Symposiumodontoiatrico_Numero_07

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sommario

SYMPOSIUM ODONTOIATRICO

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Editoriale

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Analisi In Vitro Sulla Precisione Delle Tecniche Di Impronta In Implantoprotesi

di Andrea Possenti

QUADRIMESTRALE DI INFORMAZIONE SCIENTIFICA www.symposiumodontoiatrico.it REGISTRAZIONE Tribunale di Roma N.305 del settembre 2009 DIREZIONE SCIENTIFICA

di Antonio Castriottai

Dott. Andrea Possenti COMITATO SCIENTIFICO Prof. Emilio Govoni Prof. Emanuela Ortolani Prof. Luca Testarelli

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Prof. Vincenzo Rocchetti

Razionale dell’utilizzo dei lembi di accesso nella chirurgia degli ottavi inclusi inferiori. di Andrea Borgonovo

Prof. Roberto Di Giorgio Prof. Pietro Vettese Prof. Vincenzo Bucci Sabatini COMITATO DI REDAZIONE Dott. Luigi Genzano

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Dott.Cristiano Grandi

"La Diagnosi Stomatologica nelle Malattie di Confine: La Nevralgia del Glossofaringeo” di Fabio Luciani

Dott. Maurizio Fabi DIRETTORE RESPONSABILE Area Scientifica: dott. Donato Di Iorio Area Clinica: dott. Paolo Pianta DIREZIONE EDITORIALE

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Dr. Mihaela Roman

la cefalometria 3d tramite cbct nella diagnosi in ortodonzia di Valeria Calace

COORDINAMENTO EDITORIALE Paolo Andrisani REDAZIONE, PUBBLICITA’ E ABBONAMENTI Dr. Cristiana Roman info@symposiumodontoiatrico.it

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tel./fax. 0761.422575

Indonesia: Tra draghi e vulcani, l’arcipelago magico. di Alfredo Tursi

cell.: 3926784682 EDITORE BEST MICRO S.R.L. Via Marconi 49E, 01018 Valentano (VT) tel./fax. 0761.422575

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Norme redazionali

STAMPA Tipografia Artigiana-Roma

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editoriale “Tempo di crisi”

empi di crisi, tempi bui, cupi come una volta dicevano i nostri genitori e anche l’odontoiatria risente pesantemente di questa situazione generale. La ricetta o la bacchetta magica per uscirne non sono ancora disponibili, ma la nostra categoria come si è attrezzata per difendersi? Negli ultimi anni si è visto il proliferare di agenzie viaggio per voli in “paradisi” odontoiatrici a basso costo dove tutt’ora vengono garantite cure rapide (dove è finito il tempo di guarigione biologico), professionalità e soprattutto un notevole risparmio economico. Come se non bastasse, l’odontoiatria low cost l’abbiamo importata (vedi Vitaldent dalla Spagna) determinando quindi un ulteriore corsa al ribasso delle tariffe, con buona pace di quelli che chiedono la liberalizzazione delle stesse ed abolizione dei minimi. Ma forse è proprio qui il punto: dove vogliamo portare l’odontoiatria? Il livello qualitativo dei nostri operatori e delle nostre attrezzature aveva ed ha raggiunto livelli di eccellenza riconosciuti in tutto il mondo, adesso è vero, siamo in crisi economica ma non dobbiamo svendere la nostra professione. Giorni fa ascoltavo alla radio la pubblicità di una di queste catene low cost, ormai sono come dei supermercati, pubblicizzare l’ablazione tartaro a NOVE euro. Considerati i costi di gestione di uno studio, la professionalità dell’operatore, il tempo (45 minuti necessario per una corretta e scrupolosa operazione) e non ultimo il carico fiscale mi chiedo: cui prodest ? (a chi giova tutto ciò). In questo modo nel tempo abbasseremo sempre più la qualità delle nostre prestazioni esponendoci anche a più elevati rischi legali e determinando una discesa verso il basso della nostra categoria.

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analisi in Vitro sulla Precisione delle tecniche di imPronta in imPlantoProtesi

Scienza

Antonio Castriotta, Bruna Sinjari, Donato Di Iorio, Giovanna Murmura Dipartimento Di Scienze O rali, Nano E Biotecnologie Università Degli Studi G . d’A nnunzio di C hieti – Pescara, C hieti Direttore Prof. Sergio C aputi INTRODUZIONE L’impronta in implantoprotesi costituisce una tappa fondamentale nel trasferimento della situazione clinica al laboratorio, in quanto è intesa come rilevamento della posizione tridimensionale della/e fixture dell’arcata di riferimento. Le variabili in gioco per ottenere un modello realmente analogo alla situazione clinica sono: 1. materiali e tecniche per il rilevamento delle impronte;

2. componentistica adeguata alle sistematiche implantari (transfer, analoghi da laboratorio) 3. materiali e tecniche per lo sviluppo dei modelli. I materiali da impronta dovrebbero possedere i seguenti requisiti: 1. Biocompatibilita’: è auspicabile che i materiali da impronta non siano tossici. Da questo punto di vista i materiali che sfruttano come componenti sostanze

Riassunto L’impronta costituisce una tappa fondamentale del trattamento protesico e la tecnica con cui essa viene rilevata rappresenta una delle variabili che determinano la precisione del manufatto protesico. Lo scopo del presente lavoro è una valutazione in vitro sulla precisione delle seguenti tecniche d’impronta: 1. tecnica closed tray 2. tecnica open-tray 3. tecnica open tray splintata Per il presente lavoro è stato costruito un modello sperimentale di riferimento in metallo sul quale sono stati inseriti 6 impianti. Sul modello sperimentale sono state rilevate cinque impronte con ciascuna delle seguenti tecniche per un totale di 15 impronte divise in tre gruppi: Gruppo 1. tecnica closed tray Gruppo 2. tecnica open-tray Gruppo 3. tecnica open tray splintata Successivamente dalle impronte sono stati ricavati i modelli di lavoro e si è proceduto alla costruzione delle barre di Ackermann. Ciascuna barra è stata poi posizionata sul modello sperimentale di riferimento e si è proceduto alla valutazione della precisione mediante l’utilizzo dei seguenti parametri: 1. presenza di basculamento prima del fissaggio con le viti 2. presenza di gap marginale Il basculamento era assente nelle barre ottenute mediante tecnica open tray splintata, mentre quattro barre realizzate mediante la tecnica closed tray e due di quelle ottenute mediante tecnica open tray presentavano basculamento. Relativamente alla precisione marginale, le misurazioni hanno fornito i seguenti valori medi di gap marginale: tecnica closed tray 226.800 ± 48.391; tecnica open-tray 218.600 ± 50.053 µ m; tecnica open tray splintata 99.600 ± 27.763 µ m. Dal presente studio si evince che l’utilizzo della tecnica open tray conduce a risultati soddisfacenti sotto il profilo clinico e tecnologico. Si evince, inoltre, che c’è maggior precisione a carico dell’impronta su impianti con tecnica splintata rispetto alla tecnica non splintata.

Abstract Impression represent a crucial step in prosthodontic; also, the technique used to make an impression can determine the precision of the final restoration. The aim of the present research is an in vitro evaluation on the precision of the following impression techniques: 1. closed tray technique; 2. open tray technique; 3. splinted open tray technique An aluminium master model with 6 implants was prepared for the present study and 5 impressions per each of the following techniques were taken: Group 1. closed tray technique; Group 2. open tray technique; Group 3. splinted open tray technique With a total of 15 impressions divided into three groups. Afterwards, master models have been poured and Akermann’s bars have been realized. Each bar was positioned on the aluminium master model and precision was evaluated considering the following parameters: 1. presence of tilting before screw tightening; 2. presence of a marginal gap Tilting was absent in bars prepared with splinted open tray technique, while it was recorded in four bars prepared using closed tray technique and two bars prepared with open tray technique As regards marginal precision, following mean values of marginal gap have been measured: closed tray technique 226.800 ± 48.391; opentray technique 218.600 ± 50.053 µ m; splinted open tray technique 99.600 ± 27.763 µ m From the present study it is possible to state that the open tray technique provides a clinical and technological satisfactory outcome. Also, it is possible to state that splinted technique produces a more precise results compared to non-splinted technique.

Key Words: Implants; Impression; Precision

Parole Chiave: Impianti; Impronta; Precisione

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Fig. 1: tecnica open tray non splintata in un caso di riabilitazione con overdenture supportata da quattro impianti. (A) cucchiaio individuale in resina. (B) funzionalizzazione del cucchiaio mediante pasta termoplastica; quest’ultima fase si è resa necessaria in quanto in questo caso il modello di lavoro serviva per la realizzazione sia della barra, sia della base protesica. (C-D) inserimento dei transfer da impronta sugli impianti. (EF) prova del cucchiaio. (G) impronta rilevata in polisolfuro. (H) particolare dei transfer inglobati nel materiale da impronta.

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naturali, come ad esempio gli idrocolloidi o gli algianti che garantiscono una elevata sicureza. 2. Stabilita’ Dimensionale: si definisce stabilità dimensionale la capacità dell’impronta di rimanere inalterata da un punto di vista volumetrico, dopo la rimozione dal cavo orale. Essa è influenzata : • dal tipo di reazione di presa • dal coefficiente di espanssione termica • dallo spessore del materiale che circonda le strutture anatomiche • dall´uniformità dello spessore del matreiale attorno alle preparazioni

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3. Accuratezza Dimensionale: si definisce accuratezza dimensionale la capacita di un materiale per impronta di garantire dopo lo sviluppo che il modello sia quanto piu fedele possibile all´originale. 4. Precisione: viene spesso definita come la capacita di riprodurre il dettaglio. 5. Resistenza Allo Strappo: con resistenza allo strappo si intende la capacita di un materiale di essere estratto dal cavo orale del paziente senza subire danni. 6. Tissotropia: si definisce la capacita di una sostanza di diventare piu fluida se sottoposta ad una forza di tipo compressivo.


7. Bagnabilita’: si definisce la capacita di una sostanza chimica di bagnare la superficie con cui viene a contatto. 8. Tempi Di Lavoro clinicamente soddisfacienti. Sono stati proposti vari sistemi di classificazione dei materiali da impronta. Un sistema molto impiegato li suddivide in elastici e non elastici o rigidi,a seconda che siano elastici o meno dopo l’indurimento dell’impronta nella cavità orale. Facendo riferimento a questa classificazione i materiali da impronta più importanti e diffusi sono quelli elastici che, col trascorrere del tempo, hanno quasi completamente sostituito quelli non elastici per la maggior parte degli impieghi. A) 1) 2) 3) 4)

MATERIALI DA IMPRONTA NON ELASTICI gesso da impronta o gesso di Parigi paste termoplastiche da impronta paste all’ossido di zinco cere da impronta

B) 1) a) b) 2) a) b)

MATERIALI DA IMPRONTA ELASTICI IDROCOLLOIDI reversibili (agar) irreversibili (alginato) ELASTOMERI Gomme al polisolfuro Gomme siliconiche a polimerizzazione per condensazione Gomme siliconiche a polimerizzazione per addizione Gomme polietere

c) d)

Fig. 2: modello sperimentale in metallo con sei impianti

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In implantoprotesi si utilizzano gli elastomeri, ed in particolare in letteratura si riporta che i siliconi ed i polieteri permettono di ottenere i risultati migliori. GOMME SILICONICHE DA IMPRONTA I siliconi sono macromolecole costituite da una catena di atomi di ossigeno alternati con atomi di silicio, nella quale le due valenze libere del silicio sono legate con gruppi organici diversi. Le proprietà del polimero dipendono dalla natura del radicale organico legato al silicio. La stabilità del legame -Si-O-Si- garantisce ai siliconi una elevata stabilità. POLIETERI Sviluppati in Germania a cavallo degli anni ´60, questi materiali sono rimasti pressochè invariati per quanto riguarda la formulazione chimica, mentre sono state introdotte numerose modificazioni per quanto riguarda la consistenza. Chimicamente è un polimero a base di polietere, vulcanizzato tramite di anelli iziridinici. Questi materiali si presentano in una o due viscosità (media o media e bassa). Pasta base E’ costituita da: • un polietere ramificato a basso peso molecolare le cui le molecole sono caratterizzate dalla presenza di

gruppi terminali reattivi; • sostanze di riempimento (silice); • plastificante. Pasta reagente E’ costituita da: • un estere aromatico solfonato (dove X è un gruppo alchilico); • sostanze di riempimento (silice); • plastificante. Mescolando insieme le due paste si ha la formazione

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Fig. 3: rilievo delle impronte con tecnica closed tray

di legami intermolecolari tra le molecole di polietere, grazie ad una polimerizzazione cationica attraverso gli anelli terminali, dovuta all’azione del solfonato, senza formazione di prodotti secondari e, quindi, senza variazioni dimensionali apprezzabili. TECNICHE DI IMPRONTA IN IMPLANTOPROTESI Metodica Closed Tray (o A Strappo) Si posizionano sulle fixture i relativi transfer e poi viene rilevata l’impronta con un cucchiaio standard o con un portaimpronte individuale. In questo caso con il portaimpronte individuale si riescono a ottenere spessore ideale di materiale, un portaimpronte che meglio si adatta alle forme anatomiche e quindi un’ informazione molto più precisa. Successivamente vengono posizionati gli analoghi sui transfer e il tutto inviato al laboratorio. Anche questa tecnica puo comportare del-

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le imprecisioni come: il moncone può non trovare una posizione definitiva (trasfer corti) o un intrappolamento di aria può impedirne il completo riposizionamento (trasfer lunghi e/o presenza di sottosquadri). Questa metodica risulta controindicata in presenza di evidenti divergenze implantari o rispetto a denti naturali. Metodica Open Tray (o Pick - Up) Questa tecnica neccessita di un portaimpronte fenestrato in corrispondenza dell’ asse di emergenza del trasfer posizionato sulla fixture. Cosi viene rilevata la posizione tridimensionale dell’impianto attraverso un coping che rimane solidale con l’impronta quando essa viene rimossa dal cavo orale (fig. 1). E’ stata introdotta anche una variante, detta tecnica pick-up splintata. In questa variante i coping vengono splintati in modo rigido tra di loro o al cucchiaio individuale in modo da avere una registrazione di posizione degli impianti più affidabile e un minor rischio di dislocamen-

to dei trasfer durante l’avvitamento degli analoghi. Nel caso di impianti singoli si fissa la superficie esterna del coping al portaimpronta individuale con della resina a freddo dopo che è avvenuto l’indurimento del materiale da impronta. Si deve rimuovere l’eccesso di materiale da impronta che fuoriesce dalla fenestratura durante la fase plastica di indurimento, liberando i bordi in resina della finestra in modo da poter colare successivamente la resina intorno alla testa del trasfer e sul cucchiaio individuale. In caso di almeno due impianti, la possibilita è quella di solidarizzare i coping tra di loro con del filo interdentale o con del filo metallico da legatura ortodontica, in modo da formare uno scheletro passivo su cui depositare della resina di precisione che bloccherà i dispositivi di trasferimento tra di loro. La presa dell’ impronta avverrà successivamente in maniera invariata. Alcuni autori sostengono l’eventualità di imprecisioni dovute alla contrazione dimensionale della resina durante il suo indurimento,


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che potrebbe influire sulla precisione di posizione dei coping. Non esistono sicure evidenze scentifiche che testimoniano la superiorità di una tecnica rispetto all’altra o rispetto alla tecnica di riposizionamento, che di conseguenza possono essere considerate clinicamente sovrapponibili. Lo scopo del presente lavoro è una valutazione in vitro sulla precisione delle seguenti tecniche d’impronta: 1. tecnica closed tray 2. tecnica open-tray 3. tecnica open tray splintata MATERIALI E METODI Per il presente lavoro è stato costruito un modello sperimentale di riferimento in metallo allo scopo di riprodurre l’arcata mandibolare edentula sul quale sono stati inseriti 6 impianti paralleli tra loro in posizione 33;34;36;43;44;46 (fig. 2). Sono stati utilizzati impianti da 4,1 mm di diametro (3i Implant

Innovations, Inc. Palm Beach Gardens, FL) a connessione interna.Ogni impianto possedeva il proprio abutment. Sul modello sperimentale sono state rilevate cinque impronte con ciascuna delle seguenti tecniche per un totale di 15 impronte divise in tre gruppi (fig. 3): Gruppo 1. tecnica closed tray Gruppo 2. tecnica open-tray Gruppo 3. tecnica open tray splintata Successivamente le impronte sono state colate con del gesso di tipo IV e si è proceduto alla costruzione delle barre di ackermann (fig 4). Ciascuna barra è stata poi posizionata sul modello sperimentale di riferimento e si è proceduto alla valutazione della precisione mediante l’utilizzo dei seguenti parametri: 1. presenza di basculamento prima del fissaggio con le viti 2. presenza di gap marginale

RISULTATI Quattro delle cinque barre realizzate sui modelli ottenuti mediante la tecnica closed tray e due di quelle ottenute mediante tecnica open tray presentavano basculamento, mentre questo era essente in tutte le barre ottenute mediante tecnica open tray splintata (tab 1). Relativamente alla precisione marginale (fig. 5), le misurazioni condotte al microscopio ottico hanno fornito i seguenti valori medi di gap marginale: Gruppo 1. tecnica closed tray 226.800 ± 48.391 µ m (Media ± Dev. St); Gruppo 2. tecnica opentray 218.600 ± 50.053 µ m (Media ± Dev. St); Gruppo 3. tecnica open tray splintata 99.600 ± 27.763 µ m (Media ± Dev. St) (tab 2)

Fig. 4: realizzazione di una barra sperimentale

DISCUSSIONE DIFFERENZE TRA LE VARIE TECNICHE L’obiettivo di questo studio è di valutare la precisione delle impronte su impianti usando differenti tecniche da impronta. Oltre alle tecniche

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dalla bocca, lasciando gli abutment sugli impianti. Gli abutment vengono rimossi e connessi con gli analoghi degli impianti. Dopo l’analogo e l’abutment assieme vengono reinseriti nell’impronta prima di fare il modello definitivo. Invece l’impronta open tray utilizza dei transfer con sottosquadri e un cucchiaio forato (un cucchiaio con un’apertura) che consente alle teste dei transfer con le relative viti di fuoriuscire dall’apertura del cucchiaio. Prima di essere separari dagli impianti, i transfer vengono svitati per essere rimossi assieme all’impronta. Gli analoghi vengono connessi ai transfer per preparare il modello definitivo. In relazione a queste 2 tecniche ci sono 14 studi che le mettono a confronto: 5 hanno dimostrato che è piu’ precisa la tecnica pick-up, 2 hanno preferito la tecnica closed tray e 7 dicevano che non c’è nessuna differenza.

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Fig. 5: misurazione del gap marginale al microscopio ottico

e i materiali bisogna prestare attenzione a vari fattori clinici che possono influenzare la precisione dell’impronta. E’ stata fatta una ricerca bibliografica e sono stati selezionati quegli articoli in cui si sono messe a confronto le diverse tecniche da impronta e i diversi materiali. La maggior parte degli studi trovati confronta la tecnica indiretta (pick-up) con la tecnica di riposizionamento (transfer) e la tecnica splintata con la tecnica non splintata. Per quanto riguarda i materiali da impronta sono stati messi a confronto quelli più utilizzati,cioè i polieteri e polivinilsilossani. TECNICA CLOSED TRAY VS TECNICA OPEN TRAY La tecnica closed tray utilizza degli abutment (copings) conici senza sottosquadri e un cucchiaio non forato del commercio per prendere l’impronta. Gli abutment vengono posizionati tramite una connessione sull’impianto, poi viene presa un’impronta e sfilata

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TECNICA SPLINTATA VS TECNICA NON-SPLINTATA Il principio della tecnica SPLINTATA è quello di connettere tutti i transfer assieme usando un materiale rigido che previene gli spostamenti accidentali durante le procedure di impronta. Si utilizzano dei dispositivi come il filo interdentale o il filo metallico per ortodonzia, che passino a ponte tra i transfer stessi, a formare un telaio che sostenga la resina che si utilizza per splintarli. Si impiega un cucchiaio individuale opportunamente forato, lo si prova in bocca per assicurarsi che le teste dei transfer con le relative viti fuoriescano dall’apertura del cucchiaio e poi si rileva l’impronta. Rimossa l’impronta, ci ritroveremo i transfer inglobati nell’impronta, i quali verranno collegati con gli analoghi. La tecnica NON SPLINTATA utilizza sempre un cucchiaio forato e i transfer non vengono uniti tra di loro con resina. Si posiziona il transfer sull’impianto e si rileva l’impronta con cucchiaio individuale fenestrato. Si toglie il materiale in eccesso sulle viti che fuoriescono dall’impronta e si aggiunge della resina proprio per solidarizzare al massimo i transfer con l’impronta. A indurimento avvenuto si svitano le viti passanti e si rimuove l’impronta portando con se anche i transfer, i quali verranno collegati con gli analoghi. CONCLUSIONI Dal presente studio si evince che l’utilizzo della tecnica open tray conduce a risultati soddisfacenti sotto il profilo clinico e tecnologico. Si evince, inoltre, che c’è maggior precisione a carico dell’impronta su impianti con tecnica splintata rispetto alla tecnica non splintata e questo dato è in accordo con la letteratura.


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razionale dell’utilizzo dei lembi di accesso nella chirurgia degli ottaVi inclusi inferiori.

Chirurgia

A. Borgonovo*, A. Panigalli**, E. Larovere**, P. Rosa **, A. Bianchi** *Prof. A .C . Scuola di specialità di chirurgia odontostomatologica, Università degli studi di Milano, clinica odontoiatrica IRC C S Fondazione Policlinico O pedale Maggiore C a’ G randa. **Medico frequentatore clinica odontoiatrica IRC C S Fondazione Policlinico O pedale Maggiore C a’ G randa. Abstract L’estrazione chirurgica dei terzi molari inclusi rappresenta una manovra molto frequente nella pratica quotidiana del chirurgo orale. La tecnica chirurgica di estrazione dei denti del giudizio può essere più o meno invasiva, a seconda della posizione del dente e dei suoi rapporti con le strutture anatomiche circostanti. Denti del giudizio in inclusione superficiale, verticali o leggermente mesioinclinati, possono essere estratti senza grandi difficoltà. In altri casi come in presenza di elementi distoinclinati e in inclusione ossea profonda risulta fondamentale garantire un accesso chirugico adeguato al fine di garantire una più agevole esecuzione delle manovre operatorie.

INTRODUZIONE La ricerca di un approccio ottimale per l’avulsione dei terzi molari ha un’importanza rilevante. I terzi molari infatti, presenti nel 90% della popolazione, risultano in condizioni di inclusione nel 33% dei casi_. L’inclusione è probabilmente il risultato di fattori genetici e patologici. Molto patologie sono collegate alla situazione di inclusione dei terzi molari e per questa ragione che l’avulsione di questi elementi risulta essere una pratica frequente per l’odontoiatra. Le manovre finalizzate all’estrazione dei molari inclusi interessano sia i tessuti molli che i tessuti duri. In conseguenza di ciò è frequente che i pazienti sottoposti a questo tipo di intervento presentino dolore post-operatorio, edema e trisma. Numerosi studi si sono concentrati sull’analizzare la prevalenza, il tipo di inlcusione

Risulta evidente come l’incisione chirurgica, ed in particolare il suo disegno, debba essere eseguita in modo da garantire all’operatore una completa e sicura visualizzazione dell’intera area operatoria. Inoltre, l’allestimento del lembo chirurgico, deve garantire il più possibile la riduzione del discomfort post-operatorio per il paziente e le possibile conseguenze negative a carico degli elementi adiacenti all’area operatoria. Gli autori intendono analizzare i diversi disegni di lembo proposti dalla letteratura prestando particolare attenzione alle indicazione dell’utilizzo di ciascuno di questi in relazione alle peculiarità di ciascuno di questi per quanto concerne il decorso post-operatorio e le conseguenze parodontali.

(dandone una classificazione), tecniche chirurgiche finalizzate alla rimozione e la sintomatologia pre e postoperatoria._ L’allestimento del lembo e l’osteotomia necessarie all’avulsione degli elementi¹ sono associate a numerose complicazioni_. Risulta evidente come la ricerca di una tecnica chirurgica appropriata sia di fondamentale importanza sia ai fini di ridurre i rischi durante l’intervento sia nel permettere al paziente un miglior decorso post-operatorio. La scelta del tipo di lembo da eseguire durante l’intervento rappresenta una importante variabile dalla quale dipendono sia la buona riuscita dell’intervento sia la riduzione del disconfort e delle possibili conseguenze negative a carico del parodonto degli elementi adiacenti al terzo molare.

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Il disegno del lembo deve poter consentire l’accesso visivo e strumentale all’elemento, preservare il più possibile le strutture nobili circostanti come l’arteria facciale, il nervo linguale e lo spazio laterofaringeo ed infine, consentire una sutura corretta ed agevole garantendo una buona guarigione. La scelta del lembo d’accesso è determinata dalla profondità dell’inclusione e dalla posizione del terzo molare. Risulta evidente che nei casi più complicati sia necessario eseguire un lembo che garantisca un accesso maggiore.

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Per l’avulsione degli ottavi inferiori vengono utilizzati lembi mucoperiostei a spessore totale ed il disegno del lembo può essere principalmente di tre tipi: marginale o paramarginale, triangolare o trapezioidale. Ognuno di questi disegni presenta delle indicazioni specifiche di utilizzo. LEMBI D’ACCESSO LEMBO MARGINALE Questo lembo prevede una incisione intrasulculare a livello del settimo ed un’incisione distale di scarico che,


partendo dalla metà distale del settimo, si dirige in direzione distale e vestibolare. In alcuni casi (meno complessi) questo lembo può essere eseguito senza l’incisione di scarico distale. Inoltre la lunghezza del lembo ed il numero di elementi coinvolti dipendono dalla quantità di esposizione necessaria. Questo tipo di lembo è considerato il più comune approccio per l’avulsione dei terzi molari inferiori_ e presenta numerosi vantaggi. Garantisce una buona visibilità durante le fasi operatorie ed in caso si renda necessario da la possibilità di estendere l’incisione sulculare al fine di aumentare l’esposizione dell’area operatoria. Inoltre l’assenza di incisione di scarico verticali e la limitata estenzione del lembo garantiscono un vascolarizzazione ottimale del lembo. Nonostante la limitata estensione del lembo, il decorso post operatorio risulta essere peggiore in pazienti sottoposti ad avulsione con l’utilizzo di questa tecnica. I pazienti presentano spesso trisma ed una maggiore sintomatologia algica. Anche il rischio di deiscenza della ferita chirurgica risulta superiore in quanto la passivazione di questo tipo di lembo è più difficoltosa da eseguire. Anche il danno parodontale provocato agli elementi subito adiacenti all’ara dell’intervento sembra essere superiore con l’utilizzo di questo lembo._ L’allestimento di un lembo mucoperiosteo può influire sul parodonto. L’aumentata attività degli osteoclasti successiva all’incisione può portare ad un riassor-

bimento osseo, l’incisione intrasulculare può interferire con il legamento parodontale e quindi compromettere lo stato di salute parodontale.5 Per questa ragione Szmyd propose un l’utilizzo di un lembo a busta modificato. In questa nuovo approccio l’incisione intrasulculare a livello del secondo molare veniva sostituita da un’incisione di tipo paramarginale al fine di preservare l’attacco parodontale e quindi ridurre il riassorbimento osseo._ LEMBO TRIANGOLARE Questo lembo di accesso associa ad un incisione distale di scarico simile a quella del lembo a busta una seconda incisione di svincolo che, partendo dal margine disto-vestibolare del settimo si dirige verso la linea di giunzione mucogengivale con una nclinazione di circa 45°. Viene quindi praticata una terza incisione intrasulculare distale, estesa fino all’angolo disto-linguale che permette lo scollamento del lembo anche sul versante linguale rendendo possibile la protezione del nervo linguale. La presenza di una seconda incisione di svincolo vestibolare facilita lo scollamento aumentandone la possibilità di retrazione. Questo, come ovvio, permette, rispetto al lembo a busta, di ottenere una maggiore esposizione dell’osso alveolare aumentando l’accessibilità visiva e strumentale. Risulta evidente come questo tipo di vantaggio permetta di utilizzare questo disegno in casi più complessi. La maggiore estensione del lem-

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marginale aumentando la durata delle fasi di sutura e quindi dell’intervento. Inoltre la presenza dell’incisione di scarico vestibolare può aumentare il rischio di decubito dell’incisione sull’area dell’osteotomia.

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bo con la presenza dell’incisione di svincolo, permette un migliore drenaggio della ferita chirurgica riducendo così l’edema post-operatorio. La sutura ed il corretto posizionamento del lembo risultano meno agevoli che con l’utilizzo di un lembo

LEMBO TRAPEZIOIDALE Questo lembo d’accesso prevede l’esecuzione di una incisione intrasulculare a livello del settimo (estendibile anche al sesto) associata a due incisioni di scarico. La prima diretta distalmente come nel disegno dei due precedenti lembi d’accesso e la seconda che dal margine mesio-vestibolare del settimo (o disto-vestibolare del sesto) si dirige in direzione mesiale. La maggiore esposizione dell’area operatoria e lo scollamento più agevole del lembo, rendono questo tipo di approccio ideale per i casi più complessi. La sua estensione elevata aumenta però il rischio di


riassorbimento osseo legato all’allestimento del lembo ed il rischio di una maggiore retrazione gengivale e perdita di attaco parodontale._ Il riposizionamento e la sutura di questo tipo di lembo richiedono un maggiore dispendio di tempo, prolungato la durata dell’intervento. DISCUSSIONE L’allestimento di un lembo d’accesso finalizzato all’avulsione di un terzo molare inferiore incluso può essere associato a conseguenze sul parodonto dei denti adiacenti. Non è infatti poco frequente rilevare un’aumento della profondità dei sondaggio (PPD) a carico dei secondi molari adiacenti all’intervento. Il disegno del lembo rappresenta di fondamentale importanza al fine di ridurre le conseguenze dell’intervento. Numerosi studi si sono concentrati sull’analizzare eventuali rapporti tra il disegno del lembo e le conseguenze sulla salute del parodonto. Nel 1983 Stephens_ ha pubblicato i risultati di uno studio splith mouth che valutava la salute parodontale del secondo molare successivamente all’avulsione del terzo molare utilizzando due tipi di lembo: marginale e trapezioidale. Successivamente all’estrazione dei terzi molari indipendentemente dal tipo di tecnica utilizzata, si è registrato una notevole riduzione dello stato

infiammatorio del parodonto del secondo molare. Nonostante ciò questo studio non ha evidenziato differenze di sorta tra i due quadranti presi in esame, suggerendo l’ipotesi che lo stato di salute del parodonto non fosse in relazione con il tipo di lembo utilizzato. I risultati di questo studio sono stati poi confermati da studi successivi di Quee e Schoefield.__ Quee nel suo studio analizzò, oltre all’influenza del disegno del lembo, anche quella dell’altezza della cresta ossea distalmente al secondo molare. A sei mesi dall’avulsione dei terzi molari, la perdita di attacco distale al secondo molare non risultava essere in relazione con l’altezza della cresta ossea. Questo dato, insieme ai risultati relativi alle misurazione dell’attacco in relazione al tipo di lembo, portò gli autori ad affermare che in tutti i casi la rimozione dei terzi molari inclusi conduce ad una inevitabile perdita di attacco a carico dell’area distale al secondo molare e che questa perdita avviene indipendentemente dal tipo di lembo utilizzato e dall’altezza della cresta ossea. In un recente studio_ sono state confrontati due tipi di lembo d’accesso a busta (marginale e paramarginale) in termini di guarigione della ferita, PPD a carico del secondo molare, sintomatologia algica post-operatoria, trisma ed edema. i risultati hanno evidenziato una migliore guarigione a breve termine (5 giorni) nei pazienti in cui veniva utilizzato un lembo paramargina-

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le. Nonostante questa iniziale differenza, però, l’utilizzo dei due tipi di lembo non hanno reso apprezzabili vantaggi o svantaggi in termini di riduzione dell’edema, del trisma e del dolore post-operatorio. Il disegno del lembo può invece influenzare la guarigione primaria della ferita chirurgica._ E’ importante sottolineare come il dolore e l’edema post-operatorio siano eventi molto frequenti in pazienti sottoposti a questo tipo di intervento, rappresentando un importante motivo di discomfort. I fattori che concorrono a causare il dolore pos-operatorio e l’edema sono molteplici e sono da porre in relazione con il processo infiammatorio che si innesca successivamente al trauma chirurgico. Uno dei fattori che maggiormen-

te contribuisce ad influire su dolore ed edema è la guarigione della ferita chirurgica. Una guarigione di prima intenzione si verifica quando la ferita chirurgica viene suturata permettendo la giustapposizione dei margini del lembo. Questi, combaciando perfettamente garantiscono la chiusura ermetica dell’alveolo post-estrattivo, precludendo qualsiasi tipo di comunicazione con l’esterno. La guarigione di seconda intenzione, invece, i lembo i margini non vengono fatti collimare. ma viene lasciata una possibilità di comunicazione tra l’alveolo postestrattivo e l’esterno. Questo consente il drenaggio dei prodotti del processo infiammatorio. Come evidenziato da Danda et al_ in un recente


bensì la conseguenza di processi differenti.

studio (JOMS 2010) una guarigione di seconda intenzione sembra poter ridurre il discomfort post-operatorio dei pazienti sottoposti ad avulsione di terzi molari inclusi. I risultati di questo studio Split-mouth esguito su un campione di 93 pazienti hanno mostrato una differenza significativa dell’estensione dell’edema, che risultava, a distanza di 7 giorni, mediamente superiore nel gruppo 1 (chiusura di prima intenzione). Anche l’entità del dolore post-operatorio registrata al settimo giorno di guarigione era superiore nel gruppo 1. Alla luce di questi dati è evidente come, al fine di garantire un decorso post-operatorio migliore, sia da preferire una guarigione di seconda intenzione. Evitando di far collimare i lembi si garantisce la possibiltà di drenaggio della ferita e quindi la riduzione dell’edema e della sintomatologia algica. CONCLUSIONI L’avulsione dei terzi molari inclusi può condurre a conseguenze a carico del parodonto del secondo molare. Il disegno del lembo d’accesso influenza la guarigione della ferita chirurgica e per questa ragione la sua scelta risulta importante ma sembra non avere conseguenze rilevanti sulla salute parodontale del secondo molare. La presenza di questo tipo di conseguenze sembra quindi non essere in relazione alla tecnica chirurgica,

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"la diagnosi stomatologica nelle malattie di confine : la neVralgia del glossofaringeo”

Medicina

Fabio Luciani**, Paolo Piva**, Fabiana Muzzi*** Francesco N. Bartuli*, Claudio Arcuri**** *Professore a C ontratto, Settore Disciplinare Med/28, Facoltà di Medicina e C hirurgia, Università degli Studi di Roma “T or V ergata” - C attedra di Parodontologia; **U.O .C . di O dontostomatologia, Servizio di C hirurgia O dontostomatologica O spedale “S. G iovanni C alibita – Fatebenefratelli” – Isola T iberina, Roma; ***U.O .C . di O dontostomatologia, Servizio di G natologia C linica O spedale “S. G iovanni C alibita – Fatebenefratelli” – Isola T iberina, Roma; *** Professore O rdinario, T itolare dell’Insegnamento di Parodontologia C .L.S.O .P.D Università di Roma “T or V ergata”, Direttore U.O .C . O dontostomatologia, O spedale “San G iovanni C alibita – Fatebenefratelli” - Isola T iberina, Roma. Università degli Studi di Roma “T or V ergata”, U.O .C . di O dontostomatologia - C attedra di Parodontologia; O spedale “S. G iovanni C alibita Fatebenefratelli” - Isola T iberina Direttore: Prof. C laudio A rcuri Riassunto

Abstract

La nevralgia del glossofaringeo è una sindrome, osservata per la prima volta nel 1910 da Theodore H. Weisenburg, che ha descritto la malattia come “un dolore lancinante al collo e all'orecchio”. Le malattie nevralgiche del IX paio di nervi cranici possono essere classificati in due diverse forme cliniche: Nevralgia Major e Nevralgia Minor. La sua eziopatogenesi non è nota, ma dovrebbe essere attribuita ad una compressione vascolare. La diagnosi della forma essenziale avviene grazie al riconoscimento e alla localizzazione del dolore, esplosivo e provocato da improvvisa stimolazione dei punti trigger.

Glossopharyngeal neuralgia is a syndrome observed for the first time in 1910 by Theodore H. Weisenburg, who described the disease as "a sharp pain in the neck and ear." Disease neuralgia of the ninth cranial nerve can be classified into two different clinical forms: Neuralgia Neuralgia Minor and Major. Its etiology is unknown, but should be attributed to a vascular compression. The diagnosis of essential form is due to the recognition and location of pain, caused by sudden and explosive stimulation of trigger points.

Parole Chiave

Key Words

Nevralgia del Glossofaringeo, Zone Grilletto, RMN

Glossopharyngeal neuralgia, Trigger Point, RMN

INTRODUZIONE La nevralgia del glossofaringeo è una sindrome, osservata per la prima volta nel 1910 da Theodore H. Weisenburg, che ha descritto la malattia come “un dolore lancinante al collo e all'orecchio”. Nel 1926, Wilfred Harris ha coniato il termine 'glossopharyngeal nevralgia' che lo differenzia nettamente

dalla nevralgia del trigemino 1. Il nervo glossofaringeo, o IX paio di nervi cranici, è una piccola radice nervosa, che ha il suo nucleo originario nel romboencefalus, che si trova in profondità nel collo e ha le proprie efferenze a livello del midollo lateralmente, appena rostralmente al nervo vago (Fig. 1). Le fibre nervose del glossofaringeo portano la sensibilità generale dai due terzi della

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Fig. 1: Origine Intracranica del IX Paio dei Nervi Cranici Fig. 2: Distribuzione del Territorio di Innervazione del n. Glossofaringeo Fig. 3: R.M. dell'ATM e dei territori periauricolari

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parte posteriore della lingua per il gusto, dalla faringe e dal palato molle. Le sue fibre parasimpatiche innervano la ghiandola parotide attraverso il ganglio otico, le ghiandole salivari minori e ghiandole sottomucose accessorie della lingua e della faringe. Le fibre motorie somatiche dello stilofaringe, innervano le fibre muscolari e la parte superiore dei muscoli faringei 1,2. DISCUSSIONE Le malattie nevralgiche del IX paio di nervi cranici possono essere classificati in due diverse forme cliniche: Nevralgia Major e Nevralgia Minor. La Nevralgia Major, corrisponde alla forma essenziale, colpisce sia le donne e gli uomini con più di 40 anni, ed in via eccezionale, gli adolescenti. La sua eziopatogenesi non è nota, ma dovrebbe essere attribuita ad una compressione vascolare. In effetti, la compressione vascolare della radice del nervo può causare demielinizzazione o, in alternativa, una ripetitiva attivazione del recettore per l’N-metil-Drecettore per l'acido aspartico e quindi una iper-eccitabilità nei neuroni centrali. Altre ipotesi riguardano malattie dismetaboliche o forme legate a virus neurotropici, ma purtroppo nessuna di queste ha conferme scientifiche valide. Le peculiarità del dolore sono caratterizzate da improvviso dolore unilaterale, che non trova benefi-

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cio dai comuni trattamenti antidolorifici 3. La durata della crisi varia da alcuni secondi ad alcuni minuti, e porta spesso il malato ad uno stato di ansia che lo condiziona a prendere posizioni per trovare un po’ di sollievo. La localizzazione preferenziale del dolore è la parte posteriore e profonda parte della bocca e l'orofaringe, il palato molle e la radice della lingua con irradiazione in direzione delle orecchie e delle porzioni laterali e posteriori del collo4. L'insorgenza di crisi può anche essere provocata da stimoli fisiologici come la deglutizione, lo starnuto, la tosse, ma nella maggior parte dei casi l'esordio è spontaneo, con fasi regolari o irregolari in base al soggetto. La localizzazione dei punti trigger sono in genere diverse posizioni della testa e del collo come i pilastri tonsillari, la radice della lingua, le aree esterne del padiglione auricolare, la mandibola e le zone muscolari della regione ioidea del collo (Fig. 2). Molto rara è l'associazione con sintomi cardiologici, come la sincope, caratterizzata da bradicardia e ipotensione. La possibile associazione tra sincope e GN potrebbe essere legata alla stretta connessione tra il nervo vago e il nervo glossofaringeo, che può favorire la creazione di un riflesso vago-glossofaringeo5. L'altra forma di nevralgia è la nevralgia Minor, che è anche definita "nevralgia sintomatica", perché comprende le forme secondarie a


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malattie conosciute. La sintomatologia dolorosa è più contenuta e le caratteristiche ne rendono facile la differenziazione con la forma essenziale. In realtà, non ci sono legami con i gruppi di età, e può colpire indiscriminatamente uomini e donne, in qualsiasi momento della vita. L’insorgenza della sintomatologia non è mai improvvisa e violenta, ma progressiva. Il dolore è molto meno violento, ma comunque invalidante, associato a sensazioni urenti, con periodi di remissione, che spesso non sono mai del tutto esenti da sintomi. I punti trigger possono essere presenti, ma non sono patognomonici come nella forma essenziale e possono essere localizzati anche in aree atipiche. Fenomeni di diffusione dolore possono essere visualizzati con altri territori interessati con varie risposte che possono includere anche spasmi farinngo-esofagei6. In conformità con l'eziopatogenesi, la nevralgia sintomatica può essere classificata in: - Nevralgia secondaria a malattie neoplastiche del cervello; - Nevralgia secondaria ad aneurisma vascolare; - Nevralgia secondaria a malattie infiammatorie; - Nevralgia secondaria alla sindrome di Bouquet, in seguito a stati traumatici che coinvologono il fascio muscolare di Riolano; - Nevralgia secondaria alla sindrome di Eagle, per ossificazione del legamento stiloioideo. DIAGNOSI E TRATTAMENTO La diagnosi della forma essenziale è molto semplice, grazie al riconoscimento della localizzazione e delle caratteristiche del dolore, che è esplosivo, provocato da improvvisa stimolazione dei punti trigger. Nonostante ciò, per la sua estrema rarità, la diagnosi della nevralgia del glossofaringeo è spesso una diagnosi di esclusione da altre malattie più frequenti. La Risonanza Magnetica

tridimensionale mostra che il contatto o la contiguità tra i vasi sanguigni e il tessuto neurale non è visibilmente differente nel lato sintomatico e non sintomatico, così da escludere qualsiasi nesso di causalità coerente al dolore7 (Fig. 3). La nevralgia del glossofaringeo può beneficiare di trattamenti medici e chirurgici. Il trattamento medico può utilizzare la carbamazepina o il gabapentin per i parossismi dolorosi. Altri farmaci utilizzati per la nevralgia del trigemino, come lamotrigina, l’acido valproico, il topiramato e piccole dosi, potrebbero essere utilizzati anche se non ci sono prove scientifiche evidenti per nevralgia del glossofaringeo8. Per i pazienti refrattari alla terapia medica, l'intervento chirurgico deve essere preso in considerazione come alternativa. Le possibilità sono la rizotomia del glossofaringeo e delle radici nervose superiori del nervo vago, oppure una decompressione microvascolare. Nella maggior parte dei casi il trattamento curativo è la sezione intracranica della radice. Più recentemente, la decompressione microvascolare è utilizzata con risoluzione completa del dolore nel 76% dei casi e sostanziale miglioramento in un ulteriore 16%9. CONCLUSIONI La nevralgia del glossofaringeo è una rara malattia caratterizzata da dolore acuto localizzato in zone tipiche nella forma essenziale, e in aree atipiche in quella secondaria. Nel forma major, la causa è spesso fraintesa, e nella forma minor ci sono molte malattie che possono provocare la sintomatologia. La diagnosi può essere difficile, non per le sue caratteristiche, ma per la sua rarità, e per questo motivo, molti specialisti, dal neurologo all’odontoiatra, possono essere coinvolti nel riconoscimento della patologia.

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la cefalometria 3d tramite cbct nella diagnosi in ortodonzia

Ortodonzia

Valeria Calace, Alessandra Giordano, Angelica d’Addetta

Scopo del lavoro: Il nostro obiettivo è eseguire una review della letteratura per valutare i vantaggi, i limiti e le indicazioni dell’impiego della cefalometria in 3D da radiogrammi ottenuti con la tomografia computerizzata Cone-Beam (CBCT) nell’ortodonzia. Materiali e metodi: E’ stato analizzato materiale pubblicato e non in ogni lingua tramite l’impiego di database generici e specifici del settore odontoiatrico. Risultati: Dopo l’analisi dei titoli e degli abstract, sono stati identificati 35 articoli. Conclusioni: La cefalometria 3D su immagini ottenute da scansioni tramite CBCT rispetto a quella tradizionale offre una maggiore precisione nella localizzazione dei reperi. Considerando però la dose di radiazioni emessa, l’uso della CBCT non è raccomandabile nella pratica ortodontica di routine. Parole chiave: Tomografia Computerizzata, Cone Beam, Cefalometria 3D, Diagnostica ortodontica, CBCT, Cefalometria.

INTRODUZIONE L’analisi cefalometrica è uno dei fondamenti della diagnosi ortodontica sebbene la bidimensionalità della documentazione radiologica su cui si basa includa dei limiti. Difatti le strutture umane tridimensionali vengono proiettate su un singolo piano con conseguenti difficoltà nell’esecuzione di un esame preciso. Inoltre l’immagine radiografica può includere degli errori intrinseci legati alla posizione del capo del paziente e/o alla fonte radiologica. La tomografia computerizzata medica convenzionale (CT) fu introdotta nel settore dell’ortodonzia al fine di poter ottenere ricostruzioni tridimensionali più accurate e precise delle strutture cranio-facciali. La CT utilizza un fascio di raggi X collimato che ruota attorno al paziente con piccoli avanzamenti dopo ogni rotazione. Il sistema sorgente-rilevatore compie una rotazione intorno all’oggetto producendo una serie di immagini 2D elaborati poi da un software. Nelle ricostruzioni 3D i piani vengono definiti tramite l’impiego di tre o quattro punti di riferimento, a differenza dei tracciati 2D in cui ne vengono impiegati due1 . I vantaggi sono numerosi, fra questi vi è l’eliminazione della sovrapposizione delle strutture bilaterali e degli artefatti e la possibilità di valutare la porzione destra e sinistra del cranio indipendentemente l’una dall’altra2,3. Infatti nelle radiografie tradizionali la porzione del viso più vicina alla pellicola è ingrandita rispetto alla porzione distante, determinando così un doppio contorno mandibolare visibile sulle radiografie. I costi e l’elevata dose di radiazioni hanno limitato l’impiego della CT ai soli casi di pazienti con

Aim of the study: Our objective was to make a review of the literature to evaluate the advantages, the limits and the indications of the use of 3D cephalometry on CBCT scans in orthodontics. Methods: We searched published and unpublished material in any language by using general and specialist databases; key orthodontic and dental journals were searched by hand. Results: By screening titles and abstracts, we identified 35 articles. Conclusions: The 3D cephalometry in CBCT scans compared to 2D images allows an improved reliability in landmarks. Considering the radiation dose, the use of CBCT is not recommended in routinely orthodontic practice. Key words: Computed Tomography, Cone Beam, 3D Cephalometric analysis, Orthodontic Diagnosis,CBCT,Cephalometry.

asimmetria4. In vista di una dose di radiazioni minore, una maggiore precisione e costi minori rispetto alla CT5,6 fu sviluppata la tomografia computerizzata conebeam (CBCT). La CBCT non esegue sezioni assiali multiple, ma genera emissioni di radiazioni “pulsate” nel corso di una singola rotazione intorno al paziente che dura tra i 20 e i 40 secondi Il fascio di raggi X utilizzato ha una forma geometrica conica e solitamente ricopre tutta l’area di interesse con la possibilità di scegliere diversi campi di vista (FOV), in relazione all’ampiezza della regione da esaminare (fig.1). I dati grezzi ottenuti vengono elaborati dal computer tramite l’algoritmo “cone-beam” sviluppato da Feldkamp nel 19847 divenendo in una prima fase immagini scannerizzate tramite il DICOM (Digital Imaging and Communications in Medicine) che permette la segmentazione delle varie strutture rappresentate. Dopo ciò i dati sono quantificati in piccoli “cubi” detti voxel che costituiscono le informazioni elementari e possono essere ruotati o ingranditi; questi hanno dimensioni, nel caso della tecnologia CBCT, anche inferiori a 0.15 mm di lato, nettamente minori rispetto alla CT8 . Queste misurazioni sono reali e anatomicamente dettagliate9. Le immagini radiografiche ottenibili dai dati della CBCT includono: tomographic multi-planar reformatted (MPR) slices, telecranio 2D in proiezione latero-laterale e posteroanteriore, ortopantomografia e immagini 3D (fig.2). La dettagliata riproduzione del distretto cranio-facciale ottenuto tramite la CBCT è oggetto di crescente interesse nel settore ortodontico, se prima del 2007 gli articoli che parlavano della CBCT legata all’ortodonzia era-

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no 14 attualmente hanno superato i 300. C’è il rischio che la CBCT archivi la radiografia convenzionale nella diagnosi ortodontica di routine o va circoscritta solo a casi specifici? Se si a quale tipo di casi? Il nostro studio ha lo scopo di valutare le indicazioni della CBCT nella diagnosi ortodontica, i vantaggi e i suoi limiti.

fig.1: rappresentazione schematica della CT e CBCT3

MATERIALI E METODI Il materiale è stato ricercato senza limiti sul tipo di lingua utilizzata nel database del Pubmed System tramite l’impiego di parole chiave correlate all’impiego della CBCT nell’ortodonzia. Sono stati inclusi review, studi in vivo, su crani secchi e sintetici in cui veniva esaminato l’uso della CBCT nella cefalometria comparandola alla cefalometria tradizionale. Il materiale che poneva la CBCT in correlazione alla chirurgia maxillo-facciale e implantare è stato ecluso, in modo da circoscrivere l’area di interesse all’ambito diagnostico nell’ortodonzia. RISULTATI Dall’analisi di titoli, abstract e articoli sono stati identificati in totale 35 articoli. DISCUSSIONE Fra i vantaggi dell’impiego di una cefalometria ottenuta da scansioni tramite CBCT vi è la possibilità di orientare la posizione del capo nei casi in cui i pazienti abbiano assunto una postura errata. Hassan10 ha riscontrato differenze statisticamente significative nelle misurazioni di valori cefalometrici su tracciati tradizionali di pazienti con la testa in posizione corretta e non, differenza assente nel caso dell’impiego della CBCT. Quest’ultimo aspetto è stato evinto anche da El-

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Beialy11, effettuando le misurazioni su radiografie eseguite su uno stesso cranio secco messo in sei posizioni differenti inclusa quella corretta, a differenza di Hassan che ha analizzato 8 crani inclinati tutti a 15° lateralmente. Nelle teleradiografie in proiezione antero-posteriore quest’aspetto è particolarmente importante, infatti una lieve deviazione del capo può alterare dei valori nelle radiografie convenzionali. Di recente è stata messa in discussione la precisione dei valori desunti da CBCT. Periago12 paragonando le misurazioni eseguite su ricostruzioni 3D generate da dati ottenuti con la CBCT con quelle rilevate direttamente su crani secchi ha evidenziato che in due terzi dei parametri i dati ottenuti con la CBCT erano statisticamente differenti rispetto a quelli dei crani. In conclusione ha affermato però che alla luce dei valori analizzati questi dati statisticamente significativi non potevano essere tradotti in una validità clinica. Lascala13 ha evidenziato che le misurazioni su ricostruzioni 3D partendo da CBCT sottostimano le dimensioni effettive del massiccio cranio-facciale, ma che ciò è statisticamente significativo solo per quel che riguarda la base del cranio. La qualità dell'immagine nelle ricostruzioni bidimensionali per quello che riguarda la CBCT è paragonabile a quella delle radiografie convenzionali11,12. Riguardo l’analisi 3D il margine di errore delle misurazioni lineari eseguite su immagini ottenute da CBCT in 3D su campioni di crani secchi è di 0,5-2 mm quando non vengono impiegati marker di riferimento. Quando invece si aggiungono questi ultimi il margine di errore è inferiore ai 0,5 mm. Va sottolineato che i marker di riferimento metallici non possono essere impiegati in vivo, inoltre i campioni di crani secchi non subiscono l’attenuazione delle radiazioni dovuta ai tessuti molli né presentano artefatti correlati alla presenza di altre strutture


come le vertebre13. Un recente studio afferma che l’identificazione dei reperi cefalometrici 3D con le ricostruzioni tramite CBCT offrono misurazioni riproducibili se viene seguito un protocollo dall’operatore. I valori di ICC (intraclass correlation coefficient) delle misurazioni di 30 punti cefalometrici ripetuti per tre volte da tre diversi operatori utilizzando lo stesso software14 rivelano una certa variabilità nell’individuazione dei reperi. L’identificazione di reperi 3D è più precisa impiegando la MPR (multi planar reconstruction) sebbene que- 2 sta richieda più tempo perché necessita dell’identificazione dei reperi sui piani assiale, sagittale e coronale ed un controllo bilaterale nei tre piani dello spazio9. C’è da dire che il margine di errore nel contesto 3D è maggiore dato che i punti sono individuati lungo gli assi X,Y e Z rispetto ai canonici assi X e Y nel campo 2D. Nei tracciati 2D un margine di errore di 1 mm è considerato accettabile15, aggiungendo un terzo asse nel campo 3D si aggiunge un ulteriore margine di errore a quello totale. Lou16 ha evidenziato però che la presenza di un margine di errore non preclude una diagnosi appropriata. Questo aspetto dovrebbe essere ulteriormente analizzato. La letteratura evidenzia chel’individuazione dei reperi Condylion, Porion e Gonion impiegati per definire il piano di Francoforte e il piano Mandibolare, hanno un elevato margine di errore16,17,18 nella CBCT. Chen19 ha evidenziato le discrepanze nelle componenti verticali che ne susseguono. L’aspetto di maggiore imprecisione è l’individuazione del Porion, particolarmente in direzione mesio-vestibolare (M/L) e craniocaudale (C-C) 9 (tab.1). Ciò è dovuto alla curvatura del meato acustico esterno su cui esso è localizzato e al suo passaggio nella squama del temporale (fig.3) . Anche il Gonion ed il Condylion sono localizzati su superfici ricurve con conseguenti difficoltà nella loro individuazione precisa18. Kumar e Ludlow20 comparando cefalometrie tradizionali e 3D di 32 pazienti hanno evidenziato che ad eccezione del piano di Francoforte (P< 0,0001) sia le misurazioni angolari sia quelle lineari a carico di tessuti duri e molli non sono state statisticamente differenti (P> 0,01). Gli stessi Kumar e Ludlow hanno ribadito questo concetto in un’indagine eseguita su 10 crani secchi sottoposti a radiografie tradizionali e a CBCT21. Medesima la conclusione di Zamora22 nell’analisi di 13 misurazioni angolari e lineari effettuate sulle cefalometrie di otto pazienti. Vlijman23 analizzando le misurazioni su 40 crani secchi e ripetute per 5 volte ha evidenziato una differenza statisticamente significativa fra le misurazioni di ANB,SNB,NL/ML,NSL/BOP;NLS/ML,NSL/NL. Una

comparazione delle misurazioni ripetute a intervallo di un mese su 25 crani secchi ha evidenziato differenze statisticamente significative24. Ludlow25 comparando il posizionamenti di 24 reperi da parte di cinque operatori su 20 pazienti ha rilevato una più precisa e statisticamente significativa localizzazione nelle immagini 3D , soprattutto per il Condilion, il Gonion e l’Orbitale. Gli studi in vivo non presentano differenze statisticamente significative per quello che riguarda i tessuti molli26. Un aspetto essenziale è la dosimetria di queste indagini radiologiche. Silva et al27 comparando le dosi assorbite da 16 siti di organi sensibili in seguito a convenzionali ortopantomografie e telecrani in proiezione latero-laterale, CBCT e CT , ha evidenziato che la documentazione radiografica tradizionale presenta la dose di radiazioni minore (10,4 µ Sv) seguita da CBCT (61 µ Sv) e infine da CT (429,7 µ Sv). Nel 2010 la House of Delegates of the American Associaton od Orthodontists ha affermato che l’impiego della CBCT non è necessaria negli accertamenti radiografici di routine28. Bisogna però evidenziare che l’effettiva dose di radiazioni varia a seconda del: tipo di scanner impiegato, zona utile per l’imaging (FoV) selezionata, numero di proiezioni acquisite, caratteristiche del detettore, modalità di esposizione e altri fattori29,30,31. Un articolo del 2001 che analizzava la correlazione fra l’uso della CT nei bambini e l’incidenza di tumori letali indotti da radiazioni ha evidenziato che la dose emessa dalle CT doveva essere ridotta da 6000 a 2600 µ S,dosi che la CBCT non sfiorano affatto32,33,34,35. Di contro i vantaggi di macchinari più piccoli e di costi ridotti esaltano la CBCT rispetto alla CT. La dose di radiazioni emessa dai mezzi impiegati sui pazienti dovrebbe essere riportata in milli-sievert (mSv) o micro-sievert (µ Sv) per esprimere la dose effettiva (E). Molti autori riportano la dose assorbita che non è rilevante per i clinici perché non prende in considerazione il rischio di radiazione del paziente nella sua totalità.

fig. 2: Analisi cefalometrica 3D25

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fig.3A: Telecranio in proiezione latero-laterale convenzionale che mostra la variabilità della localizzazione del Porion. B. Sezione coronale ottenuta da CBCT che illustra le differenti posizioni M/Le C/C che possono essere impiegate per individuare il porion: sulla porzione più alta del margine osseo del condotto uditivo esterno; B: margine laterale del condotto uditivo esterno; C: il segmento più esterno dei tessuti molli del condotto u ditivo esterno25

tab.1: Analisi della variabilità della localizzazione dei reperi in direzione AP,CC e ML nelle immagini ottenute con MPR9

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CONCLUSIONI Possiamo riassumere così i vantaggi della cefalometria 3D con CBCT: Dati 3D; Dimensioni reali (1:1); Elevata risoluzione; Potenziale di generazione di immagini 2D; Minore dose di radiazione di MSCT Minori costi di MSCT; Meno distorsioni per artefatti; Assenza di sovrapposizioni. Di contro come limiti oltre all’elevata dose rispetto alla documentazione radiografica tradizionale bisogna sottolineare che per ottenere un’immagine completa del cra-

nio di un paziente servirebbe un ampio campo di vista (FOV), a causa della dimensione limitata del detettore il FOV rimane limitato. Possiamo quindi affermare che lo scanner CBCT ideale per l’ortodonzia al momento non è ancora disponibile. I risultati della nostra review dimostrano che sebbene la cefalometria 3D offra misurazioni più precise per l’elevata dose di radiazioni emessa non può rientrare nella diagnosi ortodontica di routine. Al momento rimane un valido ausilio nello studio di asimmetrie e di casi ortodontici complessi. Di certo lo studio tridimensionale potrebbe essere un punto di partenza per elaborare nuovi parametri e valori da analizzare in modo da evolvere la tradizionale cefalometria.

MPR Reperi A B Condylion Gnathion Gonion Inc inf Inc sup Menton Nasion Orbitale Pogonion Porion Sella A cutaneo B cutaneo Gnation cutaneo Pogonion cutaneo Media

AP 0.74 0.69 1.82 1.04 1.71 0.63 0.62 1.65 0.66 2.80 0.69 1.46 0.65 0.78 0.90 1.73 1.31 1.16

CC 2.01 2.19 1.01 1.80 1.75 0.67 0.76 0.75 0.83 0.80 1.91 3.46 0.66 1.93 1.63 1.95 3.98 1.50

ML 0.68 1.32 2.55 1.40 1.22 2.06 1.99 1.43 0.65 5.76 1.35 7.14 1.05 0.79 1.20 1.44 1.44 1.67

P <0.0001 0.0036 <0.0001 0.2089 0.1393 <0.0001 <0.0001 0.0146 0.6016 <0.0001 0.0018 <0.0001 0.0807 <0.0001 0.0949 0.423 <0.0001


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MARCO POLO

indonesia Tra draghi e vulcani, l’arcipelago magico.

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e esiste sulla terra un posto dove il sacro si mescola virtuosamente con il profano, la natura con le tradizioni umane, questo e` l`Indonesia. Di ritorno da questo meraviglioso paese mi stupisco, recuperando i ricordi, di come abbia visto e goduto di talmente tante esperienze e sensazioni da metterle in zone recondite della mia mente….poi d`improvviso una foto, una frase, un souvenir me le fanno tornare in mente ed esclamare: “ma ho visto anche questo!!!”. E cosi` la memoria mi si riapre e torno ai momenti vissuti in questo arcipelago di piu` di 17000 isole tra l`Asia e l`Australia, durante i ventuno giorni che mi hanno visto loro ospite.

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Ricordo quando una mattina ho tentato invano di raggiungere il nirvana al tempio di Borobodur sull`isola di Giava. Si dice che chi ascende tutti i piani di questo tempio, tutti meravigliosamente decorati con bassorilievi, e tocca uno dei Buddha che all`ultimo piano sono posti all`interno di alcune nicchie, raggiunge il nirvana. Peccato che l`ultimo piano sia in restauro e che quindi abbia dovuto rinunciare al nirvana, resta comunque il ricordo… Ricordo il vulcano Kawa Ijien (nella sua caldera vi e` una cava di zolfo purissimo), dove i portatori percorrono salite e discese ripidissime con il loro carico sulfureo di almeno 90 chili sulle spalle. Giava e` isola di vulcani, quasi tutti attivi, pertanto non riesco a non pensare a quando,

alle tre del mattino, infreddoliti nonostante la stagione, siamo saliti sulle pendici di un grande vulcano per scoprire, man mano che l`alba ci si manifestava, che ne conteneva all`interno altri quattro….e uno di questi quattro e` il famoso Bromo, del quale a breve avremmo salito le pendici per arrivare al cratere e farci investire dai suoi densi fumi bianchi. Ma l`arcipelago indonesiano non e` soltanto potenza vulcanica, ma anche e soprattutto misticismo popolare, a Bali come a Sulawesi, dove si partecipa a cerimonie funebri fastose e cruente come a semplici riti di offerta, perche` e` vero che questo e` il paese musulmano piu` popoloso, ma qui le religioni sono tutte rappresentate, dal buddismo all`animismo, e tutte

tollerate…fondamentalisti permettendo. Infine…la natura…il mare, con i fondali tra i piu` belli al mondo, l`acqua trasparente e la sabbia chiara….e gli animali, dalle specie normali a quelle inverosimili, come e` capitato di vedere noi a Komodo, dove l`uomo convive con l`animale che al mondo assomiglia maggiormente ai dinosauri, il drago di Komodo appunto, lucertolone di cinque e piu` metri dalla pelle squamata e le zampe tozze che non fanno pensare ad un animale veloce come invece esso e`. Insomma il viaggio in Indonesia e` un insieme di esperienze: come un coro a piu` voci, ognuna stupenda di per se`, ma che fusa con le altre compone un unicum indimenticabile. Buon viaggio.


Di Alfredo Tursi

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NORME REDAZIONALI

norme redazionali

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contributi vengono accettati a condizione che non siano stati e non vengano successivamente pubblicati altrove. Gli Autori pertanto devono allegare una dichiarazione autografa in cui richiedono la pubblicazione del lavoro e attestano che l’articolo presentato non è stato pubblicato in altre testate e che non si trova in visione per la pubblicazione presso le redazioni di altre case editrici. E’ inoltre necessario indicare un Autore di riferimento che autorizzi la pubblicazione del suo indirizzio, numero di telefono e di fax in calce al lavoro. Un’eventuale precedente comparsa dell’articolo sotto forma riassuntiva di comunicazioni orali o scritte nel corso di Congressi non ne preclude l’accettazione, ma deve essere segnalata. La responsibilità dei contenuti scientifici spetta esclusivamente agli Autori. La proprietà letteraria dei lavori viene ceduta alla Casa Editrice, che può autorizzare la riproduzione parziale o totale. I contributi (comprensivi di eventuali tabelle e foto) devono essere inviati dattiloscritti in tre copie(una su supporto magnetico, due su carta) alla Redazione: BestMicro s.r.l, Via delle Acacie, 34 – CAP 00171 Roma-tel/fax: 06/64770689, 06/89537092. La pubblicazione degli articoli è subordinata al giudizio della Direzione Scientifica della rivista, che ha facoltà di non accettarli o di chiedere agli Autori di apportarvi modifiche. I lavori che potrano l’intestazione di un Istituto, devono essere

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