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UN DISIMPEGNO IMPEGNATO
Filippo La Porta
Nessun impegno sociale esonera lo scrittore dalla probità del mestiere che consiste nell’uso onesto dell’intelletto (I. Silone, 1957)
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In una Città libera, a mio parere, deve esserci posto anche per la Torre d’avorio (I. Silone, 1963)
Ignazio Silone ebbe importanti incarichi nel Partito Comunista Italiano, poi negli anni Trenta, dopo una drammatica rottura, ha smesso di fare politica attiva, salvo una milizia assai più blanda nei vari partiti dell’area socialista, a partire dal 1941 (della quale si trovano pochi cenni nella sua opera): il suo impegno politico e civile, inteso nella accezione più ampia (di responsabilità verso la polis) l’ha continuato in altri modi, e specialmente attraverso la scrittura, sia narrativa che saggistica, e attraverso la direzione della più bella rivista italiana del dopoguerra, «Tempo Presente» (insieme a Nicola Chiaromonte).

1.Il fascino discreto del disimpegno Anzitutto una premessa autobiografica. Oggi, voglio confessarlo, mi attrae sempre più il disimpegno. Insomma, dopo una esistenza variamente “impegnata” dal punto di vista politico − con punte di “militanza” ferocemente settaria negli anni Settanta −, mi sento ora attratto dal disimpegno. In che senso? Disimpegno non come qualunquismo e indifferenza nei confronti degli altri. Semplicementecome il rifiuto di qualsiasi dover-essere, di ogni obbligo morale superiore, magari imposto dalla presunta Necessità della Storia (che poi qualcuno presume di essere l’unico a interpretare), e insieme l’affermazione di un’autonomia e indipendenza intellettuale, di una inviolabile libertà dell’individuo fondata sulla inappartenenza (una