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Canto terzo pag

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Canto secondo pag

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CANTO TERZO

Tito ed Anna stavan quieti a passare giorni lieti nell’ allegra lor campagna dove l’erba ci guadagna nell’amena cascinetta con quell’erba prediletta. Cinguettavan gli uccellini tra quei faggi, tra quei pini da quel fumo avviluppati cinguettavano beati “cip, cip, cip, che due coglioni! son passate tre stagioni non succede mai un cazzo stando qui divento pazzo” Così Tito mugugnava mentre Anna, un po’ più brava: “in ‘sto posto me la meno voglio viver senza freno!” “Ritornare giù in città?” “Vaffancul, per carità!!! Ci vorrebbero gli amici per passar giorni felici Porterebbero allegria Billi, Cocco e compagnia. Se volessero abitare giù nel vecchio casolare ci sta un mucchio di persone e una gran coltivazione di quell’erba favorita da fumar tutta la vita. Con la terra che ci abbiamo in duecento ci mangiamo se ci avessimo due lire (ma si fa così per dire) a sto posto cambio viso e ne faccio un paradiso”. Nel frattempo Cocco e Billi e i restanti amici frilli della cifra che hanno preso di quel fum venduto a peso stan pensando cosa fare: “ci compriamo un casolare, con l’aiuto di Maria ci facciamo un’osteria dove poi verranno in molti: scemi, tossici, sconvolti deficienti cannabisti ma anche semplici turisti poi vicino alla casetta coltiviamo dell’erbetta e integriamo col ricavo di quel nettare. Son bravo?” disse Billi convincente arringando la sua gente. “Su facciamoci una canna e chiamiamo Tito e Anna ci daranno informazioni sulle case dei coloni” Disse Cocco in tutta fretta arrullando una trombetta. Quel che accadde, miei figlioli, lo capite già da soli

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e quel giorno, là per là, si creò una società; emigrò la compagnia in campagna. E così sia. Cico, Tito e la Simona Zappalà con l’erba buona aggiustavan serramenti verniciavano contenti Billi e Anna con lo Storto si occupavano dell’orto Checco e Cocco quei maiali aggiustavano i locali la Luana con la Meri ripulivano i sentieri mentre intanto la Lulù se ne andava su e giù tutti davansi da fare sempre senza tralasciare di fumar - di quando in quando quel buon fumo venerando o quell’erba assai speciale che ti fa gli occhi a spirale. Così avvenne che in un mese (senza neanche troppe spese) quel vetusto cascinale era un posto niente male e arrivando il tempo bello tra una canna e uno spinello quegli allegri casinisti furon pieni di turisti. Chi voleva marmellata (da Luana avvantaggiata) chi faceva un acquerello sfumacchiando uno spinello e chi andava in passeggiata con la canna preparata chi affittava un posto letto e fumava per diletto chi faceva colazione digerendo col cannone e chi in tenda canadese si stonava per un mese chi comprava un po’ di vino e accettava anche uno spino chi voleva una tisana fatta con la marijuana chi chiedeva anche una quiche preparata con l’hashìsh chi diceva “se consumo mi vendete un po’ di fumo?”. Tutti quanti (tanto o poco) se ne stavano a quel gioco e provando grande gioia si facevan come boia e mollavano ai compari un bel mucchio di denari. Tutto andava per il meglio in quel gruppo poco sveglio ma la sfiga, prima o dopo, tocca al gatto ed anche al topo così arriva (che scalogna) lì per lì una grossa rogna: sulla strada adesso avanza in gran fretta la Finanza!!!!!!! viene a fare perquisizioni in quel covo di coglioni. E la vide il grande Cocco che restò come un allocco e la vide il mesto Billi che lanciò dodici strilli ela vide Zappalà (anche stando sul sofà)

tutti vider, nella valle, arrivar le fiamme gialle. Furon presi da paura i nostri amici sull’altura ed allora, in pochi istanti, si sbatteron tutti quanti: “Non abbiam che tre minuti risolviamo, o siam fottuti! Buttiam via (prima che arrivi) tutto il fumo dai declivi buttiam giù dalla scarpata tutta l’erba più adorata tutto via, alla gran carriera o ci portano in galera!” “Ho un’idea più sostanziale” disse Tito, assai geniale. “Ne riempiamo una vettura e fuggiamo con premura!” Il salvabile salviamo e poi, tracce non lasciamo” Così fu che un’errequattro che tirava anche l’aratro fu riempita in tutta fretta col fumino e coll’erbetta. Nella macchina fu messo (non ricordo bene, adesso) un quintale di marocco e di libano un gran blocco circa un chilo di buon nero ed un cioccolato intero dieci o venti sacchi pieni di quell’erbe, di quei fieni e fuggì alla gran carriera Tito sulla polveriera. Quando giunsero i baffoni con le loro informazioni non trovarono in cascina più nemmeno una piantina. Si fermarono due giorni a girare nei dintorni a cercar col lanternino: “Ma non c’è neanche uno spino!” Se ne andarono scontenti e dicendo: “State attenti vi teniamo sotto tiro e ogni dì faremo un giro!!” Ma tre curve, un po’più sotto dalle parti del viadotto, col gran carico di canne il buon Tito stava in panne inchiodato in quei dintorni stava in panne da due giorni con la batteria esaurita. Tito disse: “qui è finita” Arrivarono gli agenti e accostaron diligenti “Che succede, giovanotto? non si può star sul viadotto!” “Sono senza batteria, però l’auto non è mia!!” Disse Tito ormai alla frutta e vedendola assai brutta. “Che portate lì in vettura?” “Fieno, cavoli, verdura... sono un buon contadinello e coltivo un orticello” Ora, amici, può anche darsi che non vada bene farsi Che sia ingiusto sfumacchiare e cannoni arrotolare ma se c’è -come hanno detto(che nessuno, poi, è perfetto)

il Signor degli ubriachi protettore dei macachi, c’è anche un dio (ed è una manna) di color che aman la canna e quel giorno (ma che festa) mise a Tito sulla testa una mano protettiva proprio mentre lui moriva. “ Se non deve andar lontano le daremo noi una mano in seconda e non in quinta le daremo noi una spinta!” E gli ignari finanzieri spingon via quei fondi neri Con la faccia tutta bianca, Tito, sì, la fece franca. Ma, accasciatosi in un fosso, per tre dì si cagò addosso; ritornato alla cascina cagò fino alla mattina e, levatosi la giacca, trentatrè chili di cacca andò a far dietro le mura per sfogare la paura che, essendo proprio molta, gli causò una bella sciolta, un quintale di diarrea come un fiume via scorrea via dal povero orifizio lui spruzzava a precipizio e sbrandando fuor del culo lui glassò un intero mulo espellendo in un momento un quintale di escremento. Il buon Tito si riprese quando fu passato un mese ed allora il reggimento mise su un festeggiamento per l’eroico e grande Tito un gran tavolo imbandito al campione dei campioni la gran scelta di cannoni! e alla fine, dopo cena Luana e Meri, con gran lena gli succhiarono il bastone con gran foia e devozione mentre Anna, la maliarda gli donava la bernarda e per contro la Simona si girò sulla poltrona e si fece inchiappettare dall’eroico suo compare e perfino la Lulù se lo fece metter su. Alla fine, a mezzanotte, dopo tutte quelle potte il gran Tito (con gran gusto) dormì il sonno che è del giusto (ma però, durante un sogno fece ancora un gran bisogno). Da quel giorno gli incoscienti furon sempre molto attenti e in un posto assai segreto (che chiamarono il canneto) ci nascosero il prodotto di cui il gruppo era assai ghiotto. Trascorreva assai tranquilla tra lamponi e camomilla una vita agriturista per il gruppo cannabista quando un giorno di bel sole mentre stavan tra le aiuole

arrivò alla fattoria una triste compagnia: un gran gruppo di fighetti con gipponi ed occhialetti con Mercedes cabriolè e orologi Bommersié con camicie ben cifrate e scarpette strafirmate. Assistevan stupefatti i modesti amici matti al manipolo di ricchi che saliva lì, sui bricchi non sapendo se era giusto provar schifo, oppur disgusto. E guardarono impotenti tutti i lor divertimenti: chi faceva la gimkana tra le piante (che puttana!) chi correva poco accorto calpestando tutto l’orto chi accendeva tra le piante un gran fuoco (che ignorante!) chi giocava al tiro a segno con la porta (che è di legno). Billi disse al mesto Cocco: “Qui bisogna fare blocco! già mi gira un po’ la bela io non amo ‘sta clientela!” Quando un tratto un elegante con un’aria assai sprezzante camminando sul giardino grida:“Ho voglia di spuntino! Ce n’avete di salmone? Dobbiam fare colazione! Ce n’avete di caviale? No? ma andiamo proprio male!” E col suo telefonino già chiamava un localino ben famoso sulla costa per la celebre aragosta. Ora voi, con gran ragione vi aspettate una reazione voi vorreste che il gruppetto conficcasse dentro il retto di quei tristi fascistelli per lo meno due spinelli. Ma però non fu così: e restaron tutti lì a osservare quei Carrera correr via nella brughiera a osservare quei Toyota pilotati da un idiota che sul far del mezzogiorno si levarono di torno. “A ‘sto punto tirar devo un sospiro di sollievo” sorridendo disse Anna. “Dai, facciamoci una canna” e fumando come cani a quei giovani baggiani venne subito un’idea concernente la diarrea: “Quando Tito stava male ha cagato sulle scale ma ha cagato anche parecchio la nell’orto dentro un secchio e ha cagato nel fienile rimpinzandone un barile. Se corriam coll’escremento più veloci ancor del vento per la vecchia mulattiera arriviamo in gran carriera

proprio sopra il gran curvone che c’è al fin dello stradone e ai fighetti un’imboscata noi facciam con la sbrandata. Gli faremo un gavettone con la squaquera marrone trenta chili di merdaccia gli fiondiamo sulla faccia! é con questa impudicizia che trionfa la giustizia! e speriam che questa merda via quei tangheri disperda!” Detto fatto in un baleno Billi e Cocco dentro il fieno ora estraggono il gran fusto (stan per fare quel che è giusto) e in un attimo al curvone sono pronti in postazione e già gridan: “state allerta! alla macchina scoperta scaricate con tempismo tutto quell’enteroclismo sbulaccate con premura! gli glassiamo la vettura!!!!” Cari amici, non nascondo che successe un finimondo A lanciar senza pietà era stato Zappalà: debbo dir che quel maiale fece un lancio magistrale e in un getto da campione verniciò ben sei persone con quell’orrida melassa fermentata e alquanto grassa. (con gli schizzi rimanenti farcì gli altri deficienti). Poi passarono in quel sito canne lunghe all’infinito e trascorser settimane senza affanni e senza grane. La Finanza sulla pista non si era mai più vista e tornata era la quiete sotto il larice e l’abete. Certo, é bella la letizia di abitare in amicizia coltivando la maria la più buona che ci sia. Coll’albergo e il ristorante guadagnare del contante e, fumando dietro il banco, intascare qualche franco. Billi Cocco, Luana e Meri son felici più di ieri, son felici nel mattino con in bocca un bel cannino, e già all’alba (che gli piglia?) fanno un collo di bottiglia mentre poi, per digerire fanno un chiloum da svenire e poi servono i clienti con la canna ben fra i denti riservando per la sera quell’erbetta non leggera che ti strona in un momento e ti balla il pavimento. Quando poi han chiuso il bar tiran fuori il samovar che contiene un etto intero del pongoso, amato nero che finisce in un baleno tutto intero, tutto pieno,

a riempir (caramba, olé!) un grandioso narghilè che Luana, Billi e Meri e anche Cocco, volentieri, ci si attaccano a ciucciare e poi vanno a riposare. Ogni tanto tra i clienti che lì passano contenti c’è qualcuno che domanda con la faccia come un bamba che cos’é quel profumino che si sente già al mattino; qualcun altro invece sa e domande non ne fa ed arriva già fornito d’erba e fumo preferito. Così insieme a quei clienti se la fumano contenti raccontando nelle sere fumo e viaggi: storie vere. Chi è tornato da Amsterdam fuma solo quando è in tram, chi nell’India a lungo è stato fuma solo accovacciato, chi è tornato dal Nepàl fuma e viaggia in modo astral, chi ha fumato colombiana non gli basta una banana, a Giacarta un altro è andato a fumar funghi nel prato, e l’amica Ludovica fa fumare anche la fica mentre Gionni di Milano fuma con il deretano; Antonella di Bolzano ha viaggiato più lontano e racconta di un suo viaggio che ci vuole un gran coraggio. Prima in Messico è passata di peyote si è stronata, ha ripreso poi la via con l’aiuto di Maria e l’America Centrale con la nave sul canale e, scendendo sempre a sud, ha cambiato latitud arrivando in fondo al viaggio in un bosco assai selvaggio: d’Amazzonia or la foresta le rintrona nella testa. E non è stato per caso che l’Antò lì volse il naso: molta gente per il mondo che lei viaggia in largo e in fondo le ha parlato di un’erbetta che laggiù cresce perfetta, la più buona e la più forte che giammai toccò per sorte “Yerba Sol” viene chiamata e da tutti è ricercata di quell’erba ognuno sa che un segreto dentro ha: chi ne fuma il fumo nero può volare per davvero!! Quel che l’Anto raccontò non lo posso dire, ohibò, Billi ascolta a bocca aperta Cocco morde una coperta La Luana si trattiene mentre Meri, invece, viene. Ed ognuno ricordava d’altra gente che parlava

di quest’erba prodigiosa che rinfresca la mucosa e la mente rende chiara di pensier per nulla avara e ti viene da volare come un’aquila sul mare mentre voli, voli bello sei più forte d’ogni uccello più veloce, più capace e ti vien l’occhio di brace. Tito un giorno ha raccontato che un parente suo c’è stato per un tempo illimitato più nessuno l’ha incontrato poi da quando è ritornato più lo stesso non è stato. Prima era un gran musone spaccacazzi e rompiglione ora è l’uomo più gentile che si veda nel cortile, e sorride sempre a tutti non s’incazza se gli rutti, ma t’invita a desinare per potere poi fumare ama tutti, tutto il mondo, casa sua sembra il Macondo. Anche il Matto aveva detto che suo zio Beppe Tiretto era stato in quelle terre e parlava sol con l’erre e sembvava tvasfovmato, da quell’evba angelicato. “Se una volta sol la fumi perdi tutti quanti i lumi” dice Beppe tutto rosso (lo capisci che è commosso) “e da allora sei davvero proprio tu, quel tuo io vero.” Anche Cico ne ha parlato un bel giorno dentro un prato coltivato a cannabis per chi ama fare il bis. Di Simona la cugina c’era stata assai vicina e il fratel di Zappalà forse si è fermato là. Queste storie, ed altre ancora che ronzavano ogni ora fanno sì che i nostri amici più non sian tanto felici “Yerba Sol, oh Yerbabuona” è la voce che rintrona che rintrona nella mente e il presente rende assente. Anche se qualche sospetto gli rimane nel cassetto: mai nessun che ne ha fumato con gli amici ne ha parlato ma i racconti che han sentito sempre d’altri han riferito e perfino l’Antonella quell’amabile sorella che c’è andata fin laggiù l’ha annusata, e niente più. Ed rimane il dubbio nero che sia falso, oppure vero che sia tutta una leggenda una balla grossa e orrenda. Ma quel dubbio al nostro Cocco lo fa diventare sciocco mentre Billi, dal mattino, ci ha già fatto un pensierino.

La Luana con la Meri fanno i piani già da ieri per partire, per cercare quell’erbetta d’oltremare. Parla oggi, e poi domani a lor bruciano le mani dalla voglia di partire ”Yerba Sol, sto per venire!” “Qui bisogna far qualcosa, la mia testa non riposa” disse Cocco alla Luana con l’ennesima banana E il gruppetto di sconvolti di progetti ne fa molti e per meglio organizzare non la smette di fumare Quando a un tratto tutti in cerchio un amico un po’soverchio (età: venticinque anni nome in codice: Giovanni) chiede senza troppi strilli al rullante amico Billi: “Perché in vece di quel nero non ti schizzi un po’ di ero? lascia stare l’erba strana quel gran viaggio ch’è una grana! per lontan che tu ti spinga niente è come la siringa!” “Quello schifo nauseabondo merda, rogna, sterco immondo? Quello spurgo dell’inferno che ti succhia dall’interno? Quell’avanzo della fogna può portare sol scalogna! Poi ti stroia, ti rimbomba e ti porta nella tomba. Te lo dico, buon Giovanni io mi piego da cent’anni mi sconvolgo come un ghiro non rifiuto mai un tiro dal chiloum o dalla canna o dal cono (senza panna) ma per quanto voglia farmi te ne prego, non cercarmi con la triste polverina buona sol per la latrina. E ti prego, la tua arte valla a far da un’altra parte.” E così rispose Billi Risoluto. Senza strilli. Dedicando la risposta a chi insiste senza sosta che se tu le canne suchi alla fine poi ti buchi. Pur sentendosi sul bordo, tutti furono d’accordo e incollate sei cartine per un cono senza fine ad un polline ben fresco pronti accesero l’innesco. La mattina successiva questa nostra comitiva con gran lena già si appresta “questa sera si fa festa! Suoni, canti, balli e danze e bevande con pietanze l’immancabile aerosol sesso & droga & rock & roll” Ma al risveglio dal riposo c’è lì un tipo assai curioso: pare un rasta giamaicano dall’aspetto alquanto strano

è lì nudo come un verme quasi assente, quasi inerme nel cortile accovacciato col sorriso rilassato e brandisce nella mano un cannone da sultano. Non ha più neppure un lato che non sia ben tatuato: Donne, sciabole, velieri cuori, sfingi e altri misteri la sua buccia (in fede mia) pare una tappezzeria ed al centro del torace (questo dirvelo mi piace) a grandezza sovrumana una foglia: marijuana. Per di più quel buon fratello tatuato avea l’uccello sulla stecca sempre eretta lui c’aveva una saetta mentre invece sui coglioni lui c’aveva due pistoni e per contro intorno al foro c’era il muso di un gran toro. Disse tosto la Simona “E’ una gran brava persona!” Disse Meri con Luana: “Quant’è grossa la banana!” Disse invece la Lulù: “ Farà bene il su e giù!” Poco dopo aggiunse Anna: “Che gran nerchia e che gran canna! l’una fotte, l’altra brasa... vado a far gl’onor di casa!!” e con passo assai deciso a quel rasta fa un sorriso e con aria assai contenta al quel tipo si presenta. Il suo nome era Vertigo era grande, grosso e figo e con grandi occhi felici salutò tutti gli amici. “Non c’è trucco e non c’è inganno tutti quanti già lo sanno ho girato tutto il mondo amo fica e culo tondo amo femmine e anche maschi amo il primo che ci caschi amo gli alberi e gli uccelli pipe, chiloum e spinelli son cantante e chitarrista da trent’anni sono in pista sono mistico e veggente Molto faccio, chiedo niente mi ha portato qui in collina il mio karma, stamattina” “Se davvero canti bene trattenerti ti conviene! Questa sera, qui sul top ci sarà un concerto pop E’ una cosa un po’ alla buona brava gente, Billi suona (ci faremo delle risa è quattr’anni che non svisa) Lulù e Meri fanno il coro e Luana, voce d’oro farà un pezzo da solista. Ci saremo tutti, in pista Zappalà alla batteria mentre al piano, che follia ci son io, che me la spasso Checco invece suona il basso.

Cico suona le tastiere e Simona, col sedere, fa una danza afrocubana che t’arrizza la banana Anna poi alle percussioni nelle pause fa cannoni. Non farà nulla lo Storto che è piegato come un morto. Gli strumenti li han portati degli amici di Frascati musicisti per lavoro che qui cercano ristoro. Hanno un pacco di strumenti Korg, Yamaha e sacramenti quattro Fender con gli effetti una Gibson per gli eletti congas, cembali, kazoo anche flauti di bamboo. Quegli amici giu del Lazio hanno un gruppo: “Anemic Strazio” noi con boria un po’soverchia ci chiamiamo “Plastik Nerkia” altri gruppi dalla costa porteranno roba tosta: Ci verranno i “ Bangalore” (fanno reggae per due ore) ci saranno i “No petrol!” (fanno solo rock & roll) forse vengono gli “Shock” specialisti dell’hard rock ci saranno i Bumba Bumba (fanno fusion con la rumba) Ci saran gli “Step by step” (fanno sempre e solo rap) ci sarà Rufo Manazza che se svisano s’incazza, ci saranno i “Coito Anale” con un pezzo: “Funerale” Perry Vomito & i Duodeni che faranno “Ho mal di reni” e “Le virgole al Cobalto” canteranno “ho fatto un salto” mentre i “Forcipi Dubbiosi” canteran “Tubercolosi” però i “Cosmic”, che peccato non verranno: han litigato.” Disse Cocco al buon Vertigo “con ‘ste storie, non t’intrigo?” Cominciava a venir gente con il fumo o senza niente tra una canna ed un cannone provan l’amplificazione: “c’abbiam cinquemila watt suoneremo come matt ne abbiam più di cinquemila per venir faran la fila!” Fervono i preparativi per la festa sui declivi e ciascun, nell’aspettar già si sente una rockstar e con questa fantasia si fan joint in compagnia. Verso sera all’imbrunire c’è una piena da impazzire c’è chi vomita sul prato chi non ha ancora fumato c’è chi fuma più di un etto e chi fa solo un tiretto c’è chi prova un poco d’oppio e chi invece vede doppio. C’è chi prova una pastiglia e chi invece c’ha famiglia

chi vuol libano, chi nero chi ne vuole un cono intero chi una caccola gli basta chi si mette accanto al rasta che ha esperienza ed erba buona e poi canta, balla e suona. E si alternano i complessi quelli furbi e quelli fessi c’è chi sleppa come un mago e chi suona con lo spago chi fa Gilmour, chi Jeff Beck chi confonde canna e jack c’è chi ama Jimmy Page e chi vuole la new age quelli sembrano i Nirvana ma son figli di puttana quelli copiano Malmsteen questi altri fanno i Queen c’è chi stona, c’è chi stecca c’è chi scopa e c’é chi lecca ch’é chi ascolta e c’é chi canta chi vuol vino, chi una fanta C’è chi parte e c’é chi resta chi sta triste, chi fa festa. Fino all’alba vanno avanti fatti, musici e cantanti finchè quelle teste cotte si addormentan. Buonanotte. Tardi, dopo mezzogiorno alle case fan ritorno gli sconvolti e i suonatori (sono ancora tutti fuori) e Vertigo, sempre ignudo sta mangiando un fungo crudo che ha trovato lì nel prato se lo mangia coricato e gia spera che quel frutto lo sconvolga, ma di brutto “or mi aspetta la partenza salutatemi, pazienza” ma le sbarbe di quel loco dicon: “resta ancora un poco” chè non sembra a loro vero che quel grande cazzo nero se ne vada per un viaggio senza avercene un assaggio. E così con grande classe si fa tutte quelle nasse Prima Meri, la più troia poi Luana con la foia Poi è il turno di Lulù che ne vuol sempre di più poi Simona che lo anela Anna smorza la candela e alla fine quel fachiro ricomincia tutto il giro: Meri, Luana, la Lulù la Simona a testa in giù mentre l’Anna a gambe all’aria se la fa alla missionaria. I ragazzi sopra il tetto quell’orgasmico gruppetto guardan con indignazione (soprattutto l’erezione) “Ma l’hai vista quella stanga? E’ più lunga di una vanga!” “Ma l’hai visto quel salame? E’ più nero del catrame!” “Quello sembra proprio un treno é più duro del tungsteno!” “Ma la vedi quella fava? guarda, guarda come chiava!”

“Ma l’hai visto quel tamango l’ha più grosso di un orango!” “Ma l’hai visto che bastone? sembra coda di leone! le ragazze l’han gustato l’han di certo misurato e con le misurazioni fanno odiosi paragoni. Questa cosa un po’ ci affanna qui ci vuole una gran canna!” Il Vertigo ringallato dalla fornica nel prato si rivolge ai fumatori che sul tetto stanno fuori e, restando sempre nudo, dice: “Quando chiavo, sudo or per darmi del diletto mi ci vuole un bel culetto un culetto un po’ peloso dentro cui affondare il coso e salendo sul pagliaio con l’aspetto molto gaio con in man l’armamentario dice: “abbiamo un volontario?” I ragazzi in un istante fuggon via da quell’idrante e scongiurano l’amico: “Noi capiamo che sei fico ma il carretto, questo mai è più grande di un tramvai!” “Tuttalpiù” disse lo Storto “se mi apparto dentro l’orto ti fo far quel che ti sazia ma ti prego, fai con grazia che il banano non disdegno basta che non sia di legno” Or va detto che lo Storto era un tipo poco accorto quel che disse ( è elementare) lo diceva per scherzare ma in un lampo, poveretto gli fu fatto un gran carretto dall’amico giamaicano che bramava perfin l’ano. Però, a quel frangente inquieto aggiungiamo un fine lieto: che lo Storto aveva un cruccio giusto un lieve difettuccio un accenno di scoliosi un’inezia, un po’ d’artrosi e per questo, un po’ malato proprio “Storto” era chiamato. Bene, al fin della tenzone quell’enorme budellone con due forti perticate quelle grane avea sanate e alla fine, il derelitto cambiò nome. Ora era “il Dritto”. ( e così, tornando giusto con il culo provò gusto) Alla fin della tenzone quella pia congregazione si distese sul bel prato per fumare il fumo amato ed insieme ricordando come stavan male quando abitavano in città (ora invece eran pascià): “Son lontani i tempi avari sempre a corto di denari quando quello che compravi (cinque grammi) ti bastava

a cercare in notti infrante quella caccola restante. Ora stiam nell’opulenza e giammai restiamo senza; tu puoi scegliere il tuo grog sembra d’essere al Bulldog c’é gran scelta di banani asiatici e africani in mattoni, in pani, in ciuffi tavolette o fiori buffi foglie, cime, mattonelle, in quadretti o in arbanelle; c’è ogni sorta di strumento per fumar bene quel vento e di certo, con pazienza, ci siam fatti un’esperienza e di noi si può star certi che di fumo siamo esperti però adesso al nostro rasta che si è visto, è pederasta, ma che in fatto di fumato si può dire laureato, una nobile questione dobbiam porre, sul cannone: “Tu che hai girato il mondo su per giù da cima a fondo hai sentito mai parlare di quell’erba d’oltremare che ti esplode nello scroto con la forza dell’ignoto? che una sola sigaretta là nel cosmo ti proietta? che se fumi il fumo scuro ti proietta nel futuro? Yerba Sol viene chiamata... Di, Vertigo, l’hai incontrata?.” Poi, seguì un lungo silenzio (forse bevvero l’assenzio) alla fine quel pantera (che un rasta poi non era già volevo dirlo prima ma serviva per la rima) si infilò addosso un paltò e alla fine, poi parlò; disse il rasta a voce roca: “Con quell’erba non si gioca non si gioca una partita lì, ti giochi la tua vita. Sono morti e sotterrati tutti quegli improvvisati che han fumato il fumo nero senza il salto del mistero lì, ci vuol preparazione per fumarsi quel cannone se volete far quel passo rassegnatevi a un salasso. Date retta, non c’è storia c’è da perder la memoria. Yerba Sol non è per tutti! lì, non sai dove ti butti. Però giuro su maria ve lo dico in fede mia che quei pochi che quel fusto han fumato in modo giusto hanno fatto in un secondo un gran flesh dell’altromondo. Non c’è nulla sul pianeta (e nemmen sulla cometa) non c’é nulla sulla terra (nè di pace nè di guerra) nè pasticca nè sostanza nè funghetto nè pietanza

che si può paragonare a quell’erba d’oltremare”. “E Luana esagitata: “Di, Vertigo, l’hai fumata?” “Non lo feci per paura. Quando fui nella radura con le mitiche piantine ed in mano le cartine vidi accanto il cimitero di color che il fumo nero in un tiro aveva spento e fui preso da spavento. Poi mi feci una banana con la ganja giamaicana ma ci avevo il fiato corto. Non c’è dubbio: sarei morto” Me lo dissero quegli indios me lo dissero anche i gringos senza il salto del mistero non puoi farti il fumo nero ma ‘sto salto per il rito cosa sia non l’ho capito. Non ho preso di quel bosco non ne ho preso, ma conosco nomi, fiumi e poi sentieri di quei luoghi forestieri. Là c’è un indio amico mio che vi mena per il rio fino al monte verdeggiante delle beneamate piante; state attenti a quel che dico: il suo nome è Guaranico ma per farsi quel cannone il permesso allo stregone voi dovrete domandare se vorrete ritornare”. Disse Cocco: “Che ci vuole? Spenderemo due parole. Chiederemo anche il permesso a quell’indio vecchio e fesso!” “Tu non far la faccia tosta senti bene la risposta che ti da quello sciamano se non vuoi lasciarci l’ano!” (disse il rasta risentito redarguendolo col dito) “Quando è stato il mio momento ero colto da spavento la risposta non ti esce resti muto come un pesce Se non parli allo sciamano e ti fumi quel banano resti secco là per là (questo ognuno ormai lo sa) neanche fossi un baccalà” “Orpo!” disse Zappalà. “Ma se siete intenzionati a quel viaggio da esaltati se davvero c’è l’intento di fumare quel portento per ridurvi quel disagio voglio farvi il mio presagio con le ossa giamaicane (vale sette settimane)” Ed estratti da una fibbia ulne, femori e una tibia quel veggente giamaicano muove l’osso con la mano e così con grande effetto tira fuori il suo verdetto: Se vorrete ritornare solo in due dovrete andare

Torneranno non divelti solamente i due prescelti di quest’osso avranno un lembo ben nascosto dentro il grembo; una scheggia di quest’osso troverete loro addosso. Sol per loro é l’avventura gli altri fuggan la sciagura. Ecco! sento già la scossa. Me lo dicono le ossa! Su, cercate nelle vesti state attenti, siate lesti! che il prodigio poco dura, forza, agite con premura! Non lasciate nulla intonso che ci occorre quel responso!” Tutti cercan nei vestiti quelle schegge, quei detriti. Della tibia un grande tocco toccò a Billi. Ed anche a Cocco. Per i giorni successivi non c’è pace tra gli ulivi Billi e Cocco son inquieti loro pensano ai segreti che laggiù, nel Mato Grosso si nascondono in un fosso fanno piani, e poi bagagli con cartine e con pendagli per raggiunger quell’erbetta che oltr’ il mare già li aspetta E così con gran coraggio si preparano al gran viaggio al cammino sulla strada per la mitica contrada.

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