Olivia e il grido della foresta

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LAURE MONLOUBOU

Traduzione di ALESSIA PORTO

A Géraldine per le sue letture attente e le preziose parole di incoraggiamento. E a Bloom, alter ego di Monsieur…

CAPITOLO 1

Olivia aveva otto anni e aveva già traslocato sei volte. Mangiare sei torte al cioccolato, in otto anni, è poco; lavarsi i denti sei volte è davvero molto poco; ma cambiare sei case, considerata l’età di Olivia, è tanto. Traslocare così spesso l’aveva portata ad avere solo lo stretto necessario: la sua stanza entrava tutta in una valigia. Così, quando la mattina, nel bel mezzo della colazione, suo padre Bernard si alzava e annunciava: “Mie care, si riparte all’avventura!”, a Olivia bastava raccoglie re i quaderni, l’astuccio, i quattro libri illustrati,

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la scatola di matite colorate, il coniglio blu, le cin que carte da gioco, la bambola Mirette, un dado, ed era pronta! Bernard smontava la libreria in salotto; Fedora, la mamma, ingurgitava la sua tazza di tè, la riponeva in un cartone insieme alla teiera, ancora piena di un infuso russo che spandeva un delizioso profumino natalizio all’arancia, abbracciava il marito, svuotava il frigo, riempiva la borsa termica, sistemava i vestiti in una scatola, richiudeva le sedie da campeggio e si rifaceva lo chignon. Bernard le mandava un bacio e caricava tutto in macchina; poi legavano il divano sul

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tetto dell’auto, ammucchiavano i materassi sul sedile posteriore, ci piazzavano sopra la lettiera di Monsieur e finalmente tutti a bordo, vento in poppa. Pronti? All’arrembaggio!

E così si ritrovavano tutti e tre sul sedile davanti della vecchia Peugeot giardinetta del 1957, ereditata da una prozia assai moderna per quell’epoca. E lasciandosi alle spalle la loro precedente vita, si dirigevano verso nuovi orizzonti…

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CAPITOLO 2

Questa storia comincia così, in un mattino di partenza: Olivia aveva appena finito di mangiare la sua fetta di pane burro e marmellata e Fedora di mettere in infusione il tè, quando Bernard, che aveva già bevuto il suo caffè, aveva dichiarato: “È ora di andare!”. Quando lo aveva visto tirar fuori gli scatoloni, Olivia aveva capito. In un attimo la vecchia giardinetta fu riempita fino a scoppiare. Monsieur aveva i baffi tutti arruffati, non diceva nulla ma la situazione lo innervosiva un pelino. Olivia aveva già preparato la sua piccola valigia, e la sua camera, cioè ex-camera, era ormai qua

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si vuota: rimanevano soltanto la struttura di un letto bianco e un armadio dello stesso colore. Per la settima volta, si ritrovavano tutti e tre sul sedile davanti della macchina, per la settima volta si mettevano in viaggio e, come sempre, Olivia si chiedeva con una certa eccitazione: verso dove?

Avevano già sperimentato la comodità di un cottage inglese, lo spazio angusto di una soffitta parigina, la modernità di una casa di design (con piscina), la semplicità di un bungalow vicino all’oceano, la maestosità di un freddissimo castello, la tranquillità di uno chalet sotto la neve, e infine, la praticità di un trilocale con cucina ar redata al dodicesimo piano di un palazzo costru ito nel 1972. Dove sarebbero finiti questa volta?

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In fondo, non era poi così importante per Oli via, perché quello che più le piaceva era ritrovarsi seduta tra mamma e papà, a guardare i paesaggi, le città, i villaggi e le persone che sfilavano ai bordi della strada. Le piaceva quando calava la sera e le stelle apparivano oltre il grande parabrezza e, vedendole brillare, immaginava che in un attimo la macchina avrebbe preso il volo e il padre avrebbe scovato una bella casetta sulla luna. Si addormentava così, con la guancia appoggiata al braccio della mamma, che senz’altro raccontava delle storie al papà.

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“Eccoci!” esclamò Bernard.

Olivia dormicchiava ancora, un raggio di sole le solleticava le palpebre e cercava, con dolcezza, di farle aprire gli occhi.

“Questa casa è magnifica! È ancora più bella che sulla foto!” disse il papà che, bisogna ammetterlo, aveva un’incredibile capacità di stupirsi ed entusiasmarsi nonostante non fosse più tanto giovane (andava per i trentotto anni).

“È straordinaria, Bernard!” cinguettò Fedora, anche lei abbastanza incline a lasciarsi trasportare dall’immaginazione.

“Ah Fedora, ero sicuro che ti sarebbe piaciuta!” rispose lui dandole un bacio, poi si voltò verso la figlia.

Olivia era scesa dalla macchina e contemplava l’edificio che aveva di fronte: non aveva mai visto nulla di simile, se non nei libri di fiabe o nei rac conti fantastici. Ed era tra i più bizzarri e stupe facenti: tutto sbilenco e scalfito dal tempo, dalla

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pioggia e dal sole. Aveva finestre ovunque! Gran di, piccole, tonde, allungate, schiacciate, arcuate, ovali, triangolari, aperte e chiuse! C’erano tre piani, un balcone al secondo, e una torre in cima. Chi non ha mai sognato di vivere in una casa con una torre? Era una torre con il tetto di tegole, incredibilmente appuntito, che terminava con un’asta sormontata da una banderuola da cui a sua volta sventolava un drappo con sopra un disegno che Olivia da laggiù non riusciva a vedere bene.

“Andiamo, tesori miei!” gorgheggiò Bernard,

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