Surrentum - Agosto 2018

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Agosto 2018

Personaggi

Alessandro D’Alatri TRADUCE LA SUA MAESTRIA DI REGISTA E AUTORE CON CAPACITÀ E INNATA GENTILEZZA. Alle prese con testi, filmati e quant’altro Alessandro D’Alatri, dal prestigioso e diversificato passato, è sempre andato avanti con ostinata ricerca. Spesso cambiando strada e sommando alle tante sperimentazioni tappe di grande qualità come ha confermato l’ ultima Mostra cinematografica di Venezia attribuendogli l’ennesimo premio. Alla vigilia dell’andata in onda de “I bastardi di Pizzofalcone”, seconda edizione della serie televisiva tratta dai romanzi di Maurizio De Giovanni, il regista dagli occhi color di cielo e il sorriso rassicurante sottolinea esperienze diverse, sperimentazioni e realizzazioni di un passato costellato di cambiamenti e anche di tanti riconoscimenti. Ed è riepilogando quanto ha vissuto che ricorda e racconta.

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Vuole cominciare dal principio e raccontarmi la sua storia? Sono nato a Roma in una famiglia semplice e fortemente unita, figlio unico, desiderato e amato, ho riamato i miei genitori tanto da poter dire che il mio più grande capitale è stato l’amore ricevuto dalla mia famiglia. Sono vissuto con un papà pittore-operaio tra la trementina e i colori ad olio e con una mamma toscana contadina patriarcale: un grande patrimonio. Quando a otto anni dalla Toscana tornai a Roma, parlavo toscano come Pinocchio. Ero un bambino molto timido che, iscritto alle recite della scuola e per varie recite, vincendo la mia timidezza, mi divertii moltissimo. Cosa successe poi? La fortuna volle che la Signora Ramazzini, avendo saputo della recita scolastica e facendo il casting per Visconti, venne a vedermi. Così feci ” Il giardino dei ciliegi”. Al Teatro Valle, mentre mia madre era dietro il fondale, in palcoscenico Visconti, elegantissimo e con un secchio di sabbia accanto dove metteva le tante cicche, mi chiese di fare qualcosa. Dissi una barzelletta che provocò una clamorosa risata e il giorno dopo ero da Tirelli per la prova costume. Che esperienza! C’era anche il mitico Sergio Tofano che conoscevo per l’ultima pagina del Corriere dei piccoli con la firma di Sto.Dopo una lunga tournèe, l’anno dopo, a nove anni, partecipai a “Le baruffe chiozzotte”, questa volta con la regia di Stre-

hler, scoprendo la soddisfazione dell’applauso che provocavo con una battuta e vivendo un dualismo di giornata: la mattina la vita dei piccoli e dal pomeriggio in poi il mondo affascinante del teatro. La sua storia teatrale continuò? Da quel momento non mi sono più fermato e, pur studiando, presi parte a tutti i grandi sceneggiati da “I fratelli Karamazov” in poi, a quattordici anni poi feci il film ”Il giardino dei Finzi Contini” con la regia di Vittorio De Sica. Crescendo come andò avanti la vita? Dopo aver fatto tanta pubblicità e caroselli a non finire in autostop e sacco a pelo feci tanti viaggi a tutto spiano tant’è che parlo inglese e francese. Professionalmente parlando tutto continuò? A venti anni, pur facendo tanta pubblicità, facevo teatro ovunque ma, negli anni del cinema facile, avendo capito quanto c’era dietro al cinema e al teatro e avendo deciso che avrei fatto quel lavoro per tutta la vita, accettai il lavoro di aiuto regista, conobbi i fratelli Cafiero, uno dei quali era l’autista di Totò, e furono tanti i soldi che guadagnai! Nel 1981 mi fu detto: ”Adesso basta aiuto regista”, e cosi diventai producer con successi altissimi nella pubblicità! Ma mi mancava il set e allora tornai a fare il regista con ”Americano rosso”, il mio primo film, con il quale vinsi anche il mio primo David di Donatello.


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