Il passo di ciascuno

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Henri Meunier & Régis Lejonc

Il passo di ciascuno

Un racconto di montagna

Traduzione di Maria Bastanzetti

on ti piace la mia casa? È vero, i muri non sono dritti. Le travi sono grezze. Dalle assi del pavimento sale l’odore acre degli animali. Ma la sera le cime delle montagne si stendono sulla mia piccola finestra. Il sole, esausto, viene a dormire proprio qui. E vedi, amico, per te sarà una stanzetta angusta, ma io, il sole e la montagna ci viviamo insieme da sempre. E non stiamo affatto stretti.”

“Non sono tuo amico”, ringhiò l’assassino. “E attento a quello che fai, o sei un uomo morto.”

Avrebbe voluto che quella frase suonasse secca. Secca e definitiva. Come il tintinnio della pallottola che il pastore aveva gettato nella scodella dopo avergliela estratta dalla coscia. Ting.

Ting, e poi silenzio.

Però il pastore se ne fregò altamente di quella frase, e restò concentrato sul suo lavoro di cucito.

“Ma lo sai chi sono io?” aggiunse l’assassino.

Sapeva di essere alla mercé del pastore. Avrebbe voluto convincerlo del contrario, per potersi abbandonare più sereno alla febbre alta che lo intontiva.

“Sei un uomo ferito”, rispose il pastore. “E smettila di agitarti, stupido, che ti sto ricucendo.”

Ting.

N

Era spuntato il giorno. Febbricitante, l’assassino si alzò con grande fatica. La fasciatura si arrossò. Era troppo presto, non poteva ancora mettersi in cammino. Fu assalito da un’angoscia più tagliente del dolore. Il pastore non c’era. È andato a denunciarmi alle camicie grigie, pensò. Gli venne in mente di fuggire, ma il pavimento gli scappò sotto i piedi. Gli si rovesciarono gli occhi, emise un rantolo rauco e perse conoscenza.

Quando l’abbaiare del cane lo svegliò per la seconda volta, era di nuovo sdraiato nel letto. Le bende erano state cambiate. Su uno sgabello lo aspettavano una brocca, un pezzo di formaggio e una fetta di pane nero. Bevve un sorso d’acqua. Contro il muro, a portata di mano, era appoggiata una rozza stampella. La prese. A passi incerti, raggiunse la porta che si apriva sulla montagna. Il tempo di abituarsi all’intensa luce degli alpeggi, e vide il pastore seduto sulla catasta di ciocchi addossata alla parete della casa. In pieno sole.

“Ho dormito tanto?” gli chiese.

“Quasi due giorni.”

“Appena starò un po’ meglio, mi farai valicare la montagna.”

“Non lo so. Ci devo pensare.”

“Non era una domanda.”

“Per me sì.”

Il pastore bevve un sorso di latte di pecora direttamente dal secchio in cui l’aveva munto. Poi lo passò all’assassino.

“Chiunque tu sia, la montagna è più pericolosa di te.”

“Hai paura di valicare la montagna?”

“Sì”, rispose il pastore.

“Solo perché non conosci gli abissi da cui provengo, non sai niente di ciò che succede giù”, azzardò l’assassino.

“Non ignoro affatto l’esistenza dei fascisti che ci sono giù. Per il momento, sono loro che ignorano la mia. Tu, invece, non sai niente della montagna, è evidente”, lo rimbeccò il pastore.

“Le vette non m’interessano. È l’altro versante a cui punto. Da questa parte per me è finita.”

“Vette, abissi: ti riempi la bocca di paroloni”, commentò il pastore.

“Le parole sono armi.”

“Non mi piacciono le armi. Le parole sono parole e basta. E le parole sono sempre ambigue”, tagliò corto il pastore, alzandosi.

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