SIMENON SIMENON WEEKEND N.2

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SIMENONsimenon N° 2 - ANNO XI VENERDì•VENDREDì 26 /02/2021 - SETTIMANALE•HEBDOMADaiRE

Égoïsme ou tendresse ?

Weekend

Paroxysme de l’amour

o i l g i f e e r d a m : i Lieg erché” i due “p Henriette & Georges - La guerra dei Brull


SIMENONsimenon Weekend in questo numero il rapporto molto difficile tra madre e figlio “No, non ci siamo mai amati durante la tua vita, lo sai. Facevamo finta noi due. “(Simenon, Lettera a mia madre). Terribile osservazione di un rapporto conflittuale, che il romanziere non ha mai smesso di esprimere a parole, nei suoi racconti autobiografici, nei suoi romans durs e nella saga di Maigret. Ecco alcuni ritratti di personaggi materni, a volte teneri e talvolta severi, oltre a uno sguardo sul difficile rapporto di Georges con sua madre.

dans ce numero la relation TRÈS difficile entre mÈRE et fils “Nous ne nous sommes jamais aimés de ton vivant, tu le sais bien. Tous les deux, nous avons fait semblant. » (Simenon, Lettre à ma mère). Terrible constatation d’une relation conflictuelle, que le romancier n’a cessé de mettre en mots, dans ses récits autobiographiques, dans ses romans durs, et dans la saga de Maigret. Voici quelques portraits de personnages maternels, parfois tendres et parfois sévères, ainsi qu’un éclairage sur les rapports difficiles de Georges avec sa mère.

Égoïsme ou tendresse maternelle L’interrogatoire final dans Maigret et la Grande Perche montre un commissaire presque hargneux envers Mme Serre

L’interrogatoire final dans Maigret et la Grande Perche montre un commissaire presque hargneux envers Mme Serre. Celle-ci est une vieille femme empoisonneuse, comme Valentine Besson dans Maigret et la vieille dame, et Maigret éprouve une répugnance certaine envers ces criminels qui n’hésitent pas à supprimer une vie humaine pour conserver leur fortune. Ce qui entre aussi en jeu avec Mme Serre, c’est qu’elle n’aurait pas reculé à l’idée de supprimer son fils, de peur que celui-ci n’avoue le meurtre dont elle a été la complice. « Ce n’est pas pour lui que vous avez peur de la misère, c’est pour vous ! […] Peu importe qu’il aille en prison, et même qu’il soit exécuté, si vous avez la certitude de rester en dehors du coup », lui assène Maigret.

Sous couvert d’amour maternel, sous prétexte d’assurer l’aisance matériel à son fils, Mme Serre, en réalité, n’est qu’égoïsme. Un portrait au vitriol, qui reflète la relation que le romancier entretint avec sa propre mère. Henriette Simenon fut hantée toute sa vie par la « peur de manquer », un trait que le romancier a donné à Mme Martin dans L’Ombre chinoise, que l’avarice va finalement conduire à la folie. Non sans avoir d’abord commis un meurtre, ce qui va acculer son propre fils au suicide, quand celui-ci aura compris de quoi elle était capable. Par compensation, peutêtre, ou par désir inconscient d’une image de mère idéale, le romancier a introduit dans la saga de Maigret quelques personnages à la fibre maternelle indéniable. En tout premier

lieu Mme Maigret, dont la frustration de ne pas avoir eu d’enfant l’a fait reporter toute son affection sur son mari. Celui-ci, quoi qu’il s’en défende, aime que son épouse soit aux petits soins avec lui, car, devenu orphelin de mère à huit ans, il n’a pas connu bien longtemps la tendre sollicitude maternelle. Dans Le Charretier de la « Providence », la marinière Hortense Canelle est à sa façon une image rassurante de la mère. Elle n’a pas d’enfant, mais elle s’occupe de son mari et de Jean le charretier de façon maternelle : « elle semblait protéger les deux hommes de sa joyeuse corpulence », note le romancier, et la scène finale du roman, lorsque la marinière tient dans ses bras le charretier agonisant, évoque sans aucun doute l’image d’une pietà. Dans Maigret et le voleur paresseux, Justine Cuendet, qui est au courant des activités de cambrioleur de son fils, ne lui impose pas de rigorisme moral, et elle a confiance en lui, certaine qu’il pensera à elle pour assurer ses vieux jours. Mais sans le harceler pour autant, et sans la crainte de manquer du strict nécessaire, cette hantise d’Henriette Simenon...


La città natale del romanziere come primo scenario dello scontro

liegi. Madre e figlio La guerra dei BrulL e dei simenon Henriette Brull, classe 1880 nata a Liegi, di famiglia cattolica, con lontane origini olandesi, sposata a ventidue anni. Donna supertiziosa al punto tale che, alla registrazione al comune, anticipò la data di nascita di Georges dal venerdì 13 al giovedì 12. Questo non sarebbe bastato a lenire le sue ansie che venivano dal versante economico, l’azienda di trasporti del padre fallita, voleva dire niente eredità. Suo marito Desiré non aveva ambizioni di far carriera e portava a casa un modesto stipendio da impiegato. Henriette aveva l’aspirazione di appartenere alla buona borghesia. Teneva talmente alla forma che a mezzogiorno metteva sul fuoco una serie di pentole che facevano pensare alla preparazione di un pasto abbondante. Peccato che le pentole fossero piene d’acqua. Quando dopo tre anni nacque Christian, per Georges fu la fine. Infatti il fratello minore catalizzò le attenzioni e le preferenze della

madre, eleggendolo a figlio preferito e non mancando occasione per dimostrare il suo disappunto per qualsiasi comportamento del primogenito. Tutto ciò non poteva non avere influenza su Simenon che però, come azzarda Pierre Assouline, non sappiamo se con un infanzia meno infelice e un rapporto meno problematico con la madre, sarebbe diventato lo scrittore che poi fu… Sta di fatto che Simenon

stessso ebbe a dichiarare che considerava “Lettre à ma mère” “…al di fuori” della propria opera letteraria e che “per due mesi, dopo essere stato dettato in una settimana, mi ha procurato dei problemi di salute…”. Di contro c’era il grande amore e ammirazione che il piccolo Georges nutriva per papà Desiré. Un Simenon “doc”, come suo padre, suo nonno, e così via… I due non erano certo

loquaci e espansivi, entrambe bersagli degli improperi e del disprezzo di Henriette, non si parlavano quasi mai, ma tra loro c’era un’intesa, ricordata in “Memoires intimes”. A tavola, quando la madre gridava, a loro bastava un’occhiolino del padre, un sorriso del figlio, affinché la loro complicità si manifestasse segretamente. Non una parola, giusto l’espressione di uno sguardo. Non serviva altro. “…Come se il ragazzo potesse già capire…” In “Lettera a mia madre” Georges ha parole molto dure nei confronti di Henriette:… “Non non ci siamo mai amati finchè sei vissuta e tu lo sai bene. Tutti e due abbiamo fatto finta […] – “Perché sei venuto Georges?” Questa breve frase è forse la spiegazione di tutta la tua vita […] C’era in te qualcosa di eccessivo che tu non riuscivi a controllare, ma nello stesso tempo di estrema lucidità […] Tra noi non esisteva che un filo. Questo filo era la tua volontà feroce di essere buona, per gli altri, ma forse soprattutto per te…”.

ASSOULINE, LO SPECIALISTA DI SIMENON... E DI MAIGRET

E’ uno degli studiosi e dei biografi più quotati su Simenon, la sua vita e le sue opere. La sua migliore fatica è “Simenon. Una biografia” un volume del 1992, di quasi 600 pagine (in Italia edito da Odoya), dove si può trovare risposta almeno al 99% delle domande sul romanziere. Va citato anche l’”Autodizionario Simenon” dove le voci in ordine alfabetico sono tutti scritti da Simenon su vari temi


SIMENONsimenon Weekend

HENRIETTE I DUE P

Una madre e un figlio, due persone lontane, due mentalità, due visioni della vita che non trovarono mai un accordo, un’ostilità strisciante durata quasi settant’anni. “Perché sei venuto, Georges?”. Siamo nell’agosto del 1969. Georges Simenon corre a Liegi dove è ricoverata Henriette Brulls, la madre che ben poco da vivere. Lui entra nella stanza e quando lei si accorge della presenza del figlio, quasi a brucia

ti ho lasciata, sono partito per Parigi, eri ancora un’estranea per me. Del resto non ti ho mai chiamato mamma ti ho chiamato madre [...] Perché?..” Sono dei “perché” senza risposta, un’incomprensione di base durante tutta una vita e finita solo con la

pelo, gli pone la glaciale domanda. Il secondo “perché” lo troviamo nella prima pagina del libro “Lettera a mia madre” che Simenon ha scritto nel 1974. “Cara mamma, tre anni e mezzo sono passati da quando sei morta, e ora soltanto comincio a capirti. Ho trascorso l’infanzia, l’adolescenza insieme a te, sotto lo stesso tetto e quando a diciannove anni

morte di Henriette. Ma Georges continua ugualmen te a porsi quel “perché”. Sono due anni che Simenon ha smesso di scrivere, si è stabilito in quella che sarà la sua ultima abitazione. Con lui vive la sua ultima compagna,Teresa Sburelin, nella famosa piccola casa rosa al numero 12 di rue de Figuiers a Losanna. Questo libro-lettera non è uno scritto, ma una

dettatura al registratore, una consuetudine che il romanziere, anche a causa di qualche problema di salute, ha sperientato e ormai consolidato con i Dictées. Dopo una vita di contrapposizioni, scontri, incomprensioni e amarezze, quindi decide di scrivere una missiva a chi non c’è più. Non è certo facile da scrivere, si tratta di sciogliere uno dei nodi più inestricabili della sua esistenza, un rapporto irrisolto che lo ha sempre tormentato e durato durante i sessantasette anni in cui i due hanno convissuto. Anche Pierre Assouline, il famoso biografo simenoniano, ha qualcosa da dire sugli anni e sull’importanza del libro: “...elle avait 91 ans, et lui 67. Un quart de siècle les séparait et un océan de méfiance, de non-dits, de rancunes derrière lesquels avait toujours subsisté une sorte d’inaltérable tendresse [...] Ce livre fut l’ultime sursaut de génie d’un retraité de la fiction romanesque. Il y avançait masqué tout en se dévoilant. C’est la clef de sa personnalité, cette chro-

nique de l’incompréhension à travers l’histoire de deux êtres qui n’ont jamais réussi à s’aimer pour n’avoir jamais réussi à se parler. Simenon y dévoile enfin le nœud de sa souffrance, celle d’un grand écrivain reconnu partout et par tous sauf par sa mère…”


E GEORGES PERCHE’ Simenon ci ha raccontato la storia terribile di un sentimento che non dovrebbe mai intercorrere tra madre e figlio, della sua sofferenza che non gli impediva però un risentimento per quell’astio che non dovrebbe durare una vita, fino alla terribile frase pronunciata da Henriette addirittura sul letto di morte.

Le parole di Assouline ci portano a pensare, soprattutto per il fatto che il libro è scritto dopo più di tre anni del decesso di Henriette, che quel “perché” fosse rivolto a sé stesso. Un perché che vorrebbe spiegare l’insuccesso dei suoi tentativi di riconciliazione.

Quando la invitò negli Stati Uniti, e lei scese dall’aereo vestita con quattro stracci (quando aveva le possibilità di un guardaroba normale) e lui si affrettò a comprarle degli abiti nuovi buttando i vecchi in un bidone e lei nottetempo li andava a recuperare. E il

giorno dopo Denyse, allora moglie dello scrittore, li buttava di nuovo e lei si ostinava a recuperarli… E quando, alla fine della seconda guerra mondiale, la madre chiese al figlio ricco e famoso di aiutarla a trovare una scappatoia per il figlio prediletto, più piccolo e più problematico. Aveva ucciso durante delle rappresaglie con le squadre nazisti famiglie ebree, partigiani comunisti, resistenti e quindi era ricercato dalla Resistenza e rischiava la pena di morte. Simenon si dette da fare, lo fece arruolare nella Legione Straniera e lo salvò. Quando in seguito Christian morì in una azione di guerra nel golfo del Tonkino, la madre ritenne il romanziere resposabile della scomparsa del figlio prediletto, perché era stato lui a farlo partire con la Legione. Si è detto che “Lettera a mia madre” è stato un libro-missiva difficile da scrivere, tanto, dice Assouline, da mettere in crisi lo scrittore che avrebbe interrotto quella registrazione. Se non fosse

stato per la vicinanza, il conforto e l’insistenza di Teresa, la lettera sarebbe forse rimasta a metà, proprio a causa di quel grande impatto emozionale che rischiava di sopraffarlo. Il libro per noi italiani ha anche un significato dal

Infatti dopo più di mezzo secolo, Simenon cambia casa editrice, lascia la Mondadori (da tempo non pubblicava più i suoi romans durs e rieditava solo i Maigret) e così nell’aprile del 1985, esce il primo Simenon per i tipi dell’Adelphi, Lettera a mia madre, il primo di centinaia di titoli che fecero la fortuna della casa editrice.


SIMENONsimenon Weekend Au paroxysme de l’amour maternel

Madame Moncin dans Maigret tend un piège : du roman aux adaptations

Dans Maigret tend un piège, Simenon introduit un personnage dont le portrait constitue peut-être la charge la plus féroce qu’il ait portée contre la figure de la mère. Mme Moncin n’apparaît qu’à deux reprises dans le roman, mais lors de deux scènes très importantes. Lorsque Maigret se rend au domicile de Mme Moncin, celle-ci se montre tout de suite antipathique : elle se raidit, est « prête à sauter aux yeux » du commissaire qui l’informe que son fils est soupçonné de meurtre. Maigret a cependant « l’impression qu’elle lui jouait la comédie », et il va découvrir le plus terrible : Mme Moncin

sait que son fils est un tueur, mais elle le défendra envers et contre tout, car elle en a fait véritablement sa chose. Elle a empêché son fils de grandir en le surprotégeant, et symptomatiquement, elle montre à Maigret des photos de Marcel enfant, comme si elle le voyait toujours comme un petit garçon innocent. Quand elle se rend auprès de son fils à la P.J., elle « l’enveloppe d’un regard protecteur », clame avec véhémence qu’elle le fera libérer. La deuxième scène se trouve à la fin du roman, lors d’une confrontation finale orchestrée par Maigret, qui cherche à faire avouer laquelle,

de la mère et de la femme de Moncin, a poussé le sacrifice jusqu’à commettre un meurtre pour que celui-ci soit innocenté. Le romancier fait subir alors à Mme Moncin la juste punition pour son amour maternel qui confine à la folie : le sacrifice suprême n’a pas été accompli par elle, mais par sa belle-fille… Plusieurs adaptations du roman ont été faites : au cinéma avec Jean Gabin, et pour des séries télévisées, dont celle avec Bruno Crémer. Dans le film avec Gabin, le personnage de Mme Maurin est incarné par Lucienne Bogaert, qui laisse apparaître, dans son jeu et dans

ses regards, l’aliénation dont elle est atteinte et qu’elle a instillée à son fils. Dans le téléfilm de la série Crémer, Mme Moncin est interprétée par Hélène Surgère, qui en fait un personnage très proche du roman: acariâtre, surprotectrice avec son fils, dans un déni de réalité, et lors de la confrontation finale, elle s’effondre en pleurs après les aveux de sa belle-fille. Un reflet des dernières pages du roman, lorsque Maigret quitte son bureau et qu’il jette un regard à Mme Moncin, « qui s’était tassée sur elle-même, vieillie de dix ans, comme si on venait de lui arracher sa seule raison de vivre ».


photostory: la famiglia

IL PICCOLO GEORGES • LE PETIT GEORGES

L’ARRIVO DI CHRISTIAN • L’ARRIVEE DE CHRISTIAN E’ il primogenito della famiglia Simenon, ma è un Il secondogenito cui la madre dedicherà le proprie attenzioni, mettendo da una parte Georges privilegio che durerà poco C’est l’aîné de la famille Simenon, mais c’est un privilège qui durera peu de temps

Le cadet à qui sa mère accordera le plus d’attention, mettant Georges de côté

I FRATELLI SIMENON • LES FRERES SIMENON

LA FAMIGLIA AL COMPLETO • LA FAMILLE AU COMPLET

Per Henriette, Christian era il più intellgente e quello da cui si aspettava le maggiori soddisfazioni

Desiré il padre che Georges amava tanto, la madre Henriette e il fratello Christian Désiré, le père que Georges aimait tant ; Henriette la mère et Christian le frère

Pour Henriette, Christian était le plus intelligent et celui dont elle attendait le plus de satisfactions


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