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Canto primo pag
from Billi & Cocco
by marcovim
CANTO PRIMO
Qui parliam di Billi e Cocco grandi amici da un bel tocco che intrapresero un bel viaggio proprio il ventitre di maggio. Agitato era il buon Billi tutto salti e tutto strilli mentre Cocco assai depresso era cupo come un cesso. Ma il buon Billi calmo stava se le canne si rollava mentre Cocco migliorava se le canne si fumava. Così fu che Billi e Cocco acquistarono un bel tocco e partendo quel mattino si rollarono un cannino ma già dopo colazione si rollarono un cannone e pertanto, in pochi metri, eran verdi come vetri. “Non fa niente” disse Billi arriviamo fin da Milli che abitando a Borzonasca già starà sotto una frasca e nel fresco del giardino ci faremo un bello spino. “Ma i chilometri son trenta! questo viaggio mi spaventa. Preferisco qui alla foce già levarmi questa croce.” Ed estratta una velina si rullò la svaporina. Così, verso mezzogiorno, arrivarono a Spotorno e seduti in riva al mare si rimisero a fumare. Or diciam che Billi e Cocco eran stati nel Marocco e tornando da quel viaggio (difettandogli il coraggio di passare la frontiera) si fumaron di carriera oltre un etto di pongoso in un giorno molto afoso. Lo fumarono a Meknés tutti chiusi dentro un cess e poi anche a Tetouan sopra il tetto di un pullmàn e, finito quel pezzetto, se ne andaron sul traghetto. Da quel giorno quei due fessi più non furono gli stessi perchè quel tiaccacì li sminchiava tutto il dì ed ancor per molti mesi scemi poi li avrebbe resi. Ma gli ignari cannabisti si dicevano: “Resisti!”
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e di farsi quel bismuto non mollarono un minuto. E la sorte a volte aiuta chi non fa la scelta astuta e sentendosi ora al top arrischiaron l’autostop. Li raccolse un tal Battista spacciator professionista che portandoli a Carrara gli donò una specie rara di quel magico marrone che ti stende nel portone. Cocco senza ringraziare diede subito da fare all’amico suo, più in tono di quel fumo un gran bel cono. e così nella vettura senza neanche una fessura non vedendo un accidente lor successe un incidente: il Battista un po’ stonato fissò gli occhi sul selciato e non vide un autotreno non toccò il pedal del freno e nel fare la frittata disse:”cazzo, che stangata!”. e poi, dopo la gran botta, toccò loro cambiar rotta e finiron nel Cinquale eludendo la Stradale. Quel bel bagno nell’acquetta li rimise in tutta fretta nello stato che è assai giusto per riprenderci un po’ gusto e così, strizzando maglie si rollarono tre paglie. “Qui in Toscana son più buone” disse tosto quel gondone del Battista che, bagnato, si spalmava sopra il prato. Lo mollaron Billi e Cocco (ma rubandogliene un blocco che da sotto ad una frasca si nascoser nella tasca) e partiti in gran carriera chiusi dentro una corriera, ci impiegarono un’inezia per tornarsene alla Spezia e decisero all’istante di rullare un bel fumante ma frugando nei vestiti si trovarono puliti e accusandosi a vicenda della triste lor vicenda si picchiaronr come fabbri cazzottandosi sui labbri quando proprio sul più bello -non si sa se questo o quelloritrovarono il panetto di quel fumo benedetto che finì in un baleno proprio in fumo (fatto ameno!). L’ora s’era fatta tarda Billi disse a Cocco: “Guarda, se non dormo per un anno i miei occhi ce la fanno ce la fanno a malapena a veder che mi fai pena mi fai pena e compassione fatto come un copertone su, mangiamoci un panino e schiacciamo in pisolino
troveremo una pensione dove farci un bel cannone che ci aiuti a prender sonno altrimenti mi smadonno!” Disse Cocco “ son daccordo, ma potremmo andare a bordo delle barche dei ricconi, tanto son senza padroni! dai, andiamo sul pontile a ricaricar le pile sopra quei ferri da stiro che mi sembran di un emiro”. E cagandosi un po’ sotto si trovaron nel salotto di un lussuoso cabinato tutto nuovo, mai usato disse Billi “’porcoddio qui c’è ogni ben di dio!” (ho rimato verbi uguali come fece un tal de’ tali che in un libro molto strano ha scoperto l’italiano ma lo fece sol con “dio” e così l’ho fatto anch’io) Cocco disse: “Spazzatura! non mi frega la cultura me mi frega solo farmi; te ne prego, non stressarmi” ed aperto un poco il frigo della barca di quel figo si rempì tutta la bocca con un aspic di albicocca, una fetta di salmone un acciuga, un gamberone, un patè di foia grassa un budino, una melassa sopressata di cinghiale olivette e poi caviale e ruttando sempre (oibò) a ogni sorso di Clicò. e allor Billi: disse “uè! vuoi tener tutto per te? lascia un po’ di quel candito al tuo amico preferito!” e tuffandosi nel piatto Billi prese quatto quatto a fiondarsi nella gola litri tre di cocacola nove fette di tacchino dei canditi al maraschino la canarda con l’arancia fino a esplodersi la pancia, cioccolato, panettone innaffiati all’amarone al brunel di montalcino poi un cannone ed uno spino e pensò: “non c’è il caffé ma vabè, vabè, vabè...” Poi, aprendo una sportina Billi disse: “Cocaina! sarà forse più di un etto su, facciamoci un tiretto!!” ma il buon Cocco, con un rutto gli rispose: “questo é brutto! noi non siam per questa manna vieni, e rollati una canna la cocò non fa per noi (se vuoi farla cazzi tuoi) lascia ai ricchi questi vizi noi togliamoci gli sfizi allo schizzo del cervello preferisco lo spinello
il fedele e lieto spino distensivo, genuino che ti piega le ginocchia e ti stronca senza spocchia” Disse Billi “c’hai ragione sono stato un berluscone ma non farmi la morale o ti mando all’ospedale!” Senza fare alcun tiretto si buttarono sul letto e in un quarto di secondo furon già nel girotondo di chi beve e dopo fuma e si sente dentro un puma vorticante nel cervello che ti assale sul più bello e ti rende verde in faccia che vuol dire: qui si caccia! Ma che grande delusione tutta quella colazione tutto quanto il ben di dio vomitato in un fottio di poltame verdolino sui tapis del brigantino! di rigurgito un ruscello sulle frau di quel vascello! quelle sete, quei pellami quegli ottoni, quei legnami malamente devastati da rigurgiti malati! “questa barca mi ripugna rivestita dalla sugna!” disse Cocco bianco in faccia rigettando la merdaccia “su cerchiamo un altro loco per poter dormire un poco” fece eco il Billi mesto mentre usciva lesto lesto e, calatosi i calzoni, tosto espulse due stronzoni. Stando sempre molto allerta gli cagò sulla coperta mentre Cocco, più corretto, gli cagò sul copriletto; con le tende di ferrè poi si fece un bel bidè. Alla fine, molto stanchi, i due amici resi bianchi dallo sforzo sovrumano si rollarono un banano e tornando tristi in porto con lo stomaco ritorto Billi e Cocco quasi in coma si sedettero su un boma ormai vinti dal malore si assopirono due ore. La mattina, al risveglio ecco, stavano un po’ meglio proprio appena quanto serve per trovare un po di verve con i visceri in cantina rirovaron la cartina il tabacco, ed il pezzetto del marocco prediletto e con l’animo supino si fumarono uno spino e partiron (scelta vana) alla volta di Sarzana ma sbagliarono il pulmàn e dicendo “porco can ci troviamo, porca terra proprio dentro l’entroterra.
Vagolarono per giorni dentro strade come forni in paesi sconosciuti sempre tristi, sempre muti C’è chi giura sulla figlia: “se ne andarono in Emilia!” (forse a Modena, a Piacenza non poteron stare senza) Poi a Rimini, Riccione grandi patrie del cannone quel che è certo è che a Molfetta si son fatti una cannetta c’è chi giura sui suoi cari che li ha visti un giorno a Bari, qualcun altro, un po’ più strano li ha notati ad Oristano. E viaggiaron senza freno sulle coste del tirreno forse uno prese moglie in un borgo delle Eolie; una donna assai sincera poi li vide giù a Matera Forse all’Hotel Moderno pernottarono a Salerno poi a Napoli, a Forcella a mangiare mozzarella; La più strana che ci sia ce li da a Pantelleria l’altra dice: “no, ma scusa guarda che era Lampedusa” Sta di fatto che per poco ci è sfuggito il loro gioco ma è certo e non c’è dubbio che passarono da Gubbio cosi come che ad Arezzo se ne fecero un bel pezzo ed a Padova per prova si fumaron erba nuova a Verona si son stesi (son rimasti lì dei mesi) Son andati poi a Scansano a fumar nel grossetano ma la canna da sultano se la son fatta a Milano ed un’altra, più da coma, se la son tirata a Roma. Non sappiamo se a Cremona poi trovaron l’erba buona e neanche se a Pescara si fumaron merce rara. Di una cosa siam sicuri che i ragazzi son due duri e fumando come pazzi lor viaggiaron come razzi e non stettero un minuto senza farsi un bell’imbuto una canna, un Joint, un vuoto, in che modo non ci é noto. Quei due giovani canditi sono andati, son spariti e nel tempo di quel viaggio ritrovarono il coraggio di seguir le inclinazioni lor dettate dai cannoni; Fu così che la saggezza data sempre dall’ebbrezza li raggiunse in grande stile proprio dentro ad un fienile dove fatto un sonnellino affrontarono uno spino che gli diede la risposta per chi fuma senza sosta.
(ma, a dir la verità la domanda non si sa la risposta non si dice e così sarai felice...) “Non è chiaro” disse Billi emettendo cinque strilli “Non capisco” disse Cocco sfarinandone un bel tocco ed è proprio questo il gusto di chi fuma in modo giusto né risposte né domande né Appennini e neanche Ande altro dirvi io non so che saperlo non si può. Ritroviamo i nostri amici ormai molto più felici senza grilli per la testa con la voglia di far festa con la voglia di chiavare senza star troppo a pensare Eran nuovi Billi e Cocco che venivan dal marocco e che tanto avevan visto da incontrare l’ anticristo (l’anticristo era per loro stare senza le marlboro le cartine e la sostanza che ti dona la speranza) Billi disse in val di Taro: “qui mi faccio o mi sparo!” Cocco disse: “si mio bello ci facciamo uno spinello, ci facciamo il cioccolato che ci stende sul selciato” disse Billi “quale manna! (già rollandosi una canna) deve essere il mio karma che mi spinge verso Parma” “Deve essere lo spino che abbiam fatto a Fiumicino e poi verso il grossetano ci siam fatti il gran banano; a Firenze, alle cascine ci siam fatti tre cartine per non dire di quel rollo che ci siam tirati a Follo quel ridente paesello dove regna lo spinello!” disse Cocco: “Porca troia! son piegato come un boia! se mi arrotoli il filtrino ti rifaccio un cannoncino e arriviamo a Reggio Emilia freschi come una bottiglia” ma il buon Billi era sbiellato coricato, collassato era bianco come un morto vomitava dentro un orto. Cocco, valutando il caso disse: “falla dentro un vaso che se poi ci viene fame calmeremoci le brame e col gastrico rigetto imbastiamo un bel pranzetto” disse Billi: “dammi un tiro” e facendo un bel respiro vomitò sopra la canna gli agnolotti con la panna. “Fuma bene, fuma sano fuma solo pakistano” disse Billi “il cioccolato questa volta mi ha sminchiato”
“Se fumassi la Colomba già sarei dentro la tomba” disse Cocco sulla ghiaia vomitando una mugnaia. Billi disse “Porcoddio! che sapore di stantio! per rimetterci davvero qui ci vuole un po di nero se passiamo da Voghera ce l’avremo per stasera” e con aria assai provetta ruppe una sigaretta... “nel frattempo un bel cannone già farà la sua funzione; lo facciam col libanese che ci limita le spese” “Porca merda, caro amico sono molle come un fico” disse Cocco ormai brasato all’altezza di Brugnato “ho fumato due mattine son finite le cartine!” esclamò l’amico Billi con i soliti suoi strilli “per fumarci un altro spino tocca farci lo svuotino” S’era fatto un poco scuro. Billi e Cocco, contro il muro si facevan sull’istante quella caccola restante quando a un tratto (che figata) ferme nella carreggiata due fighette tutte in tiro stanno andando a fare un giro Billi disse: “quella strana mi ricorda la Luana la Luana benedetta che scoppiava la maglietta mi ricorda quella troia che con tutta la sua foia dopo fatto una spinello satinato mi ha l’uccello” “e la bionda” disse Cocco sembra quella che in Marocco col suo grosso narghilè si faceva anche il bidè. Me la feci a Casablanca coricato su una panca me la feci anche a Meknés rovesciandola sul cess me la feci a Marrakech proprio dopo un grande flesh me la feci ad Agadir (ce l’avevo come un tir) me la feci a Ouarzazate che ghe davo come un matt me la feci a Darbaidà proprio in piedi sul sofà me la feci anche a Tangeri che mi sembra l’altro ieri. La chiamavano Maria e la dava troppo via si fumava più cannoni che io peli sui coglioni” Billi fece:” abbi pazienza, se sei tanto in confidenza ci accodiamo alle sbarbine, forse c’hanno le cartine....” Ma Maria (detta la Meri) che chiavava volentieri già veniva a grandi passi verso i giovani luassi:
“Se ci avete anche un carretto ci togliamo dal paesetto e si torna verso il mare che c’ho voglia di sguazzare” “Noi il carro ce l’abbiamo però senza fumo stiamo; per un po di marijuana io ti porto anche all’Avana” Meri disse:”Caro, senti che, c’hai preso per dementi? né la Meri né Luana restan senza la banana! se muovete le chiappette ci facciamo due cimette due cimette del balcone che ti sembrano un tifone!” e cannoni su cannoni tra le curve ed i burroni con la testa in una teglia arrivarono a Moneglia mentre Cocco alla Luana sollevava la sottana e facendosi un cannone presentava il suo bastone e il buon Billi dietro a Meri già strusciava volentieri e facendosi uno spino sfoderava il suo belino. Poi ci fu una mareggiata e alla fin della nottata quello splendido quartetto s’era fatto un bel mezz’etto. Nella foia, dentro il letto Billi perse anche il sacchetto con la paglia colombiana che teneva la Luana. Poi partiron per Torino a cercare un marocchino che tornato dal paese avea fatto grandi spese sulla strada per Santhià Meri disse “altolà non c’è più la marijuana che teneva la Luana!!!!!! ve la siete fatta in due brutta troia e brutto bue! ve la siete fatta insieme non lasciando neanche un seme se non esce, ve lo giuro io vi inchiodo contro il muro!” mentre la Luana e Cocco ne scioglievano un bel blocco le dicevan;” che ti credi? che la fumo con i piedi? non l’ho vista, non l’ho presa, toccheracci far la spesa forza, usciamo a Moncalieri che la vendon volentieri.” Alla fine del travaglio si svuotarono il bagaglio e mettendo bene insieme fogliolina dopo seme pacchettino e scatoletta busta, sigaro, borsetta ritrovato il sacchettino due pacchetti, qualche spino l’etto preso a Moncalieri tutti i resti di avantieri e alla fine quel gran gnocco dell’amico del Marocco il quartetto ben sapeva che poteva andare a Ceva
a brasarsi per un anno e passarlo senza danno e partendo per lo stadio ne riempirono un armadio. E già Cocco assai contento li esortava al movimento per andare al gran concerto e fumarselo all’aperto. “Se mi porti dai Pin Floi faccio quello che tu vuoi” disse Meri, già arrapata con la ciornia insaponata “Se Cocò perde il concerto si riduce come Umberto che in cinque settimane sprofondato é nel letame per aver perso in cantina qualche film di Cicciolina e così tirò le cuoia tra le gambe di una troia” “Mi hai chiamata?” disse Meri coi collanti tutti neri che con l’aria assai lasciva di mutande era priva. “No, parlavo di un fratello che per farsi uno spinello si vendette in dei momenti anche capsule dei denti e una volta, per un etto, fece farsi anche il carretto. Disse Meri “che ci vuole? l’ho imparato nelle scuole per un etto, la mia figa, la darei fino a Cossiga!” “Fosse nero pakistano la darei perfino a un nano” disse Luana la maliarda sventolando la bernarda. Così giunsero alla stadio e portaron dell’armadio un intero gran cassetto contenente più di un etto ma alle porte del concerto constataron con sconcerto che la pula presidiava quegli ingressi (ma che brava). Si decisero all’istante di fumarsi tutte quante (aspettando lì davanti) le cannette derivanti e si fecero quel masso riducendosi al collasso. Li trovaron surgelati tutti quanti accartocciati e col piede nella fossa li salvò la crocerossa. Per smaltire la bombarda la Luana disse “guarda per rimetterci un po’ in strada qui ci vuole della biada comperiamo da fumare e torniamocene al mare.” ma il buon Cocco disse “che? sei strinata più di me! con il fumo dell’armadio tu riempir ci puoi lo stadio su, torniamocene a casa da quel pane che ci brasa e rempita la cavagna ce ne andiamo giù a Lavagna dove di quel ricco fumo noi faremo un gran consumo”
Ma i meschini al lor ritorno proprio verso mezzogiorno nell’armadio loro amico non trovarono un bel fico nell’armadio (uè, la peppa!) non trovarono una ceppa e strappandosi le vesti deliranti, mesti mesti iniziarono un gran pianto che riporto tutto quanto: “ Oh gran fumo benedetto da fumarsi con diletto! Oh marocco sacro e santo da fumarsi tutto quanto dimmi dove sei finito o sostanza per il rito!! sei sparito, sei lontano nelle tasche di un marrano tra le labbra di un merdone che si fuma il mio cannone! quintessenza dell’ebbrezza che mi doni leggerezza torna presto, te ne prego così dopo io mi piego, torna lesto alla mia bocca che la canna ora non tocca riempi questa vita mia torna presto. E così sia.” “L’avrà preso il portinaio per fumarselo in solaio o l’amica di Luana per fumarlo alla fontana, l’avrà preso il buon Pachito che di canne s’é sfinito o Juan detto ‘El Tornado” che sta siempre colocado o magari Jimmy Brown che c’aveva un brutto down, se l’ha preso quell’inglese fuma gratis per un mese se l’ha preso lo spagnolo non può farselo da solo” E con queste congetture già crescevan le paure del quartetto derubato di quel tossico sufflato. Ma la Meri disse “strano” coricata sul divano “sto pensando a chi ho lasciato delle chiavi il duplicato, e per quanto mi scervelli velo giuro, miei fratelli quella chiave (questa è strana) ce l’ha solo la Luana. Spero proprio di sbagliare su, facciamola cantare!” La Luana rossa in faccia e sentendosi merdaccia s’alzò subito di lì e si chiuse nel WC. Ma da fuori della porta Meri disse “ora sei morta brutta troia, maledetta se non esci la limetta delle unghie ti introduco proprio dentro quel tuo buco! sei bagascia, sei puttana maledetta carampana se non esci rompo il vetro e ti infilo nel didietro le piastrelle di quel cesso dove tu ti trovi adesso
e poi, quando son finite, io t’infilo le matite le stoviglie ed i divani te li infilo con le mani mentre per scoppiarti il cuore voglio usare un compressore”. Billi e Cocco i due portenti assistevano impotenti alla lite furibonda della Meri, che la sonda di quell’aria a tre atmosfere volea metter nel sedere di Luana che, nel mentre, si tappava il bassoventre per paura che l’amica le sfiatasse nella fica. Alla fine, dalla porta quella brutta gatta morta buttò fuori una valigia che di fumo era ben pigia conteneva, ad occhi e croce, giudicando il peso atroce qualche chilo di involtini libanesi e marocchini ed in più una bella sporta di quell’erba che ti storta. “...E squagliare ti volevi? Brutta vacca, adesso bevi!!! e la Meri molto lesta volea mettere la testa dell’amica dentro il cesso per punirla. (quale eccesso!) Billi e Cocco, moderati, s’eran tosto ritirati e rollando, dal tinello s’indurivano l’uccello e, passate alle bambine quattro magiche cartine di quel nettare ripiene proponendo cose amene si gonfiarono i basani (con l’aiuto delle mani). Alla vista delle stecche (chè quei due non eran checche) arrapate dalla sbornia Meri e Luana, con la ciornia (guardo, tocco, mangio e bevo) loro diedero sollievo. Ritornata l’armonia quella bella compagnia coricata sulla branda fece ben più d’una ghianda. per due giorni e per due notti andò avanti il fotti fotti: fu versata tanta sborra come a Sodoma (o a Gomorra); Fu versato tanto sperma da farcire un pachiderma. Verso il fine settimana la patata di Luana per l’abuso di quel gioco era rossa come fuoco i testicoli di Cocco eran duri come un blocco del buon Billi la cappella era come mozzarella e la Meri sulla potta già ci avea la pelle cotta; così i quattro svelti svelti dal chiavare assai divelti con di fumo una cavagna se ne andarono in campagna
a trovare degli amici che vivevano felici senza affanni cittadini proprio ai pié degli appennini in un luogo assai ridente che ci andava poca gente. Si chiamavan Tito ed Anna ed amavano la canna e iniziando la mattina con un erba genuina a piegarsi a più non posso si buttavano in un fosso fatto per l’irrigazione della lor coltivazione perchè lor col cannabìs ci facevano il bisnìs ne tenevan venti acri di quegli alberelli sacri e tenevano lì sotto sempre un chilo di prodotto per riempir di marijuana ogni pausa quotidiana. E così con quegli sfizi si facevan di stravizi Luana, Billi , Cocco e Meri molto, molto volentieri. Quel fogliame favorito era a tutti assai gradito ma un bel pomeriggio Anna arricciandosi una canna diete tosto ai suoi compari dei consigli molto rari circa un’erba che, in conserva, rivelavasi proterva e che dentro una banana avea forza sovrumana: “In quel campo, in fondo in fondo ci sta un grande vaso tondo io vi posi una semente giuntami da strana gente che arrivò con gran mistero qui, dal Continente Nero. Ivi nacquero tre piante femminelle tutte quante di una ganja straordinaria che il cervello spara in aria. Ora è un anno, e quelle cime (ma che noia queste rime!) io raccolsi qui in famiglia e pressai in una bottiglia. Così verdi, appena colte dalla pianta presto tolte dentro il vetro sigillate e in cantina sistemate con quell’olio, col fermento danno luogo ad un portento che si compie in molti mesi. Oggi è il dì: ci siamo arresi alla grande meraviglia che dormì nella bottiglia e che spacco volentieri per Luana e per la Meri e per Billi, anche per Cocco che ne assageranno un tocco e per Tito” (che all’istante fece un gran chiloum fumante). Quel che accadde quella notte da parole galeotte non può essere descritto ve lo dico a buon diritto: si smarrirono i contatti con la vita, e quei matti
che provaron quell’essenza deformaron la coscienza a tal punto che la vita parve loro una partita fatta a scacchi col demonio (ma....fumarono stramonio?) e la casa di Anna e Tito sembrò loro l’impiantito di una cattedrale immensa tutta avvolta in una densa e impalpabile melassa trasformata in una cassa dove un feretro di pane inculava un pescecane. Ma quel pesce poverino che frignò come un bambino disse loro “Oh animali non sarete più normali!!! questo vortice ancestrale vi fa fare un viaggio astrale un Grand Tour senza ritorno senza notte e senza giorno! Ed è inutile lottare con il nume tutelare che governa i vostri sogni ed annulla anche i bisogni su, mollate quella scorza a una vera droga. Forza! non dovrete più arrancare ma lasciarvi scivolare nell’abisso che è il più ameno su, lasciate andare il freno.” Cocco uno e Cocco due catturarono un gran bue perche Cocco si era scisso proprio al bordo dell’abisso ed in groppa a quel bovino affrontarono il divino gattopardo, dalla pelle tutta quanta fatta a stelle. Billi intanto, sottoterra combatteva una sua guerra con la moglie di un pirata di purè e di marmellata che con fare cattivello gli volea mangiar l’uccello. Meri sempre più divelta come sedia s’era scelta tutta quanta una fontana dalla quale, cosa strana, pur togliendosi la gonna si sentiva la madonna e osservando le sue mani che sparavan raggi strani le rivolse ai suoi amici che gridavan: “Benedici oh Madonna dei Cannoni questi poveri minchioni!” La Luana tutta assorta con la testa in una sporta era ferma come un chiodo e nuotava dentro il brodo che, assai simile all’albume terminava in un gran fiume dalle rive assai lontane dove donne molto strane si mangiavano un cancello di quel tiepido ruscello. Nel ruscello c’era Tito che nuotava con un dito e, cocciuto come un mulo si faceva a fette il culo
con la lama di un rasoio tutto fatto in vero cuoio. Anna ch’era la più saggia si trovava sulla spiaggia per cercare quell’errore di novantaquattro suore otto vigili, un lenone quattro ottici e un caprone... mentre più lontano un ghiro si faceva il fer da stiro e li accanto una faina si faceva una latrina e più indietro, una marmotta foderavasi la potta dando prova di coraggio con un Cristo di formaggio. Furon vortici e visioni lampi ed allucinazioni essi videro dei calli trasformarsi in pappagalli e perfino sottilette diventar delle saette delle sedie farsi muli delle fiche farsi culi lampadine farsi suore ed i giorni farsi ore e mutar ore in minuti campanili farsi imbuti farsi mare la campagna farsi mondo una cavagna. Così fu, questa è la storia di una notte di baldoria di sei giovani coatti che fumaron come matti che fumarono in un botto quasi un chilo di prodotto.