Archeo n. 324, Febbraio 2012

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poche perplessità, ma le nuove ricerche sembrano sgombrare il campo da qualsiasi dubbio residuo. La svolta è venuta dalle analisi condotte con il metodo di datazione basato sulla luminescenza otticamente stimolata (OSL), in grado di stabilire il tempo intercorso dal momento in cui le particelle di un sedimento sepolto vengono esposte alla luce solare. Il procedimento è stato applicato a campioni prelevati dal deposito che copriva parzialmente le raffigurazioni e ha permesso di stabilire che la loro età non può essere inferiore, appunto, ai 15 000 anni fa. Ciò vuol dire che mentre uno o piú artisti decoravano le pareti rocciose di Qurta, nel continente europeo, piú o meno nello stesso

momento, altri artisti davano vita alle spettacolari creazioni di siti come Lascaux e Altamira. Una coincidenza che solleva un interrogativo intrigante circa la possibilità che possano esserci stati contatti o reciproche influenze culturali, nonostante la considerevole distanza fra le aree geografiche in questione. È un’ipotesi che sulle prime può sembrare azzardata, ma che

potrebbe rivelarsi invece palusibile, considerando che, all’epoca dell’ultima era glaciale il livello del Mediterraneo era di almeno 100 m inferiore rispetto a quello attuale e, dunque, la conseguente maggiore ampiezza delle terre emerse potrebbe avere facilitato spostamenti e scambi di esperienze fra i gruppi umani stanziati sulle diverse sponde del bacino.

Un castello e il suo mondo a campagna di scavo 2011 sul castello di Piombinara, nel territorio del Comune di Colleferro ha L fornito novità di estremo interesse. Innanzitutto, l’in-

tera area del castello, uno dei siti medievali piú importanti del Lazio meridionale, è stata fatta oggetto di un’indagine geognostica a tappeto. Questa ha evidenziato la presenza di aree di abitazione e strutture difensive non rilevabili a un esame autoptico e sconosciute alle fonti antiche e moderne: spicca, in particolare, l’individuazione della probabile cinta muraria del castello primitivo o del monastero di S. Cecilia, inglobata nel XIII secolo dal piú grande recinto edificato da Riccardo Conti, fratello di papa Innocenzo III. Parallelamente è proseguita l’esplorazione della necropoli, individuata nell’area della chiesa castellana, di cui sono state rinvenute 68 tombe a fossa, con piú di cento individui di varia età e sesso. I corredi delle tombe scavate nel 2011 hanno consentito di distinguere almeno due fasi cronologiche: la prima risalente all’Alto Medioevo, con corredi costituiti perlopiú da anelli e orecchini di chiara derivazione da modelli tardoromani e bizantini; la seconda, legata a inumazioni localizzabili quasi esclusivamente nella zona presbiteriale della chiesa, coeva alla costruzione del castello dei

Conti. Indagine sulle murature della chiesa hanno permesso di rilevare una tessitura muraria alquanto incerta, costituita da blocchi e bozze di tufo di dimensioni variabili, disposti in file non regolari, con numerosi elementi fittili di rincalzo, che la assimila ad altre strutture di culto del territorio, come per esempio la chiesa di S. Ilario Ad bivium, costruita davanti alla catacomba omonima, nel territorio del Comune di Valmontone. Dall’indagine delle fonti, si è pensato di identificare i resti di questa chiesa con quella di S. Nicola, citata nella bolla di papa Lucio III del 1182. (red.)

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