is one of the most congested in the world. The High-speed project, at the end of the last century, was grafted onto a strategy that was already in progress, and aimed at decongesting the coast and reinforcing mass rapid transit service to this area, which had generated a significant demand for people mobility. The project for the Regional Metro System, developed by the Region in the early years of this century, structures the various ongoing initiatives into a system that includes the HS project, which also becomes functional to the regional strategy. Thus the main HS station in Campania is located just to the north of the coastal district, in a non-urbanized area, a hub for the High-capacity railway leading out of the region, and for local railway and bus lines. Although the RMS is not yet completed, and the main station is under construction, the HS is well integrated with the local rail services, which bring in 40% of the HS users.
Nella pagina a fianco, in alto: vista aerea del nodo ferroviario di Napoli Centrale; in basso: le linee Metronapoli.
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1 - La metropolitana di Salerno.
2 - Il sistema Alta Velocità/ Alta Capacità in Campania.
La rete così strutturata si è completata tra la prima e la seconda guerra mondiale e, senza dubbio, nell’area napoletana ha costituito un presupposto per orientare la trasformazione urbana. Nel periodo tra le due guerre il fenomeno dell’industrializzazione si è focalizzato lungo la fascia costiera del golfo di Napoli: l’Ilva di Bagnoli, i cantieri navali di torre Annunziata, la SOFER, e l’ITALTRAFO di Pozzuoli, per citare gli insediamenti più rilevanti, tutti serviti dal sistema ferroviario. Allo sviluppo industriale si è accompagnato un intenso fenomeno di urbanizzazione che, con la ricostruzione successiva alla seconda guerra mondiale, ha assunto caratteri prorompenti e spesso 62
incontrollati, tanto che la fascia costiera è diventata una delle aree più densamente abitate del mondo: in pratica un territorio di 1.500 km² urbanizzato senza soluzione di continuità: 100 comuni, 3 milioni di abitanti, densità abitativa mediamente elevata, ma con punte che superano 14.000 ab/ km². In breve il 60 % della popolazione regionale si è localizzata lungo la costa del golfo di Napoli o nel suo immediato entroterra. Nell’altro golfo della regione, il golfo di Salerno, per altro con una costa molto più estesa del golfo di Napoli, non si è verificato un fenomeno analogo. Lo sviluppo industriale di Salerno si è orientato a sud verso la piana del Sele, così come l’estensio-
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3 - Metronapoli, linea 1, stazioni dell’arte.
4 - S.M.R. della Campania.
ne urbana. Solo successivamente si è attivato un asse di sviluppo lungo la valle dell’Irno, in direzione di Avellino, ma in complesso l’urbanizzazione non ha dato luogo a fenomeni di concentrazione così intensi come nel caso del golfo di Napoli. A partire dagli anni ‘70 la politica territoriale ha cercato di invertire il fenomeno di urbanizzazione della fascia costiera napoletana favorendo lo sviluppo industriale nelle aree più interne della Regione. In particolare nelle pianure a nord di Napoli il Piano Territoriale delle Aree di Sviluppo Industriale, concepito con lungimiranza e linearità da Luigi Tocchetti, ha consentito di infrastrutturare un territorio, per vocazione agricolo, in un sistema
di aree atte ad accogliere le nuove industrie che si andavano insediando nella Regione: emblematicamente la FIAT di Pomigliano d’Arco. Ma se per quanto attiene gli insediamenti industriali il piano ha avuto direi un successo più che lusinghiero, non altrettanto può dirsi nel campo urbanistico, dove il progetto di decongestione della fascia costiera si è limitato a bloccare nuovi insediamenti, spostando il baricentro dello sviluppo urbano nella cinta compresa tra il territorio soggetto a nuova industrializzazione e la fascia costiera stessa, senza cambiare macroscopicamente la struttura insediativa del territorio. In definitiva l’AV ferroviaria in Campania si inseri63
TRASPORTI & CULTURA N.37 sce in un sistema territoriale regionale articolato su due poli principali: il polo della conurbazione che si affaccia sul golfo di Napoli ed il polo dell’area salernitana, che si estende verso sud, tra la città e la bassa valle del Sele. Per quanto riguarda il resto della regione, si distinguono la conurbazione casertana, immediatamente al confine nord di quella napoletana, e le aree interne di Benevento ed Avellino, per le quali non si riconoscono fenomeni di aggregazione urbana. Rispetto all’AV, l’area casertana viene a gravare sul polo napoletano; l’Avellinese può gravare indifferentemente sul polo di Salerno o di Napoli; il Beneventano, localizzato alla periferia nord orientale della regione, risulta ai margini della linea AV attuale, ma in prospettiva potrà essere collegato dall’estensione del progetto lungo la direttrice Napoli-Bari.
5 - In alto: Metronapoli, linea 1, stazioni dell’arte. 6 - In basso: stazione FS di Napoli Centrale.
Il Sistema Metropolitano Regionale Allo scadere delle concessioni, le gestioni del sistema delle ferrovie regionali sono state assunte dallo Stato e successivamente, con il trasferimento
dei poteri sul Trasporto Pubblico Locale, le stesse sono passate all’Amministrazione Regionale. Il primo intervento di potenziamento della rete si è avuto nel periodo della ricostruzione successivo alla seconda guerra mondiale con il raddoppio del binario della linea Napoli-Torre Annunziata della Circumvesuviana. Negli anni ‘80 Napoli inizia ad attuare il programma della metropolitana urbana, il Ministero dei Trasporti mette in campo il programma di ammodernamento delle ex ferrovie concesse e le Ferrovie dello Stato varano il programma di ammodernamento del nodo ferroviario di Napoli. Agli inizi degli anni ‘90 si ha un’accelerazione del processo: Napoli apre all’esercizio la linea 1 della Metropolitana Urbana a servizio dei quartieri collinari a nord della città, in cui più intenso era stato il processo di urbanizzazione, ed avvia la realizzazione della Linea 6, a servizio della zona costiera urbana; Il Ministero dei Trasporti inizia a realizzare le opere di ammodernamento delle ferrovie concesse; le Ferrovie dello Stato procedono parallelamente con l’ingresso in regione della linea AV Roma-Napoli e con le opere del nodo Napoli; Salerno avvia il progetto della metropolitana urbana. Si venivano a mettere in campo una serie di iniziative, gestite da Enti diversi ed attuate da soggetti reciprocamente indipendenti, senza che vi fosse alla base un disegno organico, se non quello costituito dalle presenze infrastrutturali. Agli inizi del 2000, la Regione si assume la responsabilità, che le compete, di provvedere ad un disegno organico dei servizi di trasporto regionali su ferro, varando il progetto del Sistema Metropolitano Regionale, allo scopo di integrare tutte le iniziative in corso e quindi anche il progetto dell’AV, da realizzare con appositi accordi con gli Enti finanziatori, tra cui la stessa Regione, impegnando una cospicua aliquota di fondi strutturali dell’Unione Europea, sulla programmazione 2000-2006. Il progetto SMR è molto ambizioso sotto il profilo finanziario ed organizzativo, ispirato all’integrazione delle reti infrastrutturali su ferro e dei servizi su gomma, che vede come opere primarie: a) la Metropolitana urbana di Napoli con il completamento della linea 1 Piscinola- Piazza Municipio-Piazza Garibaldi; b) la chiusura dell’anello con il tratto P. Garibaldi-Aeroporto Capodichino-Piscinola; c) la linea 6 Mergellina–Piazza Municipio; d) la realizzazione della linea Arcobaleno Piscinola-Aversa, con caratteristiche di Metropolitana Urbana; e) la linea AC Napoli-Bari, che include la variante della linea Napoli-Cancello per toccare la stazione Afragola dell’AV; f ) la linea Salerno-Arechi–Pontecagnano con servizio metropolitano; g) il loop a servizio dell’insediamento universitario di Fisciano; h) i raddoppi di linea sulle ferrovie locali, ancora a semplice binario; i) l’ammodernamento delle stazioni in vista dell’integrazione dei servizi su gomma e su ferro. L’intero progetto, che è stato identificato come “ la cura del ferro per il sistema dei trasporti campani”, prevedeva 170 km di nuove linee e 92 nuove stazioni, ma la relativa realizzazione ha avuto una battuta d’arresto in seguito alla recente crisi economica. Oggi il progetto è stato rimodulato, conservando in gran parte l’impianto iniziale, ma stralciando alcune opere non ritenute prioritarie. L’investimento complessivo richiesto è stato oggi aggiornato a circa 4,2 miliardi di euro ed è interamente finanziato con l’Intesa di Programma Stato Regione 2013. La conclusione del progetto dipende dai tempi di completamento dei lavori,
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TRASPORTI & CULTURA N.37 generalmente in avanzato corso di esecuzione, ed è programmata per il 2015.
L’ AV ed il Sistema Metropolitano Regionale In questo sistema si inserisce la linea AV. I nodi di integrazione sono rappresentati dalle nuove stazioni Afragola e Vesuvio Est e dalle stazioni esistenti Napoli Centrale e Salerno Centrale delle FS. La stazione Afragola è sita a Nord della conurbazione napoletana, al confine di quest’ultima con la conurbazione casertana. Viene concepita come il terminale della linea AV in Campania: la prosecuzione verso le stazioni FS Napoli Centrale e Salerno avviene su nuove linee della rete RFI: il collegamento con Napoli prevede una coppia di binari dedicati esclusivamente alla connessione con Afragola; il collegamento con Salerno utilizza la linea ad Alta Capacità (linea a monte del Vesuvio), con velocità massima di 250 km/h, anch’essa di recente costruzione, allo scopo di liberare la linea costiera dal transito di treni a lunga percorrenza diretti verso Sud. La linea a monte del Vesuvio si immette nella vecchia linea Napoli-Salerno, alcuni chilometri prima di raggiungere la stazione di Salerno; è in programma il prolungamento della linea verso Battipaglia e la realizzazione di una nuova stazione Vesuvio Est in comune di Striano, al confine tra la conurbazione di Napoli e l’area salernitana. La stazione Afragola, con la sua ubicazione fuori della conurbazione napoletana, vuole essere il baricentro del sistema AV in Campania: da essa infatti partirà anche la line AC per Bari, e attraverso il Sistema Metropolitano Regionale si collega con la conurbazione casertana e con le aree interne di Avellino e Benevento. Per l’inserimento della stazione di Afragola nel SMR, gioca un ruolo cruciale la variante della linea Napoli-Cancello, finanziata come opera prioritaria con la citata Intesa di Programma Istituzionale tra lo Stato e la Regione, che da un lato consente la connessione verso nord con Caserta e Benevento, dall’altro si inserisce a sud sulla linea costiera, consentendo l’istradamento sia verso l’area vesuviana, sia verso l’area flegrea, passando per il centro di Napoli. Risulta, inoltre, baricentrica rispetto al sistema viario principale della regione, per cui è facilmente accessibile anche su gomma da tutto il territorio regionale. In prospettiva la stazione Afragola assume il ruolo di vero e proprio hub per il sistema dei trasporti regionali, sia su ferro che su gomma, e non a caso si prevede che il nodo possa essere catalizzatore di servizi commerciali e rappresentare un punto di innesco per favorire il processo di decongestionamento della fascia costiera. La stazione Vesuvio Est, era prevista nel PON Trasporti 2000-2006 ma, anche a causa della crisi economica degli ultimi anni, il progetto non è stato portato avanti e non sembra che rientri nelle priorità più immediate, così come il prolungamento della linea AC verso Battipaglia. Ad oggi comunque sono le stazioni FS di Napoli e Salerno Centrale a rappresentare lo snodo di integrazione con il sistema dei trasporti locali, ed in particolare con il SMR. La stazione di Napoli Centrale è il nodo principale del SMR: è collegata direttamente alle linee locali delle FS ed alle linee della Circumvesuviana; indirettamente, ma sempre con percorsi ferroviari, si collega alle linee della Cumana. È prossimo il colle-
gamento diretto con la linea 1 della Metropolitana urbana; nei prossimi anni sarà anche attivo il collegamento diretto con l’aeroporto di Capodichino e con la linea Arcobaleno Su questa stazione gravita tutta la conurbazione del golfo di Napoli e SRM garantisce l’accessibilità ferroviaria alla maggior parte del territorio. Anche la stazione di Salerno Centrale è parte del SMR, cui si collega attraverso la linea costiera delle FS dedicata al trasporto regionale, parallelamente alla quale si aggiunge, in città, la metropolitana urbana; si collega inoltre alla linea FS ad anello Fisciano-Mercato S. Severino- Nocera. A livello di sistema si può quindi concludere che l’AV in Campania risulta fortemente integrata con il trasporto ferroviario locale. C’è un dato che sintetizza la misura del livello di integrazione tra l’AV ed il trasporto locale: una recente indagine ha evidenziato che l’accesso ai servizi AV avviene per il 40 % con servizi ferroviari, per il 40% con mezzi di trasporto individuali, di cui la metà taxi, e per il 20% con servizi pubblici su gomma. La quota di accesso con servizi ferroviari è destinata a crescere con l’apertura della stazione Afragola e con il completamento del progetto SMR. Ma incombe la crisi del Trasporto Pubblico Locale, che versa in una drammatica situazione debitoria ed ha portato ad un massiccio ridimensionamento dei servizi, sia su ferro che su gomma negli ultimi tre anni. La Regione sta facendo sforzi notevoli, nonostante il ridimensionamento del contributo statale per il Trasporto Pubblico Locale, per porre un freno al deficit corrente, e solo di recente è stato approvato, di concerto con lo Stato, un piano decennale per il ripiano del debito, che quindi non graverà più sulle gestioni dei servizi. Ciò dovrebbe consentire non solo il ripristino dei servizi soppressi, ma anche una più efficiente integrazione dei servizi ferro/gomma, ed in generale un incremento dell’offerta, pur nel rispetto dell’equilibrio economico. Del resto la strada è obbligata: l’integrazione dei servizi dei trasporti locali con l’AV, per la struttura del territorio, non può che avvenire su ferro, soprattutto nell’ambito della conurbazione del golfo di Napoli, e gli ultimi eventi - piano di risanamento delle gestioni ferroviarie e Intesa Istituzionale di Programma - individuano un percorso virtuoso che porterà, almeno nel settore dei trasporti, a rendere più competitivo l’intero territorio regionale. Non a caso il Presidente della Regione ha in molte occasioni ribadito che la strategia dello sviluppo regionale punta sull’asse Trasporti-Turismo, ed in questa ottica l’Alta Velocità può simbolicamente rappresentare non solo l’innovazione ed il potenziamento dell’intero sistema dei trasporti regionali, ma anche l’auspicata ripresa economica attesa per il prossimo biennio in Campania. Riproduzione riservata ©
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Non solo Alta Velocità: esigenze e programmi per il servizio ferroviario regionale di Stefano Damiano Barbati
Accanto alla rete Europea, ai corridoi internazionali ed alle linee principali nazionali, la rete di trasporto pubblico regionale si sviluppa sulle strade e sulla ferrovia. Nel caso della ferrovia è difficile indicare ciò che è di competenza regionale, se le due infrastrutture si sovrappongono fino a condividere stazioni e binari. In queste condizioni l’utente percepisce il trasporto ferroviario come un unico servizio pubblico a scala nazionale: uno strumento flessibile che può essere utilizzato per coprire distanze piccole (raggiungere la periferia dell’area metropolitana) e grandi (attraversare la nazione). Un servizio di trasporto pubblico integrato e senza soluzione di continuità. Per certi versi è persino difficile da definire: la “ferrovia regionale” e la “ferrovia di proprietà della Regione” non coincidono. La rete ferroviaria presente nel territorio di una Regione è, o era, in gran parte di proprietà dello Stato; in alcuni casi però esistono tracciati di proprietà della Regione. Inoltre, la maggior parte della rete dello Stato, sebbene ora sia di competenza regionale, è comunque concessa a un gestore nazionale. In questo articolo si vuole delineare un quadro sintetico della situazione del servizio di trasporto locale ferroviario italiano: a metà strada tra le esigenze di quella grossa fascia dell’utenza finale che, a vario titolo, non ha accesso all’Alta Velocità e le prestazioni di un servizio della collettività, che non può essere gestito con i criteri dell’Alta Velocità.
Introduzione La rete ferroviaria italiana è caratterizzata da una infrastruttura complessa e ramificata nel territorio, che solo in minima parte è destinata all’Alta Velocità. Tuttavia, i maggiori investimenti sui Trasporti confluiscono in questa porzione, sia a livello nazionale che comunitario. Ad esempio, sulla tratta che collega Torino e Lione, il cantiere dell’Alta Velocità è aperto e prevede un investimento da 8 miliardi di euro per il foro nella montagna ed una infrastruttura civile che richiederà il finanziamento di circa 24 miliardi di euro da spalmare solo su due Stati Membri (Italia e Francia) e su 20 anni. E mentre i lavori in Val di Susa procedono, paghiamo un altro finanziamento per il recente ammodernamento del collegamento intermodale tra Orbassano (Torino), attraverso Bardonecchia, e Modane: un’infrastruttura in esercizio, affine alla linea Torino-Lione, sottoutilizzata rispetto ai livelli di utilizzo previsti e che riesce a coprire in media il 40% dei costi complessivi del servizio. Tutto questo avviene mentre i collegamenti tra le città di frontiera viene man mano abbandonato agli autobus (in particolare verso Austria e Slovenia). Anche le competenze
Not just High-speed: needs and plans for regional railway services by Stefano Damiano Barbati Along with the European Rail Network, the international corridors and the major national railways, the regional public transportation network runs both on roads and railroad tracks. In the case of railways, it is hard to distinguish what is under regional competence, because the two infrastructures overlap to the point of sharing stations and tracks. Under these conditions, the user perceives railroad transportation as a public service at a national scale: a flexible tool that covers both suburban commuting and long journeys across the nation. An integrated and uninterrupted public transportation service. In a certain sense it is hard to define: the “regional railway” and the “railway belonging to the Regional government” do not coincide. The railway network on the territory of a Region is, or was, mostly under national ownership; in some cases the Regional Government provides some routes. In addition, most of the State’s network, while it is now under regional competence, is still granted in concession to national management. This article wishes to provide a synthetic representation of the situation of Italian local railway transportation: halfway between the national transportation needs of users who, for whatever reason, do not have access to High-speed and the performance of a collective service that cannot be managed with the criteria of High-speed travel.
Nella pagina a fianco: due vedute di piccole stazioni lungo linee del servizio regionale.
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TRASPORTI & CULTURA N.37 regionale: in tal caso la rete si riduce a circa 3.489 km (3.473 km nel 2013), a causa delle dismissioni e delle riconversioni che le Regioni applicano per contenere i trasferimenti di cassa al Trasporto Pubblico Locale (TPL). Dal punto di vista tecnico si può classificare la rete sia per composizione, o numero dei binari paralleli e attivi, che per sistema di trazione utilizzato dalle vetture (Elettrico o Diesel). In Italia si individuano 7.514 km di linee a doppio binario (saranno 7.459 km nel 2013) e 9.161 km (9.283 km) a binario semplice. Se intendiamo rappresentare la ferrovia in termini di “trazione”, allora la linea elettrificata si sviluppa per 7.446 km (7.459 km) a doppio binario e 4.495 km (4.500 km) a binario semplice; mentre i percorsi non elettrificati misurano rispettivamente 68 km, a doppio binario, e 4.666 km, a binario semplice (4.783 km). La lunghezza totale e stimata dei binari è di 23.029 km (24.278 km). Il Piemonte è la Regione che dispone degli sviluppi maggiori (11,4% delle linee in esercizio; il 10,6% dei binari; il 12,0% delle linee), mentre l’Emilia Romagna è quella a maggiore dotazione di linee per l’Alta Velocità (498 km, nel 2012). Piemonte, Lombardia ed Emilia Romagna dispongono dello sviluppo maggiore di linee elettrificate (rispettivamente sono 11,1%, l’11,7% e il 10,7% ed insieme contano il 33% dello sviluppo nazionale). È altresì importante sottolineare che la maggior parte delle linee non elettrificate è distribuita tra le regioni più grandi e le isole: Sicilia e Sardegna rappresentano insieme il 21,3% delle linee nazionali; peraltro queste sono percorse da veicoli con motore diesel. É evidente, con questi numeri (ASSociazione TRAsporti), che lo sviluppo dell’infrastruttura non ha raggiunto una condizione di equilibrio a livello nazionale, né si può dire che la ramificazione della rete sia capillare su tutto il territorio nazionale. A questo proposito, potrebbe non apparire come una coincidenza fortuita, il fatto che ad esempio il numero dei gestori aumenta da Nord verso Sud, mentre diminuisce il numero dei chilometri gestiti in media da ciascuno di essi. 1 - La rete regionale italiana.
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sono spesso in sospeso, paurosamente intricate in vero, sono molte e sono disperse in tutto il territorio italiano. Un caso emblematico è quello tra le Regioni Piemonte e Valle d’Aosta: per le ferrovie, la Valle d’Aosta inizia ad Ivrea e con essa finisce anche l’elettrificazione piemontese. La rete di proprietà delle Regioni è generalmente gestita da imprese controllate dall’ente proprietario, ovvero da enti privati che mantengono un rapporto contrattuale con il gestore nazionale o con la Regione. L’infrastruttura non è omogenea e non è distribuita in modo equilibrato sul territorio nazionale; con caratteristiche delle linee, con flussi, costi e tariffe eterogenei, da Nord a Sud. Sebbene il comparto sia in continuo peggioramento e non siano previste nuove costruzioni per la rete locale, per la rete complessiva non è così, nonostante la crisi, e si continua ad investire. Per comprendere quanto sia attivo è sufficiente confrontare le statistiche (periodo 2011-2012) con le proiezioni (per il 2013, di seguito tra parentesi). La rete italiana, di proprietà dello Stato, nel 2012 contava 16.675 km di linee (16.742 km nel 2013), di cui: 6.426 km (6.444 km) fondamentali, 9.311 km (9.359 km) complementari e 938 km (939 km) sviluppi di nodo, cioè tratti di ferrovia che servono per il funzionamento di un nodo ferroviario. Diverso è il discorso se si ragiona in termini di proprietà
Il servizio pubblico di trasporto ferroviario regionale Il servizio di trasporto regionale e locale è regolato da un Contratto di Servizio che viene stipulato tra la Regione e l’Ente Gestore, che deve essere accuratamente certificato sia in materia di trasporti che in termini di sicurezza. Il Contratto deve avere caratteristiche di certezza finanziaria e deve essere completamente coperto da apposite voci del Bilancio Regionale. Il cuore del contratto è il piano industriale: la valutazione dei costi minimi di esercizio e dei ricavi generali; la rimodulazione dell’offerta sulla base dei volumi movimentati sui treni; la definizione ed il monitoraggio di indicatori di qualità del servizio; il continuo aggiornamento del rapporto tra il Gestore e gli utenti del servizio, al fine di monitorare il “grado di soddisfazione”. La parte più delicata del sistema consiste nell’individuare la qualità del servizio, l’efficienza e l’efficacia del Gestore. L’Ente deve, o perlomeno dovrebbe, tentare un’opera di attrazione dell’utenza, per favorire il trasferimento dal trasporto su strada al treno. I temi della sicurezza e del risparmio energetico dovrebbero essere interpretati per valorizzare della rete esistente. Per questo motivo
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2 - Distribuzione delle linee ferroviarie in esercizio.
3 - La rete ferroviaria di proprietà regionale.
si dovrebbe programmare anche la ristrutturazione e l’ammodernamento della rete e del servizio, in un’ottica di attribuzione di un valore aggiunto dalla gestione, affinché non sia solo una questione di “uso”. La struttura dell’offerta è denominata “a catalogo”. In esso è presente una lista di elementi e di servizi offerti (la produzione industriale del Gestore), con il corrispettivo previsto: il tipo di trasporto (i treni, il numero di posti a sedere ed in piedi, le carrozze per ogni convoglio, la copertura diurna e notturna, gli orari feriali-prefestivi-festivi, i servizi minimi per situazioni di domanda ridotta e scarso affollamento, le ore di servizio minimo e medio …); le tariffe; i servizi correlati ed accessori (biglietteria, assistenza alla clientela, volume del personale servente per unità di viaggiatori o per chilometro di linea servita, servizio a bordo …); i costi derivati (rimborsi per servizi sostitutivi, bus e pedaggi). I requisiti fondamentali del servizio regionale sono quelli di un prodotto industriale organizzato in modo integrato con il sistema di trasporti locale,
omogeneo e coerente con le esigenze dell’utenza finale: collegamenti capillari; relazioni di servizio efficaci ed efficienti; le fermate ed i tempi di sosta in stazione devono essere commisurati alle esigenze del servizio e alle sue fluttuazioni stagionali. Il tempo di percorrenza e le tariffe devono mettere d’accordo tutti, Enti e persone. Questi devono essere adeguati alla linea, alla distanza e al motivo del viaggio. In molti stati europei si considera un buon compromesso avere fermate ad intervalli di 5-8 km, una velocità media commerciale di 50-70 km/h, un collegamento che attraversa le grandi aree metropolitane, e cadenze semiorarie (in entrambe le direzioni di marcia). Gli orari, anche nelle ore di punta, sono cadenzati in armonia con gli altri modi di trasporto (in Italia, nonostante si stia lavorando al riassetto delle stazioni, il treno non raggiunge necessariamente l’aeroporto). Lo stato delle cose sfugge all’utenza finale; ci sono particolari che, tuttavia, costituiscono un costo vivo per la gestione del servizio di trasporto: assicurare la piena fruibilità, l’efficienza delle linee, 69
TRASPORTI & CULTURA N.37 delle infrastrutture e del materiale rotabile; svolgere le procedure concorsuali per l’affidamento dei servizi accessori, secondo le modalità previste dalle leggi; compensare le fluttuazioni della domanda con piani tariffari promozionali; adottare o istituire diversi titoli di viaggio complementari all’offerta di base, per sopperire alle contingenze ed alle criticità stagionali; integrare il sistema di tariffazione e di pagamento con quelli locali esistenti; prevedere servizi sostitutivi ed accessori (automobilistici). La valutazione della qualità del servizio erogato è di competenza della regione e si sviluppa mediante il calcolo di indici di affidabilità ed efficienza del servizio. L’indice di affidabilità è legato al rapporto di copertura del programma approvato, cioè al numero di corse/posti a sedere/treni-km effettivamente erogati rispetto al numero di corse/posti a sedere/treni-km dichiarati nel programma esecutivo. L’indice di efficienza del sistema è generalmente un indicatore di puntualità che rappresenta i termini di rispetto dell’orario grafico della linea. Questo parametro può essere definito con procedure diverse; generalmente viene presentato come il rapporto tra il numero di treni arrivati a destinazione entro i primi cinque minuti ed il numero totale di corse programmate. In alcuni casi, ad esempio per le linee dove la domanda di trasporto ha un forte carattere di pendolarità, si sceglie di rappresentare l’indice di puntualità per i soli treni previsti nelle fasce orarie di picco (ad esempio tra le 6 e le 9 del mattino, tra le 17 e le 19 di sera). Un’altra anomalia del sistema riguarda l’analisi dell’indice di soddisfazione dell’utenza, che di norma dovrebbe essere di competenza del Proprietario ed, invece, è monitorato annualmente, presumibilmente in momenti significativi dell’esercizio, dal Gestore.
Quale futuro per la rete regionale La struttura della rete dipende dalla forma del rapporto tra Gestore e Proprietario: non dovrebbe
4 - DIstribuzione delle linee ferroviarie fra le regioni.
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avere alcun “colore politico” e quindi, come è ragionevole pensare, una gestione trasparente. Se da una parte si considera lo stato giuridico delle cose, allora la definizione della rete regionale è semplice: dal 2000 le Regioni hanno la piena responsabilità sul servizio ferroviario locale. Le Regioni sono subentrate allo Stato nel ruolo di interlocutore con i concessionari e, dal 2001, lo Stato trasferisce alle Regioni le risorse per coprire parte dei costi: quali e quante siano queste risorse è un’altra materia di discussione, alquanto controversa. I Gestori, o Concessionari, sottoscrivono con la Regione un “Contratto di Servizio” che stabilisce la quantità, i costi e gli standard di qualità dei servizi ferroviari da erogare: laddove manca la concorrenza tardano ad arrivare anche gli investimenti privati (nazionali ed esteri). Nel trasporto locale, l’utenza finale “pretenderà” sempre un servizio adeguato alla propria individuale percezione del trasporto su treno e alle tariffe applicate. L’utente chiederà il collegamento attivo, in termini di frequenze, e la copertura del territorio. Per questo motivo il sistema di aggiudicazione della gestione per mezzo di “bando di gara” dovrà garantire all’utente il servizio migliore al costo generalizzato minore. Il tema della “gestione” del sistema di trasporto locale, ancorché non oggetto di questo articolo, sarà sempre delicato e sottointende una domanda: “come si può liberalizzare un settore in cui l’Ente proprietario, la Regione, può essere anche proprietario dell’Ente Gestore?” Un intervento legislativo del 2009 doveva porre una soluzione al problema (Legge 99/2009): il legislatore ha accordato alla Regione la facoltà di non ricorrere alle procedure concorsuali per l’affidamento dei servizi per il trasporto pubblico ferroviario regionale e locale nel caso in cui essa abbia il controllo dell’impresa. Di fatto, oggi i servizi di trasporto ferroviario regionale sono gestiti dalle Regioni e da Trenitalia, il principale operatore di servizi di trasporto passeggeri, e probabilmente lo saranno per tutta la durata dei Contratti di Servizio (6 anni standard e 6 anni di rinnovo concordato, 2016 -2018 è la pri-
TRASPORTI & CULTURA N.37 ma scadenza). L’offerta di servizi ferroviari regionali è, in estrema sintesi, quella disponibile tramite il catalogo di Trenitalia, e poche regioni hanno fatto uso delle procedure concorsuali (la Regione Emilia Romagna ad esempio; il Piemonte lo ha tentato). L’Italia, ancora una volta e per questioni di tipo strutturale, è sotto l’esame della Commissione Europea, che è intervenuta per verificare se i contratti di servizio sottoscritti nel nostro Paese siano stati prodotti in condizioni di concorrenza limitata o distorta. Il futuro della rete ferroviaria dipende dalla capacità di investimento delle aziende, se si esclude ciò che riguarda il servizio ed il materiale rotabile, già contabilizzato nelle more dei Contratti di Servizio. Le fonti di investimento sono legate ai trasferimenti ed ai ricavi del Gestore. La congiuntura economica rende il discorso sui trasferimenti molto breve: le casse sono vuote, non ci sono soldi per investimenti. I ricavi derivanti dalla vendita di biglietti, abbonamenti e servizi accessori copre mediamente un terzo dei costi del trasporto ferroviario regionale. Una parte del materiale rotabile è stato ammodernato o sostituito tra il 2007 ed il 2010; in molti casi si è trattato invero di un restyling interno di vetture consunte e di sedute cedevoli. Quindi, fatto salvo il programma di acquisti già rivisto al ribasso in questi anni con i Ministeri competenti, gli investimenti sono essenziali e sono già spesi. A partire dall’anno 2012, gli investimenti sono concentrati sul completamento delle opere già in corso e sull’avvio di opere prioritarie, finalizzate all’ammodernamento e allo sviluppo dell’infrastruttura e all’incremento dei livelli di sicurezza. L’articolo 1, comma 301, della legge di stabilità 2013, nel sostituire l’articolo 16-bis del D.L. n.95/2012, istituisce il Fondo Nazionale per il concorso dello Stato agli oneri del trasporto pubblico locale, anche ferroviario, nelle Regioni a statuto ordinario con una dotazione complessiva di 4.929 milioni di Euro. Il Fondo è alimentato dalle accise sul gasolio per autotrazione e sulla benzina, quindi la copertura sarà nota a consuntivo. Sono previsti e contabilizzati i trasferimenti per l’anno corrente e per i prossimi 2 anni: 465 milioni di euro per il 2013, 443 milioni per il 2014 e 507 milioni a decorrere dal 2015. Il servizio di trasporto regionale ha nel suo futuro un “quarto pacchetto ferrovie” dell’Unione Europea; una quota da definire del fondo complessivo di investimenti nel TPL (Fondo nazionale trasporti) annui per 4.929 milioni di euro, dal 2013 fino al 2015. Ovviamente il futuro del trasporto ferroviario locale è incerto. La crisi economica è ancora tra noi ed è difficile trovare una soluzione per molti dei problemi che affliggono il bilancio delle aziende: in linea di principio il servizio dovrebbe essere in grado di autofinanziarsi, visto che i treni sono utilizzati in massa dai pendolari e sono sovraffollati al punto che non è possibile percorrere il treno, anche per chi dovrebbe controllare i biglietti. Si chiede di aumentare la frequenza dei passaggi e dei treni, compatibilmente con i futuri Contratti di Servizio (ora in revisione sia a livello nazionale che europeo). Le tariffe sono in continuo rialzo per sopperire al calo drastico dei trasferimenti pubblici: sebbene le variazioni siano programmate con regolamenti rigorosi, anche una piccola variazione del prezzo del biglietto viene mal sopportata dall’utenza finale, soprattutto se a un aumento del prezzo non corrisponde un miglioramento dell’offerta del servizio. Si moltiplicano le critiche circa la
riduzione della copertura del territorio, con eliminazione dei percorsi a domanda ridotta e dei percorsi turistici, verso il Nord e l’Est Europa. La strada ferrata, la ferrovia, ha il percorso rigidamente definito nell’infrastruttura mediante le rotaie; allo stesso modo il percorso del settore è tracciato dalle politiche industriali sul settore dei trasporti pubblici: servono più soldi di quelli disponibili e, comunque, andrebbero spesi meglio. Tra i dubbi sulla TAV, non solo italiani in vero, ed i cantieri aperti, c’è una certezza: la ferrovia non è e non può essere solo Alta Velocità. Riproduzione riservata ©
Bibliografia e sitografia Il trasporto ferroviario regionale in Italia, ASSTRA (2012). Le Condizioni Generali di Trasporto dei passeggeri di Trenitalia. Trenitalia (2013). P. Berengo Gardin (1988), Ferrovie italiane, Roma, Editori Riuniti.
C. Bentivogli, E. Panicara, (2011), Regolazione decentrata e servizio concentrato: le ferrovie regionali viaggiano su un binario stretto?, Atti della XXIII Conferenza SIEP “Crisi e conomica, welfare e crescita, Pavia. Contratto di servizio 2011-2016, Regione Piemonte. Stagni G. (2004), La riforma delle ferrovie, dicembre, www.miol. it/stagniweb. Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (2008), Relazione illustrativa. Servizi di trasporto ferroviario di passeggeri a media e lunga percorrenza: servizio universale. Direttiva 91/440/CE, Gazzetta ufficiale n. L 237 del 24/08/1991. Raccomandazione CE Gazzetta ufficiale n. L 113 del 20/04/2004. Direttiva 95/19/CE del Consiglio, del 19 giugno 1995, Gazzetta ufficiale n. L 143 del 27/06/1995. Direttive 2001/12-13-14/CE, Gazzetta ufficiale n. L 075 del 15/03/2001. Regolamento CE n. 881/2004, Gazzetta ufficiale n. L 220 del 21 giugno 2004. Direttiva n. 2004/51/CE, Gazzetta ufficiale n. L 220 del 21 giugno 2004. DECRETO 5 agosto 2005 Individuazione delle reti ferroviarie e dei criteri relativi alla determinazione dei canoni di accesso ed all’assegnazione della capacità di infrastruttura. A. Boitani, A. Petretto (2002), I servizi pubblici locali tra governance locale e regolazione economica, in: L. Robotti, “I servizi pubblici locali”, Bologna, Il Mulino, pp. 25-65. C. Cambini (2009), Concorrenza e regolazione nel settore ferroviario: l’importanza del materiale rotabile, in “Economia e politica industriale” n. 2, pp. 47-72. M. De Luca, F., Pagliara, (2007). La ferrovia nelle aree metropolitane italiane, Atti del XIV Convegno nazionale SIDT, Napoli, 19 febbraio 2007. www.trenitalia.com www.miol.it/stagniweb www.federconsumatori.it. www.regione.piemonte.it
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Successi e criticità dell’Alta Velocità. Un confronto tra Parigi e Shanghai su ecosostenibilità e impatto ambientale di Cristiana Mazzoni e Fan Lang
Le relazioni ufficiali tra la Francia e la Cina in materia di politiche dei trasporti ecosostenibili sono iniziate nel 2007, con la firma di accordi di cooperazione tra i due rispettivi governi e l’organizzazione di ripetuti scambi e incontri a carattere scientifico. Ultimo sulla lista, il Forum mondiale dell’Ecomobilità terminato con il Convegno THNS di Shanghai, basato sulle nuove tendenze nel campo delle tecnologie dei sistemi di trasporto urbano e delle pratiche di vita legate alla mobilità1. Le due giornate hanno visto la partecipazione di più di 30 oratori, tra i quali i più grandi ricercatori attuali in materia di ingegneria trasportistica, legati da una parte al polo tecnologico parigino ParisTech e dall’altra alla facoltà di Ingegneria dell’Università di Tongji. Le istituzioni coinvolte, oltre al Ministero dell’Ecologia francese, sono state l’Institute of Comprehensive Transportation of National Development and Reform Commission cinese et l’Institut pour la Ville en Mouvement (IVM), fondato da François Ascher negli anni 1990 e rappresentato in Cina dal Prof. Pan Haixiao2 . In materia di trasporti su rotaia, ciò che è emerso dall’ultimo incontro - e che è ormai un dato di fatto - è che la Cina è riuscita a sviluppare in meno di un decennio una rete efficace per l’alta velocità, e ha recuperato così tutto il ritardo accumulato durante la seconda metà del XX secolo rispetto all’Europa. Tale rete è collegata, nelle città più importanti, alle nuovissime ed efficaci linee della metropolitana. Ma ciò che rimane per il momento irrisolto è la capacità di tali reti di creare un sistema capillare che si metta in relazione con le forme di mobilità lenta e gli spazi del pedone e del ciclista. Nel vecchio continente, e in particolare in Francia, sono occorsi al contrario più di cinque decenni (1960-2013) per dibattere, sperimentare e poi realizzare massivamente le nuove strategie legate sia alle linee della grande velocità (LGV) che alla velocità media e lenta della ferrovia leggera (tram e tram-treno). Un secondo dato di fatto è che nel corso degli anni 1990 e 2000, la Cina ha importato il metodo e le tecniche ingegneristiche europee d’avanguardia e si è ispirata agli esempi delle città francesi in materia di reti e di sviluppo 1 Il Convegno THNS sull’Ecomobilità si è svolto il 9 e 10 novembre 2013 al Centro franco-cinese dell’Università di Tongji a Shanghai, organizzato dal Ministero dell’Ecologia Francese (MEDDE-FRANCE) e dalla Commissione Nazionale per lo Sviluppo e la Riforma (National Development and Reform Commission - CHINE). Per maggiori informazioni, vedere il sito http://www.urba2000.com/club-ecomobilite-DUD/spip. php?page=forum_2013&id_rubrique=109 2 Per maggiori informazioni sull’Institut pour la Ville en Mouvement, vedere il sito http://www.ville-en-mouvement.com
Success and criticality of High-speed. A comparative analysis of eco-sustainability and environmental impact between Paris and Shanghai by Cristiana Mazzoni and Fan Lang To implement the cooperation agreement for sustainable urban development signed in 2007 between China and France, an annual Franco-Chinese Forum on Transport (THNS) was established in 2008 with the aim of sharing research on intelligent low-carbon transport in the city. The forum emphasized the importance of providing rapid answers to urgent challenges (such as traffic congestion), and of examining more long-term prospects, such as the implementation of intelligent systems to exploit large amounts of data on the existing network. France began developing High-speed railway network technology in the 1960s, and though China started almost 40 years later, it has caught up with remarkable speed. The decades starting in 2000 witnessed the rapid development of a network of Highspeed lines that modernized the entire Chinese network. High-speed railways in China currently constitute the largest network in the world. However, over the past twenty years France has developed very interesting interconnections between High-speed trains and new networks of tramways and corridors for bicycles and slow mobility. The analysis of the two metropolitan situations in Paris and Shanghai highlight the thesis that “to slow down” is not synonymous with an obsolete world vision: sustainable projects for the metropolitan territory, in particularly for collective mobility, must integrate the idea of a new slowness, of the pauses required for a creative economy and a new quality of life.
Nella pagina a fianco, in alto: un TGV alle porte di Shanghai, sulla linea ad Alta Velocità che in provenienza da Pechino; in basso: la Senna vista dall’Ile Saint-Denis, con l’intreccio delle tre trame: ferroviaria, verde e blu.
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TRASPORTI & CULTURA N.37 hai. Dal confronto tra questi due esempi emerge la riflessione, che abbiamo presentato al Convegno THNS, sull’importanza dello slow down, del rallentare, per ripensare l’articolazione tra l’alta velocità e la mobilità lenta. Sono infatti numerose le ricerche recenti, nel campo dell’urbanistica europea, che sostengono che non è più possibile considerare l’Alta Velocità separata dagli altri modi di trasporto e dall’intreccio intelligente delle diverse forme di mobilità interurbana, suburbana, urbana e locale.
Il sistema di linee ad alta velocità in Francia e in Cina
1 - Carta di Shanghai con individuate le 3 stazioni del TGV - terminal delle linee di penetrazione radiali - e i 3 anelli autostradali concentrici con i relativi snodi.
2 - Nella pagina a fianco, in alto: SDRIF, Schéma Directeur d’Ile-de-France 2008. Lo schema elaborato dalla Regione Ile-de-France mostra le previsioni di sviluppo delle reti ferroviarie della Grande Parigi. 3 - Nella pagina a fianco, al centro: Schema delle trame verdi e agricole nella Grande Parigi. SDRIF, Schéma Directeur d’Ile-de-France 2008. 4 - Nella pagina a fianco, in basso: Schema della trama blu legata alla Senna e ai suoi affluenti. SDRIF, Schéma Directeur d’Ile-de-France 2008.
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strategico del territorio, ma non ha favorito l’interconnessione e la riduzione dell’impatto delle infrastrutture legate alla mobilità delle autovetture. In questi ultimi anni però la Cina si è proposta come un Paese esportatore per quello che riguarda le nuove politiche sostenibili dei trasporti. Si tratta di una vera e propria novità, se si tiene conto delle critiche di cui essa è tuttora oggetto in materia di produzione di CO². Una prova lampante di tale svolta verso l’ecomobilità è data dal recente acquisto, da parte della città di Los Angeles, di 25 nuovi autobus ecologici made in China: i BYD, Build Your Dreams, a emissione zero di carbonio3 . In questo articolo ci soffermeremo, in un primo tempo, sulla descrizione delle politiche nazionali in Francia e in Cina in materia di linee e stazioni legate all’alta aelocità. Tali politiche saranno confrontate, in un secondo tempo, con lo sviluppo urbano attuale di due metropoli segnate dall’impatto delle reti sul loro territorio: Parigi e Shang3 Sylivie Kauffmann, Le rêve chinois de Los Angeles, « Le Monde », martedì 12 novembre 2013, p. 20
Abbiamo già avuto occasione di rilevare che i Paesi dell’Europa centrale e meridionale hanno iniziato insieme a interessarsi all’alta velocità, tra il 1965 e il 1970, con l’obiettivo di una modernizzazione globale delle strutture legate al traffico ferroviario e di una riorganizzazione del sistema ad esso collegato. La costruzione della prima linea europea per treni ad alta velocità - la direttissima RomaFirenze - ha inizio nel corso degli anni 1960: essa sarà inaugurata, per oltre metà percorso, nel 1977 e verrà completata nel 1992. Ma sono in realtà le nuove linee francesi a segnare l’inizio dell’era legata all’alta velocità, che seguirà, in Europa, differenti politiche di finanziamento e di gestione dei sistemi del traffico merci e passegeri. In Francia, l’inaugurazione, nel 1981, della linea del TGV Sud-Est tra Parigi e Lione definisce il momento cardine della futura politica nazionale di realizzazione di un percorso nazionale per treni ad alta velocità che attraversa l’intero Paese, differenziato dal sistema dei treni merci e dei treni passeggeri classici. Nel 1994 è realizzata, con l’apertura della Gare ParisRoissy, l’interconnessione con il tracciato appena terminato del TGV Nord tra Parigi e Lille, e che prosegue verso Bruxelles, Amsterdam e Londra. Nel 1996 è inaugurato, a ovest di Parigi, l’interscambio che permette il collegamento con le linee del TGV ovest dirette verso Nantes e Bordeaux, mentre la costruzione della linea est verso Strasburgo è ritardata dalla presenza, nella regione Alsazia, di un sistema di reti diverso da quello francese, con i treni che viaggiano sulla destra, derivati dal sitema tedesco. Tali progetti hanno fatto diventare la regione di Parigi il perno di tutto il sistema ferroviario nazionale ad alta velocità e hanno privilegiato una configurazione radiale di collegamento veloce su lunghe distanze, allacciata a due grandi aeroporti internazionali: Paris-Charles de Gaulle et Lyon Satolas. Oltre alla questione dell’interconnessione nelle zone urbane, già menzionata, i progetti degli anni 2000 seguono una svolta importante. La nuova linea del TGV Méditerranée che collega Lione e Marsiglia, e che permette di raggiungere il Mediterraneo in poco più di tre ore da Parigi, sostituisce al tipo della stazione “bis” - o stazione delle “barbabietole”, come viene chiamata in Francia perché collocata in piena campagna e lontana dai centri urbanizzati – un tipo di stazione intermodale situata nelle perifierie urbane, che dovrebbe favorirne la riorganizzazione con lo sviluppo di nuove centralità. Le tre nuove stazioni costruite dal gruppo AREP (filiale della società delle ferrovie francesi, la SNCF), sono situate nella periferia di Valence, Avignone e Aix-en-Provence. Altra novità importante
TRASPORTI & CULTURA N.37 è l’attenzione particolare al disegno del paesaggio, sia per quanto riguarda l’impatto della linea sul territorio, che per quanto riguarda il disegno dei fabbricati ferroviari 4. A Valence il sito si estende lungo 900 metri in una zona rurale posta al limite di tre comuni. La stazione, il parco disegnato lungo la linea ferroviaria e il giardino d’alberi da frutto che occupa la zona del parcheggio creano un nuovo ordine in un territorio caratterizzato da un’edificazione sparsa. Ad Avignone il giardino che si sviluppa intorno alla stazione segue le linee del paesaggio e forma una sequenza di terrazze attraversate da percorsi e da specchi d’acqua. La linea ferroviaria è posta ad un’altezza di 7 metri dal livello del suolo, fiancheggiata da un fabbricato che forma una lunga galleria dall’andamento curvo e dalla copertura ogivale. Una grande vetrata disegna la parte orientata a nord, affacciata sul binario delle partenze. Ad Aix-en-Provence è riproposto il tema della stazione-ponte inserita nel cuore di un vasto giardino. L’intero fabbricato è coperto da una volta metallica la cui curva ribassata riprende il profilo delle montagne all’orizzonte. Tale attenzione posta, soprattutto negli ultimi progetti, sull’impatto delle linee ferroviarie nel paesaggio e sulla creazione di stazioni dalle diverse forme tipologiche e dalle diverse funzioni da integrare nel territorio circostante, non è stata fin qui al centro delle preoccupazioni degli Istituti di ricerca responsabili dei progetti ingegneristici e architettonici legati ai trasporti su ferrovia in Cina. Una delle questioni conclusive del Forum di Shanghai del 2013 è stata proprio la svolta necessaria verso un’articolazione della politica attuale - legata prevalentemente all’alta tecnologia - con gli altri campi del sapere, compresi quelli più umanistici. Tale svolta era stata auspicata e man mano realizzata, nel campo dell’architettura urbana e del paesaggio in Europa, già dagli anni 1960. Il filosofo delle scienze Edgard Morin mette in luce, negli anni 1970, la critica al determinismo cartesiano su cui si era basato il pensiero occidentale dal Rinascimento fino alla metà del XX secolo, e l’influenza sempre maggiore del pensiero induttivo, basato sull’esperienza sensibile, da articolare alle forme di pensiero ipotetico-deduttivo5. Con l’importazione, nel corso degli anni 1990, dei metodi e degli approcci ipotetico-deduttivi del funzionalismo occidentale, la Cina ha sviluppato le proprie città - diventate in breve tempo vere e proprie megalopoli – con la costruzione di possenti reti autostradali, che penetrano nel cuore delle metropoli, con l’impermeabilizzazione dei suoli e la separazione dei flussi e delle funzioni. Nello stesso tempo, essa si è basata sul modello di sviluppo urbano americano, con un incremento esponenziale della densità urbana in verticale. L’interpretazione di tali modelli attraverso il filtro della propria cultura e, nello stesso tempo, della rivoluzione tecnologica e numerica globale in atto, ha generato le megalopoli che conosciamo, affascinanti e spaventose 4 Per quanto riguarda l’impatto della linea TGV sul territorio, rinviamo alla pubblicazione di Enzo Gioffrè, I paesaggi del Tgv Méditerranée, Bibioteca del Cenide, Reggio Calabria, 2003. 5 Cfr. Edgar Morin, Introduction à la pensée complexe, Editions du Seuil, Paris, 2005 (sintesi dell’opera pubblicata nel 1977). Vedere anche Maurice Merlau-Ponty, La phénoménologie de la perception, Gallimard, Paris, 1945. Il pensiero degli architetti italiani sulla città e il territorio, ispiratosi negli anni 1960 alle teorie di Samonà, Rogers e Quaroni, è fortemente legato alla rivoluzione del pensiero messa in luce da tali pensatori francesi. Affronto questi temi nella pubblicazione La Tendenza. Une avantgarde italienne, 1950-1980, Parenthèses, Marseille, 2013.
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TRASPORTI & CULTURA N.37 nello stesso tempo a causa dell’insieme degli stati di conflitto (sociali, economici, morfologici, politici nel senso antico del termine) che esse generano.
5 e 6 - I nuovi Tram all’altezza della Porta di Chaumont e della Cité Universitaire a Parigi.
Collegata a tale spinta funzionalista, la rete nazionale cinese di treni ad alta velocità (superiore a 200 km/h) è stata messa in servizio a partire dal 2007, con l’apertura al traffico passeggeri delle linee Canton-Shenzhen e Shanghai-Nanchino. In soli cinque anni la Cina è riuscita a dotarsi della più importante rete mondiale di linee ferroviarie ad alta velocità, con una copertura di ben 9 300 km, di cui la linea più lunga, tra Pechino e Canton, misura 2.298 km. Il treno ad alta velocità CRH380A - il più rapido del mondo e 100% made in China - è stato messo in servizio nel 2010 sulle linee Shanghai-Pechino e Shanghai-Hangzhou-Canton. E l’ultimo nato dei treni cinesi, il CRH500 prodotto dalla CSR Corporation Limited, è stato concepito in fibre di carbonio e magnesio per essere più solido e leggero e per trasportare i viaggiatori ad una velocità di ben 500 km/h. Come quella francese, la rete cinese è stata realizzata grazie alla trasformazione e all’adattamento di vecchie linee di trasporto ferroviario ai requisiti dell’alta velocità e alla costruzione di nuove linee indipendenti. Si aggiunge a tale rete nazionale, una linea ad alta velocità suburbana a lievitazione magnetica: la famosa Maglev
– Magnetic levitation line - inaugurata nel 2004. Essa conduce i passeggeri dal nuovo aeroporto di Pudong, realizzato dal francese Paul Andreu, alla prima corona metropolitana della città di Shanghai, in 30 minuti e con una velocità costante di 300 km/h (se si eccettuano ovviamente l’accelerazione iniziale e il tempo di frenata finale). Non è una novità il fatto che l’insieme di tali realizzazioni è reso possibile da una struttura fortemente piramidale della governance di progetto, simile a quella della famosa urbanistica di Stato francese dei tre decenni soprannominati i Trente Glorieuses (1955-1975). La crisi petrolifera degli anni 1970 ha obbligato la Francia ad una svolta radicale di tale politica urbanistica e la costruzione delle reti ad alta velocità francesi sarà il risultato di numerose negoziazioni tra le diverse forme di potere politico, da quelle più locali, a quelle nazionali, con una presenza sempre più importante, negli ultimi anni, di sindacati e associazioni dei lavoratori, utenti e abitanti delle zone attraversate dalle linee ferroviarie. Il futuro della governance in Cina resterà senza dubbio piramidale, ma si pone con forza la questione della sua svolta in termini di progetto vista la nuova e fortissima crisi energetica che batte alle porte del mondo.
Parigi e Shanghai: la politica delle radiali e tangenziali ferroviarie ad alta velocità Alla scala della metropoli parigina, l’arrivo dell’alta velocità, con l’inaugurazione delle linee sud (Lione) e ovest (Nantes), non ha cambiato né l’assetto delle linee classiche già presenti né l’organizzazione dei punti di sosta e di scambio. Ad eccezione della gare Montparnasse rinnovata una prima volta negli anni 1980, le più importanti stazioni di testa sono ristrutturate unicamente negli anni 2000. In questi anni è avviata anche la trasformazione delle due grandi parti di città adiacenti alla gare de Lyon e alla gare d’Austerlitz: i quartieri della ZAC di Bercy e della ZAC Paris Rive-Gauche. Il grande cambiamento nello sviluppo metropolitano legato al rapporto tra linee ferroviarie e territorio era avvenuto ben prima, con il piano delle Villes Nouvelles del 1965 (lo SDAURP - Schéma Directeur d’Aménagement et d’Urbanisme de la Région Parisienne), firmato dal prefetto Paul Delouvrier. Tale piano propone per la prima volta la necessità della costruzione di un’efficiente rete ferroviaria regionale che colleghi le nuove città satelliti periferiche - le Villes nouvelles - al centro metropolitano denso rappresentato dalla città di Parigi intra moenia. La linea RER (Réseau Express Régional) sarà realizzata dagli anni 1970, con l’utilizzazione parziale della rete ferroviaria esistente. Essa rinforzerà la forte connotazione radiale dei trasporti su ferrovia, senza creare nuove tangenziali di collegamento diretto tra i comuni periferici. La stazione delle Halles, completamente ipogea, è assunta a nuovo punto di smistamento e di incrocio dei flussi pendolari, che vanno dalle zone di abitazione, situate prevalentemente all’est della regione parigina, ai diversi settori terziari, situati a ovest, nella zona della Defense. Il nodo delle Halles è rappresentativo, da ormai quattro decenni, dell’incrocio di tali flussi di pendolari dovuto all’approccio funzionalista d’organizzazione dello sviluppo urbano e della mobilità.
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TRASPORTI & CULTURA N.37 Tale configurazione radiocentrica appare chiaramente evidenziata nel piano di sviluppo dell’alta velocità e delle reti metropolitane e regionali elaborato dalla Regione Ile-de-France nel 2008 (SDRIF - Schéma Directeur de la Région Ile-deFrance). Nel piano si leggono le 5 stazioni di testa del centro denso metropolitano che accolgono i TGV, con in progetto il rinnovo della gare d’Austerlitz, collegata ai nuovissimi quartieri adiacenti nati in quest’ultimo decennio e dedicati a uffici e abitazione, con l’inserimento di parchi e l’integrazione della biblioteca nazionale François Mitterrand. Oltre a tali stazioni centrali, il piano mostra altre 6 stazioni TGV, di cui 3 da costruire nei prossimi anni, tutte collocate nell’ultima corona metropolitana. La novità legata a tali stazioni è la costruzione di tangenziali che permettano di far evolvere lo schema radiale di sviluppo della grande Parigi. Inoltre, per contrastare tale idea di sviluppo urbano legata alla ferrovia e ai nuclei rappresentati dalle stazioni e dai quartieri adiacenti, il piano elabora una riflessione molto interessante sulle “trame verdi e blu”: esse mettono in luce il ruolo della Senna e dei suoi affluenti, delle foreste e dei parchi, e della complessità degli elementi naturali da prendere in considerazione per ripensare gli scenari della grande Parigi di domani. Alcuni progetti proposti al concorso per la grande Parigi del 2009 riprendono le proposte della Regione di collocare le stazioni dell’alta velocità in zone strategiche periferiche: aeroporti e centri urbani da densificare. Gli architetti fanno l’ipotesi che attorno alle nuove stazioni e lungo le reti ferroviarie, si sviluppino quartieri residenziali inseriti nel verde, con la possibilità di rendere sempre più compatto il territorio metropolitano disperso e di annullare gli effetti negativi della ferrovia attraverso la costruzione di nuove piastre che colleghino le diverse parti del territorio. Se il piano regionale del 2008 prevedeva di favorire, attraverso tali scelte, le zone già densamente abitate in modo da poter migliorare le condizioni di vita e di lavoro di chi vive in tali settori, il disegno dello Stato per una metropolitana regionale a doppio anello tangenziale, mette essenzialmente in avanti scelte economiche legate a una politica concorrenziale tra i diversi settori metropolitani. L’insieme delle proposte insiste sulla capillarizzazione del territorio attraverso diversi mezzi di trasporto pubblico, e sulla riorganizzazione della mobilità legata ai mezzi privati. Ciò che emerge è la necessità di inventare nuovi e interessanti spazi pubblici legati alla mobilità lenta, del pedone e del ciclista, da articolare alle reti tangenziali dei tram, delle ferrovie regionali e al sistema dell’alta velocità. Per quanto riguarda lo sviluppo delle reti a Shanghai è possibile affermare che le scelte fatte rimangono ancora scollegate tra loro e non raggiungono il livello di complessità e di articolazione ottenuto nel sistema francese. I tre terminal dei treni ad velocità sono rappresentati da stazioni dalle proporzioni gigantesche che, come l’esempio delle Halles nel cuore di Parigi, gestiscono ad ogni ora del giorno flussi enormi di viaggiatori. Dal punto di vista dell’edificio esse riprendono la monumentalità delle stazioni ottocentesche, con un’enfatizzazione dell’atrio degli arrivi e delle partenze e della galleria dei treni, tra cui sono inserite un’infinità di sale d’attesa sempre stracolme. Qui si incontrano studenti delle scuole elementari e medie che prendono giornalmente il TGV per raggiungere la propria scuola, famiglie intere, gruppi
di amici, lavoratori saltuari o impiegati. In attesa, seduti o in piedi, essi formano una folla densa e colorata di persone che investono lo spazio con gesti del quotidiano, quasi come fosse un luogo della loro intimità. La stazione non è aperta sull’esterno: un sistema di controllo a più livelli crea un filtro importante tra la città e gli spazi d’attesa del treno. I quartieri adiacenti sono in completa trasformazione e accolgono un flusso costante di mezzi di locomozione privati, in prevalenza autovetture e motociclette. Il sistema della rete metropolitana è efficace sulle lunghe distanze: costruita a partire dagli anni 1990, essa comporta 13 linee e copre un territorio estremamente vasto, con una distanza media importante tra le stazioni sia nei centri densi che nei quartieri più periferici. L’inesistenza di un sistema capillare di mezzi di collegamento collettivi tra i diversi quartieri è accompagnato da uno sviluppo frenetico dei mezzi privati. A parte la linea della metro n° 4, costruita ad anello intorno al centro denso e in parte ancora aerea in quanto costruita sulle vecchie linee ferroviarie esistenti, il sistema delle tangenziali è disegnato da tre possenti anelli autostradali che sovrastano i quartieri e che creano, con le strade radiali raccordi monumentali, alcuni con movimento a vortice. Con stupore, ci si rende però conto che gli spazi sottostanti non creano luoghi di scarto, ma sono dedicati, anch’essi, a numerose attività che favoriscono impensate forme di urbanità.
Note conclusive Si sa che nelle nostre città del XXI secolo i settori e i modi di vita si confondono, si sovrappongono, si mescolano sempre più secondo schemi che non corrispondono alla specializzazione spaziale e temporale del modello funzionalista. Da due decenni, il dibattito si orienta sulla densità e la capillarità delle linee ferroviarie periferiche: a Parigi, i piani regionali del 1995 e del 2008 mostrano la necessità della costruzione di nuove tangenziali ferroviarie che si diramano nel territorio metropolitano e che collegano tra loro i vari centri esistenti, e di anelli periferici che formano una rete di vasi comunicanti con le linee esistenti. I progetti per la grande Parigi del 2009 si sono innescati in tale dibattito sulla modernizzazione del tipo di mobilità collettiva iniziato negli anni 1990 e hanno accentuato l’immagine di modernità data dall’incontro tra l’alta velocità, le reti locali e la trama di percorsi pedonali e ciclistici che strutturano il territorio. La maggior parte di tali progetti propone una riflessione sul modello globale da adottare alla scala metropolitana e sul tipo di rete di trasporto collettivo regionale, che meglio si adatta alle problematiche dell’accessibilità dei territori periferici. Su questa scia, ci si può domandare come Shanghai potrà accettare di “rallentare” la propria corsa verso l’alta velocità e le lunghe distanze e proporre un modello interessante di “città dalle corte distanze”. Vista l’inventiva e la grande capacità dei nostri colleghi cinesi non c`è dubbio che il risultato ci sorprenderà, e in senso positivo. Riproduzione riservata ©
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Grande vitesse, approcci e prospettive della ricerca in Francia e in Italia di Gabriella Trotta Brambilla
La costruzione di una grande infrastruttura ferroviaria può diventare un’occasione per (ri)strutturare il territorio attraversato? Questa domanda è alla base della riflessione condotta in questo articolo, che si basa su una tesi di Dottorato in Urbanistica-Architettura sviluppata presso l’Institut d’Urbanisme di Grenoble ed il Politecnico di Milano1. Struttura lineare ed impenetrabile (salvo in certi punti), la ferrovia può rappresentare un elemento di trasformazione territoriale, a patto che essa non sia pensata solo come dispositivo tecnico finalizzato allo spostamento di persone e merci, ma che sia invece integrata in una visione sistemica ed interscalare della pianificazione che associ questioni trasportistiche ed esigenze territoriali. Ma occasione per la trasformazione non significa influenza diretta sullo sviluppo: le ricerche condotte negli ultimi vent’anni circa, in seguito all’attivazione di numerose linee ad alta velocità europee, invitano a riconsiderare il legame automatico tra localizzazione di un nodo della rete e ricadute locali. È possibile infatti ricordare casi in cui l’infrastruttura ha consentito un vero sviluppo ed altri in cui un’infrastruttura comparabile non ha prodotto evoluzioni significative o ha aggravato una dinamica di declino già in atto. Se alcune stazioni dell’alta velocità sono dei “successi” dal punto di vista della loro frequentazione o dell’insediamento di attività, altre hanno avuto un’incidenza locale debole o hanno addirittura rinforzato l’attrazione verso un altro centro metropolitano grazie ad una connessione diventata più performante. Quali sono dunque le condizioni da riunire affinché l’infrastruttura partecipi al progetto di trasformazione del territorio che attraversa 2? Il solo fatto ormai acquisito dalla letteratura riguardante la tematica dell’alta velocità ferroviaria è che gli impatti non sono causati direttamente dall’infrastruttura. Ciò che conta, piuttosto, è il modo in cui essa è integrata nelle strategie degli attori coinvolti.
1 Gabriella Trotta-Brambilla, Infrastructure, territoires et projets. L’exemple de la ligne ferroviaire à grande vitesse Lyon-Turin-Milan” tesi elaborata in co-tutela (Francia/Italia), direttori: Gilles Novarina e Ilaria Valente. 2 Le questioni principali poste dalla tesi riguardano la possibilità di affrontare la pianificazione del territorio dando la priorità ai suoi sistemi strutturanti (come i sistemi della mobilità, delle centralità urbane, del verde, ecc.), di superare gli approcci settoriali (che distinguono lo studio della mobilità da quello del territorio) tramite il progetto territoriale ed urbano, nonché la necessità di valutare la compatibilità dell’alta velocità con diversi tipi di strutture territoriali (centralizzate, policentriche, diffuse, ecc.).
High-speed railway. A comparative look at the approaches and perspectives of research in France and in Italy by Gabriella Trotta Brambilla Can the construction of a major railway infrastructure become the occasion for (re) structuring the territory it runs through? This is the basic question in the reflection developed in this article, based on a PhD thesis in Urban planning and Architecture conducted at the Institut d’Urbanisme of Grenoble and at the Politecnico di Milano. As a linear and impenetrable structure (except in a limited number of points), the railway can represent an element of regional transformation if it is not considered just a technical device aimed at moving people and merchandise. Only by integrating this infrastructure into a systemic and multi-scale vision of planning will it be possible to produce positive repercussions on the territory. By analyzing plans and projects as well as some « design experiments » developed with a research-by-design approach, the thesis highlights the most important elements of regional and urban planning that continuously evolve around the project of the Lyon-Turin-Milan Highspeed railway to better understand the relation between infrastructure, territory and planning. This article seeks to underline the main differences between the Italian and French approaches to research in the domain of railway transport and, at the same time, that of the sustainable planning of the territory and of the city.
Nella pagina a fianco, in alto: Scenario infrastrutturale alternativo al progetto della linea AV in Val di Susa (fonte: G. Trotta, 2013)
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Un caso studio transfrontaliero: la linea ad alta velocità LioneTorino-Milano Il progetto ferroviario esaminato nella tesi è la linea ad alta velocità tra Lione e Milano. Malgrado una parte dell’infrastruttura sia già stata realizzata3 , la pianificazione territoriale e quella urbana intorno alla nuova linea si evolvono continuamente. Il lavoro di ricerca qui presentato ne fotografa la configurazione dell’inizio degli anni 2010. Esso è basato sull’ipotesi che i piani, i progetti e le modalità con cui questi sono articolati e messi in opera costituiscano una materia sufficientemente espressiva della volontà delle collettività che l’hanno elaborata e del contesto culturale che l’ha prodotta. Tale materia è pertanto utile alla comprensione del rapporto fra infrastruttura e territorio. Il carattere transfrontaliero dell’opera ha rappresentato l’occasione per un confronto metodologico e disciplinare tra Francia e Italia4. Soprattutto in Francia, il punto di vista più accreditato riguardo alla tematica dell’alta velocità ferroviaria è quello degli economisti e dei geografi5. Per anni la ricerca ha osservato gli impatti sul territorio (economia) ed ha cercato di comprendere il funzionamento della rete e dei suoi nodi (geografia dei trasporti). Si tratta di approcci del tutto logici all’inizio della diffusione di una nuova tecnologia che non si conosce ancora bene e di cui non si vedono né tutti i vantaggi né tutti i limiti. Dopo una prima generazione di linee ferroviarie ad alta velocità, i ricercatori hanno cominciato a mettere in evidenza il grande assente: il territorio. L’ossessione della velocità ha quasi fatto dimenticare che una rete di trasporto è costruita per servire un territorio e non per funzionare in autarchia. D’altra parte, è stata proprio la letteratura economica a mettere in evidenza che gli effetti della costruzione di una nuova linea ad alta velocità non sono automatici ma, al contrario, dipendono dall’interazione di una serie di fattori, tra i quali vi sono le politiche di pianificazione della città e del territorio. L’originalità dell’approccio metodologico (interscalare e progettuale) della tesi è costituita dal confronto e dall’ibridazione delle diverse posture che caratterizzano la ricerca francese ed italiana riguardo al rapporto tra infrastrutture e territorio.
L’analisi di piani e progetti come descrizione interscalare dell’infrastruttura Lo stato dell’arte della letteratura sull’alta velocità sintetizzato nella tesi ha portato ad osservare che, in generale, le ricerche francesi nel campo della geografia dei trasporti non spiegano suf3 La tratta Torino-Novara è stata inaugurata per le Olimpiadi invernali del 2006, mentre la tratta Novara-Milano Certosa è stata completata nel 2009. 4 In questa sede non saranno descritti tanto i casi di studio, quanto piuttosto la metodologia di ricerca adottata ed i contesti disciplinari che l’hanno fatta emergere. 5 Esistono anche altri approcci, meno frequenti e più recenti, riferiti ad altre discipline delle scienze umane, tra le quali si possono trovare delle riflessioni condotte nei campi della sociologia (accettabilità delle grandi opere infrastrutturali), della storia (ricostruzione dei processi decisionali riguardanti le linee ad alta velocità), della politica, ecc.
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ficientemente le interazioni dell’alta velocità con il territorio e che quelle condotte nel campo dell’urbanistica6 non superano solitamente la scala dell’agglomerazione urbana. Il sistema della mobilità è, nella maggior parte dei casi, affrontato sia nella sua globalità (reti) sia nel dettaglio (nodi), ma sono poco considerati i sistemi alla scala intermedia ed in particolare i “sistemi urbani lineari” connessi, per esempio, ad una linea ferroviaria 7. L’approccio morfologico più tipico della ricerca architettonico-urbana italiana si è invece attardato spesso sull’analisi di questo tipo di contesti8, in cui corridoi ecologici, litorali, valli, fiumi, infrastrutture viarie e ferroviarie diventano il filo conduttore dell’analisi e del progetto territoriale. Si può tuttavia osservare una separazione poco dialettica tra analisi morfologiche ed analisi socio-economiche, nonché tra scala locale e scala regionale. Dal confronto delle due culture è dunque emerso l’approccio interscalare utilizzato nella tesi che, seguendo una struttura ispirata ai tre elementi kandinskiani (punto, linea e superficie), intende analizzare i nodi, le linee e le reti, nonché la loro integrazione negli strumenti di pianificazione a tutte le scale (regionale, provinciale, metropolitana, urbana). L’analisi dei piani e dei progetti ha dunque mirato a mettere in evidenza gli obiettivi comuni ai diversi strumenti, la loro pertinenza rispetto ai principi dello sviluppo sostenibile, la congruenza delle strategie alle diverse scale, i livelli di priorità assegnati agli interventi nel campo della mobilità, la capacità di prendere in considerazione le relazioni territoriali instaurate sul territorio, soprattutto quando queste oltrepassano i perimetri delle competenze istituzionali. La riflessione interscalare ha permesso di individuare i temi di ricerca che sarà interessante approfondire nei prossimi anni. Nell’attuale contesto di metropolizzazione, i sistemi ferroviari saranno probabilmente al centro dell’attenzione della pianificazione territoriale ed urbana. Alla scala della rete europea, le opportunità di pianificazione riguarderanno soprattutto le nuove linee ad alta velocità, poiché la rete classica è ormai costituita. Tuttavia, non ci si può aspettare una costruzione massiccia come quella che ha interessato il Vecchio Continente tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, ma piuttosto la realizzazione di alcune linee ad alta velocità strategiche e la costruzione di nuovi nodi sulle linee esistenti, la riabilitazione delle linee regionali dismesse, il rinnovo delle linee esistenti, la costruzione dei raccordi e delle interconnessioni necessarie per migliorare le prestazioni della rete, l’istituzione di nuovi servizi per i viaggiatori e per il trasporto delle merci. Tutte queste azioni sul sistema della mobilità potranno 6 Si possono ricordare, ad esempio, le ricerche della Plateforme d’Observation des Projets et Stratégies Urbaines (POPSU), che si interessa (soprattutto nel suo secondo programma, lanciato nel 2010) a diverse tematiche riguardanti le metropoli ed in particolare alle strategie messe in atto intorno alle stazioni ed ai loro quartieri. 7 Esistono, evidentemente, anche delle eccezioni. Si veda per esempio il progetto di A. Grumbach per la Métropole de la Seine. Elaborato nel contesto della procedura del Grand Paris (tramite una metodologia ibrida, tra consulenza e ricerca), questo progetto prende come area di riferimento l’intero bacino della Senna, da Parigi a Le Havre e la possibile linea ferroviaria ad alta velocità tra la capitale e la città portuale. 8 Possiamo citare, a titolo di esempio, i sistemi lineari studiati in progetti di ricerca come In.Fra. Realizzato nel periodo 19992001 da dodici unità di ricerca appartenenti alle Facoltà di architettura di diverse città italiane, il programma di ricerca ha analizzato l’infrastruttura non come oggetto isolato, ma come parte integrante del processo di urbanizzazione e di costruzione del paesaggio.
TRASPORTI & CULTURA N.37 ancora essere studiate nelle loro interazioni con il territorio. Inoltre, pur non avendo degli effetti diretti sugli strumenti di pianificazione, questo tipo di ricerche sta già contribuendo (e potrà farlo ancor più in futuro) a cambiare la cultura della pianificazione: abbiamo infatti osservato come gli approcci “reticolari9” (slegati dai perimetri istituzionali e dalla pianificazione per “zone”), fino ad oggi utilizzati principalmente in campo accademico, comincino a filtrare nelle pianificazione istituzionale.
Il progetto territoriale ed urbano come strumento di ricerca In Francia l’approccio di ricerca più diffuso nei campi dell’urbanistica e dell’architettura tende a non riconoscere la legittimità dello strumento principale di queste discipline, il progetto (e dunque l’approccio by-design praticato con maggior disinvoltura in altre culture). La metodologia sviluppata nella tesi che descriviamo si riferisce invece al dibattito italiano attuale sull’architettura urbana10 ed assume l’idea che il progetto (architettonico, urbano, territoriale) non è da considerare come soluzione a un problema dato ma, soprattutto nel campo della ricerca, esso rappresenta uno strumento per la conoscenza. Da un lato sono quindi stati analizzati i piani ed i progetti ufficiali, dall’altro sono state utilizzate delle “sperimentazioni progettuali” finalizzate a contribuire, sotto diversi aspetti, al percorso di ricerca. Queste sperimentazioni non sono state elaborate come in una procedura professionale, nella quale il progetto cerca di essere esaustivo e dettagliato, ma sono state costruite per rispondere alle necessità della ricerca ed in particolare per superare certi limiti osservati tramite l’analisi dei documenti ufficiali di pianificazione. Inoltre, partendo dalla constatazione che il progetto può essere inteso in maniera molteplice, la metodologia adottata nella tesi ha cercato di comprendere dapprima, e di ibridare in seguito, gli approcci prevalenti nelle due culture, rispettivamente quello morfologico “all’italiana” e quello centrato sullo sviluppo sostenibile “alla francese”. Il metodo del progetto ha contribuito a sottolineare l’approccio settoriale che prevale ancora negli strumenti di pianificazione territoriale ed urbana. Tale constatazione è emersa sostanzialmente per opposizione, in quanto il progetto è per sua natura sintetico, interdisciplinare ed interscalare, sia nella sua capacità di descrivere il territorio sia nella sua predisposizione a proiettarsi nel futuro. Poiché si è constatato, analizzando i progetti urbani legati ai nodi della futura linea ad alta velocità Lione-Torino-Milano, che le scale urbana e metropolitana sono quelle in cui è stata maggiormente integrata la riflessione sul rapporto tra infrastruttura e città/ territorio, si ritiene che l’estensione della pratica del progetto alla scala territoriale può contribuire al superamento degli approcci settoriali riscontrati nella pianificazione ufficiale. Nella tesi, il progetto è stato utilizzato a diverse scale per mettere in evidenza i paradossi indotti dalla separazione tra pianificazione territoriale e pianificazione infrastrutturale. Nel caso della Val di Susa, per esempio, l’elaborazione di uno scenario alternativo al 9 Sull’opposizione tra approcci reticulaires et aréolaires si veda: G. Dupuy (1991), L’urbanisme des réseaux, A. Colin Éditeur, Paris. 10 Il riferimento principale è alla riflessione condotta da P. Viganò (2010) nel libro I territori dell’Urbanistica. Il progetto come produttore di conoscenza, Officina Edizioni, Roma.
progetto ufficiale ed a quello sostenuto dai NoTAV11 ha cercato di mostrare che, dando la priorità ad un progetto di sviluppo territoriale complessivo (basato sulle risorse locali ed in particolare sull’eredità delle Olimpiadi Invernali del 2006), le potenzialità legate all’infrastruttura si ridefiniscono ed il tracciato della linea può essere disegnato diversamente, assumendo una configurazione che potrebbe ridurre le opposizioni da parte della popolazione. Nel caso di Novara, invece, l’elaborazione di diversi scenari di localizzazione della nuova stazione dell’alta velocità ha permesso di sottolineare il legame forte (ma spesso trascurato dai piani) tra strategie di sviluppo urbano a lungo termine e strategie infrastrutturali. I progetti mirano soprattutto a mettere in evidenza che questo tipo di scelte pesa sullo sviluppo urbano futuro e dunque non può riguardare solamente gli attori ferroviari. Le amministrazioni territoriali alle diverse scale devono potersi esprimere in quanto garanti di uno sviluppo più sostenibile, tanto dal punto di vista ambientale che economico. La metodologia di progetto ha dunque il merito non tanto di proporre delle soluzioni, ma piuttosto di far emergere nuove domande e nuove direzioni per la riflessione. Nelle discipline dello spazio, l’apertura a diversi tipi di progetto e alla loro interazione dovrebbe costituire una prospettiva per la ricerca a venire. L’approccio morfologico potrebbe mettersi al servizio di uno sviluppo territoriale ed urbano più sostenibile, mentre le strategie di développement durable potrebbero prendere una struttura coerente tramite la riflessione sulle forme del territorio e della città.
1 - Scenario di urbanizzazione a lungo termine connesso con la trasformazione del nodo ferroviario di Novara (fonte: G. Trotta, 2013)
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11 Il progetto ufficiale prevede che la linea ad alta velocità sia costruita parallelamente alla linea storica, anche se ormai tale progetto è stato ridotto al solo tunnel ferroviario che collega Modane a Susa. Il movimento NoTAV sostiene piuttosto l’alternativa-zero, quella cioè di potenziare la linea esistente, oppure quella del progetto F.A.R.E. (Ferrovie Alpine Ragionevoli ed Efficienti), che prevede una costruzione per fasi, a partire dal nodo torinese anziché dal tunnel di base, in cui ogni tappa sarebbe innescata dall’osservazione di un bisogno reale.
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Il sistema dell’Alta Velocità e i nuovi terminali in Spagna di Oriana Giovinazzi
La Spagna, situata al sud-est dell’Europa al confine con la Francia, occupa una superficie di 507.000 km². La costa si affaccia ad est, a partire dalla catena montuosa dei Pirenei fino allo Stretto di Gibilterra sul Mar Mediterraneo, ad ovest fino alla Galizia sull’Oceano Atlantico e a nord sul Mare di Cantabria. Il Paese ha una popolazione di circa 46 milioni di abitanti con una densità di 86 ab/km², inferiore a quella della maggior parte dei paesi dell’Europa Occidentale, e una distribuzione insediativa piuttosto irregolare. Il territorio è servito da un sistema stradale di tipo centralizzato, dotato di circa 13.000 km di autostrade che collegano Madrid ai Paesi Baschi, alla Catalogna, a Valencia, all’Andalusia occidentale, all’Estremadura e alla Galizia. Altri assi stradali corrono lungo i litorali da Ferrol a Vigo sull’Atlantico, da Oviedo a San Sebastian sul Mar di Cantabria, e infine da Girona a Cadice sul Mediterraneo. La Spagna - che conta 47 aeroporti di cui 33 internazionali e 53 porti affacciati sulle coste dell’Atlantico e del Mediterraneo - è servita dalla più estesa rete dell’Alta Velocità Ferroviaria (AVF) in Europa, seconda nel ranking internazionale solo alla Cina, con 3.500 km di linee servite da treni che raggiungono una velocità massima di 350 km/h e con una puntualità del 98,5% sul tempo di arrivo, preceduta solo dal Giappone. Madrid, insieme agli ambiti costieri, risulta l’area più densamente popolata. La capitale ha acquistato nel tempo un forte ruolo nel Paese, sia in rapporto alla sua collocazione al centro della Penisola Iberica che in relazione ai sistemi di trasporto, i cui assi principali sono distribuiti secondo uno schema di tipo radiale a partire dalla capitale fino alle città delle periferie principali. In particolare negli ultimi decenni la città ha rafforzato la sua posizione sul territorio, divenendo un centro generatore e attrattore di flussi e il nodo principale di comunicazione per quanto riguarda la rete dell’AVF. Secondo le previsioni, nel 2020 l’espansione del sistema porterà ad una disponibilità di circa 7.000 km di percorsi ferroviari ad Alta Velocità, che consentiranno di mettere in connessione la maggior parte delle città della penisola.
Il sistema dell’Alta Velocidad Española e il processo di sviluppo La storia dell’Alta Velocidad Española (AVE) è particolarmente interessante nel contesto europeo in termini di sviluppo e di successo; in rapporto alle previsioni di espansione futura, il nuovo sistema di trasporto è destinato ad attestarsi tra i più sicuri,
High-speed railway stations in Spain by Oriana Giovinazzi Spain is served by the most extensive network of High-speed railways in Europe, second only to China, with 3500 km of tracks served by trains that reach a maximum speed of 350 km/h, and have a punctuality record of 98.5%. Starting with the inauguration of the first section, Madrid-Seville, the expansion recorded a constant rhythm of growth. It began with the railway lines defined in the 2000-2007 Infrastructure Plan with the objective of devising a system that would reach the highest possible number of cities. The analysis of several stations – Pamplona, Burgos, Seville, Valladolid, Malaga, Logrona, Guadalajara-Yebes, Camp del Tarragona – underscores the fundamental role of political decisions, and of strategic regional planning to develop the context surrounding the High-speed stations. The results are varied. The stations located in the heart of cities, or those near a consolidated nucleus, have been successful in creating a new space within the city. Whereas in marginal or peripheral stations, on territories with minor demographic density, which are not well-connected and have few services available, the integration with the urban fabric appears complex, and the new railroad lines tend to force their own logic on the urban and regional model. Nella pagina a fianco, in alto: i cantieri per la realizzazione in sotterranea delle infrastrutture ferroviarie e della stazione di La Sagrera - Sant Andreu, progetto accompagnato da una profonda trasformazione urbanistica del territorio limitrofo. In basso: una delle opere infrastrutturali realizzate per l’Alta Velocità Madrid-Siviglia (Fonte: ADIF, Administrador de Infraestructuras Ferroviarias, Giugno 2013, http://www. adif.es).
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1 - Immagine dell’interno di Madrid Puerta de Atocha, la principale stazione del sistema dell’Alta Velocità in Spagna.
efficienti, versatili e innovativi. A partire dall’inaugurazione del primo tratto dell’AVE nel 1992 - con la realizzazione del corridoio Madrid-Siviglia che, lungo 471 km di linee, connette le stazioni di Madrid-Atocha, Ciudad Real, Puertollano, Córdoba y Sevilla-La Cartuja, SevillaSanta Justa - l’espansione del nuovo sistema ferroviario ha seguito un ritmo costante di crescita, coincidente con lo sviluppo contemporaneo della più estesa rete europea. L’espansione è avvenuta a partire dalle linee indicate nel Piano delle Infrastrutture 2000-2007 con l’obiettivo di configurare un sistema in grado di raggiungere il maggior numero possibile di città, sia in condizioni di nuovo tracciato e di elevata velocità (250-330 km/h) che di infrastrutture preesistenti oggetto di interventi di adattamento per una velocità massima di 200 km/h, mantenendo quindi una rete di tipo misto e uno schema radiale di sviluppo sul territorio che incoraggia in particolare la connessione polarizzata con la capitale. Il Piano, ampliato fino al 2010, ha per obiettivo l’accesso al sistema a partire dalle maggiori città del Paese con un tempo massimo di 4 ore tra Madrid e le città costiere, e il collegamento con le frontiere di Portogallo e Francia, i versanti mediterraneo e atlantico, in relazione alle priorità per i progetti transfrontalieri e per l’intermodalità/interoperabilità con la Penisola iberica indicate dall’Unione Europea. A partire da queste indicazioni, la rete si è ampliata con l’apertura nel 2003 del tratto Madrid–Lleida (519 km) che mette in connessione le stazioni di Guadalajara-Yebes, Calatayud, Zaragoza-Delicias y
Lleida-Pirineus sulla linea Madrid-Barcellona - anticipando la connessione con la frontiera francese – e con l’inaugurazione della tratto SaragozzaHuesca (79 km); la seconda linea con origine nella capitale è stata completata nel 2005 con la realizzazione del tratto La Sagra-Toledo (21 km). Alla fine del 2006 sono stati inaugurati i nuovi tracciati di Lleida-Camp de Tarragona (82 km) sulla linea Madrid-Saragozza-Barcellona-Francia, e di Córdoba-Antequera (100 km) con la costruzione di due nuove stazioni intermedie sulla linea Córdoba-Málaga, la stazione Puente Genil-Herrera e la stazione Antequera-Santa Ana. Nel 2007 è stata inaugura la linea a nord con l’integrazione del tratto Madrid-Valladolid (180 km) - che ha inizio nella stazione di Chamartín in Madrid e fermate intermedie nelle stazioni di Segovia-Guiomar y Valladolid-Campo Grande - e con la messa in servizio del tratto Antequera-Málaga (55 km) fino alla stazione di Vialia-Maria Zambrano. A causa di alcune problematiche il tratto tra Camp de Tarragona e Barcelona-Sants è stato completato solo nel 2008; la sua realizzazione consente di viaggiare tra le due principali città del Paese, Madrid e Barcellona, percorrendo 659 km in 2 h e 30 minuti. A metà dicembre 2010 è stato completato il corridoio ad est tra Madrid-Albacete y Madrid-Valencia (438 km), servito dalle stazioni di Cuenca, Albacete, Requena-Utiel e Valencia, mentre l’anno successivo è stato inaugurato l’asse nord-ovest con la linea Madrid-Galizia tra Ourense e La Coruna. Appare evidente il rapido processo di espansione che il sistema dell’Alta Velocità ha conosciuto in Spagna, dove alla fine del 2012 si arriva a disporre di 26 stazioni e di 2.500 km di linee, a cui si aggiungono nel gennaio del 2013 quelle del tratto Barcellona-Girona-Figueras, sul quale dopo circa 15 anni di cantieri si realizza l’interscambio con il TGV francese. A giugno dello stesso anno viene aperta anche la linea tra Albacete e Alicante, e a dicembre entra in servizio il collegamento diretto con la Francia, Barcellona-Parigi, coperto in un tempo di circa 6 ore e 20 minuti.
L’integrazione del nuovo sistema ferroviario sul territorio L’Alta Velocità Ferroviaria si è attestata in Spagna come il miglior strumento per la coesione territoriale del Paese. Il governo ha convertito questo sistema di trasporto nella pietra angolare del suo esteso piano infrastrutturale, con investimenti ingenti che già in questi anni hanno restituito benefici in termini economici, ambientali e sociali. L’infrastruttura si è trasformata nel tempo in uno strumento di sviluppo e dinamizzazione socioeconomica, di riorganizzazione produttiva e spaziale, in grado di generare interessanti opportunità in termini di riqualificazione e valorizzazione urbana, come di disponibilità di nuove strutture e servizi pubblici, sia nelle grandi città che nei centri urbani delle periferie, a livello locale e regionale. In numerose esperienze la realizzazione delle nuove linee dell’Alta Velocità è stata interpretata come una nuova opportunità per ridefinire la relazione tra infrastrutture e territorio, producendo effetti quali la gerarchizzazione delle città, il miglioramento dell’accessibilità alle periferie urbane, l’estensione dei mercati, la polarizzazione dello spazio, lo sviluppo del settore turistico. 84
TRASPORTI & CULTURA N.37 A scala locale il processo di integrazione (trattamento dei bordi, incremento della permeabilità, adattamento alle condizioni topografiche del luogo, costruzione di varianti di tracciato, l’interramento o sopraelevazione di attraversamenti urbani, etc.) può infatti arrivare a convertirsi in una grande operazione di trasformazione urbana, spesso con interessanti obiettivi di dinamizzazione socio-economica in grado di suscitare interessi pubblici e/o privati. Da sottolineare nell’esperienza spagnola proprio il ruolo del capitale pubblico che ha agito da attrattore di investimenti a differenza di altri contesti territoriali, dove risulta invece prevalente la partecipazione di capitali privati. Per evitare rischi connessi alla fattibilità dei progetti e al volume elevato degli investimenti, il finanziamento necessario a coprire i costi di attuazione degli interventi è stato ricercato in numerosi casi a partire dai ricavi generati dai processi di rigenerazione urbana, e/o dalla vendita di suoli ferroviari dismessi e disponibili per nuove destinazioni funzionali.
I terminal dell’AVF e la relazione con il tessuto urbano Non solo l’integrazione delle nuove linee ferroviarie sul territorio, ma anche l’inserimento spaziale delle nuove stazioni a servizio dell’Alta Velocità Ferroviaria o la riconversione di quelle preesistenti sul territorio, incidono necessariamente sulla forma e sulla struttura urbana, e non sempre in modo coerente con il modello insediativo già esistente o ipotizzato nelle visioni di medio e lungo periodo. All’interno di una rete dell’Alta Velocità particolarmente estesa e in rapido sviluppo, come quella spagnola, caratterizzata da elevate prestazioni funzionali soprattutto sui tracciati interurbani di grande distanza, la stazione diventa da nodo intermodale e di interscambio tra diverse modalità di trasporto, un polo multifunzionale su cui interagiscono una pluralità di attori e di interessi, nonché una nuova centralità urbana fortemente attrattiva, in grado di stimolare la domanda di insediamento residenziale e non, e di conseguenza investimenti nel settore immobiliare e progetti che puntano a sfruttare il valore aggiunto insito in questi nodi infrastrutturali. Alcune differenze caratterizzano le diverse soluzioni di implementazioni della rete dell’Alta Velocità e il grado di integrazione della stazione nel sistema urbano/territoriale. In particolare per quanto riguarda le stazioni localizzate nel centro urbano, dove la densità demografica è generalmente elevata, l’impatto socio-economico che le stesse sono in grado di produrre sul contesto limitrofo si misura in rapporto all’incremento dell’offerta commerciale, dei servizi pubblici e della mobilità urbana strettamente connessa al processo di trasformazione. Si tratta in questo caso di stazioni ubicate nel centro della città che costituiscono un potenziale di rigenerazione urbana, come Valladolid, o di stazioni che al confine con il nucleo consolidato, come Saragozza, sono in grado di creare un nuovo spazio nella città. Le stazioni marginali o periferiche presentano caratteristiche essenzialmente differenti rispetto alle stazioni centrali. In generale su questi territori caratterizzati da una minore densità demografica, scarsamente connessi dal punto di vista infrastrutturale, caratterizzati da una limitata disponibilità
di servizi e da una ridotta possibilità di intermodalità, l’integrazione con il tessuto consolidato appare piuttosto complessa e le nuove linee ferroviarie tendenzialmente impongono le proprie logiche al modello urbano/territoriale.
Alcune esperienze nel contesto spagnolo La realizzazione di un nuovo sistema ferroviario con tracciato esterno rispetto al nucleo consolidato generalmente produce da un lato intensi processi di rinnovamento in ambito urbano, dovuti allo spostamento fuori dal perimetro cittadino delle installazioni ferroviarie centrali, e dall’altro si attesta come uno strumento urbanistico di trasformazione territoriale. Si genera pertanto una situazione in cui solitamente al nuovo modello ferroviario corrisponde un nuovo modello urbano. A Pamplona la realizzazione di nuova rete perimetrale che corre ad est del tessuto urbano ha portato all’eliminazione del vecchio sedime ferroviario che penetra nel centro cittadino fino a San Jorge. Il progetto incide su una superficie complessiva di 238 ettari: 210 ettari in prossimità della nuova stazione ferroviaria di Echavacoiz, che sarà operativa nel 2015, dove saranno realizzate una zona sportiva, un’area dedicata al commercio, 7.000 nuove residenze e un polo tecnologico; e i rimanenti ettari dismessi e riutilizzabili a seguito dello smantellamento della stazione esistente, dove saranno realizzate 1.125 residenze per un investimento di circa 475 milioni di euro. La presenza in città della linea ferroviaria ha inciso per lungo tempo in modo negativo sulla struttura urbana di Burgos, creando una barriera all’espansione e alcune difficoltà di articolazione tra i diversi ambiti territoriali. L’arrivo dell’Alta Velocità ha indotto ad un ripensamento della relazione dell’infrastruttura con lo spazio urbano e alla proposta di una variante perimetrale che corre a nord per 20,7 km, con conseguente spostamento della stazione ferroviaria. I 29 ettari di superfici liberati nel centro urbano sono stati in parte utilizzati per la costruzione di un viale di 12 km, lungo il quale si localizzano residenze, aree libere e nuove strutture, e in parte per il miglioramento delle connessioni tra il centro e i quartieri a sud. La costruzione di una variante esterna per il traffico pesante e lo spostamento delle grandi strutture ferroviarie all’esterno rendono disponibili superfici estese di suolo collocate in posizione più o meno centrale, generando grandi operazioni di trasformazione che incidono sulla struttura urbana, trasformazioni che non sempre comportano modifiche eccessive al sistema ferroviario esistente. In questo caso il modello ferroviario rafforza il modello urbano preesistente, come accaduto nel caso di Siviglia, dove la realizzazione dell’Alta Velocità ha comportato da un lato la disponibilità e la riorganizzazione del suolo ferroviario, con lo spostamento a nord-est del traffico pesante, e dall’altro la costruzione di una variante a Huelva, con l’eliminazione di antiche vie e installazioni che hanno permesso l’apertura di nuove arterie stradali e alcuni importanti cambi di destinazione d’uso. Tra questi il recupero della passeggiata sul margine sinistro del rio fino alla stazione di Plaza de Armas, la creazione di una galleria commerciale all’interno del terminal ferroviario e l’urbanizzazio85
TRASPORTI & CULTURA N.37 ne di un viale (4 km) che connette la vecchia stazione di San Bernardo con Santa Justa. Più consistente invece l’intervento che ha interessato Valladolid, nodo centrale per le comunicazioni nord-ovest della Penisola, che si è convertita in una vera e propria città ferroviaria (66 ettari di superfici nel centro urbano). Qui la presenza del treno caratterizza fortemente il paesaggio e l’attività quotidiana, con conseguenti relazioni a volte problematiche tra usi ferroviari e tessuto urbano. La costruzione della nuova rete ferroviaria con una variante al tracciato ad est della città ha dato risposta a tali problematiche, rendendo inoltre disponibili circa 100 ettari di superfici in posizione centrale e implementando alcune azioni di rinnovamento urbano. Il progetto firmato dallo studio dell’architetto Rogers, integra il nodo intermodale e la nuova stazione sotterranea con attività in grado di generare o potenziare nuove forme di economia e nuove opportunità per il territorio, tra cui uno spazio a destinazione residenziale e un centro direzionale.
2 - Rete ferroviaria ad alta velocità in Spagna. (Fonte:ADIF, Administrador de Infraestructuras Ferroviarias, giugno 2013, http://www.adif.es).
L’integrazione delle linee dell’Alta Velocità nel tessuto urbano mediante il riutilizzo della maggior parte delle strutture e delle infrastrutture centrali, rispettando nel complesso il modello ferroviario preesistente o apportando allo stesso modifiche minime, ha comportato in alcuni casi la costruzione di varianti esterne dedicate al traffico pesante, l’interramento delle linee per brevi tratti, la ristrutturazione parziale o totale di alcune strutture. In questo caso la riorganizzazione ferroviaria è diventata l’occasione per valorizzare il tessuto urbano centrale, recuperando la vecchia stazione ed eventualmente i quartieri degradati limitrofi. L’esperienza di Malaga rappresenta il caso più evidente di riutilizzazione di un’infrastruttura ferroviaria come strumento per la ridinamizzazione del contesto urbano limitrofo. Il terminal ferroviario dell’Alta Velocità è infatti stato integrato nella stazione intermodale María-Zambrano (63.000 mq di cui 35.000 destinati ad attività commerciali), costruito a livello superiore. Collocata in posizione strategica a 2 km dal porto marittimo e a 9 km dall’aeroporto (con collegamenti diretti), la stazione si è convertita in un polo dinamico di attività a servizio di residenti e turisti. Il progetto ha previsto l’interramento di 2,5 km di linee fer-
roviarie, rendendo disponibili da un lato 10 ettari di superfici per nuove destinazioni funzionali, la costruzione di un nuovo boulevard (1,7 km) e la realizzazione di un parco longitudinale esteso su 8 ettari, e dall’altro migliorando la connessione tra quartieri precedentemente separati dal passaggio delle linee. Nel caso di Logrono l’intervento, che dovrebbe concludersi nel 2015, prevede la riorganizzazione della stazione con l’interramento del passaggio ferroviario in corrispondenza del nucleo urbano (2,8 km di linee) e la creazione di un nuovo terminal intermodale. La superficie edificabile (213.000 mq), resa disponibile a seguito della realizzazione del progetto, sarà destinata ad usi residenziali e terziari, nonché alla creazione di un parco urbano, mentre aree verdi e spazi liberi occuperanno una superficie non inferiore ai 65.000 mq. La riorganizzazione complessiva dell’accessibilità alla stazione consentirà inoltre di migliorare i collegamenti nord-sud tra il quartiere di Cascajos e il resto della città. Se in numerose esperienze il modello ferroviario spagnolo si è adattato al modello urbano, esistono casi in cui si è prodotta una situazione esattamente inversa, dove il modello ferroviario è stato in grado di imporre la propria logica, proponendo tendenzialmente stazioni localizzate nelle periferie urbane che implementano dinamiche territoriali emergenti negli ultimi decenni. Di grande interesse in questo senso è il caso di Guadalajara-Yebes, dove la configurazione del nuovo tracciato dell’Alta Velocità si impone in modo evidente sulle logiche territoriali, a tal punto da portare alla costruzione in prossimità della nuova stazione di una vera e propria città, Valdeluz, e da generare una rinnovata situazione territoriale. Secondo quanto previsto dal piano urbanistico, infatti, il parco immobiliare in costruzione ospiterà 64.000 unità residenziali per una popolazione di quasi 200.000 abitanti. L’implementazione della nuova stazione di Camp de Tarragona (2006) sulla linea Madrid-Barcellonaconfine francese, rientra in una strategia territoriale più ampia che prevede la completa riorganizzazione in una logica metropolitana e regionale della rete ferroviaria a servizio di un sistema urbano diffuso ed esteso di 560.000 abitanti. La riorganizzazione prevede la realizzazione di un corridoio dell’Alta Velocità sul quale si attesta la nuova stazione intermodale, a sud dell’aeroporto di Reus, lo spostamento della stazione di Camp de Tarragona e la creazione di una rete interurbana servita dal tram (Tramcamp) che riutilizza in parte le linee ferroviarie preesistenti. Sulla nuova centralità territoriale che integra la presenza della stazione dell’Alta Velocità: si prevede la costruzione di un’area residenziale (20 ettari nel municipio di Perafor) dotata di spazi ad uso terziario-direzionale e in particolare destinati alla conoscenza e alle nuove tecnologie (65 ettari nel municipio di Secuita). Analizzando le esperienze che hanno interessato negli ultimi anni le città spagnole, appare evidente il ruolo fondamentale delle scelte politiche, nonché della pianificazione territoriale e strategica per l’implementazione nel contesto limitrofo alle stazioni dell’Alta Velocità di azioni in grado di produrre un incremento del numero dei residenti, e di conseguenza un aumento dei servizi e del flusso dei passeggeri, capaci non solo di rendere le aree, spesso economicamente depresse, un oggetto immobiliare ad alto rendimento e ad eleva-
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TRASPORTI & CULTURA N.37 ta attrattività commerciale, ma anche di generare interessanti dinamiche e processi sostenibili di sviluppo urbano e socio-economico in grado di ridisegnare la gerarchia territoriale.
cidad ferroviaria: estrategias para su incorporación a las ciudades españolas, Colección Cuadernos de Ingeniería y Territorio, N. 5. Ribalaygua, C (2005), Alta velocidad y ciudad: estrategias de incorporación de las nuevas estaciones periféricas francesas y españolas, Colección Cuadernos de Investigación Urbanística, N. 44.
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3 - La vecchia stazione di Lleida è stata oggetto di un interessante progetto di adattamento di spazi e installazioni al fine di poter rispondere alle nuove esigenze legate al passaggio della linea dell’Alta Velocità.
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Paesaggio e scrittura Il Premio Letterario Paesaggi Futuri di Laura Facchinelli
Il paesaggio si trasforma, rispecchiando la nostra concezione del mondo. Il paesaggio incide profondamente sul nostro stato d’animo e quindi sulla qualità della nostra vita. Questa relazione bi-direzionale ha ispirato una nuova iniziativa realizzata dalla nostra rivista con il Gruppo di Studio Paesaggi Futuri: si tratta del Premio Letterario Paesaggi Futuri. Nel 2013 si è svolta la prima edizione. Il momento conclusivo, con la premiazione dei vincitori, si è svolto il 13 dicembre a Venezia nell’ambito di un convegno appositamente organizzato: Paesaggio e Psiche. La cornice, splendida, era quella del Palazzo delle Prigioni Nuove, un edificio cinquecentesco adiacente a Palazzo Ducale.
Paesaggi Futuri, un premio nuovo con 25 anni di storia Il gruppo di studio interdisciplinare Paesaggi Futuri, che ha sede a Venezia, si ispira agli ideali portati avanti dalla nostra rivista ed espressi nel Manifesto Paesaggi Futuri (Venezia, 2004). La finalità è quella di sottolineare il diritto della collettività, e il corrispondente dovere degli amministratori della cosa pubblica, di tutelare il paesaggio e, in senso ampio, la cultura del nostro paese, da un lato conservando le ricchezze ereditate dal passato, dall’altro promuovendo uno sviluppo delle espressioni artistiche e della progettazione architettonica contemporanee che valgano a proseguire, in forme rinnovate, la splendida storia dell’Italia nel campo delle arti e della conciliazione fra paesaggio naturale e modalità del costruire. Il gruppo – che comprende ingegneri, architetti, psicologi, esperti di letteratura e arti visive, cinema e teatro - svolge attività di studio sul tema delle trasformazioni, profonde e rapide, che sono in corso nella società e nelle condizioni di vita degli individui. La finalità è quella di comprendere – attraverso un confronto fra differenti discipline e professioni - quelle trasformazioni e di individuare i valori che debbono, sia pure in forme nuove, permanere per dare un significato all’esistenza e un futuro all’umanità. Attenzione speciale viene rivolta ai mutamenti del paesaggio. Il gruppo svolge attività di ricerca e di comunicazione, anche attraverso l’organizzazione di convegni. Tre i convegni organizzati nel 2013 a Venezia: Paesaggi urbani, la storia e il nuovo (sede ANAS, 24 gennaio), La musica, interprete del tempo presente (Conservatorio Benedetto Marcello, 17 aprile) e, appunto, Paesaggio e psiche. Sul tema del paesaggio, per ampliare lo sguardo e
Landscape and writing. The Paesaggi Futuri Literary Award by Laura Facchinelli The landscape is changing, reflecting our conception of the world. Landscapes have a profound effect on our state-ofmind and hence on our quality of life. This mutual relationship has inspired a new initiative organized by our magazine with the Paesaggi Future Study Group: the Premio Letterario Paesaggi Futuri award for literature. The first edition was organized in 2013. The Award – the rules state – “aims to highlight, in novels, the attention to the landscape as a sensory and emotional perception and as testimony of a reality in which the balance between preservation and modernization has failed. Well aware of the extraordinary heritage of nature and culture that constitutes the identity of our country”. The jury, chaired by Prof. Amerigo Restucci, the rector of the Università Iuav di Venezia, has awarded the prize to the novel by Giuseppe Furno, Vetro, published by Longanesi. It has also awarded two honourable mentions. The closing event, with the awards ceremony, was held on December 13th in Venice during a conference organized for the occasion, entitled Paesaggio e Psiche, “Landscape and Psyche”.
Nella pagina a fianco: momenti del convegno Paesaggio e Psiche e della cerimonia conclusiva del Premio Letterario Paesaggi Futuri. Da sinistra a destra e dall’alto in basso: Laura Facchinelli, Mirella Siragusa, Amerigo Restucci, Enzo Siviero, la sala del convegno nel Palazzo delle Prigioni. Nella foto in basso, da sinistra: Giovanni Benzoni, Laura Facchinelli, Amerigo Restucci, Gilberto Pizzamiglio, Giuseppe Goisis.
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1 e 2 - In questa pagina, a sinistra: Michele Culatti e Gilberto Pizzamiglio. 3 - In questa pagina, a destra: Giuseppe Furno, vincitore della prima edizione del Premio Letterario Paesaggi Futuri.
andare in profondità, il gruppo di studio ha inteso esplorare il pensiero e le emozioni che vengono raccontate attraverso la scrittura. Pertanto ha deciso di organizzare un premio letterario per opere edite di autori italiani. Il Premio – si legge nel regolamento - “ha la finalità di ricercare, nelle opere di narrativa, l’attenzione al paesaggio come percezione sensoriale ed emozionale dell’ambiente circostante e come testimonianza di una realtà in cui non sia realizzato l’equilibrio fra tutela e modernizzazione. Nella consapevolezza del patrimonio straordinario, fra natura e cultura, che costituisce l’identità del nostro Paese”. Nell’affrontare questo impegno, la scrivente riprende e prosegue l’esperienza che ha maturato con il Premio Letterario San Vidal Venezia, che ha ideato e organizzato per ben 19 anni, dal 1988 al 2006 (quando l’iniziativa è stata cancellata dall’associazione che l’aveva sempre promossa e sostenuta). Il San Vidal è stato un’esperienza importante. Per l’individuazione dei contenuti della narrativa: la spiritualità e i valori dell’esistenza nel mondo che cambia. Per i contatti con decine di case editrici, per la conoscenza personale di scrittori fra i maggiori del panorama italiano, come Mario Rigoni Stern (primo vincitore, e poi per 7 anni presidente della Giuria), Dino Coltro, Giorgio Pressburger, Adriana Zarri, Sabino Acquaviva (anche lui è stato presidente della Giuria, per 3 anni), Susanna Tamaro, Carlo Sgorlon, Piero Ottone, Paolo Rumiz, Luca Doninelli. E infine Umberto Galimberti, che è stato presidente della Giuria per 5 anni. E dunque, a Venezia, il Premio Paesaggi Futuri eredita idealmente, e prosegue, una storia iniziata 25 anni fa. Alla base dei due Premi c’è la stessa ricerca dei valori autentici dell’esistenza, la stessa esigenza etica. Nel San Vidal c’era già un’attenzione alle bellezze naturali e al paesaggio: lo testimonia la presenza del grande Mario Rigoni Stern. Nel Paesaggi Futuri, i partecipanti del gruppo di studio hanno messo la loro esperienza e passione, il loro impegno civile. La giuria del Premio Letterario Paesaggi Futuri comprendeva, in questa prima edizione, autorevoli rappresentanti della cultura: Amerigo Restucci, rettore dell’Università Iuav di Venezia (Presidente), Matilde Caponi, saggista, Giovanna Caserta, responsabile e attrice del Teatro Scientifico di Verona, Giuseppe Goisis, docente di Filosofia Politica all’Università Ca’ Foscari, Vittorio Pierobon, vicedirettore della testata storica del Veneto, il Gazzettino, Gilberto Pizzamiglio, già docente dell’Università Ca’ Foscari. Settima componente della giuria è la scrivente, che ha curato anche gli aspetti organizzativi. In futuro si svolgeranno, ad anni alterni, il Premio Paesaggi Futuri di narrativa e il Premio Trasporti & Cultura di saggistica (del quale si sono già svolte 10 edizioni).
Paesaggio e Psiche Il titolo del convegno Paesaggio e Psiche va spiegato: partendo – anche in questo caso – dall’esperienza del San Vidal. Nell’ambito di quel Premio, infatti, erano stati organizzati vari convegni: di letteratura, ma non solo. Giovani scrittori: cannibali o poeti (1997). Ma anche Imputato Internet, alzatevi! La tecnologia ucciderà il libro? (2000): un vero e proprio processo con giudice, pubblico ministero, avvocati della difesa, testimoni. E poi Materia e spi90
ritualità della bellezza. Reportage a più voci dai nostri giorni (2004). Infine Luogo e psiche. Percezioni, relazioni (2005), nel quale 12 relatori parlavano del “luogo” dal punto di vista delle arti e dell’architettura, della storia, psicologia e psicoanalisi, del teatro, della musica, della narrativa, della geografia, dell’astronomia, della filosofia. Già allora un panorama interdisciplinare, come scelta precisa. È a quell’ultimo convegno che si allaccia l’appuntamento dal titolo Paesaggio e psiche. Quale il tema del convegno? Il paesaggio, la bellezza o disarmonia del luogo sul quale posiamo lo sguardo condiziona il nostro stato d’animo e quindi la qualità della nostra vita. È importante che ci rendiamo conto di questo stretto legame: avremo più forza per difendere il nostro territorio dagli interventi deturpanti, dall’abbandono. Ma per capire l’importanza della posta in gioco, dobbiamo accrescere la nostra conoscenza, e dunque esaminare il paesaggio da vari punti di vista. Paesaggio e letteratura: questo il titolo della lectio magistralis del prof. Amerigo Restucci, che è entrato nel vivo della relazione fra scrittura e luoghi vissuti, con riferimenti anche alla storia della rappresentazione pittorica. Con la relazione Mal di paesaggio, la psicologa Mirella Siragusa ha esaminato le connessioni fra bruttezza dell’intorno e disagio esistenziale. Una tavola rotonda ha messo a confronto i punti di vista di un architettura, filosofia, sessuologia, letteratura, progettazione.
Il vincitore del Premio, i segnalati La Giuria, prese in esame tutte le opere presentate, considerati i motivi ispiratori del Premio, ha scelto la seguente cinquina di finalisti: - Roberto Ciarrapica, Metti una sella all’ultimo ca-
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vallo, ExCogita, Milano 2013, Giuseppe Furno, Vetro, Longanesi, Milano 2013 Anna Melis, Da qui a cent’anni, Frassinelli, Milano 2012 Alessandro Perissinotto, Le colpe dei padri, Piemme, Milano 2013 Paolo Piccirillo, La terra del sacerdote, Neri Pozza, Vicenza 2013
zione delle proprie idee, col senso vivo dell’amicizia, con impegno e - al tempo stesso - con una meravigliosa leggerezza. Il “pittore di parole” è un personaggio che crea versi ispirandosi ai quadri di un museo. Un mestiere impossibile? Forse, se sapessimo godere di queste emozioni, il mondo sarebbe migliore…
Fra tali opere la Giuria ha deciso di assegnare il Premio Letterario Paesaggi Futuri al libro di Giuseppe Furno, Vetro, editore Longanesi, con le seguenti motivazioni:
Infine la Giuria ha espresso l’intenzione di dare un riconoscimento a un’opera ritenuta di particolare interesse con riferimento alle finalità del Premio. Pertanto ha assegnato la Segnalazione “Premio Trasporti & Cultura” al libro: Giuseppe Barbera, Conca d’oro, Sellerio, con le seguenti motivazioni:
La vicenda si svolge nella Venezia del 500, che Giuseppe Furno ha studiato negli archivi con una passione curiosa e instancabile e, soprattutto, con un grande amore per la città di Venezia. Così, nelle quasi 800 pagine del libro, incontriamo una realtà viva, ricostruita nei minimi dettagli dei luoghi urbani e degli interni domestici, degli oggetti d’uso e dei mestieri, dei pensieri e dei gesti. È un’operazione interessante e preziosa, quella condotta dall’autore. Il quale, partendo dai documenti storici, tesse una vicenda incalzante e ricca di suspence che traduce - grazie alla sua esperienza di sceneggiatore – in sequenze di grande impatto “visivo”, ispirate al linguaggio cinematografico. Il romanzo di Furno concilia il rigore di un resoconto saggistico con l’inventiva del narratore capace di coinvolgere un pubblico vasto.
Giuseppe Barbera ha vissuto da bambino, nei pressi della sua Palermo, la perdita del giardino di famiglia, splendido e fertile di alberi da frutto e ortaggi, improvvisamente distrutto per dare spazio a strade e cemento. Divenuto docente di Colture Arboree all’Università, Barbera ha accresciuto la consapevolezza di quella perdita – irreversibile – che si era estesa a una vasta area, coltivata da generazioni di uomini e donne, fino a diventare un laboratorio prezioso di biodiversità. In questo libro l’autore racconta – con richiami alla filosofia, al mito, alle testimonianze letterarie - l’incapacità dei palermitani di difendere – 50 anni fa – la loro preziosa “Conca d’oro” dall’assalto arrogante degli speculatori. Una storia che si è ripetuta, purtroppo, in molte altre aree del nostro Bel Paese.
La Giuria ha anche conferito una Segnalazione al libro di Marco Fratta Il pittore di parole, Fara editore, con le seguenti motivazioni:
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4 - In questa pagina, a sinistra: la copertina del libro vincitore. 5 - In questa pagina a destra, in alto: foto di gruppo dopo la premiazione. 6 e 7 - In questa pagina, a destra in basso: i due libri segnalati.
Il romanzo breve di Marco Fratta cattura la nostra attenzione, fin dalle prime pagine, per la sua freschezza. Per la capacità del giovane scrittore – che è anche musicista - di affrontare la vita con la convin-
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Altra musica, altro spazio Intervista a Ivan Fedele a cura di Laura Facchinelli
Nel numero scorso di Trasporti & Cultura il prof. Massimo Contiero, direttore del Conservatorio Benedetto Marcello di Venezia, ha analizzato storicamente la relazione fra la musica e lo spazio, fino al compositore veneziano Luigi Nono. A questo tema è stato dedicato anche il 57° Festival Internazionale di Musica Contemporanea della Biennale di Venezia che suggeriva come indicazione programmatica il sottotitolo suggestivo Altra voce, altro spazio. Molteplici sono state le modalità spaziali di esecuzione/ diffusione/percezione della musica: ricordiamo lo spettacolare Helicopters Streich Quartett di K.H. Stockhausen che ha aperto la rassegna, gli altoparlanti che diventavano fonti sonore virtuali (esemplare la scenografia di Visioni su progetto di Eric Maestri), la dislocazione dei musicisti in più punti attorno agli spettatori (Les Percussions de Strasbourg), le variazioni nelle “dimensioni” del concerto (dall’orchestra nella grande sala del teatro alle Tese al concerto one-to-one), fino alla platea collettiva del web (Collettivo /nu/thing). Le scelte sono state all’insegna della molteplicità. Per comprendere l’evoluzione recente della musica, il ruolo dell’informatica nella composizione, l’uso degli strumenti storici e l’invenzione di strumenti nuovi, le relazioni e possibili analogie col progetto di architettura, abbiamo rivolto alcune domande al direttore del Festival, Ivan Fedele.
Music, space, architecture An interview with Ivan Fedele by Laura Facchinelli The 57th International Contemporary Music Festival of the Biennale di Venezia was dedicated to the theme “Another voice, another space”. There have been many different spatial modes for the performance/diffusion/perception of music. To understand the recent evolution of music, the role of computer science in composition, the use of historical instruments and the invention of new instruments, the relations and possible analogies with architectural design, we asked the director of the Festival, Ivan Fedele, a number of questions. We also talked about young composers who are forced to emigrate, and about how difficult it is for audiences to understand the new languages of music.
T&C – “Altra voce, altro spazio”: perché ha scelto questo titolo per l’edizione 2013 di Biennale Musica? Ivan Fedele – Nel 57° Festival Internazionale di Musica Contemporanea, questo sottotitolo vuole vuole indicare una linea di orientamento nella programmazione. È una tematica di estrema attualità: non solo diverse declinazioni della voce come strumento, ma anche il concetto di voce nel senso più lato nell’ambito della musica d’oggi, e il concetto di spazio. Ovviamente il festival non poteva essere esaustivo: sono state presentate delle soluzioni che nascono da idee molto originali. Lo scopo di un filo rosso è quello di far vedere che la contemporaneità musicale, come tutti i linguaggi di confine che sperimentano, non è assolutamente omologata ad una sola tipologia estetica, ma è estremamente varia, sia nella formulazione di poetiche, molto diverse tra loro e a tutti i livelli generazionali (giovani, maturi, artisti affermati, anziani), sia nella dimensione di una vitalità che molto spesso non viene adeguatamente documentata, e che invece è un fatto fondamentale. Perché, a fronte di una contrazione delle opportunità, la proposta aumenta e i giovani che si applicano nel comporre, nello sperimentare, nell’utilizzare linguaggi di confine fra i vari tipi di musica sono sempre di più:
Nella pagina a fianco: in alto a sinistra: Daniele Roccato, 6 ottobre 2913 - Sala delle Colonne di Ca’ Giustinian (c. Alex Comaschi). In alto a destra: 21st century Cori spezzati - Teatro alle Tese - 10 ottobre (courtesy la Biennale di Venezia/ph.Akiko Miyake). Al centro: Visioni, 5 ottobre - Teatro Piccolo Arsenale (courtesy la Biennale di Venezia/ph.Akiko Miyake). In basso: Helicopter String Quartet, 4 ottobre - Sala grande del palazzo del Cinema (foto di Laura Facchinelli).
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TRASPORTI & CULTURA N.37 questa è una constatazione che faccio girando per tutto il mondo, dalla Russia all’America, al Kazakistan (ci vado fra poco), a Israele, a paesi europei come Inghilterra, Francia, Germania, Spagna che hanno centri di formazione e informazione musicale frequentati da giovani molto interessanti. T&C – E qui in Italia?
1 - Helicopter String Quartet, 4 ottobre - Sala grande del palazzo del Cinema -Lido (courtesy la biennale di Venezia/ph. Giorgio Zucchiati).
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Ivan Fedele – La situazione italiana è, come sempre, molto particolare: i nostri talenti vanno fuori. Dei giovani compositori che sono stati eseguiti quest’anno alla Biennale credo che almeno una ventina vivano stabilmente all’estero: in Germania e Francia soprattutto, ma anche in Svizzera. Berlino, Strasburgo, Ginevra sono città che offrono delle opportunità di specializzazione, approfondimento, conoscenza, circolazione delle idee e dei musicisti più rappresentativi mentre il nostro paese fa un museo anche della musica, ad eccezione, naturalmente, della Biennale di Venezia e poche altre realtà. Lei guardi i programmi delle stagioni dei vari enti e società concertistiche e liriche: i titoli della contemporaneità se sono l’un per cento è già tanto. Eppure la musica si è sempre nutrita della contemporaneità. Ovviamente bisogna essere in grado di scegliere e di affrontare il rischio del nuovo. Ma non crediamo che, nel passato, ogni opera nuova prodotta fosse un capolavoro: quello che è rimasto nel repertorio rappresenta una percentuale molto esigua di tutto ciò che è stato scritto. C’erano opere di routine, altre veri capolavori assoluti e opere di rottura o talmente originali da non essere comprese dai contemporanei come la V Sinfonia di Beethoven di cui è stato scritto che non era un’opera sinfonica, ma piuttosto un lavoro degno di una banda perché l’autore utilizza i fiati con una funzione di primo piano. Pensi che fra le opere d’oggi e la Sagra della primavera, che è stata davvero uno snodo della modernità, ci corre un secolo. D’altro canto, cento anni prima della Sagra della primavera Beethoven era nella sua fase più matura. Rendiamoci conto delle distanze storiche: ancora oggi qualcuno, se legge Stravinsky nel programma, storce il naso... Noi viviamo una situazione di museizzazione della società. É evidente che cercare di incuriosire le persone nell’arte vuol dire stimolarne la curiosità anche in altri settori della vita sociale, e chi vuol conoscere non è un cittadino comodo… Per cui, mantenere questa condizione di catalessi e anestesia del gusto è qualcosa i
cui effetti vanno ben oltre l’ambito della fruizione dell’arte. T&C – Che ruolo hanno, oggi, gli strumenti informatici nella produzione del suono e nella sua spazializzazione? C’è collaborazione o antagonismo rispetto agli strumenti tradizionali? Ivan Fedele – Innanzitutto quando si parla di informatica musicale non si parla solo della produzione del suono: l’informatica musicale è un ambiente molto complesso e articolato, che parte dall’analisi del suono per allargarsi ad altri ambiti. Siamo riusciti ad analizzare il suono e a conoscerlo meglio nelle sue componenti: questo ha portato addirittura a una corrente, lo Spettralismo francese, i cui rappresentanti più importanti sono stati Gérard Grisey, Tristan Murail e Hugues Dufourt, che dall’analisi del timbro hanno ricavato elementi estetici, e quindi tutto un linguaggio microtonale derivato dall’analisi delle “armoniche” del singolo suono. Per cui hanno traslato il linguaggio musicale dalla dimensione concettuale fondata sul principio classico di consonanza/dissonanza a quella molto più vasta fondata sul nuovo principio di armonico/inarmonico, ovvero di ciò che appartiene allo spettro di un suono e ciò che non potrà mai appartenere a quello spettro ed è quindi frutto di una manipolazione creativa. Ecco dunque che l’analisi del suono ha portato ad un’estetica. Con gli strumenti informatici sono stati fatti studi di psicoacustica che ci hanno fatto capire come funziona il nostro cervello su come percepiamo un flusso sonoro e una forma, quali sono le caratteristiche della dimensione temporale, quali le caratteristiche della nostra memoria, che capacità abbiamo di riconoscere ciò che è simile da ciò che è dissimile o diverso. Sono inoltre stati messi a punto strumenti estremamente duttili ed efficaci per la produzione ed elaborazione del suono attraverso programmi che ne gestiscono la composizione partendo ora da agglomerati complessi ora da piccole particelle. Si è anche studiato il trattamento di uno strumento in tempo reale ovvero il suono acustico trattato attraverso l’elettronica dal vivo. Quello dell’interazione fra strumento acustico ed elettronica è un aspetto molto indagato, che intriga parecchio perché l’elettronica è vista, giustamente, come un’estensione della liuteria tradizionale. È una liuteria informatica. Ci sono vari sistemi per relazionarsi in tempo reale con lo strumento (live electronics) e le tecniche si stanno sempre più affinando come per esempio la tecnologia dei sensori che, applicati al polso di uno strumentista, fanno rilevare i movimenti nelle loro qualità precipue di accelerazione, rotazione, velocità i cui valori costituiscono i dati che il compositore utilizza per elaborare il suono in tempo reale. C’è poi il pitch follower, che segue in tempo reale l’andamento dello strumento nei vari registri abbinando a ciascuno di essi un determinato evento. Esiste anche l’envelop follower il quale invece segue la forma dell’inviluppo, la rappresentazione grafica del suono, e quando quest’ultima assume determinate proporzioni o forme, scattano dei meccanismi di controllo ed elaborazione talvolta anche molto complessi. Abbiamo anche un settore dell’informatica musicale che è la cosiddetta CAO, Composition Assistée par l’Ordinateur, la composizione assistita al computer. È uno strumento col quale un compositore, attraverso un software specifico, realizza in modo
TRASPORTI & CULTURA N.37 molto più veloce quello che farebbe manualmente (processi di elaborazione, sviluppi formali, articolazioni ritmiche, melodiche, armoniche ecc.). Il computer non compone nulla, è il compositore che utilizza questo strumento per i suoi scopi. Molti giovani utilizzano questo strepitoso programma con profitto perché, consentendo di accelerare i tempi, si può disporre in breve di tante opzioni fra le quali scegliere. Vista così, l’informatica è uno strumento polivalente che può accompagnare il compositore. Però la personalità del compositore deve sempre essere forte (anche perché se non è forte, la persona non è un compositore…). T&C – Ma la tecnologia informatica può comportare un’eccessiva “facilità” e una tendenza ad “effetti speciali” che colpiscono l’attenzione, ma restano in superficie? Mi viene in mente la progettazione su base informatica nel campo dell’architettura… Ivan Fedele – Lo strumento ci dà delle risposte, io devo essere molto critico, devo guidare lo strumento affinché dia le risposte che mi piacciono o mi stimolano ulteriormente nella ricerca. I ragazzi alle prime armi si lasciano affascinare dalle prime risposte che il computer dà e quindi si fermano al primo stadio. Questo è un rischio, ma non dissimile da quello che si può trovare in qualunque altro ambito, per esempio anche in architettura. Il compositore è architetto e ingegnere al tempo stesso, ovvero è artista e artigiano. L’artigiano è colui che fa ciò che sa, l’artista è colui che cerca di fare ciò che non sa ancora. L’artista però non può esimersi dall’artigianato, dall’avere capacità concettuali e di manipolazione tali da governare il materiale e non essere da quello governato. In una costruzione affascinante per il disegno, dietro c’è però una struttura che la sorregge: lì ci vuole l’ingegnere. Nel comporre musica è la stessa cosa: occorre avere una conoscenza tecnica tale che l’idea, anche la più stravagante, possa reggersi. Questi due aspetti, nel compositore, sono imprescindibili. Diciamo che l’informatica, nel caso della CAO, è un supporto all’ingegneria che non ci dice niente (per fortuna!) dell’estetica. L’estetica siamo noi: è il soggetto che si esprime mediante le sue opzioni e la sua sensibilità. T&C - Pensavo a certi “effetti speciali” che colpiscono l’attenzione, ma non sarebbero proprio necessari… Ivan Fedele –Un’urgenza espressiva può anche aver bisogno di un’esplosione di immaginazione. Questa, se presa isolatamente, può risultare solo un effetto speciale, mentre se inserita in un contesto di senso più articolato può essere percepita come necessaria. L’effetto speciale è qualcosa che punta sulla spettacolarità dell’evento estrapolata da una necessità estetica. Nell’opera dei grandi compositori contemporanei si percepisce l’integrazione fra strumento acustico ed elettronica come necessari l’uno all’altro: si capisce che dietro c’è la forza di un pensiero non esclusivamente estetizzante. Diverso è il caso di chi si lascia affascinare dalla superficie levigata delle cose. Ma il rischio c’è sempre, anche con la musica acustica: si può comporre un pezzo per orchestra con molti effetti speciali e poca sostanza.
aspetti di una profonda attinenza fra le due discipline. In passato ci sono stati esempi significativi di collaborazione fra musicisti e architetti: ci sono esempi recenti? Ivan Fedele – Uno dei più grandi compositori del ‘900 era anche un architetto: Iannis Xenakis. Quando si parla di forma si parla di architettura. Quando si parla di equilibrio si parla di architettura. Quando si parla di armonia si parla di architettura. Quando si parla di struttura si parla di architettura; si parla di macroarchitettura e di microarchitettura. La macroarchitettura sono le varie forme. Nel periodo classico le forme erano abbastanza stereotipate: la forma “Sonata”, il “Tema con variazioni”, la forma “Rondò”, la forma “Scherzo”, la “Fuga” e via dicendo. Questa idea di contenitori da riempire di senso, seppur con le personalizzazioni e stravaganze dei compositori di maggior inventiva, era piuttosto abituale. I più grandi geni della fine di quel periodo, da Beethoven ai grandi romantici, hanno forzato quelle forme che sentivano come prigioni, fino a giungere a concezioni formali sempre più elastiche e aperte come il poema sinfonico, per esempio, che si snoda secondo un progetto narrativo estremamente flessibile. Si è passati, quindi, dal tardo romanticismo alla modernità del XX secolo attraverso molteplici processi anche tra loro contraddittori ma che hanno avuto il merito di spiegare la strada alla contemporaneità in cui ogni composizione ha la sua propria forma. L’identità tra forma e contenuto credo che sia, dal punto di vista storico ed estetico, una rivoluzione copernicana. La forma si esprime attraverso il suo contenuto e il contenuto si esprime attraverso la sua forma. Questo per quanto riguarda la macroarchitettura. Riguardo poi la microarchitettura, ovvero la composizione di accordi, intervalli, sistemi armonici (temperato, microtonale, microtonale armonico ecc.) trovo che i nessi tra le due discipline – musica e architettura – siano quasi assoluti. Pensi che noi musicisti dall’architettura (come pure da altre discipline) ricaviamo gran parte del nostro lessico. Una melodia possiamo chiamarla “profilo” o “linea”; ma usiamo anche la parola “segmento”, propria della geometria, o esprimiamo concetti di “polarizzazione”, proprio della fisica, e di “costellazione”, proprio dell’astronomia. Parliamo di “frequenze”, “stratificazione”, e poi usiamo i termini “rarefazione” e “addensamento”, che appartengono alla chimica e alla fisica. Oppure diciamo “un pensiero a più livelli”, “a più piani” e “un’ombra aggettante” per
2 - Les Percussions de Strasbourg, 6 ottobre - Teatro alle Tese (courtesy la Biennale di Venezia/ph.Akiko Miyake).
T&C – Sulle relazioni fra musica e architettura gli studiosi sono andati ben oltre l’analisi degli spazi convenzionali per la musica, mettendo in luce la spazialità del suono, la sonorità dello spazio e i molteplici 95
TRASPORTI & CULTURA N.37 dire che un oggetto musicale lascia poi una specie di residuo, come un’ombra. Parliamo di “ossidazione” di un timbro come di “un colore a tempera che si inacidisce in uno acrilico”: ovvero il passaggio da un suono molto caldo, ricco di armoniche, ad un altro più freddo che esalta le frequenze acute filtrando quelle medio-basse. Dunque, dal punto di vista del linguaggio, utilizziamo metafore e terminologie di altre discipline, fra le quali quella dell’architettura è privilegiata. T&C – É molto interessante il fatto che la musica guardi anche alle altre discipline, alle arti e all’architettura. E poi l’architettura dovrebbe guardare alla musica... Ivan Fedele – Il tema del festival era anche “altro spazio”. Si è sempre pensato che la dimensione privilegiata della musica fosse quella del tempo. Certo, senza il tempo non si dà racconto, non si dà consequenzialità e quindi non si dà forma. E quindi, senza tempo, la musica non esisterebbe. Ma il tempo, da Einstein in poi lo abbiamo capito, è una delle dimensioni dell’evento: l’altra è lo spazio. Senza spazio non esiste tempo. Se vivessimo in un punto assoluto senza spazio, anche in questo caso non ci sarebbe l’evento musicale, così come se vivessimo in uno spazio infinito senza tempo. Ora, lo spazio è sempre stato un po’ subìto dai compositori: la stessa composizione veniva magari eseguita indifferentemente in una sala grande o in una piccola, in un ambiente riverberante o in uno più secco, in una chiesa, all’aperto, insomma in condizioni acustiche anche molto diverse. Oggi i compositori sono giustamente molto più esigenti riguardo questo aspetto perché considerano le caratteristiche acustiche dello spazio come un elemento essenziale della composizione. Bisogna però dire che l’idea di collocare le fonti sonore, voci o strumenti che siano, non in maniera esclusivamente frontale bensì, per esempio, stereofonica si è affermata già dal XVI-XVII. Penso ai “cori spezzati” dei Gabrieli o di Monteverdi; lo stesso Bach, in seguito, ha scritto per organici stereofonici, come pure Vivaldi il quale ha utilizzato diverse strategie di spazializzazione tra le quali quella degli “strumenti in eco”, posti nella cantoria del collegio, ottenendo uno strepitoso effetto “sorpresa”. È curioso notare come la tradizione musicale veneziana si sia tramandata da Gabrieli, Monteverdi, Vivaldi, fino ai nostri tempi con Maderna (“Quadrivium”), Nono (“Prometeo”) e lo stesso Ambrosini di cui è stato eseguito proprio quest’anno “Fonofanìa”, una composizione in cui l’orchestra dialoga con un coro di bambini posto alle spalle del pubblico. La concezione di una musica scritta “per” e “attraverso” lo spazio sta alla base del concetto di “drammatizzazione” dello spazio stesso. T&C – Si sottolinea, sempre più spesso, la necessità che l’architetto tenga presente il lato “umanistico” della progettazione e, in particolare, presti attenzione anche alla dimensione sonora di una casa, di un edificio, di una città. Ci avviciniamo al tema del paesaggio. La musica, nel tempo, ha saputo indurre alla visione immaginaria di spazi e paesaggi. Ma la musica d’oggi si “accorge” dell’ambiente circostante, nel senso di descrizione, di emozione? Ivan Fedele – Spesso ci capita di dire, quando ammiriamo un quadro figurativo perfetto, “guarda, sembra vero!”. Poi assistiamo ad un magnifico tramonto e ci viene da esclamare: “guarda, sembra 96
un quadro!”. Insomma, non si capisce bene che cosa vogliamo…La natura è natura, l’arte è arte. La musica si può esprimere anche attraverso elementi naturali, ma il suo linguaggio è eminentemente astratto, autoreferenziale, non può essere una rappresentazione di natura tout-court. È vero che in passato sono state utilizzate espressioni “naturali” per descrivere il carattere di una certa composizione: titoli come La tempesta oppure La primavera, ad esempio, sono da intendere piuttosto come metafore di sentimenti ispirati da una situazione drammatica o di serenità, ma non pretendono né potrebbero mai pretendere di essere rappresentazioni testuali, seppur poetiche, di natura. La musica vive di pensiero, emozione e visceralità: un capolavoro deve essere in grado di sollecitare tutte e tre i livelli. È questa la natura alla quale la musica si rifà: la natura umana. Per quanto mi riguarda ho scritto un paio di composizioni che si ispirano genericamente alla natura, ma questo riferimento è puramente metaforico senza alcun intento descrittivo; si tratta di Windex, ovvero la bandierina che si mette in cima d’albero sulle barche a vela e che ci segnala la provenienza e l’intensità del vento. Le tre parti in cui si articola la composizione hanno per titolo ”Light breeze”, “Storm”, “Calm”: erano solo metafore, non avevano intenzioni descrittive bensì esprimevano un’intenzione di atmosfera. Nell’altra composizione più recente, La pierre et l’étang (La pietra e lo stagno), prendo spunto dall’incontro fra l’elemento duro inerte della pietra, e l’elemento liquido dell’acqua. Lo sprofondare di un masso in “Rocher englouti”, l’irradamento di molteplici onde concentriche sovrapposte in “Pluie de cailloux”, l’emersione repentina di una pietra pomice rilasciata dal fondale in “Ponce flottante”, l’inseguirsi e accavallarsi di traiettorie di rimbalzo sulla superficie dell’acqua in “Ricochets de galets”, sono solo metafore senza alcun intento descrittivo naturalistico. T&C – Ma, a parte la pittura figurativa, possiamo pensare a Burri coi suoi sacchi strappati e ricuciti. Possiamo pensare alla resa informale della sofferenza provata, per esempio, guardando una brutta periferia…. Ivan Fedele – Ma lì c’è l’elemento visivo “compiuto” che noi non abbiamo. La dimensione temporale, ancora una volta, risulta fondamentale. Stiamo parlando di un’arte, la musica, di cui non sappiamo con certezza neanche se viene percepita allo stesso modo da tutti. Nel caso delle arti figurative l’opera si presenta nella sua unitarietà spazio-temporale e non ha bisogno della mediazione dell’interprete come accade nella musica. La partitura ha bisogno dell’interprete per vivere e l’interpretazione, a sua volta, risente della personalità del musicista: soggetti diversi fanno rivivere l’opera secondo differenti sfaccettature. Infine c’è il pubblico, che è, a sua volta, l’ultimo interprete. Tutti questi passaggi e le variabili che ne derivano sono una piacevole incertezza, una fonte di ricchezza. T&C - Mi sembra che, nella creatività artistica, si stia affievolendo la ricerca del valore assoluto, l’aspirazione a creare per l’eternità. È un impoverimento che avvertiamo nelle arti visive, nel progetto di architettura. E nella musica? Ivan Fedele – Come in tutte le arti, anche nella musica esiste una musica d’uso e una musica di lin-
TRASPORTI & CULTURA N.37 guaggio. La musica d’uso è quella che ha una finalità ben precisa, quindi deve rispettare dei canoni (una musica per uno spot pubblicitario dev’essere funzionale allo scopo, per esempio). Nella cosiddetta “musica d’arte” la libertà poetica dell’artista è la priorità al di là di qualsiasi vincolo programmatico che non sia la necessità rappresentativa del soggetto. T&C - Nelle arti visive c’è il sistema del mercato, che porta avanti determinati artisti… Ivan Fedele – Nella musica d’arte questo aspetto è praticamente inesistente nel senso che, purtroppo, non esiste un vero e proprio “mercato” e dunque le dimensioni non sono paragonabili. Ciononostante, può accadere che nei circuiti internazionali (festival, rassegne, teatri e stagioni musicali) venga data una maggiore visibilità a quello o a quell’altro artista non necessariamente in virtù del suo effettivo valore ma per tanti altri motivi legati ai fattori più disparati. Accade oggi come è sempre accaduto in passato. Il tempo, poi, ristabilisce i giusti equilibri. T&C - Mi è piaciuta molto, in alcuni concerti, la valorizzazione di strumenti che in passato erano in secondo piano, complementari, come il contrabbasso, la viola d’amore, il corno di bassetto. Strumenti classici con linguaggi rinnovati. Come si sono sviluppate queste scelte? Ivan Fedele – Oggi c’è un rinnovato interesse per molti strumenti che in passato avevano un ruolo da comprimari. É il caso del corno di bassetto, per esempio, conosciuto soprattutto per essere stato uno degli strumenti prediletti da Mozart, della viola d’amore, che nell’abbinamento con l’elettronica ha rivelato potenzialità sorprendenti, del contrabbasso, vero e proprio protagonista della musica d’oggi. La valorizzazione di questi strumenti ha prodotto un repertorio in continua espansione di opere molto interessanti e un numero consistente di interpretati di altissimo livello che stimolano i compositori a scrivere per loro, perpetuando così quello stretto legame tra compositore e interprete che è sempre stato alla base della pratica musicale di tutti i tempi. T&C – Quali potrebbero essere, in futuro, i nuovi strumenti o le nuove modalità di produzione del suono? Ivan Fedele – John Cage diceva una cosa sulla quale sono perfettamente d’accordo: per una nuova musica occorrono nuovi strumenti. Lui non intendeva soltanto strumenti concettuali (occorre anche pensarla diversamente), ma anche strumenti concreti. Gli strumenti che la tradizione ci ha passato sono stati elaborati nel tempo per servire al meglio la musica tonale o per lo meno il sistema ben temperato. Oggi, ricercando nuovi suoni o volendo utilizzare linguaggi microtonali, con intervalli che non siano quelli del semitono e suoi multipli, occorre disporre di strumenti che lo possano fare agevolmente. Nel nostro tempo gli strumenti del passato hanno avuto una grande evoluzione sotto la spinta di compositori come Berio o Boulez, per esempio, che per quegli strumenti hanno scritto opere divenute capisaldi del repertorio per spirito e creatività innovativi. Quello che conta però, come sempre, è l’idea e per questa, se è forte, può essere anche sufficiente il più semplice degli strumenti.
T&C – Il grande pubblico ama la musica classica, storicamente consolidata, coinvolgente, rassicurante, mentre ha una certa resistenza nei confronti della musica contemporanea. Come vede, per il futuro, il rapporto del pubblico con la “nuova musica”? Ivan Fedele - La questione è semplice: il pubblico, nel tempo, è stato abituato più a “riconoscere” che a “conoscere”. Riconoscere tranquillizza, tanto più che alla musica si è attribuito quasi eminentemente il ruolo di intrattenimento. Ecco perché viene riproposto sempre il repertorio di autori classici e romantici, giungendo al massimo fino ai primi 2030 anni del Novecento. D’altra parte “conoscere” implica il fatto di avere il desiderio di scoprire, direi quasi una specie di ansia ermeneutica. E qui ritorniamo al discorso di prima: la curiosità del pubblico, a forza di riproporgli le stesse cose, tende ad affievolirsi fino al punto di vivere il concerto come un’abitudine certamente piacevole, ma fondamentalmente non coinvolgente a livello di emozione conoscitiva. In passato, invece, il pubblico richiedeva ed esigeva ascoltare musica nuova e il concetto di “repertorio” non era così cristallizzato come appare nel nostro tempo. T&C – Per i compositori d’oggi si richiede un lungo percorso di formazione e apprendistato per l’acquisizione di conoscenza non solo tecniche, ma anche storico-culturali con aperture interdisciplinari: quali i punti forti, nel nostro Paese, e quali le difficoltà? Ivan Fedele – Uno dei centri più importanti di ricerca, di formazione e di incontro è l’IRCAM di Parigi: quello resta ancora un modello assolutamente valido. Ma oltre alle strade già conosciute di scuole, Conservatori e Accademie internazionali molto importanti, esiste anche una formazione che viene offerta ai giovani attraverso il web che consente loro di accedere a conoscenze che altrimenti farebbero fatica ad acquisire. Attraverso la rete possono entrare in contatto con partiture e registrazioni che altrimenti avrebbero difficoltà a reperire. C’è, inoltre, una proliferazione di blog e forum anche molto interessanti. Il web è uno strumento formidabile che va saputo usare. L’importante, come sempre, è avere senso critico. Infine un’altra nota positiva: ad una generale contrazione dell’offerta culturale, delle opportunità, non corrisponde un decremento di giovani che si consacrino alla “musica d’arte”, tutt’altro. Questi giovani non solo sono sempre più numerosi ma danno anche a tutto il movimento un apporto consapevole e ricco di istanze provenienti anche da altri generi e orientamenti musicali. T&C – C’è da fare in modo che restino in Italia a lavorare… Ivan Fedele – Mah, ormai viviamo in una società globalizzata: non solo è giusto, ma anche doveroso che un artista possa avere l’opportunità di far conoscere quello che fa in tutto il mondo. Certo dispiace vedere che, nell’arte, gran parte di quello che fanno i giovani italiani viene realizzato quasi esclusivamente all’estero. Dovremmo dar loro più opportunità anche da noi. Potrebbero dare un contributo culturale di freschezza e novità importante alla vita del Paese. Riproduzione riservata ©
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Viaggio nell’uomo per un nuovo umanesimo ecosofico, doveri di custodia e strumenti di difesa dell’ambiente di Claudio Maruzzi
Il tempo della crisi muove, sempre, riflessioni profonde. Riflessioni, meditazioni (per taluni, contemplazioni anche mistiche), sul senso della nostra esistenza di uomini, sul significato della nostra presenza nel mondo, sulle relazioni con noi stessi, con gli altri, con l’ambiente e tutte le componenti che lo abitano. Edgar Morin, nel suo ultimo libro La via. Per l’avvenire dell’umanità, annuncia come “sia più che mai necessaria una confluenza tra diverse riforme. Una riforma educativa che permetta di affrontare in tutta la loro complessità i problemi fondamentali delle persone in un tempo radicalmente nuovo come l’era planetaria”. Sono i problemi che ho indicato nel mio libro I sette saperi necessari all’educazione del futuro: la natura complessa della conoscenza e il suo rapporto con l’incertezza, l’unità bio-psico-antropologica della condizione umana, il pianeta Terra come destino comune dell’umanità, l’etica della comprensione... Sono problemi che oggi richiedono una nuova formazione, anzitutto, dei formatori: la connessione fra la cultura umanistica (filosofia, letteratura, poesia, arti), le scienze dell’uomo e le scienze naturali per elaborare un nuovo umanesimo, un umanesimo planetario e per dare vita a un nuovo Rinascimento” 1.
La dispercezione del problema ecologico Il problema ecologico, dunque, centro di interesse ontologicamente dominante le sorti dell’umanità, al di là della sua concreta percezione (secondo il comune sentire, invero, assai rarefatta). É bene osservare come il problema ecologico - in termini di contaminazione di suolo, sottosuolo, aria, flora, fauna, acque e di alterazione dell’assetto urbanistico e idrogeologico - determina ricadute, oltre che sulla sfera fisica, anche sulla psiche dell’individuo e delle comunità di riferimento. Per dirla con il filosofo dell’ambiente Luciano Valle, “la dis-armonia entro la struttura della persona umana, il disagio psichico, sono conseguenza, anche di una rottura dei rapporti coi linguaggi della natura”.2 Pur vivendo un’era di reti e di scambi senza precedenti, i risultati raggiunti dai vertici mondiali più recenti riguardanti il tema ambientale, primo fra tutti Rio+20, appaiono largamente al di sotto delle aspettative e contribuiscono a genera1 Da Il Sole 24 Ore, intervista di Alessandro Massarenti, 15 aprile 2012. 2 Verso un nuovo umanesimo planetario. “Rivista italiana di psicologia del diritto”, anno 2009, Gruppo Editoriale Viator, pag. 43.
Journey within man towards a new ecosophic humanism, the obligation to preserve and tools to defend the environment by Claudio Maruzzi These wide-ranging considerations are tinged with ecosophic-juridical connotations, regarding the meaning of man’s presence on the earth, and our relationships with ourselves and with others. The analysis starts from the premise that there is a substantial misperception of the ecological problem, a lack of traditional institutions that govern the environment, real wars that are being fought today, impacting the fate of humanity, for water, oil and grain. The dimension of “water” is considered in its strict and essential relationship with the landscape, with an analysis that is rarely considered in contemporary scientific thinking, of the importance of context in producing the stress associated with alienation from the landscape. It highlights the dramatic problem of land take, which must be contained at every level of public and private responsibility, and the compelling urgency with which humanity as a whole once again begin to consider the earth as Mother. Finally, as a legal expert in environmental issues, the author presents several solutions that can make a difference in the investigation of criminal damage to the ecosystem and the landscape, and in the administrative procedures that concern the environment, such as defensive or even preventive investigations, access to environmental information and the participation in administrative procedures, possibly with the help of technical consultants.
Nella pagina a fianco: otto vedute di paesaggi (foto di Laura Facchinelli).
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TRASPORTI & CULTURA N.37 re un crollo della fiducia nei processi di soluzione dei problemi globali, oltre che un diffuso cinismo riguardo alla cooperazione ambientale globale. Che cosa è successo nel volgere dei vent’anni che separano il Summit della Terra da Rio+20? Nel 1992 la politica seppe mettersi un passo avanti all’economia e all’opinione pubblica, prendendo decisioni ambiziose (ad esempio, la Convenzione sul clima, da cui nascerà il Protocollo di Kyoto, la Convenzione sulla biodiversità, l’Agenda 21), mentre oggi ha mostrato il suo volto peggiore: élite nazionali prigioniere delle lobby economiche, paralizzate da veti incrociati e incapaci di cogliere l’urgenza di scelte che mettano l’ambiente al centro del presente e del futuro 3. Dobbiamo comprendere a fondo questi scenari per capire la realtà in cui oggi baleniamo (“in burrasca”, evocando Gabbiani, di Vincenzo Cardarelli). In materia di ambiente si fatica a ragionare su aspetti o problematiche complesse, che vadano oltre il contingente, o l’interesse particolare. Le cause riposano sulla estrema difficoltà di interpretare i molteplici dati tecnici che sempre danno corpo al singolo problema, di tradurli in argomento di discussione dominabile o anche solo controllabile dall’interlocutore. Il che vale primariamente per tutta l’area del danno ambientale, dei danni alla salute umana e alle altre forme di vita sul pianeta, difficoltà che non si riscontrano esclusivamente in ambito giuridico-giudiziario. L’uomo fatica a leggere i problemi nella loro globalità e nel contesto delle criticità contigue, in particolare nell’era di internet e della comunicazione “in tempo reale”, che in realtà ci toglie il tempo più prezioso, quello della riflessione, il tempo-grazia, per dirla ancora con i “romantici” auspici di Luciano Valle: “La transvalutazione del moderno è apertura anche a un’altra concezione del tempo, dal tempo-prestazione al tempo-grazia” 4. E questo accade, appunto, anche quando si trattano i problemi dell’ambiente, dell’ inquinamento, della salute. Si viene generalmente sopraffatti dal fatalismo, rinunciando a pensare davvero alle vere cause e ai rimedi concretamente attuabili. Esiste, dunque, un evidente problema di dispercezione. I danni alla salute, fisica e psichica, provocati dall’inquinamento non sono percepiti dalla collettività, se non in rari casi. Eppure, dobbiamo fare i conti con dati inconfutabili. Già oggi: - più di 1/3 delle patologie dei bambini al di sotto dei 5 anni sono causate da fattori ambientali; - la metà delle cause di morte nel mondo è dovuta a fattori legati all’ambiente; - 2/3 delle cause di morte in Europa sono dovute a fattori ambientali; - i fattori ambientali prima causa di morte in Italia. E sono dati drammatici, che impongono una reazione vigorosa.
Il ruolo della politica È compito anche della politica, aiutare la collettività a concepire, percepire, sentire l’Ambiente come “valore” primario per noi stessi e per l’umanità intera. In una realtà contemporanea ove si registra lo stravolgimento delle gerarchie dei valori tradizio3 Giacomo Costa SJ, Chiara Tintori, Governare l’ambiente: verso il “cosmopolitismo locale, in “Aggiornamenti Sociali”, dicembre 2012. 4 Verso un nuovo umanesimo planetario, ibidem. pag. 39.
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nali e prima ancora la liquefazione dei valori stessi, non avere la consapevolezza del bene ambiente come valore primario, significa vivere una condizione di precarietà, di inferiorità, di sudditanza. Il “pentagramma” ambiente-agricoltura-alimentazione-salute-economia forma un modello integrato di vita, che racchiude e condensa ambiti che vivono in costante interazione, non sempre virtuosa, come sappiamo. Pochi sanno che chi governa, nella sostanza, e conseguentemente condiziona questi settori è primariamente la cosiddetta “triade globale”: World Trade Organization, Fondo Monetario Internazionale, Banca Mondiale. Essi non sono organismi pubblici, ma composti da rappresentanti delle multinazionali, le cui sedute e le cui decisioni rimangono di fatto “riservate” e al di fuori di ogni controllo da parte dell’opinione pubblica. Questa “triade” decide i destini del mondo. Pochi decidono le sorti di tutti, all’insaputa di tutti. E “a cascata” i governi, nelle diverse articolazioni e diramazioni, si adeguano. E così i mercati 5.
Le guerre dell’acqua, del petrolio, dei cereali Attorno all’acqua, ai combustibili fossili e, oggi, sempre più, ai cereali, ruotano i destini dell’umanità. È pressoché certo che la guerra dell’acqua diventerà presto un fenomeno globalizzato. A questo proposito la FAO, in occasione della Giornata mondiale dell’acqua, ha ricordato che il problema della scarsità idrica riguarda quasi tutti i continenti e più del 40% della popolazione mondiale. Attualmente sono oltre 1,6 miliardi le persone che vivono in Paesi con assoluta scarsità d’acqua, ma i due terzi della popolazione potrebbero trovarsi a vivere in aree a rischio di siccità entro il 20506 . Il cereale, nutrimento naturale dell’uomo, viene utilizzato sempre più per riempire le pance degli animali da allevamento e dei motori, anziché quelle degli esseri umani, generando uno squilibrio non più controllabile, impoverendo i suoli e riducendo le fonti di nutrimento per miliardi di persone. Quanto ai carburanti, è notorio come siano stati e siano tuttora cause di conflitti e tragedie inenarrabili. Si pensi al disastro ambientale verificatosi nella foresta amazzonica ecuadoregna, devastata da decenni di trivellazioni da parte della Chevron-Texaco, condannata nel febbraio 2012 dal Tribunale di Quito a risarcire danni per circa 9 miliardi di dollari, risarcimento raddoppiato con la sentenza di appello. Battaglia condotta con successo dal “Fronte di difesa dell’Amazzonia”, grazie anche al coraggio e alla tenacia di alcuni avvocati7. La crisi economica che affligge larga parte del pianeta impone una rivisitazione del concetto di consumo: è indispensabile che la produzione in genere sia sempre tarata al relativo costo ambientale e diventa prepotentemente urgente consumare meno (la “decrescita felice” di Serge Latouche). Pensiamo al costo di produzione della carne (an5 Cfr. due saggi, non recenti, ma ancora molto attuali, che illustrano questa inquietante realtà, Lori Wallach e Michelle Sforza, WTO Tutto quello che non vi hanno mai detto sul commercio globale, 1999; Vandana Shiva: Le guerre dell’acqua. 2002, Universale Economica Feltrinelli. 6 OCSE, “Previsioni ambientali al 2050: le conseguenze dell’inazione”, primavera 2012. 7 V. Paolo Leon, L’Umanità vittima dei crimini ambientali. Danni, percezione, rimedi, Gruppo Editoriale Viator, 2011.
TRASPORTI & CULTURA N.37 che in termini di consumo di acqua), rispetto ai cereali, ai legumi, agli ortaggi. Occorre sensibilizzare in modo diffuso l’opinione pubblica mondiale verso la smitizzazione del PIL, evitando di considerarlo termometro del benessere. Mirabile a questo proposito la storica prolusione di Robert Kennedy del 18 marzo 1968 all’Università del Kansas, ove evidenziava - tra l’altro - l’inadeguatezza del PIL come indicatore del benessere delle nazioni economicamente sviluppate: “...Il PIL non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia o la solidità dei valori familiari, l’intelligenza del nostro dibattere o l’onestà dei nostri pubblici dipendenti. Non tiene conto né della giustizia nei nostri tribunali, né dell’equità nei rapporti fra di noi...”.
scarsa percezione della presenza del fiume” scrive Ercolini. È necessario trasformare questo atteggiamento distratto in un dialogo con la natura addirittura cercando di non ostacolare le sue manifestazioni, come le piene e le alluvioni naturali, processo di ricambio e pulizia naturali che ai nostri occhi, ormai abituati a vedere tutto sotto la luce dell’emergenza, risultano tremendamente conflittuali. È necessario accorgersi che il paesaggio vive, respira e se si cerca di soffocarlo reagisce; che i corsi d’acqua sono elementi dinamici della natura, in perenne trasformazione con valenze simboliche, rituali e metafisiche difficilmente eguagliabili 9.
Il contesto: lo stress da alienazione del paesaggio
Occorre dare nuovo valore alla cultura dell’acqua e alla progettazione paesistica, partendo dal presupposto di rivedere attentamente il significato della parola “acqua”, spesso travisato se non addirittura dimenticato nella nostra società odierna. Acqua quindi intesa non solo come origine di vita, “oro blu” del pianeta, ma acqua considerata parte integrante, quasi generante, del paesaggio che ci circonda. L’acqua possiede una capacità conformante: una forza disegnatrice che cesella il nostro territorio, nella generale indifferenza. Non si può parlare di paesaggio tralasciando l’elemento acqua. E il fiume è quell’elemento che meglio incarna la forza vitale dell’acqua e la sua presenza. Felice espressione del vitale connubio uomo-fiume è l’incipit dell’Invectiva ad Patrem Padum, di Gianni Brera: “Sono un uovo fatto fuori dal cavagnolo, quando mio padre e mia madre proletari non pensavano più di avere un altro figlio. Mio paese natìo è Pianariva, che l’Olona divide a mezzo prima di confluire in Po. Sono cresciuto brado fra i paperi e le oche naviganti l’Olona. Ho imparato a nuotare con loro e a desumere i fondali dai diversi colori e dalle diverse increspature dell’acqua...”. Fiume inteso come flusso energico nel e del territorio, sempre di più preso in ostaggio dallo sfruttamento da parte dell’uomo attraverso la costruzione di dighe, cave, miniere, strade e deviazioni. Intervento antropico, poco calcolato, che produce a livello mondiale un vero e proprio water change: da una parte l’acqua che manca, la cui mancanza produce siccità e desertificazione; dall’altra l’acqua che distrugge, calamità inarrestabile che inonda e devasta8 . L’uomo ignora la sua responsabilità in questo processo che altera irrimediabilmente gli ecosistemi fluviali perché convinto che l’acqua sia una risorsa meramente economica, “acqua identificata in termini ingegneristici e utilitaristici” e nient’altro. Comportamento che porta l’uomo ad abbandonare progressivamente i significati culturali, ancestrali del corso d’acqua verso quella che l’architetto Michele Ercolini definisce “banalizzazione del paesaggio”. Esempi emblematici di questa banalizzazione sono le città in cui abitiamo: città che danno le spalle ai fiumi, che li nascondono invece di darne risalto. “Oggi, chi attraversa il territorio italiano ha
Nel rapporto tra uomo e natura, tra habitat e benessere, occorre ragionare con Gregory Bateson, in termini di “contesto”: cioè della matrice dei significati comunicativi, la cornice in cui si riconoscono le comunicazioni in cui si acquisiscono le interazioni sociali e su cui poggia l’intera esperienza umana. Occorre chiederci quali saranno le conseguenze della “saturazione costruttiva” anche in aree paesaggisticamente eccellenti. Quali i cambiamenti nei costumi, negli stili di vita della popolazione. Quali mutamenti per la salute fisica e psichica degli individui. Domande sempre più epocali ed indifferibili, data la crescente omologazione di spazi urbani e non urbani che appiattiscono le differenze e formano le “villettopoli” o i “capannonifici” senza anima e senza vita vera, i non-luoghi di Marc Augé: “spazi in cui centinaia di individui si incrociano senza entrare in relazione sospinti o dal desiderio frenetico di consumare o di accelerare le operazioni quotidiane, spazi che hanno la prerogativa di non essere identitari, relazionali e storici”. I dati sul consumo di suolo, sullo strapotere del mercato immobiliare, sulla dilagante speculazione fanno da contraltare alla progressiva perdita del senso civico. Uno dei punti più alti del disagio sociale lo si individua nello “stress da alienazione del paesaggio”, da perdita delle origini, dei luoghi, dal non riconoscersi più in un contesto. E la crescita psichica dell’individuo è sempre connessa al suo abitare in un ambiente favorevole allo sviluppo dei processi maturativi innati. Non a caso, il primo nostro ambiente/spazio costruito è la madre: il neonato “abita” il corpo materno e la madre è una “madreambiente”. O, per dirla con Martin Heidegger, l’uomo abita per mantenere un’identità individuale all’interno di una comunità complessa e costruita da chi ci ha preceduto. Molti studi internazionali si dedicano alla relazione tra disagio psichico e ambiente sociale, che indicano come nelle aree urbane la schizofrenia risulti più che doppia rispetto alle aree rurali e porti con sé fenomeni come anoressia, bulimia (la cui incidenza è 2/5 volte superiore nelle grandi città rispetto alle aree rurali), psicosi, depressioni, abuso di sostanze stupefacenti. Dagli studi emerge che le persone che vivono in abitazioni dalle cui finestre si scorgono alberi, appaiono più soddisfatte della loro abitazione rispetto a quanti convivono con panorami privi di verde o, addirittura, con “semplici” prati senza alberi.
8 Cfr. Ettore Mo, Fiumi, Lungo le grandi strade d’acqua del pianeta, Rizzoli.
9 Michele Ercolini, Cultura dell’acqua e progettazione paesistica, Gangemi editore, 2010.
Acqua e paesaggio
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TRASPORTI & CULTURA N.37 Dietro a questa negazione esistenziale, c’è sempre “una cultura dell’abuso al territorio” paragonabile all’abuso ai bambini. “Gli adulti non protettivi – dicono Roberto Minozzi e Silvia Mazza10 - cosa fanno quando vengono accusati di un reato commesso o quando si cerca di ricostruire gli eventi traumatici? Attivano la negazione, negano la responsabilità: Non sono stato io/sono stato costretto. Non è vero. Non è stato così grave. Non avevo coscienza del danno che avrei prodotto. Tutte modalità riconoscibili anche negli amministratori responsabili di aver concesso permessi per la cementificazione di aree del territorio vergini, di luoghi protetti: Non ero in carica quando il progetto è stato approvato. Era tutto lecito. Il progetto non danneggia il territorio o non in modo così grave...».
Arginare il consumo di suolo Ogni anno in Italia scompaiono 240.000 campi da calcio. Cassinetta di Lugagnano, in provincia di Milano, è il primo Comune in Italia ad aver approvato un piano regolatore che esclude la possibilità di edificare occupando nuove superfici. Il suo giovane sindaco, Domenico Finiguerra, ha dato il via al movimento Stop al consumo di territorio ed è riuscito a trasformare un piccolo e sconosciuto Comune in un concreto esempio di riferimento per l’intero Paese. A Cassinetta un’amministrazione intraprendente ha dimostrato di saper passare dal pensiero globale all’azione locale, non solo adottando misure innovatrici in campo ambientale, ma provando anche a immaginare modi nuovi, creativi ed efficaci per migliorare la vita della comunità, senza consumare risorse ma anzi preservandole per le generazioni future. Ecco dunque che Domenico Finiguerra e il suo Comune sono diventati un modello per molte altre realtà locali: dalla non cementificazione all’attento recupero dell’esistente, dal supporto al movimento per l’acqua bene comune alla valorizzazione del patrimonio artistico come fonte di guadagno alternativa all’urbanizzazione, Cassinetta di Lugagnano sta indicando la strada da seguire per frenare il processo autodistruttivo cui in Italia si assiste da decenni e per diffondere tra amministratori e cittadini la consapevolezza che la cosa pubblica è preziosa e va gestita in modo nuovo. Un modo non solo responsabile, ma virtuoso, solidale, ecosostenibile, capace di pensare in grande e agire in piccolo11 .
Riconsiderare la Terra come Madre. L’uomo custode dell’ambiente Urge una vera rivoluzione culturale filosoficoantropologica, che ponga al centro dell’umano sentire la “prepotente urgenza” di riconsiderare la Terra come Madre, di cui tutti abbiamo il dovere 10 Roberto Minozzi è psicologo e psicoterapeuta, docente di Psicologia Sociale e di Servizio Sociale nella Facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Pisa. Silvia Mazza è medico epidemiologo, che svolge attività di ricerca sulla efficacia degli interventi preventivi, terapeutici e riabilitativi dei pazienti tossicodipendenti e alcol-dipendenti. Cfr. Roberto Mazza e Silvia Minozzi, Psico(pato)logia del paesaggio. Disagio psicologico e degrado ambientale, Le letture del gufo - Erreci edizioni, Anzi (Potenza). 11 Cfr. Chiara Sasso, con contributi di Domenico Finiguerra, Il suolo è dei nostri figli, Instar libri, Torino.
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di sentirci, armoniosamente figli e custodi, parti integranti di una comunità, fruitori di un capitale naturale che è nostro, di tutti. Non è più rinviabile il tempo in cui l’umanità si ponga al centro di un percorso di consapevolezza che contempli suolo-aria-acqua in sinergia virtuosa con uomo, flora e fauna, in un contesto di comunicazione armoniosa. Questo modello occorre esportarlo e diffonderlo per accrescere la percezione dei danni provocati all’ecosistema dalle scellerate scelte dei “potenti della terra”, dei “signori del profitto”, divoratori di energia ossessionati dall’utile e per dotare il cittadino di adeguati strumenti di tutela e di reazione anche giudiziaria agli scempi ambientali. L’uomo non è proprietario dell’ambiente, ma ne è custode. Il che impone una “doverosa sobrietà esistenziale nella gestione di questa custodia”12 . E i doveri del custode sono di proteggere il bene ricevuto in dono. Che preesiste all’uomo e sopravviverà alla morte dell’uomo. E di restituirlo, nelle stesse condizioni in cui lo ha ricevuto.
Strumenti giudiziari. Il ruolo dell’avvocatura Cosa si può fare, subito. È noto che la normativa ambientale, nazionale ed internazionale, anche per la sua evidente connotazione specialistica, non sempre è sufficiente ed idonea ad assicurare i diversi ambiti di tutela. È urgente affinare lo studio e le metodologie di utilizzo delle leggi vigenti e promuovere l’introduzione di nuove norme che coprano i vuoti di tutela. E l’avvocatura ha la grande opportunità, in questa direzione, di divenire il motore propulsivo di iniziative legislative e di battaglie giudiziarie nobili, contribuendo ad una maggiore consapevolezza degli strumenti giudiziari a disposizione di cittadini, comitati e associazioni ambientaliste, a tutela della salute e dell’ambiente. Fondamentale è dare concreta attuazione ai principi di precauzione e di prevenzione e al principio “chi inquina paga”, che sono già leggi dello Stato e sui quali è importantissimo sensibilizzare anche le amministrazioni pubbliche, costringendole a tenere conto di questi principi nelle loro scelte che incidono sull’ambiente. È importante sapere che è possibile segnalare al Ministero dell’Ambiente situazioni a rischio ambientale anche solo potenziale, il che determina l’apertura di procedure di verifica, che possono essere seguite e controllate anche con l’ausilio del legale. Decisivo può essere l’apporto delle investigazioni difensive ambientali, anche preventive, formidabile strumento di impulso delle indagini giudiziarie ambientali.
Le investigazioni difensive ambientali Nel contesto della scena giudiziaria afferente ai reati ambientali, per il difensore penale si aprono scenari nuovi, fino ad oggi quasi del tutto inesplorati. Lo “statuto” dell’avvocato-investigatore 12 Cfr. Germano Bellussi, L’umanità vittima dei crimini ambientali. Danni, percezione, rimedi. Gruppo Editoriale Viator, 2011, pagg. 333 e segg..
TRASPORTI & CULTURA N.37 introdotto nel nostro ordinamento con la legge 397/2000, consente al difensore anche delle vittime (singoli e/o enti privati e pubblici) – pure con riferimento a vicende che riguardano la lesione del bene ambiente - l’attivazione di strategie e tecniche di indagine, in prospettiva probatoria, di notevole ampiezza e rilevanza. La portata – che non credo esagerato definire rivoluzionaria - della riforma è dimostrata dalla circostanza che il difensore-investigatore ha l’opportunità di agire addirittura anteriormente al formale inizio del procedimento penale, attraverso le investigazioni difensive preventive, i cui risultati potranno eventualmente essere allegati all’atto introduttivo dell’inchiesta penale (esposto/denuncia/querela), offrendo in tal modo all’autorità giudiziaria, in proiezione processuale, importanti spunti probatori. È sempre auspicabile, tuttavia, che tra difensore della persona offesa, inquirente pubblico (magistrato del pubblico ministero e organi di polizia giudiziaria) e autorità pubblica con competenza amministrativa, si creino virtuose sinergie, pur nel rispetto dei rispettivi ambiti di competenza, cercando di evitare contaminazioni che possano inficiare il risultato probatorio, in particolare nel contesto dell’accesso ai luoghi, fase in cui avviene, nella maggior parte dei casi, l’acquisizione di elementi indiziari a sostegno dell’ipotesi di reato. Un fondamentale strumento di acquisizione probatoria documentale è offerto dalla normativa sull’accesso alle informazioni ambientali presso la pubblica amministrazione, disciplinata dalla Convenzione di Aarhus, del 25 giugno 1998, che ha poi portato alla adozione della Direttiva 2003/4/CE ed al D.Lgs 195 del 19 agosto 2005, attuativo della norma comunitaria. La Convenzione di Aarhus individua, all’articolo 1, tre direttrici fondamentali: garantire i diritti d’accesso all’informazione sull’ambiente, di partecipazione del pubblico al processo decisionale e l’accesso alla giustizia in materia ambientale. L’importante strumento è garantito a chiunque, senza necessità di dimostrare la sussistenza di un interesse giuridicamente rilevante sotteso alla domanda. In precedenza la possibilità di accedere agli atti della pubblica amministrazione era disciplinata esclusivamente dall’art. 391 quater del codice di Procedura Penale (accesso ai documenti della pubblica amministrazione da parte del difensore nell’ambito delle investigazioni difensive) e dalla legge 241/90, la cd. legge sulla trasparenza amministrativa. Dal tenore delle disposizioni, sembrerebbe che il diritto di accesso a tale tipologia di fonte sia pressoché assoluto, salve talune tassative limitazioni. Nel concreto non sono rare le difficoltà che la prassi applicativa registra, a causa talvolta di una malcelata insofferenza da parte di alcune pubbliche amministrazioni a rendere noti i risultati e i dati delle proprie attività istituzionali. E non è raro riscontrare, da parte degli uffici competenti, un “eccesso di prudenza” nel ricorrere ai casi di esclusione, per respingere la richiesta di accesso, ai sensi dell’art. 5 D. Leg.vo 195/2005, che li contempla: (a) quando l’informazione richiesta non è detenuta dall’autorità pubblica alla quale è rivolta la domanda; (b) quando la stessa è manifestamente irragionevole o espressa in termini eccessivamente generici; (c) quando concerne materiali, documenti, o dati incompleti, o in corso di completamento; (d) se infine riguarda comunicazioni interne tenuto in ogni caso conto dell’interesse pubblico tutelato
dal diritto di accesso. È bene ricordare che l’informazione ambientale prefigurata dalla legge è qualcosa di più e di diverso dal mero accesso agli atti, poiché, come precisato dalla giurisprudenza, a differenza di quanto avviene per l’ordinario diritto di accesso, in materia ambientale può essere richiesto alla pubblica amministrazione anche l’elaborazione dei dati in suo possesso13 . L’investigazione difensiva ambientale, anche se sostenuta da informazioni ambientali, o da documenti rilevanti ai fini dell’accertamento del reato ambientale, spesso non può prescindere dall’apporto dei consulenti tecnici. La prova del reato ambientale è quasi sempre sfuggente, impalpabile, faticosa da “imbrigliare”. Al di là dei casi in cui può essere sufficiente la prova testimoniale (si pensi ad esempio alle cd. molestie olfattive), purché precisa e circostanziata, o l’ispezione o l’esperimento giudiziale, od in taluni casi il fatto notorio, l’approccio alla vicenda ambientale di rilievo penale, sia per l’investigatore pubblico, che per l’avvocato che operi nell’interesse dei potenziali o attuali indagati, o delle potenziali o attuali parti lese, spesso richiede l’apporto di professionalità tecniche in grado di fronteggiare, in modo adeguato, i rispettivi antagonisti processuali. Il progresso scientifico e tecnologico in ambito ambientale e in quelli ad esso accessori (si pensi, solo a titolo esemplificativo ai settori della chimica, della biologia, della meteorologia, della modellistica ambientale) se in astratto facilita l’acquisizione della prova del reato ambientale, di fatto rende tali acquisizioni non sempre facilmente realizzabili, causa i costi elevati di talune tipologie di consulenza che, per conseguire risultati processualmente apprezzabili, non possono che essere affidate ad esperti dotati di alta, sofisticata e, spesso, rara specializzazione. L’azione integrata tra difensore-investigatore e consulente può in molti casi offrire quegli spunti probatori fondamentali per l’apertura di un’indagine, anche anticipando l’intervento dell’autorità giudiziaria. Oppure affiancarsi ad essa e ai consulenti eventualmente già incaricati dall’autorità giudiziaria. Il contributo dell’ “esperto” è utile non soltanto per l’acquisizione della prova “sul campo” e per la successiva valutazione, ma spesso è di ausilio al difensore, nella interpretazione dei dati tecnici contenuti nelle disposizioni legislative (comunitarie, legislative nazionali e regionali) e soprattutto negli “allegati”. Per concludere, le investigazioni difensive spalancano al difensore del terzo millennio nuovi e straordinari scenari operativi, anche con riferimento ai settori dell’ambiente, dell’urbanistica e del paesaggio. E’ necessario, tuttavia, che l’avvocato innervi il proprio quotidiano operare di vera cultura dell’investigazione, promuovendo sinergie di valore con le altre professionalità di settore, il che comporta una vera e propria trasformazione “antropologica” del difensore, una ridefinizione della propria funzione e delle proprie abitudini professionali, operazione che non può non nutrirsi di sacrificio, passione e fantasia14 . Riproduzione riservata © 13 V. Tar Lazio, I, n. 4767/06 e n. 5272/06. 14 Cfr. Claudio Maruzzi, L’umanità vittima dei crimini ambientali. Danni, percezione, rimedi. Dai principi alle tutele, Gruppo Editoriale Viator, 2011, pagg. 299 e segg.).
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Angiolo Mazzoni in Toscana di Milva Giacomelli
La Toscana e il Lazio presentano la più alta concentrazione di edifici progettati da Angiolo Mazzoni (1894-1979) per il Ministero delle Comunicazioni1. A prescindere dal dato quantitativo, il complesso delle sue architetture merita di essere registrato non solo per le diverse tipologie dei manufatti edilizi (palazzi postelegrafonici, colonie marine, stazioni ferroviarie) studiati da Mazzoni tra il 1925 e il 1943, ma soprattutto perché è un eloquente documento della ricerca di una modernizzazione dell’architettura ferroviaria e postelegrafonica, dal progetto per la stazione di Firenze S. Maria Novella (1926-33) alla stazione di Siena (1933-35) e dal progetto per il palazzo delle Poste di Pisa (192526) al palazzo delle Poste dell’Abetone (1933-34). Mazzoni è stato il principale interprete di questa modernizzazione iniziata con il concorso nazionale per il fabbricato viaggiatori (1932-33) della stazione di S. Maria Novella, il cui esito è stato seguito da uno strascico di polemiche (Mazzoni si era aggiudicato con il progetto 33C il secondo premio ex aequo con Cesare Pascoletti, Ettore Sottsass e Bruno Ferrati) che sono state l’occasione del suo incontro con il Futurismo e ne hanno propiziato l’adesione al movimento marinettiano. Mazzoni è stato l’architetto-ingegnere del Ministero delle Comunicazioni capace di declinare il nuovo repertorio formale nella maggior parte delle principali stazioni e palazzi postelegrafonici costruiti in Italia nel corso degli anni 1930. Inoltre, durante il suo esilio volontario in Colombia, come dirigente dell’ufficio architettura dell’Impresa nazionale delle telecomunicazioni colombiane, ha proseguito la ricerca di modernizzazione nei progetti per la stazione ferroviaria centrale di Bogotà (1948-51) e per numerosi palazzi postelegrafonici a Bogotà, Popayàn, Tuluà, Pereira, Ibagué e Palmira (195054). La modernità delle opere toscane era stata sottolineata dallo stesso autore che negli ultimi anni della sua vita, confidando ad Alfredo Forti il proprio disappunto per la mancanza di studi sulla sua opera, ad accezione di quelli di Giovanni Klaus Koenig sui progetti inerenti alla controversa vicenda della stazione fiorentina che figuravano in Architettura in Toscana 1931-1968, scriveva con sottile ironia in una lettera del 3 dicembre 1973: «Per ricorda1 Per un approfondimento delle opere di Mazzoni in Toscana si rinvia a M. Giacomelli, E. Godoli, A. Pelosi (a cura di), Angiolo Mazzoni in Toscana, catalogo della mostra, Grosseto, Sala delle Contrattazioni della Camera di Commercio 5-15 luglio 2013, Roccastrada, Biblioteca Comunale ‘Gamberi’ 1-9 agosto 2013, Massa, Sale Castello Malaspina 14-28 agosto 2013, Montecatini Terme, Terme Excelsior 1-15 settembre 2013, Edifir, Firenze 2013; future tappe della mostra saranno Livorno, La Spezia, Prato, Siena, Firenze..
Angiolo Mazzoni in Tuscany by Milva Giacomelli Tuscany has the largest concentration of buildings designed by Angiolo Mazzoni for the Ministry of Communication. Apart from the given quantity, the complex of his architectural works deserves to be recognized not only for the different types of buildings developed by Mazzoni between 1925 and 1943, but especially because they offer eloquent evidence of the commitment to modernize railway, postal and telegraphic architecture, from the project for the S. Maria Novella station in Florence to the station in Siena, from the project for the Post Office building in Pisa to the Post Office building at the Abetone. Mazzoni was the main interpreter of this modernization, which began with the national competition for the passenger building at the S. Maria Novella station, the outcome of which sparked a great deal of controversy, which brought him into contact with Futurism and led him to join Marinetti’s movement. Today, a travelling exhibition of historical photos of Mazzoni’s work in Tuscany allows accurate comparisons between the original state of the buildings and how they look today. The alteration of the original architectural characteristics, with additions, the replacement of built-in or moveable furniture, the graffiti on the walls and a general state of neglect, induces bitters reflections on the difficulties of ensuring the survival of a unique architectural heritage in the absence of a commitment to implement philological restorations of these public buildings and to monitor them as they deserve.
Nella pagina a fianco: A. Mazzoni, Palazzo delle poste di Grosseto, 1929-32, fronte principale su piazza Rosselli (foto Fabio Bonazia, 2013).
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1 - In alto: A. Mazzoni, Colonia marina per i figli dei ferrovieri e postelegrafonici a Calambrone, 1925-33, ingresso principale (da «Rassegna di Architettura», ottobre 1934, p. 383). 2 - In basso: A. Mazzoni, Palazzo delle Poste di Massa, 1930-33, veduta del salone per il pubblico (da “Sant’Elia”, 17 dicembre 1933, p. 3).
re la mia opera di architettura moderna […] forse sarebbe stato sufficiente nominare le altre mie opere in Toscana dal Marinetti dette futuriste (la ricevitoria dell’Abetone, il Calambrone, le stazioni di Siena e di Montecatini Terme, il salone del Palazzo Postale di Pistoia e la scala di quello di Grosseto), ovvero tutto quello che realizzai in Toscana fra il 1931 e il 1968»2 . Il cammino verso la modernità di Mazzoni ha avuto uno dei suoi più importanti punti di partenza nella colonia marina per i figli dei ferrovieri e postelegrafonici a Calambrone. L’impianto simmetrico che regola questa cittadella dell’infanzia, inaugurata nel 19333, è abilmente dissimulato da un’articolazione di corpi di fabbrica di varie altezze, costituiti dall’aggregazione di volumi diversi interconnessi con cortili e giardini che rivela un magistero, maturato nel lungo iter progettuale, 2 A. Mazzoni ad A. Forti, lettera datata 3 dicembre 1973, Archivio di Stato di Firenze, fondo Forti-Mazzoni, b. IV. 3 Nonostante l’inaugurazione del 14 luglio 1933, i lavori di costruzione, iniziati nel gennaio 1932, sono proseguiti fino al 1935.
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nel controllo della composizione di organismi complessi distribuiti su una vasta area, la cui planimetria generale «completa», come ricorda lo stesso Mazzoni, era stata pubblicata nel 1934 in “Rassegna di Architettura” 4. In quest’ultima, la colonia è rappresentata «chiusa fra due parentesi»: due «esedre» destinate a dormitori, una verso Pisa e l’altra verso Livorno, che l’architetto aveva progettato nel gennaio 1933. Dei due corpi di fabbrica semicircolari sarà costruito nel 1935 quello situato a sud del corpo di fabbrica per i figli dei postelegrafonici. Il complesso, concepito secondo il procedimento dell’analisi funzionale propria del metodo razionalista coniugata con quella ricezione di suggestioni dell’architettura organica che si manifesterà nell’Italia dell’ultimo scorcio degli anni 1930, è suddiviso in due parti pressoché simmetriche rispetto all’asse che passa per l’ingresso principale, preceduto da un porticato e da una piccola corte d’onore con fontana da cui si accede alle rispettive direzioni e uffici. La corte, mediante due corridoi al pianterreno, è collegata ai corpi di fabbrica dei dormitori protesi verso il mare con ampi balconi e a quelli destinati alle aule scolastiche, alle sale per la ricreazione, ai refettori e alle cucine. I caratteri architettonici sono improntati alla «ricerca – puntualizza Giulio Pediconi - di una sobria decorazione che vale a toglierle quel carattere utilitario, quella nota di freddezza che spesso si rileva in moderni edifici del genere e che è tanto in contrasto con la vita gaia che in essi si svolge»5 . Gli episodi che avrebbero potuto indurre all’enfasi retorica, per esempio i propilei d’ingresso, sono, infatti, risolti secondo forme essenziali come quelle dei cilindri dei vani scale che, assumendo la forma di fasci costituiti da esili colonne, stemperano il riferimento a un emblema del regime in una costruzione non tanto di memoria metafisica, quanto piuttosto punto di arrivo di quell’aspirazione mazzoniana di «semplicità costruttiva moderna» condivisa da Gustavo Giovannoni fin dal 1925, secondo il quale però difficilmente sarebbe stata accolta «dagli architetti e dai committenti pescicani, che non capiscono tante filosofie, e vogliono qualche cosa di ornato, che faccia effetto e che costi poco. Per questo gli elementi stilistici, specialmente appartenuti a periodi vivi, molto vicini a noi per esigenze e sentimento come il Settecento, ancora hanno un valore contingente, o almeno l’avranno finché non si sia trovato da sostituirvi qualcosa di spontaneo e di permanente e di accettato da tutti, all’infuori della moda» 6. Le due torri d’acqua cilindriche avvolte dalle spirali delle scale, che inquadrano la composizione classicheggiante del fronte sul mare sdrammatizzata dal colore arancione caldo, hanno come riferimenti la torre faro di Livorno, la torre di Pisa, ma distillate in forme depurate, quasi spontanee e permanenti, senza tempo. Non è stato un caso che Pier Maria Bardi abbia scelto, di tutte le costruzioni del Ministero delle Comunicazioni, proprio la colonia collegio villa Rosa Maltoni Mussolini per il catalogo, Belvedere dell’architettura italiana d’oggi (1933), della mostra itinerante in America, nei paesi del bacino Mediterraneo e in Europa. Le motivazioni risiedono in quell’ispirazione mazzoniana «a pensieri di elementarità» che 4 Cfr. G. Pediconi, Colonia Marina a Calambrone per i figli dei postelegrafonici e per i figli dei ferrovieri, Arch. Angiolo Mazzoni, “Rassegna di Architettura”, VI, n. 10, ottobre 1934, p. 383. 5 Ivi, p. 381. 6 G. Giovannoni ad A. Mazzoni, lettera datata Roma, 10 agosto 1925, in A. Forti, Lettere di Gustavo Giovannoni ad Angiolo Mazzoni (1917-1928), “Quasar”, n. 3, gennaio-luglio 1990, p. 97.
TRASPORTI & CULTURA N.37 impronta i «muri spogli di qualsiasi motivo decorativo [...] Se si pensa alle costruzioni stilistiche che sono state disegnate negli uffici tecnici del Ministero delle Comunicazioni, questi muri assumono un valore indicatore cui va assegnata una certa importanza. La colonia [...] è stata studiata con intenzioni puramente funzionali, e i rari accenni di sagomatura decorativa, appaiono superati ed estranei alla massa»7. La colonia marina, oltre a segnare un radicale mutamento di orientamento stilistico nella produzione edilizia del Ministero delle Comunicazioni, come aveva sottolineato Bardi, è in definitiva una sorta di selezione antologica di elevato livello qualitativo di tipi architettonici che Mazzoni, grazie alla sua magistrale inventiva, rielaborerà in contesti diversi: dalle stazioni ferroviarie ai palazzi postali. Tra le sue costruzioni ferroviarie più celebrate figura la Centrale termica con la cabina degli apparati centrali (1932-34) della stazione di S. Maria Novella che si caratterizza, rispetto agli altri manufatti edilizi del parco ferroviario fiorentino progettati da Mazzoni, per una mossa articolazione volumetrica che differenzia i settori principali di cui si compone e per l’intonaco Terranova rosso impiegato sull’involucro esterno. Il collegamento della cabina alla testata est della centrale termica è risolto mediante una cerniera costituita dal vano scale, cui si affianca, a partire dal piano del ferro, un locale a pianta quadrata con un lato semicircolare (adibito ai servizi igienici) che emerge come volume turrito nel prospetto lungo via delle Ghiacciaie. In particolare, l’aggancio introduce l’analogia meccanica di una locomotiva che traina un vagone. Nel sincretismo di Mazzoni s’innesta così una nota futurista, sottolineata dalle dinamiche rotondità del volume e della lastra di copertura della cabina degli apparati centrali. Nell’edificio degli alloggi e dei servizi accessori (1932-1934) della Squadra Rialzo, Mazzoni dimostra invece, pur condizionato dalla preesistenza delle opere di fondazione (realizzate secondo il progetto del 1927) che prevedevano uno schema planimetrico di memoria ottocentesca, una notevole abilità nel dinamizzare un impianto compositivo di matrice accademica grazie al sapiente impiego di superfici vetrate che rompono l’unità del volume introducendo vettori direzionali in senso verticale (vetrata del vano scale che svetta sopra il piano di copertura) e orizzontale (fascia vetrata nell’ala lungo viale Redi, che riprende l’andamento del nastro vetrato che illumina il refettorio e gli spogliatoi del corpo di fabbrica principale). In questo impiego delle aperture a nastro si può cogliere l’intenzione di istituire una liaison con la facciata su via delle Ghiacciaie del vicino complesso della Centrale termica e cabina degli apparati centrali. Durante la seconda guerra mondiale gli impianti della Squadra Rialzo sono stati gravemente danneggiati. L’edificio degli alloggi e servizi accessori, ricostruito tra il 1945 e il 1946 e soprelevato di un piano nel 1955, è oggi irriconoscibile. Tra i vertici qualitativi del design ferroviario di Mazzoni meritano di essere menzionate le pensiline (fino al binario X, dal lato via Alamanni) della stazione di S. Maria Novella, il cui impianto è stato messo a punto sotto la sua regia. All’architetto, infatti, che, scartato il «piano» con le tettoie di memoria ottocentesca studiato dalla Sezione lavori di Firenze nell’estate del 1930, aveva messo a punto 7 P. M. Bardi, Belvedere dell’architettura italiana d’oggi, “Quadrante”, Milano 1933, p.n.n.
con Giovanni Polsoni il prototipo di pensilina denominata a «ombrello», poi «perfezionato» nelle pensiline della stazione di Siena8, spetta il primato, per avere fatto nel 1931-32 di un manufatto ferroviario fino allora ancorato a vecchi modelli dell’ingegneria un oggetto di design destinato a diventare una delle cifre stilistiche delle sue stazioni. Le pensiline, costruite con un cemento ad alta resistenza per ottenere una «forma sottile e snella», presentano le falde inclinate verso il centro con la superficie inferiore piana e quella superiore con nervature. Com’è riferito dallo stesso Mazzoni, le pensiline fiorentine, che sono state completate dal Gruppo Toscano, hanno giocato un ruolo fondamentale nella messa a punto del progetto (approvato il 23 agosto 1933)9 della stazione di Siena: «La costruzione è un insieme di
3 In alto: . A. Mazzoni, Squadra Rialzo, fabbricato alloggi e servizi accessori, 1933, prospettiva (da Angiolo Mazzoni (1894-1979). Architetto nell’Italia tra le due guerre, catalogo della mostra (Bologna, Galleria Comunale d’arte moderna, 20 ottobre 1984-3 gennaio 1985), Grafis, Casalecchio di Reno 1984, p. 147). 4 - Al centro: A. Mazzoni, Palazzo delle poste di Pistoia, 1934-1937, veduta del fronte principale con la loggia di R. Brizzi (Firenze, archivio privato). 5 - In basso: A. Mazzoni, Stazione di Siena, 1933-35, veduta generale (Firenze, archivio privato).
8 Cfr. Testimonianza di Angiolo Mazzoni, “L’architettura . Cronache e Storia”, XX, n. 234, aprile 1975, p. 787. 9 Di questo terzo progetto Mazzoni elaborerà la seconda variante durante i lavori di costruzione, cfr. M. Giacomelli, Siena: una stazione in forma di piazza d’ingresso alla città, “Storia dell’Urbanistica Toscana/IX”, luglio 2003, pp. 93-109.
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6 - A sinistra: A. Mazzoni, Palazzo delle poste di Massa, 1920-33, veduta generale (foto Ezio Godoli, 2013). 7 - A destra: A. Mazzoni, Centrale termica e Cabina degli apparati centrali della stazione di Firenze S. Maria Novella, 1932-34, veduta generale (foto Silvana Scotti, 1990).
edifici separati e riuniti dalla pensilina. Inoltre le due pensiline esterne che si sviluppano normalmente una nell’altra costituiscono uno dei motivi principali della concezione architettonica». Fondamentale nel ricondurre a unità i distinti corpi di fabbrica è, infatti, il ruolo della lunga pensilina e dei percorsi coperti che, unitamente al dominante sviluppo in orizzontale e all’intrusione di spazi verdi tra i diversi corpi di fabbrica, sono una rielaborazione dell’impianto compositivo della colonia di Calambrone. Gli altri «motivi principali della concezione architettonica»10 risiedono, invece, nel collegamento della stazione alla rete viaria cittadina e nell’inserimento del fabbricato viaggiatori nel paesaggio senese, in nome di quel principio «puramente estetico» di «rispondenza fra l’edificio e l’ambiente architettonico e paesistico», da lui formulato nel primo fondamentale scritto su L’architettura ferroviaria del 192711. Una delle principali ragioni d’interesse della stazione di Siena risiede proprio nella capacità del suo autore di avvalersi del procedimento dell’analisi funzionale non solo per inserire una presenza non ingombrante in una sella tra le colline senesi, che proponeva un’ineludibile questione di ambientamento, ma anche per connotare come luogo urbano, sia pur di transito tra campagna e città, il piazzale antistante al nuovo fabbricato viaggiatori, riscattando così un’area altrimenti destinata alla condizione d’indeterminatezza propria del luogo di transito. In definitiva quest’architettura disarticolata, fatta di percorsi che rilegano i diversi episodi inframmezzati da aiuole e spazi verdi, assume la configurazione di piazza d’ingresso alla città, che proprio in quanto immersa in un ambiente non ancora edificato non ricusa di introiettare caratteri agresti. La «rispondenza [con] l’ambiente architettonico» è attuata attraverso i materiali di rivestimento: il fabbricato viaggiatori «verrà coronato di marmo rosso: il resto 10 Ing. Mazzoni, in Comune di Siena, verbale della riunione tenuta a Siena il 23 agosto 1933, p. 1, Archivio Storico del Comune di Siena, Archivio Postunitario, X.B.78. 11 A. Mazzoni, L’architettura ferroviaria, “Architettura e Arti Decorative”, VI, fasc. V-VI, gennaio-febbraio 1927, p. 195.
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della facciata a strisce: queste potrebbero essere una reminiscenza e, se fossero bianco-nere, sarebbero una caricatura del Duomo [...] Gli altri corpi di fabbrica a mattoni a mano e non a macchina: noi conserviamo questa sensibilità per i materiali; all’estero piace il liscio: a noi piace ciò che più si avvicina alla natura»12. Un’affermazione quest’ultima che conferma quell’atteggiamento loosiano di Mazzoni a favore di un’architettura che escluda l’impiego di pietra artificiale perché l’introduzione di «un materiale falso ed antirazionale» avrebbe compromesso il «valore» dell’opera complessiva. La libera articolazione di corpi di fabbrica collegati da pensiline e porticati in un insieme connotato da una volontà antiretorica è stata del tutto cancellata dalla riconfigurazione secondo un impianto simmetrico del fabbricato viaggiatori dovuta alla ricostruzione (1948) progettata da Roberto Narducci. Se la stazione di Siena rappresenta il vertice qualitativo per la modernità dell’impianto compositivo, quella di Montecatini (1933-37) s’impone per l’interior e l’industrial design. L’episodio più celebrato è la sala di attesa di prima classe, il cui valore è stato bene puntualizzato da Ezio Godoli: «il tema dell’attesa della partenza, in una rivisitazione dell’arte meccanica futurista, trova espressione nella superficie curva risultante dalla continuità soffitto-parete, solcata da quattro fasce luminose, che evoca l’interno di un aeroplano e il profilo dinamico di una littorina» 13. La modernità della ricevitoria postelegrafonica dell’Abetone è stata cancellata da sfortunate vicissitudini costruttive e a successivi interventi che hanno portato a una sua radicale trasformazione. Un effetto della polemica futurista contro il calvinismo espressivo dell’architettura razionale si poteva scorgere nella ricerca cromatica della ‘scatola’ rossa che proseguiva all’esterno negli infissi delle finestre tinteggiati di «rosso di Trento», nelle tapparelle verniciate di colore verde smeraldo, nei 12 Ing. Mazzoni, op. cit. pp. 2-3. 13 E. Godoli, La stazione di Montecatini, in M. Giacomelli, E. Godoli, A. Pelosi, op. cit, p. 265.
TRASPORTI & CULTURA N.37 «pavimenti dei marciapiedi [e] nei ripiani delle scale» rivestiti di «quadratini di ceramica blu cupo»; all’interno nei mosaici blu dei pavimenti dei locali della «posta e telegrafo, scrittura, informazioni e telefoni» e della sala per il pubblico, le cui tessere di ceramica foderavano anche le pareti lasciando libero il soffitto di intonaco Terranova «giallo limone carico», e nei «mobili speciali» come il bancone delle informazioni e della sportelleria, dove nelle parti verticali, fino all’altezza del «piano superiore orizzontale [...] di marmo bardiglio imperiale», il mosaico blu era nuovamente impiegato14 . Le tormentate vicende della maggior parte dei progetti di Mazzoni per le città toscane (palazzi postali di Grosseto, di Massa, di Pistoia, stazione di Firenze) sono indicative dei molteplici condizionamenti, esercitati dalle gerarchie ministeriali, da esponenti locali del partito fascista, da funzionari delle soprintendenze, da alcuni settori dell’opinione pubblica, che ne limitavano la libertà di operare. Ma sono proprio alcune delle opere più tradizionaliste, come i palazzi postali di Grosseto, di Massa e di Pistoia, a fornire argomenti a sostegno dell’autenticità della vocazione modernista di Mazzoni e della sua capacità di aggirare le costrizioni, riuscendo a garantirsi spazi di autonomia nei quali sperimentare soluzioni innovative, soprattutto nell’architettura degli interni. Uno degli aspetti più convincenti delle realizzazioni di Mazzoni è rappresentato, infatti, dal suo impegno nell’esercitare un controllo globale sul progetto, senza trascurare alcun elemento di carattere utilitario, che trova i propri modelli operativi di riferimento nella generazione dei pionieri del moderno e segnatamente nell’opera da lui ammirata di Josef Hoffmann con il quale condivide la sensibilità per gli accordi polimaterici ottenuti con materiali pregiati. In particolare gli riconosce il magistero nonché l’attualità dell’insegnamento: «Rivestì le sue strutture geometriche della Casa Stock [sic!] di Bruxelles di lastre di marmo di Svezia [...] iniziò l’arte di rivestire in marmo una opera architettonica lasciando la libera visione della struttura e della bellezza geometricamente pure della sua concezione»15. Questo suo modo di operare dà vita a creazioni originali come la composizione di volumi elementari della vasca d’acqua a pianta circolare con fontana sferica posta sull’asse di simmetria del podio di scale semicircolari su cui si erge il palazzo di Grosseto (1929-32) a fronteggiare la piazza circolare. Il tema dell’arredo urbano è amplificato dall’invaso ellittico della torre che, diversamente dalle torri postelegrafoniche progettate e costruite precedentemente da Mazzoni, assolve alla duplice funzione di «scalone principale e atrio centrale». Le torri erano in linea con le direttive dell’Amministrazione ferroviaria che aveva, ricorda Ferruccio Businari, «sempre concepito i palazzi postali come palazzi pubblici destinati, oltre che a ricovero dei servizi, anche a formare ornamento delle città in cui essi devono sorgere. Di qui il frequente uso delle torri che nella nostra architettura ha sempre civilmente contrassegnato i fabbricati del genere»16. Lo scalone a spirale in calcestruzzo 14 Cfr. Convenzione di cottimo con l’impresa Nebbiosi ing. per la costruzione di un fabbricato all’Abetone ad uso delle Poste e dei Telegrafi, stipulata il 3 novembre 1933, Archivio storico del Compartimento di Firenze delle Ferrovie dello Stato, c. CII366AII Abetone/Costruzione palazzo postale. 15 A. Mazzoni, I nuovi materiali, “Sant’Elia”, III, n. 63, 15 marzo 1934, p. 1. 16 F. Businari, II Congresso Nazionale degli Ingegneri Italiani, Roma 1931. L’architettura nei palazzi per le poste e telegrafi co-
armato rivestito di marmi di diversi colori, una sorta di promenade architecturale che inquadra verso il basso la scultura di Domenico Ponzi e verso l’alto introduce al belvedere su Grosseto, rappresenta uno dei vertici qualitativi non raggiunto nella torre del palazzo di Massa (1930-33). Di quest’ultimo edificio ministeriale, definito sulle pagine di “Sant’Elia” «una tappa intermedia nel cammino che si è percorso per giungere dall’architettura tradizionale e goffamente classicheggiante di molte costruzioni postali e ferroviarie dell’immediato dopoguerra all’attuale stile santeliano delle recentissime realizzazioni [...] ma, e nell’insieme, e, soprattutto, nei particolari, il desiderio della modernità italianamente razionale si palesa con incoercibile evidenza» 17, merita di essere registrata l’essenziale segnaletica nella pavimentazione del salone per il pubblico ammiccante alla grafica sintetica futurista, del tutto cancellata da un inconsulto intervento di ristrutturazione degli interni. Ma è nel salone per il pubblico direttamente aperto sull’atrio del palazzo di Pistoia (1934-37, 1939) che Mazzoni, grazie alla «cessata [...] vigilanza del Puppini» - il ministro supervisore della soluzione ibrida con la loggia di Raffaello Brizzi incorporata nell’edificio e trasformata in porticato d’ingresso - era riuscito a «dare [...] forme moderne»18 . Una modernità esibita principalmente nei pilastri plastici dai profili aerodinamici che, incassati alla base in panchine dalle testate semicilindriche, si prolungano ad avvolgere con le loro terminazioni la passerella aerea con balaustra metallica, una sorta di promenade architecturale lungo il fronte interno vetrato del doppio volume dell’atrio-salone. Nel 1950 il palazzo sarà oggetto di un progetto che, realizzato tra il 1951-53, ha definitivamente cancellato una delle architetture mazzoniane più controverse. Oggi una rassegna itinerante di fotografie d’epoca delle opere mazzoniane per la Toscana19 consente puntuali confronti tra gli edifici originari e il loro stato attuale. Le alterazioni dei caratteri architettonici originari, dovute alle superfetazioni, alla spoliazione degli arredi fissi o mobili, ai tatuaggi dei graffiti e delle scritte, allo stato generale d’incuria, inducono ad amare riflessioni sulle difficoltà di assicurare la sopravvivenza di un patrimonio architettonico unico nel suo genere in assenza di un impegno ad attuare interventi di ripristino filologico e a esercitare un’adeguata vigilanza su questi edifici pubblici. Riproduzione riservata ©
struiti e da costruirsi a cura dell’Amministrazione delle Ferrovie dello Stato, Casa Editrice d’Arte Bestetti e Tumminelli, MilanoRoma 1931, pp. 3-4. 17 Il Palazzo delle Poste e dei Telegrafi di Massa-Carrara dell’architetto Angiolo Mazzoni, “Sant’Elia”, I, n. 6, 17 dicembre 1933, p. 3. 18 A. Mazzoni, Appunti..., cit., p. 10. 19 Cfr. la nota 1.
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Alta Velocità/Alta Capacità: occasione sfruttata od occasione perduta? Riflessioni per una giornata di studio di Marco Pasetto
Negli ultimi anni, il ristagno dell’economia, dovuto alla congiuntura sfavorevole ed alla persistente incertezza politica, ha sostanzialmente paralizzato il processo di infrastrutturazione del territorio italiano. Solo poche opere, per lo più di interesse strategico e all’interno di un iter progettuale e finanziario consolidato, sono sopravvissute all’approccio tendenzialmente letargico con cui la classe dirigente ha gestito il nostro presente e programmato il nostro futuro. Tali opere, poi, non si sono nemmeno contraddistinte per facilità ed immediatezza di attuazione. La struttura farraginosa della burocrazia e le ripetute e frequenti istanze di stakeholders secondari, sono divenute vincoli dominanti, se non prevaricanti, nei confronti di qualsivoglia azione, portando in secondo piano gli interessi sociali ed economici della collettività, e contribuendo – in varie circostanze - ad assestare il colpo letale alle sparute iniziative in grado di risollevare il Paese nel difficile momento di crisi. Riguardo a quanto detto, le linee ferroviarie ad Alta Velocità costituiscono un esempio paradigmatico. Pensate per realizzare un collegamento efficiente col resto d’Europa, nell’ambito di corridoi continentali, le linee ad alta velocità non solo non sono riuscite a raccogliere la domanda di trasporto ferroviario in tutta la nostra penisola (si pensi alle criticità perduranti della dorsale adriatica o del sud Italia, oltre Napoli), ma nemmeno sono state in grado di interfacciarsi con la rete estera, arrestandosi di fronte ad opposizioni velleitarie che neppure la più paziente concertazione è riuscita a scardinare. Va poi ricordato che - originalità tutta italiana - l’alta velocità ha costituito, nella maggior parte dei casi, occasione di mero adeguamento di linee e tratte preesistenti, con l’obiettivo di aumentarne la capacità prima ancora che la celerità di percorrenza. In questo panorama, alcune cose buone l’alta velocità ferroviaria le ha favorite. Ha innanzitutto permesso di svecchiare una rete infrastrutturale ferma ai livelli di sviluppo degli inizi del XX secolo. Ha poi facilitato relazioni fra periferia (in verità, più settentrionale che meridionale) e centro del Paese. Ha quindi anche fornito un’alternativa modale, fortemente competitiva rispetto al mezzo aereo, grazie all’abbattimento dei tempi di percorrenza sulle lunghe distanze ed alla parziale riduzione dei costi di viaggio (in realtà, già lievitati anno dopo anno di esercizio). Ha introdotto la concorrenza in un sistema di trasporto, da sempre oggetto di monopolio negli spostamenti di lungo raggio, aumentandone l’efficienza globale. Ha permesso di riorganizzare i nodi della rete, con investimenti consistenti sulle stazioni, molte delle quali final-
High-speed/High-capacity: an exploited or missed opportunity? Considerations for a symposium by Marco Pasetto In recent years, economic stagnation has substantially paralyzed the process of building the infrastructure across the territory of Italy. Very few works, most of them of strategic interest within a framework of consolidated planning and funding processes, have survived the largely lethargic approach with which the ruling class has handled our present and planned our future. High speed railways offer a paradigmatic case in point. Conceived to create an efficient connection with the rest of Europe, within the context of the continental corridors, not only have they been unsuccessful in capturing the demand for railway transportation that pervades our peninsula, they have been incapable of interfacing with foreign networks, grinding to a halt in the face of quixotic opposition. Furthermore, in most cases, High-speed has been taken as a mere opportunity to upgrade existing lines and segments, to increase capacity rather than the speed of travel. High-speed trains have in any case been instrumental in modernizing an infrastructure network that had remained unchanged since the early twentieth century. It also facilitated relations between the outer regions and the centre of the country. It has also provided a modal alternative that is highly competitive compared to flying over long distances. This and other issues will be the subject of the Symposium organized at the Università di Padova on March 14th 2014. The papers by the expert speakers are published in this issue of the magazine Trasporti & Cultura. Nella pagina a fianco: la locandina del convegno di Padova.
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1, 2, 3 e 4 - Vedute di treni Frecciarossa in linea. Foto fornite da Ufficio Stampa FS.
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mente rese all’altezza dei più civilizzati paesi europei. All’approfondimento di questi ed altri temi, volti a tratteggiare pregi e difetti dell’alta velocità italiana, è stata dedicata la Giornata di Studio organizzata presso l’Università di Padova il 14 Marzo 2014. I contributi dei qualificati relatori sono pubblicati nel presente numero della Rivista Trasporti & Cultura. Due sono i sotto-temi trattati nel convegno: infrastrutture e paesaggio, nei rispettivi rapporti con l’alta velocità. Alta velocità significa, innanzitutto, infrastrutture, sovrastrutture, impianti e tecnologie a servizio di un sistema di trasporto moderno, efficiente, eco-
sostenibile ed economicamente compatibile. Quindi, parlare di alta velocità significa analizzare le motivazioni che ne sono all’origine, considerare i principi secondo cui essa è stata pianificata, esaminare i modi secondo cui si è sviluppata ed è stata attuata. Ciò implica capire come l’alta velocità si concili con un territorio fortemente antropizzato e, in questo, si debba interfacciare efficacemente con una rete ferroviaria minore, altresì integrandosi con diversi modi di trasporto. Non si può trattare l’alta velocità se non ci si sofferma ad analizzare la consistenza delle infrastrutture su cui la rete è costruita: il progetto geometrico di una linea ad alta velocità, se non per accorgimenti che sono
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giustificati dalla diversa dinamica dei convogli, non è dissimile da quello delle linee ferroviarie ordinarie, però richiede opere e manufatti (gallerie, viadotti, ponti) che assecondino la minor tortuosità dei tracciati, vincendo i vincoli orografici assai frequenti nel nostro Paese. Le caratteristiche intrinseche delle linee ad alta velocità/alta capacità sono origine di impatti potenzialmente non irrilevanti sul paesaggio, sui quali è poi necessario riflettere. La geometria e gli impianti delle nuove linee giustificano – come sopra premesso - opere e manufatti, che ampliano l’effetto di cesura su un territorio di per sé già tormentato. Il rispetto di limitate pendenze, com-
patibili con una trazione maggiormente efficiente richiede la realizzazione di sezioni trasversali costituite da strutture spesso ingombranti, visivamente impattanti, potenzialmente perturbanti un equilibrio idrogeologico e naturale già precario. Specialmente per un territorio troppo spesso non curato, persino trascurato. Alta velocità, dunque: occasione sfruttata od occasione perduta? Forse l’una, forse l’altra. Forse entrambe. Ai lettori la facoltà di approfondire il problema, probabilmente lungi dal trovarne la soluzione. Riproduzione riservata ©
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Alcuni effetti dell’Alta Velocità ferroviaria nell’area metropolitana padana di Giulio Maternini
Il territorio della pianura padana in studio, che si estende in direzione Est-Ovest nel nord d’Italia, corre lungo la linea ferroviaria Torino–Milano–Venezia e l’autostrada A4, è interessato dal Corridoio europeo V, che unisce Lisbona e Kiev, ed è intersecato dal Corridoio dei Due Mari (Genova–Rotterdam) e dal Corridoio I del Brennero. Il territorio metropolitano in questione, che fu definito “Corridoio Padano” negli anni ‘70 (M. Maternini, 1970), è costituito da un ambito territoriale e geografico vasto e variegato ed è sede di una megalopoli di rilevante peso territoriale, economico e sociale, che si estende in lunghezza per circa 500 km. Il complesso sistema di relazioni che caratterizza tale corridoio ha portato a concepirlo come vero e proprio sistema metropolitano lineare o Linear Metropolitan System (LiMeS)1 .
Inquadramento dell’area metropolitana lineare padana: il Linear Metropolitan System (LiMeS) padano Il LiMeS padano è costituito da un insieme di aree metropolitane organizzate lungo una direttrice di mobilità prevalente. Prendendo spunto dalla metodologia dell’OECD per l’individuazione delle regioni metropolitane2 (OECD, 2006) e leggendo l’urbanizzato desumibile dalle elaborazioni Corine Land Cover, sono state identificate e definite le principali figure strutturanti il LiMeS padano. Dalla ricerca (Prin 2007) intitolata “Dalla città metropolitana al corridoio metropolitano: il caso del corridoio padano” 3, tali figure sono state illustrate come segue: il Monolite torinese e l’Universo milanese si configurano come due regioni metropolitane, la prima monocentrica, la seconda con tendenza policentrica. Tra di loro è presente un ambiente di cerniera, definito “cuscinetto”, costituito dalla conurbazione “Ivrea–Biella–Cossato” e dalla città di Novara, posta sul nastro cinematico principale, all’intersezione tra il corridoio Lisbona– 1 Ricerca di interesse nazionale “Dalla città metropolitana al corridoio metropolitano: il caso del corridoio padano” (PRIN 2007) il cui coordinatore nazionale è il Prof. Roberto BUSI. 2 La regione metropolitana per l’OECD è identificata come area in cui si concentrano sia popolazione che attività economiche e caratterizzata da i seguenti parametri: popolazione maggiore di 1,5milioni di abitanti; densità critica di 150ab/km2; tasso di pendolarismo netto (NCR) minore del 10% della popolazione; popolazione anche inferiore a 1,5milioni di abitanti, ma con un saldo naturale almeno del 20%. 3 I risultati della ricerca PRIN 2007 sono stati pubblicati in Busi e Pezzagno (2011)
Kiev e Genova–Rotterdam. Il Dipolo Brescia–Verona può essere considerato una regione principalmente urbana, poiché le città sia di Brescia che di Verona tendono a comportarsi come regioni metropolitane, pur non raggiungendone il peso insediativo. La Galassia orientale si comporta a tutti gli effetti come una regione metropolitana diffusa. Essa però non è semplicemente un’area soggetta a sprawl urbano. Infatti, nonostante l’evidente discontinuità del tessuto urbano, l’analisi dei dati economici e delle superfici permeabili ad uso industriale suggerisce invece la presenza di un sistema policentrico di città caratterizzate da ambienti diffusi. Pertanto questo LiMeS padano è formato da una fascia di territorio lunga e stretta, cioè circa 500 km con una larghezza tra i 10 e i 70 km. In questa fascia risiedono circa 13 milioni di abitanti e risulta la più grande aerea metropolitana lineare in Europa, paragonabile a quelle maggiori esistenti nel nord America o in Giappone. Pertanto la realizzazione di interventi di infrastrutture di trasporto nei LiMeS, come una linea ferroviaria ad Alta Velocità (AV), devono essere progettati con criteri diversi rispetto a quelli utilizzati per collegare poli metropolitani distanti ed isolati tra loro. Osservando il complesso sistema del LiMeS padano, emerge chiaramente che proprio lungo il nastro cinematico principale da Est ad Ovest nella Pianura Padana si sono nel tempo consolidati e compattati i maggiori centri urbani. Lungo gli assi di mobilità minori (come le direttrici storiche ortogonali alla direzione Est Ovest) si sono invece sviluppate delle vere e proprie conurbazioni lineari a partire dalle grandi città, dando vita, in corrispondenza delle valli alpine, a fenomeni di ingolfamento sia in termini di edificato che di traffico. Si nota infine lo sviluppo di aree urbane caratterizzate da un elevato grado di accessibilità (poiché poste in prossimità di importanti infrastrutture o di nodi viari). Da questa breve descrizione delle forme urbane e della loro evoluzione nel tempo, si conferma, come è noto, come le infrastrutture di trasporto abbiano influenzato il loro sviluppo. Pertanto si ritiene interessante indagare come i flussi di traffico, generati dalle funzioni che si sono create in queste aree metropolitane, abbiano influito sulle forme del territorio urbano e quale effetto potrebbe avere la realizzazione della linea ferroviaria AV. A tal fine si è approfondita la variazione dell’indice di motorizzazione4, anche se da tempo ormai tale indicatore non è più in grado, da solo, di valutare il reale grado di mobilità che caratterizza 4 L’indice di motorizzazione è inteso come rapporto tra il parco autovetture ed il numero degli abitanti residenti.
Nella pagina a fianco, in alto: rappresentazione ideogrammatica delle principali figure urbane che compongono il LiMeS padano. Fonte: Busi e Pezzagno (2011). In basso: situazione del traffico pendolare con soli mezzi di trasporto su gomma individuali e collettivi – flussogramma del traffico nell’ora 7:15-8:15 con spostamenti di durata inferiore ai 30 minuti. Fonte: ISTAT, 14° Censimento Generale della Popolazione, 2001
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1 - Indice di motorizzazione per le città con popolazione oltre i 150 mila abitanti ricadenti all’interno del LiMeS padano. Fonte: ACI/Istat
un territorio. Pure si è indagato sul fenomeno del pendolarismo, cercando di correlarlo alla durata dello spostamento e al mezzo di trasporto utilizzato al fine di far emergere la “forma gravitazionale” dei diversi tipi di poli urbani, collocati nell’area metropolitana. L’applicazione di un modello di simulazione all’area in studio ha consentito di valutare i flussi di traffico che gravitano sulle diverse infrastrutture, suddivisi per fasce temporali e per durata dello spostamento. Per ultimo si è analizzata l’incidentalità stradale, che ha confermato la
stretta relazione tra la forma dell’area urbana e la tipologia d’incidente, approfondendo, come caso di studio, la Provincia di Brescia.
Alcuni indicatori trasportistici per la comprensione dei fenomeni caratterizzanti il LiMeS
2 - Al centro, in alto: indice di motorizzazione per i comuni di alcune regioni del nord Italia. Variazione nel 2009 rispetto al 2001. Fonte: ACI/Istat. 3 - Al centro, in basso: spostamenti pendolari in entrata nei comuni in un giorno feriale tipo, con ogni mezzo di trasporto (esclusi gli spostamenti con O/D all’interno dello stesso territorio comunale). Fonte: ISTAT, 14° Censimento Generale della Popolazione, 2001.
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Uno dei primi indicatori indagati è pertanto l’indice di motorizzazione, che per la prima volta registra, nelle città di grande e media dimensione che ricadono all’interno del LiMeS padano, una generale diminuzione, a differenza del resto dei comuni che invece registrano variazioni positive. Come già anticipato, questo dato però non è in grado di definire la mobilità all’interno dell’area metropolitana, pertanto si ritiene opportuno indagare le forme di pendolarismo nel LiMeS padano. In questa analisi si è assunto, partendo dal dato del Censimento generale della popolazione sul movimento pendolare del 20015 , che gli spostamenti con durata fino a 30 minuti si possano ritenere in ambito urbano o metropolitano, mentre gli spostamenti oltre la mezz’ora o l’ora è probabile che si svolgano necessariamente anche in ambito extraurbano. Pertanto si sono considerati gli spostamenti per motivi di lavoro e di studio in entrata nei comuni dell’Italia settentrionale, suddivisi per tempo di percorrenza e per mezzo di trasporto. Dall’analisi si è evidenziato come un certo numero di comuni, che presenta un elevato numero di spostamenti in entrata, ricada nel LiMeS. L’analisi del pendolarismo si è basata anche sull’elaborazione di flussogrammi di traffico, realizzati con il programma di simulazione VISUM. Dalle diverse elaborazioni desunte dal 14° Censimento generale della popolazione (2001) riguardanti il 5 Fonte: ISTAT, 14° Censimento Generale della Popolazione, 2001. Il dato del pendolarismo del Censimento Generale della Popolazione del 2011 non è ancora disponibile.
movimento pendolare, si propone come esempio la simulazione del traffico nell’ora di punta (7:15 – 8:15) di un giorno feriale tipo, in cui si sono evidenziati gli spostamenti di durata inferiore ai 30 minuti e avvenuti con mezzi individuali e collettivi su gomma. Tali modalità di spostamento possono essere considerati rappresentativi dei movimenti che avvengono in ambito urbano e di conseguenza aiutano a comprendere l’estensione dell’area di influenza dei poli urbani attrattori di traffico. Da tali simulazioni emerge l’ampiezza della “Galassia” diffusa veneta e dell’area di influenza milanese, mentre tra le aree di Brescia e Verona tale tipologia di pendolarismo si concentra in una fascia di ampiezza piuttosto contenuta.
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La riduzione dello spessore della suddetta fascia si accentua maggiormente tra Torino e Milano, dove si riduce quasi alla sola infrastruttura autostradale, per poi ampliarsi nuovamente nell’area del polo torinese. Nello studio della mobilità di un’area, l’incidentalità stradale è certamente un indicatore importante, in quanto la tipologia dell’incidentalità è funzione delle caratteristiche dell’ambiente in cui accade il fenomeno. Dalla rappresentazione della densità di incidentalità (intesa come numero di incidenti per km² di edificato urbano) emergono chiaramente alcuni nastri cinematici che non hanno visto lo svilup-
parsi di conurbazioni lineari lungo il proprio tracciato, costituendo, di fatto, dei corridoi di traffico (è il caso delle principali direttrici infrastrutturali Nord-Sud che si innestano a pettine lungo il corridoio padano). Un elemento di distinzione tra nastro cinematico e conurbazione lineare è dato dalla tipologia dell’incidentalità: laddove si è in presenza di un nastro cinematico, gli utenti tipicamente coinvolti sono i veicoli motorizzati; laddove invece si ha una conurbazione lineare (è il caso della direttrice Est - Ovest), è l’utenza debole della strada che risulta maggiormente coinvolta in incidenti stradali. Volendo approfondire il tema della tipologia d’incidentalità come elemento caratterizzante l’ambiente, si è considerato, come caso specifico, la Provincia di Brescia, che geograficamente risulta “tagliata” orizzontalmente dal LiMeS padano. In primo luogo è stata elaborata una mappa in cui si è rappresentata la percentuale di incidenti avvenuti in ambito urbano rispetto agli incidenti totali, in relazione al perimetro di area edificata (e non all’estensione dell’intera area comunale). Nella lettura di questa rappresentazione si riconoscono l’area metropolitana bresciana (comprendente anche la Val Trompia che è soggetta al fenomeno di ingolfamento) e la direttrice nord-sud della Val Camonica. Quest’ultima si configura però come corridoio cinematico che, seppur caratterizzato da fenomeni di ingolfamento di valle, non è interessato da fenomeni conurbativi che generano incidenti agli utenti deboli. Rappresentando infatti il numero assoluto di incidenti che hanno coinvolto gli utenti deboli della strada emerge chiaramente l’andamento del LiMeS all’interno del territorio bresciano, che taglia orizzontalmente la Provincia. Calcolare gli indicatori ritenuti significativi per descrivere le dinamiche legate ai trasporti ed alla mobilità, ricorrendo ad esempio a quelli predefiniti a livello internazionale, risulta in qualche caso problematico per diversi aspetti. Innanzitutto le liste a disposizione, tra cui scegliere gli indicatori, sono decisamente molte e ciascuna ne offre un cospicuo numero. Senz’altro sono divenute riferimento condiviso quelle maturate e proposte per la valutazione dei progetti europei, i cui indicatori sono accompagnati da rigorose metodologie che presuppongono una raccolta di dati considerevole ed una loro elaborazione su tutto il territorio indagato. Tuttavia, le difficoltà incontrate nell’applicazione di tali metodologie spesso sono così elevate da vanificare la volontà di oggettivare e di standardizzare i fenomeni indagati. Di conseguenza, i medesimi indicatori o non sono calcolabili in altri contesti per mancanza di dati oppure i loro risultati non sono confrontabili tra loro. Infine è da sottolineare come il contesto locale conservi sempre un certo grado di specificità ed unicità che lo distingue da tutti gli altri e pertanto gli indicatori per valutarlo devono essere specifici e calzanti per quella realtà.
Alcune considerazioni sulla realizzazione dell’AV nel LiMeS padano La nuova linea ferroviaria AV Torino–Milano–Venezia–Trieste corre, come detto, lungo un territorio metropolitano, assolutamente diverso da quel117
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4 - Densità abitativa e aree industriali/commerciali nel nord Italia. Fonte: Busi e Pezzagno (2011).
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lo attraversato dalla linea AV Nord-Sud Milano– Roma–Napoli, ormai in fase di completamento, che attraversa territori morfologicamente difficili ma con concentrazioni urbane puntuali. Affinchè questa nuova linea ferroviaria AV possa essere valutata come una vera risorsa per il territorio, e non solo un tronco del corridoio europeo V ed estraneo al contesto che attraversa, è necessario che ci si preoccupi del collegamento di essa con le linee cinematiche minori, alcune perpendicolari che servono le valli alpine, altre che collegano centri minori poco distanti o compresi nel LiMeS. La qualità dell’offerta di trasporto della linea AV, in termini di tempo di viaggio e livello di servizio, sono state ben percepite dagli utenti, ma tali potenzialità possono essere vanificate da un mancato o difficile raccordo tra AV e gli altri sistemi di trasporto. Per esempio nella realizzazione della tratta Milano–Venezia è entrato recentemente in esercizio il tronco Milano–Treviglio, mentre è in costruzione quello Treviglio–Brescia ovest e si sta progettando la linea tra Brescia–Verona–Padova. Tra i diversi problemi che si stanno affrontando a livello progettuale c’è la scelta della collocazione delle nuove stazioni dell’AV e sembrerebbe che la stazione di Brescia AV venga prevista vicino all’aeroporto di Montichiari, che risulta uno tra i siti aeroportuali con le maggiori potenzialità nell’Europa meridionale. Tale stazione non avrebbe però alcun collegamento ferroviario con Brescia e la linea più vicina sarebbe la Brescia–Parma, ad unico binario e non elettrificata. Pertanto, se non si prevederanno interventi significativi riguardanti nuove infrastrutture ferroviarie e stradali di accesso alla progettata stazione AV, potrebbe risultare che dalla stazione AV di Brescia ci sia un maggior
tempo di viaggio per raggiungere la città o la sua stazione ferroviaria storica, che non per arrivare a Milano centrale. Se la stazione dell’AV non fosse facilmente accessibile dalle diverse direttrici di traffico, i benefici dell’AV ricadrebbero solo per coloro che non hanno interazioni con l’area attraversata, cioè per coloro che sono in transito. Nel caso dell’area metropolitana lineare padana, è essenziale che le linee secondarie, regionali o in concessione, siano riqualificate per poter sfruttare le notevoli potenzialità dell’AV. Per esempio alcune linee ferroviarie secondarie presenti nel LiMeS si presterebbero ad essere riqualificate in linee Tram-Treno, anche se in Italia non si hanno esperienze del genere e le prime direttive al riguardo sono state emanate da pochi mesi dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. Lo studio delle caratteristiche del LiMeS padano hanno consentito di far emergere alcune carenze nella governance del territorio indagato. Infatti il LiMeS, non configurandosi semplicemente come corridoio di traffico o nastro cinematico, si sviluppa in una conurbazione lineare caratterizzata da un complesso sistema di relazioni che caratterizzano tale territorio dal punto di vista della mobilità. Pertanto, oltre alla mobilità, le complesse funzioni urbane e le dinamiche socio-economiche rendono necessario pianificare l’intera regione metropolitana integrando la pianificazione della mobilità con quella urbanistica ai vari livelli (dal locale al territoriale), soprattutto in contesti normativi complessi e il più delle volte carenti o diversificati nelle diverse regioni. Un approccio non integrato tra pianificazione delle reti di trasporto e pianificazione urbanistica ai vari livelli territoriali
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può portare infatti a gravi errori strategici. Inoltre la mancanza di una apposita Authority in grado di attuare le scelte strategiche nei trasporti a livello territoriale non consente di gestire in modo efficace un sistema metropolitano lineare così esteso e complesso. La realizzazione di nuove infrastrutture (come la linea AV) può essere considerata al contempo una risorsa ma anche un rischio: solo una pianificazione a livello sovra-regionale che sia consapevole delle dinamiche di un territorio così articolato, quale il LiMeS Padano, può infatti consentire di limitarne (o compensarne) i danni e di ottenere invece delle ricadute positive per tutto il territorio e per la sua economia.
Dati vettoriali Corine Land Cover 2006 (www.eea.europa.eu/) Maternini M. (1970), Il corridoio padano e i suoi trasporti, “Ingegneria ferroviaria”, n.7/8. OECD, Territorial Reviews, 2006. Pezzagno M., Docchio S. (a cura di) (2011), La metropoli lineare, Atti della XVII Conferenza Internazionale “Vivere e Camminare in città” [Brescia, 17-18 giugno 2010], Egaf Edizioni, Forlì.
5 - LiMeS padano evidenziato dalla conurbazione fino ad 1,5 chilometri. Fonte: PRIN Research 2007 “Dalla città metropolitana al corridoio metropolitano: il caso del corridoio padano”, Coordinatore nazionale Prof. Roberto Busi.
Pollini V. (2009), Considerazioni conclusive con particolare riferimento al ruolo del Corridoio V in Veneto, in Boschetto P. (a cura di), Atti del Convegno “Il futuro della rete infrastrutturale europea nel Veneto” [Padova, 16 febbraio 2007], Edizioni Cleup, Padova.
Riproduzione riservata ©
Bibliografia Autoritratti annuali ACI (www.aci.it) Annuari statistici annuali Istat (www.istat.it) Busi R. (2012), Una metropoli policentrica orizzontale: il Corridoio padano, in Boschetto P. (a cura di), Atti del Convegno “Strumenti per il governo del territorio nel corridoio padano” [Padova, 27 febbraio 2009], CLEUP, Padova. Busi R. (2009), Il Corridoio V nel LiMeS padano, in Atti del Seminario “I nuovi assetti territoriali in Europa e in Italia” [CERTeT dell’Università Commerciale Luigi Bocconi, Milano, 15 ottobre 2009]. Busi R., Pezzagno M. (a cura di) (2011), Una città di 500km – Letture del territorio padano, Gangemi Editore, Roma.
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Linee ferroviarie a confronto: la storica del Frejus e il nuovo collegamento Torino-Lione di Pasquale Cialdini
La prima relazione di Giuseppe Francesco Medail sulla possibilità di realizzare un traforo ferroviario tra Bardonecchia e Modane per migliorare iu collegamenti tra il Piemonte e la Savoia, risale al 1839, proprio l’anno in cui veniva inaugurato il primo tratto di ferrovia nella nostra penisola (NapoliPortici di circa 7 km).
Traforo storico del Frejus In quell’epoca per attraversare le Alpi l’unica strada percorribile era quella costruita nei primi anni dell’800 da Napoleone attraverso il valico del Moncenisio (2.003 m slm) con numerosi tornanti ed un tempo di attraversamento da Susa a Modane di sei ore nella buona stagione (giugno-settembre) e di oltre 12 ore nel periodo autunnale e primaverile; molto spesso occorreva soggiornare negli ospizi lungo il traggitto ed aspettare che la strada venisse liberata dalla neve. Il primo progetto risale al 1848 ad opera di Henry Maus: prevedeva un tunnel da Bardonecchia a Fourneaux di 12,3 km; una pendenza max dell’intera linea Susa–Modane del 35‰; curve di 500 m di raggio. Nella realizzazione di un traforo così lungo, bisognava risolvere due grossi problemi che in nessuna altra parte del mondo erano stati ancora affrontati (le gallerie in quegli anni erano lunghe al massimo poche centinaia di metri): i tempi di realizzazione erano troppo lunghi, 36 anni (l’avanzamento medio giornaliero dei trafori fino ad allora costruiti era di 46 cm) e le condizioni di lavoro all’interno (con i mezzi ordinari di ventilazione) erano al limite della sopravvivenza per le alte temperature e le difficoltà di approvvigionamento di aria respirabile. Il progetto di Sommeiller, Grattoni e Grandis 18541857 ricalcava il tracciato di Maus con un tunnel di 12,233 km e per risolvere i due problemi sopraindicati proponeva l’utilizzazione di aria compressa ottenuta da compressori idraulici che sfruttavano l’energia (prodotta per caduta) dei torrenti Melezet e Rochemolle (a Bardonecchia) e fiume Arc e torrente Chairmaix (a Modane). Si poteva così far fronte: - alla fornitura di energia per l’utilizzo di perforatori meccanici (progettati dallo stesso Sommeiller) in grado di ridurre notevolmente i tempi di scavo con un avanzamento medio (di poco inferiore ai 2 m/giorno) quattro volte superiore a quello precedentemente praticato, riducendo così i tempi di realizzazione del traforo a circa 10 anni; - alla fornitura di aria respirabile e all’abbassamento della temperatura all’interno del traforo, migliorando sensibilmente le condizioni di sopravvivenza degli operai.
Approvazione e finanziamento del progetto Dopo un memorabile discorso di Camillo Cavour, si ottenne l’approvazione della Camera Cisalpina il 27 giugno 1857; il 15 agosto 1857 il re Vittorio Emanuele II promulga la legge n. 2380 che autorizza il Governo a realizzare la tratta ferroviaria da Susa a Modane per un totale di 41,6 milioni di lire così ripartiti: 20,6 milioni per il traforo (tra Bardonecchia e Forneaux); 3,7 milioni per l’armamento ferroviario; 14,4 milioni per le tratte ferroviarie (Susa-Bardonecchia in Piemonte e Forneaux-Modane in Savoia); 3 milioni per imprevisti. Esecuzione dei lavori - I lavori durarono complessivamente 14 anni; si deve però tener conto che nel corso di questi anni ci furono diverse guerre (II e III guerra d’indipendenza e la guerra franco-prussiana) e inoltre la proclamazione del Regno d’Italia e l’annessione della Savoia alla Francia: eventi che, pur non comportando l’interruzione dei lavori, certamente ne rallentarono i finanziamenti, che furono dirottati per le spese militari. Nel dettaglio: - l’inizio lavori è avvenuto il 1° settembre 1857, con cerimonia solenne; - il Giornale del genio civile degli anni 1863-1871 fornisce dettagliate notizie sulla metodologia di scavo; - l’abbattimento dell’ultimo diaframma avvenne il 25 dicembre 1870. Lo scarto di allineamento risultò di soli 40 cm in orizzontale e 60 cm in
Nella pagina a fianco, in alto: l’anello mancante; in basso: disegno dell’affusto con le perforatrici. 1 - Disegno della perforatrice di Sommeiller.
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2 - Confronto tra la nuova linea e la linea storica.
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verticale, con una precisione strabiliante delle triangolazioni, nonostante le difficoltà enormi incontrate sulle pendici della montagna. L’eco sulla stampa di tutto il mondo fu elevatissima. Lo Scientific American del 7 gennaio 1871 scriveva: “A questa impresa da 13 anni si guarda come ad uno dei massimi eventi dell’ingegneria moderna. Il tunnel del Moncenisio (Frejus ndr), con le sue otto miglia di lunghezza è la più grande opera mai intrapresa, ed il successo e la rapidità con cui è stata terminata rappresenta un trionfo dell’ingegneria che non ha paragoni”. L’inaugurazione della nuova linea avvenne il 17 settembre 1871. Costo finale: 70 milioni (comprensivi di circa 16 milioni per le tratte Susa-Bardonecchia e FourneauxModane). La Francia (che nel 1857 non era interessata dai lavori), contribuì per 26,1 e 1,7 milioni furono ricavati dalla vendita dei materiali avanzati (che furono in gran parte utilizzati nello scavo del San Gottardo), quindi per il governo italiano le spese ammontarono a 42,2 milioni, solo 0,6 milioni in più di quanto previsto nel 1857. Il Ministro dei lavori pubblici De Vincenzi presentò alla Camera dei deputati il 17 marzo del 1873 una dettagliata relazione sui maggiori costi. Le condizioni di lavoro erano estremamente dure, con turni di lavoro che erano legati alla durata della muta (mai inferiore alle 8 ore e che spesso si protraeva fino a 14 ore) con temperature molto elevate e presenza di gas nocivi. L’unico rimedio era immettere un maggior quantitativo di aria fresca. In compenso si potevano migliorare le condizioni di sopravvivenza all’esterno, dove i disagi erano enormi: Bardonecchia e Fourvier erano villaggi senza alcun tipo di ricettività, salvo alcune stalle
e le baracche che non erano idonee per reggere il freddo per nove mesi all’anno. Gli operai nel tempo libero erano senza alcun tipo di svago: avevano a disposizione un semplice letto ed un pasto frugale e per lunghissimi periodi rimanevano lontani dagli affetti dei propri cari. Sommeiller più volte sollecitò un finanziamento per la costruzione di alloggi per gli operai (che ottenne solo dopo due anni) e le case sono ancora oggi visibili a Bardonecchia. Riportiamo una frase di Sommeiller, tratta da una delle sue accorate relazioni: “i lavori per gli alloggi sono accessori ma essenziali, cui vivamente crediamo” in quanto “l’aumento della produttività è fortemente collegata al miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori”. Incidenti e infortuni - Il numero dei ricoveri in infermeria fu complessivamente di 760 e si contarono 48 morti. Da questi ultimi andrebbero sottratti i 18 operai che morirono a seguito di un’epidemia di colera che colpì la cittadina di Bardonecchia nel 1865 e gli 8 operai che morirono a seguito di risse, dovute, però, anche allo stress accumulato ed all’estrema miseria delle condizioni di vita. Pertanto solo 22 morirono durante le lavorazioni, di cui 18 all’interno del traforo, mentre 4 morirono a seguito dello scoppio del deposito di polvere da sparo nel novembre del 1865. Il numero di 48 morti, anche ridotto a “soli” 22, oggi viene giustamente considerato estremamente elevato. Nell’Ottocento certamente non lo era, la mortalità sul lavoro era molto alta e, come si avrà modo di vedere nella costruzione degli altri trafori (anche quelli, come la galleria dell’Appennino, costruiti nel Novecento a cavallo fra le due guerre mondiali) fu molto più elevata.
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L’esigenza di un nuovo collegamento ferroviario La nuova linea ferroviaria Torino-Lione non è un semplice collegamento tra l’Italia e la Francia ma rappresenta l’anello mancante situato nell’intersezione tra i due assi ferroviari che uniscono l’Europa da Nord a Sud: da Londra (o da Amsterdam) al sud dell’Italia, passando da Parigi (o Bruxelles), Lione, Milano, Roma e Napoli, e da Ovest ad Est: da Lisbona o da Siviglia a Kiev, passando da Madrid (o Valencia), Barcellona, Marsiglia, Lione, Milano, Venezia, Trieste, Lubiana, Budapest. Entrambi gli assi hanno bisogno di un collegamento tra Lione e Torino di pari livello a quello dei restanti tratti in termine di capacità, velocità e sicurezza. Oggi il collegamento è garantito dalla linea ottocentesca fortemente voluta da Camillo Cavour che all’epoca fu considerata una delle più grandi opere di ingegneria del secolo, ma oggi certamente non è più idonea per il traffico internazionale di merci e di passeggeri, a causa sia delle forti pendenze (33 ‰, quasi tre volte superiore al 12 ‰ consentito dalla normativa europea), che della sinuosità del tracciato, che presenta raggi di curvatura molto bassi che limitano in più tratti la velocità dei convogli a 30 km/h. Inoltre nel tratto di circa 45 km tra Chambéry e Saint André le Gaz la linea è ancora limitata ad un unico binario. Infine nelle zone intorno alle città di Lione, Chambéry e Torino il traffico internazionale deve essere necessariamente separato da quello metropolitano o regionale per evitare interferenze e ritardi che impediscono il loro sviluppo e l’adeguamento alle nuove e moderne esigenze delle collettività. A causa dell’inadeguatezza del sistema ferroviario, dagli anni ’70 del secolo scorso il traffico delle merci attraverso le Alpi si è progressivamente trasferito dalla ferrovia alla strada, che nel frattempo era stata opportunamente adeguata con due importanti trafori (il traforo del Monte Bianco nel 1965 e il traforo del Frejus nel 1980); la ripartizione del traffico merci tra i due modi di trasporto negli anni ‘70 era di circa il 50%, mentre nel nuovo secolo la ferrovia è scesa a poco meno del 15% e la strada ha superato l’85%. Tutti sanno che lo sviluppo dei traffici merci è vitale per lo sviluppo economico sia dell’Italia che della Francia, con la non trascurabile differenza che un inadeguato attraversamento delle Alpi, mentre «penalizza» in egual misura i traffici tranfrontalieri tra i due Paesi, «penalizza» più fortemente l’Italia nei collegamenti con tutti gli altri Paesi Europei in quanto l’Italia, chiusa dalle Alpi e dal mare, non ha alternative, concretamente ed economicamente realizzabili, ai «valichi», a differenza della Francia che un po’ più a nord può utilizzare il collegamento pianeggiante con la Germania. La politica dei trasporti, condotta prima dalla Comunità Europea e poi dall’Unione Europea, ha sempre considerato fondamentale il riequilibro modale e lo sviluppo delle reti ferroviarie transnazionali ben collegate e il più possibile interoperabili. Per molto tempo si è discusso a Bruxelles se il corridoio Ovest-Est tra i Paesi dell’UE dovesse passare a nord o sud delle Alpi. È chiaro che il solo collegamento a nord delle Alpi lascerebbe completamente isolata l’Italia senza alcuna possibilità di sviluppo futuro. Alla fine si è deciso per l’inserimento della nuova linea ferroviaria tra Torino e Lione tra le opere prioritarie meritevoli di co-finanziamento comunitario: decisione saggia e sicuramente favorevole all’Italia. La prima decisione dell’Unione Eu-
ropea risale al Vertice Europeo di Corfù del giugno 1994 dove il progetto «Alta Velocità e trasporto combinato Italia-Francia tra Lione, Torino e Trieste» venne inserito tra gli 11 progetti di infrastrutture altamente prioritari. Decisione che è stata poi confermata nel Vertice di Essen il 9-10 dicembre 1994, che ha portato a 14 il numero dei progetti prioritari per l’Unione Europea e meritevoli di finanziamento comunitario, che è stato in questi anni più volte confermato, da ultimo dal Commissario Europeo Sim Kallas nel meeting di Tallin lo scorso 18 ottobre. L’opera in oggetto e l’intero asse ferroviario tra Lisbona e Kiev, del quale è parte, rientra a pieno titolo non solo nelle politiche dei trasporti, ma anche in quelle di crescita e sviluppo dell’Unione Europea sancite dal Trattato di Maastricht ed ispirate da Jacques Delors che nel Libro Bianco Crescita, competitività e occupazione. Le sfide da percorrere per entrare nel XXI secolo aveva paragonato le esigenze di funzionamento del mercato interno, per garantire la libera circolazione in uno spazio senza frontiere1, con quelle di un organismo, come il corpo umano. Infatti deve disporre di quattro componenti essenziali: una rete di circolazione sanguigna (le infrastrutture di trasporto), un sistema nervoso (le infrastrutture di telecomunicazione), un sistema muscolare (le infrastrutture energetiche) e un sistema cerebrale (le infrastrutture di formazione), il cui insieme viene indicato come “reti transeuropee”. Il mercato interno richiede l’esistenza di “infrastrutture efficienti e tecnologicamente adeguate, accessibili a tutti i cittadini” di concezione migliore, nel senso di diminuire il loro impatto negativo sull’ambiente ed anche nel senso di studiarne l’ottimizzazione in modo da utilizzare, in ogni circostanza, il mezzo di trasporto più facilmente integrabile nel sistema di comunicazioni delle regioni interessate, in accordo con le caratteristiche fisiche ed economiche del territorio. Questo si ricollega con l’idea di “sviluppo sostenibile”, i cui benefici economici ed occupazionali possano ricadere sui cittadini europei ed in particolare sugli abitanti delle regioni interessate. In questo senso la realizzazione di reti transeuropee non é che una condizione necessaria per il reale compimento dell’Unione europea; una circolazione più veloce, sicura ed economica delle persone e delle merci permette di aumentare i profitti delle attività produttive e di sviluppare di conseguenza una migliore competitività dell’aziendaEuropa, creando nuova occupazione. In questo contesto si colloca a buon titolo il nuovo collegamento ferroviario tra Torino e Lione, che è “un’arteria fondamentale” del “sistema sanguigno” costituito dalle reti di trasporto. Contribuirà certamente ad un rafforzamento considerevole dei legami nord-sud ed ovest-est del continente, quindi non solo tra l’Italia e la Francia. La realizzazione e l’esercizio di questa linea si pongono dunque in un quadro che va oltre le frontiere nazionali e che giustifica una più ampia solidarietà di tutti i Paesi dell’UE. Il progetto rispecchia i principi di “concertazione” e di “solidarietà” stabiliti dalle regole comunitarie: - quello della concertazione fra paesi alpini, (nel pieno rispetto anche della Convenzione delle Alpi, sottoscritta da tutti gli Stati dell’arco alpino e ratificata dall’UE) per favorire uno svilup1 Cfr. l’art. 8° del Trattato di Roma del istitutivo della Comunità Economica Europea.
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3 e 4 - Foto della Piana di Susa oggi (in questa pagina) e con la nuova linea (nella pagina a fianco).
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po coordinato delle aree interessate evitando, nel contempo, sia le congestioni di traffico che producono inquinamento, qualora non si prendesse alcun provvedimento, sia l’isolamento di intere e vaste porzioni di territorio, qualora si decidesse semplicemente di limitare la circolazione dei veicoli; quello della solidarietà europea, in quanto il nuovo collegamento transalpino procurerà benefici all’insieme dell’Unione Europea e non solo agli Stati interessati.
Le tappe fondamentali del progetto Dal primo atto ufficiale di manifestazione d’interesse per quest’opera sono già trascorsi ventitrè anni, cinque di più del tempo intercorso tra la prima relazione che il valsusino Giuseppe Francesco Medail inviò nel 1839 al governo sabaudo e la cerimonia del 1° settembre 1857 con la quale Vittorio Emanuele II (Re di Sardegna e non ancora Re d’Italia) dette il via ai primi lavori di scavo a Modane. La differenza dei tempi è ancora destinata ad aumentare perchè oggi siamo giunti solo alla presentazione del progetto definitivo e non all’inizio dei lavori di scavo del tunnel di base: solo per completare l’iter approvativo sarà necessario aspettare almeno un altro anno. Il nuovo progetto definitivo nato dopo le contestazioni del dicembre 2005 è ora completamente diverso, nel territorio italiano, dal precedente progetto. Il nuovo progetto è frutto della lunga concertazione (oltre 200 riunioni) con gli Enti locali svolta dall’Osservatorio a partire dal 2006 con il risultato che l’opera è stata perfettamente inserita 124
nel territorio della valle di Susa ed oggi possiamo concordare con l’arch. Mario Virano nell’affermare che l’intervento può generare “valore aggiunto” anziché essere causa di “valore sottratto”. La Società LTF ha trasmesso nel gennaio 2013 alla Commissione Intergovernativa, il progetto definitivo della sezione transfrontaliera della nuova linea ferroviaria Torino Lione. Il progetto definitivo contiene numerosissimi elaborati che sono raggruppati in sette grandi faldoni 2.
Costi e tempi previsti previsti per la realizzazione del progetto Il costo totale degli investimenti necessari per la realizzazione della sezione transfrontaliera (comprese alee ed imprevisti) che è stato valutato da LTF in 8.368 M€, così suddivisi: - opere di Genio Civile: 6.400 (di cui: 4.700 in territorio francese e 1.700 in Italia), - impianti: 1.638 (di cui: 1.190 in territorio francese e 448 in Italia); - altri costi: 330 (di cui: 114 in territorio francese e 216 in Italia). Agli 8.368 M€ si devono aggiungere i costi del Promotore pubblico incaricato del coordinamento e direzione dei lavori pari a 395 M€ (ripartiti in 284 per i lavori in territorio francese e 111 in Italia) e 81 M€ (tutti in territorio italiano) per i lavori di miglioramento della linea storica sulla tratta BussolenoAvigliana, per un totale complessivo di 8.844 M€ 2 Per la descrizione del progetto si rimanda a quanto pubblicato dalla rivista Le Strade nei numeri 3/2013, 5/2013, 7/2013, 10/2013 e 12/2013.
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(M€ valore al 1° gennaio 2012). Naturalmente tale importo non comprende il costo sostenuto fino ad oggi per la realizzazione degli studi, dei progetti e delle indagini geognostiche (ivi comprese le discenderie e le gallerie geognostiche di Saint Martin La Porte, La Praz, Villarodin-Bourget/Modane e della Maddalena)3 . L’importo di 8.844 M€ avrà un contributo considerevole (40%) da parte dell’Unione Europea. Il rimanente 60% sarà ripartito tra l’Italia e la Francia secondo il nuovo Accordo sottoscritto dai due Governi il 30 gennaio 2012. Come si è già avuto modo di precisare l’Accordo prevede una ripartizione del 57,9% all’Italia e del 42,1% alla Francia. I due Stati e l’Unione Europea dovranno sopportare un costo così ripartito: Unione Europea: 3.538 M€; Francia: 2.234 M€; Italia: 3.072 M€. Naturalmente se il contributo dell’Unione Europea sarà superiore/minore al 40%, i due Stati dovranno contribuire con un minore/maggiore importo. Il planning globale di costruzione e messa in servizio dell’infrastruttura della sezione transfrontaliera si sviluppa su una durata di 10 anni comprensiva di un anno di test e a partire dall’Ordine di Servizio di avvio dei lavori del Tunnel di Base (definito tempo T0). A questi si devono aggiungere due anni per i lavori preliminari (ovvero per l’interconnessione a Susa con la linea storica, in modo da utilizzare la linea storica per il trasporto dello smarino) che potrebbero iniziare prima del tempo T0.
3 Per le discenderie e le gallerie geognostiche (anche se di grande diametro) l’Unione Europea ha contribuito con un finanziamento del 50%, come per gli studi ed i progetti. Il rimanente 50% è stato ripartito in parti uguali: 25% sostenuto dalla Francia e 25% sostenuto dall’Italia.
Opere già eseguite e lavori in corso Ad oggi sono state realizzate tre discenderie che fungono anche da cunicoli esplorativi in territorio francese: Saint Martin la Porte (PK 11,604), La Praz (PK 20,588), Villarodin-Bourget/Modane (PK 32,799). Sono in corso di esecuzione: il cunicolo esplorativo della Maddalena in Italia e il cunicolo esplorativo (di grande diametro) a St Martin La Porte in Francia. Con il termine “discenderie” si intendono le gallerie scavate nel massiccio alpino che, partendo dalla quota di campagna dove è ubicato il cantiere, permettono di raggiungere il livello del tunnel di base in modo consentirne l’escavazione da più fronti. Sia le discenderie che i cunicoli esplorativi aiutano a definire metodi, costi e tempi di realizzazione. Terminati i lavori, le discenderie saranno utilizzate come prese per la ventilazione e come accesso di servizio riservato alle squadre di manutenzione e ai soccorsi. Riproduzione riservata ©
Nella pagina successiva:: stazione Reggio Emilia AV Mediopadana progettata da Santiago Calatrava. Foto fornite dal Comune di Reggio Emilia. In alto: due foto Kai-Uwe Schulte-Bunert. Al centro: render. In basso: foto Kai-Uwe Schulte-Bunert.
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Autori Marco Pasetto - Prof. Ordinario di Strade, ferrovie e aeroporti, Università di Padova Stefano Damiano Barbati - Dottore di ricerca, Dipartimento di Ingegneria Civile, Edile ed Ambientale, Università di Padova Carmelo Abbadessa - Ingegnere libero professionista, ex dirigente FS Claudio Modena – Prof. Ordinario di Tecnica delle costruzioni, Università di Padova Carlo Pellegrino – Ricercatore di Tecnica delle costruzioni, Università di Padova Giovanni Tecchio – Ingegnere Mariano Angelo Zanini - Ingegnere Enzo Siviero – Prof. Ordinario di Tecnica delle costruzioni, Università Iuav, Venezia Riccardo Renzi – Dottore di Ricerca in Progettazione Architettonica ed Urbana, Prof. a contratto Università di Firenze Alessia Ferrarini - Architetto Giovanni Giacomello - Dottorando di ricerca, Dipartimento di Ingegneria Civile, Edile ed Ambientale, Università di Padova Konrad Bergmeister – Ingegnere, Consiglio d’amm.ne della società Galleria di Base del Brennero BBT SE. Vincenzo Torrieri – Prof. Ordinario di Tecnica ed Economia dei Trasporti, Università Federico II, Napoli Deborah Sanzari – Dottoranda, Dipartimento di Ingegneria Civile, Edile, ed ambientale, Università Federico II, Napoli Cristiana Mazzoni – Prof. HDR, Ecole Nationale Supérieure d’Architecture, Strasburgo Fan Lang - Architetto, dottoranda, laboratorio AMUP, ENSA di Strasburgo Gabriella Trotta Brambilla – Ricercatore associato al laboratorio Politiques publiques, Action politique, Territoires (Grenoble) Oriana Giovinazzi – Architetto, Dottore di ricerca, Dipartimento Progettazione e Pianificazione in Ambienti Complessi, Università Iuav, Venezia Claudio Maruzzi – MGTM Avvocati Associati, Ferrara Milva Giacomelli – Dottore di ricerca in Storia dell’architettura e dell’urbanistica, Università di Firenze Giulio Maternini – Prof. Straordinario di Tecnica e Pianificazione Urbanistica, Università di Brescia; Presidente nazionale AIIT (Associazione Italiana per l’ingegneria dei Traffico e dei Trasporti) Pasquale Cialdini - Ingegnere libero professionista, già Direttore Generale presso il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti Questo numero della rivista è stato coordinato dal prof. Marco Pasetto dell’Università di Padova
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