Mag Magazine ottobre 2010

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mag magazine Anno 3 N. 11 • ottobre/novembre 2010 registrazione al Tribunale di Messina n° 8 del 12/6/08 E 2,50 copia omaggio

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mag Anno 3 N. 11 • ottobre/novembre 2010

d’autunno In vacanza con il Padreterno A spasso con Josy Ola Vincenzo, il messinese volante Federalismo alimentare La pasta? Una droga


ristorante

La magia del gusto

Domenica 17 e domenica 31 ottobre a pranzo, grazie alla collaborazione con Peperone and friends, i bambini presenti avranno a disposizione un’area a loro dedicata. Un’animatrice si occuperà di accoglierli ed intrattenerli con giochi e passatempi.

Bellavista Ristorante: Messina - Via Circuito Torre Faro Tel. 090 32 66 82 - Cell. 393 91 62 061



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Via XXVII Luglio, 44 - Messina


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Come sono i siciliani? Proprio come li raccontano i letterati…

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gni tanto qualcuno mette piede a Palermo e mi chiede: “Come sono i siciliani?”. La curiosità è genuina, lo si capisce subito. Non si vuole smascherare il popolo siciliano o avere conferma delle sue turpi abitudini. Ha visto, letto, ascoltato un sacco di cose sui siciliani e ne è rimasto frastornato. Sono violenti o ospitali, abili o incapaci, vivaci o sonnolenti, creativi o abitudinari, progressisti o conservatori, individualisti o identitari, unitari o secessionisti? Nonostante si sia scritto e visto tanto, una idea precisa non l’ha. È impossibile averla, perché non esiste un’idea di siciliano, così come non esiste un’idea di francese, tedesco o inglese, a meno che non si voglia dare ragione alle banalità che risolvono la questione con un aggettivo: i francesi sono sciovinisti, gli inglesi ipocriti, i siciliani mafiosi, gli americani spacconi, gli spagnoli tronfi, e così via. Al quesito perciò rispondo suggerendo la lettura di grandi libri o la visione di buoni film che narrano la Sicilia attraverso una storia, un episodio, dei personaggi. Quali libri? C’è l’imbarazzo della scelta, da Pirandello a Tomasi di Lampedusa, o Verga, De Roberto, Sciascia per esempio. Quali film? Nuovo Cinema Paradiso o Il giorno della civetta e così via. Ma questi autori descrivono i siciliani che non ci sono più, si potrebbe obiettare giustamente. A quel punto allargo le braccia e riferisco con finto rammarico ed un lieve sorriso che i siciliani sono ancora così come sono stati descritti perché in questo modo sono pensati e così hanno preferito essere. Che vuol dire? Vuol dire che i siciliani sono diventati come sono stati raccontati dai viaggiatori dell’Ottocento, dal cinema americano del Novecento dedicato alle mafie, dal Gattopardo, bibbia del sicilianismo o dalla mirabile serie di racconti, novelle e pieces teatrali di Luigi Pirandello, dove - comè noto, i siciliani sono uno, nessuno e centomila o sono personaggi alla ricerca di un autore. È solo fiction? È come dire che i giapponesi sono samurai e basta? No, non è così, ciò che chiamiamo fiction è la realtà più amata, la più forte, la più presente, ed è stupendamente raccontata dai letterati, dal cinema, dalla televisione. La fiction coglie infatti gli aspetti essenziali della sicilianità, valorizza le sue maschere, i tic, i gesti inconsueti, le abitudini strane, le azioni turpi, i pensieri torbidi. Tutto ciò che incuriosisce, affascina, arrovella conquista la nostra mente. Non c’è spazio per il resto. La realtà deve fare notizia, deve piacerci o rappresentare il nostro punto di vista, altrimenti non la accettiamo. Ci sono cose che non vogliamo vedere, ascoltare, leggere. Ricordate Battisti? “Non è Francesca…”. Preferiamo sapere ciò che non ci tradisce delle persone che amiamo, preferiamo acquistare il giornale che la pensa come noi, scegliere il canale televisivo che ci gratifica sposando le nostre opinioni. Non bisogna meravigliarsi dunque se i siciliani hanno scelto di essere come sono stati raccontati perché a loro va bene. Se lamentano di essere trattati male dalla fiction potete stare certi che non perdono una puntata dei Soprano’s: si piacciono cosìe gli sta pure bene. Salvatore Parlagreco

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Associato all’Unione Stampa Periodica Italiana

direttore responsabile: Chiara Celona Salvatore D’Anna Salvatore Parlagreco Giuseppe Di Bella Elena Di Dio Registrazione Pasquale Fameli al Tribunale Alessio Ferlazzo di Messina Gigi Giacobbe n° 8 del 12/6/08 Giulio Giallombardo Domenico Giardina editore: Danilo La Rosa Magazine srl Dario La Rosa via Industriale, 96 Gabriele Maricchiolo 98123 Messina Patrizia Mercadante Anno 2 Numero 9 Annalisa Ricciardi giugno 2010 info@magmagazine.it Flavio Riccitelli Roberto Rizzuto magmagazine.it Paolo Turiaco hanno scritto per Mag: Gaspare Urso Paolo Vitale Silvia Andretti Salvatore Parlagreco Alessandro Bisconti Enzo Bonsangue Stefania Brusca

ringraziamenti: Sud Dimensione Servizi Vucciria.net Ranieri Wanderlingh Comune di Motta Camastra I ragazzi che hanno collaborato alla rubrica 9 colonne progetto grafico e impaginazione: Francesca Fulci Gianluca Scalone foto: Daniele Ciraolo, Gabriele Maricchiolo

pubblicità e marketing: magcom@magcom.it tel. +39 347 6636947 stampa: Officine Grafiche Riunite S.p.A Cosentino & Pezzino via Prospero Favier, 10 zona industriale Brancaccio 90124 Palermo tel. 091 6213764/84 email: info@officinegrafiche.it distribuzione gratuita: 15.000 copie Fly Service Messina via Garibaldi, 375


Variante anomala a cura della Vucciria.net

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A spasso con Josy il mio amico gay

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Il volo della rondine sull’Italia fascista: Ala Littoria

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Giochi e lotterie e le famiglie fanno crack

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La Legione Siciliana

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Figli? No grazie

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Editoriale Storia

Anniversari

Sicilia&Napoli due regni in uno Stato incompiuto

Storia

Quando l’arte fa amare la mafia

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Speciale Giampilieri

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Giampilieri e San Fratello discesa agli inferi e ritorno

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Le scuole di Giampilieri e Scaletta a Malta

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Società

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La rivoluzione dei tecnononni

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Emigrazione: quando eravamo noi a partire

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L’Italia spaccata in due anche per i divorzi

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Gemelli, boom di nascite Città intelligenti, ecco la svolta per ridurre il traffico Anima gemella laureata Gambe, pensiero fisso delle donne

Tecnologia

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Siamo certi di amare il 3D?

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Dal fonografo agli Ipod

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X-Mag

Giuseppe La Spada, suoni e immagini con uno sguardo verso il futuro

Cultura

Einstein “l’ebreo” e Pirandello “il fascista”

Turismo religioso

In vacanza con il Padreterno

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Fisicità del sogno Salvador Dalì a Milano

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Per Teatri

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Gastronomia

Dieta mediterranea Pasta? La droga degli italiani

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L’appetito vien giocando? come mangiare meglio in un click

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Siciliani sempre più poveri

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Benessere

Viaggi

Un viaggio tra i fiordi Norvegia

Società

Applausi

9 colonne Parchi e d’intorni

Parco fluviale dell’Alcantara

Moda

Moda Autunno Inverno: le tendenze per la nuova stagione

Personaggi

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Un braccialetto che dà forza? Forse soltanto ottimi guadagni

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L’arte della gioia Goliarda Sapienza

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Altezza mezza bellezza? No, bellezza mezza ricchezza

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Libri

Un primato, in Sicilia si fanno più parti cesarei che nel resto d’Italia

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Sport

Eccellenze siciliane Vincenzo Nibali

Tradizioni d’Autunno

Passeggiata d’autunno tra funghi, sagre e arrampicate

Dischi Cinema Mag Map

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In a Box

Qualsiasi cosa tu faccia sarà insignificante, ma è molto importante che tu la faccia. Mahatma Gandhi

Via libera ai depuratori e al dissalatore nelle Eolie Via libera ai depuratori, al dissalatore ed all’area artigianale di Lipari e Vulcano. Costeranno oltre 30 milioni di euro che verranno stanziati dal ministero dell’Ambiente. Il via è arrivato nel corso di una conferenza di servizi che si è svolta in Prefettura a Messina. Il dissalatore ed il depuratore di Lipari sorgeranno a Canneto. Nella stessa area è stato anche previsto l’insediamento del consorzio degli artigiani. A Vulcano, invece, si realizzeranno il depuratore e la rete fognaria, visto che l’isola ne è ancora sprovvista. La riunione é stata presieduta dall’avvocato Luigi Pelaggi, commissario per l’emergenza idrica e fognaria delle Eolie. Erap presente anche il sindaco Mariano Bruno.

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PREMIO MAESTRA di MESSINA la DOCENTE dell’ANNO Utilizzare i personaggi Disney come Winnie the Pooh e i suoi amici per rendere appetibili le nuove tecnologie agli alunni della prima elementare. È questa l’idea che ha permesso a Daniela Gitto, insegnante di italiano dell’Istituto comprensivo “Stefano d’Arrigo” di Venetico (Messina), di eccellere e guadagnarsi il titolo di “Docente dell’anno”, iniziativa ideata dall’Associazione nazionale dirigenti e alte professionalità della scuola (Anp) e Microsoft Italia, per promuovere l’uso delle nuove tecnologie tra i banchi di scuola. “Lavorare con le nuove tecnologie - ha dichiarato Gitto, durante la cerimonia di premiazione, oggi a Roma - è un imput per gli alunni meno bravi e permette a quelli più bravi di fare un buon lavoro”. Per diventare “docente dell’anno”, ha aggiunto la maestra elementare, in cattedra da 20 anni, “bisogna lavorare tanto e metterci passione. Chi svolge il nostro mestiere deve essere disposto a sacrifici e deve farlo con dedizione”. Rispondendo poi alle dichiarazioni a mezzo stampa di un altro docente, vincitore di una sottocategoria del concorso che si considerava però detentore del titolo assegnato a Gitto, la docente ha sottolineato: “Non me la sono presa più di tanto, non mi sono sentita deturpata di un titolo”. Tra i premiati al concorso (85 i progetti in gara), anche la “Classe digitale”, composta dagli studenti dell’Istituto tecnico industriale “M. Giua” di Cagliari, per il corso beta tester sui sistemi operativi “Un robot che gioca a Dama è spesso avanti di un passo, se utilizza Windows 7”. Infine, per la categoria “Emoticon art” e” stata premiata la scuola media di Faloppio (Como) per aver realizzato un set di emoticon dedicato alle figure retoriche della poesia. Con questa iniziativa, ha spiegato il presidente dell’Anp, Giorgio Rembado, “prosegue l’impegno dell’Anp per la valorizzazione delle professionalità della scuola, anche in partnership con altre organizzazioni che possono fornire un contributo competente al miglioramento della qualità del processo di insegnamento-apprendimento”. Anp e Microsoft Italia hanno poi siglato un nuovo protocollo di intesa per la promozione di una didattica innovativa.

lune d’agosto nel fango Continua a Messina il sodalizio iniziato con KALÓ NERÓ 2010 tra Michele Cannaò, artista e ideatore e quindi Direttore del Museo del Fango, e Gaetano Sciacca, Ingegnere Capo del Genio Civile di Messina. Da una parte, la messa in sicurezza delle menti attraverso l’arte, dall’altra la messa in sicurezza della vita dei cittadini attraverso le opere di ingegneria del Genio Civile. Sforzi diversi che confluiscono in un unico progetto. A questo unico progetto si deve la mostra lune d’agosto nel fango personale di Cannaò che raccoglie i 16 oli nati durante le notti di agosto dell’estate appena trascorsa. Un’estate eccezionale per gli incontri e le idee nate all’ombra di quel grande laboratorio che è diventato Kaló Neró per l’Associazione F.a.n.g.o. che ha ideato l’appuntamento ma anche per gli artisti che vi hanno partecipato e per il pubblico che ne ha decretato il successo. Uno degli incontri più pregnanti è stato sicuramente quello con l’Ing. Sciacca e con lo staff del Genio Civile di Messina a cui la mostra è dedicata. ...un omaggio al Genio (organismo tecnico per lo studio e l’esecuzione di lavori di interesse pubblico) e all’ingegno (principio attivo dell’intelligenza)... Allestita presso la sede del Genio Civile, in via Aurelio Saffi a Messina, la mostra si protrarrà fino al 31 dicembre 2010.


il luogo ideale per le tue vacanze Nella magica atmosfera di Capo Peloro sorge un nuovo residence composto da eleganti e luminosi trilocali, bilocali e monolocali dotati di ogni comfort. Immerso nel verde, dispone di piscina, ampi spazi attrezzati per il gioco e lo sport.

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In a Box

Una “scatola magica” anti cancro. I ricercatori studiano per identificare il tumore prima ancora che si formi

Basterà una radiografia a tutto il corpo capace di individuare l’ombra del cancro in qualsiasi organo si nasconda. A questo sta lavorando il professore Umberto Veronesi e il suo gruppo, ad una “scatola magica” come lui stesso la definisce in grado di esplorare virtualmente e in pochi minuti tutto il corpo. Lo scopo è quello di passare dalla diagnosi ultra-precoce alla medicina predittiva. In tal senso stanno per essere avviati tre studi con l’obiettivo di esplorare le nuove potenzialità dei raggi x, ultrasuoni e risonanza magnetica. Per gli esperti la diagnosi non deve più essere condotta su pazienti che avvertono già dei sintomi, ma bisogna cercare nei sani ipotetici focolai di cancro, cominciando con le fasce di popolazione più a rischio. Nel mirino dei ricercatori ci sono, per cominciare, i quattro tumori più diffusi che colpiscono polmone, intestino, seno e prostata. Per centrare l’obiettivo gli esperti dell’Ieo (Istituto europeo di oncologia) lavoreranno in stretto contatto con ingegneri e fisici da tutta Europa.

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MEDICINA un italiano su quattro colpito da depressione SIAMO IMPICCIONI NATI, TELEFONATE ALTRUI RISCHIOSA DISTRAZIONE Siamo degli inguaribili ‘impiccioni’ e non possiamo fare a meno di ascoltare la telefonata di un vicino di treno, di una persona in bus o al bancone di un bar. Ma, poichè è difficile seguire un dialogo a metà, la telefonata altrui ci deconcentra al punto da non riuscire più a fare quello che stavamo facendo, ad esempio leggere. È quanto dimostra uno studio pubblicato sulla rivista Psychological Science da psicologi della British Columbia University e condotto da Lauren Emberson. Già in passato uno studio aveva dimostrato che non riusciamo a far a meno di allungare l’orecchio alla conversazione di un vicino di stanza o di vagone che sta parlando al telefonino: Andrew Monk dell’Università di York aveva visto che a renderci degli inguaribili curiosi e’ il fatto che sentiamo solo una parte della conversazione perchè non possiamo sentire la persona all’altro capo della linea. Il nuovo studio va oltre e mostra che, proprio perchè possiamo ascoltare la conversazione solo per meta’, siamo infastiditi e non riusciamo a concentrarci più su quel che stiamo facendo: il motivo è che ascoltare una mezza conversazione ci occupa talmente tanto la mente da distrarci in qualunque cosa stiamo facendo. Gli esperti lo hanno scoperto registrando delle telefonate, o l’intero dialogo, o solo una mezza conversazione, cioe’ solo l’interlocutore a un capo della linea, o il monologo di uno dei due interlocutori che fa il resoconto del dialogo. Poi hanno fatto ascoltare questi audio a volontari mentre eseguivano dei test che equivalevano a guidare o a prestare attenzione al semaforo. È emerso che solo quando i volontari ascoltavano il mezzo dialogo, la loro performance ai test diminuiva sensibilmente, e non quando invece ascoltavano o l’intero dialogo o un monologo. Il punto è, concludono gli psicologi, che meno informazione otteniamo da una conversazione, più è difficile per il nostro cervello capire il senso di ciò che ascoltiamo e quindi di smettere di ascoltare.

Un italiano su quattro e’ colpito, almeno una volta nella vita, da un episodio di depressione maggiore. È quanto emerge da uno studio che ha coinvolto 160 ambulatori di medici di base e 1.600 pazienti che hanno risposto ad un questionario dalle Societa’ italiana di Farmacologia, Psichiatria e Medicina generale. I risultati sono stati presentati oggi a margine del XVII congresso nazionale della Societa’ di Neuropsicofarmacologia, in corso a Cagliari. Il cosiddetto ‘’mal di vivere’’ diagnosticato oggi interessa il 10% degli italiani, ma nel 2020 potrebbe coinvolgere il 20% della popolazione. ‘’Il rapporto con il primo filtro della medicina di base e’ il miglior modo di fare prevenzione - ha spiegato Eugenio Aguglia, presidente della Societa’ di Psichiatria - Due presidi forti di prevenzione sono poi costituiti dalla famiglia e dalla scuola che devono intercettare quei segni orientativi che possono richiedere una maggiore attenzione: il rendimento scolastico, l’irrequietezza, la chiusura alle relazioni, fenomeni di bullismo o anche la tossicodipendenza come espediente per superare le difficolta’ rappresentano delle spie da non sottovalutare’’. Decisivo il ruolo dei medici di famiglia, ha ribabito Aguglia, che devono pero’ essere adeguatamente formati attraverso corsi, gruppi di studio e contatti diretti con gli specialisti nelle cliniche e nei dipartimenti. Resta aperto il problema dell’abbandono della cure: gli specialisti riescono a diagnosticare meno del 50% delle depressioni, coloro che ricevono cure non superano il 15%, e chi interrompe il trattamento lo fa nei primi tre mesi, mentre servono almeno tra gli otto mesi e un anno per vedere i primi risultati e i successivi sei mesi senza ricadute sono fondamentale per diminuire l’apporto dei farmaci.


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In a Box

A Messina il primo ambulatorio universitario di medicina naturale

Un vero amico è colui che entra quando il resto del mondo esce W.Winchel

Vacanze, boom di acquisti on line

Onu Alieni, nominata l’ambasciatrice della terra. Tutti ritengono che gli Ufo non esistano, però non si sa mai! Così l’Assemblea Generale dell’Onu ha ufficialmente designato chi sarà incaricato, in nome del mondo intero, di porgere il benvenuto ad eventuali visitatori extraterrestri. L’ambito incarico di capo del Ministero degli Affari Spaziali dell’Onu, (Unoosa) è stato conferito ad una scienziata malese, Mazlan Othman che già opera nel settore da anni. L’iniziativa che ha come scopo quello di essere pronti con un organismo riconosciuto internazionalmente ad accogliere e coordinare i primi contatti con eventuali alieni.

Un utente diventato agente di viaggio di se stesso, che acquista su internet non guardando solo al prezzo, ma a tutte le informazioni per organizzare la vacanza ancora prima di partire - dal viaggio ai ristoranti, fino ai musei - e, una volta a casa, usa la rete per condividere la sua vacanza pubblicando foto e recensioni. il vacanziere online, che sfrutta tutte le potenzialità del web e dell’e-commerce per prepararsi alla partenza. In Italia sono sempre di più le persone che comprano le vacanze online. Stando alla ricerca “Consumer Behaviour Report 2010: web, viaggi e vacanze”, realizzata dal Consorzio italiano del Commercio Elettronico (Netcomm) e dall’azienda italiana di direct marketing digitale ContactLab, 5 milioni di italiani acquistano sul web biglietti d’aereo, alberghi e visite guidate spingendo il fatturato del turismo online, che quest’anno crescerà del 19% rispetto al 2009. Dei 24 mila italiani che hanno partecipato all’indagine, l’83% ha dichiarato di aver gia’ fatto acquisti su internet e, di questi, il 92% e’ partito per le vacanze almeno una volta nel 2010, organizzandole nell’88% dei casi grazie alla rete. Se il 42% paga direttamente via web, il 18% prenota soltanto, mentre il 28% si è limitato a cercare informazioni. Il restante 12% e’ composto dai vacanzieri ‘no-web’, che preferiscono affidarsi alle agenzie di viaggio o ai consigli di amici e familiari. Quando si tratta di organizzare un viaggio, gli italiani si rivolgono al web soprattutto per comprare il biglietto aereo (84%) e l’albergo (71%), seguiti dall’autonoleggio (28%), il villaggio turistico (20%), il biglietto della nave (19%) e quelli per musei, concerti e visite guidate (18%). La metà prenota con almeno due mesi d’anticipo, uno su quattro la fa un mese prima e il restante 25% aspetta gli ultimi 15 giorni. Tra le informazioni piu’ cercate in rete primeggia la destinazione del viaggio (54%), seguita da notizie sui trasporti (52%) e dai luoghi dove dormire, mangiare e divertirsi (41%). L’offerta conveniente è il punto di partenza solo per il 24%.

Per la prima volta in Italia, in una struttura ospedaliera universitaria sarà istituito un ambulatorio dedicato alla medicina naturale. Dal mese di ottobre, con il pagamento di un ticket corrispondente a quello di una comune visita medica specialistica convenzionata, sarà possibile accedere alle cure dell’Ambulatorio di Medicina Naturale del Policlinico di Messina. L’ambulatorio, afferente alla Unità Operativa di Farmacologia Clinica, sarà guidato dal professore Gioacchino Calapai e si trova al quinto piano del Padiglione G (Torre Biologica) del Policlinico Universitario “G. Martino”. L’inizio delle attività sarà preceduto da una conferenza stampa che avrà luogo nell’Aula Magna del centro Congressi del Policlinico alle 9.30 del 29 settembre prossimo. La validità dell’impiego della Medicina Naturale è sostenuta da un numero crescente di studi scientifici che avvalora l’utilizzo terapeutico dei prodotti naturali. In alcuni casi ne è stata ampiamente dimostrata l’efficacia (ad esempio nella cura dell’insonnia, di lievi forme depressive, nel trattamento dei disturbi dispeptici); in altri casi, l’uso dei prodotti di origine naturale si è dimostrato utile nella prevenzione e nel miglioramento dello stato di salute e conseguentemente della qualità della vita. Sulla base di nuove evidenze scientifiche l’uso di prodotti naturali nel campo della salute, prima considerato alternativo o antitetico rispetto ai farmaci di sintesi, è oggi in molti casi uno degli strumenti terapeutici da utilizzare nella pratica clinica quotidiana.


Storia di Flavio Riccitelli

Il volo della rondine sull’Italia fascista:

ala littoria S. A. (1934 - 1941)

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a Rete Aerea Italiana, alla fine degli anni Venti, si era andata affermando gradualmente, alternando fasi di ampliamento a fasi di assestamento. Dopo la nascita delle prime quattro compagnie private - SISA, Transadriatica, AeroEspresso e SANA fece seguito quella di Avio Linee Italiane e nel 1928 la Società Aerea Mediterranea (SAM), la compagnia a capitale pubblico SAM, che avrebbe poi dato luogo alla nostra compagnia di bandiera.

La SAM,infatti,posta al centro della politica di concentrazione e di razionalizzazione dell’aviazione civile, avviata dal nuovo sottosegretario all’aeronautica Italo Balbo, effettuò una “azione di largo assorbimento” nei confronti di tutte le compagnie aeree esistenti, subentrando nell’esercizio delle linee adriatiche, transalpine, mediterranee coloniali ed ampliando il suo raggio di azione anche all’Oriente mediterraneo, fino a rendere più completa ed organica la rete dei servizi italiani da essa gestiti. La prima compagnia ad essere assorbita, nel 1931, fu la Transadriatica, che oltre ad un prezioso bagaglio di esperienze, lasciò in eredità un simbolo, quello della Rondine, destinato a rappresentare le fortune dell’aviazione civile italiana nei suoi anni di maggiore sviluppo . La SAM, che nel 1930 aveva eletto a proprio presidente

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Umberto Klinger, assolse per sei anni brillantemente alle sue funzioni di moderatrice e regolatrice della complessa attività delle varie società aeree, con miglioramenti nelle condizioni del materiale e nelle potenzialità degli apparecchi. Ma ad un certo livello di sviluppo anche il suo nome non risultò più rispondente all’attività che di tanto sovrastava e superava quella iniziale. In realtà non era solo una questione di nome, i limiti mediterranei imposti alla SAM cominciavano ad essere inadeguati rispetto ai futuri compiti a cui si trovava ad essere chiamata. Da qui la decisione di mutare la ragione sociale. Il 28 ottobre 1934 (giorno del XII anniversario della Marcia su Roma), la Società Aerea Mediterranea diventò “Ala Littoria S.A.”, un nome che lo stesso Mussolini si era compiaciuto di suggerire. La nuova compagnia andò a


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la compagnia venne resa più “fascista” e più legata al partito nazionale

riassumere in sé la quasi totalità dei servizi aerei italiani e, soprattutto, venne resa più “fascista” e più legata al partito nazionale. Contemporaneamente venne anche deciso il trasferimento degli uffici della Direzione Generale, da via Regina Elena all’aeroporto del Littorio, dove era stata costruita la nuova sede. Comunque, l’azzurra rondinella questa volta accompagnata da un fascio - continuò a fregiare le carlinghe degli aeroplani della neonata compagnia di stato. Intanto proseguiva il processo di assorbimento delle compagnie aeree private e nell’agosto del 1935, attraverso lunghe trattative, passavano all’Ala Littoria i servizi del Mediterraneo Orientale, precedentemente gestiti dalla Società AereoEspresso, posta in liquidazione. Nello stesso periodo si compivano le operazioni per

l’assorbimento anche della Società Nord Africa Aviazione (NAA) - una piccola compagnia costituita nel 1931, con il sostegno del Ministero delle Colonie - che con soli tre Caproni 101, realizzava utili servizi di linea sulle difficili rotte della Libia. In precedenza, nel marzo 1935, l’Ala Littoria aveva stipulato un accordo con il Governo Albanese, in base al quale venivano rilevate definitivamente le linee della rete albanese, gestite fino ad allora a nome della Adria Aero Lloyd. Da questo processo di concentrazione, da cui rimase esclusa la sola ALI (Avio Linee Italiane) del gruppo Fiat, nasceva la prima compagnia di bandiera italiana, alla cui guida fu confermato Umberto Klinger, l’uomo che Balbo aveva già posto alla guida della SAM.


Storia Il volo della rondine sull’Italia fascista:

ala littoria S. A. (1934 - 1941)

Lo sforzo maggiore che negli esercizi immediatamente successivi si impose agli amministratori fu quello di fondere le culture aziendali e di coordinare i diversi sistemi organizzativi che erano alla base delle precedenti gestioni. L’obiettivo era di prendere quanto di meglio esisteva nelle società assorbite e, con opportune trasformazioni, creare un unico vitale organismo. L’organizzazione della Direzione Generale, che si innestava sul vecchio schema della Società Aerea Mediterranea, rimase di fatto immutata e rappresentò il fulcro attorno al quale si svolsero tutte le operazioni ed i movimenti in corso di attuazione. Il compito non fu dei più facili, ma i risultati non tardarono ad arrivare. Oltre al risparmio di 12 milioni di lire per l’erario, in gran parte derivante dal venire meno delle sovvenzioni alle compagnie private, vi fu un forte sviluppo dell’attività, con i chilometri volati che passarono da 1.630.830 a 3.570.905. In breve tempo si passò da 17 a 38 scali, in tutti i paesi d’Europa e in Africa ed i passeggeri a circa 50.000 l’anno. La flotta poteva contare su idrovolanti e apparecchi terrestri, capaci di trasportare fino a 18 passeggeri alla velocità di 200 km/h. Trattandosi di aerei trimotori, il trasporto avveniva in tutta

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sicurezza; per le linee internazionali, invece, l’Ala Littoria disponeva di quadrimotori capaci di trasportare fino a 24 passeggeri alla velocità di 300 km/h. I grossi investimenti nell’ammodernamento della flotta velivoli, si accompagnarono poi ad una intensa opera di propaganda. Il 1935 rappresentò un momento di svolta per l’aviazione civile italiana, con l’aeroplano che iniziava a diventare un concorrente temibile dei mezzi di trasporto su terra e su mare. Tra le innumerevoli linee inaugurate nel corso dell’attività svolta dall’Ala Littoria sarà sufficiente ricordarne solo alcune, che portarono il tricolore italiano molto lontano, in Europa e in Africa. Il 7 maggio 1935, con gli accordi stipulati con KLM e Deutsche Luft Hansa, l’Ala Littoria inaugurò il collegamento giornaliero MilanoFrancoforte-Amsterdam. L’accordo con l’Air France, stipulato nel settembre dello stesso anno, consentì l’inaugurazione del servizio, pure giornaliero, tra Roma e Parigi via Marsiglia, con il quadrimotore Savoia S.74 e un bimotore francese Potez 62. Il Siai S.74, impiegato su questa prestigiosa e redditizia linea, era un capace quadrimotore in grado di superare i 300 km/h. Nelle sue linee

generali questo aereo ricalcava quelle del Siai S.71, ma di grandi dimensioni, quasi un “jumbo” dell’epoca, con una lussuosa cabina capace di ospitare fino a 24 passeggeri, dotata di bar e toilette. Sebbene costruito in tre soli esemplari prestò servizio fino al 1943 e fu il più grande velivolo della compagnia di bandiera. Il 1935 fu anche contrassegnato per il nostro Paese dalla preparazione della campagna di Etiopia e la necessità di rapidi collegamenti con l’Africa Orientale Italiana era stata oggetto di lunghi studi da parte del Ministero. Già in seno alla compagnia SAM era stato affrontato il problema ed erano stati fatti tentativi per esaminare con i due Ministeri competenti (Aeronautica e Colonie) la possibilità di un servizio aereo tra le Colonie dell’Africa Orientale e la Madre Patria. Pur non mancando l’iniziativa di entusiastici consensi, difficoltà di ordine finanziario costrinsero i vertici a rinviare tutto al momento in cui, affermatosi il traffico aereo ed assestatosi il complesso delle linee europee e mediterranee sotto un solo Ente, una nuova organizzazione e nuovi e più moderni mezzi tecnici, accompagnati da una più larga disponibilità di mezzi finanziari, avrebbero consentito all’aviazione civile italiana di cimentarsi sulle grandi linee intercontinentali.


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Il ponte nel cielo Con la partenza nel febbraio del 1935 dei primi reparti del corpo di spedizione, l’Ala Littoria fu invitata ad esaminare d’urgenza il modo di provvedere alle nuove necessità. Non si disponeva ancora di un velivolo adeguato, sia alle condizioni ambientali, sia ad un tragitto di quella lunghezza, ma l’incalzare degli eventi e la necessità di disporre di un rapido sistema di trasporto di persone, corrispondenza e merci, fecero propendere verso l’unica rapida soluzione possibile, vale a dire un accordo con la Imperial Airways per collegarsi a Khartoum (Sudan anglo-egiziano) con la linea inglese che partiva da Brindisi per il SudAfrica. L’accordo venne stipulato il 7 luglio 1935. Dalla capitale sudanese si diramavano due servizi dell’Ala Littoria: il primo sulla linea KhartoumKassala-Asmara-Massaua (770 Km di percorso); il secondo sulla linea Massaua-Gibuti-BerberaGaladi-Mogadiscio (1.970 Km di percorso). Il 22 luglio 1935 venne inaugurato il servizio aereo Khartoum-Asmara in coincidenza una volta la settimana con il volo dell’Imperial Airways da e per Brindisi. Per questo servizio furono utilizzati

i robusti Fokker VIII 3m. Il servizio in cogestione con la compagnia inglese rese così possibile il collegamento rapido per posta, passeggeri e merci fra l’Italia e l’Eritrea. Dall’Asmara la corrispondenza veniva inoltrata per le altre destinazioni. La linea consentì di far giungere la posta delle famiglie ai combattenti d’Africa. L’Ala Littoria continuò a perfezionare l’organizzazione della sua linea aerea africana e già dall’11 novembre fu in grado di prolungare la sua linea dall’Asmara a Mogadiscio, con scali ad Assab, Gibuti, Berbera, Rocca Littorio, raggiungendo una lunghezza complessiva di 7.500 km. Nel frattempo, a causa dell’acuirsi dei rapporti con la Gran Bretagna, ma anche per ragioni economiche, l’Ala Littoria si affrettò a coprire anche la tratta Brindisi-Khartoum, utilizzando i piccoli bimotori Caproni “Borea”, in attesa che l’industria nazionale fornisse velivoli adeguati. Il nuovo servizio, inaugurato il 4 dicembre 1935, funzionò regolarmente nonostante la rudimentale organizzazione delle tratte iniziali e le scarse caratteristiche dei velivoli.


Storia Il volo della rondine sull’Italia fascista:

ala littoria S. A. (1934 - 1941)

I risultati raggiunti nel 1938 erano tali da far dichiarare a Klinger che l’Italia, per sviluppo di linee, numero di apparecchi impiegati, chilometri percorsi e carichi trasportati, occupava in Africa il primo posto.

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Con tali mezzi di ripiego ed un tragitto che durava parecchi giorni, la compagnia fu comunque in grado di effettuare il collegamento con mezzi interamente italiani. A guerra conclusa, dopo la proclamazione dell’Impero dell’Africa Orientale Italiana, la linea fu estesa fino ad Addis Abeba. Era nata la c.d. “Linea dell’Impero”, che divenne presto una grande ed importante arteria intercontinentale. Il successo fu immediato e dal gennaio 1936 i servizi vennero intensificati e potenziati. Dal 15 ottobre 1936 iniziarono i voli regolari bisettimanali con la capitale dell’Impero e con l’entrata in servizio del trimotore commerciale Siai S.73 - scelto dall’Ala Littoria quale aereo standard per i collegamenti terrestri - i tempi di volo si ridussero fino a quattro giorni, da Roma a Mogadiscio. Successivamente in AOI venne sviluppata una rete ampia ed articolata di undici linee che collegavano località di importanza economica e strategica (12). E con la consegna del primo lotto di sei apparecchi S.73, una volta completata l’operazione di inquadramento degli equipaggi, del personale di officina e dei servizi di scalo, il complesso delle comunicazioni aeree venne ulteriormente migliorato, finché la linea Roma - Addis Abeba divenne quadrimestrale dal 4 aprile 1937. Da Roma a Bengasi si impiegavano gli idrovolanti Cant 506.Z, quindi i trimotori S.73 (poi sostituiti dagli S.75) da Bengasi ad Addis Abeba. I risultati raggiunti nel 1938 erano tali da far dichiarare a Klinger che l’Italia, per sviluppo di linee, numero di apparecchi impiegati, chilometri percorsi e carichi trasportati, occupava in Africa il primo posto. L’S.73 era un elegante trimotore ad ala bassa a sbalzo e carrello fisso, primo di una famiglia di aeroplani che diventerà tipica dell’aviazione italiana per oltre un


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Storia Il volo della rondine sull’Italia fascista:

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ventennio. Fu considerato, ed a ragione, come il più veloce trimotore di linea del mondo, in grado di raggiungere i 340 km/h. La fusoliera era notevolmente capace ed i piloti avevano un cabina chiusa, con doppi comandi affiancati. L’arredamento interno comprendeva 18 posti su due file, con dotazione di toilette, riscaldamento, ossigeno per le alte quote e bagagliai). Intanto, il 1 luglio 1936 l’Italia aveva stipulato una convenzione anche con la Grecia, in virtù della quale l’Ala Littoria venne autorizzata alla continuazione dell’esercizio delle linee Roma-Brindisi-Atene-Rodi e Brindisi-TiranaSalonicco e la società ellenica ottenne di esercitare le linee Atene-Brindisi-Roma-Napoli e quelle con destinazione Marsiglia e Monaco, attraversando il nostro paese. Una particolare attenzione venne data anche alle rotte dell’Adriatico, linee ereditate dalla SISA e poi dalla SAM (Ancona-Zara-Lussino-Pola-Trieste; Trieste-Venezia; Fiume-Pola-Venezia; Trieste-Pola-Lussino; Trieste-Brindisi), per l’esercizio delle quali venne impiegato l’idrovolante Macchi C.94, in sostituzione degli arcaici Cant.10 e Cant.22. L’idrovolante C.94, in grado di raggiungere i 290 km/h e di trasportare fino a 12 passeggeri, si rilevò subito un mezzo sicuro e confortevole, divenendo presto un apprezzato mezzo di comunicazione e collegamento nella eterogenea comunità adriatica. Una cura particolare era stata dedicata agli allestimenti di cabina, con sedili rivestiti in pelle (non più cestini di vimini), luci individuali e bocchette singole di aerazione. Da luglio a dicembre 1936 vennero consegnanti i primi sei esemplari, tutti impiegati nell’area ed a partire dal 1937 anche sulla rotta Trieste-Brindisi-Haifa, il cui capolinea era stato spostato successivamente da Trieste a Roma, per accogliere un’altra notevole fetta di traffico.

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Il 7 aprile 1937 venne inaugurata l’importante linea fra l’Italia e la Palestina: la Brindisi-Rodi-Haifa. La linea era in coincidenza con la linea Trieste-Brindisi e la linea RomaBrindisi. A partire dal 13 aprile 1939 la stessa linea venne prolungata fino a Bagdad-Bassorah. Nuove linee si aprivano al traffico e con l’appoggio di una industria aeronautica sempre più progredita, l’Aviazione Civile Italiana, ed in particolare l’Ala Littoria, fu in grado si affrontare il suo maggiore sviluppo. Le dimensioni della società andarono aumentando di pari passo con l’aumento del traffico, con l’utenza sempre in aumento, anche presso un pubblico meno sofisticato e professionale. Nel 1937 l’Ala Littoria era arrivata a gestire fino a 42 linee regolari ed una gran parte di questa rete copriva il bacino mediterraneo, sede naturale degli interessi italiani, già obiettivo primario della SAM. Considerate le dimensioni raggiunte, si rese necessario un adeguamento della struttura organizzativa della società, con la creazione di sei Direzioni di rete (Roma Lido, Roma Aeroporto del Littorio, Trieste, Bengasi, Spagna, Addis Abeba) e 3 Scali principali, il più importante dei quali era quello di Tirana, ove faceva capo l’intera rete albanese. Nel 1938 lo sviluppo continuò senza soste e l’intensa attività pose l’Ala Littoria al primo posto in Africa, prima ancora dell’Air France. In Europa vennero raggiunte nuove capitali con le linee Venezia-Klagenfurt-Bratislava-Praga e Roma-Belgrado-Bucarest. Vennero assicurati anche i servizi di linea nella Spagna in guerra. Sulla linea Roma-Pollensa-Cadice, già inaugurata nel dicembre 1936, si andarono ad intersecare a partire dal gennaio 1938 le due nuove linee Melilla-Malaga e TetuanMalaga-Siviglia, entrambe con frequenza giornaliera. Con l’estensione di quest’ultima a Lisbona, a partire dal 25 aprile 1938 era possibile volare da Lisbona fino a Roma, via


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Siviglia-Malaga-Melilla-Palma di Maiorca. La rete raggiunse il suo massimo sviluppo nel 1939, toccando i 37.110 Km, con una flotta aerea di 101 apparecchi di vario tipo. Una volta organizzata al meglio la rete nazionale ed europea, forte di tanta esperienza, l’Ala Littoria iniziò a puntare la sua attenzione oltre Atlantico. Il 20 marzo 1938 si ebbe il primo esperimento di un collegamento regolare tra l’Italia e l’America Latina, sul percorso Roma-CagliariBathurst Gambia)-Bahia-Rio de Janeiro-Buenos Aires. A bordo dell’idrovolante Cant Z 506, munito di tre motori Alfa Romeo, vi era il pilota comandante Carlo Tonini e lo stesso presidente della società Umberto Klinger. Il volo, che aveva come scopo lo studio tecnico dell’itinerario e del materiale occorrente alla nuova linea, era stato compiuto con la massima regolarità per tutti i 24.000 Km del percorso, ad una velocità media di 300 Km/h. Come sappiamo, per l’esercizio di questa linea venne in seguito costituita una nuova società, la LATI, che comunque può considerarsi una filiazione dell’Ala Littoria, avendone utilizzato la sua organizzazione. Alla vigilia della seconda guerra mondiale l’aviazione commerciale italiana rappresentava una realtà di tutto rilievo nel settore dei collegamenti aerei mondiali, dotata anche di macchine all’altezza dei tempi e di equipaggi con un buon bagaglio tecnico-professionale. La flotta dell’Ala Littoria all’inizio del 1940 era composta di 132 aeromobili di vario tipo. Il volume di traffico ci poneva al quinto posto nel mondo, dopo Stati Uniti, Unione Sovietica, Germania e Gran Bretagna. Tra il 1937 e il 1938 vennero presentate diverse iniziative atlantiche, alcune delle quali con chiare connotazioni competitive. Quella che più delle altre si avvicinava alla prospettiva di un servizio regolare venne effettuata in seno all’Ala Littoria, il 24 marzo 1938, con un idrovolante Cant Z 506, immatricolato I-ALAL.

La guerra, nonostante il nostro iniziale stato di non belligeranza, distrusse ben presto tutto. Allo scoppio delle ostilità lo Stato Maggiore dell’Aeronautica emanò le disposizioni per la militarizzazione dell’aviazione civile, che passò alle dipendenze del Comando Servizi Aerei Speciali (CSAS), che era stato creato allo scopo.


Storia di Salvatore Parlagreco

In Israele la memoria orale attribuisce alla X Legio un’origine siciliana. Fu questa legione a cambiare i destini del mondo.

La legione

siciliana P

erché in Israele attribuiscono il giorno più buio della loro storia alla Legione siciliana? Dal lontano 1989 cerco di dare una risposta al quesito. Le mie ricerche sui testi più accreditati non hanno dato alcun risultato. Nei libri di storia non c’è traccia della Legione siciliana. Quando ho ascoltato per la prima volta le parole della guida israeliana, a Gerusalemme, d’istinto ho chiesto una conferma. Ricordo l’espressione sorpresa della guida - una matura signora di origine piemontese approdata appena ventenne nella Terra promessa – e la sua risposta: “Non ce la siamo certo inventata noi. Magari fosse così”.


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N

ei giorni in cui mi ha guidato a Gerusalemme, Vicky, mi aveva raccontato di tutto. Una lezione di storia dalla bocca di una donna che aveva cancellato duemila anni di storia, dalla diaspora al ventesimo secolo, come ogni ebreo. Per Vicky il 70 dopo Cristo, l’anno della distruzione del Tempio, è solo ieri. Una fonte e una memoria orale affidabili. Per quasi diciotto anni ho cercato prove e indizi sulla guerra giudaica e sulle legioni romane, affastellando carte e informazioni. Non solo per risolvere il mistero del cognomen siciliano, ma per sapere se fra le fila della Legione siciliana ci fossero siciliani. Il mistero del cognomen non è affatto tale: la X Legio in tutti i testi è denominata Fretensis, che è sinonimo di “siciliana”. Gli storici hanno eliminato più di un secolo fa ogni dubbio: Fretensis indica l’origine geografica della Legione, che fu costituita da Ottaviano nel 40/41 avanti Cristo nei pressi dello Stretto, Fretum Siculum, e combattè a Naulochus, al largo di Milazzo, la prima battaglia contro i seguaci di Pompeo durante la guerra civile. Fretensis, dunque, è un nome di battaglia, che quasi tutte le legioni romane adottano. Che la legione Siciliana, o Fretensis, fosse strumento della storia è indubbio. Dopo Naulichus combattè ad Anzio contro la flotta di Marco Antonio, ponendo fine alle guerre civili, ma anche alla Repubblica romana. Ottaviano gli aveva dato, nell’atto di nascita, un numero, “decima”, per onorare la memoria della mitica decima legione di Cesare. E’ stata la pozione che gli ha concesso l’immortalità: dopo due millenni la “decima” mantiene intatta la sua fama di esercito invincibile. Ma la sua fama è controversa: idolatrata negli Stati Uniti d’America, tanto da dare il suo cognomen a circoli ed associazioni militari, è maledetta nella terra di Sion. Strumento della storia, indubbiamente. La guerra giudaica fu combattuta da tre legioni romane - la VI Ferrata, la V Macedonia e la X Legione – ma una di esse, la X Legione, distrusse il Tempio di Salomone a Gerusalemme, nel mese di luglio dell’anno 70 dopo Cristo. Il cronista del tempo, lo storico giudeo Flavio Giuseppe, scrisse che i legionari non obbedirono agli ordini del loro comandante, Tito, figlio dell’imperatore Vespasiano, e assolse Roma ed il suo amico, Tito, bollando la ferocia della Legione siciliana, animata da uno spirito vendicativo per le ingenti perdite subite in quattro anni di guerra. Una bufala. Fu Tito, dunque Roma, a volere che fosse cancellata la presenza egli ebrei, tanto è vero i sopravvissuti alla guerra furono tutti deportati. Una punizione esemplare al fine di ristabilire l’autorità dell’Impero. La distruzione del Tempio non fu solo il feroce epilogo di una guerra, segnò l’inizio di una nuova storia. La storia dell’ebraismo, ma anche la storia della cristianità. L’ebraismo,

grazie all’elaborazione rabbinico-talmudica, divenne comunità religiosa in esilio e cementò una forte identità di popolo. La Chiesa cristiano-giudaica, spogliata del carisma messianico dell’ebreo Gesù – la promessa del Regno d’Israele non avrebbe potuto essere mantenuta – e sospettata di insidiare il potere di Roma con il suo Dio invisibile e onnipotente, dovette marcare la sua diversità con l’ebraismo inviso a Roma. Gli ebrei divennero “gli assassini di Gesù”, e Pilato – spietato quanto Tito – un debole, incolpevole esecutore della malvagia volontà farisaica. Altre bufale. Durante la predicazione di Gesù è a Gerusalemme, va ricordato, la Legione siciliana è agli ordini di Ponzio Pilato, sono i suoi soldati a crocifiggere Gesù. Ancora strumento del destino? Sarebbe toccato a siciliani compierlo? Il simbolo della Legione era il toro, la cui immagine si trova su molte monete siciliane del tempo. Il mito del Minotauro, importato da Creta, è sicuramente il più popolare. Una prova? No, il toro è un animale sacro alla dea Venere, dalla quale discenderebbe la gens Giulia, cui appartengono Ottaviano e Cesare. Non resta che seguire le tracce della X Legio per carpire il segreto della provenienza dei suoi uomini. Dopo Anzio, le tracce si perdono. Un mistero. Per quasi tre decenni, fino alla nascita di Cristo scompare dalle cronache del tempo. Sappiamo, tuttavia, di un pensionamento dei legionari della “decima” in quegli anni e, grazie ad un censimento voluto da Cesare Augusto nell’anno 4 dopo Cristo, della sua presenza in Siria. È possibile ipotizzare, dunque, una rifondazione della X Legio, alcuni anni prima della guerra giudaica. Quanti legionari furono reclutati in Sicilia? Augusto fece dell’Isola una provincia senatoriale, conferendo in tal modo ai siciliani il diritto di accedere alle cariche pubbliche e di assumere ruoli di comando nelle legioni. Porte aperte, dunque, anche nei gradi più alti della gerarchia militare. Alcuni popoli, come i Mamertini, sin dal tempo delle guerre civili, erano obbligati a fornire una nave alla flotta romana. Che ci fossero siciliani nella Legione romana sin dalla sua nascita appare perciò assai probabile. Ma solo un’accurata analisi dell’onomastica dei legionari potrebbe dare certezze sulla provenienza dei “decimani fretenses”. Un importante intellettuale israeliano, André Chouraqui, al quale ho chiesto di segnalarmi delle fonti attendibili, allargò le braccia e, aggrottando la fronte, mi rimproverò della infelice idea: perché mai ero così interessato a dimostrare che siciliani come me si fossero macchiati di colpe così gravi? La Sicilia, ho risposto banalmente, è l’unico Paese al mondo a non avere avuto mai un esercito in armi. E l’unico Paese arabo a non avere combattuto contro Israele. Chouraqui, rassicurato, ha annuito e mi ha regalato un sorriso. No, non facevo sul serio.


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Anniversari di Giuseppe Di Bella

&

sicilia napoli

due regni in uno Stato incompiuto Riemergono periodicamente le irrisolte divergenze storiche relative ai rapporti giuridici, politici e sociali tra i due regni di Napoli e Sicilia ed alla forma istituzionale dello Stato delle Sicilie ed in particolare l’antica polemica sulla unicità o dualità del Regno di Sicilia prima del 1816, determinata dalla equivoca formula “Rex utriusque Siciliae”.

fine di contribuire ad una argomentata comOpinioni e Alposizione delle diverse opinioni su questo particolare aspetto della storia dell’Isola, esaminiadocumenti mo alcuni documenti e più precisamente la loro “intitolazione”, che identifica, rappresenta ed esprime, la “legittimazione” dell’Autorità da cui essi promanano, ovvero nella tecnica giuridica, “la causa del potere esercitato”. L’intestazione, che fa parte della più ampia parte dei documenti ufficiali, denominata “Premessa o preambolo”, ha una valenza giuridica essenziale, perché in essa viene dichiarata espressamente la qualità giuridica e la legittimazione dell’autorità dalla quale l’atto promana. Per questi motivi, in ogni epoca, è stata posta la massima attenzione ai contenuti di questa essenziale parte degli atti di Stato. Il fine dell’odierna ricerca è quello di ritrovare negli atti originali, traccia della persistenza delle due Corone ed evidenziare il nesso tra i titoli regali dinastici e quello istituzionale di “Rex utriusque Siciliae”, utilizzato in diversi momenti storici ed in particolare dalla conquista di Don Carlos Sebastian di Borbone e fino al 1816. Cercheremo infine di delineare alcuni motivi storici del sostanziale fallimento del progetto politico di unificazione dei regni.

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Rex Prima di affrontare l’argomento, appare necessario riepilogare breUtriusque vemente alcuni avvenimenti e le storiche della conquista Siciliae premesse dei regni di Sicilia da parte di Don Carlos di Borbone. Il titolo di Rex utriusque Siciliae è stato utilizzato, di fatto e di diritto, nelle numerose occasioni nelle quali dal 1302, ovvero dalla scissione dell’antico regno normanno di Sicilia, i due regni si sono ritrovati uniti in un unico Stato a causa di incidentali unioni personali dinastiche. Considerata la persistenza delle due antiche Corone e la proclamazione nel 1816 del “Regno delle due Sicilie”, dobbiamo ritenere che questo titolo non indichi una Corona o un Regno, bensì uno Stato formato da due regni. Ritroviamo infatti la dicitura “Rex utriusque Siciliae” nella proclamazione di Alfonso V d’Aragona, il magnanimo, che nel 1434 riunì nella sua persona le due corone. Ripercorrendo le complesse vicende storiche dell’Isola, risulta chiaro, anche con riferimento ai trattati internazionali, che le due corone di Napoli e Sicilia sono rimaste autonome e distinte, anche durante quei periodi di unione personale, che li hanno formalmente unificate in unica monarchia, dinastia e Stato. Lo stesso Alfonso il Magnanimo che per primo (invero lo fece formalmente anche Carlo d’Angiò in forza della formula pontificia) si fregia formalmente e sostanzialmente di tale titolo, ha piena coscienza della situazione di diritto delle corone e ricorre ad uno stratagemma: si fa adottare dalla Regina Giovanna II di Napoli, per divenire legittimamente erede di quel regno ed unirlo nella sua persona, a quello di Sicilia.Ben si comprende che questa problematica ruota attorno al concetto di legittimazione. Il momento fondante del Regno di Trinacria, distinto da quello di Sicilia, è il riconoscimento del Papa intervenuto nell’ambito della pace di Caltabellotta e di quella susseguente di Catania. L’evento è legittimante perché il Papa detiene il potere di creare una nuova Corona, in quanto feudatario di quelle Terre, per effetto del donativo di Costantino. Quindi così come ha concesso nel 1130 la creazione di un Regno normanno suo vassallo, ugualmente ha il diritto/ potere di enucleare da questo un nuovo regno, che per distinguersi, verrà chiamato di Trinacria. Risulta evidente che la creazione per fusione di un nuovo regno, avrebbe avuto bisogno di un nuovo atto formale fondante, ad opera del Papa, almeno fino alla scoperta della falsità del Donativo. Saranno invece le vicende dinastiche e l’affermazione aragonese e poi spagnola dal 1476, a determinare la “Confusione” dei Regni per le unioni personali che si sono periodicamente ripresentate, come pure, in epoca più recente,

la riconquista di Carlo nel 1734, che porta i due Regni nell’orbita borbonica. Ma il Regno siciliano di Trinacria poi di Sicilia ultra, non è mai stato dichiarato decaduto ed è stato abolito formalmente e sostanzialmente, solo nel 1816. Anche nei periodi di “Regno unito”, permane sempre una nettissima distinzione tra i due regni: dinastica, territoriale, amministrativa ed istituzionale: tutti i monarchi che si sono dichiarati “Rex utriusque Siciliane”, intendevano definirsi re della Sicilia continentale o citra farum (poi regno di Napoli) e della Sicilia Isola o ultra farum (ex Trinacria), non certo di una inesistente regione geografica denominata “Due Sicilie” o di un altrettanto inesistente regno dallo stesso nome, mai proclamato o legittimato fino al 1816. In merito, è stato da taluni reiteratamente sostenuto che l’adozione della riemergente locuzione “Rex utriusque Siciliae” e la corrispondenza dei confini dell’antico regno normanno con quelli dei due regni di Sicilia, rappresentino elementi significativi per concludere che le “Due Sicilie” unitariamente considerate come Stato, erano la continuazione di quell’antico Regno e della sua corona. In questo ambito l’approccio geografico è totalmente irrilevante: il dato storico determinante è la persistenza di legittimi Regni, fondati su eventi legittimanti in sede nazionale ed internazionale. Coerentemente alla sussistenza delle due corone, alla morte di Alfonso, avvenuta nel 1458, secondo quanto stabilito per testamento, Napoli e la corona Angioina andranno al figlio naturale, mentre la corona Aragonese di Sicilia andrà al fratello. In seguito agli eventi bellici che interessarono tutta l’Italia, la Francia e la Spagna, l’11 novembre del 1500 l’antico titolo di rex Siciliae (intendendosi quello ex normanno ed ex angioino e non già quello relativo alla corona dell’Isola, ex Trinacria, che si perpetua) viene dichiarato formalmente decaduto dal papa Alessandro VI e unito alla corona d’Aragona dando luogo al Regno di Napoli. Nel periodo spagnolo, l’amministrazione dei due Regni e le rappresentanza della corona, viene affidata a Viceré diversi con sede a Napoli e Palermo. In questa fase i regnanti di Spagna, a maggior riprova della persistenza delle suddette corone, aggiungono al loro nome proprio dinastico principale, i due numeri dinastici di competenza per i due diversi Regni di Napoli e di Sicilia. La conservazione degli ordinali dinastici diversificati per Napoli e Palermo, comprova la permanenza di diritto delle due Corone, seppur di fatto tenute da un’unica dinastia. Ancora nel 1655, Carlo II di Spagna non omette di evidenziare tra i suoi titoli, di essere anche III di Sicilia e V di Napoli.


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La Sicilia Inoppugnabile conferma continuità dell’autononei trattati della mia della Corona siciliana nel vice regio spagnolo, internazionali periodo si ritrova in una sequela di trattati e accordi internazionali; così nella pace di Utrecht del 1713, nell’ambito della quale l’Isola, con titolo e dignità di Regno, venne assegnata a Vittorio Amedeo II di Savoia, quale compenso per la sua partecipazione al grande conflitto europeo, innescato dalla problematica successione al trono di Spagna. La sistemazione dei due regni di Napoli e Sicilia, venne confermata sia durante la Dieta imperiale di Baden, sia nella successiva Pace di Rastadt del 1714, che poneva fine alla guerra di successione spagnola, stabilendo la non unificabilità della corona di Spagna con quella francese, né con quelle di Napoli e di Sicilia. Anche durante il breve periodo austriaco asburgico, i due regni permangono nettamente divisi. Ulteriore conferma della permanenza dei due regni si ritrova nella pace di Vienna del 1738. Infatti, a conclusione della Guerra di successione Polacca, venne sottoscritto tra i belligeranti un preliminare di pace, che contemplava anche il riassetto degli Stati della Penisola italiana. Per effetto della pace di Vienna, l’Austria cedeva a Don Carlos di Borbone, i Presidi, “il Regno di Napoli” ed il “Regno di Sicilia” che essa aveva scambiato con il Regno di Sardegna nell’ambito della Pace dell’Aja nel 1720. Sia nel Preliminare di Vienna del 1735, che nel terzo Trattato del 1738, confermato dalla pace di Parigi del 1739, il Regno di Napoli ed il Regno di Sicilia vennero riconosciuti come indipendenti ed assegnati, col vincolo, ed è questo il punto focale, dell’unione personale e del legame dinastico, al ramo cadetto dei Borbone di Spagna. Con il Trattato di Vienna del 1738 ha quindi inizio, a seguito di una legittimazione internazionale, la dinastia dei Borbone di Napoli, poi Borbone delle due Sicilie dal 1816. Carlo non viene “autorizzato” dal trattato ad unificare i regni e viene contemporaneamente indicato come Rex utriusque Siciliae: risulta chiaro che il titolo è relativo allo Stato delle Sicilie e che non viene creato nessun nuovo regno. Estremamente significativa, per la comprensione dell’utilizzo e quindi del significato della definizione “Rex utriusque Siciliae”, è la vicenda della conquista dei regni e delle due incoronazioni di Carlo. Questi, a seguito della battaglia di Bitonto conquista il regno di Napoli ed assume, il 10 maggio 1734, il titolo di Neapolis Rex. Conquistata l’anno successivo la Sicilia, viene incoronato nella cattedrale di Palermo il 3 luglio 1735, col titolo di “Re di Sicilia” ed assume contestualmente quello di Rex utriusque

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Siciliae. Risulta evidente che solo la titolarità delle due Corone ora in testa a Carlo, legittima l’assunzione del titolo di Re delle Sicilie, quale capo del nuovo Stato. Risulta determinante per una migliore visione della problematica, la circostanza che la legittimazione scaturente dagli accordi internazionali sopra citati, che prevedevano inoltre che i due regni di Sicilia non potessero essere uniti al trono di Spagna, autorizza Carlo a regnare su ambedue i regni ed a definirsi come capo dello Stato “Rex utriusque Siciliae”, ma non ad unificare i regni. Si presti inoltre attenzione al fatto che la legittimazione all’unione dei regni, meglio alla formazione di una nuova originale Corona e di un nuovo Regno, deriverà esplicitamente a Ferdinando dalla restaurazione effettuata dalle grandi potenze vincitrici, nell’ambito del Congresso di Vienna. Risulta essenziale per la soppressione del regno di Sicilia Isola, il placet internazionale e segnatamente quello inglese, strappato dall’Austria in nome di un nuovo equilibrio europeo. Ferdinando, alla luce delle vicende politiche e militari, non aveva molte carte da giocare su quel tavolo. Ulteriore e direi conclusiva prova del fatto che la definizione “Rex utriusque Siciliae” indica la titolarità dello Stato e non di una corona, è rappresentata dal fatto che nessuno ha mai aggiunto alcun ordinale a questo titolo: non vi è mai stato un Rex utriusque Siciliae I o II.

L’intestazione degli atti di Stato borbonici

Vediamo ora come si è articolata l’intestazione degli atti di Stato durante il periodo borbonico. Da un congruo numero di documenti esaminati, è possibile enucleare cinque periodi:

1734 - 1754 Carlo: “Rex utriusque Siciliae” (Non citato alcun ordinale per il trono spagnolo di cui è erede, né quello (VII) quale re di Napoli o altro per la Sicilia). Intestazione in latino. Esiste qualche raro atto datato 1759, emesso in Sicilia prima che Ferdinando prendesse possesso del Trono, che riporta l’ordinale “III”, poiché Carlo in quell’anno diventa Re di Spagna appunto col nome di Carlo III. 1755 - 1799 Ferdinando: “Rex utriusque Siciliae” (Raramente citati i diversi ordinali per Napoli e Sicilia). Intestazione in latino. 1799 - 1815 Ferdinando: “IV di Napoli, III di Sicilia, Re delle due Sicilie” (Sussistono anche rari documenti con la dicitura precedente). Intestazione in italiano.



Anniversari

1812- 1815 Ferdinando: “III di Sicilia, Re delle due Sicilie” (Sussistono contemporaneamente documenti con la dicitura precedente). Intestazione in italiano. 1816 - 1860 Ferdinando I, Francesco I, Ferdinando II e Francesco II: “Re del Regno delle due Sicilie”. Intestazione in italiano. Il primo documento che esaminiamo, datato 4.10.1745, è emanato da Carlo con la seguente intestazione: “Carolus (Dei gratia) Rex Utriusque Siciliae, Hierusalem ec. Infans Hispaniarum, Dux Parmae, Placentiae, Castri ec. Magnus hereditarius Aetrurie princeps ec” Vediamo adesso l’intestazione di un documento emanato da Ferdinando nel 1776: “Ferdinandus (Dei gratia) Rex Utriusque Siciliae, Hierusalem ec. Infans Hispaniarum, Dux Parmae, Placentiae, Castri ec. Magnus hereditarius Aetrurie princeps ec” Il terzo documento, datato 22 Settembre 1814, è emanato a Palermo durante il secondo esilio di Ferdinando, causato dall’occupazione napoleonica del Regno di Napoli: “FERDINANDO III di Sicilia, e IV di Napoli, Re delle due Sicilie, dì Gerusalemme, Infante delle Spagne, Duca di Parma, Piacenza Castro ec. Gran Principe ereditario di Toscana ec. ec. ec. Ferdinando si professa in questo, ed in molti altri documenti emanati durante l’esilio palermitano, “III del Regno di Sicilia e IV di Napoli” aggiungendo “Re delle due Sicilie”. Risulta evidente che Ferdinando ha piena coscienza politica ed istituzionale, dell’esistenza di due Regni e di essere titolare di due Corone autonome, detenute in unione personale dalla dinastia borbonica dal 1734: se questa coscienza non avesse, non citerebbe i suoi diversi ordinali dinastici. L’aggiungere ai due titoli regali la locuzione “Re delle due Sicilie”, indica che lo Stato di cui è a capo, comprende ambedue i Regni di Sicilia. Ne consegue che il nomen iuris “Re delle due Sicilie” indica il Capo dello Stato, ma non corrisponde in senso tecnico ad un nuovo e diverso Regno, che nascerà solo nel 1816. Il quadro istituzionale appare chiaro: I Regni sono due e tali rimangono fino al 1816, lo Stato “delle due Sicilie” è provvisoriamente ed incidentalmente uno. Il quarto documento è datato Palermo, 1 maggio 1812 e riporta la seguente dicitura, nella quale Ferdinando non cita più il suo ordinale dinastico per il regno di Napoli: Ferdinando III, per la grazia di Dio, Re delle due Sicilie, e di Gerusalemme, Infante delle Spagne, Duca di parma, Piacenza, Castro ecc. Dopo il 1816, coerentemente all’avvenuta unificazione di diritto, l’intestazione degli atti di Stato sarà la seguente: “Ferdinando I Re del Regno delle due Sicilie, di Gerusalemme …” Dal 1816 al 1860, non sono note eccezioni a questa intestazione.

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Perché A fronte dell’unicità cambia dello Stato delle Sie della dinastia nel 1799 cilie regnante, la specifil’intestazione cazione degli ordinali diverse Corone, degli atti delle risultava superflua. Era sufficiente l’indicazione “Re delle Sicilie”, ovvero di ambedue i Regni di Sicilia, o meglio dello Stato delle due Sicilie. Non sussistevano motivi, almeno fino al 1799, per preoccuparsi di unificare giuridicamente ciò che formalmente appariva unico, e sostanzialmente si sapeva distante e avverso. Anzi, con riferimento alle posizioni storiche e politiche della nobiltà siciliana, l’unificazione appariva molto pericolosa (e realmente lo era, come si dimostrò). Inoltre molto spesso, il mantenimento di più Corone era una decisione politica preordinata al soddisfacimento di esigenze dinastiche, come i tanti precedenti ricordavano. Tra le tante promesse non mantenute dai borbone, vi fu anche quella, più volte reiterata, di ripristinare a pieno la Corona dell’Isola ed affidarla ad uno dei Principi reali di casa Borbone, se non proprio al Re. A questo punto, è naturale chiedersi perché nel 1799 i Borbone abbiano sentito la necessità di essere più precisi nella specificazione delle due Corone e relativo ordinale. L’invasione napoleonica aveva determinato il duplice esilio di Ferdinando e della sua corte in Sicilia. La presenza di Ferdinando a Palermo sotto la invadente protezione delle armi inglesi, dava origine ad una nuova e complessa situazione di cui sopra è cenno. Ma per comprendere esattamente lo stato delle cose, è necessario considerare che in quel frangente non era prevedibile una sconfitta di Napoleone Bonaparte che sembra inarrestabile, ed infatti costituzioni e statuti votati in quest’epoca, sembrano proiettarsi in un futuro in cui continuerà il predominio francese. Realisticamente Ferdinando, in quel frangente, ritenne verosimile che sarebbe rimasto re solo di Sicilia, e questo ci fa comprendere, da una parte il suo tentativo di colpo di Stato del 1810 e di contro, quanto egli sia rimasto “ostaggio” della nobiltà isolana e degli inglesi, due forze che minacciano concretamente e continuamente la sua sovranità, ma senza l’appoggio delle quali, si sarebbe dissolto anche questo ultimo Regno di Sicilia. Appare quindi logico che ora Ferdinando senta il bisogno di specificare di essere ancora Re, pur avendo perso uno dei due regni, ovvero parte dello Stato, e dovendosi piegare alla Costituzione del 1812, che tentava di separare definitivamente la Sicilia da Napoli.


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Forma e Ma al di là delle ricorrenti formali delle Sicilie, ciò che appare sostanza unioni più interessante e sostanziale è la Regni e perdurante diversità ed estraneità delle due società che Corone istituzionale non si integrarono neanche dopo il 1816. La dicotomia della Monarchia delle Sicilie è evidente fin dalla conquista di Carlo di Borbone, e l’unicità formale dello Stato delle Sicilie non corrispondeva alla situazione sociale, politica ed istituzionale di fatto esistente, nella quale si palesava l’assoluto e reiterato rifiuto della potente nobiltà siciliana di integrarsi nel nuovo Stato e la rivendicazione mai abbandonata, della totale indipendenza dell’Isola. Sussisteva una situazione estremamente complessa dello Stato apparato delle due Sicilie e della sua architettura istituzionale e la difficoltà, se non l’impossibilità, di integrare le istituzioni politiche ed amministrative dei due regni, e ancor più le due realtà sociali in senso lato. Oltre l’unicità e la peculiare rilevanza politica ed istituzionale dell’Apostolica legazia che permaneva tra le prerogative dei Re di Sicilia, il paradosso più eclatante ed ostativo, era la “continuità” del Parlamento siciliano, invero sostanzialmente incompatibile con una visione realmente unitaria dello Stato delle Sicilie. La stessa genesi istituzionale delle leggi era sostanzialmente diversa, poiché in Sicilia, contrariamente a quanto avveniva a Napoli, questa esitava dalla volontà del Monarca in coerenza con quella parlamentare. Una teleologia che rendeva incompatibili i due sistemi legislativi e contemporaneamente rappresentava in modo inequivocabile la persistenza di una distinta Corona siciliana, espressione tangibile di una singolare ed antica sovranità. Sussisteva tra le due Sicilie una insanabile diversità ed uno sdoppiamento istituzionale causato dalla coesistenza di due antiche corone e delle loro istituzioni in un unico Stato, che non riuscendo a fonderle istituzionalmente e sostanzialmente, permaneva soggetto terzo e formale. La legislazione ebbe diversa ed unitaria genesi dopo il 1816, quando leggi speciali per la Sicilia saranno un’eccezione. Ma anche dopo quella data, l’alta Amministrazione siciliana, compresa quella della Giustizia, per non voler dire in toto il potere esecutivo, rimase sostanzialmente separata da quella napoletana, poiché i dipartimenti e le luogotenenze, così come le gran Corti Capitanali e Criminali, continuarono ad agire di fatto con ampia et sui generis delega. Il Parlamento e l’Amministrazione siciliana, continuavano sostanzialmente ad esprimere e rappresentare il potere feudale “irriducibile” della classe nobiliare siciliana, talmente intrinseco all’organizzazione del sistema sociale ed economico, da risultare senza alternative e pertanto inemenda-

bile, specialmente quando erano in discussione gli interessi legati al latifondo. Risultava evidente ictu oculi che la Sicilia possedeva istituzioni proprie ed un suo “Stato apparato” che era causa ed affetto delle peculiarità giuridiche, storiche, culturali e sociali dell’Isola: uno Stato che era l’espressione massima del potere feudale dei baroni. Ma non basta: era diversa la lingua, la flotta, la bandiera, le armi araldiche, la cittadinanza, la moneta, la monetazione e la zecca, i sistemi e le unità di misura, le tradizioni e la cultura popolare, il servizio postale, gli usi civici e feudali, soprattutto erano appunto diverse le leggi vigenti nei due Regni, come quella di grande rilievo, in tema di leva militare. Si aggiunga ancora l’amministrazione in proprio di una diversa fiscalità, i cui proventi andavano solo in minima parte alla corte napoletana e la sussistenza della dogana allo Stretto di Messina. I due popoli rimasero distanti e non vi fu alcuna sostanziale integrazione sociale. Nelle carceri borboniche, siciliani e napoletani erano incompatibili e le risse con morti accoltellati, erano un fatto ordinario. Spesso, con la fazione camorrista napoletana, si schieravano contro i siciliani anche pugliesi e calabresi. La camorra carceraria era ben organizzata con diffuse complicità interne ed esterne ed una struttura gerarchica estremamente ramificata, tanto che spesso era questa a dirigere il carcere, piuttosto che l’apparente Direttore. Motivo delle ricorrenti risse di massa tra napoletani e siciliani o delle singole “zumpate” (duelli ai ferri corti), era la circostanza che i siciliani non volevano assoggettarsi al pagamento del pizzo che i camorristi napoletani pretendevano da tutti i detenuti, ovvero il così detto “Olio della Madonna” o “Olio della lampada”: era un continuo taglieggiamento cui i siciliani si opponevano con tutte le loro forze, a volte a costo della vita. La Sicilia dunque permaneva coscientemente e volutamente, nel bene e nel male, una Società, una “Nazione” diversa, e tale rimase di fatto anche dopo il 1816, dopo il 1860, dopo il 1946, dopo … La circostanza che nello Stato Borbonico, ancora dopo l’unificazione dei regni, si ritenesse necessario un Ministero “per gli affari di Sicilia”, è sintomatica di quanto profonda ed insanabile fosse la diversità istituzionale, sociale e politica, delle due componenti storiche. La situazione politica dell’Isola e segnatamente il potere esercitato dalla nobiltà siciliana, non consentì mai l’unificazione sostanziale dei due regni, neanche dopo il 1816: ne sono evidente prova le reiterate rivoluzioni politiche separatiste ed indipendentiste siciliane dell’Ottocento e la “consegna” dell’Isola a Garibaldi che per “conquistarla” dovrà scendere a patti con il notabilato siciliano e garantirne gli interessi.


Storia di Salvatore Parlagreco

Quando l’arte fa amare

la mafia T

empo fa ho visto Il sindaco del rione sanità; anzi l’ho rivisto, grazie al cartellone proposto dal teatro Al Massimo di Palermo. Non so se sia la pièce più importante di Eduardo De Filippo, ma è certo quella che racconta meglio i siciliani e i napoletani, l’Italia dalla cintola in giù. Il talento di Eduardo è immenso, ma la sua opera è insidiosa: un capolavoro da amare e di cui aver paura. Insegna a diffidare della giustizia con argomenti saggi, convincenti. Il protagonista, Antonio Barracano, è un uomo vero quanto Don Mariano ne Il giorno della civetta di Leonardo Sciascia. Un gemellaggio perfetto. Il camorrista Don Antonio divide l’umanità in due parti, gente di buona fede e gente carogna; il mafioso Don Mariano fa l’inventario accurato dell’umanità: in testa gli uomini, quelli veri, una sparuta minoranza, in coda gli uomini di niente. Don Antonio impartisce giustizia in sala da pranzo fra un caffè e l’altro, i piccoli problemi di ogni essere umano e l’ossequio di coloro che l’abitano; anche l’amore dei figli e ossequiso, e l’amicizia del medico-giudice a latere: è qui che don Antonio, circondato

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da affetto e rispetto, riceve delinquenti e gente per bene. I quali gli riconoscono il diritto-dovere di comminare pene, assolvere, dirimere liti. L’autorità di Antonio Barracano è indiscussa. L’esercizio della giustizia è una missione: proteggere gli ignoranti, cioè i deboli, gli emarginati, i derelitti. Proteggerli da chi? Dalla giustizia dei tribunali, perfetta nella forma ma ingiusta nella sostanza. Se sei un ignorante e vai in tribunale senza avere santi che ti proteggono, subisci i torti dei prepotenti e dei delinquenti. I quali presentano tre o quattro testimoni falsi e riescono a farsi ragione. L’ignorante, invece di correre il pericolo di andare in tribunale può andare di persona dalla parte avversaria per farsi giustizia con le sue mani e che succede? “Lui va carcerato…, ma la parte avversaria se ne va al camposanto”. Né il tribunale né la giustizia fai da te, quindi, sono buona cosa. La soluzione è Antonio Barracano, il camorrista che protegge i deboli, punisce i colpevoli e mette pace nei conflitti, imponendo la sua legge con la forza, la sanzione severa. Incutendo paura in chi non l’osserva.



Storia di Salvatore Parlagreco

Quando l’arte fa amare

la mafia

L’arte non ha bisogno della realtà per essere vera

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Nonostante gli neghi la capacità di proteggere i deboli, rispetta la giustizia formale. Lo stesso sentimento che si deve avere per la fede e i buoni sentimenti. Un magistrato che cosa può fare? , riflette Don Antonio. “Queste sono le prove, questi sono i documenti e questi i testimoni. Anche se come un uomo lui è convinto della colpevolezza o dell’innocenza del dell’imputato, la sentenza deve rispondere come una totale di una operazione di matematica”. È questo il limite.”La legge è fatta bene”, riconosce Don Antonio, “sono gli uomini che si mangiano tra di loro... l’astuzia che si mangia l’ignoranza “. Perciò proclama: “Io difendo l’ignoranza”. La legge dello Stato non lo può fare. Nel rione Sanità tutti hanno capito. Don Antonio è riconosciuto come un’autorità indiscussa. Don Antonio non si dimetterà mai da giudice sopra ogni legge. Manterrà intatto il suo carisma, inalterata la fiducia nella “sua” legge al punto da lasciarsi morire. Dopo avere subito una coltellata nel tentativo di evitare una tragedia fra padre e figlio, rifiuterà di recarsi in ospedale e farsi curare. Facendolo, avrebbe dovuto riferire l’accaduto e denunciare l’ assassino, provocando altri morti e tradendo il suo credo. L’omertà, dunque, per ragioni di giustizia. Impone così al suo fedele amico e medico una menzogna: dovrà scrivere sul referto che la causa della morte è l’infarto. Quando Don Antonio spira, il medico per la prima volta si ribella alla logica del camorrista e lo tradisce, scrivendo la verità. La giustizia di Don Antonio trionfa ugualmente, gli sgherri di Don Antonio non conoscono altre regole che quella della violenza, e uccidono l’accoltellatatore. Giustizia è fatta, dunque. Il destino sovrasta la vita dei personaggi. Antonio Barracano prima di diventare un boss della camorra è stato un giovane tranquillo: perseguitato da un prepotente, costretto a subire angherie, incapace di sopportare

la violenza, diventa violento e uccide il suo carnefice. Sarà assolto grazie a testimoni falsi. La morte “eroica”è il tragico epilogo di una vita segnata da quell’omicidio per ragioni di giustizia. Vive da un uomo vero, muore da un uomo vero. Il teatro, come la cinematografia e la letteratura, invia l’immagine di una mafia forte austera onnipotente, legata alle regole dell’onore e della giustizia, e concede eguali virtù a chi si oppone ad essa. Il vero uomo si arruola indifferentemente nell’esercito del bene o in quello del male, non gli sono negati il rispetto, l’ammirazione e la pietà popolari L’uso parco dei sentimenti, il pudore delle parole e dei gesti suggeriscono saggezza, il carattere di alcune manifestazioni simboliche delle mafie creano il carisma, concedono un il valore ideologico alla ribellione al potere formale: incantano sia il popolo minuto e affascinano il letterato e l’uomo di teatro. “... io non sono la legge, che giustizia di pochi, ma sono la forza, è la legge di tutti “, esclama il mafioso Rasconà, protagonista della commedia “La mafia” di Giovanni Alfredo Cesareo. “Quando i deboli, i traditi, gli oppressi si sono accorti che la giustizia era inganno e violenza, hanno detto: e allora scambiamo le parti, e la violenza e l’inganno sia la nostra giustizia”... L’arte non ha bisogno della realtà per essere vera. Vedendo “Il sindaco del rione sanità”, si rimane affascinati dal suo protagonista, Antonio Barracano (Carlo Giuffrè l’ha riproposto con bravura). Un fascino da cui è difficile sottrarsi. Ma è il genio di Eduardo a guadagnarlo quel fascino, non il capo camorra del rione Sanità. Bisogna far sì che gli spettatori, di qualunque età, lo comprendano. La superba opera teatrale di Eduardo De Filippo deve essere vista, gustata, amata. E capita.



Speciale Giampilieri di Roberto Rizzuto

Giampilieri e San Fratello discesa agli inferi e ritorno

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enedetti siano gli artisti, che anche dagli eventi più funesti riescono a trarre ispirazione e spunti per le proprie creazioni. La loro opera, spesso, serve a esorcizzare il male, a inquadrarlo nel passato. Il dolore si fissa così nella memoria, individuale e collettiva, e diventa un ricordo. A quel punto è possibile ripartire, gettare le basi per una rinascita. Persino una calamità naturale, con il suo tragico carico di morte e distruzione, può offrire un’occasione di riscatto, di ferma rivendicazione della propria identità. Una filosofia, questa, abbracciata con convinzione da Michele Cannaò, pittore e regista teatrale originario di Giampilieri, frazione del Comune di Messina, che, insieme ad Altolia, Molino e Scaletta Zanclea, ha pagato un prezzo enorme in seguito alla devastante alluvione dell’ottobre 2009.

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uella colata di fango – che ha preceduto di quattro mesi la frana di San Fratello – ha cambiato per sempre la geografia dei territori colpiti, ma non è stata in grado di seppellire l’orgoglio messinese. Dal terreno di quei drammatici eventi, infatti, su iniziativa dello stesso Cannaò, è germogliata l’idea di istituire il Museo del fango. Inaugurato nel luglio scorso al circolo Umberto Fiore, nel villaggio di Briga Marina, il museo contiene oltre 120 opere di autori, che, attraverso dipinti, sculture, poesie e racconti, hanno contribuito al consolidamento della memoria collettiva.


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il fango nel cuore

Gianpilieri - frana 2009

come al teatro: un dramma in tre atti

S. Fratello - frana 1922

Viviamo tempi di confusione – spiega Cannaò – di confusionari e di derive, in cui anche una tragedia (annunciata, come tutte le tragedie) si trasforma in dramma farsesco, dove ciascuno gioca il proprio ruolo da caratterista consumato. Tempi in cui gli esseri umani e i luoghi non hanno più valore in sé ma solo se rappresentano l’unicità di un sito. Pertanto, il paese di Giampilieri, che non avrebbe pregio sotto il profilo dell’unicità, secondo la moralità dei nuovi soloni, potrebbe tranquillamente essere rimosso”. Per contrastare la logica dell’oblio, quindi, “alcuni artisti hanno deciso di adottare Giampilieri a simbolo di valori imprescindibili, a cui è impossibile rinunciare, quali la vita e la cultura di una terra. Quegli artisti – aggiunge Cannaò – affermano la propria appartenenza dichiarandosi residenti di Giampilieri attraverso la donazione di un’opera al “loro paese” per la costituzione del Museo del fango. Un sito di pregio, e unico, che virtualmente risiederà nel paese straziato e deserto, fino a quando quel territorio non sarà ricomposto nelle sue abitazioni civili e messo in sicurezza: allora anche il museo troverà la sua sede definitiva. A Giampilieri, per l’appunto”.

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e in relazione all’alluvione dell’ottobre 2009 è corretto parlare di “tragedia annunciata”, cosa andrebbe detto a proposito di quanto accaduto a San Fratello il 14 febbraio scorso, quando un intero paese si è letteralmente sbriciolato costringendo alla fuga buona parte della popolazione? Forse, in questo caso, sarebbe più opportuno parlare di “epilogo di un dramma in tre atti”. I due precedenti? Risalgono rispettivamente al 1754 e al 1922, quando due frane di enormi proporzioni distrussero completamente il paese, dando vita, peraltro, alla frazione marinara di Acquedolci. Dopo quel 14 febbraio, San Fratello ha seriamente rischiato di scomparire per la terza volta. Ad oggi sono

circa 900 (su un totale di 4.500 residenti) le persone che attendono di rientrare nelle proprie abitazioni. Una situazione, quella vissuta dagli sfollati, resa ancora più insostenibile dagli immancabili intoppi burocratici, che stanno rallentando le procedure necessarie per la ricostruzione.

s. fratello, tradizione e orgoglio

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erremoti, frane e alluvioni possono stravolgere la morfologia di un territorio, modificarla irrimediabilmente. A quel punto l’uomo non può fare altro che adeguarsi. Nessun evento calamitoso, tuttavia, può radere al suolo il passato di una comunità. Un passato che, nel caso di San Fratello, trasuda una solida identità culturale. Un passato che sopravvive nel dialetto locale, il gallo-italico, in cui si riscontrano elementi del lombardo e del piemontese dell’undicesimo secolo, del francese e del provenzale. Una peculiarità, questa, strettamente legata alle origini dell’abitato, sorto nei primi tempi della conquista normanna nei pressi dell’antica città greca di Apollonia. Il galloitalico costituisce il lascito dei soldati e dei coloni provenienti dal nord Italia e dalla Francia meridionale, impiegati dal gran conte Ruggero e dalla moglie Adelaide per ripopolare la zona dei monti Nebrodi compresa tra le attuali province di Messina ed Enna. Complice la posizione di relativo isolamento del borgo, gli abitanti di San Fratello hanno conservato in modo quasi del tutto fedele la parlata gallo-italica originaria, onorando una tradizione ormai millenaria. Una tradizione che non è stata inghiottita dalle frane del 1754 e del 1922 e che oggi, ancora una volta, rappresenta una base, forse la più robusta, da cui ripartire. In barba al dissesto idrogeologico.


Le scuole di Giampilieri e Scaletta a Malta 1 2

Sono Francesco, studente della III B di Scaletta

Vi racconto cosa mi è passato per la testa

S Avevamo sentito mille cose, mille promesse, poi più nulla…

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ono Francesco Greco studente della III B della scuola “F: Giacobbe” di Scaletta Zanclea. Vorrei raccontare le mie prime emozioni positive dopo la tragica alluvione del 1° Ottobre del 2009, che abbiamo, insieme alle nostre famiglie drammaticamente vissuto. Dopo quella notte terribile è stato difficile tornare alla normalità, alla vita di tutti i giorni, ritrovare il sorriso che era stato sepolto dal fango. È stato difficile per tutti, anche per noi ragazzi toglierci dagli occhi le immagini ed il ricordo di coloro che purtroppo da quella notte non c’erano più. I giorni ed i mesi dopo, tra mille disagi, strappati dalla nostra scuola, dalle nostre aule, ci siamo fatti forza tutti insieme, grazie anche ai nostri insegnanti, ed alla moltitudine di persone che ci è stata vicina, per ritrovare la strada giusta, per riprendere il percorso della nostra vita, che quella notte pensavamo di non potere ritrovare più. Avevamo sentito mille cose, mille promesse, poi più nulla… Finchè un giorno la nostra dirigente scolastica con i nostri professori ci comunicarono che grazie alla generosità di una scuola di inglese di Malta, la IELS (Istituto

di Studi di Lingua Inglese) e la Compagnia aerea dell’AIR Malta ci avrebbero ospitato per una settimana insieme ai ragazzi dell’IC Ponte Schiavo, nella famosa isola del Mediterraneo, per una gita di istruzione. Avremmo potuto, frequentando al mattino un corso di inglese, conoscere anche, un paese straniero, le abitudini di un popolo, la loro storia, i loro costumi. Dopo un attimo di incredulità, è subentrata in noi, l’euforia, la gioia incontenibile di vivere questa esperienza. Abbiamo capito, anche con una piccola cosa come questa, che non eravamo soli, che la vita ripigliava, e che anche da un Paese straniero pensavano a noi. Penso, che il nome che hanno dato a questa iniziativa, ”UN SORRISO PER MESSINA”, (voluta dal LEO CLUB MESSINA-JONIO) sia stato un nome azzeccatissimo! Sono cominciati i preparativi. I nostri insegnanti ci hanno parlato a lungo di Malta, della sua storia, della sua importanza al centro del Mediterraneo. Ognuno di noi contava i giorni che ci separavano dalla partenza… sembrava non dovessero mai passare.


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1. Arrivo all’aeroporto di Malta 2. Studenti delle scuole di Giampilieri 3.Ragazzi di Messina davanti allo Iels di Malta 4. Gli allievi della scuola di Scaletta durante un’escursione via mare

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a notte prima della partenza, abbiamo dormito tutti poco…poi il raduno festante, l’euforia di tutti a mille…le raccomandazioni dei nostri genitori…poi l’aereoporto… l’emozione dell’imbarco…e finalmente il volo! Per molti di noi era la prima volta, cantavamo e ridevamo (o meglio urlavamo) sotto lo sguardo benevolo delle hostess e degli altri passeggeri…era una gioia, che andava al di là di ogni cosa. Quando l’aereo, in piena notte, ha sorvolato l’isola di Malta, e le mille luci sono apparse sotto di noi, è partito un grande applauso, e l’emozione è stata fortissima. Ci guardavamo felici, emozionati, quasi increduli. L’arrivo in albergo,la sistemazione nelle stanze, ha fatto tribolare i nostri professori ed il personale dell’hotel, poi tutti a letto (da soli con i nostri compagni) BELLISSIMO! Alle otto del mattino tutti svegli, pronti per la prima colazione. Poi tutti a scuola:Il mistero della lingua inglese. Eravamo un pò preoccupati, poi invece dopo i primi minuti in aula, dopo avere conosciuto i nostri nuovi teachers…è iniziata l’avventura. Le ore di scuola sono volate, divertenti, e meno difficili di quanto pensavamo. Poi tutti al bar del college, insieme ai nostri amici di Giampilieri, a consumare il nostro Packed Lunch, e molto spesso di nascosto anche una bella pizzetta.

Poi in giro a scoprire Malta: dalla Valletta a Mdina, da Sliema a S. Julian, o in giro per l’isola via mare con la nave Capitan Morgan. La sera dopo il dinner, insieme ai ragazzi di Giampileri, Ponte Schiavo, grande festa nella sala giochi dell’Hotel o in giro con i nostri professori per lunghe passeggiate sul lungomare di Malta. E’ stato tutto bellissimo, nuovo, istruttivo, emozionante, e soprattutto divertente. La sera prima del rientro, tanta voglia di non partire. Avremmo voluto tutti che non finisse mai, c’era grande gioia, ma anche un velo di malinconia, nella sala giochi del nostro hotel. La parola d’ordina che tutti insieme abbiamo inviato ai nostri dirigenti scolastici professoressa Vera Munafò (dell’IC di Scaletta Zanclea) ed al professore Aldo Violato (IC Ponte Schiavo), è stata:

“l’anno prossimo vogliamo tornarci tutti insieme.” OLTRE IL FANGO, VOGLIA DI VIVERE!!! Francesco Greco III B Scuola Secondaria di I grado “F. Giacobbe” Scaletta Zanclea


Società di Alessio Ferlazzo

la rivoluzione dei tecnononni sempre più anziani sul web Uomini soprattutto, ma anche donne rigorosamente over 60

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-book, personal computer, I-pad, web e social network. Sono queste le nuove parole che sono entrate nel vocabolario dei nonni italiani. Pare, infatti, che sempre più anziani utilizzino le nuove tecnologie spinti probabilmente dalla vicinanza dei nipoti. Uomini, soprattutto, ma anche donne rigorosamente over 60. Una fascia d’età, che fino a pochi anni fa vedeva il computer dei propri figli e nipoti più come un soprammobile mentre adesso è diventato il loro pane quotidiano.

Secondo una ricerca condotta dal Csit (Confindustria servizi innovativi e tecnologici) che ha stilato il rapporto E.Content 2010 l’uso di internet tra gli over 60 è aumentato nell’ultimo anno del 27%. La crisi economica è riuscita a rallentare l’intera economia ma non lo sviluppo della Rete. Le famiglie che si connettono da casa con banda larga sono oltre 10 milioni, con un aumento negli ultimi 12 mesi di quasi il 10%. L’Italia è anche il secondo Paese europeo per utilizzo di connessioni mobili come chiavette, smartphone e sim. Quasi 12 milioni di persone si connettono ogni giorno per almeno un’ora e mezza dedicando il loro tempo soprattutto ai social network (utilizzati dall’80% degli utenti). Seguono le notizie on line e le scommesse sportive, ma sono in aumento anche shopping e acquisto/noleggio di film. Come dicevamo l’utente tipo e maschio tra i 25 ei 54 anni anche se gli ultimi dati sottolineano l’avanzata di navigatori “anziani”. Le donne (mamme e nonne) non sono ancora convinte dalla Rete e continuano a restarne distaccate non fidandosi del tutto.



Società

Emigrazione

Quando eravamo noi a partire Brano tratto dal libro di Ines Cainer “Benita Bottazzi Senza Patria” edito da Primalpe

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ra Aprile in Buenos Aires. Insolitamente nubi nere mal disegnate, imponenti e misteriose coprivano il cielo. Un cielo che sempre in questo periodo dell’anno, pur essendo autunno, risplende azzurro e sereno, con delicati raggi di sole, che penetrano fino all’anima, lasciando nella nostra memoria nostalgici ricordi. Nessun cielo al mondo è tanto bello quanto quello di Aprile a Buenos Aires. La superstizione popolare racconta che quelle ali nere nel cielo sono presagio di tristi avvenimenti. Sulla terra invece c’era il porto, con le sue acque maleodoranti. Ratti e scarafaggi si godevano la vita perché a nessuno veniva in mente di sterminarli. Mentre grandi navi venivano e andavano, esportando ed importando alimenti verso L’Europa e affamati dall’Europa. Bandiere ondulanti sugli alberi delle prue dall’Inghilterra, da Francia, Russia, Giappone, Italia... Le navi italiane erano le più grandi, sempre presenti nel porto e con il più numeroso carico umano. Dalle loro scalette tremolanti scendevano donne, uomini e bambini; nei loro volti non un sorriso, nemmeno una lacrima, solo una smorfia di pacifica rassegnazione, “pacchi umani” che presto venivano depositati nei grandi capannoni dipinti di bianco e allineati parallelamente di fronte al porto. I capannoni mal illuminati e sporchi, assomigliavano più a carceri che a luoghi di accoglienza. Il porto con le sue migliaia di persone in continuo movimento, sembrava un gigantesco formicaio; era il periodo d’oro dell’immigrazione italiana in Argentina. Un’Argentina ricca

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e spopolata. Soffiavano venti di guerra che spingevano le masse europee alla ricerca di pace e pane o pane e pace. Intanto dalla Guglielmo Marconi, che trasportava più di mille passeggeri italiani, tre uomini manovravano con una grossa corda un imponente armadio che doveva essere fatto scendere. I. dieci occhi dei cingue proprietari l’osservavano prima con disperazione e poi con sollievo nel momento in cui veniva finalmente appoggiato a terra. Al constatare però che lo specchio del mobile si era rotto, da tutti e dieci gli occhi scesero grosse lacrime... II. porto era una grande confusione, tra passeggeri, pacchi, sacchi e valigie. Naturalmente il tutto accompagnato da pulci e pidocchi. Molti portavano con sè un piccolo pacco che forse li avrebbe accompagnati per tutta la vita: un impeccabile sacchetto bianco legato con nastro rosa o celeste, contenente una manciata di terra raccolta in patria. Così come li definiva la Costituzione Argentina, i “Benvenuti nel Paese”, abbandonarono finalmente la nave (su cui normalmente venivano suddivisi in tre classi, a seconda del prezzo del biglietto: prima, seconda e terza), per andare ad occupare i desolanti capannoni. Fra le trecento famiglie, ce n’era una da cui trae origine questa storia: Asunta, la madre vedova, Antonio, il figlio, ventitre anni, sposato da uno con Maria; e Carlo, il secondogenito quindicenne timido e strano.


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La famiglia venne destinata ai primi due capannoni con altre cento otto, nel primo furono ubicati i quarantuno uomini e nel secondo le donne con i bambini. Maria era incinta e, nel suo stato, ancor più soffriva per la separazione forzata dal suo giovane marito; Asunta invece era serena e quasi felice: per quaranta giorni non avrebbe dovuto occuparsi del suo lavoro da contadina! Il pane assicurato per più di un mese era una tranquillità che cancellava la tristezza per essersi separata da genitori e fratelli in Italia. Il controllo di documenti e pidocchi veniva fatto nello stesso salone; per il primo tutti in riga, per il secondo il controllo era umiliante. Terminate le pratiche burocratiche veniva loro offerto un piatto di minestra calda e uno di “gui-so criollo”, una specie di stufato. Riconfortati, tutti quanti prendevano posto nei rispettivi letti di ferro bianco arrugginiti e sporchi e dotati di un povero materasso, che però sembrava loro uno straordinario benvenuto. Le due donne, con i letti vicini, non riuscivano a prendere sonno. Asunta si chiedeva dove fossero finiti i suoi amati vecchi mobili. Maria sentiva la mancanza della mano tenera e calda di suo marito che stringeva la sua, e il bambino o la bambina che portava nel ventre si muoveva in modo preoccupante. La notte era serena, le nuvole male auguranti si erano allontanate e il cielo mostrava una luna che non era diversa da quella che i nuovi abitanti dell’Argentina erano soliti vedere in Italia in piena estate. I rumori tipici del porto continuavano, ma molto ridotti rispetto al giorno, tanto da non impedire ai nuovi arrivati di riposare tranquillamente. Maria però continuava a sentire la mancanza di suo marito, il pensiero dei genitori e dei fratelli lasciati tanto lontani si ripresentava incessante nella sua mente; un pianto inevitabile e quasi silenzioso scosse il suo corpo. II bambino o la bambina nel suo ventre percepì il dolore della madre e i suoi movimenti divennero sempre più bruschi, finché il dolore si fece acuto e Maria capì che il momento era arrivato. Con i suoi lamenti si svegliarono tutte le donne, urla e consigli erano una sola cosa. I responsabili argentini degli occupanti dei capannoni trasportarono cautamente Maria nella sala di primo soccorso “General San Martin” che distava un centinaio di metri. Alcuni rimasero svegli per stare vicino al paesano che sarebbe presto diventato padre per la prima volta e molti altri si mostrarono solidali, specialmente le donne che tennero compagnia a nonna Asunta nella lieta attesa. Alle sei del mattino del 16 Aprile dell’anno quattordici, nacque una dolce creatura che si chiamerà Benita. Tutta la popolazione del porto si svegliò rallegrata dal lieto avvenimento ma si presentò subito un problema: la bimba era italiana o argentina? Che importava? Era venuta al mondo in una terra di pace e di lavoro. Tutti pensarono che il suo destino sarebbe stato migliore di quello dei suoi genitori e dei suoi nonni. La voce si sparse tra gli altri mille sbarcati, tutti felici per l’arrivo di Benita anche perché lo interpretavano come un segno di buon augurio. Le nere nubi annunciatrici e la super-

stizione erano state smentite. Gli immigrati sorridevano, festeggiavano, progettavano e in un angolo, un nostalgico musicista con la sua fisarmonica, che perdeva aria da due buchi e stonava notevolmente, eseguì le note dell’inno nazionale italiano conferendo un tocco celebrativo alla scena. Così cominciò la vita di chi, diventata adulta si sarebbe chiamata Benita Bottazzi. Correvano i giorni e alcune persone fortunate, avendo dei parenti già nel paese, ricevevano il loro sostegno nei confronti delle autorità e dei poliziotti nel tentativo di uscire in anticipo rispetto ai tempi previsti dalla legge. Ma era tutto inutile, nessuno poteva abbandonare il porto senza avere compiuto la quarantena fino all’ultimo minuto. Per tutto questo periodo mangiare, dormire, chiacchierare e fare piani per il futuro era l’unica occupazione degli immigrati e in qualche caso l’ultimo riposo della loro vita. Molti di loro si persero per sempre nei monti del Chaco tagliando alberi, dove giungevano con promesse di salari straordinari, salari che non arrivavano mai perché i padroni li trattenevano per le spese d’affitto e cibo; per giunta spesso nemmeno bastavano perché il debito mensile cresceva vertiginosamente con le spese per le bibite alcooliche, unico espediente per affrontare il lavoro massacrante e la profonda nostalgia. Molti altri, quelli che avevano parenti già da tempo insediati in Argentina, si stabilirono nel nord o nel centro del paese. Asunta con i suoi figli, Maria e la piccola Benita, presero il treno che li avrebbe portati in un piccolo paese senza nome, a quaranta chilometri da Rosario, nella provincia di Santa Fé. Dopo le dodici lunghe ore di viaggio in cui percorsero i trecentocinquanta chilometri che separavano Rosario da Buenos Aires, il treno con un ruggito meccanico e con una nuvola rovente di vapore, segnalò l’arrivo a Rosario. Qui, con il vestito della domenica, trovarono ad attenderli don Luigi Peresin, fratello del defunto marito di Asunta, con tanto di carro e due cavalli. Tutti si emozionarono, si abbracciarono e si lasciarono sfuggire qualche singhiozzo; tranne Carlo, che sembrava non dare importanza o non essere sensibile alle emozioni che la vita regala. Don Luis era un uomo rude ma dai buoni sentimenti, tanto che spese tutti i suoi risparmi per permettere alla famiglia di suo fratello di raggiungere il nuovo mondo. Il carro con i viaggiatori e con il pesante carico di bauli e valigie, giunse finalmente nel paese senza nome. Piccole e scolorite casette, alcune capanne, molti cavalli e ancora più vacche, furono le prime cose che apparvero davanti agli occhi della famiglia viaggiatrice. Arrivati davanti alla loro futura casa, che si distingue dalle altre per lo stile e la grandezza, trovarono ad attenderli nel cortile, circa la metà degli abitanti di quell’agglomerato di abitazioni, riunitisi per dare il benvenuto ai neo arrivati che con enorme stupore e curiosità, osservavano l’enorme quantità di carne cucinata radente al suolo, emanante un fitto fumo profumato di cibo: “El asado”.


Società di Patrizia Mercadante

a i l’ita l

spaccata in due anche per i divorzi Assegni di mantenimento più alti al Nord

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nche per gli assegni di mantenimento a seguito di divorzio esiste una differenza tra Nord e Sud. Nel nostro Paese sono 57:284 coloro che versano un assegno di mantenimento all’ex coniuge e lo riportano anche nella dichiarazione dei redditi. La media annuale per assegno è di 5.920 euro, ma solo in 5 di queste, quattro nel Nord, l’ammontare supera i seimila euro: Veneto 8.460 euro, Lombardia con 8.020, Emilia Romagna con 6.860, Piemonte con 6.280 e Lazio con 6.190. I dati vengono fuori da uno studio svolto dall’Associazione nazionale Consulenti Tributari, da cui emerge una differente situazione tra Nord e Sud, in parallelo con il diverso stato reddituale dei contribuenti e con il minor numero di separazioni al Sud. La ricerca è nata dall’elaborazione dei dati messi a disposizione del Ministero dell’Economia e delle Finanze relativi alle dichiarazioni dei redditi del 2009 riferite ai redditi dell’anno precedente dei lavoratori dipendenti. Da questi pur sterili dati vieni fuori una fotografia dell’Italia che sta cambiando. L’Ancot ricorda, infatti, le rilevazioni Istat riferite al 2008, da dove si evince che la durata media del matrimonio al momento dell’iscrizione a ruolo del procedimento di separazione è pari a 15 anni; circa un quarto delle separazioni, tuttavia, ha riguardato matrimoni di durata inferiore a 6 anni. Considerando per lo stesso anno i soli provvedimenti di divorzio, il matrimonio dura mediamente 18 anni. Un divorzio su cinque ha riguardato matrimoni celebrati da meno di 10 anni.


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’Ancot ricorda che in base all’art. 156 del Codice Civile, il coniuge al quale non è addebitata la separazione ha diritto di ricevere dall’altro un assegno di mantenimento, mensile o periodico, qualora sia sprovvisto di sufficienti redditi propri. I Presupposti per ottenerlo sono stabiliti dalla Cassazione; per l’entità dell’importo il giudice tiene conto della situazione economica complessiva di entrambi i coniugi, ma può anche stabilire che ciascuno provveda autonomamente al proprio mantenimento. I dati Istat indicano che il fenomeno dell’instabilità coniugale presenta situazioni molto diverse sul territorio: nel 2008 il valore minimo si attestava a 186,3 separazioni per 1.000 matrimoni al Sud, ad un massimo osservato nel Nord-Est di 363,3 separazioni per 1.000 matrimoni. La conferma arriva anche dall’Ancot: le cifre più basse degli assegni di mantenimento che riguardano le regioni che si posizionano sotto la media nazionale sono:

5.610 Toscana 5.820 Valle d’Aosta 5.760 Friuli Ven. Giulia 5.630 Trentino 5.600 Marche 5.140 Liguria 4.800 Umbria 4.640 Sardegna

Abruzzo Campania Molise Sicilia Calabria Puglia Basilicata

4.550 4.470 4.270 4.160 4.110 3.990 3.920


Società di Silvia Andretti

a spasso con Josy

gay

il mio amico Il mattino ha l’ora in bocca

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Sono le sette del mattino di un Venerdì Santo. Suonano alla porta. È Giosafat, capelli sciolti sulle spalle, abito elegante e tacchi vertiginosi. Esordisce con un fatto, grave, viste le circostanze: “Non sono riuscito a farmi la barba, ho perso le chiavi di casa e ho dovuto dormire da un’amica”. Penso che eviterò di offrirgli del caffé e lo invito ad usare un rasoio. Passino le gambe non depilate, ma occorre almeno radere il viso per presentarsi all’audizione. Il mio amico sa bene che non sarebbe altrimenti credibile nella parte di un transessuale. Durante il viaggio musica e chiacchiere sembrano distrarre Giosafat dall’apprensione per l’audizione delle undici. Il commissario Montalbano piace a tutti, sicuramente quella mattina piace molto a noi occupanti del veicolo blu metallizzato che si sposta a velocità moderata sull’autostrada Palermo-Catania. Se fosse un film, a questo punto ci sarebbe una ripresa dall’alto. L’auto solitaria che viaggia sulla strada deserta in un giorno assolato, con successivo close-up sui personaggi: io e Giosafat sul sedile posteriore, comodi come in salotto. Laura alla guida mantiene velocità di crociera e a turno ci chiede a prestito gli occhiali da sole. Sergio rulla sigarette con la sua miscela di tabacco preferita, cambia musica di tanto in tanto e ci ricorda che è fuori luogo pretendere da lui una conversazione brillante prima di mezzogiorno. E la macchina va.


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Montalbano sono

La barista in crisi

Gli uffici dell’agenzia si trovano al primo piano di un bel palazzo antico nel centro di Catania. Altri attori affollano la piccola anticamera, sono lì per ruoli diversi, tutti con appuntamento alle undici. C’è una donna molto bella, probabilmente straniera, ricorda tanto l’amica svedese di Salvo. Poi c’è un uomo di mezza età, potrebbe sembrare un distinto uomo d’affari. Un paio di comparse e un picciotto sui vent’anni. Infine il nostro amico, per la parte di un bellissimo transessuale. Giosafat è un pò nervoso, guarda fuori dalla finestra, si siede, si alza. L’attesa non è lunga, gli auguro in bocca al lupo e, mentre aspetto, quasi litigo con un cornetto alla nutella. Avevo dimenticato la mirabile usanza catanese di strafare nella farcitura dei cornetti. Finita l’audizione Giosafat ha, giustamente, fame. Dimenticando di aver mai avuto a che fare con cornetti stracolmi di nutella, ci tuffiamo nel primo bar della piazza. Un cannolo, grazie, un’acqua tonica. L’affabile proprietaria sembra distratta, guarda Giosafat, guarda me, guarda tutto il gruppo, guarda Giosafat, mentre noi la osserviamo impietriti e increduli agitare una bottiglietta di Schweppes e aprirla. La piccola

esplosione ci investe nell’ilarità generale. La donna confessa candidamente di aver creduto di aprire un succo di frutta, mette da parte quel poco che rimane dell’acqua tonica e afferra un’altra bottiglietta, facendo più attenzione questa volta. Rotto il ghiaccio, la conversazione si sposta sui temi caldi del giorno: “Sì davvero una bellissima giornata. Siete turisti? La crisi ha colpito anche noi, non ricordo un anno così…” giunti all’argomento recessione, uno spontaneo velo di silenzio (seguito da impercettibile sospiro) altera il ritmo del discorso. Al che, la signora spiazza tutti offrendo l’acqua tonica sopravvissuta al piccolo incidente: “Sarebbe un peccato buttarla”. Ringraziamo sorpresi da tanta inaspettata gentilezza e chiediamo il conto. Salvo accorgerci,appena fuori,che ci ha addebitato entrambe le bottiglie e a prezzo pieno.

Virale o autoimmune? È una calda giornata primaverile, u liotru domina la piazza, ci guarda dall’alto del suo piedistallo con gli occhi inespressivi e quella specie di sorriso, a ben guardare


a spasso con il mio amico gay

Società

agghiacciante. Correremo il rischio di rubare all’elefante la sua tradizionale scena. Adoro la perfezione di questa piazza, è raffinata, raccolta e invita a scoprirne le bellezze senza fretta. Non saprei dire cosa la rende tanto interessante dal punto di vista urbanistico, però è così che disporrei i mobili nel mio salotto, se ne avessi uno. La piazza è gremita di gente: semplici passanti, anziani che bivaccano al bar, ragazzi che bivaccano sugli scalini, turisti erranti. Americani, soprattutto. Ma ci sono anche gli spagnoli del gruppo Semana Santa che al passaggio di Giosafat non riescono più a riportare le mascelle in posizione, rischiando di ingoiare le prime mosche di stagione. “Eso es un tio o una tia?”, il dubbio pervade il sacro gruppo. Quando infine capiscono, sono le reazioni a sorprendermi. Gli uomini ridacchiano, probabilmente di se stessi e del proprio errore di valutazione. Le donne invece (ed è qualcosa che noterò spesso durante questa giornata) mantengono scolpita sul viso un’espressione di disprezzo, borbottando cattiverie a voce bassa. Ma non tanto bassa da non essere udite. Queste particolari turiste sembrano già abbastanza infastidite dal fatto di aver incontrato un uomo vestito da donna, e per di più di Venerdì Santo! Giosafat attira molti sguardi diversi e provoca alterne emozioni: complicità, ammirazione, disprezzo, semplice curiosità. Seduto in mezzo alla piazza in una posa da diva, sento aumentare i commenti intorno a noi. Da un simpatico: “Che siamo alla playa?!”, a un insistente “Ma chì è masculu o fimmina? Masculu o fimmina? Masculu è!” il signore in questione mi parla nell’orecchio. Gli rispondo: “Sì ma non sempre”, confondendo definitivamente le sue idee. Al che l’uomo mi getta un’occhiata tra l’incredulo e il “profondamente ferito nei sentimenti”, retrocede appena un passo continuando a ripetere: “Masculu o fimmina?”. Finché l’intervento provvidenziale di due passanti risolve l’enigma: “Masculu, masculu è - lo rassicurano, con un’aria di sussiego dovuta probabilmente al fatto di essere portatrici di vagina - Però che bei capelli”.

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La maschia Proprio quando pensavamo che la nostra giornata catanese fosse conclusa, registriamo l’incontro più genuino. Ci punta subito, appena prendiamo posto al tavolo e comincia a fissare Giosafat in maniera imbarazzante. Una bambina di sei o sette anni, lo guarda in silenzio e con la bocca aperta, a una distanza di dieci centimetri dalla sua faccia. Non riesce a credere ai propri occhi. Gli chiede in un italiano stentato “Sei uomo o donna?” e lui si diverte a mantenersi sul vago. Lo fissa ancora un pò più da vicino e, con pazienza e stringente logica, gli spiega che siccome lui non è una donna non dovrebbe portare quegli abiti, né quei gioielli, né quella borsa. E conclude sentenziando: “Tu sei una maschia!”. La risibile teoria della bambina era dettata dalla sua totale mancanza di peli sulla lingua. Data la giovane età, probabilmente riferiva il pensiero dei suoi familiari sull’argomento. In questo caso, ma anche nel caso di molti passanti quel giorno, un uomo vestito da donna sembra minare le più fondamentali regole della convivenza civile. Come a dire, esistono delle convenzioni e vanno rispettate (pensiero discutibile ma comprensibile visto che molta gente non s’è ancora accorta che il mondo è un po’ più complicato di quello che potrà mai conoscere). La percezione della “diversità” è ancora molto forte ma non sempre produce riprova sociale. Molti, specie fra i giovani, si mostrano interessati all’innocuo sovvertimento delle regole. Nel peggiore dei casi, trovano il travestimento qualcosa di cui farsi gioco. Alla fine di questa bellissima giornata sono esausta, attraverso Giosafat mi sono resa conto di quanto sia logorante sostenere lo sguardo indagatore di chi non vuol vedere oltre l’apparenza.


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Società di Patrizia Mercadante

giochi e lotterie e le famiglie fanno crack Superenalotto, gratta e vinci, lotterie win for life e pokeronline,

insomma la diffusione del “gioco d’azzardo legale” è tra le prime cause dell’indebitamento delle famiglie italiane, anticamera del ricorso al prestito usuraio. Qualche mese fa anche la Consulta antiusura aveva lanciato l’allarme, appunto perché la smania del gioco che ha colpito in massa gli italiani, ha fatto aumentare di conseguenza il giro d’affari dell’usura che si aggira intorno ai 13 miliardi di euro.

Il gioco d’azzardo legale è aumentato del 300 per cento nel quadriennio 2004-2008 sulle scommesse sportive; 580 per cento l’aumento delle apparecchiature elettroniche; 268 per cento è invece la crescita del gioco nel decennio 1999- 2009. Una vera e propria pandemia che, secondo gli esperti, colpisce tutte le fasce di età, tranne i giovanissimi, che si limitano, quelli che seguono più da vicino lo sport e in particolare il calcio, a qualche “giocata” per mettere la vincita alla squadra del cuore. Il gratta e vinci è quello più gettonato: “grattano” anziani, donne e uomini, casalinghe e avvocati, poliziotti e medici. Un buon successo l’ha ottenuto anche win for life, la vincita per la vita, ma il superenalotto resta sempre il numero uno.


Società di Stefania Brusca

figli? no, grazie. D

Donne imperfette alla ricerca della felicità

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onne sull’orlo di un attacco di nervi. In bilico tra il lavoro, la casa, l’amore e soprattutto la cura dei figli. Acrobazie al limite della resistenza umana. Non c’è da stupirsi se le mamme cominciano a ribellarsi. Dopo gli anni Settanta e l’emancipazione femminile negli ultimi decenni si sono fatti numerosi passi indietro. Non solo dal punto di vista del ruolo della donna, in Italia ancora ai margini del mondo del lavoro e della politica (se non per qualche dubbia eccezione), ma anche da quello della considerazione sociale del ruolo di mamma. La definizione comunemente accettata della figura materna racconta di una serena e pacifica dedizione ai figli, completa, totale. Una sorta di sacrificio estremo sull’altare della procreazione. Sono sempre di più le donne che interrogandosi su questi temi si definiscono “mamme imperfette”, o “cattive mamme”, proprio per rivendicare il diritto a esistere in quanto persone con dei bisogni e delle necessità a prescindere dalla prole. Proliferano quindi libri, blog e spettacoli sull’argomento come il volume “Le conflit, la femme, la mère” di Elisabeth Badinter. La filosofa francese parla di un vero e proprio “mito della buona madre” collegandolo al fenomeno della drastica riduzione delle nascite nei paesi in cui questo è più radicato. Più è pesante da sopportare il modello di riferimento in fatto di maternità e meno saranno le donne

che accetteranno l’idea di avere un figlio. Nel nostro Paese ha da poco visto la luce “Quello che le mamme non dicono” di Chiara Cecilia Santamaria. Quante donne di fronte a dover scegliere per l’ennesima volta tra andare in palestra o a un aperitivo con le amiche e dover restare a casa con i figli non hanno avuto voglia di scappare via? Ma dirlo a se stesse e ammetterlo pubblicamente è una cosa difficile soprattutto perché ci si espone alla critica feroce degli altri, soprattutto delle altre donne che in questo campo risultano le più agguerrite e severe. In Inghilterra Stephanie Calman ha fondato un blog tra i più popolari “Bad mothers club” (il club delle cattive mamme) che raccoglie le frustrazioni e le rivendicazioni di tutte le donne che vogliono prendersi cura dei propri figli ma si sentono imbranate come mamme o non accettano di dover sopportare a tutti i costi il peso sociale che questo comporta. Studi recenti indicano che quando una donna è incinta cambia non soltanto il suo corpo ma anche la struttura stessa del suo cervello.Si attivano delle zone sovrapponibili a quelle di una persona innamorata. Il legame che si instaura alla nascita dura per sempre. Ciascuna donna poi ha il diritto di vivere la maternità a modo suo. Anche quelle che vogliono per se stesse, nonostante tutto, ancora una esistenza appagante e piena di stimoli.


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Società di Alessandro Bisconti

gemelli boom di nascite È invasione anche in Sicilia

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lizabeth Jaden e Dylan Maria non sono soli. Sì, perché i due figli di Heather Parisi, diventata mamma nel maggio scorso a 50 anni suonati, sono la fotografia di un fenomeno in continua evoluzione: l’invasione dei gemelli. Con il risvolto di un altro dato: l’aumento delle gravidanze delle “mamme tardone”, ossia neogenitrici in zona Cesarini, in età da nonne. La realtà è che per ogni cento parti in Italia, tre sono gemellari. Monozigoti (praticamente uguali) o dizigoti (come due fratelli). Tradotto: nel Belpaese è boom di gemelli. Nonostante il calo demografico, i parti multipli in quindici anni

sono raddoppiati. Un dato che si riflette anche in Sicilia, con le stesse percentuali. I numeri parlano chiaro: nell’Isola rappresentano il 3% all’anno del totale delle nascite. Il fenomeno è stato raccolto per primo nei reparti di neonatologia e poi nelle scuole materne, dove il trend ha portato sempre più coppie e triplette di gemelli. L’ultimo caso vip? Luis Jimenez, calciatore del Parma ed ex Inter e Maria Lopez, valletta in tv e, da poche settimane, mamma di tre gemelline. In Sicilia, all’inizio degli anni Ottanta i parti plurimi erano l’1,5% mentre ad oggi sono balzati al 3%. Un fenomeno che è spiegabile con l’aumento dell’età media materna, soprattutto nel caso di quelle monoovulari, ma anche con l’aumento del ricorso alla procreazione medica assistita, in particolar modo per le gravidanze pluriovulari, che rendono molto più frequente l’evento. Dati entusiasmanti, perché un parto gemellare è sempre sinonimo di festa. Genitori felici, ma non nascondiamoci: due “figli fotocopia” hanno anche il risvolto meno lieto: già perché,la fatica e le spese raddoppiano. Ma dietro queste statistiche si nascondono altri risvolti. C’è chi li considera un esperimento di natura, una sorta di esempio di sociologia

applicata alla coppia. Vita da gemelli. Si apprende presto a imparare a sopportare e dosare la presenza dell’altro, una necessità che abbiamo tutti, e che a volte è croce e delizia: perché può essere di sostegno o invasiva. Roba non facile da gestire. E poi c’è un’altra incognita. I baby gemelli, possono essere oscurati l’uno dall’altro, è a rischio la propria individualità e c’è sempre l’incubo di essere scambiati. I tempi sono cambiati. Al di là dei numeri crudi: fino qualche decennio fa i gemelli si diluivano in famiglie già allargate, all’interno delle quali non erano considerati così straordinari, perché i figli erano trattati allo stesso modo. E oggi? Oggi una coppia dopo due gemelli decide di fermarsi, di non avere altri figli. Ok uno, ma due insieme cominciano a essere troppi. E intanto fioccano gli studi scientifici ed epidemiologici, cifre, statistiche e curiosità. L’ultimo: il boom di gemelli si concentra soprattutto nelle metropoli dei Paesi industrializzati rispetto alle zone rurali. Il motivo? Nelle grandi città le donne allontanano sempre più la data del primo parto, e adesso hanno maggiori possibilità di eseguire tecniche per la fertilità.Vita da gemelli. Fenomeno da studiare.


Team Motors

Via col tempo

EVENTO CORPORATE

Marina del Nettuno Messina

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lla presentazione della nuova VOLVO S60, ha partecipato in qualità di Sponsor ufficiale dell’ evento (serata) la gioielleria “Via Col Tempo”, che per l’occasione ha attrezzato una zona privè con alcuni dei suoi più prestigiosi brand, tra cui: Baume & Mercier, Corum, Franck Muller, GUCCI, IWC e Montblanc. Durante la manifestazione svoltasi presso la Marina del Nettuno di Messina, la gioielleria “ Via Col Tempo” ha intrattenuto i suoi ospiti, proiettando l’ultimo IWC-FILM sulle bellissime isole Galapagos, dove IWC è direttamente impegnata per la salvaguardia della sua fauna. Per rendere omaggio a questo parco nazionale immerso nell’oceano pacifico dove anche Charles Darwin ha tratto ispirazione per la formulazione della sua teoria della selezione naturale, la IWC ha realizzato un modello esclusivo di Aquatimer Crono, rivestito totalmente in caucciù vulcanizzato che rende l’orologio piacevole al tatto e particolarmente resistente agli urti.


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eam Motors presenta Volvo S60 Anima Ribella, la nuova nata in casa Volvo che debutterà in tutti gli showroom sabato 25 e domenica 26 Settembre. Grande la curiosità intorno alla vettura della casa Svedese: sintesi di tutte le più consolidate qualità Volvo (sicurezza, design, confort di guida) la nuova Volvo S60 mostra anche diversi elementi di novità proponendosi come una protagonista nel segmento delle berline premium. Basta uno sguardo per intuirne la spiccata vocazione sportiva: la pulizia formale caratteristica del design scandinavo si coniuga a linee grintose ed eleganti che esprimono dinamismo e sicurezza al tempo stesso. Il risultato è una vettura dall’aspetto seducente e deciso che richiama le linee delle coupè più slanciate. La sportività preannunciata dalla linea trova conferma in un’esperienza di guida coinvolgente ed emozionante.

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ra le numerose novità concepite per regalare esaltanti momenti al volante si segnala il telaio più rigido con assetto sportivo, sterzo reattivo e l’innovativo sistema Torque Vectoring per una migliore aderenza in curva. Le numerose motorizzazioni si distinguono per le prestazioni brillanti e le ridotte emissioni inquinanti nel pieno rispetto dell’ambiente, come da filosofia Volvo. Se la Nuova Volvo S60 racchiude diversi elementi di novità rispetto alla tradizione Volvo, certamente conferma la leadership della casa Svedese in fatto di sicurezza. Gli innumerevoli sistemi si sicurezza attiva e passiva a bordo rappresentanno la somma della tecnologia di sicurezza oggi raggiungibile. Tra le numerose novità segnaliamo il debutto mondiale del Pedestrian Detection, il dispositivo di rilevamento automatico dei pedoni posizionato sul frontale dell’auto, un sistema in gradi di allertare il conducente e di frenare automaticamente in assenza di reazione del guidatore. Proprio grazie a questo dispositivo la Nuova Volvo S60 rappresenta un altro passo avanti verso il grande obiettivo Volvo: creare la prima auto ad incidenti 0.

Nuova Volvo S60

Team Motors

Per info: S.r.l. Messina - Via Acireale, 19 Z.I.R. 98124 Messina Tel 090 694376 E-mail teammotorsmessina@katamail.com


Società di Dario La Rosa

città intelligenti

ecco la svolta per ridurre il traffico

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a le città saranno davvero intelligenti? Prima o poi è inevitabile che accada, nel frattempo c’è chi già si muove in fretta in questa direzione. Traffico in primo luogo e controllo del tempo a disposizione per migliorare l’efficienza dei servizi sono le parole d’ordine verso cui si muovono ricercatori e urbanisti di tutto il mondo. L’obiettivo, chiaramente, è anche quello di risparmiare risorse economiche. Già è disponibile un dato certo: le città che utilizzano sistemi di controllo e regolamentazione del traffico – tra questi gli accessi a pagamento nei centri storici e l’automatizzazione della segnaletica – hanno risparmiato circa quindici milioni in un anno e soprattutto hanno ridotto di circa 700.000 le ore dell’anno perse in coda per colpa degli ingorghi. Tutto questo avviene nel globo, e in Italia? Le cose potrebbero andare certamente meglio ma non vanno così male. Di recente Repubblica ha pubblicato un’intervista al patron di Ibm Italia Nicola Ciniero che illumina sulla situazione del nostro paese. Ciniero racconta di come già, in Danimarca, nel chip della tessera sanitaria ci siano tutte le informazioni di un individuo, patente e carta d’identità comprese. E di come possa essere semplice migliorare i servizi grazie alle tecnologie. In Ontario, ad esempio, in alcuni ospedali è stato creato un sistema che permette ai medici di conversare con un piccolo interfono che portano al collo. Cartelle cliniche e informazioni sono a portata di “parola” e il tempo per i pazienti si moltiplica con l’eliminazione delle normali trafile. Torniamo in Italia, le amministrazioni pubbliche, soprattutto al Nord, hanno già aperto numerosi sportelli telematici per avvicinarsi ai cittadini ed i servizi iniziano a diventare più rapidi e diretti. Ma il vero problema italiano – lo diceva anche Benigni parlando della Sicilia in un suo famoso film – è il traffico. Inquinamento e tempo perso aumentano sempre più. Forse è il caso che ci si muova in fretta per far diventare le città più “intelligenti”.

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Società

di Stefania Brusca

Anima gemella

laureata A

.A.A. cercasi scrittore amante del vino e del teatro per un interessante scambio intellettuale e non solo”. Questo potrebbe essere uno degli annunci che tra un po’ di tempo potremmo trovare sulle riviste letterarie italiane destinate esclusivamente alla classe colta. Su alcune pubblicazioni anglosassoni il fenomeno è già una realtà. La New York Review of Books ad esempio dedica ampio spazio a chi, stanco di pensare esclusivamente a nutrire il proprio cervello, è alla ricerca di uno svago meno astratto, ma non per questo meno piacevole. Ma dove trovare l’anima gemella? Nell’immaginario collettivo l’essere “dotto” ormai corrisponde al freddo e distaccato uomo di lettere che non si eccita per nulla al mondo se non per l’edizione originale di un testo redatto in una lingua morta da secoli. Ma chi l’ha detto che le persone erudite non vivano anche notti all’insegna della più sfrenata lussuria? Chiedetelo ai lettori di romanzi dell’Ottocento o agli appassionati delle poesie di Catullo o di Saffo. Luoghi comuni a parte, chi fa riferimento alla sempre più smagrita schiera degli intellettuali fatica a vivere immerso nel mondo odierno di Lady Gaga e compagnia, optando invece volentieri per un buon libro seduto comodamente in poltrona. Il rischio che si corre, solitudine a parte, è di circondarsi di una cerchia sempre più ristretta di persone. Scrivere alle riviste letterarie diventa quindi un modo per essere sicuri che il messaggio arrivi a gente che legge almeno un libro l’anno, garantendosi anche il diritto a rimanere anonimi. Si potrebbero trovare annunci del tipo: “Attore teatrale bruno e sulla trentina cerca giovane donna elegante e raffinata, appassionata di arte moderna, che apprezzi la buona cucina”. Oppure, chissà, si potrebbero incontrare così due laureati in lettere classiche pronti a tuffarsi in interminabili letture dell’Iliade, che si sciolgono al pensiero di amarsi come Ettore e Andromaca. Che si prediliga la letteratura, il teatro o l’arte, la cultura non è fine a se stessa. Occorre sempre fare i conti con gli altri e avere il coraggio e il piacere della condivisione. In tutti i sensi.

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Società

di Alessandro Bisconti

gambe,

pensiero fisso delle donne Chissà se c’è passata anche Sharon Stone, ai tempi di Basic Instinct. Lei con le sue gambe da urlo ha fatto sognare un’intera generazione di uomini, nella celebre pellicola dei primi anni Novanta. Cellulite, macchie, smagliature, peli e capillari. Sono gli incubi di tutte le donne. Dalla cintola in giù. E dai 20 anni a salire. Si cresce con un chiodo fisso: le gambe. Poco importa che l’estate sia appena finita e la prova costume imponga nove mesi di tregua. In attesa dei primi “test” primaverili, nella stagione della metamorfosi, il pensiero fisso delle donne si “scontra” con le evoluzione della moda. E allora c’è chi sceglie lo stile manager. In guepie’re di raso nero, lunga fino al polpaccio. Chi invece calze e giarrettiera a vista. Perché in fondo è pur vero che “Saran belli gli occhi neri saran belli gli occhi blu ma le gambe sono belle ancor di più”! La sempiterna cantilena, datata 1938, è sempre d’attualità. Le donne e le gambe rappresentano però un binomio in rapporto conflittuale dalla notte dei tempi. Snelle, scolpite e toniche, magre, sottili, lisce, lunghe e levigate. Desideri femminili che a volte cozzano con la realtà. Per le più giovani lo spauracchio numero uno sono le smagliature. “Fobia” cellulite, invece, per le ragazze che diventano donne, e allarme capillari per le over 40. Ma al di là dell’età la cellulite è la croce di tutte le

donne, e non ingannino le pin-up delle riviste patinate. Photoshop è una cura che medici, chirurghi vascolari, dermatologi e “scienziati” non possono prescrivere. Non solo cellulite, effetto buccia di banana o smagliature anti-estetiche. I problemi si annidano anche nella zona della caviglia. Chi non ha mai notato, nello splendido “complesso architettonico” di una bella donna, i classici polpacci “alla Baresi”. Muscoli decisamente poco disegnati da esercizi quotidiani di ginnastica e che tradiscono forse un’eccessiva pigrizia. Particolari stonati che spesso rompono il “giocattolo”, regalando uno scomodo senso di inadeguatezza alle donne. Il desiderio di una caviglia libera da gonfiori e capillari, spesso si trasforma in miraggio per chi non tonifica anche i muscoli della coscia e dei suoi paraggi. Un consiglio per le donne “mature”: i capillari si eliminano con il laser. Bastano una decina di sedute dal chirurgo di fiducia a base di aminoacidi e per ridurre il rossore delle smagliature, limitando i danni. Ma bellezza deve fare per forza rima con morigeratezza, e non solo per questioni sintattiche. Se l’obiettivo è eliminare, o rendere meno appariscenti, le solite bucce di banana, fanghi, scrub e gommage, vanno benissimo. Ma solo se accompagnati da uno stile di vita sano. Sharon Stone docet, ma non imitatela fino in fondo. Gli studiosi dicono che accavallare le gambe faccia venire la cellulite


Tecnologia di Dario La Rosa

Dalla barba di Totti ai sacchetti d’immondizia

siamo certi di amare il 3D? Vederci chiaro, vederci meglio. Chiunque scommetterebbe su questo motto che contiene in sé una parte meramente pratica ed una più spirituale. Ci hanno scommesso le più grandi multinazionali della tecnologia che hanno investito, facendo passi da gigante, in televisori, telefonini e videocamere che permettono di vedere immagini ad altissima risoluzione e, nel caso del 3D, di viverle direttamente, come se si fosse parte della scena. Ecco spiegato il successo di Avatar, delle partite del mondiale di calcio in 3D e di tutti gli apparecchi elettronici che consentono di vedere oltre. Ma, è quello che ci si chiede, davvero è necessario raggiungere questi dettagli? E qui l’uomo “tecnologicus” si spacca da quello “normalus”. Davvero serve vedere se Francesco Totti si è fatto la barba correttamente o ha dimenticato il contropelo prima della partita? O basta invece avere una tv che consente di vedere quantomeno dei giocatori e una palla che ruota? Ecco, il numero delle maglie serviva proprio a questo, a vederci meglio. Magari tra qualche tempo scomparirà. In pochi anni siamo già arrivati all’ iPhone4, al 3d del Blu-

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Ray ed a quello fatto in casa. Ma non tutti sono convinti che la tecnologia visiva paghi sempre. Per la rivista Newsweek i nuovi film in 3D sono solo più costosi e meno belli artisticamente. Matassa difficile da risolvere, ma basta “localizzare” affinché tutto risulti chiaro. Non è difficile immaginarci a spasso con occhiali 3D: per vederci chiaro, vederci meglio. In Sicilia, ad esempio, il 3D è già in uso da tempo e – non c’è trucco non c’è inganno – non ha bisogno di occhiali. L’esempio? Già, è il solito trito e ritrito ma funziona sempre. L’immondizia era prima racchiusa in una visione bidimensionale, un cassonetto ed il suo volume, nient’altro. Adesso l’immondizia è in 3D, straborda ovunque fuori dai cassonetti che abbiamo definito bidimensionali perché i sacchetti non si vedevano. Ora invece siamo dentro, protagonisti nella scena. Ma è sicuro che vogliamo vederci chiaro e meglio?


Foto ottica crupi galifi fiumarA

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a quel lontano 1885, ne è passata di acqua sotto i ponti, quando il nostro negozio fu aperto con l’insegna Fotografia Artistica Giovanni Crupi Via Teatro Greco, 1 Taormina. Quando nel 1900 Giovanni Crupi decise di partire per l’Egitto per aprire un negozio ad Heliopolis, a Taormina l’attività proseguì sotto il nipote di Crupi, Francesco Galifi e successivamente con sua figlia Concettina Galifi nei negozi di piazza IX Aprile, oggi Wunderbar, e sul corso di fronte al Duomo. Nel 1920 l’attività svolta dai due negozi fu riunita nella sede attuale sul Corso Umberto, 163 e fu prettamente improntata alla produzione di immagini fotografiche con le tecniche di quel tempo nel laboratorio che si trovava annesso al negozio. Attività svolta sino ai nostri giorni con il marito di Concettina Galifi, Salvatore Fiumara e suo figlio Giuseppe Fiumara. Alla metà degli anni 90 l’attività si è allargata all’ottica e alla contattologia. Con il figlio di Giuseppe Fiumara, Salvatore.

Oggi sul solco dei migliori anni dopo aver proceduto a una completa ristrutturazione della storica attività commerciale, la foto Ottica “Crupi Galifi” di Fiumara,, ha aperto un nuovo punto vendita in affiliazione alla Salmoiraghi & Vigano, sul Corso Umberto, 190. La nostra attività così si è allargata e rafforzata per meglio soddisfare le richieste della clientela italiana e internazionale offrendo i migliori marchi ed un pronto servizio di laboratorio per la riparazione e il montaggio degli occhiali. I marchi in esposizione: Alviero Martini, Armani, Emporio Armani, Balenciaga, Blue Marine, Borsalino, Bottega Veneta, Bulgari, Carrera, Just Cavalli, Roberto Cavalli, Cartier, Chanel, Chopard, Cloè, Diesel, Christian Dior, Dolce & Gabbana, D&G, DSquared, Emilio Pucci, Escada, Fendi, Ferrari, Ferrè, Givency, Gucci, Hugo Boss, Jimmy Choo, YSL, Lozza, Max Mara, Marc Jacobs, Mont Blanc, Maui Jim, Miu Miu, Oakley Ralph Lauren, Prada, Prada Sport, Police, Ray Ban, Ray Ban junior Oakley, Oxido, Persol, Porche Design, Revò, Serengheti, Tiffany, Tom Ford, Valentino, Versace, Zero RH+.

Dal 1885 Foto Ottica “Crupi Galifi Fiumara” del Dott. S. Fiumara Corso Umberto, 163, 190 - Taormina - Tel e Fax 0942 23950 gammainfo@tao.it - www.fotocrupi.it

magcom

dal 1885


Tecnologia di Alessio Ferlazzo

Dal fonografo agli Ipod, la qualità della musica è realmente migliorata?

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n principio era il Fonografo, potremmo dire parafrasando una famosa frase dell’apostolo Giovanni. Era il 1877 quando Thomas Edison, già inventore della lampadina, realizzò un ripetitore telegrafico in grado di incidere i punti e le linee del codice morse, su un disco. Il 17 luglio dello stesso anno si accorse che se il disco ruotava ad una velocità sufficientemente alta, la puntina emetteva vibrazioni che ricordavano il timbro della voce umana. Era l’alba di una nuova era, Edison aveva inventato il Fonografo il primo riproduttore di suoni. Da quel 17 luglio del 1877 sono passati 133 anni e svariate sono state anche le invenzioni che hanno rivoluzionato il mondo della musica, ma la domanda che si sono posti gli esperti è se realmente la nuova tecnologia abbia migliorato la qualità del suono. Dopo il fonografo di Edison vennero alla luce,il Grammofono nel 1895, il primo vinile a 78 giri introdotto nel mercato discografico nel 1948, passando per le musicassette (1963), i compact disc (1981), gli mp3 ed i corrispettivi lettori Ipod (2001) ed il Flac prodotto nel 2009. Si è soliti pensare che la tecnologia porti con sé anche una qualità migliore, ma non sempre è così. Partiamo dalla base di partenza considerando il bit rate, ovvero il parametro di valutazione della qualità del suono. Basti pensare che il suono prodotto dagli mp3 che generalmente viene ascoltato tramite i nuovi supporti digitali si assesta sui 128 kbit/s mentre per raggiungere l’alta qualità bisognerebbe arrivare a 256 kbit/s.

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La musica “compressa” in sintesi rovina il suono perché sacrifica molte informazioni audio che invece supporti come il vinile e i cd garantiscono.


59 Cosa fare allora per riuscire a stare al passo con i tempi senza rinunciare all’alta fedeltà? L’iTunes music store recentemente ha raddoppiato il bit rate dei propri mp3 portandoli a 256 kbit/s lasciando invariato il prezzo (99 centesimi per ogni canzone scaricata), le alternative si chiamano hdtracks. com e 7digital.com.

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olti dei problemi derivano anche dalla scelta di supporti a buon mercato che però non garantiscono rese soddisfacenti. Per ottenere un buon suono occorrono anche delle buone cuffie con i prezzi che possono variare dalle 70 euro per Rp-Htx7w1 della Panasonic fino ai 400 euro per le Hd650 della Sennheiser. Poi per potere ascoltare nel miglior modo possibile la propria libreria musicale con 300 euro è possibile acquistare lo Squeezebox della Logitech. Si tratta di un lettore musicale capace di riprodurre file salvati su qualsiasi computer collegandosi ad una rete casalinga. Infine un piccolo accenno alle tv di nuova generazione. Per potere godere della migliore qualità possibile dal punto di vista audio bisogna tenere d’occhio due sigle: DTS-HD Master Audio e TrueHd Dolby. Ma se volete rilassarvi ed evitare di correre dietro alla tecnologia prendete il vostro 45 giri preferito, fatelo suonare nel vostro giradischi e godetevi le emozioni che solo il vostro vinile potrà regalarvi.


X-Mag

di Domenico Giardina

Giuseppe La Spada suoni e immagini con uno sguardo

verso il futuro Immagini che sanno leggere oltre la superficie delle cose. Suoni che sembrano arrivare da uno spazio profondo e rarefatto. Questo e molto altro si percepisce dai lavori di Giuseppe La Spada, artista siciliano difficile da incasellare in una definizione, tali e tante sono le sue capacità. Visual artist, fotografo, designer, sperimentatore multimediale, ognuna di queste non rende pienamente l’idea di ciò che è capace di realizzare. Lui stesso ritiene che sia difficile, quando non inutile, trovare un’etichetta per se stesso. Basta cercare “Ritengo di essere – spiega La Spada – un artista digitale, che usa strumenti di questo tipo per esprimersi”. La sua arte è strettamente legata alle nuove tecnologie e alla musica elettronica. Le sue idee si compenetrano perfettamente con la colonna sonora che viene scelta di volta in volta, creando un tutt’uno che è difficile scindere. Guardando i suoi video si viene trascinati in un vortice di sensazioni visive e uditive alle quali diventa impossibile resistere. “L’ispirazione per i miei lavori arriva molto spesso dalla musica – dice La Spada -. Sono artisti che amo e che mi danno la possibilità di lavorare con loro.

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I miei stati d’animo vengono enfatizzati dai brani che a volte mi vengono mandati dagli autori stessi o che, in alcuni casi, vengono composti appositamente per le immagini che produco”. Uno dei sodalizi che ha portato tantissime soddisfazioni all’artista siciliano è quello con Ryuichi Sakamoto, compositore giapponese tra i più raffinati ed eclettici, capace di passare dagli album new wave e sperimentali con David Sylvian alle colonne sonore per il cinema che gli hanno fruttato un Oscar nel 1987 per le musiche de “L’ultimo imperatore” di Bernardo Bertolucci, per finire alla nuova musica elettronica. La Spada ha realizzato “Mono no Aware” per il progetto di Sakamoto dal titolo “Stop Rokkasho” che aveva come obiettivo la sensibilizzazione nei confronti dei problemi ambientali. “Ho conosciuto Sakamoto nel 2006 - racconta lo stesso La Spada -. Tutto è iniziato con una mail attraverso la quale gli ho fatto vedere alcuni dei miei lavori. Lui è rimasto molto colpito e abbiamo deciso di incontrarci. Da lì si è sviluppato il progetto e sono nate le collaborazioni video che hanno visto nascere molte cose sperimentali”. Grazie a questo progetto La Spada si è imposto a livello internazionale arrivando a vincere l’Oscar di internet, il Webby Award nel 2007.


Sakamoto è rimasto così soddisfatto del lavoro di La Spada che lo ha voluto con lui anche per la tournée “Cendre” che si è conclusa con un grande concerto a Ground Zero, in una New York che tenta di ricucire pian piano le sue ferite. Il giovane artista siciliano ne serba ancora un ricordo molto emozionante: “Chiudere la tournée in un posto così pregno di significati e di storia come quello è stato davvero toccante, anche perché non si tratta della solita location scelta per un concerto. Certo, anche un po’ di tristezza si è fatta strada pensando a quanto accaduto nel 2001”. Per il futuro ecco arrivare dei progetti che in qualche modo vedranno protagonista anche la Sicilia: “Con Christian Fennesz, musicista conosciuto grazie a Sakamoto, stiamo lavorando a “Islands”, un progetto nuovo con contributi registrati su diverse isole in giro per il mondo come Islanda, Giappone e anche Sicilia, in particolare alle Eolie e alle pendici dell’Etna. Il 28 agosto è stato presentato a Catania e verrà proposto il 17 ottobre al Roma Europa Festival. Sarà possibile vedere la natura nelle sue forme docili e violente. Infine, a breve uscirà un dvd/libro che ho realizzato con un musicista giapponese”. Ma sarà possibile vedere uno di questi spettacoli anche in Sicilia? “E’ un po’ più difficile – ammette La Spada con un po’ di dispiacere – perché esistono poche realtà come festival o rassegne. Forse tornerò per fare dei workshop per i ragazzi. L’istruzione è un aspetto che mi interessa molto ed è anche un modo per restituire qualcosa alla mia terra”. Con la speranza che la Sicilia sia pronta a recepire quanto di bello ha realizzato questo suo figlio in giro per il mondo.

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Cultura

di Giulio Giallonbardo

Einstein “l’ebreo” e Pirandello “il fascista” Ritratti insieme in una foto: cosa si sono detti?

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’è una foto in bianco e nero, datata agosto 1935, che ritrae insieme Luigi Pirandello e Albert Einstein. Due tra i maggiori protagonisti della cultura del Novecento sono immortalati nel giardino dell’Università di Princeton, negli Stati Uniti, in posa rilassata e conviviale. Cosa stavano facendo? Ma soprattutto perché si trovavano lì? Domande alle quali non è facile rispondere. Prova a venirci in aiuto Paolo Di Stefano, in un articolo apparso poche settimane fa sul Corriere della Sera. Sarebbe stato Einstein ad invitare il drammaturgo siciliano nel suo “campus” universitario. Pirandello era da poco arrivato a New York, con la speranza di entrare nel business del cinema. Resterà poi deluso dalle major e dagli Stati Uniti, tanto da scrivere all’amata Marta Abba di avere “la nausea fino alla gola”. Fin troppe volte Pirandello rifiutò l’accostamento della sua poetica alla teoria della relatività di Einstein. “Io ho compiuto e creato la mia opera d’arte senza alcun riferimento a questa filosofia, – affermava il drammaturgo nel 1924 - del resto, vi confesso, che fino a poco tempo fa ignoravo Einstein e la sua scuola; ora, per curiosità, sentendone parlare ho cominciato ad occuparmene”.

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Appena un anno dopo, a Berlino, avvenne il primo incontro tra i due. Lo scienziato, dopo aver assistito ad una replica di Sei personaggi in cerca d’autore, andò a trovare Pirandello in camerino per dirgli: “Noi siamo parenti”. Lo racconta lo stesso scrittore, che aggiunge: “Ho passato con lui un’ora interessantissima. È un uomo geniale e simpatico, e la conversazione, su qualunque argomento, anche ben lontano dalla sua scienza, è sempre attraente: rivela una mente lucida e una cultura vastissima”. Ma quando i due furono ritratti nella foto, circa dieci anni dopo, a Princeton, Einstein era un ebreo in fuga dalla Germania nazista e Pirandello aveva in tasca la tessera del partito fascista. Inoltre, non appena giunto a New York, lo scrittore italiano difese apertamente Mussolini e le sue imprese coloniali in Africa: “Anche l’America – dichiarò ai giornalisti – era un tempo abitata dagli Indios e voi l’avete occupata. Se era diritto il vostro, lo è anche il nostro”. Forse furono proprio queste frasi che spinsero Einstein ad invitare a colloquio Pirandello. Se così fosse, più che di un incontro si sarebbe trattato di uno scontro. Un clima tutt’altro che conviviale rispetto a quello evocato dalla foto.


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16. Parco ciclistico Vincenzo Nibali


Turismo religioso di Paolo Vitale

In vacanza con il Padreterno Nell’ultimo decennio si è andato sempre più affermando il fenomeno del cosiddetto “turismo religioso”, ovvero quel tipo di turismo che ha nella fede la sua causa prima.

sicuramente con un “si”: anche un architetto ateo può progettare un tempio cristiano! A smentirli, ahinoi!, ci vengono tuttavia in contro lo stesso Piano e il suo progetto dell’aula liturgica realizzato a San Giovanni Rotondo: l’edificio non ha nulla a che vedere con una chiesa cattolica! Le stranezze, infatti, sono davvero tante e francamente impressionanti. Iniziamo subito precisando che l’edificio non ha una pianta che rientra nelle tipologie tradizionali delle chiese cattoliche (croce latina, croce greca, rotonda, rettangolare...). Negli ultimi anni un numero sempre maggiore di italiani ha Di per sé questo non rappresenterebbe un problema: sono deciso di trascorrere le proprie vacanze -o parte di esse- tante le chiese contemporanee che rompono con la tradipresso una località religiosa per poter arricchire lo spirito e zione inventando nuovi impianti e fornendo originali soluprendersi cura dell’anima. zioni tipologiche. In cima alla classifica delle mete più ambite dai pellegri- Tuttavia Piano sceglie una forma totalmente inedita per una ni ci sono sicuramente i grandi santuari mariani (Lourdes, chiesa: la forma della conchiglia, cioè quella di una spirale. Medjugorje, Fatima, Loreto...), seguiti immediatamente dai La spirale però, è da sapersi, non è un simbolo cristiano santuari dedicati ai santi più conosciuti e popolari (San e non lo è mai stato. Semmai anzi si tratta di un simbolo Francesco d’Assisi, Sant’Antonio da Padova, San Giacomo massonico, ben noto e molto diffuso in certi ambienti esodi Compostela...). terici e settari. Ci si chiede quindi come mai Renzo Piano In Italia, tuttavia, a muovere enormi folle di fedeli è il pic- abbia sentito il bisogno di impiegare proprio una forma colo frate di Pietralcina: ogni anno sono decine di migliaia così estranea al mondo cattolico. Le più superficiali guide coloro che si recano da Padre Pio per rendergli omaggio o turistiche del luogo spiegano questa scelta con la volontà di per chiedergli qualche grazia. Questo enorme e continuo Piano di far convergere tutte le direttrici progettuali verso afflusso di pellegrini ha reso necessaria la costruzione di un unico centro (quello della spirale) nel quale collocare una nuova e più grande chiesa nella quale accogliere le l’altare principale. L’intenzione sembrerebbe quindi buona, spoglie del santo cappuccino e consentirne la venerazio- ma la realtà è molto distante da questa spiegazione retone da parte del popolo. Il progetto faraonico è stato così rica. Al fedele salta infatti subito all’occhio un particolare affidato dai padri cappuccini all’archistar più famosa d’Italia: di non poco conto: al centro della spirale -punto in cui Renzo Piano. Fin qui nulla di strano: da sempre la Chiesa ha dovrebbe trovarsi secondo le spiegazioni ufficiali il cuore commissionato i suoi edifici sacri ai geni dell’architettura stesso dell’edificio- non ci si trova assolutamente niente! delle varie epoche. Le perplessità iniziano però a nascere Ci si aspetterebbe di trovare il tabernacolo, l’urna del Dio quando si scopre che Piano si dichiara apertamente ateo! fattosi Pane, e invece non c’è. Ci si potrebbe allora aspetLa domanda sorge quindi spontanea: può un non credente tare un Cristo Crocifisso come perenne memento della riuscire a progettare correttamente una chiesa? I fedeli più Passione di Nostro Signore, ma anche in questo caso rimadisinvolti e i cosiddetti cattolici adulti risponderanno quasi remmo delusi.

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Al centro della spirale c’è proprio il nulla! Il tabernacolo, a dirsi tutta, non c’è proprio, nè al centro della spirale, nè da un’altra parte e l’altare maggiore è costituito da un tronco di piramide rovesciato (altro simbolo massonico) sopra il quale pende dal soffitto una croce deformata (non un Crocifisso!) ad opera dello scultore Arnaldo Pomodoro. Evidentemente queste stranezze devono essere sembrate eccessive perfino per i cappuccini più moderni i quali, forse proprio in occasione della visita del Santo Padre, hanno sostituito l’inutile opera di Pomodoro con un crocifsso “normale” a grandezza naturale. Deo gratias! A parte questo Cristo “riparatore”, tuttavia, la chiesa è totalmente priva di immagini e simboli sacri: non una Madonna, non la statua di un santo (nemmeno quella di Padre Pio!), non una via crucis... E giusto per coerenza non hanno messo neanche le acquasantiere e gli inginocchiatoi. Insomma, Renzo Piano ha progettato un bellissimo auditorium, ma non una chiesa! E infatti proprio da auditorium è il clima che si respira all’interno: gente che passeggia, bambini che corrono, ragazzini che giocano col cellulare, chi mangia un gelato e chi invece si è addormentato su una panca. Del resto non trovandovisi né l’Eucaristia né un’immagine sacra non si vede il motivo per cui ci si dovrebbe inginocchiare o rimanere in raccoglimento e preghiera. Il tour continua girando per la spirale fino ad arrivare alla Cappella del Sacramento: uno stanzone spoglio e triste al fondo del quale è collocata un’enorme pietra nera stile 2001 Odissea nello spazio: è quello il tanto agognato tabernacolo (opera dello scultore Floriano Bodini)!

Ovviamente a nessuno passerebbe per la testa di inginocchiarsi davanti a quel coso, più adatto ad adorare la dea Iside che Gesù Cristo. Non va meglio nemmeno quando si scende nella cripta dove riposa San Pio: l’enorme ed estenuante fila di pellegrini urlanti e schiamazzanti assomiglia più alla coda per i bagni all’autogril che alla folla devota e raccolta di un pellegrinaggio. Insomma, dalla chiesa nuova di San Giovanni Rotondo un fedele cattolico viene praticamente respinto e ne esce grandemente innervosito e disgustato.

Per fortuna, a pochi chilometri da lì, c’è un luogo sublime, dove l’anima entra davvero in contatto col Mistero: la grotta di San Michele Arcangelo. Si tratta di un buco profondo scavato nella roccia che lo stesso S. Michele volle consacrato al suo culto. Lì, tra candele, inginocchiatoi, statue e madonne, nel silenzio più assoluto, il pellegrino finalmente cade in ginocchio davanti a Dio ed esausto scoppia in lacrime, ma lacrime di gioia ed esclama: -finalmente una chiesa!-.


Arte di Pasquale Fameli

fisicità del sogno: Salvador Dalì a Milano

Dal 22 settembre 2010 al 30 gennaio 2011 a Palazzo Reale a Milano sarà possibile ammirare alcune tra le più grandi opere di Salvador Dalì, indiscusso genio pittorico del Surrealismo, movimento culturale nato in Francia nel 1924 che si prefiggeva di portare alla luce della pittura, della poesia, del teatro e non solo, la struttura dell’inconscio, attraverso l’automatismo psichico e le libere associazioni di immagini e parole, atti a svelare il reale funzionamento del pensiero.

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Il torero allucinogeno - olio su tela del 1970

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’esposizione, dal titolo Salvador Dalì. Il sogno si avvicina è composta da oltre 50 opere e renderà conto di quanto il genere paesaggistico si sia prestato appieno per l’artista catalano per la costruzione di scene enigmatiche e fantastiche, che sintetizzano più aspetti della cultura del suo tempo. Il curatore Vincenzo Trione ha organizzato la mostra in maniera tale da mettere in rilievo il graduale passaggio che il pittore surrealista ha compiuto dal caos dell’inconscio ad una metafisica placidità: dagli allucinati teatri dell’irrazionale si arriva così, gradualmente, a scorci e visioni di intimo silenzio, mistico e spirituale. La Venere di Milo con tiretti, proveniente dal museo Boymansvan Beuningen di Rotterdam ed esposta nella prima stanza del percorso dedicata alla memoria, coniuga il rimando alla tradizione della scultura classica con le teorie della psicanalisi freudiana, in un’abile sintesi di virtuosismo pittorico, citazionismo, psicologia e tradizione culturale. E tuttavia l’attenzione costante alla problematica profondità dell’inconscio non ha allontanato Dalì dai drammi della sua società: lo testimoniano pitture quali Melanconia Atomica e Visage de la guerre, presenti nella Stanza del Male, in cui l’artista spagnolo affronta il tema della guerra, che proprio in quegli anni imperversava, seminando dolore, panico e sgomento. La Stanza dell’Immaginario e quella dei Desideri concentrano invece la fase più propriamente surrealista, in cui si formalizza il celebre metodo paranoico-critico, come nominato dallo stesso Dalì, che consiste nello scandagliare l’illogico tumulto del proprio inconscio (fase paranoica) per raccoglierne i deliri e successivamente organizzarli nell’immagine in maniera consapevole, interpretata e razionale (fase critica). L’introspezione e la ricerca di sé sono alla base di opere quali Tre età, proveniente dal Museo di St. Petersburg in Florida e Ricerca della quarta dimensione della Fondazione Gala-Salvador Dalì di Figueras.


Arte

fisicità del sogno: Salvador Dalì a Milano

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er la prima volta sarà inoltre ricostruita, in modo filologicamente ineccepibile e inedito, la celebre Stanza di Mae West ad opera dell’architetto Oscar Tusquets Blanca, collaboratore nonché amico di Salvador Dalì, che fu co-autore del progetto ed oggi riveste inoltre il ruolo di curatore dell’allestimento dell’intera mostra. Interessante notare che, come scrisse lo stesso Dalì in un’intervista (esposta in mostra), gli specchi utilizzati a Figueras dovevano essere in realtà sostituiti con schermi televisivi: tale affermazione rende pienamente conto della grande sensibilità dell’artista spagnolo, capace di aggiornare il proprio linguaggio espressivo e concepire rapporti dialettici tra arte, inconscio e tecnologia. Sarà inoltre fruibile il cortometraggio Destino di Salvador Dalì e Walt Disney, mai proiettato prima in Italia: Dalí lavorò al fianco di Disney tra il 1945 e il 1946 ma il film fu completato solo nel 2003.

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Concludono il percorso espositivo la Stanza del Silenzio e quella del Vuoto, in cui la rappresentazione della figura umana si dissolve lasciando lo spettatore solo di fronte a scenari di desolante inquietudine, come nel Cammino dell’enigma. Ogni sezione è inoltre accompagnata da ampie sezioni documentarie dove lo stesso Dalí, attraverso interviste e apparati video, racconta il suo rapporto privilegiato con alcuni dei luoghi e dei paesaggi a lui più cari, come gli stessi paesi della Catalogna, che diventano il suo rifugio e sede della Fondazione a lui intitolata (Figueras, Cadaques, Portlligat), l’Italia e l’amata Parigi. Una mostra di estremo interesse dunque, anche alla luce del fatto che l’artista spagnolo manca dalla città di Milano dal 1954, quando si svolse una sua personale nella Sala delle Cariatidi di Palazzo Reale, sala da cui trasse ispirazione per la sede della sua casa di Figueras, oggi sede della Fondazione Gala-Salvador Dalí.

L’enigma del desiderio, mia madre, mia madre, mia madre - Olio su tela del1929


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La persistenza della memoria - Olio su tela del 1931

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l ritorno del genio surrealista appare oggi di estrema importanza, come sostiene l’assessore alla Cultura del Comune di Milano Massimiliano Finazzer Flory: “Abbiamo di nuovo bisogno di Dalí per evadere da una condizione spesso noiosa, prevedibile. E questa esposizione ci serve proprio per fare una breccia nel conformismo culturale e trasmettere così tutto il potere della creatività. Perché il sogno è dentro di noi ed è una delle forme della realtà e del desiderio che l’arte racconta e attraverso le quali l’arte si racconta. Dalí a Milano è la cifra della creatività al potere o meglio del potere della creatività. Una relazione imperdibile”. Per la realizzazione di questo evento espositivo sono stati fondamentali le collaborazioni con la Fondazione Gala-Salvador Dalí di Figueras e i prestiti dal Reina Sofia di Madrid e altre istituzioni museali quali il Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofia di Madrid, il Dalí Museum di St. Petersburg in Florida, il Boijmans Museum di Rotterdam, l’Animation Research Library dei Walt Disney Animation Studios di Burbank in California, la Peggy Guggenheim Collection di Venezia, il Mart di Rovereto e i Musei Vaticani. La mostra è inoltre accompagnata dall’ampio catalogo con testi di Vincenzo Trione, Paolo Bertetto, Hank Hines, Robert Storr, Oscar Tusquets Blanca, Catherine Millet, Bruce Sterling pubblicato da 24 ORE Cultura – Gruppo 24 ORE.

The Simpsons - Dalì - Style

“Abbiamo di nuovo bisogno di Dalí per evadere da una condizione spesso noiosa, prevedibile...” pasqualefameli@hotmail.it


Per teatri di Gigi Giacobbe

Idi Dostoevskji demòni al 3° Napoli Teatro Festival

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demòni (con l’accento sulla o) di Dostoevkij secondo Peter Stein è uno spettacolo di 12 ore con sei intervalli: due di un’ora per pranzo e cena e quattro di quindici minuti per sgranchirsi le gambe. Insomma i 400 spettatori seduti sulla tribuna dell’ex fabbrica di birra di Miano (ex Peroni), nella periferia nord di Napoli, entrano alle 11 di mattina e vi escono alle 11 di sera. Un affresco esaltante (Premio Ubu quale migliore spettacolo del 2009) per ri-leggere il romanzo più politico dello scrittore russo incentrato su un gruppo di rivoluzionari nichilisti del 1870 che sostituirono i valori della religione con le ideologie anarchiche e socialiste, anticipando la rivoluzione di Lenin e tanti altri totalitarismi riscontrabili ai nostri giorni. Le 900 pagine del romanzo scorrono senza intoppi nella bella regia di Stein e i 26 straordinari attori, calati nei loro ruoli, si muovono su uno spazio scenico di 250 mq. agghindato con pochi arredi, una passerella e qualche tappeto persiano (scene di Ferdinand Woegerbauer). L’ideologo del movimento è il giovane Nikolàj Stravogin vestito da un Ivan Alovisio che sembra essere il gemello di Kim Rossi Stewart: sguardo truce e profondo, lingua roteante come un’iguana, personaggio intelligente, misterioso, demoniaco, privo di qualsiasi senso etico, un mistico quasi, ispiratore di idee alle

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quali non crede e con una vita piena di assurde morbosità, come il matrimonio non consumato con Mar’ja Timofèevna (Pia Lanciotti) una povera storpia quasi demente, lo stupro ai danni d’una ragazzina di 11 anni che poi s’ammazza e altri infami delitti e avvelenamenti. Suo braccio destro è Petr Verchovenskij (Alessandro Averone) che persegue i suoi intenti rivoluzionari con una determinazione da serial killer. Questi due giovani sono figli rispettivamente della generalessa Varvara Petrovna (Maddalena Crippa somiglia sempre più al marito Peter Stein) e di Stepan Trofimovic ( Elia Schilton con barba e capelli fluenti brizzolati alla maniera di Karl Marx) un intellettuale liberal nullafacente che sfodera di continuo raffinati francesismi e che da vent’anni è ospite a gratis di questa ricca e raffinata donna che ama nascostamente. Tra amori celati e manifesti, feste mondane e conflitti matrimoniali soccombe pure il tipografo Satov (Rosario Lisma), prima adepto dei demòni e poi convertito alla fede ortodossa. Per coprire questo delitto Petr obbliga l’ateo Kirillov (Fausto Russo Alesi), deciso a suicidarsi per ergersi al di sopra di Dio, a scrivere una lettera in cui si auto-accusa dell’omicidio di Satov. E se la borghesia liberale aveva accolto in un primo momento superficialmente quasi snobbisticamente quei demòni, adesso li disconosce con orrore e paura e lo spettacolo finisce con la morte di Stepan e il suicidio di Stravogin. Applausi interminabili accompagnano questo fiore all’occhiello del 3° Napoli Teatro Festival in cui vanno citati almeno Andrea Nicolini, la Liza di Irene Vecchio, la Dar’ja di Franca Penone, Graziano Piazza e Paola Benocci, le musiche di Arturo Annechino, i costumi di Anna Maria Heinreich. Repliche al Ravenna Festival e poi ad Atene e New York.-


73 La Recensione TEATRO di Rocco Familiari Gangemi Editore - € 40,00 di Gigi Giacobbe

Massa e Potere di Elias Canetti alla XXIX Edizione delle Orestiadi di Gibellina

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ue grandi quadrati bianchi, omaggio forse al genio di Malevic, qui solo due schermi per accogliere le immagini filmate in bianco e nero di uomini-massa ripresi in oceanici scioperi o ad inneggiare quel duce in nero dagli occhi roteanti che sbraita su noto balcone di Piazza Venezia, oppure masse informi di corpi nudi ammonticchiati o scheletri viventi chiusi in divise a strisce orizzontali e in cui fanno capolino il Papa, Fidel Castro e Mao Tse Tung e altri ancora, servono a Claudio Collovà da introibo alla monumentale opera, Massa e Potere, dello scrittore bulgaro di lingua tedesca (Premio Nobel per la letteratura nel 1981) Elias Canetti, elaborata per ben 38 anni senza aver risolto, anzi avendolo ampliato, l’enigma della massa. Nei 120 minuti dello spettacolo i 25 attori in scena nello spazio del Baglio Di Stefano cui si aggiunge lo stesso Collovà ora come servo di scena, ora prendendovi parte come un Caron dimonio che detiene il potere di farli ambulare a suo piacimento, non profferiscono verbo e si muovono gesticolando in mille modi al suono di una colonna musicale, spaziante dal classico al moderno, perseguendo un percorso geometrico o astratto come in alcune coreografie di teatro-danza di Pina Bausch. Dell’opera di Canetti, che è insieme narrazione storica, indagine simbolica, studio sociologico, saggio antropologico, testimonianza ed esperienza del XX secolo dalla quale “tutti sopravviveranno o nessuno”, rimane ben poco. Qui sembra che il Potere è l’alterego della Massa e Collovà vi succhia quelle parti di fantasia, mischiando mitologia ed etnografia per poter ri-scrivere la sua personalissima weltanschauung teatrale con un gran lavoro di regia visionaria. Il rapporto uomo-donna qui è di tre ad uno in favore delle protagoniste femminili, tutte brave e concentrate, agghindate da Rosalba Corrao con svolazzanti abiti a fiori o a fantasia e si materializzano sulla scena fuoriuscendo da un sinistro portoncino centrale, che sarà utile, dopo aver tutto l’ensanble piroettato sul palcoscenico ed essersi poi posizionato come in un antico dagherrotipo, a risucchiarlo dentro ad uno ad uno in fila indiana e a piccoli passi rumorosi. Successo per Collovà e per queste Orestiadi di Gibellina che tagliano il traguardo della XXIX edizione.-

Le parole di Rocco Familiari sono precise, esatte, non una in più non una in meno, come le note musicali di Mozart. Chiare come quegli squarci luminosi di Caravaggio, sensuali come quei puttini di Fragonard, inquiete come un incubo di Füssli, taglienti come una xilografia di Kirchner.I suoi drammi diventano profetici in Circuito chiuso - andato in scena la prima volta al Teatro Valle di Roma nella stagione ‘92/’93 col titolo de Il presidente con un grande Raf Vallone e con la regia di Krzysztof Zanussi anticipando di parecchi anni il film-cult The Truman Show di Peter Weir: emblematici in Orfeo Euridice – rappresentato in prima assoluta al Valle diretto e interpretato da Augusto Zucchi con scene e costumi di Giosetta Fioroni - in cui contrariamente all’originario mito sarà Orfeo a decidere di rimanere in eterno nel regno dei morti: decadenti in Don Giovanni e il suo servo messo in scena in prima nazionale da Aldo Trionfo nel 1982 al Teatro Signorelli di Cortona con Andrea Giordana e Giancarlo Zanetti protagonisti - in cui quel collezionista di fanciulle colte a migliaia in giro per l’Europa prova ad esorcizzare i suoi anni che volgono all’occaso: eroticamente barocchi in Herodias e Salome, personaggi autonomi che niente hanno a che vedere con i precedenti illustri di Wilde, Mallarmè, Massenet o Testori, di cui Giancarlo Nanni ha voluto essere il primo a metterlo in scena al Teatro Vascello di Roma nel 1991 con Manuela Kustermann nei panni di Erodias. I suoi drammi, ancora, possono diventare romanzi e materia per il cinema, come è successo ad Agata ( il cui spunto tratto da un fatto realmente accaduto in Calabria racconta d’una donna che diventa l’amante del killer del marito per meglio ammazzarlo) titolato poi Il sole nero nella regia di Zanussi con Valeria Golino e Caspar Capparoni fra gli interpreti e come sta per succedere a L’odore, di prossima uscita che, prendendo Familiari le distanza da Il profumo di Süskind, racconta d’un detenuto che induce un giovane compagno di cella a far l’amore con sua moglie perché poi possa sentire il profumo che si sprigiona dal suo corpo. Rocco Familiari, nato ad Addis Abeba ma cresciuto in Calabria e in Sicilia e da circa 30 anni residente a Roma, è stato regista del Teatro Struttura di Messina mettendo in scena negli anni ’70 lavori di Hauptmann, De Ghelderode, Euripide, Nino Pino e testi propri e ha fondato nel 1976 il Festival Internazionale del Teatro di Taormina da lui diretto sino al 1980. Nelle sue quasi mille pagine il suo mega-volume edito da Gangemi (pag.992, € 40,00 ) ha una lucida presentazione di Zanussi, un’ampia introduzione del prof. Dario Tomasello dell’Università di Messina e due scritti vibranti di Trionfo e contiene tutti suoi scritti teatrali, dal 1970 ai giorni nostri, pure le due versioni dell’Amleto del 2004, con Flavio Bucci, entrambe messe in scena da Mario Missiroli: quella andata in scena al Festival di Spoleto (Amleto prova Amleto) e quell’altra rappresentata alla Rocca degli Albornoz (Amleto in prova), nonché quattro “Commedie”, cinque “Atti unici” e otto “Monodrammi”, fra cui spiccano Ritratto di spalle e La caduta dirette da Aldo Trionfo con Angela Cardile e Virginio Gazzolo protagonisti e In scena, ancora non rappresentato, pensato e scritto per una grande attrice che sproloquia per sessanta minuti sulle umane cose prima d’andare in scena. L’elegante pubblicazione infine contiene i suoi adattamenti teatrali e alcuni saggi intorno al teatro e all’opera di Karol Wojtyla.-


Gastronomia di Annalisa RIcciardi

Dieta mediterranea tra federalismo

alimentare

e frustrazioni. Gli anziani I più salutisti La dieta mediterranea ha conquistato l’Unesco. L’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura ne ha raccomandato infatti l’iscrizione nella prestigiosa lista delle tradizioni considerate Patrimonio Mondiale Immateriale dell’Umanità. La notizia è recente ma gli abitanti dello Stivale conoscono bene e da tempo sia il valore storico che salutistico dei prodotti mediterranei, tanto che, secondo il primo rapporto Censis/Coldiretti sulle abitudini alimentari degli italiani, scelgono nel 74,6% dei casi cibi prodotti nel proprio territorio, talvolta in maniera anche un po’ esasperata. Quello che ne deriva è un vero e proprio federalis mo alimentare che, secondo la ricerca, è più accentuato al Sud e nelle Isole, dove la percentuale di consumatori affezionati ai propri prodotti sale al 78,8%. Anche se spesso risalire all’origine degli alimenti è un po’ difficile. «Oggi - secondo la Coldiretti - solo carne bovina, ortofrutta fresca, uova, miele, latte fresco, pollo, passata di pomodoro ed extravergine di oliva hanno l’obbligo di indicare l’origine, ma ancora molto resta da fare e l’etichetta resta anonima per circa il 50% della spesa, dai formaggi ai salumi, dalla pasta ai succhi di frutta». Altri elementi che influenzano più di altri la scelta dei prodotti alimentari per gli italiani sono il rispetto dell’ambiente (71%), eventuali speculazioni sui prezzi e le materie prime (60%) e, infine, il rispetto dei diritti dei lavoratori lungo tutta la filiera (54%).

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Gli italiani sembrano dunque animati da buone intenzioni, ma non sempre riescono a fare della dieta mediterranea, che pure ritengono salutare, il proprio regime alimentare quotidiano. Quattro su dieci sono infatti “frustrati” perché vorrebbero mangiare più sano ma non ci risescono. Tre su dieci invece dichiarano di seguire una dieta sana perché l’alimentazione è tra i fattori importanti per la salute. E sono soprattutto gli anziani (40,3%) e i laureati (37,6%) a praticare questa tendenza salutista. Informarsi sul cibo per gli italiani, infatti, è sempre più importante: quasi il 62% degli intervistati si dichiara molto informato sui valori nutrizionali, le calorie e i grassi riguardanti i vari alimenti. Il 34% degli intervistati ritiene, poi, che la propria alimentazione dipenda in via prioritaria da scelte soggettive (che hanno bisogno di tante informazioni per essere adeguate), per il 30,4% dalla tradizione familiare, e per poco meno del 19% da quello che ci si può permettere, tenuto conto del reddito e dei prezzi. Forse è per questo che circa un quarto degli italiani mangerebbe più frutta se costasse un po’ meno, e circa un quinto farebbe la stessa cosa con la verdura e gli ortaggi. Quanto alle principali fonti di informazione sugli alimenti, oltre alla televisione è il web la fonte primaria. E nonostante la crisi, ben otto italiani su 10 mangiano in ristoranti e locali almeno una volta la settimana contribuendo alla spesa complessiva di 71 miliardi per pasti fuori casa. Quanti di questi pasti rispettino la dieta mediterranea non è dato saperlo, ma quel che è certo è che rappresentano ben un terzo della spesa alimentare degli italiani che ammonta complessivamente a 215 miliardi di euro all’anno.



Gastronomia di Patrizia Mercadante

pasta?

la “droga” degli italiani Sale la percentuale dei salutisti “frustrati” È proprio vero: tutto è moda. Anche per mangiare si seguono le tendenze, e gli italiani si sforzano sempre più di apparire salutisti, salvo poi “beccarsi” lo stress da tavola. Infatti secondo l’ultimo rapporto di Coldiretti e Censis, il 37% (praticamente 4 su 10) vorrebbe seguire una dieta, ma non ci riesce. La percentuale dei salutisti frustrati sale al 40,5% tra i 30-44ennie supera il 40% tra le donne e il 43% tra le casalinghe. Solo il 33% segue effettivamente un regime alimentare corretto, il 43% degli anziani e il 37,6% dei laureati. Se si guardano poi i dati degli italiani in sovrappeso e obesi, 43% i primi e 11% i secondi, confermano che

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il mangiare sano è solo una vera e propria illusione. Tutta colpa dello spuntino: perché tutti noi non rinunciamo allo snack o al cioccolatino.Dalla stessa ricerca si evince come è cambiato il modo di mangiare dal dopoguerra ad oggi. Il consumo di carne è aumentato del 300 per cento ed è cresciuto anche quello di frutta e verdura. 14,7 milioni di italiani consumano regolarmente verdura, 20,3 scelgono la frutta fresca ogni giorno. La pasta, invece, la mangiano ogni giorno, più di 2 milioni di persone e oltre 17 milioni sono gli italiani che non rinunciano al pane. Solo 2 pranzi a settimana per il dolce alla pari del riso e del pesce.


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Tra le bevande, il vino, è quello che scende a tre pranzi a settimana; dal dopoguerra, il suo consumo è sceso e si è ridotto di oltre un terzo. Nel rapporto si legge che “ il cambiamento ha riguardato anche gli aspetti qualitativi dell’alimentazione come il passaggio dalla pasta fatta a mano a quella industriale, la crescita della carne bovina rispetto a quella di pollo, l’arrivo di nuove varietà di frutta, l’affermazione dell’olio extravergine di oliva nei confronti del lardo e dello strutto”.

Anche le calorie assunte sono aumentate del 56%

È aumentata, però, l’attenzione alla qualità e alla sicurezza alimentare. Un ostacolo alla dieta equilibrata è la fretta: lo dimostra il dato sull’acquisto dei surgelati, 69,6% e il 58,% di scatolame, anche se cresce la percentuale di chi fa la spesa direttamente dal contadino, ovvero il 41,4%.


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Gastronomia di Annalisa RIcciardi

L’appetito vien

giocando,

come mangiare meglio in un click Oltre cento idee hi-tech “Made in Italy”

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on tutti nascono chef. E poi diciamolo pure, spesso è difficile avere fantasia in cucina o stare attenti alla scelta degli ingredienti quando si rincasa dopo una giornata di duro lavoro. A volte il frigo è così vuoto da riuscire a sentire persino l’eco del proprio languore. Di uscire non se ne parla, siete troppo stanchi e non riuscite a resistere al richiamo del vostro divano. Per questo vi tocca fare i conti con qualche scatoletta di tonno o qualche barattolino di conserve dimenticato negli scaffali della dispensa, quattro pomodori rinsecchiti, rimasugli di formaggio e qualche verdurina appassita lasciata da chissà quanti giorni dentro quella fresca cella casalinga. E allora ecco che viene in aiuto il web. E più precisamente un portale fatto apposta per chi come voi ha pochi ingredienti a disposizione. Si chiama italianfoodisbetter.it: basta inserire gli ingredienti a vostra disposizione nella sezione “Il cuoco in linea” e in pochi minuti avrete la ricetta di un manicaretto da leccarsi i baffi.Questa è solo una delle oltre cento idee che sono state presentate nell’ambito del progetto “L’appetito vien giocando” promosso da Ideatre60, il social media italiano creato dalla fondazione Accenture, in collaborazione col Museo della scienza e della tecnica di Milano. In questo momento si tratta solo di progetti, oggi a dispo-

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sizione di aziende o imprenditori che vogliono investire nel mondo del food virtuale. Tra i primi dieci progetti classificati c’è anche “Cestino Italiano”, un portale che basa la sua strategia sul ricordo sensoriale del cestino delle scampagnate: profumo di peperoni, lasagne al forno, frittate, pane caldo, tovaglia a quadretti. Ma il tutto in casa vostra e portato da un pony express. Il vantaggio: avrete sempre frutta e verdura di stagione, una consulenza sull’apporto calorico e una guida on-line per la preparazione dei piatti. Se poi volete basare la vostra alimentazione su una scelta consapevole degli ingredienti ecco pronto CLICK:…@limentati INFOrmato, un viaggio virtuale nel complesso mercato agro-alimentare tradizionale italiano. E per i più piccini o gli appassionati di giochi interattivi c’è “Foodplayer”, un browser game on-line in cui il giocatore deve soddisfare i bisogni alimentari di un avatar. Ma c’è anche Gustabondo, gioco di società interattivo per l’educazione alimentare e la promozione del territorio, o Gustavo.it, un portale sulla cucina italiana frutto di una ricerca del Politecnico di Milano, multicanale ovvero non solo sito web “tradizionale”, ma anche per mobile, iphone, ipad e social network come Facebook, in italiano e inglese, innovativo nei contenuti e nei meccanismi d’interazione.


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Infine, “L’appetito vien... COMUNICANDO!”, un progetto per la rieducazione alimentare assistita, “Missione Gusto – Alla scoperta del cibo”, “Nutrilandia, il paese della buona alimentazione” e il gioco da tavola “TU QUOQUI?”. Quale tra questi dieci progetti meriti di vincere il primo premio di 100 mila euro ancora deve essere stabilito da una giuria di esperti. Speriamo solo che, per realizzare i loro progetti “Made in Italy”, i nostri bravi ricercatori non siano costretti a cedere alle avance di qualche investitore straniero.


Gastronomia di Annalisa RIcciardi

Siciliani sempre più

poveri Così si affidano alle sette sorelle del cibo I siciliani sono poveri. La conferma arriva dalle statistiche sulla ricchezza della popolazione che vedono l’Isola ultima in classifica con un reddito pro-capite intorno al 70-75% della media nazionale e circa il 55% della media europea. È forse per questo che i loro consumi sono sempre più orientati verso la grande distribuzione organizzata, ovvero i supermarket. Ed è forse anche per questo che ogni anno si assiste alla nascita di un nuovo centro commerciale, di un nuovo ipermercato. Forum o Poseidon, Le Zagare o le Vigne, qualunque sia il loro nome e la provincia in cui sono stati costruiti in aree più o meno urbanizzate, sono luoghi in cui è facile trovare offerte speciali che attirano chi stenta ad arrivare alla fine del mese con uno stipendio che sembra non bastare mai. Questo lo sappiamo bene ormai, è vita quotidiana. Ma lo sanno bene anche le sette sorelle del cibo, Coop, Conad, Selex, Carrefour, Auchan, Esselunga e Despar, che controllano ben il 70% dell’offerta alimentare e che proprio attraverso promozioni e offerte stracciate riescono a condizionare le scelte dei consumatori. Determinando anche il successo o l’insuccesso delle piccole imprese agroalimentari.

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Vengono chiamate le sette sorelle, è vero, ma nulla hanno a che fare col petrolio. Qui si parla di business che si mette a tavola, anche se il meccanismo è lo stesso. A colpi di offerte speciali e prezzi stracciati si fanno spazio nei carrelli dei consumatori, che spesso hanno perso, piano piano e senza nemmeno accorgersene, il gusto di scegliere in base alla bontà e alla genuinità di un prodotto. A comandare è, insomma, il portafogli. Il risultato? Un appiattimento del gusto con conseguenze anche sull’economia locale. I piccoli negozi subiscono una concorrenza spietata e le aziende di produzione spesso non hanno i numeri per potere sopravvivere nella giungla del ribasso. Così ne pagano le conseguenze in maniera più che drastica, riducendo il proprio business e, in molti casi, chiudendo. Basti pensare che in Italia i negozi specializzati nel 1996 erano oltre 200 mila e che oggi superano appena i 150 mila, passando da un peso percentuale sul totale della distribuzione alimentare dal 40% al 18%. Insomma, mentre quindici anni fa quattro italiani su 10 facevano la spesa al negozio sotto casa, oggi sono rimasti in due.Tra le aziende di produzione, contadini e allevatori per intenderci hanno risentito di una sostanziale contrazione. Le stalle, per citarne alcune, sono passate da 180 mila a circa 43 mila, e secondo un’indagine Inea, l’Istituto nazionale di economia agraria che nei prossimi giorni organizzerà a Roma un convegno su marketing e crisi, il 50% delle aziende agricole lavora in perdita.

Quale sia la soluzione è difficile dirlo. Anche perché le sette sorelle non stanno a guardare, anzi entro il 2013 investiranno oltre tre miliardi di euro e assumeranno altri 20 mila tra commessi, responsabili acquisti e altri profili. Stiamo forse pagando le conseguenze di una globalizzazione sfrenata dei consumi e dei gusti. Certo è che l’Italia, e la Sicilia in particolare, vanta un universo di prodotti di qualità che nulla hanno a che vedere con le mozzarelle blu e le ricotte rosse. Oltre 180 presidi Slow-Food, di cui una trentina sono siciliani, centinaia di cibi a denominazione d’origine e a qualità controllata che superano rigidi controlli lungo tutta la filiera, prodotti in campagne baciate dal caldo sole che permette di ridurre l’uso di sostanze chimiche per la coltivazione. Mentre spingiamo il nostro carrello tra i corridoi di un centro commerciale almeno questo, forse, sarebbe opportuno ricordarlo.


Benessere di Patrizia Mercadante

Un braccialetto che dà forza? Forse soltanto ottimi guadagni

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n braccialetto di gomma o neoprene, con un display a cristalli liquidi con un ologramma. Si chiama Power Balance e promette di migliorare l’equilibrio e la forza; stimolerebbe il sistema nervoso e darebbe benessere migliorando la performance. L’ utilizzo del condizionale, tuttavia, è d’obbligo, anche perché appena nato il “braccialetto delle meraviglie” finisce sotto inchiesta: l’Antitrust, infatti, ha deciso di avviare un’istruttoria in base al Codice del Consumo per una scorretta pratica commerciale tanto da indurre in errore il consumatore. Secondo gli ispettori esiste la possibilità che il bracciale pubblicizzato per la capacità di migliorare forza, equilibrio e coordinazione, vanti assai più di quanto possa mantenere, e che sotto il design d’avanguardia si nasconda un comune accessorio, l’ultima moda stagionale che offre lauti margini di guadagno, nessun potere terapeutico, se non quella dell’autosuggestione Dunque il tempo dei controlli e sapremo se il braccialetto funziona o è la classica bufala. Chi lo indossa sostiene di averne beneficio, ma c’è anche chi dice che lo porta solo perché è di moda. E così lo ritroviamo al polso di attori del calibro di Robert De Niro e di Aldo del trio Aldo, Giovanni e Giacomo, ma anche di diversi piloti di Formula Uno come l’ex ferrarista Rubens Barrichello e Giancarlo Fisichella e il calciatore Cristiano Ronaldo; e persino tra le teste coronate come Elena di Spagna che lo ha esibito durante i Mondiali in Sudafrica.

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Il braccialetto ha avuto una grandissima diffusione: negli Stati Uniti ne sono già stati venduti oltre un milione di esemplari, mentre in Italia da gennaio ad oggi siamo a quota 500 mila. Power Balance non è affatto economico: l’originale costa 39 euro; le varianti sono la collana che costa 44 euro o gli ologrammi adesivi che hanno un costo di 74 euro (un pacchetto da 10). Per i medici si tratta soltanto di suggestione collettiva, una sorta di effetto placebo. Infatti non esistono degli studi che dimostrino la funzionalità del braccialetto e tante prove sono state fatte su pazienti senza che si riscontrasse qualche cambiamento. Il Power Balance è l’ultima novità che promette benessere e ed efficienza fisica, ma già negli anni passati altri accessori e di diversi materiali ci avevano fatto credere che indossando un bracciale potevamo risolvere tutti i nostri mali. Risale a più di 30 anni fa un bracciale in rame rigido che avrebbe avuto la capacità di equilibrare le cariche elettriche del corpo, ma anche di alleviarci dai dolori reumatici. Seguirono gli amuleti cabalistici con proprietà magiche e protettive o la maglietta S+ability che promette di migliorare l’equilibrio tramite le frequenze dell’infrarosso emesse dai biominerali con cui sono trattati i tessuti.


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Benessere di Danilo La Rosa

Altezza mezza bellezza? No, bellezza mezza ricchezza 86


Stipendi più alti per chi è attraente Altezza mezza bellezza e bellezza mezza ricchezza. L’antico binomio cambia, si trasforma e aggiunge un elemento divenuto fondamentale in una società che fa del denaro il fulcro di tutto ciò che la circonda. Poche chiacchiere, i belli hanno più possibilità di far soldi. Recenti studi hanno dimostrato che sia gli uomini che le donne riescono a guadagnare fino al 5 per cento in più rispetto a colleghi, come dire, meno fortunati. Come fare allora per evitare la bancarotta, soprattutto in periodi di crisi economica? Taglio e cucito. Udite bene: il 10 per cento degli uomini ed il 13 per cento delle donne – sono dati pubblicati da Newsweek e ripresi da Repubblica – si sottoporrebbero ad un intervento di chirurgia estetica per essere più competitivi sul lavoro. Non a caso, sempre secondo questi studi che probabilmente hanno come effetto quello di far crescere il numero di clienti agli psicologi con sindrome del brutto anatroccolo, il 57 per cento dei manager fa più resistenza a dare un lavoro a un candidato poco attraente. Insomma, se cercate lavoro o volete un aumento, mettetevi pure davanti allo specchio e fatevi belli. La classifica dei criteri per la vostra assunzione? L’esperienza è al primo posto, poi c’è la sicurezza, la bellezza e solo al quarto l’istruzione. Ok, fin qui ci siamo. Ma come, quando e perché si è belli? C’è un’età in cui si è al top? Per la risposta ci facciamo aiutare dall’illustre Vittorio Sgarbi che, sulle pagine del Giornale, disserta sulla più bella età delle donne. Ebbene? Trentuno, questo è il numero perfetto. “A 31 anni – scrive Sgarbi - una donna è in tutto uguale a una ventenne, ma ha più esperienza, più malizia, più sapore, più consapevolezza dei limiti naturali dell’uomo, grazie ai quali può stabilire un rapporto equilibrato, senza esigenze fanatiche e pretese insostenibili”. Che poi quell’età la si abbia o meno poco importa: l’ottica è quella di sentirsi comunque trentunenni. E gli uomini? Belli o brutti continueranno a faticare per conquiste eterne o di una sola notte e, se non usano smalti o trucchi per camuffarsi, giocheranno la carta dei soldi e del potere. Insomma, cercheranno di essere all’altezza. Altezza? Sì, il cerchio si chiude: altezza mezza bellezza e bellezza mezza ricchezza.


Benessere di Salvatore D’Anna

Un primato

in Sicilia si fanno più parti cesarei che nel resto d’Italia La puerpera stesa sul lettone matrimoniale, attorniata dalle femmine della famiglia e dall’ostetrica che chiede asciugamani puliti ed acqua calda e sprona la futura mamma a spingere. Di là, nella stanza accanto, il marito sudato che nervosamente aspetta di sentire il primo vagito del neonato, incrociando le dita che tutto vada bene e magari sia maschietto. Scene d’altri tempi, che appartengono alla Sicilia che fu, praticamente scomparse dalla metà degli anni sessanta o giù di lì. Adesso è tutto un taglia e cuci, inteso come parto cesareo. La nostra Regione è una di quelle che, in Italia, ne fanno più spesso ricorso. Siamo secondi solo dietro dopo la Campania, con il 53% circa (53,7% nel 2008 e 53,11% nel 2009) delle nascite con intervento chirurgico. La Sicilia, però, è anche una delle poche che “ha avuto il coraggio di ridurre il costo dei parti cesarei equiparandolo a quello del parto naturale”, dice l’assessore regionale alla Salute Massimo Russo, ma al giorno d’oggi, secondo gli standard internazionali, si intende un buon sistema sanitario pubblico quelle che cercano di ridurli al minimo. Per dare un’idea delle cifre, nel Belpaese cinque Regioni ne fanno meno del 30% del totale e sette stanno entro la quota del 40%. La media in Italia dei parti ce-

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sarei è del 38,35%, a fronte dell’obiettivo del 20% fissato dal Ministero. Proprio a causa di un parto cesareo la Sicilia è tristemente balzata agli onori della cronaca dopo che, lo scorso 28 agosto, due ginecologi sono venuti alle mani a Messina, nel reparto di ostetricia e ginecologia del Policlinico, per dissidi sull’opportunità di fare il taglio alla paziente pronta a partorire. La neonata adesso rischia di crescere con gravi disturbi. Dopo l’episodio, l’assessorato è corso ai ripari. “Chiuderemo i punti nascita con meno di 500 parti l’anno”, dice l’assessore Russo. In tutta la regione i punti parto sono una settantina e secondo le prime stime fornite dall’assessorato a chiudere i battenti saranno circa una decina di strutture. “L’obiettivo - spiega l’assessore - è quello di garantire la sicurezza di madri e bambini, perché nell’Isola rimane alto il tasso di mortalità infantile”. Uniformandosi alle raccomandazioni dell’Oms, l’Organizzazione mondiale della Sanità, e recependo le linee guida emanate dal Ministero della salute lo scorso 19 gennaio, l’Assessorato regionale della Salute aveva deciso, con decreto del 14 luglio, pubblicato in gazzetta ufficiale lo scorso 6 agosto, di incoraggiare il ricorso al parto naturale e scoraggiare il ricorso

improprio al parto cesareo. Il dato siciliano è appesantito dalle case di cura private che fanno registrare percentuali nettamente più alte. Per arginare il fenomeno è stato deciso di uniformare le tariffe con cui la Regione remunera, sia alle strutture pubbliche che a quelle private, le varie tipologie di parto. “C’è un’evidente distorsione del sistema - spiega l’assessore Russo - che non trova nessuna spiegazione epidemiologica e che incide pesantemente sui conti della Regione siciliana, senza in alcun modo offrire maggiori garanzie di sicurezza alle pazienti”. I motivi di un ricorso così massiccio al parto cesareo? Sicuramente c’è una carente o errata informazione che viene fornita alle gestanti o da una cattiva organizzazione ospedaliera, ma ci sono anche ragioni economiche che orientano le scelte delle strutture: con le attuali tariffe, infatti, la Regione rimborsa una cifra quasi doppia per un parto cesareo. Da qui la scelta di uniformare le tariffe. “Sono convinto che questa decisione produrrà, nel giro di pochi mesi, un aumento dei parti naturali che riporterà correttamente la Sicilia al livello delle altre regioni”. Il decreto, che prende atto delle risultanze del tavolo tecnico appositamente


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istituito, prevede un rimborso di 1.900 euro per tutte e tre le principali classificazioni di parto (DRG) che finora sono state remunerate in modo diverso: il parto vaginale senza complicazioni viene pagato attualmente 1.489 euro; quello vaginale con sterilizzazione e/o dilatazione e raschiamento 1.945 euro; quello cesareo senza complicanze 2.359 euro. La cifra di 1.900 euro rappresenta una media ponderata delle tre tariffe. Il decreto prevede inoltre che la tariffa del parto vaginale venga aumentata di altri 300 euro se effettuato in analgesia (per questo tipo di parti saranno presto emanate nuove linee guida) o a una donna che ha già avuto in precedenza parti cesarei. “Le linee guida ministeriali - aggiunge Russo - sottolineano come al maggiore ricorso alla pratica chirurgica non corrisponda una riduzione del rischio materno-fetale. I dati, che mettono in cattiva luce la Sicilia, ci impongono un cambio di tendenza e confermano l’esigenza di mettere in atto al più presto una radicale riorganizzazione dell’area materno - infantile. Anche in questo caso bisogna incidere profondamente sugli aspetti culturali e della comunicazione oltre che della

faccio irretire, scoraggiare o spaventare. Riguardo a Messina, non abbiamo coperto niente, abbiamo creato subito le condizioni per ripristinare un clima di lavoro sereno. Non sempre si è agito così, anche fuori dalla Sicilia. Ricordo episodi gravissimi avvenuti ad Arezzo e, di recente, a Padova. La gente perde la Sulle polemiche che dopo i fatti di Mes- vita, eppure…- osserva - l’abitudine a sina girano attorno al sistema sanitario gettare l’acqua sporca con il bambino ci siciliano, da sempre pieno di debiti, Rus- riguarda da vicino. Leggo critiche ingeso non si tira indietro.“Non intendo sot- nerose e sbagliate anche nella sostanza. trarmi alle responsabilità né alle critiche, Siamo intervenuti seduta stante, abvorrei che si distinguesse fra il nostro biamo emanato direttive, siamo molto compito e quello dei singoli operatori – presenti: dice -. Ci sono responsabilità oggettive, Ci vuole equilibrio, riflessioni serene, la naturalmente, ma desideriamo essere comprensione dei problemi. Si tratta di giudicati per ciò che facciamo o non una materia complessa. Noi stiamo imfacciamo. Fare di tutta l’erba un fascio ponendo un cambio epocale. I problemi si affrontano entro tempi utili, con è ingiusto. La vicenda di Messina è stata affrontata regole nuove e uomini idonei. Solo così con rapidità e provvedimenti immedia- potremmo sperare di ottenere servizi ti. Non mi devo fare perdonare nulla sicuri efficienti e appropriati. – continua -, constato tuttavia che da Ma ho un altro dovere, tutelare il buon qualche parte si ha attenzione solo per nome della sanità siciliana e dei medici. gettare tutto nel cestino, anche le cose C’è gente – conclude - che non si risparmia e fa il suo lavoro con passione che non funzionano. Così veniamo disarmati, invece che aiu- e competenza. Non possiamo trascinatati. Tuttavia, sia detto per inciso, non mi re tutti nella gogna della malasanità ogni faccio tirare la giacca da alcuno né mi volta che qualcuno sbaglia”.

trasparenza: chiederemo agli operatori sanitari di offrire alle donne in gravidanza una adeguata informazione riguardo alla gestazione e alle diverse modalità di parto seguendo proprio le raccomandazioni contenute nelle linee guida ministeriali”.


Sport di Enzo Bonsangue

ECCELLENZE siciliane

Vincenzo Nibali Ogni volta che un siciliano vince qualcosa, ottiene risultati d’oro, si segnala nel mondo dello sport come una eccellenza. E ciò che in primis prevale è l’incredulità, la sorpresa. Quasi che un evento di questo tipo non fosse nelle corde dei siciliani. Le ragioni sono le più disparate. La prima riguarda senza ombra di dubbio gli impianti sportivi dell’Isola: sono pochi, e quelli che ci sono, se gestiti da enti pubblici, funzionano male, talvolta malissimo. La seconda riguarda il carattere dei siciliani, che giudicano se stessi con eccessiva severità. Un sentimento associato, paradossalmente, ad un complesso inverso, quello di ritenersi il sale della terra. Insomma, i siciliani – volendo – potrebbero fare sfracelli, ma le cose stanno come stanno. Non sono capaci d’impegnarsi, non hanno gli aiuti e gli strumenti adatti. Se non fosse così, dicono, come si spiegherebbe che i siciliani altrove raggiungono l’eccellenza?

È

il caso di Vincenzo Nibali, cresciuto sportivamente altrove. Il vincitore della Vuelta ha lasciato la Sicilia per fare quello che fa. Dove avrebbe, altrimenti, trovato sponsor, allenatori, società e piste adatte per affinare la tecnica, rafforzare muscoli e fiato che lo hanno praticamente portato in capo al mondo del ciclismo? E il paradosso non si verifica solo nello sport. Ma se in altri campi può rappresentare un’eccezione, nell’universo sportivo è quasi la regola. Lo Squalo dello Stretto ha dipinto a soli 25 anni uno dei quadri più significativi degli ultimi tempi. In Spagna s’è meritato l’inchino di tutti, i quotidiani hanno raccontato la sua impresa sulla Gran Via, nel cuore di Madrid, con un “Colossale” a nove colonne. “Ora è fra i grandi: è il futuro del ciclismo italiano” le certezze di chi se ne intende davvero. Di chi è rimasto a bocca aperta narrando l’impresa del siciliano contro il rivale e padrone di casa Ezequiel Mosquera. Del super Nibali che, senza una sola vittoria di tappa, ha alzato le braccia al cielo per un percorso regolare e con una resistenza in montagna da standing ovation. Poveri nelle strutture, imponenti e spietati nei risultati. Una contraddizione di fondo che, però, alla Sicilia ha regalato altri picchi di gioia nella tranche finale degli Europei di atletica leggera, a Barcellona. Ancora in Spagna, dunque. Nella caliente terra di passione e tradizioni, il cuore pulsante della nostra Isola ha trascinato il tricolore verso vette irresistibili.

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Si guardi, ad esempio, ad Anna Carmela Incerti o a Simona La Mantia. La prima, classe 1980, di Bagheria (cittadina in provincia di Palermo) ha portato a casa il bronzo nella maratona. Un risultato ambitissimo, e frutto di una “sicilianitudine” senza se e senza ma: pur di continuare ed allenarsi per le vie della propria cittadina, dimostrando attaccamento incondizionato alla propria terra, Anna ha trascinato in Sicilia (da Udine) anche il marito Stefano Scaini, crossista e mezzofondista di rilievo della Nazionale italiana. E che dire della palermitana doc Simona La Mantia? A Barcellona, il suo è stato un tripudio di gioia difficilmente descrivibile. Non foss’altro che l’argento centrato nel salto triplo è stato il coronamento di un percorso negli ultimi anni ricco di ostacoli e sfortunate complicazioni. E dopo il titolo italiano, il sogno europeo di Simona s’è concretizzato come in pochi, alla vigilia, si sarebbero aspettati. “Non ci credo, non ci credo”, le sue prime parole dopo l’argento spagnolo. Emozioni allo stato puro, insomma. Di chi l’atletica ce l’ha nel sangue: correvano anche il papà Antonino e la madre Monica, tirolese (con le tre sorelle faceva la staffetta 4x100). Il dna della campionessa sotto gli occhi di tutti. La Sicilia che esplode d’orgoglio si “chiama” anche Giuseppe Gibilisco. Siracusano, da sempre sulle prime pagine per le gesta nel salto con l’asta, agli Europei s’è fermato al quarto posto. Chi nell’Isola, e precisamente a Castellammare del Golfo ha sfoggiato la medaglia al petto è stato invece Emanuele Di Gregorio, membro del quartetto che ha trascinato l’Italia all’argento nella staffetta 4x100. Altro grande campione, Valerio Vermiglio messinese Doc, 34 anni è uno dei pallavolisti che sono stati impegnati nelle scorse settimane ai Mondiali che si stanno disputando in tutta Italia. Ha debuttato in Serie A nel 1994 con la Sisley Treviso e in Nazionale il 28 maggio 1999, in Australia-Italia (terminata 0-3). È il palleggiatore della Nazionale italiana e fino al giugno del 2007 ne è stato il capitano. Ha fatto parte della spedizione azzurra alle Olimpiadi di Pechino 2008. Quella di Nibali è stata soltanto l’ultima dimostrazione di grandezza: il cuore della Sicilia non vuol proprio saperne di smettere di battere. In ogni campo. Nonostante incomprensioni, intoppi e contraddizioni strutturali. Perché, tirando le somme, brillantezza e carattere daranno sempre agli isolani quella marcia in più. Già, Simona: quell’argento nel salto triplo è la pura realtà. Sudato e meritato. Che tu, come ogni siciliano che si rispetti, voglia crederci o no.


Tradizioni d’Autunno di Giulio Giallombardo

escursione Ponte San Brancato

Passeggiata d’autunno

tra funghi, sagre e arrampicate

e i n o d a m

Le Madonie in autunno danno il meglio di sé. Tra sagre, escursioni, visite guidate e pedalate in mountain bike, il massiccio montuoso siciliano offre più di un’occasione per trascorrere il tempo libero in mezzo alla natura. Per non parlare poi dei funghi, “principi” della tavola e protagonisti assoluti del territorio, che da settembre in poi spuntano fuori con ogni forma e colore dopo le prime piogge. I mesi che precedono l’inverno, dunque, creano un clima sotto ogni aspetto favorevole per lunghe passeggiate nel Parco e nei pittoreschi borghi storici che lo circondano. Iniziamo proprio dai funghi, presenti in lungo e in largo sulle Madonie. Ogni anno, infatti, tantissimi appassionati attraversano prati e boschi di una delle aree micologiche più ricche della Sicilia. Si va dai più comuni prataioli, con l’inconfondibile cappello chiaro, ai lepiota, che crescono su materiali organici vivi. Poi ci sono le amanite, i boleti, i cantarelli, i coprini, le russole, i pregiati porcini e i più noti pleuroti, che fruttificano sui tronchi e sulle ceppaie delle latifoglie.

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Scorcio autunnale

Facendo un giro tra le sagre in programma, proprio ai pleuroti è dedicato il “Fungo Ferla Fest” di Caltavuturo. La manifestazione, che si svolge nella seconda metà di novembre, è interamente dedicata alla specialità tipica del territorio madonita, e ogni anno propone svariati stand espositivi con degustazioni, musica, conferenze e visite guidate. Diversi i ristoranti della zona che, per l’occasione, propongono menu speciali ovviamente a base di funghi ferla. Il secondo appuntamento più importante dell’autunno si tiene, invece, a Petralia Sottana: è la Festa dei sapori madoniti d’autunno, fissata per gli ultimi giorni di ottobre. Anche in questo caso, in programma tre giorni d’intrattenimento culturale a base di cibo, musica e carri allegorici.

Riguardo alle visite guidate nel territorio del Parco, sono tante le associazioni e i privati che da poco hanno cominciato ad investire sull’ecoturismo. Quasi ogni fine settimana, specialmente in autunno con la fine del caldo estivo, si organizzano gruppi per visitare i luoghi più belli delle Madonie. Basta dare un’occhiata al sito www.parcodellemadonie.it, per rendersi conto delle ricche offerte di turismo naturalistico presenti nel territorio. Per chi fosse interessato anche alle tante escursioni tra i sentieri dell’area protetta è attivo anche un indirizzo di posta elettronica, escursioni@ madonie.it, attraverso il quale è possibile effettuare prenotazioni o richiedere informazioni. Il servizio è gestito dai titolari del Parco Avventura Madonie, il primo in Sicilia.


Tradizioni d’Autunno torrente Gimmeti

Per finire, altrettanto ricca è la proposta di ecosport ed attività outdoor, soprattutto per gli amanti delle mountain bike. Per saperne di più basta visitare i siti www.madoniebike.com oppure www.castelbuonomtb.com. Su prenotazione è possibile fare anche climbing, con suggestive arrampicate nelle aree attrezzate di Passo Scuro, nei pressi di Castelbuono, di Petralia Sottana e Caltavuturo. L’autunno è poi la stagione dell’orienteering, disciplina sportiva in continua crescita. Con bussola e carta topografica, i partecipanti sono impegnati a trovare il percorso più breve per raggiungere una meta prefissata: uno sport in cui vincono agilità e senso d’orientamento. Pagliaio a Piano Cervi

La festa della noce di Motta Camastra

Tre giorni di tradizioni e specialità culinarie

di Domenico Giardina

U

na leggenda narra che sotto l’albero della noce, la notte di San Giovanni, si riuniscano le streghe e questo mito ha contribuito a creare un alone di magia attorno alla pianta. A questo particolare frutto il Comune di Motta Camastra, piccolo paesino in provincia di Messina situato nella valle dell’Alcantara, dedica ogni anno tre giorni, alla fine della prima settimana di ottobre, con una festa che coinvolge l’intera comunità cittadina. “Gli abitanti – spiega il sindaco Andrea Scarpignato – aprono le porte delle loro abitazioni, dei loro garage e di qualsiasi spazio a loro disposizione, per allestire delle vere e proprie vetrine nelle quali vengono messi in mostra ortaggi locali, manufatti di legno lavorato, oltre che tutti i prodotti legati alla noce che è la protagonista di queste tre giornate”. La particolarità di questa festa, infatti, è che non si limita ad essere la solita sagra nella quale cittadini e turisti si ritrovano

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ad apprezzare le specialità del luogo, ma si tratta di un vero e proprio “culto” di tutte le proprietà custodite dal frutto che cresce nell’Alcantara. “La noce - continua Scarpignato - ha delle peculiarità, riconosciute dagli studiosi, come l’alto contenuto di selenio, o la presenza di Omega 3 e Omega 6 che possono arricchire la nostra alimentazione. La noce ha anche delle proprietà anti-invecchiamento, inoltre mangiandole si tengono bassi i livelli di colesterolo nel sangue e si combattono i rischi di malattie cardio-vascolari”. Quest’anno la festa si terrà dall’1 al 3 ottobre e si potrà assaggiare ogni tipo di alimento a base di noci; dalla pasta con il ripieno alle noci, fino ai liquori, all’olio e persino al gelato. Ma la festa non si limita soltanto a questo. Uno spazio considerevole verrà riservato anche alle tradizioni folkloristiche siciliane, così da contribuire al recupero e al mantenimento di usi e costumi che altrimenti andrebbero persi.



Viaggi Testo e foto di Gabriele Maricchiolo

Un viaggio tra i fiordi

Norvegia 96


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Fu Ottar capo di una tribù vichinga, nell’anno 900, a coniare il termine Nor-weg “terra degli uomini del Nord”, ma Ottar non poteva immaginare che quella parola sarebbe diventata parecchi secoli dopo il nome di una nazione, la Norvegia. Oggi la Norvegia è uno dei paesi più estesi d’Europa con i suoi 324.219 Km quadrati, le sue terre arricchite da circa 75.000 isole contano 20.000 km di coste bagnate dal mar del Nord, mar di Norvegia e mar Glaciale Artico. La popolazione è di circa 4 milioni di persone di cui 500.000 risiede nella capitale, Oslo. La corrente del golfo che spinge aria calda dal mare verso l’interno consente di poter vivere in gran parte del paese, ma in Norvegia, così come in tutta la Scandinavia, il vero problema non è il freddo ma il buio! Mentre d’estate migliaia di turisti affollano le regioni scandinave per poter ammirare il sole a mezzanotte, l’inverno racchiude nelle sue tenebre la natura incontaminata di quei luoghi spingendo la popolazione nelle grandi ed attrezzate città. Ci troviamo ad una latitudine di 71° 11’ 8’’ a Nord, la manifestazione della natura è quasi inimmaginabile, qui montagne e mare si confondono dando vita a visioni spettacolari. Migliaia di anni fa i ghiacciai con il loro peso hanno disegnato tortuose insenature tra le montagne che con il passare dei secoli ed il riscaldamento della terra si sono riempite d’acqua formando i “fiordi”. Oggi la Norvegia vanta i fiordi considerati più belli al mondo, tra questi il famosissimo Geirangerfjorden “la perla dei fiordi norvegesi”. Una striscia di acqua verde e luccicante si snoda fino al paesino di Geiranger sotto montagne ripide con fattorie arroccate sulle pendici. Durante la navigazione del fiordo, accompagnati da numerosi gabbiani, si ammirano le cascate di acqua gelida provenienti dal ghiacciaio che si tuffano tra scintillii e fragori. Qualche casetta colorata rompe la monotonia del verde di una natura incontaminata, dove tra le betulle si incontrano distese di frutti di bosco. Alzando lo sguardo il monte Dalsnibba sovrasta con i suoi 1500 mt. l’intero fiordo.


Oltre ad Oslo, sede del Nobel per la Pace, altre caratteristiche città fanno della Norvegia una nazione moderna ed evoluta. Bergen, Trondheim e Stavanger sono i maggiori centri commerciali dopo la capitale, anch’esse affacciandosi sul mare hanno sviluppato negli anni antecedenti alla scoperta del petrolio le proprie fortune sulla pesca, la conservazione ed il commercio dei prodotti ittici e l’industria del legname. Bergen promossa nel 2000 “città europea della cultura” conserva ancor oggi il fascino e le atmosfere dei villaggi vichinghi del decimo secolo. Salendo sulle montagne il verde pian piano scompare, qui il freddo ha avuto il sopravvento, ma lo spettacolo bianco dei ghiacciai non desta meno interesse di quello al livello del mare.

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Oreficeria - Gioielleria

Ci troviamo nella terra dei “Troll” strane creature, che secondo la leggenda vivevano tra le montagne nei posti più insoliti. Non sopportando la luce del sole, nella stagione estiva, uscivano solo la notte curandosi di rientrare nella propria dimora entro l’alba, pena la pietrificazione. Erano tutti molto vecchi e pur somigliando agli uomini avevano solo quattro dita per mano ed un naso estremamente lungo, peli ispidi dappertutto ed una coda simile a quella della mucca. Scontrosi e beffeggiatori queste creature mostravano doti soprannaturali che spesso si riflettevano sui raccolti. Ancora oggi alcuni sostengono di potere intravedere i Troll che vagano per le foreste e i campi. Quindi si consiglia la prudenza quando, specialmente all’imbrunire, ci si muove tra campi e foreste, non si sa mai cosa o chi si possa incontrare!

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APPLAUSI

Ai tempi, sarebbe stato percepito soltanto come la nota stonata nell’armonia perfetta. La brusca interruzione di una rappresentazione pensata e progettata per scivolare unicamente sui binari di un percorso immutabile. Poi, l’applauso ha preso il sopravvento su tutto e tutti. Roba che al giorno d’oggi farebbe impallidire pure Sofocle o Eschilo, pilastri della tragedia da cui Sicilia e siciliani hanno attinto riti ed usanze che ne hanno segnato la storia. Da quella del teatro a quella d’ogni giorno.

Vero è che il primo battito di mani “a scopo comunicativo” risale all’antichità, ma l’evoluzione del meccanismo, col passar dei secoli, ha portato ad un’invasione praticamente assoluta nella vita di tutti. Perché se con gli anni l’inconfondibile suono s’è fatto routine quando di mezzo c’è un concerto, un’assemblea, un comizio o un compleanno, proprio nella routine sta rientrando anche nel corso di eventi di rilievo emotivo ben diverso. Prendete un funerale: proprio così, la cerimonia per l’ultimo saluto a una persona cara. È qui, probabilmente, che l’applauso sembra raggiungere la massima espressione di disarmonia e, sotto diversi aspetti, anche di conflitto, rispetto alla circostanza in cui si sviluppa. Ma, allo stesso tempo, il simbolo più crudo ed eloquente di un sempre più netto assalto, nella vita d’ogni giorno, delle consuetudinitipo della società della comunicazione. C’è davvero poco su cui controbattere: dagli applausi viviamo circondati, degli applausi siamo spettatori e, spesso, dagli applausi siamo anche ossessionati. Quando non avviene nella vita d’ogni giorno, negli eventi che ci coinvolgono in prima persona, non basta che accendere il televisore. In quella scatola parlante l’applauso si fonde alla perfezione con l’immagine. E se in radio rappresenta un elemento episodico,

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come un’improvvisa folata di vento, nel piccolo schermo ha il potere di farsi “fenomeno ossessivo”, sottofondo così forte da sembrare ininterrotto. Un po’ come il pubblico negli studi televisivi: ne scorgiamo solo le gambe e le mani che applaudono sfocate, spesso alle spalle dei conduttori. La stagione 1983-‘84, quella dello “sbarco” in tv di “Drive In” (trasmesso su Italia uno), ha permesso l’applicazione di un modello produttivo che ha in un certo senso riunito il congegno dell’applauso e quello della risata. Due azioni in un unico processo, che trasformò il tutto in qualcosa di molto simile a uno spot pubblicitario. Il pubblico rideva alle battute dei comici, ma l’effettoimmedesimazione da parte dei telespettatori, era figlio “dell’applauso registrato – come si legge su Repubblica – che giungeva da un nulla fintamente equidistante e credibile perché invisibile, asettico, il nulla amplificato dal fantasma dell’immagine. E i ragazzi intorno al comico di “Drive In” erano espressioni totali del regno dell’accettazione svelato dalle nostre esistenze”. Quella di applaudire al termine dei funerali è un’abitudine che nella nostra società si è diffusa soltanto negli ultimi decenni. Durante quelli del recente addio alla sceneggiatrice Suso Cecchi D’Amico, i familiari hanno chiesto ed ottenuto dai presenti soltanto il silenzio. Un modo per “strappare il ricordo – come scrive Giorgio Falco su Repubblica – alla tirannia dell’applauso, farli evadere dalla gabbia del consenso, per vivere attraverso il nostro sguardo”. Per tornare ad essere attori, non solo spettatori.


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9 colonne 9 colonnE perchè

9 colonne come in gergo viene definito il formato tradizionale dei quotidiani/giornali 9 sono le province siciliane 9 sono i giovani siciliani che da questo numero ci accompagneranno, si racconteranno e racconteranno di una Sicilia di cui sono il futuro...9 colonne appunto.

9xnove Agrigento

9xnove Agrigento

Potere scrivere della provincia nella quale vivo, ovvero Agrigento, è una grande opportunità che MagMagazine mi offre. Spero di rendere un buon servizio a questa rivista che apprezzo già dalla sua prima uscita. Seppur giovane , mi sono occupata della vita sociale del mio paese e quindi né conosco le potenzialità e i problemi. Sarò attenta e seguirò le argomentazioni che la redazione mi darà nel rispetto della veridicità dei fatti. Io sono pronta. Caltanissetta

9xnove

caltanissetta Ecco questa sì che è una opportunità, raccontare i fatti della mia provincia Caltanissetta. Ma non solo. Approfondirò gli argomenti che la redazione di MagMagazine mi suggerirà il tutto con imparziale lucidità.

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Io sono una giovane studentessa e starò molto attenta ai fatti che riguardano soprattutto noi giovani Di provincia, non abituati alle problematiche delle grandi città. Spero di essere all’altezza del compito che MagMagazine mi ha affidato.

9xnove catania

Scuola, musica, cinema, problemi sociali, verde pubblico e tanto altro ancora; saranno questi gli argomenti della rubrica che andiamo di seguito ad introdurvi. L’obbiettivo prefissato dalla redazione è quello di coinvolgere i lettori sui fatti accaduti, a cadenza bimestrale, in Sicilia. Dato il numero di province dell’isola -noveovvero, lo stesso numero di colonne che occupavano le pagine dei quotidiani di un tempo, sembra essere di facile risoluzione il rebus legato al nome della rubrica in questione. Quale? Beh, semplice: “Nove Colonne”.

Le news, dunque, riguarderanno in ordine, rigorosamente alfabetico: Agrigento, Caltanissetta, Catania, Enna, Messina, Palermo, Ragusa, Siracusa e Trapani. L’argomento, poi, rigorosamente diverso di numero in numero, al fine di attirare alla lettura un pubblico quanto più vasto possibile, sarà scelto dalla direzione. Passando al mio compito personale, sarò impegnato nella battitura di notizie, esclusivamente, riguardanti la provincia di Catania. Sicuramente ci sarà tanto da scrivere sul capoluogo etneo, spesso criticato, e, forse, troppo raramente preso ad esempio in ottica positiva. L’ipercriticismo è senza dubbio una delle doti migliori – o peggiori, a seconda di come la si vuol vedere – dello stereotipo del cittadino catanese. Sarà mio dovere cercare di esaminare le varie situazioni, i vari argomenti assegnatimi, mantenendomi appena qualche centimetro al di sopra delle parti, in modo da poter evitare eventuali

Catania


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Le Province viste da

giornalisti in erba parzialità. Nient’altro da dire in proposito, quindi, chiudendola magari con il più classico dei: “chi vivrà, vedrà”, augurandovi, naturalmente, una piacevole lettura. Simone Toninato

9xnove enna

Enna

L’idea di poter scrivere su un magazine mi emoziona tantissimo, la possibilità di scrivere della mia provincia su una rivista a tiratura regionale è una bellissima occasione. A casa mia la carta stampata ha sempre avuto una presenza importante, mio nonno i giornali li costruiva dapprima con i caratteri mobili e poi con la linotype, lui è un artigiano della parola per più di 40 anni ha costruito carta stampata, riviste, libri e comunicazione, un compositore di parole; mio padre ha seguito per poco le sue orme, l’ha aiutato con i primi programmi di videoscrittura quando i primi computer con la mela avevano

un monitor grande quanto quello dei più moderni telefonini della medesima casa produttrice. Nella mia provincia ci sono pochissimi “giornali”, non esiste un quotidiano della nostra provincia, gli avvenimenti vengono riportati nelle pagine interne dei più diffusi quotidiani regionali, con edizioni provinciali, alcuni “fogli” a diffusione provinciale danno poi voce agli eventi previsti e al malcontento dei cittadini. Manca però un “Mag” una cornice che dia risalto a ciò che di bello c’è nella mia provincia, a quanto bello è possibile trovare nei boschi che circondano i mosaici di Piazza Armerina, a quanta storia c’è nel tempio di Cerere che dall’alto proteggeva le sue messi o alla realizzazione di quanto vera fosse la definizione di Henna –“urbs inexpugnabilis” dove nelle giornate terse è possibile vedere due mari. Spero che Mag mi dia l’opportunità di scrivere delle iniziative del territorio, di ciò che accade nelle

scuole, di come vivono gli universitari che frequentano la nostra università e abitano il nostro territorio, del Teatro di Enna rimasto chiuso per un decennio e adesso in attesa di attori e musicisti, dell’autodromo, intorno al mitico lago di Pergusa, che spero ritorni spazio per motori rombanti e non solo per runners e i ciclisti che ogni giorno continuano fortunatamente a tenerlo vivo.

9xnove messina

Mi chiamo Amitt Darimdur sono nato a Messina il 18 Maggio del 1991 da genitori stranieri e anche se di carnagione scura posso affermare di essere cittadino italiano a tutti gli effetti. Non ho mai avuto né danni a livello morale né fisico, anche se,come in altre regione, ho vissuto in prima persona atti di razzismo e bullismo ma, la Sicilia ha un enorme vantaggio: offrire e insegnare, ricordiamoci

Messina


Siracusa

che abbiamo un volto solo grazie a civiltà straniere e avere un spazio su Mag, per una giovane “colonna” messinese, significa poter esprimere la propria opinione e sottoporla all’attenzione comune dei lettori.

9xnove palermo

Palermo

Ragusa

La lampadina si accende. Il giovane ha avuto un’illuminazione e non ha nessuna voglia di lasciare che si consumi fra le pareti della sua stanza. Tuttavia ci vogliono i mezzi, per portare la luce di quella lampadina a rischiarare altre camere di altre città. Un mezzo, per me e per molti miei coetanei, è internet. Io, per esempio, sotto lo pseudonimo di BolidiSolidi, realizzo su YouTube video a sfondo sociale su Palermo. MAG ci offre ora la possibilità di esprimerci su carta. Perché si sa, sul web si va sempre di fretta. Gianluca Scaglione

9xnove ragusa

Parlare della mia provincia, quella di Ragusa, mi emoziona tanto. Quando MagMagazine mi ha proposto questo progetto, ho accettato subito. Una sorta di sfida con me stessa. Vi racconterò dei problemi, ma anche di notizie posi-

tive, di cinema, di musica e perché no anche di sport. Non mancherà qualche argomento dedicato alle donne, al sociale e alla scuola. Tutto sarà scritto con la mia visione delle cose, ovvero una ragazza che per la prima volta si accinge a quella che forse domani diventerà la mia professione.

9xnove siracusa

Mi presento,mi chiamo Silvia e vengo dalla provincia di Siracusa, ho vent’anni e sono una studentessa dell’Università di Catania,quindi si può dire che mi divido tra la realtà della mia provincia e quella della vicina provincia catanese e,come spesso succede alla stragrande maggioranza degli studenti universitari, a volte conciliare il tutto risulta un po’ complicato. Grazie a Mag,a noi ragazzi è stata data questa bella ed interessante opportunità di poter raccontare la nostra quotidianità,ciascuno nella realtà provinciale a cui appartiene. La trovo una bella cosa perché ho sempre creduto molto importante poter dar spazio anche a noi giovani. Poter avere la voce per raccontare ciò che vediamo,sentiamo e viviamo giorno per giorno nella nostra bellissima Isola,e poter portare la nostra visione della Sicilia negli occhi di chi può leggerci.

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La notizia vista con gli occhi di una giornalista in erba. E’ questo il compito che mi ha affidato la redazione di Mag Magazine e che ho accolto con tanto entusiasmo. Mi occuperò dei problemi della mia provincia per questa nuova rubrica che si intitola 9 colonne, proprio come il vecchio formato dei quotidiani. “Il lenzuolo“, così lo chiamano ancora i vecchi cronisti. E 9 oltretutto sono le province siciliane. Io mi occuperò della provincia di Trapani, dove vivo. Dunque vi farò conoscere i problemi della mia provincia, ma vi racconterò anche degli aspetti positivi che insitono ed esistono qui. Ragionerò su argomenti di attualità: il lavoro, la scuola, le infrastrutture, il sociale; vi farò scoprire le bellezze naturalistiche della provincia di Trapani: la costa, le riserve, le colline, i paesi, piccoli e grandi. Non mancherà di certo il gioco, lo svago, la musica, il cinema. Non essendo una giornalista professionista, mi impegnerò affinché tutto quello che scrivo sia verificato e verificabile, e con l’aiuto della redazione spero di essere sempre in grado di fornirvi l’obiettività e la concretezza della notizia.

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Parchi e d’intorni

Parco Fluviale Con l’istituzione nel 2001 dell’Ente Parco Fluviale dell’Alcantara si è voluto salvaguardare, gestire, conservare e difendere il paesaggio e l’ambiente naturale della valle dell’omonimo fiume “per consentire migliori condizioni di abitabilità nell’ambito dello sviluppo dell’economia e di un corretto assetto dei territori interessati, per la ricreazione e la cultura dei cittadini e l’uso sociale e pubblico dei beni stessi, nonché per scopi scientifici”.

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’Alcantara nasce da una serie di piccole sorgenti sui monti Nebrodi, nei pressi di Floresta, ad un altitudine di circa 1.250 metri e dopo aver attraversato la valle per circa 50 km, le preziose acque si riversano in mare mescolandosi allo Jonio in prossimità delle rovine dell’antica città di Naxos. Il fiume, scorrendo ed erodendo il duro basalto vulcanico, ha creato, in alcuni tratti, pareti verticali conosciute come “gole”, portando alla luce il cuore delle colate laviche. Il visitatore potrà ammirare le spettacolari morfologie prismatiche dei basalti colonnari, vere e proprie sculture na-


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dell’ alcantara turali. Di vario spessore e differentemente orientati, i prismi basaltici assumono forme curiose: da allineate canne d’organo ad eleganti ventagli o ancora cataste di legna. Lungo l’intero corso dell’Alcantara sono ancora visibili i resti di alcuni dei numerosi ponti edificati, a testimonianza dell’importanza strategica del fiume nel collegamento tra la costa jonica e quella tirrenica. Il paesaggio vegetale della Valle è dominato da ricche campagne coltivate con alberi da frutto, un paesaggio “colturale” che è anche “culturale”: lungo le rive, l’ambiente è integro e naturale. Numerosi sono i boschetti ripariali formati da salici (bianco,

pedicellato e l’endemico di Gussone), frassini, pioppi bianchi e neri; qualche sporadico leccio e soprattutto, per l’importanza ecologica che rivestono, rari platani orientali ormai reperibili, in Sicilia, solo nei corsi d’acqua della parte orientale. Le acque del fiume, fredde e limpide, sono popolate da una ricca varietà di specie acquatiche, galleggianti o radicate, soprattutto nei tratti in cui esse scorrono tranquille come nelle gurne, laghetti circolari scavati nelle colate laviche: tra le specie degne di nota il ranuncolo a pennello, pianta tipica dei freddi corsi d’acqua del nord dell’Europa e che in Sicilia si rinviene solo nell’Alcantara e nel Fiumefreddo.


Dove il greto del fiume diventa ciottoloso crescono numerosi cespugli di tamerici, oleandri e ginestre. Nelle acque nuotano varie specie di pesci, come la trota, la carpa, la tinca e, nel tratto terminale, le anguille.Talvolta sulle rocce laviche, scaldate dal sole, si possono sorprendere le bisce dal collare oppure, tra la vegetazione, il coloratissimo colubro leopardino. Nelle zone pianeggianti è possibile osservare i volteggi delle poiane o dei gheppi.

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l Parco ricade nel territorio di 12 Comuni, ubicati tra le province di Messina e di Catania. L’itinerario alla scoperta della Valle e dei Comuni del Parco dell’Alcantara inizia da Giardini Naxos, rinomata stazione balneare e prima colonia greca di Sicilia. Sul promontorio di Capo Schisò, originatosi in seguito ad una colata lavica, i primi coloni calcidesi, guidati da Teocle, fondarono nel 734 a.C. Naxos, la più antica colonia greca della Sicilia. E’ poi possibile raggiungere Taormina, centro di fama internazionale, per una per una visita alla cittadina ed ai numerosi luoghi da visitare, dal Teatro Greco (che da anni ospita eventi culturali di livello internazionale) a Palazzo Corvaja, lungo il Corso Umberto. Continuando lungo la S.S. 185, rinveniamo sulla sponda destra del fiume Calatabiano ed il suo Castello, di matrice araba, che domina maestosamente la vallata. Il nome della cittadina deriva dall’arabo Qalat-Bian che significa Castello di Biano. L’antico borgo, circondato dai resti delle possenti mura di cinta, è accessibile attraverso una bellissima strada a gradoni in pietra che si sviluppa ad andamento sinuoso nella campagna di ficodindia, mandorli e ulivi, e che nei giorni della festa (il sabato antecedente la terza domenica di maggio) del Santo Protettore di Calatabiano, San Filippo Siriaco, viene percorsa vertiginosamente dai fedeli con il fercolo del santo a spalla. Continuando la risalita lungo il fiume incontriamo Gaggi, che ha legato il suo nome alle acque che gli scorrono attorno (il suo nome trae origine dall’arabo Karigi ovvero canale d’acqua). Per gli appassionati della storia, meta obbligatoria il Borgo Antico di Cavallaro, caratterizzato dalle case rurali e dalla pavimentazione in pietra lavica.Percorrendo la statale, poco più avanti incontriamo Graniti. Pare che il suo nome tragga origine dall’arabo “ain” (fonte) trasformatosi, a

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poco a poco, in Graniti; secondo altra tesi, invece, pare che il nome provenga da “granito”, dai grossi massi granitici, sui quali è costruita la Chiesa Matrice dedicata a San Basilio Magno Tra le mete da visitare, di rilevante interesse naturalistico, da non perdere una visita alla Pineta, bosco non naturale di pino domestico, pino marittimo e pino d’Aleppo.

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roseguendo il nostro itinerario alla scoperta dei Comuni dell’Alcantara appare Motta Camastra, incastonato nella roccia come un presepe, dal cui belvedere è possibile ammirare la maestosità della valle dell’Alcantara. Da non perdere una visita alla famose Gole: lungo le pareti scoscese l’acqua, nel corso di migliaia di anni si è insinuata nella roccia lavica, levigandola, scavandola ed erodendola. Il risultato è un paesaggio mozzafiato, unico ed irripetibile, figlio dell’acqua e del fuoco. Proseguendo il nostro cammino ed arrivando a Francavilla di Sicilia, sede amministrativa dell’Ente Parco, continuiamo il nostro itinerario con una visita al cinquecentesco Convento dei Cappuccini. E’ possibile visitare i locali legati alla vita quotidiana dei frati, come le celle, la cucina ed il refettorio. La parte decisamente piu’ interessante e’ la Cappella gentilizia dei Ruffo-Balsamo contenente, tra l’altro, uno spettacolare altare ligneo decorato con intarsi.Per gli amanti degli itinerari naturalistici si segnala invece il sentiero natura “Le gurne dell’Alcantara”, con ingresso da Piazza S. Francesco, dove è possibile una escursione lungo il percorso attrezzato. Sul versante opposto troviamo invece Castiglione di Sicilia, sede del Centro di Ricerca ed Educazione Ambientale sugli ecosistemi fluviali. Nel suo territorio, ricco di storia e monumenti da visitare, si trova la “Cuba” bizantina di Santa Domenica, edificata tra il VII e VIII d.C. e recentemente restaurata.



Parchi e d’intorni Enogastronomia Oltre alle ricchezze naturalistiche e architettoniche, i paesi della Valle offrono al visitatore numerosi percorsi enogastronomici e sagre dei diversi prodotti tipici locali. A Randazzo e Castiglione di Sicilia, “Città del vino”, è possibile degustare degli ottimi vini D.O.C. prodotti da uve autoctone come il nerello mascalese. Le pesche di Mojo Alcantara, le ciliegie di Graniti, le noci di Motta Camastra, le nespole di Calatabiano, i piatti della cucina contadina come i maccheroni, le carni alla brace, i dolci a base di mandorle, noci e nocciole, accompagnano il visitatore alla ricerca dei saperi e dei sapori dell’Alcantara.

Artigianato Negli angoli più caratteristici dei centri storici è ancora possibile scorgere artigiani o ricamatrici, nelle botteghe o nell’atrio delle proprie abitazioni, intenti nel loro minuzioso lavoro; lungo il percorso del fiume numerosi sono i trappeti, impianti nei quali anticamente gli animali spingevano le gigantesche macine che frantumavano le olive per l’estrazione dell’olio, che nella Valle dell’Alcantara continua a presentare ottime qualità organolettiche.

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Lungo le rive del fiume è possibile ammirare i resti di un ponte arabo e la chiesetta di San Nicola. Risalendo ancora il corso del fiume, si raggiungono Mojo Alcantara e Malvagna, centri agricoli ricchi di testimonianze storiche ed etnoantropologiche. A Malvagna è possibile ammirare i resti del Convento dei Minori Riformati di San Giuseppe, risalenti al XVIII secolo. Nei pressi di Mojo è possibile effettuare un’escursione lungo il sentiero che porta all’antico conetto vulcanico eccentrico: i rossastri materiali piroclastici ci fanno immaginare le spettacolari esplosioni che hanno interessato anticamente la zona. Roccella Valdemone, l’antica Auricella, è collocata ai piedi della punta di Castelluzzo, presso il Pizzo Croce Mancina, che permette delle interessanti escursioni sotto il profilo naturalistico. Si arriva infine a Randazzo, che col fascino delle sue antiche opere d’arte, chiese, vecchi palazzi, musei che ospitano resti archeologici di gran valore, con le sue strade ed i suoi vicoli in pietra lavica, è una vera e propria perla architettonica ed ambientale, incastonata nel cuore di un territorio spettacolare, reso unico dalla presenza tre Parchi (Alcantara, Etna e Nebrodi). Di notevole interesse architettonico la Chiesa di S. Maria, che racchiude tre maestosi absidi , la Chiesa di S. Nicolò, che conserva numerose opere di scuola gaginesca e la Chiesa di S. Martino, al cui interno è possibile ammirare la preziosa acquasantiera.

Tradizioni Religiose I Comuni dell’Alcantara possiedono un ricco patrimonio di tradizioni religiose: momenti esaltanti possono essere vissuti durante la tradizionale “Calata di S. Filippo”, in programma ogni anno a Calatabiano nella terza domenica di maggio. Il Simulacro del Santo viene portato a spalla di corsa dal castello fino al paese. Da non perdere a Randazzo la processione della “Vara”, dedicata alla compatrona della Città, Maria SS. Assunta. La “Vara” è un carro allegorico-trionfale, alto quasi 20 metri, che rappresenta, su diversi piani sovrapposti, ruotanti attorno ad un asse centrale, i Misteri mariani della Morte, Assunzione e Incoronazione.


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Fauna Il fiume Alcantara, al termine del suo scorrere tra gurne, salti e cascate, sfocia nel mar Jonio. Lungo la foce il corso d’acqua è dominio incontrastato di numerose specie animali, soprattutto volatili. Durante i transiti migratori, dal 1984 ad oggi sono state censite oltre 90 specie di uccelli, tra cui l’Airone cinerino, la Garzetta, il Tarabusino.

Flora I diversi fattori ecologi (larghezza dell’alveo, continua disponibilità d’acqua, morfologia, ecc..) permettono la presenza di diverse ed importanti specie della flora mediterranea. Particolarmente rilevante la ricca flora ripariale (lungo l’Alcantara si rinvengono le uniche stazioni siciliane dell’ontano nero) mentre le acque del fiume sono impreziosite da specie acquatiche sia radicate che galleggianti: il ranuncolo a pennello e la lenticchia d’acqua. Il ranuncolo a pennello è una pianta idrofita perenne che vive in acque fredde. Con le sue spettacolari fioriture a tappeto, è la prima tra le piante della palude ad annunciare l’avvento della bella stagione.

NUMERI UTILI ENTE PARCO FLUVIALE DELL’ALCANTARA Sede Legale Via dei Mulini - 98034 Francavilla di Sicilia (Messina) Tel. 0942/989911 - Fax. 0942/981038 E-mail: info@parcoalcantara.it Sito www.parcoalcantara.it Centro di educazione ambientale Piazza del Carmine n°5 - 95012 Castiglione di Sicilia (Catania) Centro Visite Parco dei Parchi Via Umberto, n°197 - 95036 Randazzo (Catania) Tel.0942/7991611

Palazzo Corvaja - 98039 Taormina (Messina) Tel.0942/24564


Moda

di Chiara Celona

Moda

autunno inverno: le tendenze per la nuova stagione

Ispirazioni retrò, trasparenze, pellicce, toni caldi, eleganza maschile e molto altro. La moda per l’autunno/ inverno 2010-11 ha già dettato le sue tendenze e parla di uno stile bon ton ed essenziale, ma solo in apparenza. Le linee più classiche si modernizzano attraverso l’utilizzo di tessuti inaspettati e anche negli abbinamenti si gioca a scoprire nuove sinergie, armonie e contrasti.Vediamo allora, in una veloce carrellata, quali sono i principali trend per la stagione fredda appena iniziata

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Louis Vuitton

Louis Vuitton

‘50

La moda, si sa, soffre spesso di nostalgia. Sarà colpa della crisi se, quest’inverno, gli stilisti hanno frugato più del solito nei vecchi cassetti? Ovviamente, però, tutto quello che nella moda sembra ritornare, non ritorna mai esattamente com’era, ma si tinge di ispirazioni contemporanee e di nuove contaminazioni. Marc Jacobs per Louis Vuitton suggerisce ad esempio un’atmosfera anni ’50, con corsetti che enfatizzano scollature abbondanti, gonne a corolla, strizzate in vita da sottili cinturini, giacche corte e modellate, guanti. Le ampie gonne trovano nel tessuto in pelle il perfetto compromesso fra un’allure d’altri tempi ed un gusto più metropolitano.

Color

Cammello Un altro diktat per le modaiole è quest’anno il cappotto color cammello o, comunque, almeno un capo del vostro nuovo guardaroba in questa tonalità. Elegante, versatile e luminoso, il color cammello si è visto tantissimo in passerella, sia interpretato in un total look, sia abbinato al color jeans, al bianco e ai tessuti in pelle, soprattutto nera. Gianfranco Ferrè propone accostamenti fra le diverse gradazioni di colore ed enfatizza gli accessori, mentre Les Copains gioca ad far incontrare la maglieria color cammello con leggings d’ispirazione fetish. Ferrè

Les Copains

Linee maschili

Hèrmes

Hèrmes

La donna dell’autunno/inverno 2010-11 ama le contraddizioni e passa da abiti ultra corti, trasparenti e molto femminili ad uno stile essenziale e lineare, creato rubando e rivisitando capi del guardaroba maschile. Hèrmes suggerisce linee pulite e strutturate, cappotti dal taglio dritto in cashmere e lana, che nascondono però giacche e gilet sagomati, gonne corte, pantaloni a sigaretta. Gli accessori, very British, sono il colpo ad effetto di tutta la collezione: bombette o cilindri, cravatte, guanti, il tutto enfatizzato da tacchi altissimi. Insomma, il suggerimento è di lasciarsi tentare da qualche capo o accessorio maschile, ma senza mai rinunciare del tutto alla femminilità che, per contrasto, risulterà alla fine esaltata.


Moda

Pelliccia…

meglio se ecologica Cappotti, manicotti, stivali, borse, stole: quest’anno la pelliccia non ha risparmiato praticamente nessuno dei capi e degli accessori del guardaroba. Chanel ha sfilato a Parigi con una collezione a prova di freddo, che ha mostrato modelle “impellicciate” da capo a piedi o gli storici tailleur della maison rivisitati con applicazioni di fasce di pelliccia. Pellicce tutte rigorosamente sintetiche: un messaggio che piace, soprattutto perché arriva da un marchio di lusso, di quelli che davvero fanno la moda, senza badare a spese. Gli accessori si sono fatti notare, sia per l’imponenza degli stivali, interamente ricoperti di pelliccia, che per il glamour fiabesco della piccola borsetta a forma di cubo ghiacciato, con sottile tracolla a catena ricoperta, ovviamente, di pelliccia!

Blumarine

Animalier

Chanel

Chanel

Usate, abusate e spesso, conseguentemente, bistrattate, le stampe animalier fanno con prepotenza il loro ritorno sulle passerelle della moda autunno/ inverno e non temono nemmeno accostamenti stravaganti, come quelli con i pois o con il pizzo nero, proposti da Dolce&Gabbana. Anna Molinari per Blumarine suggerisce invece un vero e proprio “savana style”, che non contagia solo i tessuti, ma detta legge anche nel taglio degli abiti, arricchiti da frange su gonne e polsini. Complice di una ritrovata eleganza, l’animalier tinge anche gli accessori, dalle borse agli ombrelli, fino alle scarpe, per chi voglia interpretare la tendenza con più sobrietà.

Louis Vuitton bag Chanel

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Personaggi di Elena Di Dio

L’arte della gioia

Goliarda Sapienza

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ienza Goliarda Sapa, è è una donn Goliarda un’amante. è una è un’attrice, è anche scrittrice, mate di un’insegnan recitazione.

Goliarda è ladra. Goliarda è pazza. Goliarda è libera. Ecco Goliarda Sapienza è una donna libera. Libera dagli schemi sociali. Libera dalle costrizioni morali. Goliarda ama sentirsi libera. Persino dagli obblighi, dalla disciplina della scrittura che tanta fortuna, solo postuma, maledetta fortuna postuma, le ha dato la scrittura. Più la scrittura che l’arte della recitazione. Di tutto questo, di tutto questo etichettamento di capacità e talenti espressivi, Goliarda Sapienza non avrebbe voluto sentirne. Probabilmente. Non avrebbe cioè tollerato l’imbrigliamento in aggettivi. La schematizzazione in concetti della sua vita. Non arte. Non capacità creativa. Quanto vita. Non è un caso che una personalità così svincolata dai pre-giudizi sociali abbia avuto un riconoscimento della propria specialità in Francia e non in Italia. Addirittura in Germania prima ancora che in Francia facendo diventare il suo libro più noto “L’art de la Joie” un caso letterario in questo angolo di Europa intellettuale.


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“Un matin, l’éditrice allemande, Madame Waltraud Schwarze, nous appelle pour nous recommander de lire cet Art de la Joie dont nous n’avions jamais entendu parler”. Jule Galante della casa editrice Viviene Hamy di Parigi spiega con candore l’approccio con questo scritto di Goliarda-Modesta Sapienza. Un romanzo, con molti spunti autobiografici nel testo, che nella critica francese farà della scrittrice catanese un’eroina moderna. Morta nel 1996 e cresciuta alla corte di due genitori “poco ortodossi”, Goliarda ha respirato l’antifascismo, il socialismo militante, la gratuità del servizio ai poveri come faceva l’avvocato Giuseppe Sapienza, impegnato a difendere pro bono, molti dei suoi clienti, e l’impegno sui diritti dei lavoratori come la madre Maria Giudice impresse nella sua vita. La Giudice fu la prima sindacalista donna a capo della Camera del Lavoro di Torino quando ancora le donne a malapena, in Sicilia, uscivano sole di casa. Personalità forti, fuori dalle convenzioni, Giuseppe e Maria unirono le proprie famiglie creando un vero e proprio clan, rifiutarono per Goliarda l’educazione statale per non imporle alcun condizionamento esterno e la educarono in casa. Con questo, probabilmente, condizionandone la crescita esplosa per contrasto all’impegno pubblico dei genitori. Goliarda infatti è donna creativa che si dedica alle arti. E che vive una vita travagliatissima: additata come ladra per aver sottratto in casa di una ricca amica. Lei stessa raccontò i motivi del suo gesto: “L’ho fatto per rabbia. Lei era molto ricca, io diventavo sempre più povera. Magari mi invitava nei ristoranti più cari, ma mi rifiutava le centomila lire che mi servivano per il mio libro. Le ho rubato i gioielli anche per metterla alla prova, ma ero sicura che mi avrebbe denunciato”. Il suo libro è proprio L’Arte della Gioia, che prima di conquistare il pubblico italiano ha raggiunto e innamorato i francesi. “Un giorno - spiega la dirigente della casa editrice

francese che ha raggiunto le 110 mila copie vendute – l’editore tedesca Waltraud Schwarze, ci chiamò per raccomandarci di leggere l’Arte della Gioia, di cui non avevamo mai sentito parlare”. E continua: “Dans l’urgence de l’enthousiasme, nous demandons à notre traductrice Nathalie Castagné de traduire les 50 premières pages. Dans les 48 heures, nous achetions les droits de publications en France, et commençions à travailler avec frénésie : nous avions un chef d’œuvre entre les mains ! Les premiers libraires français qui l’ont lu sont tombés amoureux du texte, fascinés, et l’ont recommandé avec force et joie à leurs clients. Quelques jours après parution du livre, il fallait réimprimer, le succès commençait. (Con entusiasmo, chiedemmo alla nostra traduttrice Nathalie Castagné di tradurre le prime 50 pagine. In quarant’otto ore, acquistammo i diritti della pubblicazione e cominciammo a lavorare con frenesia. I primi librai francesi che l’hanno letto se ne sono innamorati e affascinati, lo hanno raccomandato con forza e gioia ai loro clienti. Qualche giorno dopo la prima diffusione del libro, è stato ristampato, dando il via ad un successo editoriale)”. Solo nel 2000 l’Arte della Gioia, il libro che ha fatto di Goliarda il corrispettivo femminile di Giuseppe Tomasi di Lampedusa per i critici francesi, fu stampato da Stampa Alternativa in Italia e addirittura solo nel 2008 pubblicato da Einaudi. Legata sentimentalmente al regista Citto Maselli, che ne celebra ancora oggi la dirompenza creativa e la fragilità psicologica (alterata anche dalle cure psichiatriche e dall’elettrochoc a cui fu sottoposta negli anni della giovinezza), Goliarda sposa però lo scrittore Angelo Pellegrino. Che come Maselli ne preconizzava il successo. Ma in qualche modo anche questa stra-ordinaria autrice catanese, sapeva del clamore che avrebbe suscitato. Tre giorni prima di morire disse ad un conoscente: “Sai come sono fatta, è possibile che scompaia per un po’ per poi tornare all’improvviso”.


Libri Recensioni di Giulio Giallombardo

NARRATIVA Accabadora - Premio Campiello 2010

NARRATIVA La solitudine dei numeri primi

Perché Maria sia finita a vivere in casa di Bonaria Urrai, è un mistero che a Soreni si fa fatica a comprendere. La vecchia e la bambina camminano per le strade del paese seguite da uno strascico di commenti malevoli, eppure è così semplice: Tzia Bonaria ha preso Maria con sé, la farà crescere e ne farà la sua erede, chiedendole in cambio la presenza e la cura per quando sarà lei ad averne bisogno. Quarta figlia femmina di madre vedova, Maria è abituata a pensarsi, lei per prima, come “l’ultima”. Per questo non finiscono di sorprenderla il rispetto e le attenzioni della vecchia sarta del paese, che le ha offerto una casa e un futuro, ma soprattutto la lascia vivere e non sembra desiderare niente al posto suo. “Tutt’a un tratto era come se fosse stato sempre così, anima e fili’e anima, un modo meno colpevole di essere madre e figlia”. Eppure c’è qualcosa in questa vecchia vestita di nero e nei suoi silenzi lunghi, c’è un’aura misteriosa che l’accompagna, insieme a quell’ombra di spavento che accende negli occhi di chi la incontra. Ci sono uscite notturne che Maria intercetta ma non capisce, e una sapienza quasi millenaria riguardo alle cose della vita e della morte. Quello che tutti sanno e che Maria non immagina, è che Tzia Bonaria Urrai cuce gli abiti e conforta gli animi, conosce i sortilegi e le fatture, ma quando è necessario è pronta a entrare nelle case per portare una morte pietosa. Il suo è il gesto amorevole e finale dell’accabadora, l’ultima madre.

Alice è una bambina obbligata dal padre a frequentare la scuola di sci. È una mattina di nebbia fitta, lei non ha voglia, il latte della colazione le pesa sullo stomaco. Persa nella nebbia, staccata dai compagni, se la fa addosso. Umiliata, cerca di scendere, ma finisce fuori pista spezzandosi una gamba. Resta sola, incapace di muoversi, al fondo di un canale innevato, a domandarsi se i lupi ci sono anche in inverno. Mattia è un bambino molto intelligente, ma ha una gemella, Michela, ritardata. La presenza di Michela umilia Mattia di fronte ai suoi coetanei e per questo, la prima volta che un compagno di classe li invita entrambi alla sua festa, Mattia abbandona Michela nel parco, con la promessa che tornerà presto da lei. Questi due episodi iniziali, con le loro conseguenze irreversibili, saranno il marchio impresso a fuoco nelle vite di Alice e Mattia, adolescenti, giovani e infine adulti. Le loro esistenze si incroceranno, e si scopriranno strettamente uniti, eppure invincibilmente divisi. Come quei numeri speciali, che i matematici chiamano “primi gemelli”: due numeri primi vicini ma mai abbastanza per toccarsi davvero. Un romanzo d’esordio che alterna momenti di durezza e spietata tensione a scene rarefatte e di trattenuta emozione, di sconsolata tenerezza e di tenace speranza.

Accabadora Premio Campiello 2010 autore: Michela Murgia editore: Einaudi prezzo: € 18,00

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La solitudine dei numeri primi autore: Paolo Giordano editore: Mondadori prezzo: € 13,00


NARRATIVA L’ultima riga delle favole Tomàs è una persona come tante. E, come tante, crede poco in se stesso, subisce la vita ed è convinto di non possedere gli strumenti per cambiarla. Ma una sera si ritrova proiettato in un luogo sconosciuto che riaccende in lui quella scintilla di curiosità che langue in ogni essere umano. Incomincia così un viaggio simbolico che, attraverso una serie di incontri e di prove avventurose, lo condurrà alla scoperta del proprio talento e alla realizzazione dell’amore: prima dentro di sé e poi con gli altri. Con questa favola moderna che offre un messaggio e un massaggio di speranza, Massimo Gramellini si propone di rispondere alle domande che ci ossessionano fin dall’infanzia. Quale sia il senso del dolore. Se esista, e chi sia davvero, l’anima gemella. E in che modo la nostra vita di ogni giorno sia trasformabile dai sogni.

L’ultima riga delle favole autore: Massimo Gramellini editore: Longanesi prezzo: € 16,60 RAGAZZI Torneranno le quattro stagioni

autore: Mauro Corona editore: Mondadori - prezzo: € 16,00

I PIù LETTI

“Il tordo infilava il becco tra le stecche della gabbietta come per annusare l’aria di fuori. Voleva uscire. Chi è fatto per l’aria aperta non si rassegna a stare chiuso.” Mauro Corona racconta la natura per parlare del mondo di oggi e di noi, pieni di difficoltà e impuntature, pieni di risorse, ma anche di problemi che spesso ci siamo creati da soli. Come ha scritto Claudio Magris: “I suoi racconti hanno l’autorità della favola, in cui il meraviglioso si impone con assoluta semplicità, con l’evidenza del quotidiano”. Sono storie che parlano a grandi e bambini, storie di bullismo e prepotenza, di rapporto con la manualità e la creatività, ma anche storie d’amore e d’amicizia, storie di uomini e animali, sempre narrate con la voce senza tempo delle sue montagne. Età di lettura: da 11 anni. I love mini shopping • autore: Sophie Kinsella editore: Mondadori • prezzo: € 19,50 La caccia al tesoro • autore: Andrea Camilleri editore: Sellerio • prezzo: € 14,00 È una vita che ti aspetto • autore: Fabio Volo editore: Mondadori • prezzo: € 9,00 Mangia, prega, ama • autore: Elizabeth Gilbert editore: Rizzoli • prezzo: 18,50 Un giorno • autore: David Nicholls editore: Neri Pozza • prezzo: € 18,00

SAGGISTICA Terroni - Tutto quello che è stato fatto perché gli italiani del Sud diventasse “meridionali” Fratelli d’Italia... ma sarà poi vero? Perché, nel momento in cui ci si prepara a festeggiare i centocinquant’anni dall’Unità d’Italia, il conflitto tra Nord e Sud, fomentato Terroni - Tutto da forze politiche che lo quello che è stato utilizzano spesso come una fatto perché leva per catturare voti, pare gli italiani del aver superato il livello di Sud diventasse guardia. Pino Aprile, puglie“meridionali” se doc, interviene con verve autore: Pino Aprile polemica in un dibattito dai editore: Piemme toni sempre più accesi, per prezzo: € 17,50 fare il punto su una situazione che si trascina da anni, ma che di recente sembra essersi radicata in uno scontro di difficile composizione. Terroni è un libro sul Sud e per il Sud, la cui conclusione è che, se centocinquant’anni non sono stati sufficienti a risolvere il problema, vuol dire che non si è voluto risolverlo. SAGGISTICA I segreti del Vaticano Storie, luoghi, personaggi di un potere millenario Il termine “Vaticano” evoca immediatamente l’immagine dell’immensa piazza antistante la basilica di San Pietro e il monumentale colonnato che l’abbraccia. Tra i fedeli cattolici evoca anche I segreti del la finestra da cui il papa Vaticano benedice la folla festante. Storie, luoghi, Ma il Vaticano è molto di personaggi di un più. Stato di diritto tra i più potere millenario piccoli al mondo, minuscola autore: Corrado Augias città dentro la vasta città di editore: Mondadori Roma, di cui ha condiviso le prezzo: € 19,50 vicissitudini e di cui costituisce “l’altra faccia”, ha una lunghissima storia, ricca di chiaroscuri e di personaggi più o meno limpidi. E insieme a incredibili tesori artistici, custodisce nei suoi palazzi molti segreti legati a vicende antiche, recenti e contemporanee. Un tratto sembra legare, agli occhi dell’autore, tutto questo: la commistione fra cielo e terra, fra spiritualità e potere temporale, e il prezzo altissimo che la Chiesa cattolica, unica religione fattasi Stato, ha pagato e paga nel tentativo di conciliare due realtà difficilmente compatibili.

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Dischi di Paolo Turiaco

Al chiaro della Luna Rosa

Nicholas Rodney Drake Rangoon, 19 giugno 1948 Tanworth-in-Arden, 25 novembre 1974.

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Tanworth-in-Arden���������� è un paesino sperduto nella campagna inglese; in ottobre il cielo da quelle parti è spesso grigio e piove una pioggia leggera che ti fa compagnia nel lento andare della giornata: “ Sono i colori dell’anima” mi dice Nick, e mi conduce alla piccola chiesa in stile gotico che domina il paese. Mi mostra l’antico organo a canne del ‘500 che spesso si diletta a suonare e mi comincia a parlare di questo suo disco. Si chiama Pink Moon sta per uscire a breve, sarà molto corto, trenta minuti circa ma molto intimo e profondo: la dimensione unica di un viaggio senza gloria per un artista solitario e introverso. È lo specchio che riflette l’immagine sbiadita di un uomo insoddisfatto dai tempi, chiuso nel proprio essere: “…l’ho registrato in soli due giorni, solo con la mia chitarra, la voce e un accenno di pianoforte, senza alcun arrangiamento”. Mi racconta di composizioni fragili e intense, che parlano di riflessioni, ove si trasmette una sensazione di arrendevolezza alle avversità della vita. Da li a pochi giorni Nick si sarebbe definitivamente arreso e avrebbe lasciato questa terra…nel solito silenzio che l’ha contraddistinto.

Pink Moon è un simbolismo inquietante, per i cinesi è presagio di sciagura. La musica è una tristezza infinita che canta la solitudine. Please to be parla della gioventù e i rintocchi della chitarra acustica sembrano scandire i minuti del tempo che corrono inesorabilmente. From the morning è l’Alba del giorno, la speranza del nuovo giorno, la speranza del domani. Things behind the suns è il capolavoro assoluto; è la verità che non poteva essere taciuta. Qui si sente la necessità dell’artista di condividere con gli altri le proprie paure, le proprie emozioni e la voce diventa struggente: “…Puoi idre che il sole sta splendendo, se proprio vuoi. Io vedo la luna e mi sembra così chiara. Puoi prendere la strada che conduce alle stelle, io prenderò la strada per comprendere me stesso.” (Road). Più di una volta, dopo la morte di Nick, l’organista della chiesa ha accompagnato il coro con un recital delle sua canzoni. Spesso uno spettacolo commovente, pacificante come è stata la breve vita di Nick Drake. Ai giorni nostri, quando ascoltiamo una chitarra che accompagna una voce, non esitiamo a paragonarlo a questo grande scrittore e poeta, ma ogni paragone, per fortuna, è sempre improprio: la verità è scritta nel tempo.



Cinema di Gaspare Urso

Il mare di Joe documentario Incontro Oggi, quarant’anni di esperienza tra gli scogli di Marettimo, un centro in provincia di Trapani, le petroliere, e la pesca tra la California e il fiume Naknek Kvichak a Bristol Bay in Alaska sono diventati i protagonisti di un documentario, “Il mare di Joe”, di Enzo Incontro e Marco Mensa, che sta facendo incetta di premi in tutto il mondo “battendo” colossi come “National geographic”. In 59 minuti, Incontro, direttore dell’area marina protetta del Plemmirio, a Siracusa, racconta come generazioni di pescatori siciliani siano diventati delle “leggende” della pesca al salmone. E lo fa proprio attraverso gli occhi di Joe, detto “Linuccio”, che a migliaia di chilometri da casa conserva nel cuore usi e tradizioni della “sua” Sicilia, a cominciare dal gusto di preparare arancini e piatti con le olive per tutti. Accanto a quest’uomo, con due occhi nascosti dietro gli occhiali ma che sembrano sempre guardare oltre, l’amore per il mare e la pesca. Una storia eterna la loro, senza confini. “Da piccolo a Marettimo – spiega Joe – non c’era niente. La nostra risorsa era il mare e già a sette anni mio papà Alfonso iniziò ad insegnarmi il mestiere”. Quel paese in provincia di Trapani ed i suoi “scogli bianchi” hanno seguito e seguono Joe tutt’ora, negli Stati Uniti, perché “certi legami non li puoi spezzare, sono indissolubili e te li porti dentro”. Non a caso il ritorno a Marettimo, di solito ogni due o tre anni è sempre un’emozione enorme. “Per me è un sogno – ricorda Joe – io sono nato tra quegli scogli e in quelle acque, è da lì che è iniziato tutto”. Si, perché se oggi si parla di crisi della pesca, la situazione non era di certo migliore negli anni ’50. Allora come ai giorni nostri il problema aveva un nome: futuro. “Qui non c’era un domani per noi – racconta il protagonista del documentario – e l’unica scelta per i giovani era andare via”. Per Joe la possibilità si presenta sotto forma di una petroliera della Esso diretta nel golfo del Messico. È su quella nave che trascorre tredici mesi lavorando come

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Ci sono storie che non sanno finire e uomini che lottano strenuamente contro il tempo. A Joe Bonanno non interessano né le circostanze né il contesto. Per lui, un pescatore di 63 anni, che ci si trovi a Marettimo, Monterey o in Alaska poco importa. La sua vita parla di mare, fatica, dell’amore per la moglie Beatrice, “la mia B.”, e di una barca “che se potessi porterei in camera da letto con me”.

“primo giovanotto di coperta”. “Fu un viaggio lunghissimo perché in quel periodo il canale di Suez era chiuso e quindi la petroliera fece un giro più lungo. Quel tipo di lavoro però non faceva per me e per questa ragione volevo tornare a Marettimo”. Poi la decisione che dà una svolta alla sua vita. “Mia sorella si era trasferita da tempo in California a Monterey – continua il pescatore sessantacinquenne con il suo intercalare siculo-americano – e così ho deciso di andare lì, inizialmente per fare semplicemente il turista”. La vita, però, mette davanti ai suoi occhi, Beatrice, la donna, nata a San Francisco ma con i genitori entrambi di Marettimo, che diventerà la compagna di tutta la vita. “Lei faceva l’assicuratrice – è il ricordo di Joe –, io avevo 25 anni e non sapevo una sola parola di inglese. Per me è stata un interprete ma anche una guida perché durante le giornate aspettavo che lei tornasse dal lavoro per uscire”. Joe sposa la “sua B.” nel 1969 quando già da qualche mese aveva “ritrovato” il “suo” lavoro, quello di pescatore. “Grazie ad alcuni compaesani che da tempo abitavano a Monterey – dice – iniziai ad uscire in mare e dopo un anno dal mio arrivo in California sono andato per la prima volta in Alaska”. L’amicizia e le conoscenze sono indispensabili in un luogo completamente sconosciuto e davanti ad un tipo di pesca “più difficile e faticoso”. “All’inizio andavamo a Bristol bay e lì salivo sulle imbarcazioni di compaesani. Dopo 5 anni, però, ho preso la mia barca”. Il nome, inevitabilmente, è “Lady B.” E’ con “lei” che Joe, anno dopo anno, diventa una vera e propria leggenda, in Alaska, per la bravura nella pesca del salmone. Una sfida che lui stesso non esita a definire una “guerra civile” dove “devi dormire quando non hai sonno e mangiare quando non hai fame”. Milioni di salmoni, infatti, risalgono la corrente tra giugno e luglio. Per “soli” quaranta giorni attraversano le acque dell’Alaska, finendo a volte per essere mangiati dagli orsi, ed è per


125 Premiazione “Blu Ocean Film Festival”, Incontro e Cousteau questo che, “se serve, noi stiamo per giorni in mare perchè è il pesce che ci guida. Siamo noi a seguire lui”. A rendere fondamentale l’esperienza, l’intuito e la bravura, tutte doti che i marettimani hanno nel sangue, sono anche le ferree leggi che regolamentano la pesca del salmone. Un sistema ecosostenibile che garantisce la riproduzione della specie ed al tempo stesso consente ai pescatori di poter lavorare. Lungo il fiume Naknek Kvichak, i biologi contano i salmoni e solo quando si arriva alla quota necessaria per la loro riproduzione la pesca può iniziare. “Ci vengono dati degli orari – spiega Joe – a volte sono solo due o tre ore in un giorno ed è solo in quei momenti che possiamo calare le reti. Per questo spesso si resta per giorni in mare”. Le sanzioni per chi non rispetta le regole sono severissime. “Ci sono elicotteri e barche a controllare – aggiunge Joe – se vieni sorpreso fuori dagli orari ti viene confiscata l’imbarcazione”. Dalle barche, il salmone arriva poi negli stabilimenti dove ci sono anche donne a lavorarlo e poi, in 72 ore, lo si ritrova praticamente in tutto il mondo. Un sistema collaudatissimo che vede, oggi, tra i protagonisti, anche il figlio di Joe, Alfonso. Ed esattamente come quando parla di Marettimo, anche in questo caso, gli occhi ed il viso pieno di rughe e segnato dagli anni di Joe si illuminano. Un bagliore legato non solo al figlio ma al legame con delle radici delle quali è impossibile liberarsi. “Si chiama come il nonno – dice sorridendo –. Oggi ha 39 anni ma fin da quando ne aveva 13 viene con me in Alaska. Le tradizioni per la mia famiglia sono importanti e per questo porta il nome di mio papà”. E’ questo mondo così impregnato di fatica, sudore, amore per la propria terra che Enzo Incontro ha raccontato nel suo documentario. Un mondo e un’epoca fatti di uomini con “il sale che scorre nelle vene” che oggi sono merce rara. Con la loro passione si sono imposti a migliaia di chilometri di distanza da un piccolo paesino di trecento abitanti come Marettimo e lo hanno fatto portandosi dietro la Sicilia ed il rispetto per l’ambiente. Enzo Incontro e Marco Mensa hanno impiegato tre mesi per portare a termine le riprese ed altri quattro per completare il montaggio. “Il mio progetto – spiega Incontro, che oltre ad essere direttore dell’area marina protetta del Plemmirio è anche consulente subacqueo della Rai ed autore di numerosi documentari – parte da un panino al salmone e dalla scoperta che quel pesce veniva pescato da marettimani in Alaska”. Da quel veloce pranzo

nasce un viaggio lungo migliaia di chilometri che “mi ha portato a ripercorrere non solo la storia di Joe ma anche quella dei siciliani, da sempre migranti. E’ la nostra storia condensata nel racconto di questi pescatori leggendari che hanno dato vita e si sono sottoposti volentieri ad un sistema di pesca sostenibile”. L’anima messa nel racconto ha colpito gli spettatori di tutto il mondo perché l’opera ha vinto il premio come miglior documentario sia al “Sicilian film festival” di Miami, lo scorso mese di aprile, che al “Blue Ocean film” di Monterey a settembre. Nel mezzo anche il “premio del pubblico” al “Soleluna film festival” di Palermo, a luglio. “Ci sentivamo piccoli piccoli a questi festival – ricorda Incontro – ma tutti i riconoscimenti nascono dalla sicilianità che viene fuori dal documentario, l’anima di questi uomini duri ma al tempo stesso fragili è il motore di tutta l’opera. Vincere un concorso tra i più importanti al mondo e competere con mostri sacri come Jacque Cousteau è un immenso onore. Questi premi sono dedicati ai pescatori siciliani che hanno affrontato fatiche, umiliazioni e disagi e adesso, invece, sono diventati leggenda”. “Il mare di Joe”, coprodotto dalla delegazione regionale dell’“Anfe”, “Scuba film production”, “Ethnos”, con il contributo del ministero delle Politiche agricole, l’assessorato regionale del Lavoro e la Provincia di Trapani, è solo il primo documentario di una trilogia che racconterà la storia di altri pescatori leggendari emigrati dalla Sicilia in America e Australia. La partenza, però, è stata affidata a Joe ed ai suoi amici che ancora oggi, “ogni mercoledì, rigorosamente senza donne” si riuniscono al club dove li “attendono” barbecue, zuppe, e, spesso, cibi tipici della Sicilia. La condivisione di lunghi giorni di fatica, tra vento, freddo e la mancanza di casa hanno forgiato persone che, pur nella durezza del lavoro, riescono ancora ad emozionarsi, a provare nostalgia e anche, forse, qualche rimpianto. “La barca – racconta Joe – quando è vecchia fa acqua e non può più uscire in mare. Io ho iniziato a fare acqua e mi spiace che tra qualche anno non potrò più uscire in mare. Vorrei continuare ancora ma penso anche che c’è mio figlio e che anche in lui scorre il sangue dell’Alaska”. Quello stesso sangue che da decenni ormai si mischia al sale perché, dice con occhi sicuri e fermi Joe, “il mare è la mia identità”.


MagMap

Gli eventi l ed i luoghi deco presente elensere potrebbero es i

ottobre/novembre 2010

ma g

suscettibil e di varia zion

MESSINA

TAORMINA

PALERMO

trapani

CATANIA caltanissetta enna AGRIGENTO

SIRACUSA RAGUSA

2/3/5/6/8/9 Ottobre Renato Zero Piazza di Siena Roma 19 Ottobre Santana Assago Mediolanum Forum Milano

12 Novembre Anna Oxa Teatro Colosseo Torino

21/22 Ottobre Fiorello show Assago Mediolanum Forum Milano

12 Novembre Concerto Telethon Elio e le Storie Tese Teatro Ventaglio Smeraldo Milano

30 Ottobre J-AX Palasport Acireale

20/21 Novembre Cavalleria Rusticana Piccolo Teatro Catania

4 Novembre Le Vibrazioni Magazzini Generali Milano 10 Novembre Uto Ughi al massimo con la Cei Youth Orchestra T.M.V. Bellini Catania

24/25 Novembre Ale e Franz Teatro Civico La Spezia

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28 Nov. Il Principe Ranocchio Piccolo Teatro Catania

Eventi TORINO

MILANO

LA SPEZIA

ROMA


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In a Box ma g

Un genitore saggio lascia che i figli commettano errori. È bene che una volta ogni tanto si brucino le dita

foto: Nino C

alamuneri

Mahatma Gandhi

“Le mani sono uno strumento di comunicazione, guarigione e comprensione a disposizione di ogni essere umano.” Parole di Hernan Huarache Mamani, il curandero che dal 22 al 24 ottobre terrà un seminario sul “Qhaqoi” il massaggio andino che non è una semplice fisioterapia, ma un balsamo dell’anima che consente di instaurare una linea di comunicazione fra i soggetti parte del rito. Hernan Huarache Mamani è uno sciamano custode, come pochi, della tradizione inca che da anni gira per il mondoraccontando la storia, la forza e la tradizione sciamanica della sua genia. Il seminario in provincia di Messina è in via di definizione, per informazioni ci si può rivolgere a Maria Rosa Piraino cell.3357608946, email pirainomariarosa@virgilio.it mailto:pirainomariarosa@virgilio.it. Informazioni sul lavoro del professore Mamani su www.hhmamani.com

marsa siclà palcoscenico di turismo e cultura Il 3 settembre si è conclusa la ricca stagione teatrale estiva proposta dall’”Associazione culturale Vento” presso il tatro Xenia di Marsa Siclà a Sampieri. Marsa Siclà, prestigiosa struttura turistica del litorale ibleo, ha voluto coniugare turismo e cultura e ha dimostrato una grande sensibilità nell’aprirsi al territorio con il quale interagisce, proponendo, in questi tempi di tagli alla cultura, una stagione teatrale ben lontana dagli spettacoli da villaggio turistico. Si sono infatti avvicendati spettacoli di importanti artisti nazionali e di giovani talenti locali, con registri a volte più leggeri, talora più riflessivi. A chiudere la stagione il 3 settembre è stato uno spettacolo prodotto dall’Associazione culturale Vento “Ti racconto il ‘68”, scritto da Titti Batolo, che ne è stata anche co-regista. Lo spettacolo si avvale dell’interpretazione di Paolo Romano, attore teatrale noto al grande pubblico per la sua partecipazione alla serie TV “Incantesimo”, e delle belle voci di Claudia d’Angelo e Luciano Genovesi, che ha coordinato la parte musicale. La storia è semplice: un uomo, bambino di pochi anni nel 1968, racconta i suoi intimi ricordi di quell’anno, rievocando la routine di una famiglia sul finire degli anni sessanta e guardando il mondo attraverso lo sguardo delle sorelle maggiori, le “tre Marie”. Al centro della scena, allestita da Marina Batolo, campeggia un grande televisore, protagonista anche lui di quella rivoluzione dei costumi, entro cui scorrono immagini e filmati dell’epoca, da John Lennon e Martin Luther King ai Rokes e Caterina Caselli, trailer di grandi film che hanno segnato quel tempo, come 2001 Odissea nello spazio e Il laureato. Romano racconta il suo spaccato di vita familiare aiutato dalle belle figurazioni di alcune giovanissime attrici, ma parla anche di una società raccontata nel contrapporsi duale tra noi e voi, ovvero tra giovani e “matusa”. Il pubblico presente in sala si è visibilmente riconosciuto nelle situazioni descritte ed ha accolto con nostalgia e partecipazione le belle canzoni di Guccini, De Andrè e dei “complessi”. Buona dunque l’intuizione dell’autrice che ha saputo raccontare l’anno del grande cambiamento con atteggiamento leggero e molta autoironia rendendosi interprete di una generazione che ha immaginato una società migliore e nutrito speranze di pace e giustizia, per molti versi rimaste inevase.

“Gli allievi della “palestra degli attori” ActorGym sono pronti a tornare in scena. Il 4 ottobre ricominciano le lezioni, o meglio “gli allenamenti”, come ama chiamarli il direttore artistico Vincenzo Tripodo. Tanti progetti per i neo attori e per i nuovi iscritti: non resta che scaldarsi e scendere in campo. Per info telefonare al 327 6382030.”

CLAUDIO BAGLIONI Concerto straordinario di raccolta fondi a favore del FAI Fondo Ambiente Italiano per la tutela e la valorizzazione dell’arte e della natura italiane

CLAUDIO BAGLIONI Lunedì 20 dicembre ore 21 Palermo, Teatro Massimo, Piazza Verdi 1 È APERTO IL BOTTEGHINO Per ulteriori informazioni e materiale Elisabetta Cozzi Ufficio Stampa FAI tel. 02-467615220 e-mail: e.cozzi@fondoambiente.it

foto: Buttafava Bonalloggi

“Qhaqoi, un seminario sul massaggio dell’anima”

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ristorante

La magia del gusto

Domenica 17 e domenica 31 ottobre a pranzo, grazie alla collaborazione con Peperone and friends, i bambini presenti avranno a disposizione un’area a loro dedicata. Un’animatrice si occuperà di accoglierli ed intrattenerli con giochi e passatempi.

Bellavista Ristorante: Messina - Via Circuito Torre Faro Tel. 090 32 66 82 - Cell. 393 91 62 061


mag magazine Anno 3 N. 11 • ottobre/novembre 2010 registrazione al Tribunale di Messina n° 8 del 12/6/08 E 2,50 copia omaggio

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mag Anno 3 N. 11 • ottobre/novembre 2010

d’autunno In vacanza con il Padreterno A spasso con Josy Ola Vincenzo, il messinese volante Federalismo alimentare La pasta? Una droga


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