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QUADRIMESTRALE DI INFORMAZIONE SCIENTIFICA ANNO 3 - N.3 - OTTOBRE 2012 AUT. N. 305 - 2009 TRIBUNALE DI ROMA

IN QUESTO NUMERO:

l Impiego di prodotti fitoterapici

nel controllo delle complicanze post operatorie in pazienti sottoposti ad estrazione del terzo molare mandibolare

l Fasi protesiche provvisorie

nel carico immediato del mascellare superiore: presentazione di un caso clinico

l Ricostruzione di atrofie mascellari mediante innesti in blocco di osso autologo a prelievo intraorale

www.symposiumodontoiatrico.it



SOMMARIO

SYMPOSIUM ODONTOIATRICO

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Editoriale

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Impiego di prodotti fitoterapici nel controllo delle complicanze post operatorie in pazienti sottoposti ad estrazione del terzo molare mandibolare

di Andrea Possenti

QUADRIMESTRALE DI INFORMAZIONE SCIENTIFICA www.symposiumodontoiatrico.it REGISTRAZIONE Tribunale di Roma N.305 del settembre 2009 DIREZIONE SCIENTIFICA

di Andrea Possenti - Di Iorio

Dott. Andrea Possenti COMITATO SCIENTIFICO

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Prof. Luca Testarelli

Fasi protesiche provvisorie nel carico immediato del mascellare superiore: presentazione di un caso clinico

Prof. Vincenzo Rocchetti

di Borgonovo Andrea Enrico

Prof. Emilio Govoni Prof. Emanuela Ortolani

Prof. Roberto Di Giorgio Prof. Pietro Vettese Prof. Vincenzo Bucci Sabatini

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COMITATO DI REDAZIONE

Flessibilità chirurgica: la gestione ottimale delle strutture ossee esistenti. di Stefano Tiroli

Dott. Luigi Genzano Dott.Cristiano Grandi Dott. Maurizio Fabi

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DIRETTORE RESPONSABILE Area Scientifica: dott. Donato Di Iorio

Ricostruzione di atrofie mascellari mediante innesti in blocco di osso autologo a prelievo intraorale di Giacomo Tarquini

Area Clinica: dott. Paolo Pianta DIREZIONE EDITORIALE Dr. Mihaela Roman COORDINAMENTO EDITORIALE

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Paolo Andrisani REDAZIONE, PUBBLICITA’ E ABBONAMENTI

Split crest con il metodo piezosurgery®: espansione di una cresta alveolare stretta econtemporaneo inserimento implantare di Walter Wille-Kollmar

Dr. Cristiana Roman info@symposiumodontoiatrico.it tel./fax. 0761.422575 - 3930278061

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cell.: 3926784682

di Alfredo Tursi

EDITORE BEST MICRO S.R.L. S.P Piansanese 11, 01018 Valentano (VT) tel./fax. 0761.422575

Hawai, dove gli elementi si danno battaglia

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Norme redazionali

STAMPA Tipografia Artigiana-Roma

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EDITORIALE

ormalmente la fine dell’estate coincide con l’inizio per tutti noi dell’anno lavorativo; settembre ed ottobre sono i mesi in cui l’odontoiatra programma il suo lavoro: nuovi pazienti,nuovi acquisti di macchinari (vedi l’expo di Milano ad ottobre), programmazione di congressi e quindi attività di apprendimento e quant’altro ancora. Questo periodo, nel corso della mia attività me lo ricordo come una fase elettrizzante, carica di aspettative e di programmi entusiastici. Purtroppo la crisi economica che ormai da anni colpisce il nostro paese fa sì che il periodo autunnale sia carico di nubi, non solo di pioggia, ma soprattutto sul nostro futuro professionale. Ma come già altre volte in questi editoriali ho avuto modo di esprimere, non dobbiamo farci abbattere dal pessimismo, anzi. La mia passione per la medicina alternativa mi ha impegnato negli ultimi anni in una battaglia per la sua divulgazione ed affermazione nel giusto rispetto della terapia convenzionale, ha ricevuto nei giorni scorsi un imput notevole. Infatti mi sono arrivati i risultati preliminari dell’utilizzo di un gel fitoterapico su un gruppo di pazienti paradontalmente compromessi che mi hanno letteralmente e nuovamente entusiasmato (il lavoro preliminare è documentato all’interno della rivista) facendomi dimenticare le problematiche di cui detto prima. Riallaciandomi con quello detto all’inizio dico che non dobbiamo farci prendere dallo sconforto ma soprattutto continuare a credere in quello che facciamo ed andare avanti perché le soddisfazioni, come diceva mia madre, arrivano sempre.

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Scienza

IMPIEGO DI PRODOTTI FITOTERAPICI NEL CONTROLLO DELLE COMPLICANZE POST OPERATORIE IN PAZIENTI SOTTOPOSTI AD ESTRAZIONE DEL TERZO MOLARE MANDIBOLARE Andrea Possenti*, Donato Di Iorio § * Università Degli Studi di Roma “La Sapienza” C.L.I.D. di Isernia § Università Degli Studi “G d’Annunzio” Di Chieti – Pescara Dipartimento Di Scienze Mediche, Orali E Biotecnologiche Direttore Prof. S Caputi. Introduzione La guarigione di un alveolo post estrattivo passa attraverso la formazione di un tessuto di granulazione il quale viene sostituito, nelle fasi più avanzate della guarigione, da tessuto osseo. Nelle sue fasi iniziali, il processo di guarigione è molto sensibile agli insulti di natura sia meccanica, sia microbiologica. L’infezione di un sito post estrattivo può, infatti, determinare il rallentamento ovvero, nei casi più severi, l’arresto della guarigione con l’instaurarsi di un quadro di alveolite. La clorexidina, applicata localmente sotto forma di colluttorio o di gel, rappresenta l’antibatterico forse più

largamente impiegato nella pratica clinica: essa agisce provocando la lisi cellulare mediante un aumento della permeabilità della parete batterica; la sua azione, pertanto, è più efficace nei gram positivi rispetto ai gram negativi; è stata riconosciuta, inoltre, la sua azione nei confronti della candida. Diversi autori ne suggeriscono l’impiego nel trattamento delle tasche parodontali (1) e delle alveoliti (2), così come nella prevenzione delle gengiviti e della formazione di placca sopragengivale (3). Da uno studio clinico condotto su settanta pazienti che necessitavano dell’estrazione del terzo molare inferiore risulta, inoltre, che l’inserimento di

Riassunto L’infezione di un sito post estrattivo può determinare il rallentamento ovvero, nei casi più severi, l’arresto della guarigione con l’instaurarsi di un quadro di alveolite. La clorexidina, applicata localmente sotto forma di colluttorio o di gel, rappresenta l’antibatterico forse più largamente impiegato nella pratica clinica. L’impiego, per tempi prolungati, di clorexidina si associa alla comparsa di pigmentazioni a carico della dentatura residua e dei restauri, xerostomia ed ulcerazioni della mucosa orale. Essa, inoltre, può rallentare i processi di guarigione in quanto esercita una azione inibitoria sulla divisione cellulare e sulla sintesi proteica; tale azione appare più evidente nelle ferite che coinvolgono il tessuto osseo rispetto a quelle che coinvolgono i soli tessuti molli. Di recente è stato sviluppato un gel fitoterapico per uso odontoiatrico (Tacki Quik Lipogel®) la cui composizione vede la coesistenza di prin-

spugnette di fibrina intrise di clorexidina nell’alveolo post estrattivo riduce il dolore post operatorio e le complicanze (4). Da uno studio condotto su di un campione di 411 dentisti norvegesi (5) emerge che il 53% di essi prescrive ai propri pazienti l’impiego di clorexidina per brevi periodi, normalmente dopo l’esecuzione di interventi chirurgici, mentre solo il 5% di essi ne consiglia l’impiego per tempi più lunghi. Il dato più interessante appare, comunque, quello relativo agli effetti collaterali prodotti dall’impiego di clorexidina: la comparsa di pigmentazioni a carico della dentatura residua, così come dei restauri appare essere la compli-

cipi attivi estratti da circa dieci piante medicinali diverse. Il composto presenta azione antimicrobica ed anti infiammatoria ma, a differenza di altri prodotti, possiede capacità stimolanti nei confronti delle cellule progenitrici dei tessuti connettivi, in particolare il tessuto osseo e del tessuto epiteliale. Scopo del presente lavoro è di valutare la comparsa di complicanze post-operatorie in due gruppi di pazienti sottoposti ad estrazione del terzo molare mandibolare in disodontiasi, trattati con clorexidina 0,2 % vs. Tacki Quik Lipogel®. Dal presente studio si evince che l’impiego del gel fitoterapico ha prodotto, rispetto all’impiego della clorexidina, una riduzione sia del dolore post-operatorio riferito dai pazienti, sia delle complicanze legate alla infezione del sito post-estrattivo. Parole Chiave: Fitoterapia; complicanze post-operatorie; dolore postoperatorio

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Fig. 1: Radiografia pre-operatoria Fig. 2: Incisione del lembo di accesso Fig. 3: Alveolo post-estrattivo

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canza più ricorrente. Dallo studio norvegese emerge, inoltre, che l’impiego di clorexidina può associarsi alla comparsa di xerostomia e di ulcerazioni della mucosa orale. Più contraddittoria appare, invece, l’azione della clorexidina sui meccanismi di riparazione tissutale: da uno studio in vitro condotto su colture di fibroblasti umani appare che la clorexidina, già a concentrazioni dello 0,002%, eserciti una azione inibitoria sulla divisione cellulare e sulla sintesi proteica (6). Da lavori in vivo (7,8) condotti sul modello animale si evince, inoltre, il fatto che l’azione di ritardo esercitata dalla clorexidina nei confronti dei fenomeni di guarigione delle ferite è proporzionale alla concentrazione alla quale essa viene utilizzata. Ma il dato più significativo appare quello relativo al fatto che l’azione di ritardo esercitata nei confronti dei processi riparativi appare più evidente nelle ferite che coinvolgono il tessuto osseo rispetto a quelle che coinvolgono i soli tessuti molli. Il meccanismo sarebbe da ricondurre ad un effetto diretto di inibizione della mitosi cellulare e della sintesi proteica; il meccanismo è dose dipendente e, già ad una concentrazione dello 0,12%, si assiste ad una riduzione del 27,3% della proliferazione cellulare e del 98,8% della sintesi di collagene da parte di fibroblasti umani (9). In un passato relativamente recente si è cercato, pertanto, di impiegare principi attivi alternativi e, tra questi, i prodotti fitoterapici hanno trovato un largo impiego in quanto considerati più sicuri. La persica (Salvadora Persica) rappresenta un prodotto largamente impiegato in Medio Oriente; si ritiene che essa rilasci fluoro, vitamina C, calcio ed è stata, inoltre, documentata la sua azione inibitoria verso gli streptococchi. Ad ogni modo, l’impiego di persica ad alte concentrazioni esercita una azione tossica nei confronti dei macrofagi, dei fibroblasti, degli osteoblasti e delle cellule epiteliali, il che equivale a dire che essa, similmente alla clorexidina, potrebbe indurre un ritardo nei processi riparativi (8;10). Lippia Sidoides e Myracrodruon Urundeuva rappresentano, invece, due erbe medicinali molto diffuse in Brasile; la prima presenta azione antibatterica in quanto il suo estratto è ricco di timolo e di carvacrolo. M. Urundeuva, invece, essendo ricca di


tannini e flavonoidi, esercita una azione antiinfiammatoria (11). Le specie medicinali citate sono spesso presenti in commercio come componenti unici di colluttori o gel parodontali. Di recente, invece, è stato sviluppato un gel per uso odontoiatrico (Tacki Quik® Lipogel, BEST MICRO s.r.l., Valentano, VT) la cui composizione vede la coesistenza di principi attivi estratti da circa dieci piante medicinali diverse, tra le quali Chamomilla Matricaria; Citrus Limonum; Lavanda Angustifolia; Pelargonium Graveolens; Calendula Officinalis; Hipericum Perforatum; Semi Di Pompelmo; Echinacea Angustiforia; Prunus Dulcius; Equiseto Arvensis. Il composto presenta azione antimicrobica ed anti infiammatoria ma, a differenza di altri prodotti, possiede capacità stimolanti nei confronti delle cellule progenitrici dei tessuti connettivi, in particolare il tessuto osseo, e del tessuto epiteliale. Un precedente studio in vitro condotto presso l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna “Bruno Ubertini” ha evidenziato che il prodotto stimola l’attività mitotica dei fibroblasti e delle cellule epiteliali. Scopo del presente lavoro è di valutare la comparsa di complicanze post-operatorie in due gruppi di pazienti sottoposti ad estrazione del terzo molare mandibolare in disodontiasi, trattati con clorexidina 0,2 % vs. Tacki Quik Lipogel®. Materiali e metodi Per il presente studio sono stati selezionati 28 pazienti di età compresa tra i 21 ed i 34 anni (15 maschi; 13 femmine) che presentavano almeno un terzo molare inferiore in inclusione osteo-mucosa parziale destinato ad essere estratto. I pazienti inclusi nello studio mostravano un buon livello di igiene orale e non presentavano, nel sito di intervento, focolai di infezione a carico dei tessuti molli peri-coronali ovvero del tessuto osseo peri-radicolare. Sono stati selezionati, inoltre, i pazienti che all’anamnesi riferivano di non essere affetti da patologie sistemiche di rilievo; di non aver condotto alcuna terapia sistemica con antibiotici nei sei mesi precedenti e di non fare abitualmente uso di colluttori. I pazienti sono stati suddivisi in due gruppi di uguale numerosità denominati Gruppo Test e Gruppo Controllo. Ciascuno dei 28 pazienti

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Fig. 4: Inserimento di Tacki Quik® Lipogel nell’alveolo post-estrattivo Fig. 5: controllo in terza giornata in un paziente del Gruppo Test Fig. 6: controllo in settima giornata in un paziente del Gruppo Test

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Fig. 7: controllo radiografico in un paziente del Gruppo Test

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selezionati è stato informato circa le finalità dello studio ed ha fornito il proprio consenso. Protocollo chirurgico La cute peri-orale di ciascun paziente è stata disinfettata tramite l’impiego di iodopovidone al 10% (Betadine, Purdue Pharma, Stamford, CT); l’anestesia locale è stata indotta mediante il blocco del nervo alveolare inferiore e del nervo linguale con articaina 40 mg/ml + adrenalina 5 g/ml (PierrelS.p.A., Milano, Italia) oltre che mediante l’infiltrazione dei tessuti molli pericoronali. Si è proceduto alla incisione di un lembo muco-periosteo esteso, anteriormente, sino al sesto dente; il lembo è stato, quindi, sollevato al fine di esporre la corona del dente da estrarre (fig. 1;2;3). L’osteotomia è stata condotta mediante l’impiego di una fresa a rosetta (Komet, Lemgo, Germany) montata su un manipolo dritto e raffreddata mediante fisiologica; nei casi in cui l’operatore lo ha ritenuto necessario, è stata eseguita una odontotomia al fine di facilitare l’avulsione dell’elemento. Dopo l’estrazione si è proceduto a lavare l’alveolo con abbondante soluzione

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fisiologia al fine di rimuovere gli eventuali detriti di tessuto osseo e/o dentale; mediante ispezione visiva si è cercata la presenza di spigoli ossei derivanti dalla osteotomia eseguita in precedenza e si è provveduto alla loro eliminazione mediante l’impiego di una fresa a rosetta (Komet, Lemgo, Germany) raffreddata con soluzione fisiologica. Ai pazienti appartenenti al gruppo di controllo è stata inserita una spugnetta di fibrina (Spongostan®, Ethicon Inc, NJ, USA) nell’alveolo post-estrattivo; si è proceduto, quindi, a chiudere la ferita chirurgica mediante punti staccati in seta 3-0. A ciascuno dei pazienti appartenenti al gruppo di controllo è stato prescritto, inoltre, l’impiego locale domiciliare di un gel a base di clorexidina 0,2 % (Corsodyl, SmithKline Beecham, Brentford, Middlesex, U.K.) 3 volte/die per una settimana. L’alveolo post-estrattivo dei pazienti appartenenti al gruppo test, invece, è stato riempito con Tacki Quik® Lipogel (BEST MICRO s.r.l., Valentano, VT) e la ferita chirurgica è stata chiusa, anche qui, mediante punti staccati in seta 3-0 (fig. 4). A

ciascun paziente è stato prescritto l’impiego locale domiciliare di Tacki Quik® Lipogel (BEST MICRO s.r.l., Valentano, VT) 3 volte/die per una settimana. Ai pazienti appartenenti ad entrambi i gruppi è stato prescritto, infine, di eseguire le normali manovre di igiene orale. I pazienti sono stati controllati in terza e settima giornata; durante i richiami sono stati valutati i seguenti parametri: 1. dolore post-operatorio; questo parametro è stato valutato mediante l’impiego della scala VAS (Visual Analog Scale) (12): a ciascun paziente è stato chiesto di attribuire un valore numerico compreso tra “0” e “10” alla esperienza nocicettiva sperimentata nei giorni precedenti. Durante l’intervista, ma prima che il paziente fornisse una risposta, gli veniva suggerito che l’assenza di dolore percepito era quantificabile in “0”; la percezione di un dolore “lieve” o “moderato” erano quantificabili con un numero compreso, rispettivamente, tra 1-3 e 4-6; la percezione, infine, di un dolore considerato dal paziente come “severo”, “insopportabile” ovvero da egli stesso descritto come il “peggior dolore” era quantificabile con un numero compreso tra 7-10. 2. presenza o assenza del coagulo. La valutazione è stata eseguita mediante esame clinico ed il dato veniva registrato come “coagulo presente” o “coagulo assente”. 3. esposizione del tessuto osseo alveolare. La valutazione è stata eseguita mediante esame clinico ed il dato veniva registrato come “tessuto osseo esposto” o “tessuto osseo non esposto”. I dati ottenuti sono stati registrati e sottoposti ad analisi statistica. Risultati L’età media dei pazienti appartenenti al gruppo di controllo era pari a 27,5 ± 4,57 anni (range 21-34; 8 femmine, 6 maschi), mentre i pazienti del gruppo test avevano una età media pari a 27,35 ± 4,38 anni (range 21-34; 5 femmine, 9 maschi). La durata media dell’intervento, calcolata dal momento in cui si iniziava a scolpire il lembo al momento in cui si iniziava ad eseguire la sutura dei lembi, è stata pari a: 34,28 ± 16,50 minuti (range 15 – 70 minuti) nei pazienti del gruppo di controllo; 35,0 ± 17,43 minuti (range 15 – 65 minu-


ti) nei pazienti del gruppo test. La tabella 1 riporta i risultati percentuali relativi alla percezione del dolore post-operatorio nei sette giorni seguenti l’estrazione: il 7,14% ed il 14,28% dei pazienti appartenenti al gruppo di controllo riferisce, rispettivamente in terza ed in settima giornata, la percezione di un dolore ritenuto di “lieve” entità. Nel gruppo test, invece, in terza giornata il 42,85% riferisce la percezione di un dolore post-operatorio “lieve”; il dato raggiunge un valore del 71,42% in settima giornata. La percezione di un dolore “severo” viene riferita in terza giornata dal 50% ed in settima giornata dal 28,75% dei pazienti appartenenti al gruppo di controllo. La medesima percezione è riferita, in terza giornata, dal 21,42% dei pazienti appartenenti al gruppo test; questo dato scende al 7,14% in settima giornata. La percezione di un dolore “moderato” è stata riferita, in terza ed in settima giornata, dal 42,85% e dal 57,14% dei pazienti appartenenti al gruppo di controllo; dal 35,71% e dal 21,42% dei pazienti appartenenti al gruppo test. Il coagulo (Tab 2) era presente, in terza ed in settima giornata, rispettivamente nel 71,42% e nel 78,57% dei pazienti appartenenti al gruppo di controllo; nel 85,71% e nel 100% dei pazienti appartenenti al gruppo test. Nel 28,57% dei pazienti appartenenti al gruppo di controllo si è rilevata, in terza giornata, l’esposizione del tessuto osseo alveolare; questa percentuale è scesa al 14,28% in settima giornata. In nessuno dei pazienti appartenenti al gruppo test, infine, si è rilevata esposizione del tessuto osseo alveolare (Tab 3) (fig. 5;6;7). Discussione Il presente lavoro è stato condotto su di una popolazione di soggetti a cui è stata pianificata l’estrazione di un terzo molare mandibolare in inclusione osteo-mucosa parziale non sintomatico. Si è trattato per lo più di pazienti fortemente motivati ad estrarre il dente del giudizio in via preventiva, ovvero di pazienti a cui era stato pianificato un successivo trattamento ortodontico. La scelta di escludere dallo studio i soggetti che presentavano un quadro di pericoronarite conclamata o che presentavano, all’esame radiografico, delle lesioni peri-apicali è stata dettata dal fatto che la eventuale assun-

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Tab. 1: Percezione del dolore post-operatorio in terza ed in settima giornata Tab. 2: Presenza/assenza del coagulo in terza ed in settima giornata

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zione di antibiotici e/o anti-infiammatori sistemici da parte dei pazienti arruolati nello studio avrebbe potuto alterare i risultati della sperimentazione; la necessità, inoltre, di evitare ogni forma di premedicazione

nella fase pre-operatoria, così come la necessità di evitare ogni forma di terapia sistemica con antibiotici o anti-infiammatori nel post-operatorio ci ha portati a selezionare il campione presso una popolazione di

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Tab. 3: Esposizione del tessuto osseo in terza ed in settima giornata

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soggetti in buono stato di salute generale. Probabilmente questo fatto ha determinato, da una parte l’abbassamento dell’età media dei soggetti inclusi nello studio, rispetto all’età media dei pazienti arruolati in altri studi simili; dall’altra ha, forse, rappresentato in maniera implicita la ragione per cui, nel presente studio, solo in una percentuale relativamente bassa di pazienti si è verificata la lisi del coagulo e l’esposizione del tessuto osseo alveolare nell’immediato post-operatorio. Il livello di dolore percepito dal paziente nel post-operatorio ha rappresentato un elemento importante del presente studio: quantificare il dolore percepito da una persona è cosa molto difficile; il dolore in quanto tale, infatti, rappresenta il prodotto della interazione dello stimolo nocicettivo con la componente emozionale del soggetto: il risultato di tale interazione è fortemente influenzato dal substrato culturale del paziente, così come dal suo stato d’animo. Per questa ragione la medesima esperienza algogena può essere vissuta da alcuni pazienti come sensazione disagevole ma compatibile con le normali attività quotidiane; da altri, invece, viene vis-

suta come vera e propria sofferenza e può, in essi, generare uno stato emotivo alterato che si esprime, spesso, con senso di paura o minaccia. Nel presente studio si è cercato, pertanto, di quantificare il dolore percepito dal paziente scindendo, per quanto possibile, l’aspetto meramente sensoriale dagli aspetti legati alla componente emozionale ed affettiva dei pazienti mediante l’impiego della scala VAS. Per lo stesso motivo si è deciso di arruolare nei gruppi controllo e test pazienti diversi e si è deciso di estrarre, ai fini dello studio, un solo dente del giudizio. In questo caso, uno studio “split-mouth” in cui lo stesso paziente partecipava all’esperimento con entrambi i denti del giudizio mandibolari, una volta come controllo ed una volta come test, avrebbe potuto fornire, a nostro avviso, dei risultati alterati in termini di quantificazione del dolore percepito. Il giudizio sul post-operatorio della seconda estrazione, infatti, sarebbe stato influenzato dall’esperienza vissuta nel post-operatorio relativo alla prima estrazione, magari eseguita poche settimane prima. L’esperienza algogena ha accompagnato il post-operatorio di tutti i

pazienti, ovvero appartenenti sia al gruppo di controllo, sia al gruppo test: relativamente alla terza giornata, il dato più interessante ci sembra essere quello relativo al fatto che il dolore “severo” sia stato sperimentato da metà dei pazienti appartenenti al gruppo di controllo e da circa un quinto dei pazienti appartenenti al gruppo test, mentre un dolore lieve sia stato avvertito solo dal un paziente appartenente al gruppo di controllo e da quasi la metà dei pazienti appartenenti al gruppo test. Anche in settima giornata la percentuale di pazienti che riferisce un dolore “severo” è maggiore nel gruppo di controllo rispetto al gruppo test, al contrario di ciò che accade per i pazienti che riferiscono un dolore di lieve entità. La scelta di valutare la presenza/assenza del coagulo e la eventuale esposizione del tessuto osseo è stata condotta con lo scopo di monitorare la guarigione dei tessuti durante i sette giorni successivi all’intervento; in terza giornata in quattro pazienti appartenenti al gruppo di controllo si è rilevata l’assenza di un coagulo organizzato con esposizione del tessuto osseo. In tre pazienti il problema era presente anche in settima giornata, e due di essi presentavano ancora il tessuto osseo alveolare esposto. Nel gruppo test, invece, solo due pazienti, in terza giornata, si presentavano con un alveolo vuoto. La situazione clinica rientrava nella norma in settima giornata e, inoltre, in nessuno dei pazienti appartenenti al gruppo test si è verificata la esposizione dell’osso alveolare. L’impiego del gel fitoterapico ha prodotto, rispetto alla sola clorexidina, una riduzione sia del dolore postoperatorio riferito dai pazienti, sia delle complicanze legate alla infezione del sito post-estrattivo. Questo dato trova un razionale nella azione antimicrobica, anti-infiammatoria, immuno-stimolante e di promozione della migrazione e della differenziazione dei fibroblasti esercitata dai principi attivi presenti nel gel. Chamomilla Matricaria, Citrus Limonum, Lavandula Angustifolia e Pelargonium Graveolens esercitano essenzialmente un’azione antibatterica, antimicotica ed antivirale sinergica. L’alfa-bisabololo, la luteolina, l’apigenina e la quercetina, infatti, presenti nell’estratto di C. Matricaria eserci-


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tano una azione antibatterica (13;14;15) che risulta rafforzata dai principi attivi presenti nel Citrus Limonum; quest’ultimo contiene più di sessanta flavonoidi diversi che esercitano una azione antivirale ed antibatterica, soprattutto nei confronti di staphylococcus aureus (16;17). Anche Lavandula Angustifolia fornisce dei principi attivi efficaci contro staphylococcus aureus; essa, inoltre, esercita anche una azione antimicotica grazie al linalil-acetato ed al linalolo: il primo, infatti, blocca la formazione di spore, e quindi la riproduzione dei miceti; il secondo, invece, ne blocca la gemmazione, ovvero la crescita (18;19). Il geraniolo, estratto dal Pelargonium Graveolens, esercita una azione sinergica con il linalil-acetato ed al linalolo, potenziando l’attività antimicotica

del prodotto (20). I principi attivi presenti nell’estratto di Hipericum Perforatum e di Equiseto Arvensis, insieme ai flavonoidi presenti nell’estratto di Calendula Officinalis esercitano una azione di stimolo nei confronti della migrazione e della differenziazione dei fibroblasti (21;22;23). L’azione immunostimolante, invece, è da attribuire essenzialmente alle alchilamidi presenti nell’estratto di Echinacea Angustifolia; queste sostanze esprimono una azione immunostimolante aspecifica in quanto sono capaci di produrre un aumento dei leucociti e della differenziazione dei granulociti immaturi in granulociti maturi; esse, inoltre, stimolano la produzione di interferone, di interleukine e di TNF da parte dei macrofagi (24). L’azione anti-infiammatoria del

Maxillofac Oral Surg. 2011 Jun;10(2):101-11 13. Jarrahi M, Vafaei AA, Taherian AA, Miladi H, Rashidi Pour A. Evaluation of topical Matricaria chamomilla extract activity on linear incisional wound healing in albino rats. Nat Prod Res. 2010 May;24(8):697-702 14. Srivastava JK, Gupta S. Extraction, Characterization, Stability and Biological Activity of Flavonoids Isolated from Chamomile Flowers. Mol Cell Pharmacol. 2009 Jan 1;1(3):138 15. Jarrahi M. An experimental study of the effects of Matricaria chamomilla extract on cutaneous burn wound healing in albino rats. Nat Prod Res. 2008 Mar 20;22(5):422-7 16. González-Molina E, Domínguez-Perles R, Moreno DA, García-Viguera C. Natural bioactive compounds of Citrus limon for food and health. J Pharm Biomed Anal. 2010 Jan 20;51(2):327-45 17. Johann S, Oliveira VL, Pizzolatti MG, Schripsema J, Braz-Filho R, Branco A, Smânia Jr A. Antimicrobial activity of wax and hexane extracts from Citrus spp. peels. Mem Inst Oswaldo Cruz. 2007 Sep;102(6):681-5 18. Cavanagh HM, Wilkinson JM. Biological activities of lavender essential oil. Phytother Res. 2002 Jun;16(4):301-8 19. Hajhashemi V, Ghannadi A, Sharif B. Anti-inflammatory and analgesic properties of the leaf extracts and essential oil of Lavandula angustifolia Mill. J Ethnopharmacol. 2003 Nov;89(1):67-71 20. Jeon JH, Lee CH, Lee HS. Food protective effect of geraniol and its congeners against stored food mites. J Food Prot. 2009 Jul;72(7):1468-71 21. Fonseca YM, Catini CD, Vicentini FT, Nomizo A, Gerlach RF, Fonseca MJ. Protective effect of Calendula officinalis extract against UVB-induced oxidative stress in skin: evaluation of reduced glutathione levels and matrix metalloproteinase secretion. J Ethnopharmacol. 2010 Feb 17;127(3):596-601 22. Preethi KC, Kuttan G, Kuttan R. Anti-inflammatory activity of flower extract of Calendula officinalis Linn. and its possible mechanism of action. Indian J Exp Biol. 2009 Feb;47(2):113-20 23. Dikmen M, Oztürk Y, Sagratini G, Ricciutelli M, Vittori S, Maggi F. Evaluation of the wound healing potentials of two subspecies of Hypericum perforatum on cultured NIH3T3 fibroblasts. Phytother Res. 2011 Feb;25(2):208-14 24. Chicca A, Raduner S, Pellati F, Strompen T, Altmann KH, Schoop R, Gertsch J. Synergistic immunomopharmacological effects of N-alkylamides in Echinacea purpurea herbal extracts. Int Immunopharmacol. 2009 Jul;9(7-8):850-8

prodotto, infine, è da attribuire ai principi attivi presenti negli estratti di Chamomilla Matricaria e Lavandula Angustifolia. C. Matricaria modula la risposta infiammatoria agendo in due modi diversi: da una parte, infatti, i suoi estratti inibiscono la ciclo-ossigenasi e la lipo-ossigenasi, producendo di conseguenza una riduzione dei leucotrieni e delle prostaglandine; d’altra parte, gli azuleni in essa contenuti agiscono sull’ipofisi e sul surrene aumentando il rilascio di cortisone con conseguente riduzione del rilascio di istamina (14;15). I principi attivi presenti nell’estratto di L. Angustifolia, invece, esercitano un effetto similcorticosteroide, oltre che interagire con la sintesi delle prostaglandine, delle tachichinine e di altri mediatori dell’infiammazione (18).

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FASI PROTESICHE PROVVISORIE NEL CARICO IMMEDIATO DEL MASCELLARE SUPERIORE: PRESENTAZIONE DI UN CASO CLINICO

Implantologia

Carlo Matteo Tafuro* (Email:Carlomatteotafuro@Libero.It) Bruschi Massimiliano** Carlotta Cavaglia’** Luca Citterio*** Borgonovo Andrea Enrico § * Reparto di Chirurgia Orale, U.O. Odontoiatria, IRCCS Fondazione Policlinico Ospedale Maggiore Ca’ Granda , Milano ** Odontoiatra, Libero Professionista *** Odontotecnico, libero professionista § Professore a contratto, Scuola di Specializzazione in Chirurgia Odontostomatologica (Dir. Prof. C. Maiorana), Universita’ degli Studi di Milano 1-INTRODUZIONE Numerosi studi ed esperienze cliniche riportate in Letteratura dimostrano l’evoluzione e l’efficacia delle tecniche riabilitative dei mascellari edentuli mediante l’utilizzo di impianti endoossei: allo stato attuale le metodiche di riabilitazione implantare basate sul carico immediato presentano risultati sovrapponibili a quelli delle metodiche tradizionali ed hanno il vantag-

gio di ristabilire immediatamente la funzione estetica e masticatoria5. L’inserimento di 4-6 impianti che presentano fin da subito una buona stabilità primaria e solidarizzati l’un l’altro mediante una dispositivo che distribuisca in maniera uniforme i carichi esercitati durante la funzione masticatoria, rappresentano attualmente il gold standard per il raggiungimento di una perfetta osteointegrazione1-4-7.

Una delle principali problematiche con cui il protesista dovrà scontrarsi, a chirurgia implantare avvenuta, sarà l’ottenimento di un perfetto adattamento passivo della protesi (sia provvisoria che definitiva), in modo da evitare tensioni e micromovimenti a carico delle fixture, che risultano deleteri durante la fase di osteointegrazione6. Per una corretta passivazione sono state proposte numerose metodiche, ma la più

RIASSUNTO: Allo stato attuale numerosi Autori concordano nella affidabilità e predicibilità delle riabilitazioni protesiche su impianti endoossei a carico immediato con percentuali sovrapponibili a quelle a carico differito. Condizione imprescindibile è avere una buona stabilità primaria iniziale e poi mantenerla con una solidarizzazione degli impianti passiva e rigida per tutto il tempo della osteointegrazione. Un ulteriore obiettivo oggi è rappresentato dalla possibilità di restituire estetica e funzione con una protesi fissa ad un paziente edentulo in un’unica seduta, con tempi ridotti e costi contenuti. In questo lavoro vengono descritti i passaggi rapidi e relativamente semplici per trasformare la protesi rimovibile completa preesistente del paziente in un full-arch provvisorio fisso nella stessa seduta della chirurgia implantare.

dictability of the implant-retained prosthetic rehabilitations with immediate loading with succes rates comparable to rehabilitations with delayed loading. The essential condition is to obtain a good initial primary stability and maintain it with a passive and rigid solidarization of implants for all the osseointegration’s period. Another goal that can be achieved today is the possibility of restoring aesthetics and function with a fixed prosthetic rehabilitations in edentulous patients at one time, reducing time and costs. This study describes the quick and relatively simple steps to transform the patient’s pre-existent removable full denture in a temporary fixed full-arch, in the same session of implant surgery.

ABSTRACT: Nowdays many Authors agree on the reliability and pre-

KEYWORDS: immediate loading, passive fit, intraoral luting

PAROLE CHIAVE: carico immediato, passivazione, incollaggio intraorale

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rapida, semplice ed efficace si è rivelata essere la tecnica della protesi incollata2-3. In questo lavoro viene presentato un caso clinico di riabilitazione implantare a carico immediato mediante full-arch mascellare in cui la protesi preesistente del paziente non più congrua è stata opportunamente modificata per essere utilizzata per la presa di un impronta di posizione dei monconi implantari e

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per una prima impronta dei tessuti molli peri-implantari. Dopo aver sviluppato un modello in gesso che stabilisse la posizione precisa degli abutment, la stessa protesi ha subito un ulteriore adattamento per poi essere consegnata al paziente come full-arch provvisorio, il tutto in una singola seduta. 2-MATERIALI E METODI Paziente di anni 65 che presenta

arcata inferiore con dentatura residua da elemento 33 a 43 (FIG.1-2) ed i settori latero-posteriori riabilitati con protesi fisse e in arcata superiore una protesi completa rimovibile che non ritiene più confortevole: la paziente richiede pertanto una soluzione protesica fissa anche in arcata superiore. Dagli esami radiografici (ortopantomografia e TAC) si evidenzia una quantità di osso residuo ade-

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guata all’inserimento di 6 impianti in arcata superiore per metodica AllOn-Six. Dopo aver verificato la congruità occlusale ed estetica (FIG. 3-4) della protesi preesistente, per accorciare i tempi operativi e ridurre i costi si decide di utilizzare la stessa per la protesizzazione provvisoria immediata trasformandola, nella stessa seduta della chirurgia implantare, in una protesi fissa avvitata. 2.1-FASE CHIRURGICA Dopo aver scollato un lembo a tutto spessore da 16 a 26 con incisione crestale e limitando l’estensione dello scollamento al minimo indispensabile per contenere l’edema post-operatorio, si procede all’inserimento di sei impianti 4x13mm Easy Line Easy Dip (Overmed, Buccinasco, Milano Italy): 5 impianti diritti in sede 1614-12-22-23 e uno con angolazione di 30° in zona 25 per evitare il seno mascellare (FIG.5-6). Ultimato l’inserimento delle fixture si avvitano i 5 multi-unit abutment diritti ed un multi-unit abut-

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ment angolato e su questi vengono avvitate delle cappettine coniche. Suturati i lembi si praticano dei fori nella protesi preesistente in corrispondenza della cappettine in modo da lasciarle sporgere dalla protesi ricollocata nella sua posizione abituale (FIG.7). A questo punto si carica la superficie gengivale della protesi con del materiale da impronta siliconico e la si colloca sul mascellare superiore assicurandosi che la posizione sia corretta facendo portare in occlusione l’antagonista (FIG 8). A materiale da impronta indurito si elimina quello interposto tra cappette e base protesica e si fissano queste due con della resina autopolimerizzabile ad apporti incrementali raffreddando il materiale con fisiologica fredda per contrastare il calore sviluppato dalla polimerizzazione (FIG.9). Ultimato il processo di polimerizzazione, le viti delle cappe sono vengono allentate e la placca in resina, solidarizzata alle cappette, è inviata al laboratorio odontotecnico (FIG10). La paziente è stata messa a riposo con ghiaccio e antinfiamma-

torio nell’attesa della consegna della protesi modificata. Con questo procedimento è possibile ottenere la registrazione della fedele posizione dei monconi implantari contestualmente al rilievo dei tessuti molli. 2.2-FASE DI LABORATORIO Dopo un’accurata disinfezione dell’impronta, si avvitano alle cappette coniche gli analoghi da laboratorio e si procede alla colatura di un modello in gesso duro (FIG.11). A questo punto le cappettine, rimosse dalla protesi, vengono sabbiate e riposizionate sugli analoghi di laboratorio (FIG.12). Si praticano delle tacche di ritenzione e si rivestono con uno strato di opaco per migliorare l’adesione della resina (FIG.13). La protesi preesistente viene privata delle flangie gengivali e riadattata sul modello che porta le cappettine mediante una mascherina di riposizionamento in silicone precedentemente realizzata. A questo punto con della resina autopolimerizzabile si fissa la prote-


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si alle cappettine e si modella la superficie gengivale del manufatto per renderlo compatibile con il profilo dei tessuti molli registrato a termine delle seduta chirurgica. Il manufatto rifinito e lucidato viene rimandato al clinico (FIG.14-15). 2.3-CONSEGNA DELLA PROTESI Molto semplicemente si riposiziona la protesi riadattata avvitandola sui multi unit abatment, se ne controlla il fit e la passività, si effettuano eventuali piccoli ritocchi occlusali e si chiudono i fori per le viti con del cemento provvisorio (FIG.16-17-18-19). Si prescrive una terapia farmacologia (antibiotico ed antinfiammatorio) e si dimette la paziente con istruzioni post operatorie che prevedono una dieta liquida e fredda per i primi 2 giorni e liquida fino a

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10 giorni. Dopo 15 giorni vengono rimosse le suture e controllata l’integrità e l’occlusione del manufatto. 3-DISCUSSIONE E CONCLUSIONE Allo stato attuale uno degli obiettivi che si cerca di raggiungere in protesi totale a supporto implantare è la contrazione dei tempi operatori e il ripristino di funzione ed estetica con tempi e costi contenuti. Molti lavori testimoniano l’affidabilità e la predicibilità delle tecniche riabilitative che prevedono il carico immediato degli impianti endoossei e numerose sono le tecniche proposte per ottenere un manufatto protesico provvisorio che sia preciso, passivo e stabile per tutto il periodo di permanenza nella bocca del paziente, con costi contenuti. Fondamentale per l’ottenimento di

una perfetta osteointegrazione in tempi sovrapponibili alle metodiche tradizionali a carico differito è l’assenza di micromovimenti e tensioni a carico delle fixture implantari. La tecnica presentata in questo lavoro permette di ottenere in poche ore un manufatto protesico provvisorio che risulti assolutamente preciso e passivo utilizzando la protesi preesistente del paziente per ottenere prima un’impronta di posizione dei monconi implantari e dei tessuti molli e, poi, un full-arch provvisorio che può essere immediatamente consegnato e funzionalizzato in una sola seduta. Questa metodica che prevede la solidarizzazione dei tranfert da impronta direttamente in bocca al paziente risulta ergonomica e di facile esecuzione, ma allo stesso tempo molto precisa, affidabile ed efficace.

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Le repLiche anatomiche: tecnica e appLicazioni

i modeLLi stereoLitografici neLLa chirurgia ossea ricostruttiva ing. francesco davolio – Biosolutions sas

La chirurgia ossea ricostruttiva ha luogo ogniqualvolta si è in presenza di un’atrofia ossea orizzontale o verticale dell’osso alveolare che pregiudica il corretto inserimento di impianti dentali. La correzione delle atrofie osse a fine implantologico si esplicita principalmente con quattro tecniche: L’innesto a blocco L’espansione crestale (split crest) Il rialzo del seno mascellare La rigenerazione ossea guidata (GBR)

In tutte le tecniche enumerate l’utilizzo di un modello stereolitografico risulta di grande utilità per le ragioni che vedremo di seguito. Nella tecnica basata sull’innesto a blocco vengono utilizzati blocchetti di osso autologo, omologo, eterologo, di materiali alloplastici, che fissati all’osso residuo danno luogo all’aumento volumetrico desiderato dell’osso alveolare. L’utilizzo di un modello stereolitografico sterilizzabile consente la corretta determinazione del volume di materiale a blocco da prelevare dal paziente stesso (innesto autologo) o di cui rifornirsi (innesti di altra natura), nonché la modellazione del materiale da innesto sul modello medesimo in campo sterile con l’ottenimento di blocchi su misura. Ciò rende molto accurato e semplice l’intervento sul paziente, riducendone l’invasività e aumentando la predicibilità del risultato con una riduzione sensibile dei tempi di intervento. Mentre nella tecnica split crest il modello può avere una valenza diagnostica, di determinazione del migliore approccio e nella comunicazione medico-paziente, nel rialzo del seno mascellare esso acquista una maggiore valenza. La riproduzione fisica accurata della struttura anatomica del mascellare superiore, che evidenzia chiaramente l’entità dell’osso residuo, consente infatti la valutazione della tecnica più indicata con una particolare attenzione alla mininvasività (minirialzo o grande rialzo), permettendo la valutazione a priori della corretta quantità di materiale da innesto necessaria e la realizzazione di utili dime per la localizzazione ottimale intraoperatoria del punto di inserzione della fresa, nel caso di minirialzo, o della finestra più opportuna ove effettuare l’osteotomia nel caso del grande rialzo. Infine, nella rigenerazione ossea guidata che annovera svariate e codificate tecniche, l’utilizzo di un modello stereolitografico consente non solo lo studio del caso e l’usuale determinazione dell’entità di materiale da innesto necessaria, ma la possibilità di modellare direttamente sulla replica anatomica, in campo sterile, prima dell’intervento, membrane riassorbibili o non riassorbibili su misura, pronte da essere inserite e fissate con grande rapidità e precisione guidando, con la forma ottimizzata loro assegnata, l’intervento di innesto stesso.

Biosolutions sas – Modelli e soluzioni biomedicali Via Pellegrino Rossi 21 – Milano – Tel. 3490914205 www.biosolutions.it


Chirurgia

FLESSIBILITÀ CHIRURGICA: LA GESTIONE OTTIMALE DELLE STRUTTURE OSSEE ESISTENTI. Terza parte Nelle parti precedenti abbiamo analizzato la molteplicità dei casi che siamo chiamati a risolvere evidenziando l’età, la quantità e la qualità dell’osso, rivolgendo la nostra attenzione allo stato di salute generale del paziente, allo scopo di scegliere fra le molteplici metodiche la più idonea. Abbiamo sottolineato come oggi si preferisca, soprattutto per pazienti anziani o portatori di patologie sistemiche gravi, proporre delle tecniche che consentano di utilizzare in maniera ottimale l’osso esistente senza eseguire complicati interventi di incremento chirurgico dell’osso. Abbiamo visto come, in questi pazienti, la tendenza per il futuro è quella di effettuare interventi non invasivi e di evitare ulteriori interventi chirurgici successivi con le relative problematiche di rischio che comportano.

Stefano Tiroli Libero professionista in Roma Attualmente è docente del Master di II livello “Implantologia e Restaurazioni Protesiche presso il Dipartimento di Scienze Odontostomatologiche dell’Università La Sapienza di Roma

Queste tecniche chirurgiche posso essere riassunte nella seguente tabella: 12345678910 11 -

Inserimento implantare inclinato Utilizzo di impianti corti Aggancio bicorticale dell’impianto Rialzo parcellare del seno mascellare Tecnica dello split-crest Utilizzo del Toronto bridge Tecnica del fast & fixed Impianto post-estrattivo immediato Utilizzo della placca stabilizzatrice Rigenerazione ossea guidata Chirurgia pc assistita

Tecnica del fast & fixed Questa tecnica, derivata dal Toronto Bridge, si basa sulla distalizzazione dell’appoggio posteriore grazie all‘impiego di un abutment angolato apposito.

Overmed all-on-four A causa delle diverse morfologie ossee tra la mandibola e la mascella la protesi dovrà essere supportata minimo da 4 impianti per l’arcata inferiore e da 6 impianti per la superiore. Gli impianti sono solidarizzati tutti insieme con la protesi garantendo ottimi risultati e velocità di esecuzione.

Le zone anatomiche critiche possono essere preservate e non sono interessate da questa metodica: seni mascellari e fosse nasali nel mascellare superiore, nervo mandibolare nella mandibola.

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Sky fast & fixed

Impianto post-estrattivo immediato L’impianto post-estrattivo immediato è una tecnica che consente di trattare il paziente riducendo gli interventi da effettuare in una unica seduta. Se le condizioni del sito lo consentono si potrà effettuare l’implantologia e la rigenerazione ossea contemporaneamente.

Utilizzo della placca stabilizzatrice La barra stabilizzatrice S.I.S. consente di posizionare in ogni caso gli impianti anche quando non presentano una stabilità primaria ottimale. Per stabilità primaria si intende che l’impianto al termine della sua introduzione nell’osso debba stare fermo con una forza torcente (torque) ben determinata misurabile in Newton. Il suo valore ottimale è di 32 Newton. Valori superiori possono provocare riassorbimento e necrosi dell’osso ricevente, specialmente nei distretti corticali mentre valori inferiori possono portare al movimento dell’impianto con formazione di tessuto fibroso anzichè di tessuto osseo e conseguente fallimento dell’impianto. Tutto ciò è analogo al fenomeno dell’articolazione secondaria nelle fratture ossee. Una frattura deve essere immobilizzata per dar modo ai meccanismi riparatori di effettuare il recupero funzionale. Se per un qualsiasi motivo l’osso non viene immobilizzato la frattura non si salda e può dar vita ad una sorta di articolazione patologica accessoria detta appunto articolazione secondaria. La barra stabilizzatrice viene fissata all’osso con viti proprie e consente la stabilizzazione degli impianti ad essa collegati tramite la vite di copertura. Diviene quindi possibile anche effettuare un grande rialzo del seno mascellare IV classe di Mish e Tatum inserendo contestualmente gli impianti in un solo tempo chirurgico.

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Rigenerazione ossea guidata La rigenerazione ossea guidata permette di non perdere o di guadagnare dell’osso per noi prezioso. Essa va effettuata sempre qualora vi siano dei difetti ossei nell’ottica di evitare interventi più grandi, magari a distanza di anni. Oggi è impossibile praticare l’implantologia endossea senza l’ausilio della rigenerazione ossea guidata. Questa branca dell’odontoiatria è così collegata all’implantologia che moltissimi interventi non sono realizzabili senza il suo prezioso contributo; per es. gli impianti postestrattivi. Nella cicatrizzazione di una ferita parodontale sono interessate quattro tipi di cellule; 1- ossee 2- parodontali 3- epiteliali 4- connettivali

A – cellule epiteliali B – cellule connettivali C – cellule ossee D – cellule parodontali A B

Esse hanno una differente velocità di crescita, in particolare quelle epiteliali e connettivali che invadono rapidamente tutto lo spazio disponibile. Per questo motivo sia in chirurgia parodontale (nella rigenerazione tissutale guidata - GTR), che in quella dei difetti ossei associati agli impianti (la rigenerazione ossea guidata - GBR), ci si avvale dell’uso di barriere meccaniche (membrane) allo scopo di selezionare il tipo di gruppo cellulare che si intende proteggere per facilitarne la moltiplicazione. Con la rigenerazione tissutale guidata (GTR) si cerca di favorire la riproduzione delle cellule parodontali ed ossee ritardando la crescita verso l’apice dentario di quelle epiteliali e connettivali separandole fisicamente con una membrana. Nel caso della rigenerazione ossea guidata (GBR) le cellule interessate sono solamente tre: 1-ossee 2- epiteliali 3connettivali. Anche in questo caso le cellule ossee vengono separate e protette nella loro riproduzione da una membrana consentendo il mantenimento dello spazio fisico che altrimenti sarebbe invaso. I difetti ossei associati agli impianti endossei sono classificati in due categorie: difetti ossei spacemaking difetti ossei non spacemaking Nei primi la membrana non collabisce sull’impianto e quindi viene mantenuto autonomamente uno spazio consentendo l’uso di membrane non rigide anche in assenza di materiale da innesto. Nei secondi si rende necessario utilizzare membrane rigide oppure riempire lo spazio sottostante con un innesto poiché la membrana senza un adeguato supporto collabirebbe sull’impianto e non lascerebbe lo spazio necessario alla ripopolazione da parte delle cellule ossee, rendendo così vana la rigenerazione ossea .

D

C

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Difetto osseo spacemaking.

Difetto osseo non spacemaking.

Difetto non spacemaking con innesto.

Caso clinico: RGB in impianti postestrattivi 11 e 21. Diviene, quindi, fondamentale disporre di un buon materiale per effettuare l’innesto osseo il quale, poi, dovrà godere di una quiete meccanica allo scopo di consentire lo sviluppo delle cellule ossee. Abbiamo a disposizione membrane non riassorbibili ( tetrafluoroetilene espanso ePFTE) che necessitano di una rimozione dopo alcuni mesi; membrane riassorbibili ( poliglicocolide-PGA, polilattide-PLA, collagene ) che non necessitano di un secondo intervento per la rimozione poiché sono biodegradabili. Il poliglicocolide ed il polilattide vengono idrolizzati e metabolizzati producendo rispettivamente acido glicocolico ed acido

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lattico che poi per mezzo del ciclo dell’acido citrico producono a loro volta CO2 ed acqua. Studi più recenti ci hanno fornito dell’acido polilattico in gel, molto comodo da usare sia per l’effetto membrana che esercita sia come materiale da supporto alla rigenerazione. E’ molto importante avere del materiale adatto a riempire le cavità presenti nell’osso per favorirne la chiusura, per questo scopo abbiamo a disposizione moltissimi tipi di innesto osseo o di materiali alloplastici che sono stati classificati in quattro categorie Questi innesti possono essere classificati in quattro categorie:


Osso autologo: (prelevato dallo stesso paziente) Osteoinduzione, osteogenesi ed osteoconduzione. Osso allogenico omologo: (umano prelevato da un donatore) osteoinduzione ed osteoconduzione. Osso xenogenico eterologo: (di origine animale –bovina, equina, suina-) osteoconduzione. Materiali alloplastici: (Fosfato tricalcico, Idrossiapatiti, biovetri, acido polilattico e poliglicocolico) osteoconduzione.

Caso clinico: Impianto post-estrattivo del 22 con R.G.B, e carico immediato.

Caso clinico: impianto post-estrattivo a carico immediato del 22 con RGB. Moncone estetico in resina acetalica a frattura programmata.

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Tali innesti possono contenere alcune proteine induttrici alla crescita dell’osso come la BMPe (Betamorfoproteina dell’osso). A tale scopo dobbiamo tenere presente che l’innesto osseo può essere di due tipi a seconda della sua capacità di supporto o di generare osteoinduzione: 1) passivo 2) attivo

(osteoconduttore) (osteoinducente)

attivati tale ricrescita incomincia ,non solo dai bordi ,ma dall’innesto osseo in toto. Questi innesti contengono dei fattori di differenziazione ( bone morphogenetic proteins –BMPs ) che favoriscono la penetrazione di cellule staminali mesenchimali nel sito di intervento e successivamente determinano la loro differenziazione in osteociti. L’innesto è attivo direttamente e non dipende più dalle cellule ossee differenziate provenienti dai margini del difetto.

Un supporto osseo passivo può essere attivato e divenire quindi osteoconducente aggiungendo parte di innesto osseo attivo o fattori di differenziazione. Nella rigenerazione ossea che si ottiene per mezzo degli innesti passivi è di grande importanza il margine del difetto e la sua geometria, punto in cui inizia la rigenerazione con l’invasione ed il riassorbimento del supporto passivo fino alla trasformazione in nuova sostanza ossea. In questo caso il materiale sostitutivo riempie uno spazio e funge da guida assumendo una funzione passiva di sostegno. Nel caso della rigenerazione tramite innesti ossei attivi o RGB con membrana riassorbibile.

RGB con osso liofilizzato a matrice inorganica e membrana riassorbibile.

Intervento di split crest. RGB con osso prelevato dal paziente e membrana riassorbibile.

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Studi clinici di impianti in osso rigenerato con GBR Buser e col. Nevins Becher Buser Simion

1996 1998 1999 2000 2001

sopravvivenza sopravvivenza sopravvivenza sopravvivenza sopravvivenza

Vantaggi e svantaggi dei vari tipi di innesto osseo Innesti Spugnosi Vantaggi Rapida rivascolarizzazione Più facile attecchimento Minore suscettibilità all’infezione Facile modellazione(elasticità) Minore attesa per inserimento impianti Svantaggi Maggiore rischio di riassorbimento Minore densità

Innesti Corticali Vantaggi Minore di riassorbimento Densità elevata Svantaggi Ritardata rivascolarizzazione Difficile modellazione (rigidità) Più difficile attecchimento Maggiore suscettibilità all’infezione Maggiore attesa per inserimento impianti

Osso Autologo Vantaggi Ostogenico Osteoinduttivo Osteoconduttivo Non reazioni immunologiche Resistenza all’infezione Svantaggi Necessità di prelievo Aumento morbilità Limiti quantitativi Riassorbimento osseo non sempre prevedibile in assenza di carico implantare

Osso allogenico Omologo Vantaggi Osteoconduttivo Quantità illimitata Senza prelievo, riduzione tempi e morbilità Svantaggi Scarsamente o non osteogenico Scarsamente o non osteoinduttivo Sostituzione lenta da parte di osso autologo, con formazione arree connettivali Possibile trasmissione malattie virali ( prioni )

100% 97% 94% 100% 99%

Osso Xenogenico Eterologo Vantaggi Osteoconduttivo Quantità illimitata Senza prelievo, riduzione tempi e morbilità Si integra con osso neoformato Svantaggi Non osteogenico Non osteoinduttivo Scarsamente riassorbibile

Idrossiapatite Vantaggi Osteoconduttivo Quantità illimitata Senza prelievo Svantaggi Non osteogenico Non osteoinduttivo Poco riassorbibile e scarsamente integrato con autologo neoformato, riduzione tempi e morbilità

Fosfato Tricalcico Vantaggi 1. Osteoconduttivo 2. Quantità illimitata 3. Senza prelievo, riduzione tempi e morbilità 4. Riassorbibile con possibilità disua sostituzione con osso autologo neoformato Svantaggi Non osteogenico Non osteoinduttivo 3. Poco riassorbibile e scarsamente integrato con autologo neoformato

Biovetri Vantaggi 1. Osteoconduttivo 2. Quantità illimitata 3. Senza prelievo, riduzione tempi e morbilità Svantaggi 1. Non osteogenico 2. Non osteoinduttivo 3. Poco riassorbibile e scarsamente integrato con autologo neoformato

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I siti donatori possono essere suddivisi in: 1. intraorali 2. extraorali Siti intraorali: 1. Sinfisi mentoniera. 2. Trigono e branca ascendente della mandibola. 3. Mascellare superiore

Siti donatori intraorali. Siti extraorali: 1. Cresta iliaca 2. Fibula 3. Tibia 4. Scapola 5. Calvario 6. Costola

Chirurgia pc assistita In questi ultimi anni si sono diffusi moltissimi programmi che ci consentono, partendo da una tac, di simulare l’intervento chirurgico al pc con risparmio di tempo e aumento della sicurezza del nostro lavoro. Tale simulazione poi viene trasformata in una dima chirurgica allo scopo di riprodurre fedelmente nel paziente la simulazione effettuata al pc. Oggi i moderni ortopantomografi volumetrici sono in grado di renderci delle immagini tridimensionali. Anche i loro software sono in grado di consentirci il posizionamento “virtuale” dell’impianto aiutandoci nella scelta e nella posizione di quest’ultimo.

Siti donatori extraorali. Cresta Iliaca, calvaria, scapola, costola, fibula e tibia.

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Nelle foto esempio di simulazione con ortopanoramico volumetrico Galileos della Sirona.

Posizionamento virtuale degli impianti.

Particolare della simulazione.

E’ poi possibile inviare la simulazione a laboratori specializzati che ci forniscono una dima chirurgica Dima chirurgica.

Svantaggi della dima chirurgica In presenza di dentatura residua il posizionamento esatto della dima sulla cresta alveolare risulta difficile. (Deviazione dal centro della cresta alveolare) Risulta difficile seguire l’esatto asse di perforazione (perforazione pilota a 2 mm) Dopo aver eseguito la perforazione pilota con l’aiuto della dima, nella perforazione finale il medico e’ obbligato ad eseguire la preparazione dell’osso a mano libera. Non sono da escludere divergenze di direzione soprattutto nel mascellare superiore.

mento delle posizioni degli impianti e la dima di perforazione risulterebbe completamente inutile. L’utilizzo della dima di perforazione complica e prolunga molto l’intervento chirurgico aumentandone il trauma. L’utilizzo della dima di perforazione aumenta sempre i costi del trattamento soprattutto se al paziente si prescrive una TC dentascan.

Se durante l’intervento dovessero insorgere problemi imprevisti (per es. residui radicolari) questi potrebbero rendere indispensabile un cambia-

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Fitoterapia

L’APPROCCIO TERAPEUTICO DELLE INFEZIONI CRONICHE DI PERTINENZA ODONTOIATRICA Andrea Possenti Università Degli Studi di Roma “La Sapienza” C.L.I.D. di Isernia Introduzione Il cavo orale è uno dei distretti più colonizzati del nostro organismo; esso è secondo soltanto al tratto intestinale. Ciò è giustificato dal fatto che il cavo orale è facilmente accessibile ai microrganismi presenti nell’aria, nell’acqua, nel cibo e sulle diverse superfici, essendo la porta d’ingresso dell’apparato respiratorio e di quello digerente. Il cavo orale non rappresenta solo una stazione di transito, ma anche un sito di colonizzazione microbica che si modifica nelle diverse fasi della nostra vita. Attualmente oltre 300 specie batteriche autoctone del cavo orale cioè in grado di aderire alle diverse superfici di questa cavità e di moltiplicarsi. La bocca fornisce condizioni eccellenti per la proliferazione di molti microrganismi, sia Gram positivi che Gram negativi, aerobi che anaerobi; infatti non solo offre un notevole apporto di sostanze nutritive che provengono oltre che dalla dieta dal fluido crevicolare, ma anche la temperatura di circa 37°C è quella ottimale per lo sviluppo dei batteri e il tasso di umidità in questo distretto è molto elevato. Tutto ciò spiega il rapido formarsi della placca dentale, che viene definita come un accumulo di cellule microbiche che aderisce tenacemente alla superficie dei denti, sia a livello sopragengivale che sottogengivale. Non vi è alcun dubbio che la placca dentale sia un fattore scatenante alcune patologie del cavo orale come la gengivite. la paradentite ed anche la carie. Tuttavia sarebbe più corretta definire multifattoriali queste

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patologie in quanto concorrono nella loro insorgenza diversi fattori, alcuni di questi legati all’ospite. La presenza della placca determina una gengivite che è un quadro clinico presente in quasi tutti gli individui nei quali non è possibile evidenziare un riassorbimento dell’osso alveolare. Nel caso in cui ciò accadesse, ci troveremmo dinanzi ad un soggetto affetto da parodontite, patologia che colpisce il 20-30% della popolazione adulta, dove oltre al riassorbimento del tessuto osseo alveolare si ha una perdita delle fibre paradontali e una recessione dell’attacco dell’epitelio gengivale con conseguente approfondirsi del solco gengivale. Tutto ciò può portare a una instabilità dell’elemento dentale e alla perdita del dente. Tra i fattori legati all’ospite che sarebbero un concausa di queste patologie oltre a quelli ereditari e a una scarsa igiene orale, al diabete, al tabagismo , un ruolo importante gioca sicuramente il sistema immunitario. L’approccio terapeutico delle infezioni croniche di pertinenza odontoiatrica non sempre prevede la somministrazione di antibiotici per via sistemica, anzi per evitare la sempre più crescente resistenza nei confronti di quest’ultimi si cerca di ricorrere a metodi alternativi ma pur sempre efficaci. L’utilizzo di olii essenziali in odontoiatria, per il trattamento delle malattie delle mucose orali trova il suo razionale nelle proprietà intrinseche di queste molecole, vale a dire nelle loro azioni antiossidanti, antinfiammatorie, riepitelizzanti ed antinfettive.

Materiali e metodi Sono stati arruolati 18 pazienti di età compresa i 30 e i 70 anni, senza patologie sistemiche rilevanti, ma affetti da paradontopatia di grado medio, con tasche paradontali che non superavano al sondaggio i 6 MM di profondità. Di questi 10 pazienti sono stati trattati con utilizzo topico di un gel a base di olii essenziali (TAKI-QUICK) tre applicazioni-die, mentre i restanti 8 sono stati trattati solamente con clorexidina allo 0.2% senza alcool tre applicazioni-die. I 18 pazienti sono stati monitorati nei successivi 15 gg,con controlli quotidiani, atti a verificare, tramite un esame obiettivo sullo stato di salute del tessuto paradentale (sanguinamento riferito durante le normali pratiche di igiene quotidiana e al contatto e dolenzia sia spontanea che al contatto). I risultati sono riassunti nella tabella Discussione e conclusioni L’utilizzo del gel a base di olii essenziali (TACKI-QUIK) è risultato ben tollerato da tutti i dieci pazienti osservati; inoltre la sua applicazione è stata facile per tutti i pazienti, grazie alla sua formulazione viscosa densa e al suo gradevole sapore ed odore. Durante i 15 gg successivi alla prima visita, nei quali i 18 pazienti hanno eseguito le tre applicazioni topiche Non si sono rilevati effetti collaterali di alcun genere, né locali, né sistemici. La sintomatologia dolorosa è regredita più velocemente nei pazienti trattati con TAKI-QUIK, rispetto ai pazienti che utilizzavano solamente un colluttorio a base di clorexidina 0.2%. Lo stesso dicasi per il sanguinamento al contatto.


pazienti trattati con tacki quik (gruppo 1:10 pazienti)

pazienti trattati con cLoreXiDina (gruppo 2:8 pazienti)


Implantologia

RICOSTRUZIONE DI ATROFIE MASCELLARI MEDIANTE INNESTI IN BLOCCO DI OSSO AUTOLOGO A PRELIEVO INTRAORALE Giacomo Tarquini INTRODUZIONE L’ impiego di innesti di osso autologo in blocco e’ una pratica consolidata per la risoluzione di atrofie mascellari e mandibolari che rendono difficile se non impossibile l’ inserimento di impianti. Nonstante l’ utilizzo di sostituti d’ osso di origine eterologa, omologa o sintetica sia molto diffuso nella pratica clinica, le proprieta’ di osteoconduzione, osteogenesi e osteoinduzione dell’ osso autologo lo rendono tuttora il “gold standard” per quanto riguarda la chirurgia ricostruttiva pre- e peri-implantare. Per quanto riguarda gli innesti di osso omologo in blocchi, va osservato che la sua capacita’ di integrazione e il suo grado di riassorbimento sono tuttora oggetto di discussione (6,8) Il prelievo di osso autologo in

blocchi puo’ essere eseguito da siti extraorali o intraorali; i vantaggi del prelievo da sede extraorale risiede nella grande quantita’ di tessuto disponibile, che lo rende piu’ adatto per la ricostruzione di atrofie di grande entita’. Gli svantaggi a carico di questo tipo di prelievo sono legati soprattutto alla morbilita’, alla necessita’ di ospedalizzazione e alla natura dell’ osso prelevato che, nel caso della cresta iliaca, tende a riassorbirsi fino al 50% del volume iniziale (23). Non e’ chiaro il marcato riassorbimento dei prelievi da cresta iliaca dipenda dalla loro differente origine embriogenetica (ossificazione endocondrale vs intramembranosa) rispetto ai prelievi intraorali (4,5,9) o piuttosto dalla loro architettura, essenzialmente di tipo spongioso.

RIASSUNTO La riabilitazione implantare di pazienti totalmente o parzialmente edentuli e’ ormai una prassi consolidata negli ultimi decenni; tuttavia, atrofie mascellari di diversa entita’ possono determinare situazioni nelle quali il volume osseo e’ insufficiente ad ospitare un impianto di dimensioni adeguate. Diversi biomateriali sono stati negli anni impiegati per aumentare i volumi ossei a disposizione; tuttavia, per le sue capacita’ di osteoconduzione, osteoinduzione e osteogenesi, la scelta di un innesto autologo e’ considerata a tutt’ oggi il “gold standard” Scopo di questo lavoro e’ di illustrare le tecniche chirurgiche per effettuare un prelievo intraorale di osso autologo in blocchi. ABSTRACT Oral rehabilitation of partially and totally edentulous

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Inoltre, va tenuto in debito conto l’ aspetto psicologico: per quanto riguarda la risoluzione di atrofie di grado lieve e moderato, l’ evenienza di un ricovero e di un intervento in a. generale riduce di molto la compliance del paziente. Al contrario, la possibilita’ di evitare un doppio intervento e di operare in regime ambulatoriale (in a. locale e/o sedazione cosciente) rende meno invasiva, anche sotto l’ aspetto emozionale, la procedura di prelievo da siti intraorali. Un singolo blocco osseo puo’ arrivare a coprire un’ estensione di circa 3-4 elementi dentari, risultando cosi’ adatto per la maggior parte delle atrofie ossee intercalate (23). I pazienti candidati a questo tipo di chirurgia devono essere inquadrati nosologicamente come ASA 1 o ASA 2 (17)

patients with oral implants has become a routine treatment in the last few decades. However, unfavorable conditions of the alveolar ridges such as bone defects due to atrophyes, can determine situations where bone volume is insufficient to harbor implants of adequate dimensions. Several biomaterials have been used in bone augmentation, but for its osteoconductive, osteoinductive and osteogenetic properties, autologous bone is still considered as a “gold standard”. Aim of this work is to describe the surgical techniques of intraoral bone harvesting . PAROLE CHIAVE Innesto autologo, lembo mucoperiosteo, osteotomie, prelievi intraorali KEY WORDS Autologous graft, mucoperiosteal flap, intraoral harvesting


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Fig. 1 osteotomie superiore, anteriore, posteriore ed inferiore Fig. 2 la conservazione del blocco in soluzione fisiologica favorisce la vitalita’ cellulare 3

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Fig. 3 sutura a punti staccati in poliestere 4-0 Fig. 4 scheletrizzazione della sinfisi e disegno delle osteotomie Fig. 5 le osteotomie sono effettuate con un dispositivo piezoelettrico Fig. 6 con uno scalpello si rimuove il blocco cortico-spongioso

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SCELTA DEL SITO DONATORE I siti intraorali piu’ frequentemente utilizzati sono il ramo mandibolare e la sinfisi mentoniera. Le differenze in termini di morbilita’, tipo di approccio chirurgico, di quantita’ e qualita’ del blocco osseo prelevato tra questi due siti di prelievo sono state ampiamente descritte in letteratura (18,19,20,21,22). Usualmente, nei prelievi dal ramo mandibolare si ottengono blocchi di tipo quasi esclusivamente corticale, mentre i blocchi prelevati da sinfisi mentoniera sono solitamente di tipo cortico-spongioso. (1) I vantaggi di un blocco cortico-

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spongioso risiedono in una piu’ rapida rivascolarizzazione e quindi in un minor riassorbimento durante la guarigione (2). La quantita’ di tessuto osseo prelevato, generalmente maggiore nei prelievi sinfisari rispetto ai prelievi da ramo, dipende comunque essenzialmente dalle caratteristiche anatomiche della mandibola; quale che sia il sito di prelievo, e’ fortemente raccomandato un attento studio radiografico con indagini di 2° livello (e.g.T.C. o CBCT) della mandibola. Le possibili complicanze a carico dei siti di prelievo dal ramo mandibolare consistono nella lesione del

NAI o del N. buccale (sebbene quest’ ultima rivesta una scarsa importanza clinica) trisma e fratture del corpo/ramo della mandibola (20). Le possibili complicanze a carico dei siti di prelievo da sinfisi mentoniera consistono nella deiscenza della ferita chirurgica, sensibilita’ alterata dei denti inferiori e/o del labbro inferiore, ptosi del mento (21). PRELIEVO DAL RAMO MANDIBOLARE L’ incisione iniziale e’ intrasulculare e parte dalla line angle distale del secondo molare inferiore, corren-

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Fig. 7 il blocco viene rimosso e conservato in soluzione fisiologica Fig. 8 emostasi della midollare con compresse di collagene

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Fig. 9 sutura del piano muscolare con filo riassorbibile Fig. 10 sutura del piano mucoso con punti staccati Fig. 11 il lembo viene liberato dalle inserzioni muscolari

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do posteriormente fino all’ aspetto vestibolare del trigono retromolare e medialmente alla linea obliqua esterna. Questa incisione termina sul pro-

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cesso coronoideo ad un’ altezza non superiore a quella del piano occlusale per evitare di ledere l’ A. buccale o di favorire l’ erniazione del “buccal fat pad” (23).

L’ incisione di accesso sara’ invece crestale in caso di assenza di elementi dentari o paramarginale in presenza di elementi protesizzati. (3)


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Fig. 12 si apprezza una aumentata mobilita’ del lembo mucoperiosteo Fig. 13 con un apposito inserto piezoelettrico si espongono gli spazii midollari Fig. 14 il blocco puo’ essere diviso in due per consentire un miglior adattamento

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Dopo aver scollato un lembo mucoperiosteo, un retrattore di Misch o, in alternativa, una semplice pinza emostatica posti alla base del processo coronoideo consentono di ottimizzare la visibilita’ e l’ accesso. Con una fresa a fessura, una sega reciprocante, un disco o un dispositivo piezoelettrico (7) si praticano le osteotomie per delimitare il blocco secondo questa sequenza: sagittale, anteriore, posteriore e, da ultima, inferiore (fig. 1) Per facilitarne la memorizzazione e’ stato coniato l’ acronimo S.A.P.I. (Sagittal, Anterior, Posterior, Inferior) (16). Con uno scalpello piatto il blocco viene lussato lateralmente e conservato in soluzione fisiologica

fredda (fig. 2). Considerando l’ anatomia locale, e’ possibile prelevare un blocco di circa 30 x 10 x 4 mm. (10) Dopo aver fatto emostasi sulla midollare con una compressa di collagene, il lembo puo’ esere suturato su un unico piano con punti staccati o con una sutura continua interconnessa (fig. 3). PRELIEVO DALLA SINFISI MENTONIERA L’ accesso alla sinfisi mentoniera puo’ essere guadagnato tramite un’ incisione intrasulculare, in gengiva aderente o in mucosa (13). Ciascuna di queste incisioni presenta rispettivi vantaggi e svantaggi; e’ opinione dell’ Autore che l’ incisione in mucosa costituisca il tipo di

accesso ideale ed e’ pertanto quella che verra’ descritta nel presente lavoro. Un’ incisione orizzontale in mucosa parte distalmente al canino per arrivare distalmente al canino contro laterale e decorre a circa 23 mm. dalla giunzione muco gengivale. Tale incisione mucosa e’ seguita da una dissezione a spessore parziale lievemente bisellata per circa 3-4 mm. in direzione apicale allo scopo di preservare i capi di inserzione dei Mm. Mentali. Lo scollamento di un lembo a spessore totale espone la zona della sinfisi mentoniera. Le dimensioni del blocco saranno decise preoperatoriamente sulla base di esami CBCT o T.C. (15);

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Fig. 15 la curvatura della sinfisi puo’ essere sfruttata per ricostruire delle salienze anatomiche 17

Fig. 16 il blocco viene levigato con un inserto piezoelettrico Fig. 17 la sutura viene effettuata con punti evertenti e punti staccati Fig. 18 aspetto occlusale della sutura

sempre valida risulta la cosiddetta “5’ s rule” (14). Dopo aver disegnato con una matita le linee osteotomiche sulla corticale (fig. 4) le stesse saranno poi effettuate con una fresa a fessura, una sega reciprocante, un disco o con un dispositivo piezoelettrico (7) (fig. 5) Le linee di osteotomia devono incrociarsi fra di loro per facilitare il distacco del pezzo. Con uno scalpello piatto il blocco viene liberato (fig. 6-7) e posto in soluzione fisiologica fredda; viene fatta emostasi sulla midollare con una compressa di collagene (fig. 8). E’ possibile prelevare un blocco cortico-spongioso di circa 30 x 10 x 5 mm. (11,12) La sutura del sito donatore avviene per piani: viene dapprima ripristinata l’ anatomia del piano muscolare con filo riassorbibile e, in seguito, si sutura il piano mucoso con punti staccati (fig. 9-10). Puo’ essere indicata l’ applicazione di un bendaggio extraorale elastico-compressivo. PREPARAZIONE DEL SITO RICEVENTE E OSTEOSINTESI Il sito ricevente deve essere scheletrizzato e preparato possibilmen-

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te prima di effettuare il prelievo; particolare attenzione deve essere posta alla liberazione del lembo mucoperiosteo da tutte le trazioni muscolari che renderebbero difficoltosa una sua adeguata mobilizzazione (fig. 11-12). A seconda del grado di mobilizzazione richiesta saranno impiegate diverse tecniche chirurgiche: dalla semplice plastica del periostio (25), alla tecnica dello spazio submucoso (23) alla tecnica denominata “superficial layer split thickness flap” (24). La corticale del sito ricevente deve essere ripetutamente perforata con una fresa di piccole dimensioni o con apposito inserto piezoelettrico (fig. 13) allo scopo di esporre i sottostanti spazii midollari e favorire la neoangiogenesi (26,27). Inoltre, la cruentazione della corticale causa un fenomeno di accelerazione locale dei fenomeni riparativi (RAP) (28) Anche il blocco, specialmente se composto quasi esclusivamente da corticale, puo’ essere perforato ripetutamente per favorirne la rivascolarizzazione (29). Per un migliore adattamento al sito ricevente l’ innesto potra’ essere diviso in due segmenti o utilizza-

to intero sfruttandone la naturale curvatura (fig. 14–15) per ricostruire delle convessita’ anatomiche. La fissazione rigida viene effettuata a mezzo di viti da osteosintesi; per evitare possibili fratture, i fori che attraversano il blocco devono essere di diametro leggermente piu’ grandi rispetto al diametro della vite, cosi’ da non impegnare eccessivamente la filettatura. Particolare attenzione va posta nel non avvitare con una forza eccessiva. L’ osteosintesi dovra’ comunque essere assolutamente stabile poiche’ l’ immobilita’ del blocco e’ un fattore essenziale per la sua integrazione (7). Ogni asperita’ del blocco sara’ accuratamente levigata con strumenti rotanti o inserti ultrasonici (fig. 16) allo scopo di evitare possibili perforazioni del lembo mucoperiosteo. Eventuali gaps potrenno essere colmati con del particolato di origine omologa o eterologa e una membrana postra’ essere posta a protezione dell’ innesto; da un’ analisi della letteratura non e’ ancora sufficientemente chiaro se questo possa contrastare il riassorbimento del blocco in modo clinicamente apprezzabile (30, 31, 32).


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Una prima linea con punti orizzontali evertenti seguita da una seconda linea con punti staccati a cerchio ridurranno sensibilmente i rischi di deiscenza della ferita chirurgica (fig. 17-18). Il paziente viene dimesso e le

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suture rimosse in 12ma giornata. Dopo un periodo di 4-6 mesi sara’ possibile l’ inserimento degli impianti endossei CONCLUSIONI Le tecniche di prelievo e innesto intraorale di blocchi ossei rendono

possibile la correzione di atrofie di grado lieve e moderato in regime ambulatoriale, garantendo un’ elevatissima percentuale di successo unitamente ad una bassa morbilita’ e ad una buona accettazione dell’ intervento da parte del paziente.

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SPLIT CREST CON IL METODO PIEZOSURGERY®: ESPANSIONE DI UNA CRESTA ALVEOLARE STRETTA ECONTEMPORANEO INSERIMENTO IMPLANTARE

Chirurgia

Roberto Grassi*, Walter Wille-Kollmar** * Prof. Roberto Grassi. Dipartimento di odonlostomalolncia e chinirgia orale. Università Bari. ** Dott. Waller Wille-Kollmar. Centro Privato Internazionale per Implantologia ed Odontoiatria Avanzata (CPIIOA). Parole chiave: Split-crest, frattura intracorticale mediante piezosurgery®

Situazione iniziale INTRODUZIONE L’inserimento di impianti in creste molto sottili rappresenta da sempre una grande sfida per ogni implantologo esperto. Nella maggior parte dei casi, per ottenere l’aumento volumetrico di creste alveolari sottili, si effettua il prelievo di un blocco osseo autologo, a cui si integra succes sivamente osso artificiale particolato (es. Bio-Oss/Geistlich) e una membrana per la copertura. In questi casi l’inserimento implantare può essere effettuato dopo circa 7 mesi. Questa metodologia è molto impegnativa è comporta diversi rischi (p.es. la deiscenza della sutura). Inoltre, per il paziente significa sottoporsi a tre interventi importanti

OPT iniziale (prelievo del blocco osseo, aumento dell’osso con osso artificiale, inserimento implan tare) che comportano uno stress psicologico e fisico non indifferente. Split crest tradizionale con utilizzo di osteotomi e con la metodologia piezosurgery® Per i motivi esposti, alcuni implantologi /chirurghi molto esperti (2.3) (come il team del Prof. Chiapasco che ha eseguito studi scientifici a lungo termine) preferiscono evitare questo tipo di interventi, utilizzando la tecnica della split crest e procedendo con l’inseri mento implantare direttamente al primo intervento. Il metodo tradizionale prevede l’utiliz zo del martelletto e di diversi tipi di

scalpelli (4). Esso risulta perciò abbastanza traumatico per il paziente a causa dei colpi che avverte (fig. 1). Questa tecnica è comunque riservata a chirurghi molto esperti perché è facile fratturare la struttura ossea e nonostante varie modifiche e l’integrazione di frese e seghetti, secondo la nostra esperienza, non risulta molto idonea. Con l’introduzione dell’apparecchiatura Piezosurgery® (secondo Vercellotti) si è affermato un nuovo metodo per incidere le creste alveolari strette in modo atraumatico (5). In seguito, con l’utilizzo di diversi strumenti espansivi, la cresta viene allargata fino a raggiungere il diametro sufficiente per poter inserire gli impianti. Il taglio dell’osso,

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Fig. 1: Split crest (Gli osteotomi in chirurgia preprotesica; E. Baldisseri, D. De Sanità, L. Malchiodi, F. Ferrari, F.Ruscitti, B. Guarnirei, A. Anesi, pubbl. Impl. Dent. Marzo 2006).

Fig. 2: Sega da osso "OT7" diametro 035, potenza utilizzata special (inserto da utilizzare solo sulla versione Piezosurgery® II). Fig. 3: Situazione prima dell'incisione.

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preciso e pulito, può essere controllato molto bene in quanto gli effetti cavitari permettono un’ottima visibilità del sito operatorio, con scarsa presenza di sangue. Una scala graduata millimetrata incisa sul seghetto a ultra suoni permette un perfetto monitorag gio della profondità di penetrazione ed il rischio di ledere i nervi, anche nel mascellare inferiore (nervo mandibolare), può essere escluso. Grazie al nuovo inserto per l’implanto logia della Mectron OT 7, dello spessore di soli 0,35 mm, è possibile eseguire una split-crest anche in casi limite (fig.2). Questa

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tecnica garantisce una buona rigenerazione ossea, premessa fonda mentale per la prognosi positiva di un successivo inserimento implantare. Studi scientifici a lungo termine hanno dimostrato che l’integrazione ossea di impianti orali è migliore nell’osso aumentato con tecniche di split crest rispetto all’osso aumentato con innesti di osso artificiale (6) . Preparazione pre-operatoria Dalla panoramica della paziente in questione si può supporre che la qualità dell’osso nel secondo quadrante sia scarsa in densità e spessore. L’esame clinico ha poi conferma-

to questo sospetto. La paziente è stata informata dei rischi che avrebbe comportato l’intervento in quella sede e che sarebbero potute insorgere complicazioni (p. es: la frattura della parete ossea). Le è stato detto di assumere un antibiotico a base di amoxcillina + acido clavulcanico (Neoduplamox /Procter & Gamble) un’ora prima dell’intervento e di effettuare degli sciacqui con un collutorio contenente clorexidina allo 0,20 % (Dentaton/ Ghimas) fin dal giorno precedente. L’antibiotico è stato prescritto per altri 10 giorni dopo l’intervento e, per una migliore


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Fig. 4: Incisione Fig. 5: Parte superficiale della cresta alveolare. Fig. 6: Levigatura della cresta alveolare con la fresa a sfera Fig. 7: L'inserto penetra la parte superficiale della cresta alveolare. Fig. 8: Attraverso le vibrazioni ad ultrasuoni l'inserto penetra l'osso in profondità senza sforzo.

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tollerabilità a livello gastrico, è stata consigliata anche l’assunzione di Riopan gel (Altana Pharma Spa). Come antidolorifico è consigliabile utilizzare come principio attivo il Naprossene Sodico (Synflex/

Recordati Spa). somministrato immedia tamente dopo l’intervento insieme al farmaco Ananase (Rottapharm) per limitare il gonfiore. Normalmente l’intervento avviene in anestesia locale. Con un gel a base

di benzocaina (Hurricain gelA’edefar NV) il sito operatorio viene disinfettato ed anestetizzato in superficie; in seguito viene iniettata la quantità sufficiente di Ultracain forte (Aventis Pharma) per anestetizzare in profon-

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Fig. 9: Split-crest finito. Fig. 10: Lo scalpello viene introdotto nella Fessura creata per verificare l'esito dello splitting.

dità tutta le regione interessata. L’anestetico causa, come effetto secondario, anche l’espansio ne dei tessuti adiacenti all’osso e ha proprietà emostatiche, facilita Io scollamento dei tessuti dall’osso ed il successivo ripristino del lembo periostale. Intervento La tecnica d’incisione prevede un taglio crestaie leggermente palatino e due tagli di rilascio, uno mesiale ed uno distale (fig. 3, 4). Normalmente si prevede il sollevamento solo di una piccola parte di lembo mucoperiostiale (sia palatino che buccale). ma in questo caso abbiamo preferito una preparazione ampia per visualizzare tutta la cresta alveolare e per creare spazio sufficiente per la corticale vestibolare

Fig. 11: Inserimento della fresa piccola del kit CrestExpansor (Bti). Fig. 12: Espansione della cresta mediante spreader vitiforme.

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espansa dopo l’inserimento implantare, la quale viene coperta con un mix di osso artificiale (BioOss/Geistlich) e Grafton (Bio Horizons). L’eventuale estensione del lembo mediante tagli periostali è da valutare durante l’intervento. Per rendere la parte superficiale della cresta più uniforme e piatta si fa un’osteoplastica con una fresa a sfera portandola ad una larghezza di 2,5 - 3 mm (fig. 5, 6). La tecnica della frattura intracorticale mediante il metodo piezosurgery® prevede il taglio dell’osso dapprima in superficie e poi sempre più in profondita senza sforzo, penetrando l’inserto speciale nella cresta attraverso vibrazioni ultrasoniche. E’ richiesta una particolare attenzione in questa fase

Fig. 13: Inserimento di due spreader per l'espansione contemporanea della cresta. Fig. 14: Al centro inserimento di uno spreader del set Extension Crest (Straumann) in modo da stabilizzare la fessura creata. Fig. 15: Progressiva espansione. Fig. 16: Perforazione mediante fresa finale oro 3,5 con stop di perforazione. Le frese finali con le loro punte sottili si Inseriscono nella precedente perforazione ossea e grazie alle loro tre alette taglienti lavorano in modo dolce e non traumatico.

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Fig. 17,18: Inserimento di un impianto. Fig. 19: Progressiva espansione con uno spreader di diametro maggiore. Fig. 20: Immediata adesione del sangue alla superficie dell'impianto.

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perché la struttura ossea non omogenea della cresta richiede una preparazione parallela nelle due direzioni (fig. 7, 8, 9). Al termine della split-crest nella fessura creatasi nella cresta viene inserito uno scalpello per controllare la profondità del taglio e così la cresta viene delicata mente allargata (fig. 10). Con la fresa piccola del set Crest- Expansor (Bti) viene effettuata la per forazione pilota e poi inseriti progressivamente gli espansori vitiformi di diametro crescente in modo da allargare gradualmente la cresta e creare il letto implantare (fig. 11. 12, 13). Per la split crest abbiamo utilizzato il kit di Chiapasco (ExtensionCrest®/Straumann) che contiene degli spreader per mantenere allar-

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gato lo spazio tra i siti implantari (fig. 14, 15). Progressivamente vengono inseriti da mesiale a distale 3 impianti: 2 impianti, L 12 0 3,5 mm, 1 impianto, L 12 0 3,5 mm). Tutti i procedimenti sono molto semplici grazie alla precisione delle frese dei sistemi implantari. Il design degli impianti e la loro caratterista autofilettante garantiscono un’eccezionale stabilità primaria immediatamente dopo l’inserimento, fondamentale nella fase di guarigione (fig. 16-22). Il vantaggio del sistema impiantare consiste nella diversificazione dei colletti degli impianti. Abbiamo utilizzato 2 impianti (impianto sabbiato e acidificato fino all’estremità) dove l’osso è rimasto interamente intatto, mentre abbiamo preferito inserire un impianto classico (colletto liscio di 3 mm) nella zona dove l’osso presentava delle piccole crepe, in maniera tale che in caso di probabile riassorbimento osseo soltanto la parte liscia dell’impianto sarebbe scoperta (rischio di perimplantite). Per una maggiore protezione e stabilità delle pareti fratturate che sono molto sot-

tili abbiamo ricoperto la fessura e le incisioni ossee con uno strato della mixture di osso artificiale sopra descritta. E’ determinante suturare il sito operatorio con una sutura (Ethicon/ Prolene 6/0) molto stretta in modo da favorire una guarigione ideale e per evitare un eccessivo gonfiore della zona interessata iniettare 1 ml di Dexa- Allvoran (TAD Pharm) nel muscolo vicino al sito (fig. 23). Abbiamo conservato la protesi della paziente per avere la garanzia che la zona dell’intervento non fosse sottoposta a sollecitazioni o pressione. Inoltre la paziente è stata invitata ad assumere soltanto cibi semiliquidi o liquidi per i tre giorni successivi all’intervento e ci siamo raccomandati di essere molto prudente anche nei giorni seguenti: soltanto il terzo giorno dopo l’intervento la paziente deve riprendere con gli sciacqui con un collutorio a base di clorexidina diluita con acqua, onde evitare sollecitazioni durante la prima fase di guarigione della ferita. Dopo circa 10 giorni e considerando le condizioni della ferita vengono

asportati i punti di sutura. Gli appuntamenti di controllo sono fissati ad intervalli molto brevi in modo da poter intervenire immediatamente qualora si verificassero delle complicazioni. Riassunto: Con la metodologia Piezosurgery® è possibile eseguire procedure di split crest in modo sicuro ed atraumatico anche in creste alveolari molto strette. Utilizzando un sistema implantare idoneo è sufficiente un unico intervento dove, con il metodo tradizionale, ci vogliono due o anche tre interventi importanti. E’ possibile sfruttare l’osso residuo di ridotta larghezza in modo ottimale. E’ molto importante informare il paziente dettagliatamente sui rischi di un tale intervento, perché non è prevedibile al 100% che l’intervento si concluda con successo.

Fig. 21: Inserimento di un ulteriore impianto. Fig. 22: Infine viene inserito un impianto classico Fig. 23: Sutura priva di tensioni. Fig. 24: OPT finale.

Bibliografia: Su richiesta

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MARCO POLO

HAWAI DOVE GLI ELEMENTI SI DANNO BATTAGLIA di Alfredo Tursi

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n quale parte del mondo puoi surfare guardando un vulcano in eruzione? Alle Hawaii. In quale parte del mondo puoi percorrere un tunnel scavato nella lava per un chilometro ed una volta uscito ritrovarti in una foresta pluviale tra felci di mille tipi diversi? Sempre alle Hawaii. In quale parte del mondo puoi nuotare con le tartarughe su una spiaggia vulcanica nera come la pace in acque cristalline azzurrissime? Sempre e solo alle Hawaii.

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E` in questo arcipelago che l`unione tra questi due elementi, acqua e fuoco, e` piu` forte, dove il rosso del fuoco va sfumando nel blu delle acque marine. Forse avranno perso un po` del fascino modaiolo che avevano negli anni 60 e 70, comunque restano una meta imprescindibile per il viaggiatore ma soprattutto per gli amanti del surf e dei suoi derivati. Perche` tra il fuoco e l`acqua si fa strada anche l`aria con tutta la sua forza ed irruenza anzi, l`aria doma

l`acqua costringendola ad onde altissime che solo pochi uomini possono cavalcare sfidando il pericolo (e che il pericolo sia reale lo testimoniano le croci che si scorgono sui dirupi a memento di coloro che per cavalcare le onde terrene sono finiti a cavalcare quelle celesti). E la terra, ultimo elemento della serie? Beh, anche questo elemento e` al meglio, con scogliere a picco sul mare che si sminuzzano in tanti aguzzi pinnacoli, con

cascate e foreste pluviali dove la felce la fa da padrone, con la lava ormai diventata terra che straripa e ingrandisce la superficie delle isole. Insomma se mai c`e` un posto dove i quattro elementi si misurano in una gara di bellezza e magnificenza, senza che pero` alla fine nessuno prevalga, questo posto e` l`arcipelago delle Hawaii, Polinesia battente bandiera a stelle e strisce. Buon viaggio





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NORME REDAZIONALI

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contributi vengono accettati a condizione che non siano stati e non vengano successivamente pubblicati altrove. Gli Autori pertanto devono allegare una dichiarazione autografa in cui richiedono la pubblicazione del lavoro e attestano che l’articolo presentato non è stato pubblicato in altre testate e che non si trova in visione per la pubblicazione presso le redazioni di altre case editrici. E’ inoltre necessario indicare un Autore di riferimento che autorizzi la pubblicazione del suo indirizzio, numero di telefono e di fax in calce al lavoro. Un’eventuale precedente comparsa dell’articolo sotto forma riassuntiva di comunicazioni orali o scritte nel corso di Congressi non ne preclude l’accettazione, ma deve essere segnalata. La responsibilità dei contenuti scientifici spetta esclusivamente agli Autori. La proprietà letteraria dei lavori viene ceduta alla Casa Editrice, che può autorizzare la riproduzione parziale o totale. I contributi (comprensivi di eventuali tabelle e foto) devono essere inviati dattiloscritti in tre copie (una su supporto magnetico, due su carta) alla Redazione: Best Micro s.r.l, S.P: Piansanese, 11 01018 - Valentano (VT) tel/fax: 0761 422575. La pubblicazione degli articoli è subordinata al giudizio della Direzione Scientifica della rivista, che ha facoltà di non accettarli o di chiedere agli Autori di apportarvi modifiche. I lavori che porteranno l’intestazione di un Istituto, devono essere

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firmati, per l’approvazione, dal Direttore dell’Istituto stesso. I testi devono essere elaborati su Personal Computer e possono essere in versione Macintosh e MSDOS. I supporti magnetici devono essere etichettati con: a) nome dell’Autore; b) Titolo del lavoro; c) Word processor usato, incluso il numero di versione. Il testo dei lavori deve essere redatto in lingua italiana e corredato da: a) titolo in italiano (lunghezza massima 100 battute); b) nome e cognome dell’Autore o degli Autori, completo di qualifica professionale, recapito telefonico, numero di codice fiscale e firma del primo Autore; c) riassunto in italiano (max 10 righe di 70 battute ognuna); d) titolo in inglese (max 90 battute); e) abstract in inglese (max 10 righe di 70 battute ognuna); f) tre parole chiave in italiano e in inglese. L’entità del dossier non dovrà superare le 6 pagine di rivista corrispondenti a 12 fogli dattiloscritti di 30 righe per 70 battute ogni riga. La presenza di una fotografia corrisponde allo spazio di 5 righe di 70 battute ognuna. La suddivisione del lavoro in capitoli, sotto-capitoli deve sempre essere indicata nel seguente modo: 0.Titolo del capitolo

0.0. Titolo del sotto-capitolo 0.0.0. Titolo del sotto-sotto capitolo Ovvero, progressivamente, il primo numero della serie indicherà sempre il capitolo, il secondo numero della serie il sottocapitolo di riferimento, etc. La bibliografia deve sempre essere compilata secondo le norme internazionali, elencata in ordine alfabetico, richiamata nel testo con il numero corrispondente ed essere limitata alle voci essenziali (massimo venti), salvo le rassegne bibliografiche. Se si considera citare un articolo o un libro già accettato per la pubblicazione, ma non ancora edito, occorre indicare il titolo del giornale (o il nome dell’editore) e l’anno previsto di pubblicazione, seguito dalla precisazione “in corso di stampa”. Il materiale scientifico non pubblicato (per esempio comunicazioni personali, lavori in preparazione) va indicato tra parantesi nel testo e non viene citato in bibliografia. Le illustrazioni, in copia originale (diapositive e lastre) e idonee alla pubblicazione, debbono essere poste, numerate con il proprio numero progressivo (romano per le tabelle, arabo per le figure), al termine dell’articolo su fogli aggiuntivi. Le didascalie delle figure devono essere compilate su un foglio a parte ed in successione. Il numero deve sempre corrispondere ad un preciso richiamo nel testo. Sono a carico degli Autori solo le spese di riproduzione e stampa delle illustrazioni a colori.



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