I BACINI DEL CAMPANILE DI SAN GIOVANNI DI SALE: DOCUMENTAZIONE E STATO DELLA QUESTIONE GIOVANNI DONATO (storico dell’arte), LAURA VASCHETTI (archeologa) giovannidomenico.donato@gmail.com; laura.vaschetti@gmail.com
I bacini del campanile di San Giovanni Battista di Sale (AL), riferito alla metà del Quattrocento, costituiscono un caso enigmatico della maiolica italiana. L’erudito locale Prospero Stramesi nel 1831 annotò la presenza sul campanile di “tazze in maiolica”, alcune delle quali vennero documentate fotograficamente negli anni ’30 del Novecento. Successivamente due indagini, la prima degli anni ’70 (non pubblicata) e la seconda, sommaria, svolta negli anni ’90, produssero una descrizione parziale dei manufatti, con alcune fotografie di supporto. Nel luglio 2019 gli scriventi, con l’ausilio di una campagna fotografica curata dall’arch. Simone Bocchio Vega, hanno provveduto – seppure a distanza – a curare la prima mappatura completa dei bacini, in attesa di analisi chimico/ fisiche dirimenti per la loro interpretazione (Fig. 1). I bacini riconoscibili sono 36, presenti su tutti i lati del campanile, oltre a 16 incavi, per un totale di 52 elementi, così distribuiti: Maiolica policroma (18); Graffita monocroma marrone (1); Ingobbiata monocroma marrone (2); Ingobbiata monocroma verde (4); Invetriata (2); “Terraglia nera” (9); Incavi (16). I bacini ingobbiati e il bacino in graffita sono compatibili con un’attribuzione alla seconda metà del Quattrocento; le invetriate e le “terraglie nere” sono evidenti inserimenti moderni, mentre sussiste a nostro avviso un margine di incertezza sui bacini in maiolica, se si tratti di originali quattrocenteschi o di copie/rifacimenti del XIX secolo. Le maioliche presentano due diverse forme: scodelle con tesa abbastanza pronunciata e cavetto profondo e piatti con cavetto poco profondo e tesa ampia. I colori sono quelli della tavolozza fredda: oltre alle varie tonalità del blu, sono stati utilizzati in alcuni casi tocchi di viola manganese e qualche pennellata di verde. Assente il giallo cinerino. Sulle tese, una grande varietà di decori rimanda alla maiolica rinascimentale tipica di vari centri produttivi, come se il ceramista avesse avuto a disposizione un’ampia serie di modelli: graticci, frange, onde, raggiere, foglie. La molteplicità dei motivi ispiratori è un aspetto che colpisce anche nei cavetti, tratti da numerosi modelli rinascimentali variamente combinati: compaiono l’IHS, due ritratti (di tre quarti e di profilo), un angioletto, un gatto, elementi floreali (Fig. 2). La “foglia di prezzemolo” della maiolica valenzana è
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abbinata alla “foglia accartocciata” tipica dello Stile Severo, a sua volta inframmezzata da inserti di foglie e frutti che ne alterano la compostezza (Fig. 3). Una “rosa dei venti”, fra i cui bracci compaiono estreme stilizzazioni della palmetta persiana, trova confronti, oltre che nella maiolica, nella ceramica ingobbiata graffita, anche di area alessandrina (Fig. 4). Il bacino ingobbiato e graffito con rosetta centrale è tra l’altro avvicinabile a mattonelle tardo-quattrocentesche presenti a Capriata d’Orba (AL) (Fig. 5). L’horror vacui, che caratterizza il bacino con l’elegantissima coppia di paggi affrontati, ricorda alcuni esiti della graffita rinascimentale ferrarese, con il puntinato dello sfondo a coprire i pochi spazi liberi tra gli elementi vegetali (Fig. 6). Vi sono poi alcuni spunti araldici, in particolare il Biscione visconteo che presenta evidenti assonanze figurative con il drago della porcellana cinese (Fig. 7). Dal punto di vista tecnico, si rileva che alla sicurezza del tratto pittorico non corrisponde un’adeguata padronanza tecnica della cottura. Lo smalto appare spesso ritirato o ”bollito”, i segni delle zampe di gallo disturbano i decori e – almeno in un caso – il bacino appare deformato (Fig. 8). Per quanto concerne le maioliche e le ingobbiate, l’inserimento nella muratura appare aderente al diametro degli incavi, fatto che depone a favore della contestualità dell’intervento con l’edificazione del campanile; intorno alle invetriate tarde e alle “terraglie nere” rimangono al contrario ampi spazi di risulta, a testimoniarne l’inserimento posteriore. Nelle riprese fotografiche del 2019 , infine, come già in quelle degli anni ’30, si notano grossi chiodi pericolosamente infissi accanto ai bacini, nell’intento di aumentarne la presa sulla parete; chiodi simili sorreggono le decorazioni architettoniche in cotto poste sotto la balaustra del campanile, restaurate e integrate nello stesso periodo. BALDI P. (a cura di) 2016, Don Prospero Stramesi. Compilamento della Storia Patria dell’Insigne Borgo di Sale, Sale. CORTELAZZO M., PANTÒ G. 1996, “Bacini” in Piemonte, in Atti del XXVI Convegno Internazionale della Ceramica (1993), Albisola.