Mag Magazine Feb 2011

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francescsca fulci

Un amore di donna

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La festa della donna e i festini di Arcore

Questo numero della rivista ha un formato più maneggevole, pratico, dinamico. Speriamo che vi piaccia. Naturalmente, speriamo che vi piacciano anche i contenuti.

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a festa della donna quest’anno è stata preceduta dai festini di Arcore. Non poteva capitare di peggio. A causa dei festini l’Italia non si occupa d’altro. È diventata una nazione di indignati: c’è chi s’indigna per la mancanza di senso del pudore e chi s’indigna per l’indignazione altrui. Non sembra essetci spazio per chi, invece, vorrebbe sentir parlare d’altro, e Dio sa quanto ce ne sarebbe bisogno. Il diritto all’indignazione dovrebbe essere concesso soprattuto, se non unicamente, alle donne, qualunque sia la responsabilità delle ragazze invitate, la qualità della partecipazione e la loro età. Lele Mora che per mestiere ispira e affolla i festini di Arcore, e non solo, ha spiegato ad una platea di estimatori plaudenti in un cinema milanese che per lui “è sempre festa”. Beato lui. Poi ha chiosato: “Che dovremmo fare, i babalù?”. Infine ha concluso che “nelle feste è meglio avere attorno belle donne”, rivendicando il diritto ad esercitare il suo mestiere di organizzatore di festini, perché “dopo una giornate di duro lavoro, c’è chi vuole rilassarsi come meglio crede”. È il manifesto di un’Italia che non si fa mancare niente, dai maggiordomi in divisa alle fanciulle in fiore che aiutano a rilassarsi. Il manifesto di un’Italia che non rispetta le donne, sia che partecipino alle feste sia che vengano invitate a squallidi festini. Noi ne siamo fuori, eppure è come se ci sentissimo dentro senza esserne partecipi, perché ci appartiene come tutto il resto. E perciò ne siamo responsabili. “Ci sono donne consapevoli di essere sedute sulla loro fortuna”, scrive infatti un ex direttore del Corriere della Sera, provocando l’irritazione legittima dei giornalisti di quel quotidiano. L’idea che sia colpa di “quelle che ci stanno” si fa strada anche in qualche salotto buono. Ma è questa l’Italia reale, quella che tutti i santi giorni si guadagna il diritto di vivere dignitosamente del proprio lavoro? È questa l’Italia delle donne che in ogni campo danno il meglio di sé al Paese e al loro lavoro e che regalano ogni giorno tut-

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to ciò che hanno a figli, mariti, genitori? “Che dire alle ragazze che vanno ancora a scuola frastornate davanti alla pletora di ragazze che a scuola non ci vanno ma fanno la fila davanti alla villa di Arcore per incontrare Berlusconi?”, si rammarica Luciana Littizzetto su “La Stampa” di Torino. “L’Italia è fatta di donne che non hanno scelto scorciatoie. Emma Marcegaglia e Susanna Camusso hanno le tette ma hanno preferito contare sulla loro testa”. E Natalia Aspesi, rispondendo all’ex direttore del “Corriere”, osserva che “ci sono uomini consapevoli che davanti alla fortuna bisogna inginocchiarsi…, per sfruttare, in cambio di ricche prebende, ma anche solo di elemosine, il boss, il sultano, il satrapo, il dittatore, il padrone, chiunque abbia potere, una bella folla di uomini è disponibile a farsi corrompere, a servire, a usare non il proprio corpo, probabilmente non dei più appetibili, ma il proprio cervello e la propria anima”. Coloro che siedono consapevolmente sulla loro fortuna o s’inginocchiano per inseguirla, uomini o donne, sono innegabilmente attorno a noi e fare finta di niente, o rifiutarsi di riconoscerne la presenza o giustificarli, specie se hanno il dovere di offrire modelli di comportamento, è come asserire che è questa sia l’Italia, non l’altra. Sarebbe umiliante, ingiusto e offensivo per quanti vivono con dignità del loro lavoro. Sarebbe soprattutto negare la realtà. Quella che, per fare un solo esempio, affida alle donne italiane l’immagine dell’Italia che vince. Date uno sguardo a ciò che le donne hanno saputo fare nello sport: dal tennis al ciclismo, dal nuoto alla scherma, permettendo al nostro Paese di ottenere apprezzamento e considerazione. Ci auguriamo che la festa – quella dell’8 marzo – mostri “alle ragazze che vanno ancora a scuola frastornate” che l’Italia delle donne non ha niente con i festini dei ricchi nababbi e, dunque non sia affidata al loro noto organizzatore, Lele Mora. Se dovesse accadere, beh, a questo punto sarebbe il caso di scendere in piazza armati d’insofferenza, civile indignazione e sacrosanta rabbia. Salvatore Parlagreco


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direttore responsabile: Salvatore Parlagreco Registrazione al Tribunale di Messina n° 8 del 12/6/08 editore: Magazine srl via Industriale, 96 98123 Messina Anno 4 Numero 13 febbraio/marzo 2011 info@magmagazine.it magmagazine.it

Associato all’Unione Stampa Periodica Italiana

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hanno scritto per Mag: Silvia Andretti Alessandro Bisconti Stefania Brusca Gioacchino Calapai Alessio Calderone Chiara Celona Enzo Coniglio Maurizio Crispi Emanuela De Domenico Giuseppe Di Bella

Sebastiano Di Bella Elena Di Dio Pasquale Fameli Alessio Ferlazzo Giulio Giallombardo Domenico Giardina Stefano Incerti Rocco Lombardo Gabriele Maricchiolo Patrizia Mercadante Salvatore Parlagreco Rosario Ribbene Roberto Rizzuto Sofia San Martino Michele Spallino Paolo Turiaco Gaspare Urso ringraziamenti: Pietrangelo Buttafuoco Nino Calamuneri Marella Ferrera Claudio Lucchesi Cristian Vita Vucciria.net Ranieri Wanderlingh Sud Dimensione Servizi

progetto grafico e impaginazione: Francesca Fulci Gianluca Scalone pubblicità e marketing: info@magmagazine.it tel. +39 344651 fax +39 9431911 mobile +39 347 6644507 stampa: Officine Grafiche Riunite S.p.A Cosentino & Pezzino via Prospero Favier, 10 zona industriale Brancaccio 90124 Palermo tel. 091 6213764/84 email: info@officinegrafiche.it distribuzione gratuita: 15.000 copie Fly Service Messina via Garibaldi, 375


Variante anomala a cura della Vucciria.net

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Editoriale Variante Anomala Storia

Svelato il mistero delle orecchie di Garibaldi

Anniversari

Mimose calpestate

Donne

Matrimoni in calo

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2011, la fine del mondo può aspettare

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Gesù fu un grand’uomo

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Don Luigi Sturzo ed il Federalismo Municipale

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La foto che fa storia

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Dal notabilato al bossismo Palermo versus Roma

Società

Non solo Denise

Rottamazione intelligente

Addio cari “vecchi nomi”

Mamme under 19 ritorno al futuro

Streghe e cartomanti contro il fisco

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Contesto

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Mamma mia come è diventata brutta l’Italia

La triste storia di Isabelle morta d’anoressia

Speciale

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Quanto ci costa l’Apocalisse L’era del femminile

Economia

Artigiani e imprenditori, la sicilia che va Termini e Mirafiori l’Italia a stelle e striscie Debiti per conto terzi

Sicilia da mangiare

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Mangiar bene per vivere meglio

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Longi, sui Nebrodi lo chef diventa attore e cucinare fa spettacolo

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Diossina a colazione

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I nonni erano vegan

Arte

Seven Easy pieces

Cultura

Sulla via dei Domenicani Castelbuono

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Misteri

La parabola di Leuccio eroe per caso

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Morie di uccelli

“Vieni via con me” una noia spettacolare

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Marella Ferra

Teatro

Teatro Comunale Garibaldi di Enna

Magnifica Sicilia

In un teatrino di 30 posti rivive il fascino dei paladini di Francia

Viaggi

Tulum e la costa maya: la città “faro” a picco sul mare

Benessere

Di che segno sei? L’abbraccio potente antitodo alla solitudine

Salute

Photo

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Speciale nutrizione

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Amarcord

Bearzot il grande nonno

Libri

L’aristocrazia a quattro ruote Recensioni

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Sport

Simona Bonanno

Speciale 8 marzo

La depressione, male oscuro che si può curare con le sostanze naturali

La corsa inarrestabile di Francesca

Moda

Dischi Cinema X-Mag

Liliana Messina

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In a Box

In un mondo di arrivisti, buona regola è non partire

Rapporto dei pediatri 2010: meno fumo e alcol e più “canne”tra gli adolescenti

(Gesualdo Bufalino)

SALUTE: 8 italiani su 10 cercano informazioni sul web

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Otto italiani su dieci si affidano alla rete per cercare informazioni sulla salute, eppure solo uno su quattro dichiara di controllare le fonti. Secondo la ricerca ‘Bupa Health Pulse 2010’ della London School of Economics, il 65% utilizza il web per informarsi sui farmaci, mentre quasi la meta’ ricorre a internet per l’autodiagnosi (47%) o per informarsi su ospedali e cliniche (42%). Sempre secondo lo studio, nei prossimi anni con l’incremento delle vendite di smartphone e ipad si avra’ un’ulteriore crescita delle informazioni online sulla salute: le persone rischiano cosi’ di imbattersi in contenuti senza fonte certa, faticando a conoscere cio’ di cui si possono fidare. ‘’Le conseguenze possono essere serie’’, commenta Sneh Khemka, direttore medico di Bupa International. ‘’Da una parte le persone possono sentirsi falsamente rassicurate da sintomi potenzialmente pericolosi, non cercando l’aiuto di cui hanno bisogno - spiega Khemka - dall’altra, un’informazione imprecisa può portare a preoccuparsi per nulla, a sottoporsi a esami e trattamenti che non apportano loro alcun beneficio. Quando si cercano informazioni online, è importante assicurarsi che la fonte sia attendibile’’. Per questo, aggiunge David McDaid, ricercatore della London School of Economics, ‘’le persone devono ricercare le fonti online badando al marchio di qualita’, verificando sia la sezione `Chi siamo’ dei siti web, sia la data dell’ultimo aggiornamento delle informazioni stesse’’. Tra i consigli per chi si affida alla rete, gli esperti ricordano di essere molto specifici nell’inserire le parole chiave e di scegliere scrupolosamente i siti che forniscono informazioni sulla salute. Alcuni Paesi, spiegano, hanno marchi di qualita’ per contraddistinguere i siti web affidabili, ma in ogni caso non ci si deve dimenticare di consultare il proprio medico: internet può solo aiutare a capire qualcosa in più sulla propria salute.

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n calo il consumo di sigarette e alcolici, ma cresce il consumo delle “canne” e l’abitudine alla dieta fai da te. Questo è in sintesi il quadro che viene fuori dal Rapporto 2010 della Società italiana di pediatria sugli adolescenti. Meno di uno su tre dichiara di fumare sigarette, dato in lieve calo rispetto al 2009, come diminuisce il consumo di alcolici, che comunque rimane alto (beve birra il 47%, vino il 40%, liquori il 18%). Cresce invece il consumo dello spinello. Il 9% dichiara di aver provato almeno una volta una canna, contro l’8% del 2009 e l’1,5% (contro lo 0,3% di un anno fa) è ricorso all’ecstasy che viene percepita sempre meno come una droga pericolosa. Oltre un giovane su 5 ha fatto una dieta dimagrante, ma solo il 32% si è rivolto ad uno specialista. Dilaga dunque la dieta fai da te, sperimentata dal 35% degli adolescenti, dato che arriva fino al 43% fra le ragazze. Tra gli adolescenti, inoltre, aumentano comportamenti potenzialmente a rischio come inviare foto, dare informazioni personali, farsi vedere in webcam, accettare incontri con sconosciuti. Oltre il 16%, contro il 12,8% dello scorso anno, dichiara di aver dato il proprio numero a uno sconosciuto e il 24,6% non ha esitato a inviare una sua foto via mail. Nel Mezzogiorno il fenomeno assume proporzioni maggiori, dove quasi un adolescente su 3 dichiara di aver dato informazioni personali, nella stragrande maggioranza dei casi ad altri adolescenti ma non sono rari i casi in cui l’interlocutore è un adulto. Infine, per la prima volta c’è il sorpasso di Internet sulla tv: circa il 17% passa più di tre ore al giorno sul web contro il 15% di quelli che trascorrono lo stesso tempo davanti alla televisione.

TROPPA PULIZIA PUò FAR AMMALARE

Antibatterici in saponi rendono più soggetti ad allergie I giovani che usano troppo i saponi antibatterici con triclosan sono soggetti a più allergie, mentre l’esposizione a livelli maggiori di bisfenolo A (bpa) tra gli adulti influisce negativamente sul sistema immunitario. A rilevarlo è uno studio dell’università del Michigan pubblicato sulla rivista ‘Environmental Health Perspectives’. Il triclosan è un composto chimico largamente usato in saponi, dentifrici, pannolini e strumenti medici, mentre il bisfenolo A è presente in molti materiali plastici, come i recipienti usati per conservare gli alimenti. Entrambi fanno parte di una classe di sostanze tossiche ambientali che distruggono il sistema endocrino, che si ritiene abbiano un impatto negativo sulla salute umana, perche’ imitano o influiscono sugli ormoni. I ricercatori hanno messo a confronto i livelli di anticorpi da citomegalovirus (cmv) con i livelli di triclosan e bpa nelle urine e le diagnosi di allergia o raffreddore allergico negli adulti e nei bambini dai 6 anni in su. ‘’Abbiamo così visto che le persone sopra i 18 anni con livelli più alti di esposizione al bpa - spiega Erin Rees Clayton, una dei ricercatori - hanno più anticorpi cmv, e che quelli con le quantità maggiori di triclosan soffrono di più di allergie e febbre da fieno’’. Cosa che suscita le preoccupazioni della comunita’ scientifica e dei consumatori sul fatto che queste sostanze siano pericolose per l’uomo anche a livelli piu’ bassi di quanto si fosse pensato finora. ‘’I risultati nei giovani corroborano l’ipotesi dell’igiene, secondo cui stare negli ambienti molto puliti e igienici può influire sulla nostra esposizione ai microorganismi benefici per lo sviluppo del sistema immunitario - aggiunge Allison Aiello, coordinatrice dello studio - Come agente antimicrobico presente in molti prodotti casalinghi, il triclosan puo’ modificare i microorganismi a cui siamo esposti, influendo sullo sviluppo del nostro sistema immunitario nell’infanzia’’.


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In a Box

Due infelicità, sommate, possono fare una felicità (Gesualdo Bufalino)

Boom di “prodotti benessere” nelle farmacie: +82% nel 2010 Dopo le feste gli italiani tornano in forma col benessere. Complessivamente il settore benessere e salute annovera in Italia 25.718 attività ed è in crescita in un anno del 4,9%. Tra i settori si registra un vero e proprio boom delle farmacie (+82%) e rivenditori di medicinali non soggetti a prescrizione medica (+43,8%), bene anche i centri benessere (+5,7%) e gli stabilimenti termali (+2,2%). Più presenti sul territorio gli esercizi per il commercio al dettaglio di articoli di profumeria, prodotti per toletta e per l’igiene personale, al 46,4% e le erboristerie al 16,2%. A livello regionale spiccano Campania e Lombardia, a pari merito (rispettivamente 13,6% e 13,5% del totale), seguite dal Lazio al 10%. Crescite in Trentino (+10,2%), Lombardia (+9,8%) e Umbria (9,5%). Tra le province che si curano di più: Napoli con 1.988 imprese, seguita da Roma (1.918), Milano (1.364), Torino (932).

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MATRIMONIALISTI, 11% SEPARAZIONI PER TRADIMENTI GAY

’11% delle separazioni giudiziali è causato dai tradimenti omosessuali del partner/genitore. È quanto afferma l’Associazione Avvocati Matrimonialisti Italiani che si dichiara “soddisfatta” del provvedimento del Tribunale di Nicosia in provincia di Enna dove il giudice di una procedura di separazione giudiziale ha “ribadito il principio, per la verità già consolidato, secondo cui l’omosessualità non è sinonimo di inadeguatezza genitoriale o ragione per non applicare la regola dell’affidamento condiviso dei figli”. “Il dato più importante – ha sostenuto il presidente nazionale Ami, l’avvocato Gian Ettore Gassani - è che sia stato proprio un Tribunale del sud ad imporre una battaglia contro l’omofobia: soprattutto in certe aree del nostro Paese e specie nei piccoli centri di provincia, l’omosessualità è vista ancora, infatti, come una malattia da curare. Con rammarico notiamo, racchiusi nella letteratura giudiziaria italiana, molti provvedimenti giurisdizionali che, almeno fino alla fine degli anni ‘90, hanno dimostrato una sorta di discriminazione nei confronti dei padri e delle madri omosessuali’’. Secondo Gassani, “ancora oggi in molti Tribunali, tuttavia, vengono disposte perizie psicologiche per verificare le capacità genitoriali di madri e padri omosessuali, quasi che la lotta al pregiudizio sia subordinata al punto di vista del consulente del giudice e alle garanzie morali che quest’ultimo sente il bisogno di ricevere prima dell’emissione di un provvedimento. Anche parte dell’avvocatura del diritto familiare e minorile continua a sostenere strategie difensive sulla base di principi incostituzionali che tendono a discriminare l’omosessualità”. Il centro studi dell’Ami ha calcolato che il 7% di separazioni giudiziali origini da tradimenti a sfondo omosessuale da parte del padre/marito, il 4/% da parte della madre/moglie: il fenomeno dell’omosessualità dei genitori, pertanto, è molto più radicato di quanto si possa anche lontanamente immaginare e tantissime coppie tendono a nascondere queste vicende optando per la separazione consensuale. “Molti padri e molte madri omosessuali assolvono al meglio al loro ruolo genitoriale, ancor più di quanto facciano i genitori eterosessuali”, conclude Gassani. Nel caso specifico di Nicosia, l’uomo che si stava separando dalla moglie aveva chiesto l’affidamento esclusivo dei figli, accusando la donna di avere una relazione omosessuale. Il tribunale, invece, ha respinto il ricorso ritenendo che la relazione omosessuale non costituisce ostacolo all’affidamento condiviso dei figli.

Si avvera uno dei sogni dei consumatori: Il carica batteria unico per i cellulari I Consumatori ne potranno acquistare uno valido in tutta l’Ue Il caricabatteria unico per cellulari di diverso tipo non è più solo un sogno: dagli inizi del prossimo anno, i consumatori europei potranno acquistare un carica batterie standard per quasi tutti i cellulari venduti nei 27 Paesi membri dell’Europa. L’ufficio europeo per la standardizzazione Cen-CenelecEtsi ha infatti completato il mandato ricevuto dalla Commissione Ue e resi disponibili gli standard tecnici armonizzati necessari alla produzione di un carica batterie universale per gsm. Il ricarica batteria unico renderà ai consumatori la vita più facile, ridurrà i rifiuti e creerà business. Si tratta di un reale vantaggio per tutti. I risultati annunciati fanno seguito all’accordo con 13 aziende produttrici di gsm, tra cui Apple, Motorola, Lg, Nec, Nokia, Samsung e Sony Ericsson firmato nel giugno del 2009, che le impegnava ad armonizzare i caricabatteria. Cen-Cenelec e Etsi hanno dato la risposta tecnica che ancora mancava e la Commissione Ue si attende che la prima generazione di cellulari compatibile con il nuovo caricabatteria unico sia immessa sul mercato europeo ‘agli inizi di quest’anno. Lo standard scelto è il mini-Usb, un connettore che gli utilizzatori di cellulari che trasmettono dati già conoscono.


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Storia di Giuseppe Di Bella

Svelato il mistero delle orecchie di

Garibaldi

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engono continuamente pubblicati nuovi lavori su Garibaldi e sul Risorgimento: libri, articoli, cataloghi, raccolte iconografiche, trasmissioni televisive e radiofoniche, film, convegni e commemorazioni di ogni tipo e in ogni dove; tutto questo nonostante il basso profilo delle celebrazioni deciso a livello istituzionale, esito anche del taglio dei fondi e della presa di posizione della Lega Nord. Il cinquantenario ed il centenario ebbero ben altri fasti. Non si attenua quindi l’interesse per questo complesso personaggio che, a prescindere dalle personali opinioni, ha avuto un ruolo determinante nel processo unitario italiano. Anzi il 150° anniversario dell’unità ha stimolato e rinvigorito l’interesse di studiosi e lettori, anche se l’epopea risorgimentale non sembra più un patrimonio popolare diffuso e fuori discussione, essendosi visibilmente attenuata, col trascorrere delle generazioni, la compenetrazione tra gli italiani e la storia della loro unificazione. Il mio fornitore di libri usati, mi ha confessato di essere meravigliato dalle tante richieste di materiali su Garibaldi e le sue imprese, che da mesi gli pervengono giornalmente. Oltre alla sorpresa per le continue richieste di testi sul Generale, mi ha riferito un’altra curiosa circostanza: “Molti lettori hanno chiesto libri specifici sull’attività di ladro, schiavista e pirata di Garibaldi ed anche sulla storia … delle sue orecchie. Ho risposto che non avevo niente del genere e ci sono rimasti un pò male”. Sull’opera e sulla vita

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pubblica e privata dei personaggi di grande rilievo, ieri come oggi, le cronache e poi la storia, si intrecciano con la mitizzazione del soggetto che inevitabilmente da la stura a leggende positive e negative, glorificanti o infamanti, secondo intenzione. La forza della calunnia, che è ben più del rossiniano “venticello”, talvolta ottiene il contrario effetto di distrarre dalle vere responsabilità storiche dei soggetti investiti, e fatti marginali, veri o supposti, assumono un improprio rilievo. Sull’azione politica del Generale ci siamo soffermati più volte sottolineandone i limiti, la confusione, le tante ingenue contraddizioni ed i tardivi pentimenti. Oggi ci occupiamo di una delle tante accuse rivolte a Garibaldi, ultimamente amplificata da una forte e positiva volontà di rivisitazione critica dei fatti e dei personaggi del Risorgimento italiano, e del modo in cui venne realizzata l’unità. La “storia” di cui trattiamo, spesso evocata dai detrattori dell’Avventuriero dei due Mondi, è nota in più versioni. In quella più diffusa, a Garibaldi sarebbero state tagliate completamente ambedue le orecchie, o solo quella destra o solo quella sinistra, perché accusato di aver rubato dei cavalli, o più genericamente bestiame, in Sud America verso il 1838. In altra versione dei “fatti”, che ha medesima ambientazione, al Generale sarebbe stata staccata un’orecchia o parte di essa, con un morso: la sanguinosa mutilazione gli sarebbe stata inflitta da una donna che voleva violentare.


...a Garibaldi sarebbero state tagliate completamente ambedue le orecchie, o solo quella destra o solo quella sinistra, perché accusato di aver rubato dei cavalli, o più genericamente bestiame, in Sud America verso il 1838.

Non manca, in pieno stile italico, una versione “hard gossip”, che racconta di un’orecchia strappata dal morso di una prostituta in un bordello di Arles. Incuriosito dall’insistenza con la quale questa accusa viene periodicamente rilanciata, ho effettuato un’analisi del materiale fotografico a mia disposizione. Esaminando le foto che ritraggono Garibaldi, si nota che questi portava i capelli lunghi e quasi sempre avvolgenti il collo e le orecchie in modo fin troppo accurato. E’ altresì vero che in moltissime immagini il posizionamento dei capelli e la mancanza di volume dove atteso, evidenziano un appiattimento che può far sospettare la mancanza dei padiglioni auricolari. Ho isolato alcune foto del Generale molto note, ristampate in centinaia di copie subito dopo la realizzazione della lastra, e ripetutamente utilizzate da 150 anni, per la produzione di stampe, libri e riviste. Ho scelto le immagini più famose, più nitide e quelle che si presentano tecnicamente “più pulite” ovvero

apparentemente non ritoccate in laboratorio. I risultati dell’indagine sono visibili nella foto parametrata. Alla nostra sinistra vediamo il Generale fotografato attorno al 1861. Questa celebre immagine del profilo destro, servì da modello per centinaia di riproduzioni a stampa, riviste, libri, ma anche per medaglie e quadri ad olio. All’ingrandimento si evidenzia nettamente un piccolo foro nel lobo dell’orecchia destra, verosimilmente esito della pregressa abitudine di portare l’orecchino, come d’uso tra gli uomini di mare. L’orecchia destra si presenta comunque integra, circostanza confermata dalle celebri foto eseguite in sequenza dai fratelli Alinari, dove Garibaldi è preso di fronte e subito dopo girato a sinistra mostrando anche in quel caso l’orecchia destra completa del lobo. La foto a destra, eseguita anche questa negli anni 60’ dell’Ottocento, mostra chiaramente la mancanza del lobo dell’orecchia sinistra. Ho evidenziato la notevole differenza di forma e lunghezza dell’orecchia, parametrando in rosso e verde le rispettive zone speculari. L’assenza del

lobo sinistro lascia occupare ai capelli una zona del collo che specularmene è coperta dal lobo destro. Anche a notevole ingrandimento, in ambedue le foto, non si rilevano alterazioni o modifiche di laboratorio. Si evidenzia che pur non essendo perfettamente coincidente la scala delle due foto, e pur essendo leggermente diversa la prospettiva, la notevole differenza rilevata non lascia margini di interpretazione. È lecito chiedersi perché fino ad oggi questa evidente mutilazione non sia stata conclamata. Ritengo che il limite delle osservazioni fin qui svolte, sia stato quello di esaminare singolarmente le due orecchie senza porle direttamente a confronto. Si noti che l’orecchia mutilata, esaminata senza termini di paragone, sembra semplicemente presentare un lobo molto corto e arrotondato, in fin dei conti verosimile. Solo il confronto parametrato svela che a sinistra non sussiste il lobo e che il margine inferiore dell’orecchia altro non è che il limite del padiglione auricolare. La mutilazione a sinistra, quasi sempre semicoperta dai capelli, era invero poco apprezzabile guardando solo quel profilo, tanto è vero che questa foto che mostra l’orecchio sinistro senza il lobo, è stata ininterrottamente ripresa, come “buon” modello, centinaia di volte: da ultimo nel francobollo emesso nel 2007 dalle Poste italiane.


Storia Svelato il mistero delle orecchie di Garibaldi

Gli stessi autori e fotografi pronti a giurare, ritengo in buona fede, che Garibaldi sul letto di morte avesse ancora integre le orecchie, sono stati ingannati dalla circostanza che è difficile avere un’immagine frontale che ponga bene in evidenza queste differenze, e che vista lateralmente e singolarmente, l’orecchia sinistra, semi coperta da barba e capelli, può apparire completa. A complicare la situazione, vi è il fatto che molte foto ritraggono Garibaldi “completo di orecchie” (cfr. W. Settimelli - Album fotografico – ed. Alinari). Ne citiamo per tutte una tra le più celebri, scattata nel dicembre del 1862: Garibaldi è stato ferito sull’Aspromonte dai soldati del “Re Galantuomo”, ed è convalescente all’albergo delle Tre donzelle in Pisa, dopo essere stato operato dal Professor Ferdinando Zanetti. Di questa famosa immagine esistono numerose edizioni firmate da diversi fotografi, ma ad una analisi all’ingrandimento, l’orecchia sinistra appare completamente diversa, direi “disegnata”, ed affiorano i segni di un banale fotomontaggio e di una “diversa” e non credibile ferita tondeggiante!

Tutte le foto che ritraggono il Generale sono state studiate in modo approfondito ed è accertato che molte sono state modificate in laboratorio, anche attraverso fotomontaggi. L’esistenza di molto materiale mistificato, rende incerto qualsiasi studio e va tenuta presente per comprendere la difficoltà dell’indagine e spiegare le affermazioni di alcuni autori, che basandosi su foto artefatte o non confrontando con parametri certi le due orecchie, sono pervenuti a conclusioni inesatte.

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Non va inoltre dimenticato che tutto ciò che riguarda il Generale, protetto dall’aura di intoccabile primo eroe nazionale, ha subìto un’impropria, e direi ingenua, censura: il precedente matrimonio di Anita, venne “rivelato” al grande pubblico solo dopo la sua morte. Anzi quando nel 1903 apparve in Italia il primo lavoro di ricerca in merito, condotto dallo storico brasiliano Virgilio Varzea, corredato da tanto di certificato di matrimonio tra Anita ed il calzolaio Manoel Duarte, rinvenuto nella Parrocchia di Laguna, vi fu una levata di scudi, non solo della famiglia: in Italia il libro venne pubblicato in poche copie e molti storici, spaventati da tanto generale sdegno e livore, archiviarono in tutta fretta l’episodio. Vediamo adesso quali sono verosimilmente i motivi di questa mutilazione. Si premette che non vi sono, fino ad oggi, documenti storici che attestino che tale mutilazione sia stata inferta a Garibaldi per punizione o durante un supposto tentativo di violenza. Di tale mutilazione parla Giovanni Battista Cuneo nella sua biografia di Garibaldi e ne fa vago accenno Crispi. Per quanto ad oggi documentabile, la spiegazione della mancanza del lobo dell’orecchia sinistra, è una sola. Facciamo un passo indietro. Come è noto, condannato a morte dal Governo Sabaudo nel 1834, Garibaldi si rifugia prima in Francia a Marsiglia, e alla fine del 1835 parte per il Sud America. Prima ancora del suo sbarco a Rio de Janeiro, la regione del Rio Grande del Sud aveva dichiarato la secessione dall’Impero, su cui nominalmente regnava, sotto tutela, un fanciullo di dodici anni, Don Pedro II. Il capo di Stato maggiore e “ideologo” mazziniano della rivolta del Rio Grande, era un esule italiano, il conte Livio Zambeccari, massone, poi fondatore della Loggia “Ausonia” di Torino nel 1859, dalla quale si enuclea un “Grande Oriente d’Italia” di cui lo stesso diviene Gran Maestro. Con Zambeccari, pur prigioniero, Garibaldi e Rossetti concordarono un piano operativo per riorganizzare la piccola flotta riograndese, ricevendo contemporaneamente dal Comandante Joao Manoel de Lima, una “patente di corsa” ufficiale, che prevedeva: “Il navigare liberamente per il mare e per i fiumi, ove operino navi da guerra o mercantili del Governo brasiliano o dei suoi sudditi per catturarle con le forze delle armi, considerandosi le navi catturate come buone prede essendo la patente rilasciata da una autorità legittima e competente”.


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Inizia così la carriera di corsaro di Giuseppe Garibaldi che a bordo di una “garopera”, un barcone da pesca, ribattezzata “Mazzini”, con dodici uomini di equipaggio, comincia ad assaltare le navi nemiche. Abbordata e catturata la goletta imperiale brasiliana “Luisa”, la Mazzini venne colata a picco per mancanza di un secondo pilota. Cinque schiavi incatenati furono liberati e rimasero con Garibaldi. La Luisa venne ribattezzata “Farroupilha” dal nome affibbiato ai rivoluzionari “Os farropos” ovvero pezzenti, straccioni. Adeguatamente informati dell’accaduto, i capitani di alcune navi uruguayane e brasiliane si erano messi a caccia del corsaro italiano. Garibaldi salpata temerariamente l’ancora da Maldonado, di notte e mentre infuriava una spaventosa tempesta, si era diretto verso il Plata a Jesus Maria, sfidando gli scogli di Piedras Negras. La nave finì proprio tra i gorghi e le aguzze pietre nere, evitando miracolosamente il naufragio; con la luce del giorno Garibaldi scoprì che la bussola lo aveva ingannato perché le armi erano state spostate a prua. Dopo una breve sosta di rifornimento a Jesus Maria, “l’uomo che non somiglia a nessuno”, secondo la definizione di Garibaldi, riferita da George Hirundy, riprese il largo. Il 15 giugno 1937 vide apparire in lontananza due lancioni senza bandiera. Ordinò di aspettare “alla vela” ovvero fermi ma pronti alla manovra, e con le armi in pugno. Avvicinatosi a cento metri il più grande dei lancioni con sole tre persone visibili sul ponte, venne loro ordinata la resa in nome del Governo uruguayano, mentre sulla tolda comparivano una trentina di soldati armati di fucili. Garibaldi non si arrese e gli uruguayani fecero fuoco uccidendo il timoniere della Farroupilha e ferendo altri marinai. Il Generale prese il timone abbandonato ma subito dopo venne colpito al collo da un proiettile: cadde come morto. La Farrouphila riuscì a fuggire dirigendosi verso Santa Fé, sul Paranà. Luigi Carniglia, un esule ligure, si prese cura di Garibaldi che rimase tra la vita e la morte per otto giorni, fino a che giunti a Gualeguay, un chirurgo estrasse il proiettile dalla ferita. La nave venne sequestrata ed il Generale imprigionato.

Così scriveva qualche tempo dopo all’amico Cuneo: “Le mie ferite sono quasi dimenticate, come pure l’operazione alla cervice. Era entrata, quella maledetta palla, sotto l’orecchia sinistra, e dopo aver attraversato diametralmente il collo, si era fermata sotto l’orecchia destra, a mezzo pollice dalla cute... “. Quindi è lo stesso Garibaldi, in epoca non sospetta, che racconta “delle ferite” subite e verosimilmente la pallottola troncò il lobo sinistro per continuare a penetrare nella parte posteriore del collo e fermarsi sotto l’orecchia destra. Esaminati tutti i materiali disponibili, possiamo quindi concludere che al Generale mancava completamente il lobo dell’orecchia sinistra e che verosimilmente questo gli venne asportato dalla pallottola che lo ferì al collo nel 1837. La gravissima ferita e la pericolosa estrazione del proiettile, avevano lasciato un’estesa e complessa cicatrice. I capelli lunghi ed il loro posizionamento “strategico”, certamente servivano anche a coprire la mutilazione e la cicatrice, operazione favorita dalla circostanza che la posizione delle orecchie era naturalmente arretrata ed appiattita. Per quanto al furto di cavalli, si consideri che in Sud America il bestiame brado era numerosissimo ed il suo prezzo insignificante: un bue da macellare costava uno Scudo (5 Lire Sarde). Al momento del suo trasferimento a Montevideo, Garibaldi venne autorizzato dal generale Bento Goncalves da Silva in persona, a raccogliere una mandria tra gli animali allo stato brado e mise insieme 900 capi che perse o fu costretto a macellare strada facendo, recuperandone solo 300 pelli. Il ricavato gli consentì a malapena di comprare i vestiti per se, per la compagna Ana Maria de Jesus Antunes Riveiro da Silva (Anita, anche Annita o Aninha) ed il primogenito Menotti. È utile infine ricordare che Garibaldi in Sud America, nei suoi lunghi spostamenti a terra, era solito cavalcare alla “escortera”, ovvero si serviva di un branco di cavalli e per non fermarsi, cambiava destriero in corsa, facendoli così riposare dal peso a turno, senza mai arrestare la fuga del suo cuore impavido verso il destino, contro le vaghe ombre che intravedeva nella nebbia della storia.


Anniversari di Sofia San Martino

mimose

calpestate 8 marzo è mimosa, uscire con le amiche, ripetere agli uomini che quel giorno la donna va trattata da regina, 8 marzo è la festa in discoteca e lo spogliarello dei palestrati, 8 marzo è ascoltare i soliti servizi ai telegiornali sul consumismo che ruota attorno a questo giorno.

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M

a la festa della donna è anche la memoria delle operaie morte a New York l’8 marzo del 1908 durante l’incendio della fabbrica Cottons appiccato dal proprietario per non farle partecipare allo sciopero dei lavoratori. Sbagliato. Eppure i mass media continuano a proporci questa versione dei fatti, frutto, a quanto pare, di una comoda retrodatazione di un incendio nella fabbrica Triangle, sempre a New York nel marzo 1911, durante il quale morirono 146 operai, in gran parte giovani donne immigrate dall’Europa. Questa festività prende le mosse, dunque, non da un documentato avvenimento storico, come si credeva fino a qualche anno fa, ma da una serie di manifestazioni, prese di posizione e assemblee portate avanti nell’ultimo secolo e mezzo da donne quali l’americana Giulia Ward Howe che, nel 1870 sostenne la necessità di ricordare l’impegno delle donne per la pace con un’iniziativa internazionale o quali Clara Zetkin, che nel 1910 nel periodico “Die Gleichheit” (l’Uguaglianza) manifestò la prima richiesta formale di istituzionalizzare l’8 marzo come giornata internazionale della donna durante i lavori della II Conferenza Internazionale delle donne socialiste. Erano tutte donne che rivendicavano

il diritto al voto, la normalizzazione degli orari e delle condizioni di lavoro, che combattevano per ottenere un giorno ogni anno che ricordasse la necessità dell’uguaglianza sociale e politica con l’altro sesso, non certo per ricordare agli uomini di portare loro un mazzetto di mimosa. La Festa della Donna o Giornata Internazionale della donna ha dunque una connotazione fortemente politica, in particolare socialista. Sembrano, infatti, combaciare le versioni che raccontano di una conferenza che le donne del partito socialista di Chicago tenevano ogni domenica all’inizio del secolo scorso. Si narra che una domenica di febbraio del 1909, in assenza del moderatore dell’evento, le donne decisero di procedere comunque e quest’avvenimento ebbe una risonanza tale che si organizzò l’anno successivo una giornata internazionale della donna a febbraio per rivendicare il diritto al voto. La data dell’8 marzo risulta, invece, significativa a causa degli eventi del 1917, anno in cui operaie e gruppi di donne a Pietroburgo decisero di scendere in piazza e protestare per la mancanza di pane per i propri figli e per il ritorno dei mariti dalla guerra. Nel 1975, infine, l’ONU proclamò l’Anno Internazionale delle Donne, mentre nel ‘77 decise di adottare una risoluzione proclamando una


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Giornata delle Nazioni Unite per i diritti della donna e la pace internazionale. Piuttosto che commemorare un avvenimento di dubbia veridicità, occorrerebbe avvicinare la prospettiva e dare uno sguardo al nostro Paese e ai dati sconcertanti che emergono dal rapporto “Gender Gap” del World Economic Forum per il 2010. L’Italia si trova al settantaquattresimo posto (su 134 paesi analizzati) nella classifica delle pari opportunità tra uomini e donne, preceduta dalla repubblica Domenicana, dal Vietnam, dal Ghana, dal Malawi, dalla Romania e dalla Tanzania. Il fondatore e presidente del World Economic Forum, Klaus Schwab, spiega che la differenza tra i sessi è collegata con l’alta competitività economica, “donne e ragazze vengono trattate in modo equo se un Paese è in crescita e prospero”. Così ai vertici della classifica troviamo l’Islanda, seguita da Norvegia, Finlandia e Svezia e in coda il Mali, il Pakistan, il Ciad e lo Yemen. Ma non si parla solo di pari opportunità tra i generi nel rapporto “Gender Gap”. 115 donne sono state uccise da un uomo in Italia nel 2010 e poco o nulla si è saputo. Parliamo per la maggior parte di loro di violenza domestica, omicidio da parte del compagno o del marito o di un membro della famiglia. L’8 marzo si parla di mimosa, ma

non di loro, si parla di consumismo e spogliarelli, ma non di loro. Loro restano le vittime che non possono più parlare né difendersi, protagoniste di tragedie che sono rimaste fuori dai salotti dei nostri talk show. E insieme a loro restano in silenzio quelle vittime messe a tacere dalla paura di subire ancora una sorte che mai avrebbero potuto immaginare per se stesse. Sono 13.587 le donne accolte dai 58 centri antiviolenza italiani. Un numero significativo se si considerano anche tutte quelle donne che non hanno il coraggio di scappare, di denunciare, di esporsi. Queste le cifre pubblicate dal periodico La Casa delle donne nel numero di novembre 2010. La casa delle donne per non subire violenza di Bologna, nata nel 1990 è un Centro di Accoglienza in cui le donne possono confrontarsi con il problema della violenza e trovare ascolto e sostegno alle loro scelte. È gestito dall’omonima associazione e pubblica il periodico citato sopra che affronta temi di cui ancora tropo poco si parla, come le indagini sui femminicidi (omicidi nei confronti delle donne in quanto tali), le iniziative e gli eventi realizzati a sostegno delle donne che subiscono violenza, le attività e i servizi offerti dal centro. In Sicilia svolge un’analoga funzione il centro antiviolenza Le Onde, di

Palermo. Nato nel 1992, Onlus dal 1997, opera a livello territoriale, regionale, nazionale e transnazionale per sostenere donne e minori vittime di violenze. Partendo dalle riflessioni sociologiche e filosofiche sulla differenza di genere, rappresenta un “luogo altro” in cui le donne maltrattate possono rifugiarsi, ha sviluppato una rete di monitoraggio e di intervento attraverso azioni e servizi specifici (consulenza psicologica e legale, assistenza sanitaria, ospitalità in domicili segreti, formazione personale) nella massima discrezione e sicurezza. Il Centro Le Onde adotta un modello di lavoro basato sull’intervento con altri attori locali, ponendo al centro la complessità di un progetto di vita individuale: rafforzamento di sé in un’ottica di riconoscimento della propria appartenenza di genere, sostegno psicologico, protezione, interventi sanitari, aiuti sociali, orientamento ed inserimento lavorativo, casa, relazione con le figlie e i figli, gestione della propria aggressività. Questo ha implicato la consapevolezza di dover sviluppare attività di servizio, ma anche azioni di rete, promozione di politiche, ricerche, iniziative educative. Fa parte dell’Associazione Nazionale dei Centri Antiviolenza “D.I.RE. (Donne in Rete contro la violenza), è accreditato


Anniversari mimose calpestate

dalla Regione Siciliana e a livello nazionale gestisce, per il Dipartimento Diritti e Pari Opportunità, il Progetto Arianna (Attivazione Rete nazIonAle aNtivioleNzA), call center 1522.

Per mettersi in contatto con la rete di Palermo di Via XX Settembre, telefonare allo 091/327973 o visitare il sito www.leonde.org, in cui è possibile informarsi sul centro e prendere un appuntamento. A Catania, invece, è attiva l’Associazione Thamaia Onlus, nata nel 2001 dall’iniziativa di un gruppo di donne (psicologhe, sociologhe, assistenti sociali, medici, avvocati) che hanno deciso di mettere le loro professionalità al servizio di tutte quelle donne che subiscono qualunque forma di violenza, disagio sociale, maltrattamento, emarginazione, degrado, isolamento personale e culturale. L’Associazione si propone di favorire una migliore qualità di vita a queste donne e ai minori con l’aiuto di operatrici di accoglienza formate e attraverso momenti di incontro e svago per favorire un approccio di tipo informale. Il Centro di accoglienza è operativo dal 2003 e si propone di essere un “luogo altro” che permette alla donna di raccontare il proprio vissuto e ricevere ascolto, acquisire la consapevolezza delle proprie qualità e competenze, tracciare un percorso

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per superare e uscire dalla violenza. Tutto ciò attraverso consulenze legali, sanitarie, psico-terapeutiche, educative; aiuti concreti e immediati; un rifugio, un lavoro, un alloggio. Per contattare il centro: Via G. Macherione, 14 - 95127 Catania. Telefono e fax: 095-7223990; indirizzo e-mail centroav@thamaia.org. Oppure visitare il sito www.thamaia.org. Sempre a Catania, inoltre, si è costituito il Progetto Rete Antiviolenza, nato dalla presa di coscienza da parte delle Politiche Sociali dell’aumento dei fenomeni di violenza contro i soggetti più deboli della società, in particolare le donne. La Rete si muove attraverso un Comitato di coordinamento che cura il percorso integrato, la realizzazione di un’indagine sul campo, un portale per la conoscenza e la diffusione di buone prassi, per i forum di ascolto e discussione, la realizzazione di strumenti informativi, spot e seminari, la redazione di un rapporto locale con i risultati delle indagini e delle iniziative.

La sede si trova in Via Nuovaluce 67/A Tremestieri Etneo, Catania. Per contattare, chiamare lo 095-4012633, inviare un fax allo 095-4012953. Oppure mandare un’e-mail all’indirizzo info@reteantiviolenza.it. È, inoltre, possibile rivolgersi al Telefono Rosa di Via Cantarella a Catania: 095-505372.


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A Siracusa la Rete provinciale dei Centri Antiviolenza “Le Nereidi” è stata fondata ed è tuttora diretta da Raffaella Maceri, giornalista-editrice, esperta di “women’s studies” e docente anche nell’ambito di progetti europei. L’Associazione gestisce una rete di presidi antiviolenza che copre tutto il territorio provinciale e offre gratuitamente sostegno e aiuto legale, psicologico e sociale a donne e bambini vittime di maltrattamenti, abusi e gravi difficoltà. Le volontarie del Centro offrono accoglienza telefonica e personale attraverso specifiche competenze maturate con una lunga formazione. Dopo l’accoglienza, l’utente viene affidata a specialiste: avvocati, psicoterapeute, assistenti sociali, pedagogiste, insegnanti. Le utenti a rischio possono inoltre, usufruire delle case di fuga a indirizzo segreto o degli sportelli anti-stalking.

Per contattare la rete: Sede centrale c/o ASL 8 Siracusa; Telefax 0931.492752 347.7758401 fax 0931.1846186; sito internet: www.lenereidi.siracusa.it Con Messina vogliamo mettere in evidenza le difficoltà in cui versano i centri antiviolenza in Italia e, in particolare, in Sicilia. Dopo averne elencato le potenzialità, gli obiettivi e la mission che queste Associazioni

possiedono, occorre soffermarsi sugli ostacoli che impediscono loro di svolgere al meglio il loro nobile compito. Il Cedav (Centro Donna Antiviolenza) Onlus di Messina è nato nel 1989 per offrire assistenza e sostegno alle donne vittime di violenza. Ha collaborato con la Provincia Regionale, il Comune di Messina, la Regione Sicilia e il Dipartimento dei Diritti e delle Pari Opportunità per realizzare numerosi progetti, sfruttando al meglio le risorse umane e materiali. È collegato con il Numero Verde nazionale 1522 e riceve segnalazioni dalle donne stesse, dai servizi sociali, dai servizi socio-sanitari, dalle agenzie scolastiche e dalle forze dell’ordine. Ma la carenza di risorse economiche ha piegato la volontà degli operatori del centro, tanto da spingere il presidente dell’Associazione, l’avvocato Carmen Currò, a rivolgersi a tutta la cittadinanza attraverso una Lettera Aperta, per giungere alle orecchie delle istituzioni, delle forze economiche e imprenditoriali, degli organi di stampa. Lo scorso 24 novembre, dunque, tutti sono stati messi al corrente che il Centro non riesce più a pagare l’affitto né le bollette telefoniche e che da due anni non riceve più alcun contributo pubblico. È stato lanciato un appello affinché giunga non solo la solidarietà morale, ma anche quella economica, affinché le volontarie del centro possano continuare ad assistere le donne

vittime di violenza intra ed extra familiare e le vittime di stalking.

Il centro si trova in Via Campo delle Vettovaglie, 98122 Messina. Per contattare, telefonare allo 090 715426 800225858; fax 090 670931 Ma Messina non sembra essere un caso isolato. Proprio negli stessi giorni, anche il sito dell’associazione Thamaia di Catania pubblica una notizia che riguarda i tagli della finanziaria ai danni dei Centri antiviolenza.Vengono portati alla luce i dati con cui l’associazione D.I.RE. fa scattare l’allarme sull’inadeguatezza numerica delle strutture di accoglienza rispetto ad un bisogno sempre crescente. Secondo D.I.RE., sono infatti 13.587 le donne che nel 2009 si sono rivolte ai 58 centri antiviolenza dell’associazione, con un incremento del 14,2% rispetto all’anno precedente. Di fronte a queste cifre, risultano carenti le possibilità alloggiative dei Centri Italiani e la presenza sul territorio degli stessi. Secondo le indicazioni dell’Onu e dell’Unione Europea, infatti, dovrebbe esserci un centro antiviolenza familiare ogni 10.000 abitanti e un centro di emergenza ogni 50.000. In Italia ne esistono meno di 100 e in Sicilia solo 5, che peraltro denunciano una forte carenza di risorse. Inutile fare i conti.


Donne di Salvatore Parlagreco

La triste storia di Isabelle, morta d’anoressia Filo spezzato del cervo volante: così lievemente, mio giovane cuore, te ne sei andato Takuboku Ishikawa

La triste storia di morta d’anoressia

Isabelle

I

sabelle Caro aveva 28 anni, soffriva di anoressia dall’età di 13 anni. È morta in novembre, ma della sua morte s’è saputo soltanto qualche giorno fa. Era stata la modella del fotografo Oliviero Toscani. La sua immagine fece il giro del mondo, indignò l’opinione pubblica. Le sue foto furono proibite. Dissero che era esporre un corpo malato come un trofeo è indegno, disgustoso. Fu come un pugno nello stomaco Isabelle scheletrica. Di anoressia si sapeva fra le modelle che sfilano sulle passerelle leggere come una piuma, gli abiti che a malapena poggiano sui loro corpi. Devono essere magre, magrissime. Ci fu una campagna contro le taglie magre, gli stilisti giurarono che niente sarebbe stato come prima. Non più modelle anoressiche, perché ad esse guardano le ragazze che si ammalano. Durò lo spazio di un mattino.Oliviero Toscani appena avuto notizia della morte di Isabelle ha ricordato che la sua foto era accompagnata da una didascalia: “No anoressia”. E poi ha spiegato: “La cosa sconvolgente è che la stampa invece di parlare del problema dell’anoressia ha reso famosa Isabelle come una starlette: e purtroppo penso che fosse compiaciuta della sua malattia…”Isabelle, dunque, sarebbe stata uccisa dalla notorietà ricevuta dalla malattia che stava combattendo e dall’esposizione del suo corpo spaventosamente magro. Non è vero. Isabelle è stata uccisa dall’ipocrisia, dall’indifferenza, da questo mondo cinico che riduce a bambole di cartone le giovani donne.

Il male di vivere L’anoressia è la malattia sociale di natura psicogena più diffusa nel nostro tempo che colpisce soprattutto soggetti appartenenti al sesso femminile. Chi ne è affetto, rifiuta il cibo, considera il sonno come perdita di tempo e il sesso, una concessione immeritata al corpo. L’anoressica è, generalmente, una adolescente colta e sensibile che considera

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il corpo una spia veritiera dei suoi insuccessi, il luogo di ogni intemperanza e ingordigia, la causa della propria disarmonia fisica e mentale, lo specchio di una intollerabile pigrizia. Nutre lo spirito, non il corpo. Lo alimenta di pensieri arguti, di tenacia, di volontà strenua e ingaggia così con esso una sfida mortale.


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L

’anoressica vive su un filo come un acrobata, cammina con disinvoltura lungo di esso, sospesa nel vuoto. Trattiene il fiato ad ogni rara incertezza, rimane senza respiro quando la paura sembra sommergerla, ma non mette mai i piedi a terra; cerca anzi di concentrarsi più che può per affinare, controllare ogni movimento, il più lieve, del corpo. Volteggiando fra i suoi pensieri elevati, non perde di vista coloro che la osservano e la sorvegliano. Le sue evoluzioni nel vuoto richiamano la preoccupata attenzione degli estranei e una angosciosa attesa degli eventi da parte delle persone care. Lei, acrobata che sfida la morte, non vuole pietà, né lacrime, ma attenzione. Obbliga, così, chiunque ad assistere impotente alla sua lucida sfida senza fine. Non vuole essere sola sul filo, ma non vuole che alcuno interferisca con la sua scelta. Lei è quel filo sospeso nel vuoto, quel corpo sapientemente dominato. L’anoressica diffida delle sue idee, dei suoi sentimenti, di coloro che la amano, e ritrova se stessa solo nel controllo degli impulsi biologici. Del cibo si può fare a meno, il sonno è una perdita di tempo, il sesso è una concessione verso quella parte di sé che non ha bisogno di nulla. «Posso impormi qualunque cosa: non mangiare, non dormire...» pensa. Il suo spirito di onnipotenza giace su un letto di spine accanto ad una inammissibile fragilità. Lentamente scompare il bisogno originario di ottenere un aspetto fisico adeguato ai «canoni» estetici che concedono approvazione e successo. Il corpo s’è imbruttito, ma lei non lo vede più. Evita lo specchio, evita di spogliarsi davanti ad altre persone, anche le più care, perché prova vergogna della sua metamorfosi e, soprattutto, non vuole ricevere rimproveri da alcuno. Il sentimento di vergogna è subito lenito dall’attenzione che il corpo diafano le procura. Il suo potere nei confronti del corpo è illimitato, perché la prova è stata coronata da successo. Ogni sollecitazione a nutrirsi è vana. Non più

solo un’interferenza, ma un’inaccettabile provocazione. Quando l’angoscia altrui l’assedia, accetta d’ingoiare il cibo, ma lo vomita appena possibile, dimostrando ancora una volta di essere se stessa. Mentre proclama il suo potere è la più debole delle creature. Il rifiuto del cibo non è più una libera scelta, ma una autentica dipendenza. Un barlume di coscienza affiora in superficie, ma non può farci nulla. Compaiono i disturbi fisici provocati dal lungo digiuno, ogni momento una pena. Chiede aiuto, ma non è capace di aiutarsi né di accogliere l’aiuto altrui. Spiega puntigliosamente le ragioni della sua malattia - finalmente la percepisce come tale - le origini pregresse, le sue colpe e quelle degli altri. Dapprima una innocente dieta guidata da un medico compiacente, poi il trauma: la separazione dei genitori, un amore deludente, l’improvvisa constatazione di non essere accettata a causa del suo corpo, il bisogno di approvazione, un diffuso malessere, il senso di vuoto. Accoglie su di sé le sofferenze di tutti, crede di interpretare i silenzi carichi di ambiguità di ognuno. Nel suo animo si affaccia l’idea di potere rimediare a tutto. Presto apprenderà che non è così. Ha fallito e ne sente per intero la responsabilità. Smarrita, confusa, si chiude dentro di sé, incaricando le incombenze quotidiane - lo studio, gli esercizi ginnici, la severa dieta - di alzare una barriera fra sé e gli altri. Il suo cruccio diviene quel corpo nel quale non si riconosce e con il quale si misura e si allea. E continua a sfidarlo, dapprima blandamente, quindi con crudeltà. Si uccide giorno per giorno e obbliga tutti ad assistere impotenti a una lenta agonia. Le adolescenti esprimono prevalentemente attraverso il corpo le loro inquietudini, il disagio psicologico, una irrimediabile solitudine. S’inventano i timori e li vivono con angoscia, sono paralizzate dai dubbi. Non sanno più che cosa vogliono e che cosa non vogliono. Quando scelgono finalmente qualcosa, si persuadono dell’impossibilità di ottenerla. Desiderano ciò che non possono avere

e rifiutano ciò che hanno o potrebbero avere. Si arrovellano attorno ad ogni argomento, il più elementare, al punto da far dubitare delle loro qualità. Sanno tutto ciò che c’è da sapere sulla anoressia e non accettano lezioni, né suggerimenti da alcuno. «Non puoi sapere», dicono. “Solo chi la vive, capisce, e sa che cosa è giusto fare”. E se qualcuno prova a sfidarle - “Visto che sai com’è, riprenditi la vita” - ti annichiliscono con uno sguardo di commiserazione. “Che ne sai della vita”, sembrano dirti con gli occhi. Mentre cercano di risolvere il primo dilemma dell’esistenza: decidere se esistere o non esistere.

I loro pensieri profondi costringono al silenzio, i sentimenti nobili svelano le nostre insospettabili viltà, le intuizioni geniali carpiscono anche i segreti del Nirvana e la loro incapacità di uscire dall’infanzia stimola una infinita tenerezza. Sono il più umano dei paradossi del nostro tempo, e il più temibile, il più inquietante. Come se attraverso di loro, le anoressiche, qualcuno volesse ricordarci i nostri limiti, la nostra fragilità mostrandosi attraverso le migliori virtù dell’uomo, l’intelligenza, i buoni sentimenti, la saggezza ed il volto di una donna. Solo di una donna.


Donne di Domenico Giardina

Mamme

under 19

ritorno al futuro S empre più giovani e sempre più mamme. Sembra un ritorno al passato, quando le giovani donne si sposavano ragazzine e diventavano mamme a 20 anni, quello che stanno vivendo tantissime adolescenti italiane, ma in realtà si tratterebbe soltanto di errori di percorso, ovvero di gravidanze non pianificate. Secondo gli ultimi dati a disposizione della Società italiana di ginecologia e di ostetricia, infatti, sono 4.732 le mamme “under 19” in tutta Italia. Circa la metà di esse sono concentrate nel Meridione dove la regione leader di questa particolare classifica risulta essere la Sicilia con 780 ragazze madri. Di conseguenza è facile constatare che l’Italia fa registrare uno dei tassi più bassi di abortività giovanile: il 7,2 per cento contro il 24 per cento dell’Inghilterra, il 15,6 della Francia e il 13,5 della Spagna. Numeri che non devono tralasciare il dato significativo di ben 10.375 aborti tra le ragazze al di sotto dei 19 anni solo nel 2008, anno a cui si riferisce questa statistica e ultimo resoconto disponibile. Addirittura sono state 296 le ragazze sotto i 15 anni che si sono trovate costrette a interrompere la gravidanza. Sono dati che devono far riflettere, soprattutto dal punto di vista dell’informazione verso gli adolescenti. Tutto questo si verifica, infatti, in un’epoca fortemente

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figlia della comunicazione mediatica, ma che forse non ha saputo trasmettere ai giovani l’importanza di una corretta prevenzione da un punto di vista sessuale. Prevenzione a 360 gradi che va dalle gravidanze indesiderate, come in questo caso, alle malattie sessualmente trasmissibili. Il fatto che così tante giovani si trovino in queste situazioni può voler dire soltanto una cosa: o hanno sottovalutato l’importanza della contraccezione,magari affidandosi all’istinto giovanile che spesso e volentieri fa pensare “ma perché dovrebbe succedere a me”; o, peggio ancora, non hanno gli strumenti di conoscenza adeguati per poter effettuare una giusta contraccezione. Di chi è la colpa in questi casi? Non lo si può stabilire con certezza, le variabili sono troppo ampie e diversificate. Si va da una totale assenza di educazione sessuale (in famiglia e nella scuola) che spinge il giovane a costruirsi da sé le sue conoscenze a volte errate, a una educazione sessuale incompleta, figlia delle titubanze degli adulti, magari a disagio con certi argomenti anche a causa (perché no?) di una morale religiosa che in Italia per lungo tempo ha reso quasi tabù questi argomenti. Salvo poi piangerne le conseguenze sulla pelle di ragazze non ancora donne. L’unico rimedio per ovviare a queste situazioni è quello suggerito da Emilio Arisi, consigliere nazionale della Società di ginecologia e ostetricia: “L’educazione e la conoscenza sono gli unici strumenti che possono davvero mettere al sicuro gli adolescenti da gravidanze indesiderate e malattie sessualmente trasmissibili”.



Speciale di Giulio Giallombardo

2011

la fine del mondo può aspettare Vogliamo lo sguardo indietro…

La fine del mondo è prevista per il 2012, secondo i Maya, abbiamo un altro anno dunque, non è il caso di inquietarci prima del tempo.

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G

odiamoci la fine di un anno che non ha riservato grandi gioie. Non so voi, ma noi l’abbiamo vissuto con il cuore in gola per una serie di ragioni che non vi stiamo a raccontare perché è meglio che ognuno se le risolva da solo le proprie paturnie. Comunque, siccome non ci manca l’ottimismo e siamo disordinati, che più non si può, vi proponiamo un viaggio fra fortune e miserie dell’anno che ci lascia, facendolo precedere da qualche pillola di saggezza sulle previsioni. Le quali, stando al signor Armando Torno, autore di un dotto articolo sul Corriere della Sera, dovrebbero essere accuratamente evitate perché tanto le sbagliamo sempre. O peggio, finisce che si avverino, giacché ci attrezziamo alla bisogna. Una cosa complicata che però un qualche senso ce l’ha (ma non possiamo spiegarvelo, sarebbe troppo laborioso). Torno fa un elenco di sbagli compiuti da maghi ma anche, e soprattutto, da uomini illuminati, pensatori illustri, scienziati e futurologi. Pare che siano proprio gli uomini colti a indovinare di meno e che siano cartomanti e stregoni ad azzeccare qualcosa. No, forse non è così, ma la storia delle epidemie di influenza che non arrivano puntualmente e fanno spendere agli Stati un sacco di soldi, qualcosa avrebbe

dovuto insegnarci. E poi c’è un certo Carlo Marx che predisse la fine del capitalismo, mentre è il comunismo che è collassato, lasciando qualche scoria qua e là. “In realtà”, avverte Torno, “le previsioni si trasformano in prevenzioni, antidoti, affari colossali, psicosi che ne favoriscono l’applicazione”. Ed ha ragione da vendere. Scrive anche che “in realtà gli uomini ripetono le stesse cose e commettono continuamente i medesimi errori”. A chi lo dice. Non ci sentiamo di dargli torto, proprio no. L’unica certezza che ci sentiamo di dare per il futuro è che la lingua cinese sul web sarà la più parlata. È poco, vero? Non possiamo aiutarvi. Proviamo ad uscire dunque dalla palude delle previsioni e guardiamo al passato recente per capire ciò che abbiamo perso e ciò che potremmo guadagnare. Marcello Veneziani sostiene che è finito l’anno della Mignotta sul Giornale. Lo sostiene con convinzione. La sua è una visione modesta della realtà, ma non sarebbe certo più entusiasmante ricorrere a sinonimi come l’anno della nipotina di Mubarak o del Bunga Bunga. Veneziani, che è una persona seria generalmente, è disposto a modificare l’anno della Mignotta in Zoccolandia. Non concede nulla di più. Accontentiamoci.


golfo messico

un peschereccio italiano. Centinaia di colpi sparati dai libici che utilizzavano una imbarcazione donata dal governo italiano a Gheddafi per presidiare le coste e scoraggiare gli sbarchi clandestini. Ma l’aspetto sconcertante della vicenda è la presenza di finanzieri italiani nella motovedetta. Che cosa poteva accadere di peggio? Poteva accadere che medici litigassero accanto ad una puerpera facendo rischiare la vita al neonato ed alla madre. È accaduto a Messina ed altrove. Qualcuno sta pagando? Chi lo sa. Nessun colpevole, ancora oggi, per l’uccisione di un sindaco onesto, Angelo Vassallo, che nel suo paesino, nel casertano, aveva messo un poco d’ordine senza guardie civili, ronde e tribunali, facendo semplicemente ciò che ci si aspetta da un amministratore, il suo dovere nel rispetto della legge. L’hanno ammazzato come un cane, dimostrando che non ci sia niente di più rischioso quanto l’onestà. Vassallo non era un anticamorrista da talk show e prima pagina. Era amatissimo, una immagine positiva senza supporto mediatico. Dovrebbe insegnare qualcosa questa storia, no? Eppure, è stata seppellita. Da che cosa? Dalla monnezza campana, tonnellate di cumuli che stagionano negli angoli di Napoli e nei comuni vicini. Le montagne di rifiuti crescono, scanditi dagli annunci del capo del Governo, di una soluzione del problema. I napoletani attendono la liberazione dalla monnezza con lo stesso trasporto con cui attesero la liberazione dal fascismo, affidata agli anglo-americani. Siamo indignati? Frenate l’indignazione, perché le ragioni per esserlo sono tante. A Roma un pugile dilettante, esce dalla palestra nel quale si

bama

mignotta medici

calcio

vamo avvertito. E la politica? Non avremmo voluto parlarne, ma come facciamo ad ignorare lo psicodramma che ha avuto per protagonisti Gianfranco Fini e Silvio Berlusconi, cofondatori del più clamoroso insuccesso della storia politica italiana? Per una volta volgiamoci indietro lasciando la politica e i suoi intrighi in pausa. Al netto, dunque, di Berlusconi, Bersani, Di Pietro, Fini, amici e nemici. Al netto delle contumelie e delle sfibranti disfide fra marionette al soldo di registi trinariciuti. Chi ama il calcio non ha dimenticato la figuraccia, prevista, dell’Italia ai Mondiali, la squadra campione del mondo è uscita al primo turno. Invece che assumersi le sue responsabilità, la Federazione e l’allenatore hanno affermato di avere fatto tutto ciò che era possibile per non rimediare l’insuccesso. Ma non è così, i club non educano giovani e non li valorizzano. La stessa cosa accade fuori dai campi di calcio, come ha detto Giorgio Napolitano nel suo messaggio di fine anno. L’Italia è un Paese che ha messo all’angolo i giovani. La nazionale azzurra è lo specchio fedele di questa condizione che potrebbe segnare il declino del nostro Paese. Restando nel mondo del calcio, indimenticabile l’episodio di Genova, la partita Italia-Serbia non disputata perché un energumeno, senza testa, seguito da un migliaio di tifosi serbi, ha impedito che si disputasse la gara. È stata la dèbacle della sicurezza. Una demenziale organizzazione ha regalato a Ivan il terribile, l’energumeno, il potere assoluto. Una resa senza condizione con un governo che mette al primo posto la sicurezza. Ci viene in mente a questo punto la caccia di una motovedetta libica ad

violenza wikileaks

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Pechino ingorgo bombasoldiguerrasoldi berlusconi

futuro

Sfortunatamente non sono le escort a fare storia. Proviamo ad allineare gli episodi più importanti, ma non aspettatevi la cronologia e una sequenza logica degli eventi. Abbiamo fatto una selezione personale di ciò che è accaduto, magari lasciando da parte ciò che avrebbe meritato di essere ricordato. Ci siamo affidati al filtro della nostra sensibilità, e auspichiamo che incontri il nostro assenso. Abbiamo provato profonda inquietudine nell’apprendere che dalle parti di Pechino si sono verificati ingorghi lunghi 120 chilometri. Può accadere da noi, da qui a quale tempo, e ci siamo preoccupati. Stessa inquietudine ci ha causato la marea nera nel Golfo del Messico. Non ci accusate di egoismo, ma il pensiero che possa accadere nel Mediterraneo, che ospita pozzi petroliferi, non ci abbandona. Poi il crollo di Pompei. L’abbiamo vissuto come l’icona dell’incultura, dell’insipienza. Non vogliamo mandare al rogo alcuno, le responsabilità non sono personali, ma collettive. Crediamo che Giulio Tremonti, quello che tiene i cordoni della borsa, debba battersi il petto. L’Italia è cultura. Non è la Padania. In dieci anni, abbiamo appreso, si sono moltiplicati i telefonini, gli stranieri e i divorzi. Pazienza, ma sapere che programmi noiosissimi come “Vieni via con me”, siano stati seguiti de quasi venti milioni di spettatori perché parlavano di cose serie, e che personaggi come Saviano, Englaro ed altri abbiano battuto Amici, reality, format con la presenza di Belen Rodriguez, che pure è una fanciulla che merita di essere osservata, ci riempie di orgoglio e ci fa sentire più italiani dello scorso anno. Sono giudizi molto personali, vi ave-

ingorhi fini napoli

Speciale


2011

la fine del mondo può aspettare Vogliamolo sguardo indietro…

allena e ammazza di botte la prima donna che incontra. Per quale ragione? Era stato mollato dalla fidanzata. Com’è possibile, direte. È possibile, perché l’energumeno era in cura psichiatrica, ma non prendeva le pillole e la sua malattia era stata sottovalutata da medici e familiari. C’è andata di mezzo una donna di mezza età, una povera filippina che passava per caso da quelle parti. Sarebbe potuto toccare a chiunque. Spaventoso, no? Andiamo a Milano, perché c’è un altro episodio che ci ha sconvolto e non riusciamo a dimenticare. Tre giovani, tra cui una donna, hanno scaricato su un povero tassista, colpevole di avere travolto il loro cagnolino, la loro rabbia. L’hanno massacrato per punirlo della sua sconsideratezza. Stanno tutti e tre in galera ed è auspicabile che qualcuno getti via la chiave. Le ragioni per rabbuiarci ci sono e come. Centinaia di bambini perdono la vita nelle guerre. Proprio nell’ultima settimana in Afghanistan ne sono morti otto per una bomba rimasta inesplosa. Centinaia di cristiani vengono perseguitati nel mondo islamico a causa del fondamentalismo, una guerra religiosa che trova le sue ragioni negli squilibri sociali ed economici del mondo, nell’uso della fede per combattere il nemico, nell’ignoranza più profonda ed irredimibile. Questa miscela infiammabile, tuttavia, viene accesa anche nel mondo occidentale. Un pastore della Florida annuncia che brucerà un pubblico il Corano e scoppia la fine del mondo nei paesi islamici. Ci si accorge così che al tempo di internet basta un cretino investito di un ruolo seppure secondario per provocare una catastrofe. Impareremo qualcosa dall’idiota della Florida? Nutriamo seri dubbi.

Occorrerebbe realizzare un poster e distribuirlo in ogni angolo del pianeta. Restando in tema, l’anno che se ne va ci consegna le verità di Wikileaks. Verità? Opinioni, anticipazioni, annunci, soffiate regalate e ricevute, inviate e trasmesse dai diplomatici americani al Dipartimento di Stato. Storie e giudizi che vengono presi sul serio un poco ovunque e seminano panico, scoramento, preoccupazione. Una caterva di smentite piove sui giornali e sulla rete che pubblicano i messaggi hackerati dal signor Assange e dalla sua comitiva, convinti che diffondendo il verbo dei diplomatici si faccia opera di giustizia e di verità. Fondamentalismo anche questo? Un poco sì. Mettetevi nei panni dei diplomatici che, con un linguaggio poco diplomatico, raccontano ciò che sanno del paese in cui risiedono per aiutare i capi ad assumere le decisioni più idonee. Mettetevi nei loro panni quando scoprono di essere stati letti copiati e messi alla berlina per le loro leggerezze, errori, idee senza capo né coda. O per i loro avvertimenti, il loro allarme, la scoperta di violenti, imbecilli, ignoranti, imbroglioni nel campo degli amici o dei nemici degli Usa. Il mondo globalizzato non avrebbe potuto lasciare indenni ambasciate e consolati. Facciamocene una ragione. E godiamoci il piacere di conoscere il punto di vista “straniero” sui nostri governanti. Giudizi pessimi, come sapete. Siamo stati americanizzati, non solo a causa di Wikileaks. Magari fosse il signor Assange, che paga il suo “terrorismo” mediatico con un processo per stupro (non aveva usato il preservativo, costringendo la sua donna ad accettare un rapporto “non coperto”) è ai “domiciliari” con il braccialetto anti-fuga al polso. Così impara a non origliare

nelle stanze dei potenti. Consentiteci di chiudere con due episodi lieti, il salvataggio dei 30 minatori cileni, rimasti tre mesi circa a 700 metri di profondità. Tutti salvi grazie all’intelligenza, l’abnegazione, la generosità dei salvatori, ma anche grazie alla loro straordinaria forza d’animo. Ci sono volte che l’uomo dà la misura della sua grandezza nelle piccole cose. Ci ha dato gioia sapere che accanto a Ground Zero venga costruita una Moschea. L’11 settembre era vissuto come una guerra di religione, un attacco musulmano contro l’occidente. È un falso, una ingiustizia clamorosa. I fondamentalisti musulmani costituiscono una minoranza nell’Islam. Una minoranza violenta, rumorosa e ben foraggiata da paesi e potentati economici. Il mondo cristiano ha le sue chiese fondamentaliste, che non imbracciano fucili né compiono atti terroristici, ma dividono il mondo fra buoni e cattivi, consegnando alla cattiveria tutti coloro che non la pensano come loro. La Chiesa cattolica è in prima fila nella battaglia per la libertà religiosa. Cerca di spegnere il fuoco fondamentalista ogni volta che è possibile. Mr Obama con la moschea ha dato una mano a Roma. Non c’è altro? Forse c’è tanto altro, ma non abbiamo altri ricordi e come abbiamo avvertito all’inizio, ci affidiamo ad essi, non alla ricerca per una ragione semplice: devono essere il cuore, con l’aiuto della ragione, ed un poco di memoria a scegliere ciò che vale la pena ricordare. Il limite di questo assunto è che la selezione viene fatta da una sola persona, l’autore di ciò che leggete. Ma siccome lo sapete, i limiti del nostro “resoconto” potrebbero diventare stimoli per ricordare di più e meglio.

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Speciale di Salvatore Parlagreco

gesù fu un grand’Uomo Ci insegnò uguaglianza e libertà Come? Riprendendoci la vita...

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el numero di Natale di Mag ho dedicato l’editoriale alla nascita del Salvatore ed al messaggio laico di Gesù. Una riflessione che è stata variamente commentata, c’è chi, legittimamente, ha creduto che essa volesse mettere in un angolo l’aspetto religioso, oscurandone il valore di testimonianza. È opportuno che su una questione di tanta rilevanza proponga alcune considerazioni. Con una premessa. La mia militanza cattolica lascia a desiderare, le mie conoscenze teologiche sono povere, in più confesso, contrito ma per niente pentito, che tengo in gran considerazione gli uomini di buoni sentimenti e rispettosi di se stessi e del prossimo, anche se non credono. E ritengo anche che essi, i non credenti, i diversi, abbiano diritto a decidere della fine e del principio della vita. Non ho le carte in regola per scrivere di Gesù. Ma sento il bisogno di raccontare come vivo questa festività e quale significato gli attribuisco, poiché sospetto che siano in tanti a professare il mio cattolicesimo indisciplinato e povero e a vivere in modo diverso la ricorrenza più lieta del cristianesimo. Desidero riflettere proprio sulla ricorrenza, la “rinascita” annuale di Gesù. I cattolici la celebrano per ricordare il più prezioso dono fatto da Dio agli uomini, e ne hanno ben ragione, ma c’è dell’altro che merita a mio avviso di essere considerato. Ogni volta che Gesù nasce nel cuore degli uomini e delle donne di questo mondo, siamo destinatari di un messaggio.

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Quale? L’invito a rinascere come cattolici, come uomini, come cittadini, come genitori, figli, fratelli. In una parola, come persone. Se riflettete un momento, non potete negare che nel corso della vostra vita vi siate sentiti rinascere almeno una volta. E quando ciò è avvenuto, avete provato una intima gioia: non avete abdicato a voi stessi, a ciò che eravate, alle gioie ed alle tribolazioni, ma vi siete ripresi la vita così come vi era stata donata, segna di essere vissuta.Vi siete sentiti padroni di voi stessi, pronti ad ascoltare gli altri, ad essere tanti persone insieme. La vostra nascita, così come la nascita di Gesù, è un dono d’amore di vostro padre e vostra madre, ma la vostra rinascita è il risultato della volontà, di un animo forte che vi ha dato la forza di ricominciare per essere degni di quel dono che vi è stato regalato dal Padreterno. Dobbiamo rinascere ogni volta che la vita si spegne dentro di noi. Come si fa, vi chiedete. Non lo so proprio. So però che bisogna provarci. E qualche volta la grazia arriva. Una grazia laica, che ci avvicina a Gesù. Credete che sia impossibile? Secondo me, se lo credete, sbagliate. E sapete perché? Gesù ci ha insegnato a rinascere. Ricordando la sua nascita oggi festeggiamo le nostre rinascite, festeggiamo noi stessi e colui che ci ha permesso di essere come siamo. Gesù viene ricordato in Chiesa per i suoi miracoli, il suo percorso di redenzione, il suo apostolato, il suo estremo sacrificio. Viene ricordato come figlio di Dio, che si fece umile e debole, uomo come gli altri uomini, pur essendo forte e invincibile. La Chiesa che lo celebra come testimonianza del Verbo, non commet-te alcun errore, ci mancherebbe, ma c’è dell’altro, molto altro nella vita di Gesù. Per chi non crede, Egli è un grande uomo: regalò all’umanità una verità che avrebbe cambiato l’umanità, asserendo che gli uomini sono uguali ed hanno perciò uguali diritti e doveri. Una verità laica. Perché mai questa straordinaria primogenitura non viene raccontata nelle

case di Dio e fuori da esse? Gesù può essere amato da tutti, non solo dai cattolici e dai credenti. La sua “laicità” proviene dalla fede, è vero, ma non è affatto vero che essa può essere raccontata solo accanto alla fede. Gesù insegnò agli uomini la tolleranza, l’ascolto, l’umiltà, l’indulgenza, il perdono, l’uguaglianza e le libertà. Il rispetto degli altri. Insegnò che bianchi e neri, poveri e ricchi, stranieri o non, hanno tutti il diritto di vivere con dignità la loro vita; insegnò ad accogliere l’altro, a non temere il diverso, a dargli il rispetto e la considerazione che si ha per se stessi o il proprio congiunto, il vicino, colui che parla con le nostre parole, ha le nostre abitudini, e crede a ciò che noi crediamo. Non credete che questi insegnamenti siano miracoli compiuti da Gesù? Miracoli cui diamo scarso rilievo, perché non ci sorprendono, e sulla loro credenza siamo divisi. Per diciotto secoli milioni di cattolici, i più grandi paesi cattolici, si sono arricchiti con la tratta degli schiavi. Che fine avevano fatto le parole di Gesù? Inascoltate, tradite, negate. Oggi, come ieri, le parole di Gesù sono ignorate. Quale considerazione si ha per i diversi e gli stranieri? Più facile credere nel miracolo della moltiplicazione dei pani che trattare allo stesso modo chi non fa parte della nostra famiglia, non è nato nel nostro Paese, non professa la nostra fede, o manifesta il suo amore in modo diverso. Nel dopoguerra i socialisti “miscredenti” si impadronirono delle verità di Gesù e ne fecero il primo socialista dell’umanità. Ci fosse o meno un intento utilitarista, è innegabile che di Gesù si colse l’aspetto laico, generalmente ignorato. Sfogliando fra le pagine che ricordano la propaganda politica del tempo, è possibile vedere i manifesti di Gesù affissi dai mangiapreti scomunicati. Mi chiedo perché mai l’insegnamento laico di Gesù non abbia predicatori. Se li avesse e ne avesse tanti, in abito talare e non, la Chiesa potrebbe rinascere nel cuore e nella mente degli uomini, qualunque sia la loro fede. Sarebbe un nuovo miracolo compiuto da Gesù.

Dobbiamo rinascere ogni volta che la vita si spegne dentro di noi...


Contesto di Enzo Coniglio

Don Luigi Sturzo

Don Luigi Sturzo ed il federalismo municipale

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ono certo che molti di voi, al pari dei nostri nonni hanno pensato e ancora oggi pensano che un prete dovrebbe celebrare messa, dispensare i Sacramenti e non fare politica. Un prete non è un politico. Devo confessarvi che l’ho pensato anch’io da giovane studente liceale e per questo ho fatto una fatica boia a capire il perché questo prete fragile e malaticcio, di Caltagirone (Catania) si fosse ostinato a fare politica come attività primaria anche a costo di mettere seriamente a rischio la propria vita e ad essere costretto ad invecchiare in esilio, lontano dagli affetti dei suoi cari e tra tanti stenti, lui figlio di un barone e con una prestigiosa formazione culturale alle spalle. Ma quello che consideravo più scandaloso e incomprensibile era il fatto che per don Luigi fare politica doveva essere considerata la cosa più naturale del mondo, un impegno imprenscindibile. Un’autentica rivoluzione copernicana che non mi ha lasciato sogni tranquilli per alcuni mesi. Mi sono buttato a capofitto nella lettura dei suoi scritti che sono numerosi ma di grande chiarezza (www.sturzo.it). Ho abbozzato una ipotesi interpretativa che vorrei presentare soprattutto ai giovani cattolici siciliani che dovessero decidere di coniugare la dimensione religiosa con quella politica. Sul piano intellettuale, appariva chiaro che il giovane don Luigi aveva acquisito da ragazzo una solida cultura filosofica e teologica all’Università Gregoriana di Roma e nello stesso tempo aveva avuto modo di

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frequentare e collaborare con i maggiori leader cattolici impegnati sia nel sociale sulla scia della enciciclica “Rerum Novarum”, sia nel superare l’impasse provocata dal “non expedit” che impediva ai cattolici di partecipare alla vita politica italiana. Mi riferisco a Giuseppe Toniolo, Romolo Murri, Gioacchino Ventura, Filippo Meda, Andrea Scotton... Sul piano pratico, il giovane Sturzo era stato letteralmente scioccato dal constatare la miseria della popolazione romana come scrive lui stesso:”Per più giorni mi sentii ammalato e non presi cibo... Per un mese i libri di filosofia restarono là impolverati ; il mio pensiero era altrove”. Aveva ritrovato a Roma la stessa miseria, povertà fisica, morale e intellettuale che aveva riscontrato da adolescente nella sua Sicilia. Gli si poneva quindi un dilemma: se diventare professore di filosofia e di teologia o dedicarsi alle attività sociali e diventare un “buon pastore”. Optò per quest’ultima scelta che perseguì con un rigore intellettuale e con una dedizione pratica che non conosceva riserve e ostacoli. La prima scelta innovativa è stata quella di voler operare non su una parrocchia ma su tutto il territorio della città, (della Polis) e del contado, in considerazione della comunanza dei problemi e delle soluzioni. La seconda scelta in un certo senso altrettanto innovativa è stata quella di volersi comportare come un Buon Pastore. Un buon Pastore non può accettare che il suo gregge viva di stenti, sia sfruttato dagli usurai e dalla mafia; lavori dall’alba


31 al tramonto e che i risultati dei suoi sforzi vadano a chi non ha lavorato e vive da parassita: i proprietari terrieri e i gabelloti. La preoccupazione del buon Pastore, pensava il giovane Sturzo, è come migliorare strutturalmente la qualità di vita superando la logica assistenzialistica della elemosina. E per migliorare la qualità di vita, occorre creare dei Comitati parrocchiali e interparrocchiali, delle sezioni operaie, delle cooperative agricole, delle affittanze collettive e delle casse rurali; occorre inoltre favorire l’informazione attraverso organi di stampa e promuovere la formazione attraverso dei corsi e soprattutto facendo assumere alle persone delle responsabilità operative all’interno dei comitati, delle sezioni operaie e delle cooperative. Ma questa dovrebbe essere l’attività della Polis, della città appunto, del Municipio: è la classica attività “politica” nel senso classico del termine, che nessuno in quel periodo svolgeva. Coerentemente quindi il buon Pastore deve occuparsi della Polis. Le liste elettorali municipali del tempo erano liste di persone che distribuivano favori e non liste fondate sui programmi adeguati a risolvere i problemi dei cittadini. Sturzo era convinto che attraverso la vita associata e la partecipazione attiva nelle cooperative e nei comitati sarebbe venuto fuori un “cittadino nuovo” orgoglioso di se stesso, affrancato dal clientelismo, laico nelle scelte, democratico e cristiano nei comportamenti. In altre parole, Sturzo si convinse che la sua missione non era quella di formare dei cristiani tradizionali che apparivano ai suoi occhi ignoranti, egoisti, isolati e dei poveracci ma dei cittadini democraticamente responsabili, istruiti e impegnati a migliorare la qualità di vita loro e dei loro figli. Il pensiero sociale cristiano era visto da Sturzo come cemento che unisce e non certo fonte di divisione. Etichettare un cittadino come cattolico e rinchiuderlo in un ambito parrocchiale non avrebbe

favorito quella unità operativa territoriale municipale indispensabile per l’elevazione della società nel suo insieme. Facile a dirsi ma difficile a realizzarsi per l’opposizione appunto dell’establishment tradizionale e per le battaglie sociali, economiche e politiche che ne seguirono, compresi alcuni atti violenti che si registrarono in diverse occasioni, come quelli di Palagonia del ferragosto 1902 culminati nella rivolta dei contadini, in scontri frontali con la polizia e con l’arresto di un prete, don Giuseppe Blandini che seguiva l’attività di don Luigi Sturzo. Appariva ormai chiaro che bisognava impegnarsi politicamente e partecipare alle elezioni municipali del 1902. Il “partito” di Sturzo conquistò 7 seggi su 40. Nello stesso anno, organizzò a Caltanissetta il Congresso dei consiglieri comunali e provinciali e lanciò il programma di rinascita delle autonomie locali. Nel 1904 Sturzo fu nominato commissario prefettizio al Comune di Caltagirone e l’anno successivo il partito locale da lui guidato, ottenne 32 seggi su 40.Venne nominato Consigliere provinciale e pro-sindaco di Caltagirone, carica che manterrà ininterrottamente fino al 1920. Adesso da sindaco può svolgere in maniera più agevole ed efficiente la sua missione sacerdotale. Il percorso politico di Sturzo è identico al suo percorso di prete cattolico, di “buon Pastore” come gli avevano insegnato. In sintesi, per don Luigi Sturzo “far politica” non significa altro che vivificare dall’interno la società civile che ha nel Municipio la sua struttura organizzativa di base in termini di territorio e di popolazione. Il Cristianesimo deve vivificare la società, contribuire a migliorare la qualità di vita favorendo tutte le istituzioni sociali, economiche, culturali e politiche ma senza mai confondersi con esse che devono rimanere assolutamente laiche e aperte a tutti coloro che ne condividono il programma, anche se non sono cattolici. La verità è una sola e non ha etichette. Nella sua attività di sindaco, don Luigi

Sturzo si convinse che le autonomie locali erano minacciate da uno Stato centrale e rigidamente centralizzato che perseguiva obiettivi non coerenti con i bisogni della popolazione soprattutto del Sud. Ed è da questa constatazione che nascerà accanto al partito municipale,un partito nazionale che chiamerà Partito Popolare Italiano e non Partito Democratico cristiano, volendo sottolineare ancora una volta la separazione dei due ambiti, idealmente convergenti. Il concetto di politica in Sturzo non si identifica affatto con un partito e tanto meno con la religione cristiana. La politica si qualifica come lo strumento articolato di crescita della comunità nei suoi vari ambiti attraverso il consenso e l’esercizio attivo e responsabile di una democrazia partecipata che sia coerente con il pensiero cristiano espresso attraverso il vangelo e le encicliche. I partiti sono strumenti e come tali devono essere visti e partecipati. Ricapitoliamo, a questo punto. Desidero offrirvi una scheda di questo straordinario siciliano. 1. La Famiglia. Nasce nel 1871 da una famiglia baronale di Caltagirone (Catania) che si era distinta nei decenni precedenti per aver dato alla società illustri magistrati, uomini di pensiero, politici, amministratori e gesuiti. In particolare, il nucleo famigliare di don Luigi si caratterizza per essere interamante dedicato ai valori etici, morali e religiosi: dal papà, Felice, barone di Altobrando, alla mamma, donna Caterina Boscarelli, al fratello maggiore di dieci anni, Mario, per quarant’anni vescovo di Piazza Armerina, alla sorella primogenita, Remigia, suora di clausura, alla seconda sorella Margherita, religiosa laica in famiglia e alla sorella gemella Nelina, nubile per scelta personale e che lo seguirà nei suoi spostamenti in Italia. 2. La scelta religiosa. È in questo ambiente famigliare che il giovane Luigino, magro e di costituizione delicata, decide di diventare sacerdote sebbene in quegli anni i sacerdoti parrocchiali in Sicilia non


Contesto Don Luigi Sturzo ed il federalismo municipale erano apprezzati perchè poco istruiti e molto spesso al soldo delle famiglie ricche e benestanti. Naturalmente egli frequenta i seminari di Acireale (Catania) e d Noto (Siracusa) ritenuti tra i migliori. 3. La scelta degli studi. Ordinato prete a Caltagirone nel maggio 1894, decide di studiare filosofia e teologia all’Università Gregoriana di Roma, la migliore d’Italia per questo tipo di studi conseguendo regolarmente la prestigiosa laurea. Don Luigi si rivela un eccellente allievo attento ai gandi cambiamenti della Chiesa del tempo che deve far fronte alle sfide epocali della fine del potere temporale dei papi (1870), alla questione sociale oggetto della enciclica Rerum Novarum (1891) e all’imperante anticlericalismo della massoneria, del positivismo e del nascente modernismo. 4. Gli interessi socio culturali. Il giovane Sturzo segue attentamente le tematiche socio – culturali. Conosce i maggiori protagonisti cattolici del tempo come Giuseppe Toniolo, Gioacchino Ventura, Romolo Murri, Filippo Meda, e diventa lui stesso un giovane protagonista aderendo all’Opera dei Congressi, al Movimento Democratico Cristiano e al gruppo editoriale “Domani d’Italia”. Scrive regolarmente e con successo nella apprezzata rivista di Romolo Murri: “Cultura Sociale” 5. La grande scelta La situazione personale di Luigi Sturzo a 27 anni (1898) poteva considerarsi eccezionalmente felice dal punto di vista famigliare, religioso, sociale,

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intellettuale ed economico. Don Sturzo lo sa ed è grato a Dio e agli uomini; ma sa anche che adesso è venuto il momento di decidere che tipo di prete vuole essere. E la risposta che dà a se stesso è assolutamente rivoluzionaria: esclude di fare il docente o il prete tradizionale che aministra i sacramenti in una sola parrocchia. Vuole impegnarsi progressivamente nella città di Caltagirone, nella diocesi, in Sicilia e in Italia a promuovere l’informazione e la formazione di una ben definita coscienza morale, culturale e politica; vuole contribuire a cambiare radicalmente l’organizzazione del lavoro e a migliorare le condizioni economiche e sociali di vita dei suoi concittadini; e cosa ancora più impegnativa, vuole dare un contributo concreto a risolvere le delicate problematiche che interessano la Chiesa. In una parola non vuole fare il prete secondo il pensare comune ma vuole radicarsi nel territorio e diventare il gestore organico delle risorse umane, finanziarie ed economiche. Prima di sentirsi prete e cattolico, Don Luigi Sturzo si sente cittadino organico di un Municipio laico che è parte di una Regione, di uno Stato e del mondo, chiamato a svolgere una posizione da leader che assume direttamente e fa assumere delle decisioni coerenti con le problematiche emergenti e con i valori cristiani che comunque restano in sottofondo. Naturalmente questa funzione da leader non può non tradursi in una funzione politica da cui i cattolici erano stati esclusi per decisione papale dal 1874, in seguito al “Non expedit” e che non appare agli occhi di Sturzo ulteriormente sostenibile.

6. Il territorio diventa quindi il punto focale da cui partire e in cui realizzare la sua strategia partendo dall’entità di base: il Municipio. Cosa fa in concreto? a. Innanzitutto costituisce dei Comitati parrocchiali e interparrocchiali e una rete di cooperative sul modello veneto e di casse rurali come strumento di contrasto alla mafia, all’usura, al clientelismo e al sistema feudale dei gabelloti. In una parola intende assicurare una migliore qualità di istruzione, di formazione e di vita economica delle comunità rurali e cittadine. La democrazia, secondo Sturzo non si apprende leggendo sui libri ma creando condizioni di partecipazione dei cittadini alla soddisfazione dei loro stessi bisogni. È dalla vita responsabile associata che sarebbe nato il nuovo cittadino. b. Nel 1897 fonda “La Croce di Costantino” organo di formazione e di informazione dei Comitati diocesani e interparrocchiali e della Casse rurali che nel 1905 sono già 145. c. Inizia negli stessi anni un contrasto chiaro e senza compromessi allo Stato italiano che accusa di essersi dato una struttura rigida nazionale e di non favorire le autonomie locali, le sole capaci di rispondere ai bisogni effettivi dei cittadini. Scriveva: “Tra tulle le cause della questione del Nord e del Sud Italia.... le principali sono l’accentramento dello Stato e l’uniformità tributaria e finanziaria”. Da questa convinzione nasce la proposta di Sturzo di realizzare una “federalizzazione delle varie Regioni che lasci intatta l’unità [del Paese]”.


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7. La rappresentanza comunale. Ormai era chiaro a Sturzo che occorreva partecipare con dei propri uomini e con un proprio partito comunale alle elezioni. Prese questa scelta nel 1899 e la ripetè nel 1902 in cui divenne l’ago della bilancia delle forze politiche che gestivano allora il Municipio di Caltagirone. Ma il successo pieno arrivò nel 1905 quando la sua lista ottenne 32 seggi su 40 ed egli stesso fu nominato Consigliere provinciale e “Sindaco, dalla veste talare, dal corpo gracile e dal pugno di ferro”; carica che ricoprì ininterrotamente fino al 1920. 8. Il valore politico del Municipio. Per Sturzo, il Municipio è un “ ente concreto più che non lo sia una provincia, una regione, uno stato” che permette i necessari contatti diretti tra amministratori e cittadini, facilita la trasparenza degli atti e permette verifiche e controlli diretti da parte dei cittadini. Nel Municipio si può realizzare una sorta di democrazia diretta a condizione che i politici locali effettuino una “politica del programma” e non una “politica delle persone”. 9. Don Sturzo ravvisava tre punti cardine del programma municipale: a. L’autonomia del Municipio come diritto inalienabile, fondamento della programmazione economica e sociale; garanzia di vita democratica e luogo di soddisfazione immediata dei diritti del singolo e della comunità associata. b. Il referendum popolare consultivo

e deliberativo inteso come “ funzione normale e obbligatoria di vita amministrativa e... come istituto rispondente alla natura del comune e delle esigenze della vita collettiva”. c.la rappresentanza proporzionale.Nel contesto degli anni 50 caratterizzato dagli imbrogli partitocratici, preferirà invece il voto per collegio uninominale. 10. Le funzioni primarie del Municipio sono per Sturzo: a. Concorrere alla educazione religiosa, morale e civica ad inegrazione del diritto familiare; b. Promuovere la Istruzione come strumento di acquisizione delle conocenze sociali fondamentali e quelle professionali. L’Istruzione inoltre è chiamata a formare “le coscienze dell’elettorato oneste e adamantine, capaci di comprendere la portata degli interessi pubblici”; c. Svolgere una diretta attività sociale “volta alla municipalizzazione delle culture, all’acquisto degli attrezzi agricoli, alla formazione delle cooperative, alla istituzione della piccola proprietà inalienabile, ad un’efficiente organizzazione del lavoro nel settore rurale, artigiano ed industriale e in quello del publbico impiego” 11. Queste considerazioni lo hanno convinto della necessità di creare un Partito municipale in ogni Municipio, ben distinto dal Partito nazionale. Un tale partito dovrebbe essere fondato sui punti cardine e le funzioni sopra ricordate; deve essere assolutamente laico e aperto a tutti coloro che ne condividono i principi e i programmi.

Scrive Don Sturzo: “In Sicilia domina il partito affarista alla cui base sta una coalizione di interessi personali intesi a sfruttare i municipi; sulla cui vetta troneggia l’interesse politico, anch’esso personale, sfruttando tutte le energie paesane, incatenando e aggiogando i nostri comuni ai favori dei Ministeri. È un turpe mercato senza idealità che in una corsa e rincorsa di potere, sbalzata in vece alterna dalle maggioranze alle minoranze, rovina i municipi, dissangua il popolo oppresso dalle tasse, e mantiene il tenore della vita collettiva delle città in grado inferiore allo sviluppo della civiltà presente. A destare gli entusiasmi di una nuova vitalità occorre che si avanzi un partito di idee che risponda alle gravi condizioni presenti, che determini la reazione, crei la riscossa dal vile servaggio”. I Municipi, consapevoli di questo sfruttamento che li rende schiavi, dovranno porsi come obiettivo primario la realizzazione di una Federazione nazionale dei Municipi capace di sconfiggere uno Stato centrale anchilosato e incapace di cogliere le reali esigenze dei cittadini. Dovranno saper creare una “democrazia organica”. E precisa: “La nostra democrazia è spesso detta organica per opporla a quella individualista. Il senso dell’aggettivo ‘organica’ è compleso. Nello stato democratico debbono avere la loro esistenza, autonomia e iniziativa tutti gli organismi amministrativi, economici, sindacali, sociali, culturali e religiosi che rispondono ai biosgni e ai caratteri di ogni classe e regione e popolazione e ai loro interessi generali e particolari”.


Contesto

la foto che fa storia

Berlusconi e Casini

N

ella concitazione generale l’episodio è passato quasi inosservato. Silvio Berlusconi, liberato dall’ansia del risultato e reso euforico dal successo, incontra Pierferdinando Casini che si avvia verso l’uscita dall’Aula di Montecitorio, lo tira a sé, gli si avvicina e gli dice qualcosa all’orecchio. Casini non era stato tenero con il Premier durante il suo intervento, gli aveva rimproverato tante cose, e qualcuna avrebbe potuto infastidire il Premier, ma quando si dibatte nei palazzi è come a teatro, i torti subiti vengono dimenticati con facilità perché le priorità sono altre e i sentimenti vanno aggiornati. Quando gli attori finiscono la pièce, dopo essersele date di santa ragione in scena, vanno a cena o a letto insieme, com’è normale che sia. Si dimentica tutto, insomma, la dialettica parlamentare macina ogni cosa, i conflitti non lasciano ferite che non possano essere rimarginate. Silvio Berlusconi sussurra qualcosa e tutto finisce lì. La faccia di Casini, durante la diretta tv, non è visibile, perché Pieferdi viene ripreso di spalle. Si vede la mano di Berlusconi che avvolge il collo del leader Udc. Un istante, la telecamera punta altrove, dove Ignazio La Russa dai banchi del governo si china per

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dare il “cinque” a Daniela Santanchè, la tira a sé per abbracciarla. Anche Daniela Santanché è ripresa di spalle, ma non c’è dubbio, la capigliatura non tradisce, è lei. I due, tra l’altro, sono stati in prima linea nella caccia ai voti di fiducia. La sottosegretaria ha detto di avere ricevuto più telefonate di quanto ne abbia fatte. C’era l’imbarazzo della scelta. Se la sequenza tv è passata inosservata, la foto dell’incontro no. Il fermo immagine, accolto dalla stampa nazionale, regala all’evento umori diversi. Lo carica di significati, gli affida aspettative, propone domande, suscita curiosità. Non si tratta solo di un pour parler, sembra qualcos’altro. È un gesto particolare, una specie di chiamata alle armi soft. Una moral suasion affidata ad una carezza sul collo, ad un sussurro sul lobo dell’orecchio. Il bisogno di ricostruire la confidenza di un tempo, il proposito di sedurre l’antico amico riconsegnandogli l’affetto smarrito. Un corteggiamento “estremo”, plateale, compiaciuto, condotto nel momento giusto con l’animo ben disposto alla generosità. Forse non è solo un sussurro, le labbra di Berlusconi lasciano sospettare un bacio, che segue l’abbraccio. La scelta del tempo nel corteggiamento estemporaneo è essenziale. È essenziale accarezzare

l’ex amico, oggi nemico, con l’animo gonfio di orgoglio, quando ci si può permettere di essere respinti: il contesto concede naturalezza ai gesti. Non può esserci aggressività, nessun sospetto di coartazione della volontà altrui, sebbene il messaggio inequivocabile di una affinità elettiva da riscoprire. Lo sai che ti voglio bene, insomma, che sono un tuo amico, che avrai ciò che ti serve con me. Affidati, dunque, non avere remore. Non sono necessarie molte parole, basta avvolgere il figliol prodigo attorno a sé, regalargli una carezza sul collo e fargli sentire il fiato sul lobo dell’orecchio dopo la tenzone, la battaglia indubitabilmente vinta. L’onore delle armi concesso allo sconfitto? No, la rivelazione di un bisogno. Non sei stato battuto, stai dalla mia parte, dalla parte di chi ha vinto. Un’immagine racconta più di mille parole. Ferma il tempo, fissa lo sguardo, l’atteggiamento, e scopre la verità di quel momento. È vero, il tempo è il suo limite, ma anche la sua forza seduttiva. Niente meglio di una fotografia racconta il fatto e lo tramanda ai posteri. Sarà così anche per l’immagine di Silvio che abbraccia Pieferdinando e lo conduce a sé? Lo sapremo nei prossimi giorni.



Contesto di Maurizio Crispi

Streghe

& cartomanti

contro il fisco

“Nel paese del conte Vlad la magia non è materia su cui scherzare: maghi, cartomanti e streghe alimentano un fiorente mercato di previsioni del futuro e maleficiâ€? (questo si legge in una notizia pubblicata in ilsole24ore.com del 7 gennaio 2011).

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ti le si fanno sempre più poten e o an ell rib si à, ivit att ro a lucrose ze che ci spingono indiet for l governo rumeno in crisi, go luo re da le decidono di verso la superstizione e causa della recessione , di piazza i ion taz es nif nee. ma ro a er credenze oscure ed o on ha pensato di tassare in ng ve ali qu lle de rso ence co nel Sono tanti i romanzi di sci modo significativo anche he gic ma ni zio po to mbra realizzate fiction che mostrano ques questa attività che non se ci e inviate liti po i o ntr co tipo di evoluzione . subire crisi significative. ni ed anatemi? izio led sarà ma ti en Staremo a vedere quale ra, ve ia In Italia a provvedim tiz no a un se fos Se non la risposta dei governanti del genere non ci si are di ns pe e bb tre po del o un nto rumeni sotto la minaccia penserebbe mai, dal mome storia di a un in ito fin re se es manti maleficio. che streghe , maghi, carto r in cui i Maghi tte Po ni rry Ha ia ch nic In ogni caso, i politici rume o ntr co vivono in una sorta di i ars olt riv di per decidono avranno un motivo in più di “invisibilità”, per quanto … ni” ba o ab nd “B i ita avvisi guardarsi le spalle , ev siano abilitati ad inserire ne zio ua sit a un iva ed Si att ie di lasciare in giro capelli pubblicitari nei quotidian sale in cui superstizioni os rad pa e... nelle pagine gialle . no con la unghie tagliat ina mb co si li va die me rtiti Una speciale scorta In Romania, invece, si è pa à pragmatica del XXI alit -o ion raz ti es qu e appositamente addestrata re ea dal presupposto ch lin tto so a me co e, secolo, ta di specialisti in anatemi fat ò soggetti “economici” sono pu si lo o orcisti _ il fenomen eventualmente, anche es – che si creda o no – quietante ’in un e rar ide ns co ... e, - sarà loro necessaria una fonte di reddito e ch un processo in corso di una o gn se va à E se i maghi impiegassero ali str ce an dunque , la loro attivit ni izio rst pe su – che le , “pozione polisucco” regolamentata e ”tassata” cenere e la tto so no va co (per citare la Rowlings, te da a condizione che prima il fon % 90 al à ivit att e ch creatrice del maghetto più governo rilasci attestati e ioni e gestite inz nv co se fal i su allo celebrato in questi ultim specifiche autorizzazioni iamo ten a (m i tan rla e cia o da lor rsi che, anni) per avvicina svolgimento di un’attività 10% di vero, un c’è e ch ? llo nto co pe ca te strappargli qualche en rec in ogni modo la si veda, è il e ch an a str mo e come . Perfino Dracula potrebb orientata ad un pubblico Eestwood) int Cl di r fte rea He ... ito – sentirsi intimor Si tratta – fuor di dubbio fiorenti perché ci sono . no so to I nostri politici attuali, no l de di un orientamen zza rte ce ll’in ne e ch ti tan Se ne farebbero un baffo ti for temente pragmatico e domani ci sono tanti pron di tali minacce. “laico”. perstizione . su lla su are ieg si sono rip a asi... Sicuramente, in segreto, i ell Sin qui tutto bene - o qu qu di rte pa ior gg ma te la E e attrezzati preventivamen i on ssi Per un pò è sembrato ch ofe pr le no ita erc che es go con squadre di esperti in le cose procedessero lun sicologiche rap pa e lte no cu oc antidoti ai malefici e si so il binario della razionalità, cialmente uffi ti ciu os ione ez on ot ric creati uno scudo di pr compresa la sospensione so or ric do en fac di politici (quin totale... del giudizio da parte dei o, a str umenti cognitivi e a cia ca effi all’ o Non è peregrino pensarl rit stessi in me ionali) sono raz ie or ima pr teg lla ca de visto che al tempo di simili attività (salvo la lle su a lev far a ti on pr ata ra contro l’Iraq, Bush minaccia - peraltro esplicit e sull’irrazionalità guer ni izio rst pe su e les padre, notoriamente - di sanzioni in caso di pa esercitare ed ire or im int r pe . ldini) - come il figlio - neo-con . inefficacia o di esiti truffa ne sio es pr di ti en um str suo favore he , ntro convinto, aveva a de è Ma che dire quando streg o Ev dio Me il , do hiera” fronte In fon l’azione di “gruppi di preg nte fro maghi e cartomanti – di di mo sia , se USA di noi e, for to sparsi in tutto il territorio ad un ulteriore incremen a forbici: ne zio olu ev gliaia un mi e ad e e costituiti da migliaia a alz delle tasse governative ch inc ità rn de mo la e mentr do di fedeli. anti, vanno ad incidere in mo e ci porta sempre più av o lor lle su o tiv ca più signifi

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Contesto di Maurizio DomenicoCrispi Giardina

Dal notabilato al bossismo Il bossismo non è solo siciliano, meridionale o nazionale. È una categoria “sociale” e non ha confini, semmai viene praticato secondo regole e costumi diversi a seconda del luogo.

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’epoca dei notabili non è finita. Le parole seguono la moda, muoiono e nascono e durante la loro vita cambiano il significato originario per adottarne un altro adeguato al loro tempo. I notabili si chiamano oggi leader, sopravvivono, a prescindere dal termine. Gli americani individuano nel bossismo una caratteristica peculiare del vecchio notabilato o della nuova leadership, l’attitudine ad adoperarsi perché tutto giri attorno a loro e prevalgano gli affari, gli interessi ed i bisogni del gruppo che si riconosce nel “capo”. Il bossismo non è solo siciliano, meridionale o nazionale. È una categoria “sociale” (o dello spirito, secondo alcuni) e non ha confini, semmai viene praticato secondo regole e costumi diversi a seconda del luogo. Il bossismo non risiede solo nei regimi dispotici, dove è facilmente riconoscibile. Esso si adatta anche ai

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sistemi democratici: il bossimo, per sua natura, tollera la democrazia, si serve di essa con abilità. Nel secolo delle leadership il bossismo ha bisogno di consenso, carisma, schiere di seguaci, strumenti di comunicazione; ottiene diritto di cittadinanza anche quando è clan, tribù, clientela, comitato d’affari, controllo del territorio, difesa di privilegi, spartizione del potere. Infatti può rappresentarsi come una confraternita di benefattori grazie ad una buona comunicazione. Tradizionalmente, occorre ricordarlo, il bossismo è uno stereotipo del meridionalismo. Ciò è ingiusto, ma è così. Se fosse solo meridionale o siciliano, Umberto Bossi non sarebbe il dominus assoluto da quasi venti anni della Lega Nord, e Silvio Berlusconi avrebbe un partito invece che uno schieramento politico costruito a sua immagine e somiglianza. Ci sono leader di ogni schieramento che si comportano da boss, cioè capi assoluti, “padroni” del loro gruppo. C’è, comunque, un aspetto del bossismo meridionale e siciliano, che segnala una contiguità con le organizzazioni criminali, perché si appatta con esse, le utilizza o, addirittura, le rappresenta. I voltagabbana – non si parla d’altro da qualche mese a questa parte - non sono necessariamente dei boss. Possono essere, al contrario, personaggi insicuri e “facili”, che inseguono ciò che ritengono meglio

per sé o per gli obiettivi che perseguono senza badare alle conseguenze di scelte che possano guastare la loro immagine. Ma può essere il contrario, che il capo del clan trovi più opportuno trasferire i propri interessi in altro partito per meglio tutelare se stesso ed il suo gruppo. Quando ciò avviene, vuol dire che la personalità di chi cambia partito è così forte da poterselo permettere. Se è un peone, un uomo politico di seconda fila, la sua scelta provocherà danni dì immagine talvolta irreparabili. Generalmente si crede – restando in argomento – che a cambiare bandiera siano solo coloro che hanno poca dimestichezza con gli studi, non siano cioè culturalmente dotati. E invece non è così, ci sono voltagabbana con un curriculum professionale invidiale red altri che devono sbarcare il lunario e approfittano di una corsia preferenziale per raggiungere obiettivi altrimenti impossibili. Un’analisi del bossismo fu fatta da due americani, Jane e Peter Schneider in “Culture and political economy in western Sicily”, pubblicato a New York nel 1976. I due autori studiarono, in particolare, l’ambiente politico ed economico di una cittadina dell’agrigentino, Sambuca, dove “quando una fazione si impadroniva del potere, poteva dispensare posti e favori vari…”. È come se fosse stato scritto ieri. Che cosa è cambiato da allora?


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Contesto

palermo versusRoma Tutte illegittime le decisioni assunte del Consiglio dei Ministri in assenza del Presidente della Regione siciliana

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l Presidente della Regione ha annunciato nei giorni scorsi che la giunta di governo della Regione siciliana ha intenzione di impugnare tutte le deliberazioni assunte dal Consiglio dei Ministri sulla Sicilia in assenza del Presidente della Regione. Lo Statuto speciale della Regione siciliana, che legittima l’autonomia, prevede per il Presidente della Regione il rango di Ministro e obbliga il Presidente del Consiglio a invitare il rappresentante della Regione siciliana ogni qualvolta all’ordine del giorno siano previsti argomenti e deliberazioni che riguardano l’Isola. Poiché lo Statuto fa parte integrante della Costituzione, la sua inosservanza rende illegittime le deliberazioni che dovessero essere assunte in assenza del Presidente della Regione siciliana. Si tratta di una norma della Carta dell’autonomia mai osservata, con qualche eccezione che è durata lo spazio di qualche giorno. È stata finora rivendicata senza convinzione per svariati motivi, il prima, ed il più importante, il rapporto di “oggettiva” subordinazione politica che i Presidenti della Regione siciliana hanno avuto nei confronti dei Presidenti del Consiglio, anche quando le istituzioni sono state rappresentate da uomini appartenenti a schieramenti diversi. Ma c’è stato altro, la Sicilia ha vissuto come “perdente” sin dall’indomani dell’approvazione dello Statuto, la sua specialità. La Carta dell’autonomia è stata disattesa, tradita, dimenticata e le sue norme sono state, nelle parti essenziali, di fatto rese desuete. Il tempo ha fatto il resto: alcuni articoli dello Statuto non hanno mai visto la luce, alcuni sono stati adottati ed altri adottati parzialmente.

Ogni volta che il rispetto della norma, la partecipazione del Presidente della Regione al Consiglio dei Ministri, è stato rivendicato con forza, è apparso chiaro a tutti che si stava affrontando una causa persa in partenza. Ad avallare questo sospetto sono stati i Presidenti della regione, e non necessariamente per colpa loro. I partiti, centralisti per vocazione e per regolamento, non hanno mai affiancato i Presidenti nelle loro rivendicazioni e, in ogni caso, dopo alcuni timidi tentativi di imporre il rispetto della norma, hanno archiviato il problema magari in cambio di un finanziamento. La questione non è stata mai “vissuta” come una svolta reale ed un passaggio essenziale ai fini di un corretto rapporto fra Stato e Regione siciliana. Le responsabilità, tuttavia, non sono solo politiche. La specialità siciliana non è stata usata in modo che i cittadini avessero per la Regione autonoma una considerazione altrettanto speciale, anzi sono stati addebitati alla Regione sottosviluppo, clientele e ruberie. Una fama in parte meritata, ma anche “usurpata”, perché quanti hanno guardato, da Roma e Milano, la specialità siciliana, con dispetto e avversione, hanno aggravato i problemi o li hanno ingigantiti, trasformandoli in stereotipi e pregiudizi negativi. Il fatto che il governo della Regione abbia deciso di assumere una decisione così impegnativa, pretendere il rispetto dello Statuto, è una notizia positiva. È augurabile che coloro i quali hanno fatto questa scelta abbiano volontà forti e carte a posto per condurla in porto. Meglio lasciare le cose come stanno che combattere cause perse.


Società di Roberto Rizzuto

non solo

denise

Numeri allarmanti in Sicilia, sono tanti i bambini che scompaiono nel nulla

Quello di Yara Gambirasio, la 13enne di Brembate, nel Bergamasco, di cui non si hanno più notizie dal 26 novembre scorso, rappresenta ad oggi il caso di maggiore impatto sul piano mediatico. Eppure, quello dei minori che scompaiono è un dramma che, ogni anno, coinvolge mediamente circa mille famiglie, spesso nel silenzio più totale dei mezzi di informazione. A rivelarlo sono i dati contenuti nei report stilati da Telefono azzurro. Più precisamente, numeri alla mano, emerge che nel 2009 sono stati 1.065, tra connazionali e stranieri, i ragazzini svaniti nel nulla nel nostro paese, mentre con riferimento ai primi nove mesi del 2010 il dato provvisorio parla 712 casi. Numeri da capogiro, che alimentano domande alle quali è difficile rispondere. Talvolta, poi, alla notizia di una scomparsa segue quella ancora più tragica della morte del minore in questione, così come accaduto nel caso tristemente noto di Sarah Scazzi, la quindicenne pugliese assassinata nell’agosto scorso in un contesto tutto ancora da definire con certezza. Passando dai dati su base annuale a quelli aggregati, si scopre poi che, complessivamente, fino al marzo 2009, ammontavano a 10.384, di cui 1.811 italiani e 8.537 stranieri, i minori che mancavano all’appello nel nostro paese. Le scomparse di ragazzini stranieri di età superiore ai 14 anni per allontanamento dagli istituti o dalle comunità di affido continuano a rappresentare una casistica assai robusta: 1.273 rispetto ai 146 minori italiani. In tal senso arrivano dalla Sicilia i dati più allarmanti. Nell’isola si contano ad oggi 236 minori stranieri che, una volta approdati, si sono allontanati dalle strutture di accoglienza dove erano ospitati. Il timore principale, in relazione ad allontanamenti apparentemente volontari, è quello legato alla possibilità che in realtà, dietro a tali sparizioni, si possano celare traffici

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di esseri umani, anche su larga scala, come purtroppo dimostrato dagli esiti di alcune inchieste giudiziarie. Un’altra casistica è quella costituita dalla scomparsa di minori per sottrazione da parte di uno dei due genitori o di un familiare. Tale fenomeno, come illustrato dalla terza relazione del commissario straordinario del governo per le persone scomparse, è da ricondurre, principalmente, all’aumento di separazioni e divorzi, ma anche all’accresciuto numero di unioni tra italiani e stranieri. Sotto questo aspetto, tuttavia, esiste un’oggettiva difficoltà nelle indagini determinata dalla disomogeneità delle norme internazionali. Con riferimento alla Sicilia, il caso più noto per ciò che concerne i minori scomparsi, a quasi sette anni di distanza dall’accaduto, è ancora oggi quello di Denise Pipitone, rapita a Mazara del Vallo nel 2004, poche settimane prima di compiere quattro anni. Per questa vicenda, con l’accusa di concorso in sequestro, è attualmente sotto processo la sorellastra della bambina, Jessica Pulizzi. Relativamente alla scomparsa di Denise, dunque, la speranza di approdare quantomeno all’accertamento di una verità giudiziaria è concreta. Chi non ha mai smesso di credere nella possibilità di un ritrovamento è Piera Maggio, madre della piccola, che in occasione delle recenti festività ha ricordato come, per il settimo anno consecutivo, si sia trovata a trascorrere il Natale “senza la gioia della presenza di Denise”. “La mia casa – ha spiegato – è vuota e il tempo scorre lentamente senza scandire più le occasioni di festa e i momenti piacevoli. Per me non sarà veramente Natale fino a quando mia figlia non tornerà a casa”. Per Denise e per tutti gli altri bambini che ad oggi mancano all’appello, dunque, l’auspicio è che il prossimo Natale possa essere migliore di quello appena trascorso...


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Società

mamma mia come è diventata brutta l’italia Inguardabile. Siamo cinici, passivi, sfiduciati e appiattiti. E non è tutto, secondo il Rapporto Censis

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l Rapporto, ancora fresco di stampa, traccia l’identikit di un italiano senza arte né parte, disilluso, sprovvisto di futuro, poco lungimirante, che ha abbandonato valori tradizionali e non ha fiducia nelle istituzioni, nella classe dirigente, è privo di slancio etico e sociale e di lungimiranza, appiattito sul presente, immerso nella sregolatezza. Pagella con uno zero in condotta grande quanto una casa, dunque. Prevale il bullismo, il nichilismo, il tirare a campare. Perché tanti voti e giudizi negativi? Qualche dato significativo: quasi cinquecentomila imprese “in proprio” sono state spazzate via dal mercato. Enorme il numero di italiani che non lavorano e non cercano lavoro dai 15 ai 34 anni. Da non trascurare lo scarso spirito di adattamento anche nel campo delle imprese: solo l’11 per cento lavora di notte e il 14 per cento la domenica. Segni marginali, è vero, ma che pongono domande, una dopo l’altra, da incubo. Il Censis dipinge senza mezze misure la fragilità collettiva, il cinismo imperante, la passività degli italiani, prede dei media, incapaci di ragionare in proprio.

Stanno veramente così le cose? Naturalmente la fotografia collettiva trascura le eccellenze, il buonsenso, i comportamenti responsabili, quel mondo che fatica e s’affanna per dare il meglio di sé, raggiungere gli obiettivi prefissi, arrivare alla meta, coltiva ambizioni. C’è tanta gente che non trascura i valori, che sente forte la propria identità nazionale. Ma, secondo il Censis, questa fascia di italiani non prevale, è una minoranza che tracima. Colpa delle crisi economica, della scomparsa dei padri fondatori della Repubblica, di modelli di comportamenti affidabili e carismatici? Le agenzie culturali hanno perso il loro appeal, s’impara davanti al video, sulla rete, alla radio. L’effimero prevale, tutto scorre davanti ai nostri occhi e niente vien riflettuto per il tempo necessario. Coloro che hanno la responsabilità di rappresentarci offrono modelli di comportamento talvolta ignobili, inducono alla sfiducia verso le istituzioni, la convivenza sociale, la democrazia. Atteggiamenti irresponsabili e cinici dettati da priorità politiche e interessi

personali. L’edonismo più sfrenato fa bella mostra di sé, mettendo in discussione tutto, quel che di buono e di negativo la cultura prevalente è riuscita a tramandare alle nuove generazioni. Il Censis, in definitiva, non si è inventato niente. Ha scandagliato nel profondo della nostra psiche collettiva, ha scoperto le nostre debolezze, ha alienato con pignoleria le conseguenze di una dissennata spietata rinuncia ai fondamentali del vivere civile: il diverso è diventato nemico, il debole – economicamente, fisicamente – un peso. Come i valori, giudicati inattuali, dannosi. Come l’unità nazionale, strumento svantaggioso al servizio dei dissipatori. Come gli immigrati, presunti delinquenti. Sono i risultati dell’Italia delle feste e dei festini proibiti, veri o falsi che siano, ma sempre presenti nell’immaginario collettivo. Un’Italia inguardabile. Che fare? “Autocoscienza di massa”, invoca il Censis. Programma vasto.


Società di Stefania Brusca

rottamazione intelligente

Come liberarsi delle cose inutili Abbandonare il superfluo, rinunciare a possedere sempre di più

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ivere con cento cose. Sembra facile a dirsi ma in realtà tutti i giorni sentiamo di avere bisogno ancora di nuovi acquisti. Le nostre case traboccano di beni inutili o poco usati che più che agevolarci servono solo ad occupare lo spazio e a farci sentire “schiavi” degli oggetti. I motivi per cambiare le nostre abitudini sono molti. Ridurre i consumi e seguire uno stile di vita minimalista aiuta soprattutto a far allentare lo stress di dover “comprare di più”. Per sentirsi davvero appagati basta ritrovare il piacere antico di godere di ciò che si ha, cercando di sfruttare al massimo ciò di cui si dispone. l primo fra tutti i popoli che fanno del consumismo all’ennesima potenza la propria ragione di vita è senz’altro quello degli Stati Uniti. Dai Simpson alle serie tv l’immagine che passa è quella di cittadini obesi e superficiali che fanno dell’abuso ossessivo degli acquisti un modo per essere soddisfatti di se stessi e allo stesso tempo sentirsi apprezzati a livello sociale Proprio dagli Usa adesso arriva un nuovo movimento minimalista che segue la filoso-

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fia del “downsizing” ovvero ridimensionare la propria tendenza al consumo. Le linee guida di questa way of life sono tracciate nel libro “La sfida delle cento cose” scritto dall’autore californiano Dave Bruno. Abbandonare il superfluo, rinunciare a possedere sempre di più lasciando spazio libero ai bisogni indotti dalla pubblicità o dal desiderio di emulare il vicino di casa. Questa nuova “aritmetica della vita” è originale solo in parte. “Minima addizione, massima sottrazione” è una teoria vecchia applicata all’economia e il “downsizing” un processo che ha portato in passato a ristrutturazioni aziendali selvagge fatte a suon di licenziamenti di massa. Ora, nell’era della crisi, questa filosofia di vita viene implementata da un nuovo tipo consumatore. Sempre più famiglie infatti devono contare su un budget sempre più limitato che spesso non può sopperire ad una spesa improvvisa e imprevista. Iniziarsi al downsizing è semplice e a volte può risultare perfino divertente. Tutto avviene con quattro semplici passaggi. Innanzitutto si deve stilare un inventario per


43 vedere di che cosa si è in possesso. Il conteggio deve essere fatto solo sugli oggetti personali e non su quelli di uso comune come la lavatrice. Mentre si compila l’elenco occorre concentrare la propria attenzione sulle cose che risultano per noi irrinunciabili. Dopo averli sommati si sottrae cento dalla somma totale. Adesso viene la parte più difficile. Bisogna tenere conto di quali oggetti togliere e quali lasciare nella lista per raggiungere l’obiettivo di tenere al massimo un centinaio di oggetti. Una volta operata la scelta occorre liberarsi senza indugi delle cose che non sono rientrate nell’elenco. Si possono vendere o donare in beneficenza o regalare a qualcuno. I benefici, oltre che economici possono essere anche di altra natura. Ad esempio per quanto riguarda gli abiti da tenere negli armadi basta limitare il guardaroba per fare spazio. Quante sono le cose che occupano i cassetti che non mettiamo mai? Ridurre

il numero degli oggetti di casa può essere utile ad esempio a trasferirci da un posto ad un altro, fenomeno in crescita soprattutto per chi è costretto ad inseguire il lavoro. Anche le nuove tecnologie possono venirci in soccorso. Chi ha bisogno di tenere in giro libri, musica, film e appunti? Basta stivare tutto nell’Ipad, Iphone o nell’Ipod. Ma non bisogna esagerare e diventare troppo rigidi. Attrezzi come il martello, i chiodi o il cacciavite contano come uno. Basta essere pronti a rinunciare a qualcosa di vecchio ogni volta che si decide di comprare qualcosa di nuovo. Insomma il succo è che ormai si può contare solo sulle proprie risorse e occorre tenere d’occhio il bilancio. In più visto che i tempi a venire non lasciano intravedere prospettive rosee non sarebbe male educare figli e nipoti a non crearsi aspettative al di fuori della loro portata.


Società di Stefania Brusca

matrimoni

in calo Matrimoni in calo, disoccupazione giovanile e superlavoro per le donne. La miscela esplosiva della famiglia all’italiana

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posatevi, fate figli. Da ogni parte in Italia si moltiplicano gli allarmi sulla fine della famiglia e la dispersione dei valori sui quali il nostro Paese è fondato. Il discorso non farebbe una piega se non fosse che chi mette in guardia la popolazione su questi temi trascura un elemento fondamentale. Spesso la volontà dei singoli e delle coppie italiane si scontra contro un muro altissimo: la realtà delle condizioni lavorative e familiari. Quanti sono i giovani che vorrebbero sposarsi e mettere su famiglia? Molti. Quanti giovani secondo i più recenti dati dell’Istat hanno un lavoro? Uno su tre. I dati peggiori dal 2004. Questo elemento da solo potrebbe rispondere alla stragrande maggioranza delle domande e degli allarmismi. Si commenta da solo. La faccenda peggiora se si passa all’analisi delle condizioni di vita dei singoli all’interno del nucleo familiare, in particolare delle donne. Quale donna che lavora, dopo aver

dedicato alla sua preparazione anni di studio e di sacrifici, metterebbe in discussione i risultati ottenuti perché deve prendersi cura quasi interamente della famiglia? Il Rapporto sulla coesione sociale stilato dal ministero del Lavoro insieme a Inps e Istat parla chiaro: nelle coppie con figli oltre tre quarti del carico domestico pesa sulle spalle delle donne. E il cosiddetto “sesso forte” che fa nel frattempo? Si dedica a fare la spesa, a pagare le bollette o ancora a rinnovare l’abbonamento della tv. Mentre, dopo aver faticato in ufficio, alle mogli non resta che passare lo straccio, lavare, stirare e preparare pranzo e cena. Un gioco da ragazzi. Il Sud, neanche a dirlo, fanalino di coda. Le donne lavorano tra casa e ufficio circa due ore in più degli uomini e spesso ottengono una busta paga inferiore rispetto ai loro colleghi. Cari maschi italiani fate un pò voi i conti. E diteci se con l’arrivo del 2011 avete fatto scorta di buoni propositi.


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Società di Alessio Ferlazzo

Il Papa non è contento, abbiamo dimenticato i Santi

addio cari “vecchi” nomi

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aria, Francesco o Alessandro? Meglio chiamare i propri figli con nomi stravaganti tanto per risultare originali, con il risultato però di etichettare per tutta la vita il bambino. Sembra infatti diventata una moda per i neo genitori quella di chiamare i propri figli con nomi un po’ particolari. A questa tendenza si è opposto anche il Papa che ha esortato i fedeli a scegliere nomi presenti nel calendario cristiano senza farsi attirare dalle suggestioni derivanti da tv, cinema e rotocalchi. L’ovvio riferimento è al pessimo esempio che stanno dando i vip. Da Chanel, figlia del calciatore Totti e di Ilary Blasi, passando per Sasha e Tobias Del Piero e Thomas e David Lee Buffon sempre per rimanere nel panorama calcistico. Ovviamente non potevano mancare in questo elenco i politici con Eridano Bossi (terzogenito del senatur della Lega) o il trio Geronimo, Lorenzo Cochis e Leonardo Apache figli del ministro La Russa. Di esempi così ce ne sono a bizzeffe anche nel mondo della televisione come Annalou, figlia di Asia Argento e il cantante Morgan

o Falco Nathan primogenito di Flavio Briatore e della soubrette Elisabetta Gregoraci. Un duro monito di Papa Benedetto XVI che però ha dimenticato di esortare i genitori a stare attenti nell’accoppiare al cognome anche un nome adeguato. Da sempre i nomi hanno segnato il destino delle persone e non basta, in alcuni casi, che siano presenti nel calendario cristiano per evitare al piccino frustrazioni i future. Così può capitare che una ragazza chiamata Bianca porti Farina come cognome, oppure che il signor La Pasta si ritrovi come primo nome Gustavo. Forse è la ricerca dell’originalità la motivazione che spinge i genitori a queste scelte. Il destino nei nostri nomi dicevamo. Ecco, immaginatevi se il signor Massimo Voltaggio lavorasse per l’Enel o se Pasquale Motivetto fosse un professore di musica. E che dire di Assunto Licenziato? Probabilmente una contraddizione per tentare di portare un pò di fortuna (visti i tempi). I genitori a volte non si accorgono di gaffe, alcune delle quali veramente incredibili. La penserà forse così il

signor Candido che di cognome fa Culetto, o la signora Rosa Capezzoli. Di questi esempi ce ne sono parecchi e in alcuni casi è possibile raggrupparli a “tema”. Per quanto riguarda il capitolo piante e fiori troviamo Rosa Spinosa, Fiore Secco, Pino Abete. Anche i giorni della settimana sono molto frequenti. Domenica D’Agosto, Giocondo Sabato, Domenica Allegra e Sabato Malinconico. Ma cosa succede se il nascituro porta un cognome già noto? Ovviamente i genitori più “originali” colgono l’occasione al volo. Così capita di trovarsi di fronte vivo e vegeto Dante Alighieri o Marco Polo. E cosa dire se Bianca Neve e Peter Pan fanno parte della nostra comitiva e sono in carne e ossa? Non chiedetelo a Rosa La Fata o a Michelangelo Buonarroti. Molti sono anche i personaggi famosi che presentano nomi particolari. Ne sa qualcosa il cantante Pacifico Settembre o il calciatore Felice Evacuo per non parlare di Leon Cino, ex partecipante del programma “Amici” di Maria De Filippi. Come a dimostrare che ogni tanto essere banali può non guastare.


Società di Emanuela De Domenico

8 Marzo

Ritorno al passato Il matrimonio come “viaggio della speranza”

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trumentalizzare date e parole è arte del nostro tempo, quindi, come un appuntamento a cui non si può sfuggire, l’8 marzo teniamoci pronti a leggere e ascoltare un sacco di ovvietà su quello che sono le “pari opportunità”, le nuove “emancipazioni”, o i vecchi problemi di sempre sulle donne e sul rapporto tra l’uomo e il sesso debole. Di debole però ormai non hanno più niente queste donne, e grazie anche a una sorta di “pubblicità progresso” accompagnata in alcuni casi da un “passo indietro”, sono riuscite e riusciranno sempre, o comunque molto spesso, ad arrivare dove vogliono, il problema è: come? Qualcuno dice che le donne sono gli esseri più misogini dell’universo, io, a dire il vero sono d’accordo, per un sacco di motivi. Primo tra tutti perché nella società tecnologica e dell’apparire, forse le “femmine” hanno perso davvero di vista il “ruolo” che avrebbero dovuto avere per equilibrare situazioni che adesso sono al collasso. Percentuali esorbitanti di matrimoni falliti, famiglie senza più guida, scambi di coppia come fossero scambi di figurine, liti furibonde per l’affidamento dei figli, avvocati divorzisti che ogni volta che vedono un matrimonio si sfregano le mani e commentano: “questi tra un paio d’anni sono clienti”, etc…La nostra riflessione adesso si concentrerà su un argomento molto attuale, spesso sottovalutato, che fa delle donne delle vere “manager di vita” che attraverso un processo certosino di migrazione, si spostano da un lato all’altro del globo per raggiungere i loro obiettivi, non sempre in maniera onesta e cristallina. Ma andiamo per ordine. C’era una volta la frontiera. Quel pezzo di terra di nessuno, presidiata da agenti e gendarmi della nazionalità di due paesi confinanti che evocava la separazione, la divisione, il passaggio da un territorio ad un altro, da una cultura ad un’altra, da una lingua ad un’altra, da una moneta ad un’altra e così via. Adesso c’è la deterritorializzazione, fenomeno di annullamento dei confini che tende a fare aggregare uomini e modi di pensare non per concentrazione territoriale ma, più che altro, attraverso comuni intenti sociali ed economici. Una sorta di geografia nella geografia che ha portato alla creazione di mondi paralleli. La

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cultura di internet è una delle massime rappresentazioni di quello che l’annullamento del territorio può portare. In alcuni casi risultati positivi, in altri, purtroppo, negativi e di piena confusione. Esiste legame particolare tra l’appartenenza ad un territorio, ad un paese, e il volere “migrare” verso un altro dove si crede possano esserci più possibilità per una qualità della vita migliore e più elevata rispetto al luogo di partenza. In particolare, negli ultimi anni, dai paesi dell’ Est Europa verso il nostro paese, e nello specifico su Messina, della popolazione femminile, in sensibile aumento ultimamente. È ormai dimostrato che esistono, e sono in fase di ampia diffusione, progetti migratori femminili orientati al matrimonio messi in atto in particolare da gruppi omogenei per provenienza geografica, nel nostro caso appunto l’Europa centro-orientale. Per progetto migratorio femminile orientato al matrimonio si vuole intendere un comportamento che pone il matrimonio come fine strumentale per ottenere con facilità status sociale ed economico. Non si tratterebbe infatti, in molti casi, di matrimoni che scaturiscono come naturale stabilizzazione dei progetti di immigrazione, bensì di matrimoni cercati in modo talvolta predatorio, al solo fine di ottenere un ingresso legale ed un mantenimento. Insomma 50 anni buttati al vento, e ritorno al medioevo, a quando le donne per “sistemarsi” dovevano ingoiare rospi e assoggettarsi alle scelte dei genitori per mettere a posto le cose o risollevare le sorti delle famiglie. Una specie di recupero di “cattivi costumi” nell’era della globalizzazione, che fa dell’8 marzo una bella data, ma che si svuota ampiamente del suo primordiale contenuto. Quello dell’entusiasmo delle donne che volevano finalmente rivendicare i loro diritti, che volevano partecipare alla vita sociale e politica, che volevano essere mamme e mogli, ma anche lavoratrici attente e con possibilità di carriera. Adesso invece c’è un ritorno al passato, da un modello superato in camera da letto almeno da 50 anni, che oggi torna paradossalmente ad essere preferito ad una non facile emancipazione. Qualunquista fare di tutta l’erba un fascio, ma i dati e le statistiche parlano chiaro, e noi, ci siamo dentro fino al collo.


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Società di Giulio Giallombardo

Quanto ci costa

l’apocalisse lo Il business del2s0e1c2o alla vigilia del

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l conto alla rovescia è iniziato. Il nuovo anno si proietta veloce già nel successivo: l’atteso e temuto 2012. Sarà allora che, secondo alcune profezie, un evento non ben definito sconvolgerà il mondo, creando una frattura storica con il passato. Com’è ormai noto, tutto nasce da una particolare lettura del calendario Maya, secondo cui il 21 dicembre del prossimo anno si chiuderà un ciclo epocale e se ne aprirà (forse) un altro. La tesi catastrifista è condivisa anche dagli Hopi, una tribù di amerindi che vive nel Sud Ovest degli Stati Uniti. Non sappiamo cosa ci aspetterà quel giorno, ma l’unica cosa che possiamo dire con certezza è che siamo alla viglia di un evento prima di tutto mediatico. Anzi, ci siamo già dentro senza quasi rendercene conto. I libri pubblicati sul tema sono tantissimi e molti sono spariti in poco tempo dagli scaffali delle librerie di tutto il mondo. Dall’ormai classico di Roberto Giacobbo, “2012 – La fine del mondo?” al romanzo “La resurrezione” di Steve Alten, da “L’ascesa della Terra alla Quinta dimensione” di Ute Kretzschmar a “L’originale messaggio dei Maya” di Nah Kin; per non parlare del “Piano B. Manuale di sopravvivenza estrema al 2012 e ad altre catastrofi” di Manuel Bertuccini o di “2012 – Il mondo non finirà” di Marzia Nicotri. I titoli si susseguono a centinaia, così come i milioni che piovono agli autori ed agli editori, quando mancano ancora 23 mesi alla data fatidica. La paura è alimentata dai seguaci del “movimento survivalista” che, soprattutto negli Stati Uniti, ha ripreso forza e secondo cui nel 2012 arriverà la fine del mondo.

In previsione del catastrofico evento c’è chi sta già pensando ad un bunker in cui rifugiarsi. Pare che in Norvegia ne stiano costruendo uno enorme e che al progetto parteciperebbe addiritura la Bill e Melinda Gates Foundation. Il mega bunker garantirebbe la corservazione di piante e semi da utilizzare per far rinascere l’agricoltura dopo un cataclisma, ma c’è chi pensa possa servire anche a salvare vite umane. Non manca chi, previdente, ha comprato pezzi di terra trasformandoli in rifugi e addirittura in Arizona – secondo quanto si legge sul Corriere della Sera – è stata individuata una zona adatta ad ospitare il miglior posto dove rifugiarsi in vista del 2012. Anche in questo caso, come si può facilmente intuire, il giro d’affari è milionario. Ma anche in Italia non si scherza. In attesa della fine del mondo, la Sibillini Adventure, una scuola italiana di sopravvivenza nata in Umbria, all’interno del Parco Nazionale dei Monti Sibillini, ha attivato un corso di quattro giorni, full immersion, che prepara all’avvento del 2012. “Il programma – si legge sul sito internet della scuola – è stato fatto tenendo conto di partecipanti senza nessuna esperienza”, e si svolge “in ambienti naturali in caso di emergenze o catastrofi che possano mettere a rischio la propria vita”. Non mancano, inoltre, i siti online che vendono gadget, amuleti, kit di sopravvivenza o magliette con la scritta “2012 - Voglio crederci” oppure “2012 Survivor”. Insomma, ogni catastrofe che si rispetti ha un prezzo e noi lo stiamo già pagando caro.


Società di Elena Di DIo

L’Era del Femminile Hernan Huarache Mamani sullo sfondo Machu Picchu

Nessuna scadenza a questo mondo che sembra irreversibilmente in crisi. Solo la fine di un’epoca e l’avvio di una nuova età.

Per info su mamani in Sicilia contattare Mariarosa Piraino - pirainomariarosa@virgilio.it

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È

l’Era del Femminile. Una nuova età dell’Oro. Che già da qualche anno illumina le nascite e il cammino dei miliardi di bambini che in tutto il mondo sono chiamati ad incarnare il futuro. Nessuna fine improvvisa. Nessuna scadenza a questo mondo che sembra irreversibilmente in crisi. Solo la fine di un’epoca e l’avvio di una nuova età. Inca contro Maya. O meglio due visioni della vita e del mondo a confronto. Due interpretazioni dei destini e delle forze che governano la Terra Madre. Al di là della fioritura “terroristica” di interpretazioni e letteratura sulla data del 21 dicembre 2012, quando si concluderà il ciclo del “lungo Computo” del calendario Maya, c’è una sete di speranza che qualcuno indica. “Siamo alle porte di un nuovo millennio d’oro, nel quale le donne lavoreranno 
per creare una nuova società” dice Hernan Huarache Mamani, uno degli ultimi sciamani dei curanderos indios delle Ande Peruviane che in provincia di Messina ha tenuto un seminario di tre giorni per parlare di vita, spiritualità, del potere della donna e dell’antica arte del massaggio Inca che individua nel tatto uno degli elementi fondamentali della conoscenza. Sul ruolo delle donne, sul loro potere e la forza che discende principalmente dall’ordine naturale che governa la vita,

Mamani rimarca: “È necessario cominciare a migliorare le scuole 
e l’informazione scritta e orale rivolte al risveglio dell’essere umano. 
L’uomo e la donna devono lavorare in questa direzione 
se vogliono partecipare a questa grande avventura umana”.

La speranza e non la fine. Il ribaltamento degli schemi consueti e non il perseguimento delle strade già tracciate. Il futuro cambia genere. È donna. Femmina autentica. Come la luce che da qualche anno, dalla fine degli anni ’90, ormai avvolge – in una banda di fotone – la nascita e la vita dei nuovi uomini. Per loro il futuro esisterà. Ma solo se “le donne avranno il coraggio e la forza di spaccare la paura – spiega ancora Hernan Mamani, uno degli ultimi depositari della cultura sciamanica del popolo indios che tramanda solo oralmente le tecniche della medicina peruviana – Una paura che non permette alla donna di emanciparsi dal ruolo di comprimaria e di affrontare e guidare un cammino che già nei fatti le è affidato. Sul piano della comprensione quello che si apre dagli ultimi giorni del 2012 sarà un campo spirituale aperto” conclude lo sciamano. Aperto alle novità positive che arriveranno dopo un periodo che ciascuno di noi ha vissuto come buio. Ed è nella vita dei più giovani, degli adolescenti


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I bambini dell’asilo nido della Fondazione Mamani ad Arequipa

Foto Nino Calamuneri

e dei bambini che questo campo di positività già è tangibile. Nuove leve che guardano al mondo con occhi attenti e preparati. Come fosse innata in loro una conoscenza acquisita di fatti e cose che noi – la generazione passata – abbiamo dovuto studiare, applicarci a comprendere e vivere. Spesso con fatica. Della forza delle donne è intrisa la cultura Inca che nell’antico governo aveva dato vita ad una istituzione educativa di alto livello che istruiva le donne: l’Akllawasi (“la scuola delle prescelte”) condotta dalle Mamakuna. Queste donne sagge erano una parte attiva, nobile e creativa della società Inca. Il principio maschile ha un ruolo complementare a quello femminile, dove il femminile e il maschile si completano pur nelle loro assolute diversità. Non si parla di parità o disparità dei sessi, ma di ruoli nettamente diversi e dove il femminile è forza trainante per l’uomo: forza creatrice e generatrice di idee e passioni. Alla donna compete la spinta evolutiva dell’umanità che l’uomo accoglie e fa sua. “Dobbiamo riscoprire e utilizzare i poteri che la natura ha donato alle donne – conclude Mamani - solo così si potrà creare una società in perfetto equilibrio di amore, fratellanza e armonia con la Madre Terra”.

Chi è

?

Hernan Huarache Mamani è l’ultimo erede di un’antica generazione di “curanderos” andini. Curatori o sciamani come piace agli occidentali definirli, i curanderos conoscono i segreti della medicina dell’anima e del corpo e le tecniche per risvegliare le energie, attraverso l’arte del massaggio inca, il Qhaqoy, per sprigionare le energie potenti che ogni uomo e ogni donna hanno in sé ma che non sfruttano. Hernàn Huaranche Mamani è economista e docente universitario a Lima e Arequipa, ma soprattutto uomo di medicina e scrittore. È con la “Profezia della curandera” che Hernan Mamani si fa conoscere spiegando perché le conoscenze andine sull’universo femminile possono aiutare l’uomo moderno a ritrovare la via per una società in armonia. “Negli occhi dello Sciamano”, “La donna dalla coda d’argento” e “La donna della luce” sono gli altri romanzi pubblicati. Nel 2002, nella città di Arequipa nelle Ande Peruviane, fonda la Escuela de la Vida Y de la Paz”. Dall’idea ma soprattutto dai risultati ottenuti negli anni dalla scuola di Arequipa nasce l’idea dell’Università della Vita e della Pace. Il progetto della scuola è stato realizzato dagli studi ufo di Londra e Messina.


Economia di essepì

artigiani e imprenditori

la Sicilia che va è un settore trainante dell’economia siciliana, in rapida evoluzione con importanti eccellenze eppure l’artigianato non conquista la prima pagina, resta legato al vecchio stereotipo della sartoria o della piccola bottega d’arte, importanti anche loro, per carità, ma lontane dal rappresentare l’artigianato isolano.

Perché non occupano la scena? Non è il destino cinico e baro, ma la modesta conoscenza del settore, che meriterebbe ben altra attenzione

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ono ben ventimila, infatti, gli artigiani siciliani e si occupano di tutto: metalmeccanica, tessile, agroalimentare, moda, ceramica, informatica ecc. Sono molto attive e rispondono con grande tempestività alle opportunità che si presentano di volta in volta. Alcuni numeri per testimoniare questa vitalità: ben tremila domande sono state presentate sul bando dello sportello innovazione, ben trecento le im-

prese artigiane che in provincia di Palermo hanno presentato domanda di accesso al credito per l’acquisto di capannoni e macchinari. ”Sono molti i nuovi insediamenti produttivi, l’artigianato vuole espandersi”, afferma il segretario provinciale del Cna di Palermo, Sebastiano Canzoneri, con compiacimento, ma senza nascondere i problemi che gravano nel settore. L’accesso al credito, il fisco, la burocrazia regionale.


51 “Alla vitalità delle imprese artigiane non corrisponde altrettanta vitalità nel settore pubblico. Occorre accelerare la spesa, è questo il core business delle nostre aziende…” Che cosa inceppa l’espansione dell’artigianato in Sicilia? “La macchina burocratica della Regione, anzitutto. Non regge più. I mandati di pagamento giacciono a lungo sulle scrivanie. Le leggi ci sono, anche troppe, ma è come attraversare un collo di bottiglia”. La strettoia, dunque, è costituita dalla Regione? “Una vecchia storia, se non cambiano le cose, la pubblica amministrazione diventerà un freno allo sviluppo sempre più pesante. Così abbassiamo le saracinesche della stessa Regione, che viene vista come una remora invece che un volano…Avviene tutto con lentezza esasperante. Un esempio? La nomina dei direttori. Oppure l’organizzazione del lavoro. Il personale è inferiore ai bisogni in alcuni dipartimenti ma non si possono fare trasferimenti. Meno male che ci sono quelli delle Lsu… Ma c’è dell’altro” Che cosa? “Il credito d’imposta è un buon provvedimento ma quando potrà essere utilizzato? I tempi sono biblici, troppo lenti. Gli artigiani si scoraggiano. Le imprese annaspano per via delle tasse e per via delle amministrazioni che non pagano, si trovano in una morsa. Le amministrazioni chiedono il Durc (Documento unico di regolarità contributiva) che non viene rilasciato e l’impresa non può presentare il mandato. Un circolo vizioso”. L’accesso al credito è difficile, dunque. “Certo che è difficile, è diventato una vergogna. La Sicilia è stata spogliata delle sue banche, da ultima se n’è andato il Banco di Sicilia. Ci sono poche eccezioni, come la Banca popolare di Ragusa e la Banca Sant’Angelo. Le imprese sono così penalizzate, perché gli istituti di credito seguono le direttive centrali, codici di comportamento informatizzati. Il vecchio rapporto fra il direttore dell’agenzia e l’impresa è stato spazzato via, così tutto è regalato da numeri e dati freddi, rigidi. La valutazione del bancario non conta niente, il suo giudizio sull’affidabilità dell’impresa nemmeno. I parametri non possono essere superati, i centri direzionali non lo permettono, sicché imprese che lavorano bene e che hanno dato prove di serietà e di vitalità sono condannate a morte, trattate come imprese inadempienti mentre attraversano una momentanea crisi di liquidità. Una idiozia”.


Economia È la globalizzazione, fratelli. Non solo Hollywood, Jackson,IPad, padrini, marines e jeans. Ora arrivano i guai

Termini e Mirafiori

l’Italia a Stelle e Strisce

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archionne e la Fiat c’entrano, ma sono “personaggi” secondari; se non ci fossero accadrebbe lo stesso quel che accade, e cioè che il mondo del lavoro italiano deve fare i conti con il resto del pianeta. E’ stato bello fino a un certo punto fare l’americano, ma non è più così e bisogna inventarsi qualche cosa altro. Minori diritti, stipendi magri e maggiore flessibilità in cambio della sicurezza del posto di lavoro. E’ accettabile? No, non lo è, ma qual è l’alternativa? Non l’hanno trovata e non l’hanno cercata. Ciò che è avvenuto negli stabilimenti Fiat italiani, a cominciare da Termini Imerese, è il segnale inequivocabile di una americanizzazione della fabbrica. Chi l’avrebbe detto che l’America ci condizionasse in negativo. Quando la Fiat si prese la Chrysler gonfiammo il petto d’orgoglio, ed ora...È un processo che non si estinguerà certo con la Fiat di Mirafiori.

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Finora abbiamo subito allegramente, sotto molti aspetti l’abbiamo vissuto con grande gioia, il contagio statunitense. Abbiamo combattuto i nemici dei marines e gli indiani nelle sale cinematografiche, abbiamo indossato jeans (e continuiamo a farlo), portato a casa Elvis Presley, Micheal Jackson e Franck Sinatra, abbiamo sognato Hollywood ed adorato i suoi divi, visto più serial americani che i nostri congiunti, amato gli agenti della Cia e del Fbi anche quando facevano “pulizia etnica”. E da qualche tempo abbiamo adottato la leadership politica all’americana, l’immagine ha cominciato a contare più delle ragioni, dei fatti e dei personaggi così come sono. Infine non c’è italiano che non abbia in tasca o sul desk del computer la Silicon Valley. E’ dalla California che arrivano i messaggi del futuro, non scalfiti dalla crisi.


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Ma una cosa è l’I Pad di Mister Job, o Facebook, ed un’altra la chrislerizzazione della fabbrica, la marcia indietro dei diritti, la perdita di potere nelle fabbriche, l’abbandono di regole e norme per le quali il sindacato e le forze sociali si sono battutti per decenni. Si tratta di portare indietro le lancette dell’orologio di sessanta o settanta anni. Perciò c’è chi resiste, pensando di potere fermare la valanga. La globalizzazione rompe ogni argine. Non ci sono dogane che tengano, sbarre che impediscano alle merci di circolare. Chi produce a minor costo entra in ogni mercato, qualunque sia la deterrenza adottata. E l’allineamento avviene sui livelli bassi, con l’arretramento, la rinuncia alle conquiste sindacali. Allora hanno ragone gli anti blog? La risposta non è affatto semplice. C’è del buono nella globalizzazione, tanti paesi e tanti popoli ne hanno tratto benefici, i costi di alcune materie prime si sono abbassati, il mercato planetario ha aperto la competizione su larga scala, e questo ha inciso sul prezzo, allargato i consumi, inciso positivamente sui prezzi.

coli. La condizione del lavoro, a livello planetario, è infame. Ci sono paesi che tollerano situazioni sconvolgenti. Ci sarà, dunque, inevitabilmente, da stabilire alcuni paletti, al di sotto dei quali non si può e non si deve andare. Una volta accettato il principio dell’adeguamento per ottenere competività, si corre il rischio di compiere rinunce intollerabili. Non c’è una sola strada: piegarsi all’ineluttabile, accettando il baratto fra diritti e posti di lavoro – al di là del caso Fiat – ma di mettere in campo contromisure, scelte di politica industriale nuove. Gestire la transizione sulle difensive può essere estremamente svantaggioso, occorre dare vita ad una nuova fase, reinventarsi tutto, competere a livelli diversi, selezionando i settori, puntando sulle eccellenze, la qualità, le attitudini territoriali, la specificità, il marchio. Investire, dunque, sulle eccellenze, e cioè sulla ricerca, la cultura. Tutto ciò che non si fa ancora in Italia.

Prendere atto di ciò che accade a Torino calati junco che passa la piena - è un modo miope di affrontare la globalizzazione. Rinvia il problema. Su questo terreno, una Ciò che è avvenuto nei paesi democratici nuova politica industriale e del lavoro, le occidentali, specie in Europa (come l’Italia), confederazioni sindacali potrebbero trovaflessibilità, diritti, conquiste sindacali sono re un terreno comune, qualunque sia stata diventati palle al piede per le imprese. La la loro scelta in fabbrica. strada delle conquiste sindacali e dei diritti L’accordo di Torino non è una conquista, è dei lavoratori, nelle fabbriche e fuori dalle solo un modo per titare a campare. E quefabbriche, è lunga, dolorosa, piena di osta- sto lo sanno tutti, a Roma e al Lingotto.


Economia di Enzo Coniglio

Debiti

per conto terzi

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a corruzione ci sottrae 50 -60 miliardi e l’evasione fiscale 143 miliardi: tanto quanto basterebbe per rimettere a nuovo l’Italia e assicurare un benessere diffuso per tutti i suoi abitanti. Invece le leggi attuali non favoriscono di certo un cambiamento di rotta e così le famiglie italiane sono condannate a proletarizzarsi e a vedere ulteriormente impoverita la loro qualità di vita con un debito medio a famiglia di circa 20 mila euro all’anno

possiamo pensare di ridurre sul lastrico le famiglie che non possono pagare. vittime delle pesanti speculazioni finanziarie internazionali e nazionali.

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uesti sono i veri problemi su cui occorrerebbe concentrarsi e, in questa cornice, non si giustifica affatto lo spirito goliardico da circo che abbiamo registrato in occasione delle recenti votazioni alla Camera. Non c’è proprio nulla da festeggiare fino a quando tutte le forze responsabili non elaboreranno un programma concreto e condiviso in asterebbe appunto la metà dell’evasione e del furto Parlamento e gli elettori non si decideranno ad utilizzare il per corruzione a ridare tranquillità alle nostre famiglie. loro voto come ultima ratio per proteggere la loro vita e Certamente la crisi finanziaria in corso ha fatto la parte del quella dei propri figli. Nessuno sarà disposto a pagare dai leone come testimonia l’incremento del 28,7% in media propri sacrifici 15.000 euro al mese a 1000 deputati che dell’indebitamento dal settembre 2008, inizio della crisi. E’ non producono delle leggi efficaci ed efficienti e a mantesuperfluo ricordare che si concentra al Sud la maggiore nere le sacche di privilegi ancora presenti in molti ambienti. sofferenza nella restituzione del credito: le città più indebi- Il nostro Paese è stremato ed occorre un impegno diretto tate si trovano al Sud: Crotone (5,9%); Caltanissetta (5,7%); di tutti noi, cattolici e laici, di destra, di centro e di sinistra. Enna e Benevento (5,5%) contro una media nazionale del Dobbiamo reinventare uno Stato, un Paese solidale e coe3,5%. Bisognerebbe chiedersi come faranno queste città a so, etico e morale, dove il benessere individuale e collettivo, ripagare i debiti e a sanare le sofferenze essendo collocate non solo economico, ma anche culturale e sociale, prenda in zone dove è scomparso il lavoro e la disoccupazione il sopravvento su una immagine consumistica di donne e di giovanile è ormai endemica e sono le famiglie a mantene- uomini fatta di nulla, propinata sopratutto dalla televisione re i giovani... Non si tratta di una crisi temporanea ma di commerciale e dalla carta stampata. una crisi strutturale che richiede degli interventi rigorosi e coraggiosi. Non basta certo il “dialogo” generico e privo di ell’incipit ho ricordato come la corruzione ruba fisiconcretezza a cui accenna il Cardinale Bagnasco, con quelle camente 1000 Euro a ciascuno di noi, cittadini – azioforze politiche che non hanno certo interesse a far pagare nisti - elettori e avevo espresso il mio profondo disappunto le imposte a chi ha di più, come dovrebbe essere evangeli- nel constatare come non sia stato fatto nulla per corregcamente richiesto. gerla, anzi è visibilmente peggiorata: continuiamo felici a vivere nel nostro mondo da incoscienti, immorali e incivili. n queste condizioni drammatiche, non possiamo attac- Pensate quanti problemi potremmo risolvere con questa care violentemente, come ha fatto un impaziente Mini- massa enorme di capitale, pari a dieci manovre di cinque stro La Russa un giovane dignitoso che presentava alcune miliardi l’una. Quanti precari e quanti giovani potrebbero ragioni dei giovani, durante la trasmissione di Annozero. Né ritrovare il loro futuro.

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a la corruzione è soltanto una punta dell’iceberg dell’immoralità sociale. C’è di peggio, di molto peggio. Mi riferisco sia all’evasione fiscale in cui rientrano tutti quei metodi che riducono il prelievo fiscale come la vendita di beni e servizi in nero, sia alla frode fiscale come l’inserimento in contabilità di fatture di acquisto false in modo da ridurre l’imponibile fiscale.

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econdo la più recente ricerca nel settore compiuta da KRLS Network of Business Ethics per conto di Contribuenti.it, l’imponibile evaso in Italia nel 2009, è cresciuto dell’ 11,4% rispetto al 2008 ed ha raggiunto l’ammontare di 366 miliardi di euro l’anno. Si tratta di 143 miliardi di euro l’anno. Siamo al primo posto in Europa per evasione, seguiti da Romania, da Bulgaria, da Estonia, da Slovenia, da Slovacchia.

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’inchiesta utilizza dati diffusi da banche centrali, istituti di statistica e dalle Polizie tributarie dei Paesi europei relativi all’evasione in cinque aree: lavoratori autonomi e piccole imprese, grandi imprese, società di capitali, economia sommersa ed economia criminale. In Italia, i principali evasori sarebbero gli industriali (32,8%) seguiti dai bancari e assicurativi (28,3%), commercianti (11,7%), artigiani (10,9%), professionisti (8,9%) e lavoratori dipendenti (7,4%). La maggiore evasione si registra nel Nord Ovest con 29,1 % seguito dal Sud con il 27,9%, dal Centro con 23,2% e dal Nord Est con 20,8%.


Economia

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u 28 Paesi dell’OCSE, nel 2009, 19 hanno fatto segnare un calo e nove una progressione. Tra questi ultimi c’è l’Italia dove la quota delle entrate sul pil è passata dal 43,3% al 43,5 per cento. Aumento che porta il nostro Paese dal quarto al terzo posto della classifica, superando il Belgio e posizionandoci dopo la Danimarca (48,2%) e la Svezia (46,4%), noti per gli eccellenti servizi offerti. Ricordo a tal proposito, alcuni pareri autorevoli. Vittorio Carlomagno Presidente di Contribuenti.it, Associazione Contribuenti Italiani: “Per combattere l’evasione fiscale bisogna ridurre le attuali aliquote fiscali di almeno 5 punti, migliorare la qualità dei servizi pubblici offerti eliminando gli sprechi di denaro pubblico e riformare il fisco introducendo la tax compliance. L’evasione fiscale è diventato lo sport più praticato dagli italiani al punto che anche i morti evadono il fisco tumulandosi da soli. Serve archiviare al più presto e per sempre la stagione degli scudi fiscali e dei condoni che favoriscono i grandi evasori. E’ importante dare segnali precisi in tal senso destinando, parte delle entrate derivanti dallo scudo, al personale dell’Amministrazione finanziaria per potenziare la lotta all’evasione fiscale nei confronti delle grandi imprese”.

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affaele Bonanni, segretario CISL: “Siamo stufi di essere servi della gleba di un sistema feudale come quello italiano, bancomat delle regioni, dello Stato e adesso anche della Provincia. C’è un problema di tasse eccessive in cambio di disservizi molto ampi. Agli imprenditori, va un po’ meglio, ma siete comunque valvassini al servizio di vassalli con una pressione fiscale eccessiva”.

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mma Marcegaglia, presidente di Confindustria: “E’ la crisi peggiore degli ultimi 50 anni: tutti, governo, imprese e sindacati dobbiamo lavorare per evitare il peggio. Dati scientifici dimostrano che il Paese sta declinando. Serve un impegno per tagliare la spesa pubblica corrente e conseguentemente tagliare le tasse sui lavoratori e sulle imprese, un taglio di spesa pubblica pari all’1% del pil all’anno per tre anni”.

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Debiti

per conto terzi

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arlo Sangalli, Presidente di Confcommercio: “Il conto che stiamo pagando è salatissimo. Questo è il quadro complessivo della situazione: spesa pubblica al 50,5% del Pil ed entrate totali, fiscali e contributive, al 43,3% del Pil. Se non si interrompe la spirale viziosa tra questi livelli di spesa e questi livelli di prelievo fiscale e contributivo, non si rimetteranno stabilmente in moto, nonostante qualche dato congiunturale incoraggiante, la domanda interna e i consumi delle famiglie, non si consoliderà la ripresa e non si riuscirà neppure a ridurre significativamente il livello del debito pubblico”. Un parere finale spetta anche a noi, semplici cittadini, che possiamo così formularlo: Malgrado le promesse politiche non mantenute, il peso tributario in Italia è decisamente cresciuto tanto da porci al terzo posto all’interno dei Paesi OCSE per pressione fiscale e tra i primi posti per evasione. I più tartassati sono i più deboli: i giovani senza lavoro, i precari, i pensionati, gli italiani a salario fisso. Se tutti pagassimo le imposte, anche se le autoriducessimo di cinque punti, avremmo messo alle spalle la maggiorparte dei problemi più gravi che affliggono la nostra società. Non si tratta di essere di destra o di sinistra, cattolici o laici: è evidente che l’evasione fiscale a questi livelli è espressione di una profonda immoralità sociale non sufficientemente denunciata e condannata dalla Chiesa gerarchica e lottata con strumenti adeguati dai vari partiti. Tali dati, unitamente al costo della corruzione, ci confermano come il problema principale del nostro Paese sia di natura etica e morale. Siamo cattolici e democraticamente solidi? Non facciamo ridere i polli.

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iò che mi indigna fino alla follia, è lo spettacolo indecoroso di un Parlamento trasformato in Colosseo, dove l’unica cosa che conta è superare l’avversario ed eventualmente convincere con tutti i mezzi, alcuni parlamentari a cambiare casacca: si tratta di quegli stessi rappresentanti da noi eletti per affrontare e risolvere i nostri problemi.

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entre il circo imperversa, l’Italia affonda e con essa il futuro dei nostri figli.



Sicilia da mangiare di Sebastiano Di Bella

mangiar bene per vivere MEGLIO ualche anno fa, una delegazione Q di importanti produttori francesi di vino, alla fine di una visita in Sicilia

in cui erano rimasti sorpresi per il livello qualitativo dei nostri prodotti, ebbe a dire con un punto di perfidia: avete buoni vini, adesso provate a venderli.

Volevano dire che l’importante, il difficile oggi non è produrre né produrre bene, l’importante è riuscire a promuovere, creare e consolidare un marchio, un nome. Questo fa la differenza. La marca è quel sovrappiù di prezzo che il consumatore è disposto a spendere rispetto a un prodotto simile pur di possedere o consumare quel bene. La Sicilia ha una importante storia in campo gastronomico fin dall’antichità greca e romana. E non a caso, perché in un periodo in cui l’economia si fondava principalmente sull’agricoltura, un territorio molto fertile come quello siciliano era naturalmente vocato a produrre ricchezza, ad attrarre nuovi abitanti e commerci a fare crescere un cultura del lusso e dei consumi di qualità, diremmo oggi. La Sicilia, è bene rendersene conto, era la California dell’antichità o il granaio dell’impero se si vuole. Per esempio, un cuoco vissuto a Siracusa nel V secolo A.C. e a cui si deve la più antica ricetta al mondo di cui vi sia traccia scritta, divenne tanto importante e tanto noto in Atene da essere citato in un’opera del filosofo Platone. Ma avere una storia da raccontare o avere prodotti di grande qualità non basta. Occorre innanzitutto credere in se stessi e credere in quello che si dice. Per fare un esempio, da molte parti si reclama il marchio di qualità comunitaria su svariati prodotti, tanto che oggi nell’Isola fra Dop e Igt abbiamo circa venti prodotti a marchio comunitario, altrettanti marchi sono stati richiesti e a questi bisogna aggiungere quelli del vino, per cui il totale fra attuali e futuri ammonta a circa settantacinque.

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Pochi? Troppi? Non so. So che tante volte appena ottenuto il riconoscimento comunitario, finisce la tensione e presto ci si dimentica di quella Dop o Igt e magari si comincia a operare per un’altra. Allora, in realtà il riconoscimento è il meno, perché per farle “crescere” e diventare uno strumento che produce valore aggiunto e reddito, occorre poi lavoro, organizzazione, investimenti, professionalità e costanza.In un mondo di tante incertezze, ma anche di tante opportunità e in cui cresce sia l’esigenza di una dieta più salutare sia il piacere di conoscere nuovi stili di vita, la gastronomia non è più il soddisfacimento di una semplice esigenza fisiologica (al modo della cultura anglosassone) cioè quella di togliersi in qualche modo la fame né è solo un motivo accessorio per cui ci si sposta da un posto a un altro, essa è oggi anche “Il” motivo del viaggio e quindi elemento di attrattiva di un territorio. Si calcola infatti che circa il 7 % dei turisti arriva in Italia solo perché attratti dall’offerta enogastronomica, ciò ha un impatto economico aggiuntivo di 1,5 miliardi di euro, che non sono pochi anche perché possono crescere. Quindi la tavola è piacere, è cultura ma è anche business e sempre più lo sarà in futuro. Il ristorante, e comunque la gastronomia, è allora il momento fisico importante e talvolta decisivo in cui veramente il turista incontra il territorio direttamente, sensorialmente, al di là delle spiegazioni storicoartistiche e delle sue precomprensioni culturali e psicologiche. La cucina è un condensato di storia (le varie influenze etniche e culturali), di arte (l’abilità dei nostri cuochi o delle nostre nonne e mamme) e di economia, perché è il miglio-

re luogo dove si fa promozione della produzione alimentare del luogo. Sinteticamente possiamo dire che i cuochi sono fra i migliori rappresentanti o ambasciatori dei loro territori. Rappresentanti quelli che lavorano nell’Isola, ambasciatori quelli che lavorano fuori dalla Sicilia. In Sicilia qualcosa si muove, infatti esiste già da tempo un prestigioso circuito di ristoranti che dall’omerico retaggio prende nome di “Soste di Ulisse”, uno da poco ne è sorto sui Nebrodi in un luogo anch’esso dal retaggio antico, Galati Mamertino, che di nome fa “La Magnifica” altri ne stanno per sorgere. Inoltre, vari istituti professionali e tecnici che formano le figure professionali in questo settore sono oggi più avvertiti riguardo alle esigenze di collegamento con il mondo del lavoro. Tanto più che in giro per il mondo oltre al cibo Italian sounds (cioè dal nome italico ma non dalla sostanza) ci sono centinaia di ristoranti italiani anche in posti impensabili (saranno italiani cuochi e le pietanze?) alcuni dei quali chiedono personale anche in Sicilia e quindi possono rappresentare non solo uno sbocco occupazionale interessante per le figure professionali qui formate ma anche contribuire al crearsi di correnti commerciali fra la Sicilia e quelle terre. A livello nazionale ci si è accorti della potenzialità del settore e a circa mille locali è stato dato il marchio di “Ristorante italiano” per distinguerlo da quelli taroccati, altri avranno tale riconoscimento nel prossimo futuro. A Palermo, in seno alla Commissione Attività produttive dell’Assemblea regionale, è in discussione un disegno di legge inteso a sostenere la ristorazione di qualità, ma an-

che, tra l’altro, i produttori di pane siciliano tradizionale. E questo non per nostalgia dei bei tempi andati, quando il pane, giallo naturalmente, profumava le vie intorno ai panifici, ma per dare un’alternativa ai consumi omologati dei vari fast food contemporanei che siano dichiaratamente tale o meno e per creare una piccola nicchia di mercato ai panificatori che si scommettono sui vecchi metodi e farine o che possono essere invogliati a scommettersi. La Sicilia sacra a Cerere, dea delle messi, può tornare a segnare un cammino? Se ci si lavora perché no? Sembra, quindi, che qualcosa si muova e questo lascia ben sperare sullo sviluppo di un comparto che nato per soddisfare i sensi dei pochi, oggi acquisisce una primaria dimensione economica che può soddisfare le esigenze di vita di tanti, e accanto a questo assicurare anche la genuinità degli alimenti, dato che oggi non sempre sappiamo quello che mettiamo in bocca, a volte anche a discapito della nostra salute, attuale o futura.


Sicilia da mangiare

Longi

Sui Nebrodi lo chef diventa attore, cucinare fa spettacolo

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i può fare spettacolo cucinando? Si può fare di un buon ristorante un’attrazione turistica e di un abile chef, un colto affabulatore di platee? Si può affidare a madre natura il compito di ridare alla Sicilia l’identità persa per strada? E infine: si può offrire all’enogastronomia, il volano di sviluppo – sociale, economico, culturale – dell’Isola? Ma come vi vengono in testa certe cose, risponderemmo, se qualcuno ci sottoponesse a questo fuoco di fila di domande.

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L’enologia è decollata, questo è vero, ma i contadini non sanno come finirà il giorno dopo. Lo sviluppo significa fabbriche, alberghi spiagge, laboratori, università. Ricerca, formazione, istruzione per un verso, investimenti, incentivi, location e impresa dall’altro. Che c’entra la buona cucina, non ci confondete le idee. Entrare in un ristorante significa godersi il meritato premio per il lavoro fatto, l’attività svolta, i risultati raggiunti. Cucina è piacere, non “sviluppo”. Ma siamo proprio sicuri che stiano così le cose? Provate a fare queste domande a personaggi come Saro Gugliotta o Giuseppe Li Rosi, slow food messinese il primo, imprenditore del grano di Carlentini il secondo. O con il Sindaco di Longi e il deputato regionale Pino Apprendi. O con Vincenzo Di Marco, Mario Centorrino, Vincenzo Chiofalo, professori universitari, dotati di scienza ed esperienza. Vi spiegheranno con le parole giuste che il mondo va da un’altra parte e che l’alimentazione, la buona alimentazione, non è solo mangiare: è business, è valorizzazione del territorio, turismo, cultura, identità.

americani organizzano il giorno del Ringraziamento. Invece del tacchino, c’è il maialino allevato fra le stupende montagne del nord est. Una delizia del palato che non si può trovare altrove. Ha un colore nero e si porta dietro i sapori e la cultura della Sicilia antica. Ma è solo un maialino, direte. Che sia più o meno scuro, che importanza può avere? Altro errore. Il suino nero dei Nebrodi è il risultato di una felice unione fra mondo vegetale, animale e la terra, la terna che attraverso i secoli connota il codice genetico degli esseri umani grazie alle consuetudini, abilità, linguaggi della Sicilia antica.

E’ palestra culturale antropologica, biotecnologia, ricerca avanzata, eccellenza alimentare. In questa ottica capirete perché il sindaco di Longi organizza una sagra del suino nero dei Nebrodi con la passione con cui gli

Il rischio di caricare di aspettative messianiche la riscoperta del cibo e del vino con i suoi sacerdoti autoctoni c’è, ma quando si getta il cuore oltre l’ostacolo e si mettono insieme passione, abilità, diligenza, i miracoli non

Oggi il suino nero – e non solo - è diventato qualcosa di più che un buon piatto da mettere a tavola. E’ una risorsa preziosa, una icona della tenacia, dello spirito imprenditoriale, della cultura del territorio e della raffinata abilità della gente del posto. La risposta della gente semplice ai problemi della globalizzazione con la scoperta dell’eccellenza fatta in casa, nel senso letterale del termine. In cucina, insomma.


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sono impossibili, ed è lecito sognare un futuro più sereno “mangiando” uno stinco di suino nero cucinato come la tradizione vuole e come gli chef d’alta scuola, cresciuti in cima alle montagne dei Nebrodi convengono. Che il cammino sia impervio al pari del paesaggio nebroideo non ci sono dubbi. Basta guardarsi attorno salendo a Longi – come abbiamo fatto noi in occasione della sagra del suino nero – con le montagne a strapiombo sulla strade (godimento concesso a chi non deve condurre la vettura sui tornanti), per avere la dimensione delle difficoltà. E’ una specie di selezione naturale. Si va in cima perché lo si vuole fortemente. Non ci sono edicole, tanto per fare un esempio. Ma quando si arriva in questo minuscolo delizioso paesino del messinese e si entra in un ristorantino affollato si capisce subito che qui si vive a misura d’uomo. A patto che si rinunci ad alcune utilities. Saro Gugliotta ha messo in scena a Longi, in occasione della sagra del suino nero “il teatro del gusto”, scegliendo come attori gli chef più rinomati del posto, ben otto (i fratelli Borelli di Sinagra, Giuseppe Carollo di Castelbuono, i fratelli Campisi dell’Antica Filanda di Caprileone, Calogero Pintaudi di Villa Rantù di Militello

Rosmarino, Antonino Pidalà del Manhattan di Mirto, Pino Drago di Portella Gazzana, Calogero Fabio del Vinebrio, Antonino Lazzara della Petrusa), e li ha fatti cucinare davanti ad una piccola folla in una piazzetta riscaldata da ceppi robusti che emanavano calore e scintille verso un cielo generosamente stellato. Prima di andare a teatro, però, bisognava partecipare al convegno, dedicato al suino nero, perché bisogna sapere che la biodiversità unisce, non divide come lascerebbe pensare la parola stessa. Per apprezzare ciò che significa il suino nero dei Nebrodi occorre convincersi che la qualità e la tracciabilità dei prodotti, le tradizioni condivise affratellano una comunità, le concedono una identità, instaurano un clima di operosità e di rispetto reciproco. Il sindaco di Longi sostiene legittimamente che la biodiversità è l’anima dei Nebrodi, è persuaso che sia cosa santa e giusta fare conoscere al mondo che Longi sta dentro il più grande spazio e verde del Mediterraneo e offre a chiunque la visiti inappagabili doni della cucina siciliana. Sensazioni, desideri ed emozioni vengono dalle componenti essenziali di una buona alimentazione, ricorda Saro Gugliotta.


Sicilia da mangiare

Longi

Sui Nebrodi lo chef diventa attore, cucinare fa spettacolo

Mangiando da queste parti si gusta il paesaggio, l’ambiente e la cultura del luogo, tutto ciò che il territorio regala a coloro che lo abitano. Il cibo dei Nebrodi non può essere “copiato”, ma apprezzato e ricordato. Possono esserci falsi d’autore, ma basta avere un buon palato per riconoscerli. Sicché il modo giusto per gustare le prelibatezze dei Nebrodi è andare sui Nebrodi. Naturalmente c’è da tirare su le maniche perché bisogna fare diventare la biodiversità “sistema”, avviare la trasformazione dei prodotti, aiutare la commercializzazione con sostegni economici, scientifici e legislativi (suggerisce l’assessore Centorrino), attraverso una rete di collaborazione (sottolinea il prof.Vincenzo Chiofalo), il contributo della gente del posto, lo sviluppo di biotecnologie, la produzione di qualità. Ciò che accade da queste parti, dunque, va tenuto d’occhio. Non c’è una rivoluzione dietro l’angolo, ma la scoperta a casa nostra – non occorre raschiare il barile – si trova ciò che cerchi invano girando il mondo. Pino Apprendi, deputato siciliano dell’Ars, ex vigile del fuoco, ha messo in campo un argomento che non lascia dubbi di sorta per

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raccontare l’importanza dell’enogastronomia. Ha firmato un disegno di legge, insieme ad altri, che dovrebbe regalare opportunità senza soldi, ai “tesori” alimentari del territorio, promuovendo i ristoranti di eccellenza, ma ha soprattutto avvertito che lui ci “crede”. Altrimenti, ha osservato, che ci verrebbe a fare sui Nebrodi, dato che da queste parti non ha voti da raccogliere. Dopo avere visto ed ascoltato tanto, ed avere mangiato come meglio non si potrebbe, viene la voglia di chiedersi, se si sono vissuti il tempo e i luoghi dell’industrializzazione, che cosa sarebbe accaduto in Sicilia se un piccolo granello di quella montagna di soldi spesi per dare lavoro nelle fabbriche dell’industria primaria (più di un miliardo per ogni “posto”), fosse stato investito sull’alimentazione, l’agricoltura d’eccellenza, la biodiversità, le buone tradizioni, uniche al mondo. Ma non è il caso di farsi prendere dal rammarico. Godiamoci la scoperta del suino nero e degli chef siciliani che a casa loro e ovunque nel pianeta fanno concorrenza al cinema di “bassa cucina” che dipinge l’Isola come la terra dei mammasantissima e nient’altro.


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Sicilia da mangiare

Diossina

a colazione Giuseppe Lirosi di Raddusa, guru della nuova alimentazione, spiega perché mangiamo male e ragioniamo peggio

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ne all’attesa del riscatto, mentre traccia con lucidità l’intrigante filo della storia “cattiva”, quella che ha derubato gli uomini dei prodotti della terra e l’ha resa schiava dei nuovi padroni, coloro che si sono impossessati dei prodotti della terra per imporci quello che vogliono.

Oh, certo, scende in mezzo a noi fra un anatema e l’altro: denuncia, accusa, sospetta, mette in fila i nemici, si dispone agli aggiustamenti, pianifica il futuro e si dispo-

Giuseppe Lirosi non è cupo, i suoi occhi s’illuminano come quelli di un bambino ogni volta che la passione gli prende la mano. È un fondamentalista che ascolta, dialoga, e difende le opinioni più malandrine. Il suo cruccio prevalente è la terra, il grano, l’alimento principale, che va rispettato, sorvegliato, e noi non l’abbiamo fatto, perciò siamo stati derubati perfino dell’aria che respiriamo.

posato, due figli, imprenditore del grano a Raddusa, Giuseppe Lirosi è un cinquantino scarso, come direbbe Andrea Camilleri, scuro di carnagione e affilato come una lama. È stato dipinto quattro secoli or sono da El Greco prima che nascesse, perché il suo corpo sembra allungarsi verso l’alto perché le sue parole sono indirizzate al Padreterno. Non usa toni solenni né fa vibranti discorsi, eppure le parole paiono scolpire le malacreanze subite dalla terra.


Sicilia da mangiare

Il secondo morto per la mucca pazza a Livorno, le uova alla diossina in Germania. E qualche mese fa la mozzarella blu. Dobbiamo guardarci dagli avvelenatori, signor Lirosi? “I casi che lei cita sono solo la punta dell’iceberg, dobbiamo riflettere soprattutto sulla quotidianità. Tutto ciò che gli allevatori guadagnano lo consegnanti all’industria chimica. Il business lo fa l’industria farmaceutica e petrolifera, a noi produttori, ai contadini, agli allevatori, restano i debiti e ai consumatori le malattie”. Le malattie sarebbero una componente permanente della filiera di produzione? “Si sa che cosa entra nel cibo che mangiamo, la povertà di nutrienti, per esempio. E questa povertà non è senza conseguenze, disattiva l’attività della coscienza. Le nostre facoltà mentali subiscono una specie di ridimensionamento”. È terribile, signor Lirosi. Lei getta uno sguardo cupo sulle innovazioni che hanno migliorato la catena di produzione. “No, sono un ottimista, ma anche realista. E so come stanno le cose, ne ho scienza e coscienza. Ora dobbiamo riconquistare il patrimonio genetico che abbiamo perduto. Oggi chiunque lo vuole, viene a casa nostra, prende i nostri semi, torna nel suo Paese e può dire: questo è mio….” Vorrebbe che i semi fossero protetti, brevettati insomma? “I prodotti che attiviamo nel territorio ci riappropriano del codice genetico. Ho delle proposte in merito”. Ce le illustri, per favore, signor Lirosi.

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“Credo che sia necessario istituire il catalogo delle biodiversità: vegetali, arboree. Bisogna applicare il trattato Fao, riconoscere i diritti al contadino. Ciò che è stato fatto sui semi, le modifiche subite dal terreno agricolo, le indicazioni gastronomiche… Tutto questo ha contribuito in modo determinante a far sì che i contadini, gli allevatori dovessero acquistare quei mangimi, quei fitofarmaci, quegli antibiotici”. La strada è quella della biodiversità? “La biodiversità unisce, non separa. È questa la chiave giusta per il recupero della identità. La Sicilia ha dato tanto all’Europa. Sono stati i siciliani a fare conoscere al Continente ciò che era stato fatto dagli allevatori della Mesopotamia, la culla della nostra civiltà”. È un programma vasto, signor Lirosi. “Lo è senz’altro. Il cibo non è un insieme di nutrienti chimici, afferma Pollan. Una rete di rapporti tra un gran numero di esseri viventi, umani e non umani, tutti dipendenti gli uni dagli altri e tutti radicati nel terreno e nutriti dalla luce del sole. Ma questo –come sostiene “Terra e LiberAzione”- è possibile solo ad un’azienda agro-energetica che appartenga ad un territorio che abbia la sovranità alimentare e l’indipendenza”. La terra e l’uomo che la coltiva sopravvivono, ormai da tempo, a laceranti crisi che lasciano segni profondi non solo nella nostra economia ma anche nelle nostre coscienze”. È molto complicato, ne converrà. “È stato fatto tanto danno, è stata abbandonata l’arte di coltivare il suolo. È quasi scomparsa la passione per la coltivazione della terra, i contadini sono stati incoraggiati a servirsi d’al-

Diossina

a colazione

tro per fare presto e guadagnare di più, sicché praticano la strada larga della chimica, provocando inquinamento, la diaspora nelle campagne e la disgrazia nella popolazione rurale. La ruralità spiccata della nostra Isola digerì il primo impatto con tutto ciò che arrivò da Oriente per consegnarlo ad un Continente altrimenti affamato, divenendo pilastro del Mediterraneo. Tempo perso. Secoli di storia e di esperienza svenduti, ai giorni nostri, per poche palline colorate da banditori idioti su mercati che non controllano più o che non possono più controllare. È la morte…”. Signor Lirosi, lei ci spaventa. “Ma la morte è una lunga attesa; essa dà all’uomo sempre l’occasione di convertirsi, di ritrovarsi, di ribellarsi all’inganno prima di passare oltre la linea di demarcazione. Allo stato attuale sembra incombere il pericolo di perdere le nostre aziende agricole, di perdere la nostra terra, per sempre”. Avremo la facoltà di redimerci, dunque. “L’occasione di cambiamento e salvezza dove sta? Innanzitutto, dobbiamo essere coscienti che uscire dalla crisi non è solo un fattore economico, ma è principalmente un fattore umano. L’uomo senza la conoscenza non è un attore, ma un servo, uno schiavo. Noi, senza nemmeno accorgercene siamo divenuti schiavi di quelle transnazionali alle quali interessa solo il profitto, schiavi dei poteri forti che hanno provocato fame e sradicamento nel mondo distruggendo intere civiltà e creato in noi la paura del diverso, di tutto quello che proviene dal mare, dal grano canadese, dall’ortofrutta africana ecc.


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ristorante

La magia del gusto

magcom

Bellavista Ristorante: Messina - Via Circuito Torre Faro Tel. 090 32 66 82 - Cell. 393 91 62 061 www.bellavistaristorante.info - email: bellavista@pec.lapostacertificata.it


Sicilia da mangiare

La paura è giustificata perché questi prodotti hanno distrutto i nostri mercati, hanno inquinato le nostre mense, lasciano invenduti i nostri prodotti. Ma il potere a questi prodotti – non sempre e necessariamente cattivi - lo abbiamo dato noi, perché abbiamo sostituito la nostra ricca biodiversità con lo standard delle multinazionali. Abbiamo abbandonato il nostro concetto di qualità per sostituirlo con dei parametri che vanno bene per le macchine e non per l’essere umano. È stato come vendere la nostra evoluzione per un piatto di lenticchie”. Il catalogo della biodiversità non è una risposta… “Naturalmente è solo un aspetto del problema. Qualcuno propone una riforma agraria, noi proporremmo piuttosto una riforma agronomica e agroenergetica. Il problema non nasce in questi ultimi anni, ma, in tempi recenti, si profilò già alla fine della Seconda Guerra Mondiale, quando le fabbriche di munizioni rimasero con i magazzini pieni di nitrato d’ammonio che era stato utilizzato per fabbricare gli esplosivi. Dopo una breve ricerca i fabbricanti di armi scoprirono nel 1906, come dare il nitrato d’ammonio ai vegetali. Costui aveva anche inventato i gas mortali sparsi nelle trincee durante la I Guerra Mondiale e lo Zyklon B usato per gasare gli ebrei nei campi di sterminio. Testati, poi, durante la guerra del Vietnam e usati come defolianti per scovare i terribili vietcong, che difendevano le loro risaie, nascondendosi nella vegetazione delle loro foreste. Da qui vennero fuori i gloriosi diserbanti che nelle pubblicità vengono definiti come “protettori delle colture dai loro nemici naturali”.

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Ma come si fa a proporre una deregulation, perché di fatto è questo ciò che serve, smantellare il sistema. Non è solo un problema agricolo, alimentare… “Per fare agricoltura stiamo utilizzando due “sistemi di distruzione di massa”. La natura ringrazia insieme al consumatore per la strage “differita” che stiamo provocando. Differita perché non si muore subito ma dopo avere consumato una buona dose di prodotti farmaceutici per curare la salute rimpinguando anche le casse dell’industria farmaceutica che qualche mese fa voleva inoculare nel sangue della popolazione mondiale qualche schifezza a pagamento, con tanto di promozione pubblica”. L’industria chimica è la piovra. Per tanti è una necessità, un male necessario... “L’industria non si accontentò di vendere i suoi “elisir”, ma rivolse l’attenzione anche alla cosa più importante per il contadino: il seme, “a simenza”. A questo punto nasce l’altro inganno. Con il pretesto di risolvere la fame nel mondo gli “scienziati” attivano una serie di mutagenesi indotte per modificare il mais, il grano tenero poi e per ultimo il grano duro. Così il lavoro svolto dai contadini negli ultimi 10.000 – 15.000 anni, che selezionarono, “con la loro ignoranza”, centinaia di popolazioni di frumento, rispettandone la natura e adeguandole alla moltitudine di microclimi, consegnando alle generazioni future un tesoro di biodiversità vegetale, venne messo al bando. Esiste una contraddizione, secondo gli esperti, tra il miglioramento genetico e la conservazione della biodiversità, nel senso che le nuove varietà riducono

Diossina

a colazione

la diversità genetica presente nell’ecosistema. Le nostre aziende non hanno più la sovranità sul seme, quindi, non abbiamo neppure quella alimentare. L’agricoltore vende il grano a 15-16 euro a quintale, ossia a 10 euro in meno di quanto gli costa produrlo”. Eppure i raccolti continuano di anno in anno. Perché? “Di fronte al prezzo basso, il contadino, per pagare le fatture, l’Inps, onorare i debiti e mantenere i figli ha una sola possibilità: produrre di più. Per aumentare le rese di qualche quintale per ettaro si impoverisce la terra, si usano anche terreni marginali e si abusa di concimi chimici. Ma più aumenta l’offerta di grano, più cala il prezzo. Spirale di follia”. L’agricoltore, dunque, è il terminale di questa filiera. “L’agricoltore continua a misurare il suo lavoro in base ai quintali/ ettaro, facendo magari a gara con il circondario,mentre va verso il fallimento. Per il mercato, anche se fallisce un agricoltore, non è un problema, la terra continua a produrre. Inoltre, i contributi che vanno nelle tasche degli agricoltori, in realtà aiutano i compratori di grano a prezzi stracciati. Saranno sempre i governi a guidare l’agricoltura. Oggi, le nostre aziende agricole sono dei centri di trasformazione di combustibili fossili in cibo. Un inganno, un bluff pare ci sia alla base di questa crisi. Consolidatosi nell’arco di pochi lustri, divenuto verità difesa con convinzione a tutti i livelli”.


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Sicilia da mangiare

Celestino Drago Chef di Galati Mamertino, è il Siciliano dell’anno

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l Siciliano dell’anno nel 2010 fu Eleonora Abbagnato, l’ètoile che con la sua leggiadria e straordinaria arte, è ammirata nei teatri del mondo. Quest’anno la redazione di SiciliaInformazioni ha fatto una scelta particolare. Il Siciliano dell’anno non è uno, ma idealmente, tutti i grandi chef siciliani, che in ogni parte del mondo regalano alla gastronomia siciliana un ruolo d’eccellenza, contribuendo in modo significativo all’immagine dei produttori alimentari ed agricoli dell’Isola. Sono diventati i migliori ambasciatori della Sicilia e contendono, finalmente, la notorietà ai tanti personaggi che, nel cinema e nella televisione, hanno esportato gli stereotipi della sicilianità Il riconoscimento va a tutti loro, ma le regole del Siciliano dell’anno pretendono che sia uno solo, e non tanti. Sicché, ascoltando gli esperti del settore, e volendo fare un omaggio ad un siciliano che si fa onore molto lontano dell’Isola, SiciliaInformazioni ha scelto Celestino Drago. Ristoratore siciliano a Los Angeles è uno chef di Galati Mamertino in provincia di Messina. Arrivato negli Usa 27 anni fa, Celestino, è diventato titolare di diversi ristoranti a Los Angeles.

Lo chef compie un’operazione controcorrente, oltre alle classiche pietanze della cucina italiana, propone piatti appartenenti appieno alla cultura gastronomica siciliana e soprattutto utilizza ingredienti e materie prime siciliane. In questo modo Celestino è diventato uno dei più importanti ambasciatori della cultura enogastronomica siciliana, semplicemente riproponendo la cucina familiare del territorio. I ristoranti italiani si adattano ai gusti locali trasformando i piatti tradizionali in pietanze adattate alle abitudini alimentari del posto. Negli Stati Uniti in particolare i piatti si arricchiscono degli ingredienti più disparati e soprattutto ipercalorici. In quasi nessun caso si utilizzano i prodotti italiani. La maestra riconosciuta dello chef Celestino è la mamma, la cui cucina rappresenta l’elemento ispiratore di buona parte dei piatti proposti nei ristoranti della catena Drago, pertanto accanto ai più classici piatti della tradizione italiana, si possono trovare Spaghetti con Sarde o la Caponata Siciliana. Infine la prestigiosissima carta di vini, dove accanto ai quelli più famosi d’Italia, un’intera pagina è dedicata ai vini siciliani.


Sicilia da mangiare di Silvia Andretti

I nonni erano vegan (e non lo sapevano) I

n una delle rinomate rosticcerie di Palermo, chiedo se per caso abbiano qualcosa che non contenga della carne. “Ci sarebbe questo, con il würstel”, mi sento rispondere cortesemente. Anche se ho il sospetto che talvolta il würstel non abbia nulla a che fare con la carne, specifico che intendevo “solo vegetale”. Il più delle volte non ho fortuna, altre volte riesco a trovare una “ravazzata” con gli spinaci e la besciamella, o al limite un “pizzotto”. Penso sia un peccato non offrire un’opzione vegetariana, visto che il numero di chi decide di non mangiare più carne cresce di giorno in giorno. Il morbo della mucca pazza, che di recente ha registrato la sua seconda vittima in Italia, ha modificato i gusti culinari di molte persone e c’è da scommetterci, altri rinunceranno alle salsicce dopo il caso dei maiali contaminati. Sul libro nero degli alimenti anche le uova alla diossina e a questo punto ci si può legittimamente aspettare uno scandalo che coinvolga il latte, presto o tardi. In rosticceria come altrove, le cose si complicano se sei Vegan. Escludere dall’alimentazione ogni cibo di derivazione animale è la scelta “cruelty free” del Veganesimo. Chi sceglie questa filosofia dell’alimentazione lo fa per una questione etica e poi anche per la salute. “Non consumando

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proteine animali si sottraggono soldi agli allevamenti. I terreni coltivati a cereali vengono utilizzati quasi interamente per il bestiame e questo contribuisce alle crisi alimentari”, secondo Diletta Di Simone - un’autorità nel mondo Vegan palermitano - è anche nostra la responsabilità della fame nel terzo mondo. Sembra che il fondatore della filosofia Vegan Donald Watson abbia tratto proprio dalle abitudini alimentari di alcuni agricoltori siciliani l’idea che il sostentarsi di soli vegetali garantisca lunga vita. “In Sicilia durante la Seconda guerra mondiale Watson constatò che la popolazione era in perfetta salute nonostante le privazioni”. E pensare che mia nonna era convinta che il diabete le fosse venuto per via di tutte le arance che aveva mangiato durante la guerra (naturalmente c’erano solo quelle, per mesi). Nonostante le origini marcatamente siciliane però, la cultura Vegan cresce lentamente nell’isola, “Spesso chi è Vegan viene attaccato, ma non siamo noi quelli strani: sono gli altri che mangiano cadaveri e finanziano lo sfruttamento degli animali”. “Watson - continua Diletta - si rese conto che questa alimentazione funziona perché l’organismo umano è più adatto a digerire fibre dal momento che, a differenza dei felini, ha un intestino molto lungo quindi non adatto alle proteine animali: quelle vegetali sono


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più assimilabili”. Per i Vegan è escluso anche il consumo di latte in età adulta. Secondo uno studio, l’abitudine dell’uomo ad assumere latte vaccino dopo lo svezzamento sarebbe relativamente recente, poche migliaia di anni fa i popoli del nord Europa cominciarono a farne uso per sopravvivere ai lunghi inverni. Ma non tutti riescono a metabolizzare il latte, si calcola che solo la metà della popolazione ne faccia uso senza problemi e che questa percentuale scenda sensibilmente se si prendono in considerazione i paesi del sud d’Europa. Inoltre, esistono intere popolazioni in Asia presso le quali il consumo di latticini è molto limitato o addirittura sconosciuto. Il Veganesimo rappresenta solo una delle tante filosofie che propongono un’alimentazione sostenibile sia per il

corpo umano che per le capacità produttive del pianeta. “Esistono anche i Fruttariani conclude Diletta - e ti diranno che l’uomo è fatto per mangiare solo frutta. Ne conosco alcuni, e stanno benissimo”. Un altro buon motivo che spinge molti ad abbandonare il consumo della carne degli animali è il rifiuto di ogni forma di crudeltà. Per alcuni si tratta di una vera e propria schiavitù: secondo l’etica antispecista, infatti, la mera appartenenza ad una diversa specie non dà il diritto all’uomo di disporre della vita, della libertà e del lavoro degli animali. Filosofia che può sintetizzare in una considerazione di Jeremy Bentham: “La domanda non è ‘possono ragionare’, né ‘possono parlare’, ma ‘possono soffrire’?”.


Arte

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di Pasquale Fameli

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1. Marina-Abramovic.-Portrait-with-white-lamb.-2010 Courtesy-the-artist-Marco-Anelli-and-Lisson-Gallery


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SEVEN EASY PIECES

Marina Abramovic all’Arte Fiera Art First 2001 di Bologna

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a ormai 35 anni a questa parte, Bologna inaugura il nuovo anno con un evento di importanza mondiale: Arte Fiera Art First, una delle prime fiere internazionali d’arte moderna e contemporanea nata in Italia negli anni ’70 che si è imposta nel corso delle diverse edizioni come la più importante fiera d’arte italiana, per la qualità della selezione delle gallerie espositrici, italiane e straniere, nonché per un programma di interessanti eventi culturali collaterali, orientandosi così verso la valorizzazione e la promozione della ricerca artistica italiana ed internazionale dai primi anni del Novecento alle tendenze attuali.

2. Pubblico ad Artefiera 2010

4. Scorcio ad Artefiera 2010 3. Ingresso della mostra The artist is present, di Marina Abramovic al MOMA di New York


Arte

5 e 6 Marina Abramovic. Immagine della performance Imponderabilia

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5. Marina Abramovic. Frame dal cortometraggio, Art must be beautiful, artist must be beautiful

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al 28 al 31 gennaio, oltre 200 gallerie vengono ospitate nei 15.000 mq espositivi del quartiere fieristico bolognese, suddivisi in tre settori. Interessanti anche quest’anno gli eventi collaterali: la mostra Se un giorno d’inverno un viaggiatore a cura di Julia Draganovic, un originale percorso per i luoghi storici del centro cittadino attraverso le installazioni di vari artisti contemporanei italiani e stranieri, Art White Night, notte bianca di aperture straordinarie di musei, palazzi e negozi, la mostra personale In search of… dell’artista americano Matthew Day Jackson, poi Happy Tech - Macchine dal volto umano, al Salone del Podestà di Palazzo Re Enzo, una mostra sul rapporto tra arte, scienza e neotecnologie promossa dalla Fondazione Marino Golinelli e a cura di Giovanni Carrada e Cristiana Perrella; Svoboda a cura di Daria Khan allo Spazio Carbonesi, una mostra

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collettiva di arte contemporanea russa che indaga attraverso le opere site specific di undici artisti la percezione del concetto di libertà in Russia; alla Basilica di Santo Stefano, inoltre, la mostra dedicata a Shozo Shimamoto, uno dei fondatori del gruppo Gutai, a cura di Achille Bonito Oliva. Ma la vera chicca di quest’anno è senza dubbio l’incontro con una delle personalità di punta dell’arte contemporanea, l’artista-performer serba Marina Abramovic “Lady Performance” a cura di Renato Barilli con la collaborazione di Alessandra Borgogelli, Paolo Granata e Silvia Grandi, promosso da Alma Mater Studiorum in collaborazione con Arte Fiera. L’artista, nata a Belgrado nel 1946, ritorna nel “Bel Paese” dopo più di trent’anni di assenza per la proiezione in anteprima italiana del filmato Seven Easy Pieces in cui ha reinterpretato sette celebri performances storiche compiute

dai suoi maggiori predecessori (Vito Acconci, Joseph Beuys, Valie Export, Gina Pane, Bruce Nauman) e da lei stessa. Il ritorno di Marina Abramovic è un vero e proprio ritorno alle origini della sua carriera artistica: proprio in Italia, infatti, esordì nell’estate del 1977 presso la Galleria d’Arte Moderna di Bologna, nella Prima Settimana Internazionale della Performance, a cura di Francesca Alinovi, Renato Barilli e Roberto Daolio su finanziamento che veniva interamente proprio da Arte Fiera, allora all’inizio della sua attività. La storica performance dal titolo Imponderabilia vedeva Marina Abramovic, assieme al suo compagno di allora, Ulay, porsi nudi all’ingresso della Galleria, costringendo i visitatori a sfregarsi con i loro ieratici corpi nudi e immobili. Da allora le operazioni performative della Abramovic hanno fatto il giro del mondo configurandosi quali tappe cruciali della più avanzata ricerca estetica


73 SEVEN EASY PIECES

Marina Abramovic all’Arte Fiera Art First 2001 di Bologna 7. Capri dreams, di Shozo Shimamoto

del secondo Novecento. Nel 2005 Marina Abramovic ha dunque deciso di ripetere cinque performances topiche della recente storia dell’arte più due proprie ed eternarle attraverso una accurata registrazione video, eseguita dalla filmaker newyorkese Babette Mangolte. L’esecuzione di ciascuna di esse è stata svolta per la durata totale di nove ore continue nei giorni dal 9 al 15 novembre, presso il Solomon R. Guggenheim Museum di New York. Nella prima performance, omaggiando il Bruce Nauman di Body Pressure, Marina Abramovic sperimenta sensazioni tattili e motorie nella pressione del proprio corpo su una parete trasparente, ottenendo compressioni ed esasperazioni fisionomiche analoghe a quelle dei dipinti di Francis Bacon. Gemiti orgasmici in sua assenza sono invece i protagonisti della seconda piece, Seedbed di Vito Acconci; esattamente come Valie

Export in Action Pants: Genital Panic, Marina Abramovic, nella terza azione, si guarda intorno con forte tensione puntando un kalashnikov verso un ipotetico avventore, mentre uno squarcio nei pantaloni mostra il suo sesso, in un’originalissima sintesi di Eros e Thanatos; nell’omaggio a Gina Pane, The Conditioning, first action of Sel-Portraits, l’artista serba si sdraia invece su un graticcio metallico arroventato dalla fiamma viva delle candele, sottoponendo il proprio corpo ad una dura prova di resistenza fisica, carattere essenziale della bodyart degli anni ’70. Travestita da Joseph Beuys, in How to Explain Pictures to a Dead Hare, culla una lepre morta nel tentativo di spiegarle delle immagini, cercando di entrare in sintonia con ogni elemento della Natura. Le ultime due pieces appartengono invece a Marina stessa: in Lips of Thomas incide il proprio ventre con una lametta per poi raccogliere il sangue in un lenzuolo

da sventolare a mo’ di bandiera, per poi giacere su una croce di ghiaccio, il tutto sulle note di una canzone russa che conferma la valenza politica della sua performance. Dal tono più stemperato e speranzoso l’ultima azione, Entering the Other Side, in cui la Abramovic emerge da un enorme vestito blu innalzandosi seguendo un moto circolare analogo a quello della struttura del Guggenheim Museum, luogo dello svolgimento della performance. Renato Barilli sottolinea l’importanza di questa particolare forma espressiva, la performance appunto, specificando che in essa “si concentrano tanti aspetti della nostra cultura attuale, la ricerca dell’attimo fuggente col desiderio di sospenderlo e di farne anche un momento magico e rituale, le manifestazioni allo stesso tempo basse e corporali del corpo ma anche investite di un’aura sacra, il tutto in stretto rapporto col pubblico che è chiamato a partecipare”.

9. Marina Abramovic, Frame daseven easy piece 8. Rikuji Makabe, Imaginary landscape mimosa, 2006, courtesy Rikuji Makabe e Base Gallery, Tokyo

10. Daniele Buetti, Passion What for, 2010, courtesy Guidi


Cultura di Rosario Ribbene

Sulla via dei Domenicani

Alla scoperta di tesori nascosti - Una passeggiata per le vie di una qualsiasi città siciliana svela – anche al più disattento e svogliato visitatore – gli innumerevoli tesori architettonici che l’Isola custodisce. Palazzi, chiese, castelli, conventi, adornano come perle la Sicilia detentrice di uno tra i più ricchi patrimoni culturali.

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olte di queste testimonianze architettonico-monumentali sono note in tutto il mondo, ma una quantità consistentedi esse risulta sconosciuta ai principali canali turistici. Nonostante l’assenza di interventi strutturali per la gestione dei beni culturali isolani auspicata da tempo, il destino di questo immenso patrimonio è spesso sorretto da iniziative a dir poco eroiche di realtà associative che operano per salvaguardare architetture altrimenti ignorate anche dalle amministrazioni preposte alla loro tutela. In questo tessuto di operatività si innestano le attività dell’associazione turistico culturale Itiner’ars. Formata da professionisti ed operatori culturali, l’Itiner’ars è sensibile verso tutti quelli che sono gli aspetti della salvaguardia, recupero e riuso del patrimonio artistico ed architettonico del territorio siciliano. Attraverso una serie di iniziative essa propone azioni per la fruizione e valorizzazione di beni culturali e ambientali. Tra gli eventi recentemente organizzati e che hanno riscosso un certo successo possono menzionarsi l’esposizione di presepi realizzati dai bambini delle scuole di Palermo, i concerti di musica sacra e di beneficienza e il conve-

gno sui marmi siciliani utilizzati nelle architetture religiose dell’Isola. In questi giorni - dal 27 settembre al 16 ottobre 2010, tutte le mattine dalle ore 9:30 alle ore 13:30 escluso sabato e domenica - l’associazione Itiner’ars sta promuovendo un percorso storico-artistico per conoscere meglio i complessi architettonici che ospitano, dal XIII secolo l’Ordine dei Domenicani a Palermo. L’itinerario propone la visita della Chiesa barocca di Santa Caterina Vergine e Martire di piazza Bellini - struttura annessa al complesso del monastero di clausura delle suore domenicane - nonché la visita della Chiesa di San Domenico, consentendo la fruizione di alcuni spazi interni del complesso religioso dei padri domenicani di piazza San Domenico, tra cui la Sala Santa Barbara, la sacrestia della chiesa e il trecentesco chiostro, un tempo luogo di meditazione dei frati. Nei due prossimi sabati del 9 e 16 ottobre, dalle ore 9,30 alle ore 13.00, in via del tutto eccezionale sarà visitabile anche la settecentesca Sala del calendario, che riporta su un affresco a parete, un calendario liturgico che va dal 1700 al 2192. Maggiori informazioni sono reperibili sul sito www.itinerars.it.


75 Per capire meglio gli ambiti entro i quali opera una associazione come l’Itiner’ars abbiamo rivolto alcune domande al presidente Grazia Bellardita. Chiesa di San Cataldo - Piazza Bellini

Architetto, cosa significa per una realtà associativa come la vostra operare in una terra come la Sicilia? “Occuparsi liberamente della promozione e valorizzazione del patrimonio storico artistico locale e della gestione per la fruizione turistico culturale di Beni monumentali è stata e continua ad essere una sfida che sosteniamo ogni giorno. L’Itiner’ars, con le sue iniziative ed attività, offre un contributo tangibile e concreto per far riconoscere e/o riscoprire il valore culturale, storico ed artistico di beni talvolta chiusi alla pubblica fruizione e comunque fuori dagli itinerari turistici di massa. In questi anni ci siamo impegnati per rendere turisticamente accessibili siti monumentali pregevoli come la cappella di San Cataldo o la chiesa di S. Caterina di piazza Bellini, da noi riaperta dopo trent’anni, ma abbiamo dovuto constatare che non è facile introdursi nel circuito dell’offerta turistica e che i tour operator sono ancora fortemente restii a proporre itinerari alternativi a quelli già consolidati”. L’Operatività sul campo che l’associazione porta avanti con quali realtà si scontra? “Operare attivamente in ambito turistico culturale significa anche ritrovarci quotidianamente a diretto contatto con i turisti e a renderci referenti privilegiati delle loro osservazioni circa i disservizi e la pessima qualità ed erronea quantità delle informazioni turistiche riportate sul materiale promozionale in circolazione. Pur impegnandoci nei nostri limiti a sopperire a queste deficienze talvolta è veramente difficoltoso configurare normale ed accettabile la vivibilità del nostro territorio. Altra difficoltà è talvolta far comprendere, anche a chi detiene il patrimonio, che il significato di tutela e conservazione dei beni culturali non necessariamente deve essere disgiunto dal loro utilizzo, purché lo si faccia in maniera consapevole e ragionata e ciò possa produrre incentivi, economici e etici, affinché si preservino dall’incuria e dal degrado”.

Ben vengano allora iniziative ed operosità associative capaci di far apprezzare tesori sconosciuti a molti, ma anche strategie politicoamministrative capaci di rilanciare il turismo quale fondamentale volano dell’economia della Sicilia.


Cultura di Michele Spallino

c a s t e lbu o n o

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he Castelbuono fosse terra di primati, pur in una maniera tutta sua, ne avevamo già avuto significative avvisaglie. Per i famosi panettoni, tradizione meneghina eppur reinterpretata con incredibile fortuna nel paese madonita, oppure la bizzarra idea degli asini, che da qualche anno aiutano ogni giorno nella raccolta differenziata dei rifiuti porta a porta. Ma chi Castelbuono la conosce non solo superficialmente, perché ha avuto modo di apprezzarne anche la prelibata cucina dei ristoranti e soprattutto le straordinarie bellezze artistiche, probabilmente sa che i “primati” castelbuonesi non sono solo quelli che fanno facile mostra di se’ nei mass media. Sa anche, ad esempio, che l’imponente castello medievale che dà il nome al paese (“castrum-bonum”), è da qualche anno sede di un apprezzatissimo museo. Un museo “civico”, per l’esattezza, e “civico” soprattutto per il sentimento dei castelbuonesi per il castello (che peraltro novantanni fa

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lo acquistarono con una colletta popolare, una volta finita in rovina la nobile famiglia dei Ventimiglia), perché custode della splendida cappella barocca con stucchi dei Serpotta e al cui interno regna la sacra reliquia della patrona del paese: “a matri Sant’Anna”. Uno scrigno quindi, ma al tempo stesso una fortezza aperta alla visita museale, che negli anni - anche attraverso le sezioni e alle attività riservate all’arte contemporanea - ha saputo attirare quasi cinquantamila visite ogni anno. “Fortezza dell’anima” è infatti la frase che nella nuova comunicazione del Museo accompagna il logo dell’Istituzione. Castelbuono, anche da questo punto di vista, sembra una piccola oasi al riparo dalle difficoltà e dalle scelleratezze che la nostra Regione par riservare al comparto dei Beni culturali. “Civica” è in fondo l’intera missione del Museo, visto che si dedica a meritorie attività di restauro nel territorio, pro-


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Cappella S. Anna

Pianacoteca - sala1

muove studi e bandisce premi per le migliori tesi di laurea e tanto altro ancora: e tutto soltanto, in fin dei conti, con gli incassi della biglietteria. Altra sorpresa, specie per chi è abituato ad incontrare “facce da museo” alla guida delle nostre istituzioni culturali, è quella di imbattersi nei giovani amministratori - Michele Spallino (presidente) e Adriana Scancarello (direttore) che sì superano di poco la sessantina, ma sommando l’età dei due. Tra le attività degli ultimi anni - oltre a quelle di studio, valorizzazione e recupero del patrimonio e a quelle riorganizzative per una modernizzazione dell’offerta e della comunicazione ad un pubblico sempre crescente e competente - si affianca un’importante programmazione espositiva e di animazione culturale che passa attraverso collaborazioni prestigiose (da Luca Beatrice – recentemente direttore del

padiglione Italia alla Biennale di Venezia – ad Antonio Presti ed Helga Marsala, da Paola Pacetti - direttrice del Museo dei Ragazzi di Firenze - a Maria Concetta Di Natale, per citarne alcune), con mostre d’arte, stagioni concertistiche, pieces teatrali ed attività convegnistiche. Ma la tappa fondamentale, in questo percorso evolutivo di Castelbuono oltre che del Museo, che la comunità e l’Amministrazione non faticano a definire “storica”, si è concretizzata attraverso l’acquisizione di un importante finanziamento da parte del CIPE e il conseguente affidamento alla ditta Goppion di Milano - società leader in Europa nel settore della museotecnica (con all’attivo, tra gli altri, allestimenti al British Museum di Londra, al Louvre di Parigi ecc.), che offrirà nella primavera di quest’anno un nuovo arredo museotecnico di assoluto rilievo, che qualificherà ulteriormente la già notevole offerta culturale.

Info & Contatti: Sede Castello comunale dei Ventimiglia Piazza Castello, Castelbuono (PA) Telefono: biglietteria +39 0921 671211 - amministrazione (tel/fax) +39 0921 677126 Email: info@museocivico.eu • Web: www.museocivico.eu


Spettacolo di Stefano Incerti

Sul terzo canale della Rai è stato di recente proiettato il film “L’Uomo di vetro”, prodotto da Red Film e Rai. Stefano Incerti, regista del film, ha raccontato nella postfazione del libro omonimo (scritto da Salvatore Parlagreco, autore della sceneggiatura insieme a Heidrun Schleef) come ha vissuto la sua esperienza e le ragioni che lo hanno indotto a dirigere la pellicola.

La parabola di Leuccio, eroe per caso Prima di leggere la sceneggiatura di Heidrun Schleef e Salvatore Parlagreco ispirata alla vita di Leonardo Vitale continuavo a chiedermi perché fare oggi un film su un delatore, collaboratore di giustizia, e quindi un mafioso, non un eroe come Falcone e Borsellino? La risposta l’ho trovata proprio in alcune delle dichiarazioni contenute negli stralci della sentenza-ordinanza del maxi ter firmata da Giovanni Falcone e che mi piacerebbe aprissero in epigrafe il film. Dice Leonardo Vitale nel memoriale reso alla Squadra Mobile: “…Bisogna essere mafiosi per avere successo. Questo mi hanno insegnato ed io ho obbedito”; “i mafiosi sono solo delinquenti della peggior specie”; “Si diventa uomini d’onore seguendo i comandamenti di Dio e non uccidendo e rubando e incutendo paura”; “La mafia in sé stessa è il male, un male che non dà scampo per colui che viene preso in questa morsa …”

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n sostanza, il film pur raccontando la storia di un mafioso, diventa attraverso il suo protagonista una presa di coscienza chiara e netta nei confronti della mafia. Perché qui è la vera novità del film il racconto dall’interno, “privato”, attraverso una crisi che oltre che di coscienza è anche mistica, di una “vittima” del sistema mafia. La storia di un ragazzo sensibile e “diverso” che per il sol fatto di essere nato in quella famiglia deve diventare a sua volta mafioso. Senza possibilità di scelta. Quasi come Harvey Keitel in Mean Street di Martin Scorsese: un ragazzo può scegliere solo tra due possibilità diventare prete o mafioso.

Infatti è facile dire che con la forza di volontà si può tutto. Ma se già da piccolo vieni allevato rispetto a valori e principi del tutto starati, fuori dalla realtà, a obbedire e a rispettare uno zio affettuoso e crudele nello stesso tempo che si sostituisce al padre nella tua educazione ecco che è facile lasciarsi andare, “perdersi” secondo la morale cristiana. Ma perdersi significa smarrire una via tracciata, nel caso di Leonardo la strada è sempre stata un’altra. Senza alternative. Il flashback che mostra il primo omicidio di un Leonardo giovanissimo deve proprio sottolineare la difficoltà, il quasi lacerante dissidio che anima il ragazzo al momento di tirare il grilletto sul nemico dello zio. E’ come una lunga, estenuante prova di resistenza la vita di Leonardo. Lui vorrebbe essere diverso ma si costringe a compiacere quelli che gli sono intorno, familiari, amici, perfino la fidanzata. Non sono ammesse debolezze. Ed infatti apparentemente Leonardo è un ragazzo come gli

altri come Salvatore, come La Fiura eppure dentro di lui qualcosa lavora e scava, incide lentamente ma in profondità e così Leonardo cresce pieno di ansie, paure (quella del buio, quella di non essere in grado di soddisfare la sua ragazza ecc.) finché un avvenimento apparentemente banale e dal quale è facile essere scagionati lo fa saltare come la fatidica goccia che fa traboccare il vaso. Attraverso le sue dichiarazioni Leonardo Vitale per primo rompe il muro di omertà che da decenni proteggeva il sistema mafioso, aprendo la strada ai processi che un decennio dopo avrebbero portato allo scardinamento che di quel sistema hanno operato Falcone e Borsellino… Non sarà il film una esaltazione della violenza e dei valori mafiosi, che pure al cinema ha trovato in Scorsese il massimo cantore con “Goodfellas”, ma piuttosto il racconto più personale, più intimo di una crisi. Evidentemente però non si può prescindere dal contesto malavitoso (a meno di non voler tradire anche la necessaria coerenza storica) e per questo penso ad un film che coniughi introspezione e spettacolo (formato panoramico, paesaggi larghi e assolati all’inizio e anguste celle semibuie illuminate da tagli di tipo espressionista poi), recitazione piana nelle prime scene e poi sempre più aspra e nervosa in grado di seguire il film ed il suo ritmo più rapido man mano che si prosegue verso il finale. Se un riferimento deve essere penso ad “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto” di Petri, o a “Salvatore Giuliano” di Rosi, ma anche a tanti film sulla follia da “Birdy- le ali della libertà” di Alan Parker a “Spider” di Cronenberg. Il finale in riva al mare credo renda meglio di ogni altra scena il senso di inutile sacrificio di Vitale ucciso dalla mafia quando ormai sembrava essere uscito dal periodo più cupo della sua vicenda umana. Su di un sorriso, e senza mostrare la morte, la sentenza della Storia risulterà sicuramente più emozionante.


Spettacolo

“Vieni via con me”

una noia spettacolare

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he cosa rimarrà delle quattro puntate di “Vieni via con me”, il programma di Fabio Fazio e Roberto Saviano? Fazio ha fatto l’elenco anche di questo, ma proviamo a elaborarlo noi, l’elenco. Tanti luoghi comuni cancellati, pregiudizi mandati al macero, alibi non più utilizzabili. E tutto in un colpo solo. La più alta audience di Rai tre è stata ottenuta con un programma che sembra la negazione di tutte le “verità” che gli esperti danno per scontate al fine di raggiungere il grande pubblico. “Vieni via con me” non è stato spettacolo, talk show, reality, dispute in diretta condite da parolacce.

Non più alibi e pregiudizi, alta audience senza trash. E’ lecito sospettare una rivoluzione culturale? La comicità ridotta al lumicino, i personaggi da audience pochi e selezionatissimi. Anche la musica e le canzone: poche e molto spartane. Perfino assoli di pianoforte, un’audacia infinita. Gli autori non hanno brillato per fantasia. Elenchi, uno dopo l’altro. L’elenco delle cose che sono rimaste nel cuore della figlia di Walter Tobagi, l’elenco di ciò di cui il Procuratore nazionale dell’antimafia, Grasso, ha bisogno, l’elenco di ciò che ci induce a restare dove siamo o andare via.E i monologhi di Roberto Saviano che non è certo un trascinatore di folle. S’inceppa, gira attorno alle cose, non buca lo schermo. E allora perché tutti lo stanno a sentire? Un mistero. Prima che il disvelamento dell’enigma, tuttavia, è ben altro, l’oggetto su cui puntare l’attenzione. Quali conseguenze, se ce ne saranno, bisogna aspettarsi? Non ci aspettiamo un bel

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niente, perché le logiche dell’azienda del servizio pubblico sono tante e quelle che prevalgono non sono strettamente legate alla qualità. Ma non si potrà ignorare – non lo potranno fare gli autori, i dirigenti, i critici ecc – che i telespettatori gradiscono l’intrattenimento impegnato, colto, spartano. Si può avere il grande pubblico senza nani, ballerini e i litigi in diretta, sconcezze e trash. Occorre che i testi siano originali, ben fatti e i personaggi cui sono affidati, credibili. Occorre che i contenuti siano attuali, “veri” e siano raccontati a coloro che li vivono. “Vieni via con me” si è affidato a decine di persone comuni, che avevano da raccontare qualcosa, perché avevano vissuto storie straordinarie. Straordinarie perché hanno profondamente turbato o segnato la loro vita e quella degli altri. Straordinarie perché testimonianze che hanno toccato profondamente i sentimenti degli spettatori.Il successo di “vieni via con me” ci fa pensare a “Ladri di biciclette”, il film-icona del neorealismo italiano, diretto da Vittorio de Sica, che si affidò ad attori dilettanti, le cui facce risultarono straordinariamente efficaci e credibili. Forse si può immaginare in una tv che adotta il neorealismo moderno, chissà. Tutto qui? No, non solo. Un altro luogo comune è stato sfatato. A giudicare dall’interesse suscitato e dal numero di telespettatori c’è tanta gente che “crede” negli ideali, nei valori, nella fede, nelle persone. Non è vero che è stato rottamato tutto, che accogliamo futilità e demenzialità a piene mani. L’Italia non è solo il Grande Fratello, ma quella di uomini, donne, giovani impegnati e solidi che vogliono fare la loro parte. Che vogliono esserci, partecipare. Un’Italia “diversa” da quella che ci siamo immaginato. Diversa, non migliore o peggiore. Un’Italia che non è stata tenuta in gran conto perché la Rai, e non solo, credeva – o voleva credere – che non esistesse. E invece c’era, e c’è ancora. Già, proprio così, non ci sono più alibi.



Teatro di Rocco Lombardo

TEATRO COMUNALE GARIBALDI DI ENNA Il Teatro Garibaldi di Enna tra splendido fervore e inerzia tarpante Precedendo di quasi vent’anni il Teatro Massimo Bellini di Catania e di ben venticinque il Teatro Massimo Vittorio Emanuele di Palermo, il Teatro Comunale di Enna fu inaugurato nel 1872 con la rappresentazione dei melodrammi verdiani Ernani e Un Ballo in maschera, l’uno messo in scena il 5 novembre e l’altro l’indomani. Voluto, anzi “sospirato” da gran tempo, era stato costruito nel giro di qualche lustro, formato per lo più di strutture lignee e dotato di tre ordini di palchi, ma già dopo pochi decenni si rivelava inadeguato alle esigenze di un centro urbano in cui la crescente prospera attività zolfifera e il redditizio commercio di grano, bestiame e tessuti avevano prodotto un fortunato incremento demografico e ampliato la fascia di un intraprendente ceto benestante. Le carenze strutturali dell’edificio si manifestarono ancor più quando la città nel dicembre del 1926 fu inaspettatamente elevata al rango di capoluogo di provincia, riassumendo, l’anno dopo, l’antico nome di Enna, che dal tempo della dominazione araba era stato sostituito con quello di Castrogiovanni. Il nuovo ruolo prestigioso, che finalmente appagava quelle aspirazioni campanilistiche in passato tante volte frustrate dalla preminenza delle importanti vicine città di Piazza Armerina e Caltanissetta, dal 1817 l’una divenuta sede diocesana e l’altra inclusa nel novero dei sette capovalli isolani, impose agli amministratori comunali ennesi dell’epoca la soluzione affrettata di tanti problemi, alcuni che si trascinavano da anni, altri che sorgevano improvvisi dall’inatteso

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ruolo: l’ammodernamento della rete viaria, rimasta da secoli quasi immutata nel tracciato e nelle caratteristiche e pertanto inadatta all’incremento progressivo del traffico automobilistico; un più dignitoso decoro degli spazi pubblici, dalle vie alle piazze ai giardini; la sostituzione dell’ormai obsoleta illuminazione ad olio con quella elettrica; la ricerca di sedi adatte e prestigiose per i nuovi enti istituzionali previsti dall’appena acquisito rango della città, dalla Prefettura alla Banca d’Italia, dalla Questura alla numerosa gamma di altri uffici (scolastici, giudiziari, bancari…); una più funzionale e maestosa sistemazione della casa comunale, dell’ospedale, di vecchi edifici pubblici, ben presto emulata dai cittadini più danarosi e avveduti o semplicemente compiaciuti del recente status assunto dal loro luogo natio. Un flusso improvviso e ingente di una nuova classe impiegatizia, spesso forestiera venuta a potenziare l’esiguo apparato burocratico esistente, si riversò sull’antico centro montano sollecitando da un lato ampliamenti edilizi, con gli inevitabili sconvolgimenti urbanistici che da subito paventò lo scrittore Nino Savarese sulle pagine del suo Lunario Siciliano, fondato in quello stesso torno d’anni e in breve giunto a meritata notorietà nazionale, e introducendo dall’altro esigenze culturali sempre più varie e raffinate. In questo clima di comprensibile fervore ci si prese cura anche dell’ottocentesco teatro, da anni privilegiato punto di aggregazione sociale e perno di diversificate iniziative, in genere di notevole spessore culturale, divenute un vanto glorioso per una

cittadina così sperduta tra i Monti Erei ma aperta ad ogni novità progressista, ora più consapevolmente impegnata a mantenere elevato il tenore degli eventi pubblici che il suo nuovo ruolo esigeva. Presi da una frenesia di modernità, resa ancor più incisiva dalle mai sopite contese campanilistiche, ora finalmente giunte all’agognata rivalsa, gli amministratori comunali, pur messi di fronte a sforzi economici non indifferenti, si mostrarono disponibili a soddisfare quegli interessi culturali che del resto erano stati sempre presenti alla loro attenzione, anche se spesso rimasti inappagati per penuria di risorse o ostacolati da più impellenti esigenze. Così contribuirono entusiasti a finanziare all’illustre Paolo Orsi gli scavi archeologici proposti da parte del suo ente siracusano di competenza e ritenuti capaci di consolidare al neo-capoluogo la fama di città millenaria radicata addirittura nel mito, e alla Soprintendenza di Palermo i restauri da apportare alle più rappresentative torri medievali cittadine, prima fra tutte quella detta di Federico, pronta a diventare il cardine d’un parco ricco di viali alberati e il fulcro di una zona urbana in continua espansione. Il teatro, che in quel torno d’anni fu intitolato a Garibaldi, non poteva non essere oggetto d’amorevoli e assidue cure. Come si evince dai documenti custoditi nell’Archivio Storico Comunale e di recente sottoposti ad un lodevole riordino, la sua ristrutturazione, aperta ai più moderni criteri di edificazione e alle più innovative soluzioni architettoniche, fu affidata alla catanese impresa dei Fratelli


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Inserra. Nel contempo, compatibilmente con lo stato d’avanzamento dei lavori, si provvide alla decorazione degli ambienti interni, accresciuti da una fila di palchi, di camerini, scale, disimpegni, depositi… e forniti di attrezzature moderne, sipari nuovi, strumentazioni aggiornate. Per la complessa iniziativa non si poté fruire dei desiderati servigi dell’artista locale Paolo Vetri, da tempo trapiantato a Napoli e impegnato in attività didattiche oltre che nell’esecuzione di quadri e affreschi, ma lo si coinvolse comunque invitandolo a fornire un preventivo competente giudizio sui bozzetti fatti pervenire da altri artisti e sottoposti prontamente al suo esame autorevole. La scelta cadde sugli schizzi presentati dal pittore e scultore Leopoldo Messina, dimorante a Palermo e coadiuvato nell’esecuzione da validi collaboratori, di cui al momento sono ignoti i nomi, come lo sono quelli, se mai ce ne furono, di altri artisti interpellati per la circostanza. Le pitture di minore impegno (fregi, ghirlande, medaglioni, festoni…) e diversi elementi ornamentali in stucco (testine, maschere…) sono di certo addebitabili ai cooperatori del Messina, i cui bozzetti preparatori, parzialmente colorati, sono conservati presso l’archivio del Comune, significativi pur nell’esiguità del numero, forse giuntoci decurtato. Esaminandoli si evince che l’artista per la decorazione del soffitto propose almeno due schemi: uno prevedeva una partizione dello spazio quasi circolare da affrescare in quattro sezioni, ognuna comprendente personaggi e simboli alludenti alla poesia, alla commedia, alla musica, alla danza, e intervallate da medaglioni con le immagini di Dante, Verdi, Alfieri e del Littorio; l’altro presentava una decorazione a tutto campo, consistente in un cielo popolato da un gruppo compatto di figure allegoriche e attorniato da una fascia gremita di personaggi variamente atteggiati. Anche se il primo sui fogli ingialliti dal tempo appare ancor oggi molto gradevole nella simmetrica composizione, fu il secondo schema ad essere preferito, forse perché

meno statico. In effetti si rivelava capace di ampliare allusivamente lo spazio visivo architettonico e con tale suggestione induceva i valutatori al sacrificio dell’altro progetto, pur piacevole ma legato alle attività cui l’ambiente da decorare era destinato in un modo che fu ritenuto, pur nella sua efficacia, forse troppo didascalico e, quindi, scontato. Si privilegiò perciò l’altra ideazione, che prevedeva un’unica scena di ampio respiro. Ma, dal confronto con l’opera eseguita, ci si accorge che anche questa soluzione subì una variazione, di cui manca il relativo bozzetto: il gruppo di figure allegoriche è stato realizzato non nel modo raccolto inizialmente proposto ma secondo un dinamico ritmo ascensionale in cui le figure muliebri, adagiate su soffici nubi, convergono, con gesti e atteggiamenti di riverente omaggio, verso un personaggio apicale sostenente una fiaccola accesa, evidente simbolo di un’entità suscettibile di varie soggettive interpretazioni, ognuna però positiva e beneaugurante. A questa ariosa scena centrale fa da corona una larga fascia popolata da animali, danzatrici, atleti… evocanti il mondo classico ma meno aulica ed espressiva di quella prevista in uno degli schizzi preparatori, dove è raffigurata una teoria di musici, domatori di cavalli, opliti, vendemmiatori, filatrici, aratori…, rappresentanti di un’umanità dedita al lavoro, allo svago, allo sport, benevolmente osservata dal gruppo di figure muliebri placidamente inserite in un cielo terso e rassicurante. I parapetti dei palchi presentano una decorazione sobria mentre il boccascena è un tripudio di festoni e putti, figure danzanti e leoni, degna cornice allo stemma civico, fiero dell’aquila bicipite federiciana e del motto liviano “Urbs inexpugnabilis Enna”. Un evidente omaggio alla gloriosa storia della città, che affondava le sue origini addirittura nelle favole mitiche, di cui era protagonista, con la figlia Proserpina, la dea Cerere, nata in questo remoto angolo di Sicilia e perciò considerata il genius loci, molto onorato anche perché largo di propizi doni all’uma-

nità, dalle messi alle leggi al progresso, e di protezione alla sua Enna. E forse a questa deità pagana, precorritrice della Madonna della Visitazione, veneratissima e benefica “patrona populi ennensis”, si riferisce la figura muliebre tedofora che campeggia solenne nella volta affrescata, benevolmente disposta a vegliare ancora sui destini della Città e del teatro, che di essa assurge a simbolo concreto profano, incastonato com’è nel neoclassico Palazzo di Città.Teatro che al termine dei restauri apportati in quei fervidi anni ’30 del Novecento riaprì con la presenza del celebrato Angelo Musco, protagonista di Don Gesualdo e la Ballerina , e che in seguito ospitò Marta Abba, applauditissima nei pirandelliani drammi Vestire gli Ignudi e Trovarsi, seguita da una lunga serie di artisti affermati esibitisi in melodrammi, commedie, operette… e delle giovani promesse partecipanti al rinomato concorso musicale intitolato al compositore ennese Paolo Neglia. Veglioni, rassegne, eventi vari hanno contribuito a rendere intensa l’attività svolta in questo storico teatro, tuttavia a più riprese interrotta per restauri, ammodernamenti, calamità naturali, penuria di risorse…Da alcuni mesi, dopo una delle tante chiusure, durata anni, esso è stato restituito alla fruibilità, perpetuando una sua peculiare tradizione di fasi di inerzia e di rinascita, del resto molto simile per la ciclicità, pur discontinua, alle mitiche vicende dell’antica Proserpina. La divina fanciulla figlia di Cerere, rapita da Plutone per farne la regina dell’Ade, sarebbe stata costretta a vivere per sempre nel sotterraneo regno degli Inferi se la madre, reclamandone la presenza, non fosse intervenuta con dura fermezza presso Giove, che lasciò libera la giovane di tornare per alcuni messi da lei sulla terra, rendendola fiorita, fertile e pronta ad assicurarci l’indispensabile vitale sostentamento. E’ certamente la benevola Cerere quella che ci guarda dal soffitto affrescato del teatro, provvidamente disposta ad assicuragli quella continuità necessaria a prodigarci un nutrimento spirituale altrettanto vitale.


Magnifica Sicilia di Gaspare Urso

In un teatrino di 30 posti rivive il fascino dei paladini di Francia N

ei poemi epico-cavallereschi i paladini di Francia lottavano contro i mori ma anche per l’amore, l’onore, il coraggio. Oggi a Siracusa, quegli stessi paladini sono impegnati in battaglie continue contro le dimenticanze delle istituzioni ed i pochi mezzi a disposizione. Il risultato, praticamente scontato, è a favore dei cavalieri che riescono ad avere la meglio anche contro la loro “vittima” preferita, i “numeri”. Si, perché, nel centro storico di Ortigia, a Siracusa, in un piccolo teatrino da 30 posti, nel quartiere della Giudecca, Orlando e Angelica, Rinaldo e Bradamante e poi ancora maghi e draghi, hanno richiamato oltre 6 mila persone per ribadire che, a volte la matematica è assolutamente un’opinione. Sono quelle persone, un pubblico dove dopo due minuti di spettacolo non riesci più a scorgere chi sono i grandi e chi i piccoli, che si arrendono dolcemente a quelle sfavillanti armature, alle vesti coloratissime e alle battaglie dove prima di tutto vengono l’onore e la difesa di sentimenti puri, puliti. Un mondo antico, dove c’è ancora posto per i valori, che ogni giorno viene fatto rivivere dall’associazione “La compagnia dei pupari Vaccaro-Mauceri”. Sono la passione, la dedizione, la cura di Alfredo, Daniel e Umberto Mauceri, Francesca Vaccaro, Tania Granata e Katia Di Giovanni, che con le loro “bacchette magiche”, fatte di fili, aste e cartapesta, “an-

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nullanno” secoli di storia per regalare un’ora di magia a migliaia di spettatori. “La tradizione siracusana – racconta Alfredo Mauceri – è lunga oltre 130 anni. Nasce dai pupi di Francesco Puzzo, che diede inizio alla storia dei pupi in città, nel 1875, si consolida nel 1978 con il debutto dei fratelli Alfredo e Rosario Vaccaro e continua oggi con l’attività mia e di mio fratello Daniel”. Oltre 130 anni di storia che “parla” di innumerevoli difficoltà per affermarsi dentro e fuori il territorio. Dentro, perché, sottolinea non senza amarezza Alfredo Mauceri, “ancora oggi, nonostante i tanti riconoscimenti ed i successi praticamente non abbiamo alcun appoggio dalle amministrazioni”. Fuori, perché, “pur avendo contribuito a dare forma al teatro d’animazione popolare, persiste la diffidenza da parte delle altre due scuole, di Catania e Palermo, nei confronti di Siracusa”. Una lotta, non solo tra paladini di Francia, insomma, ma anche fra tradizioni di pupari. Siracusa e la famiglia Vaccaro-Mauceri, si giocano la battaglia con pupi con visi di cartapesta e armature finemente sbalzate. Tutto arricchito dagli abiti confezionati da Francesca Vaccaro, figlia di Alfredo Vaccaro e mamma di Alfredo e Daniel Mauceri, le due “anime” moderne dell’Opra dei pupi. L’orgoglio dei paladini siracusani, che nel tempo ha resistito alla mancanza di spazi ed ha dovuto lottare persino contro i terre-

Pupi Compagnia Vaccaro-Mauceri


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Paladini

moti, è dal 1999, anno di fondazione della “Compagnia dei pupari VaccaroMauceri”, ad oggi rappresentato dal tour per tutta Italia, dall’unione con le rappresentazioni classiche organizzate dall’”Inda”, quando i fratelli Mauceri, nel 2003, parteciparono ad una versione con attori e pupi della tragedia “Persiani” di Eschilo. Senza dimenticare lo spettacolo “Una voce… per non dimenticare”, quando per l’anniversario dell’uccisione del giudice Paolo Borsellino, i pupi interpretarono scritti di Sciascia e Peppino Impastato. “In quell’occasione – ricorda Alfredo Mauceri – per la prima volta i pupi entrarono all’interno di un’aula di tribunale”. Ma i pupi dei fratelli Mauceri, che, oltre alle storie dei paladini di Francia ed alle tragedie greche affrontano anche le vite dei Santi e i miti siracusani, sono arrivati perfino in Giappone, dove Rinaldo e Bradamante sono stati esposti al museo internazionale del folcrore della “Chubu university” di Kasugai-city, e in Francia dove hanno rappresentato la tradizione siciliana dell’opra dei pupi alla “Foire” internazionale di Metz. “Ricordo – continua nel suo racconto Alfredo Mauceri – anche il “Rinaldo in…tour” che ci ha impegnato per sette tappe e tre mostre in Italia e che ci ha portato ad esibirci anche ad Aosta”. Insomma, premi, esposizioni in tutto il mondo, progetti nelle scuole ma anche tante porte chiuse in faccia. “Praticamente non siamo considerati da nessuno – aggiunge Alfredo Mauceri – attiriamo tantissima gente nel nostro piccolo teatro, migliaia di turisti vengono ad ammirare i nostri spettacoli,

Francesca Vaccaro

eppure amministrazione comunale e provinciale continuano a non considerarci”. La compagnia “Vaccaro-Mauceri” sogna in grande, nel futuro c’è un teatro con un numero maggiore di posti ma anche nuove storie e tematiche da affrontare. Oggi, invece, oltre al teatro, c’è un laboratorio che “sforna” tutto quanto serve per lo spettacolo ed anche un museo, a palazzo dei Midiri, dove sono presenti una biblioteca con 200 volumi sul teatro e la storia di Siracusa, una videoteca con le registrazioni in formato videocassetta e Dvd degli spettacoli, un’audioteca con oltre 150 di Cd musicali con i brani utilizzati durante le rappresentazioni ed anche materiale di tutti i tipi. E poi, ovviamente, ci sono i pupi che hanno attraversato la storia della città con anche quale “chicca” come il pupi di Giancarlo Giannini. Come tradizione vuole, insomma, nel mondo dei pupi vecchio e nuovo convivono e si intrecciano continuamente. Non è un caso se negli spettacoli moderni, fanno capolino anche riferimenti a personaggi d’attualità come Harry Potter. “Se prima c’erano i briganti – afferma Mauceri – oggi è tempo di maghetti e, magari, anche di vampiri. Ho respirato pupi fin da quando avevo poco più di tre anni. Li ho impugnati per la prima volta che ne avevo 9 ma mio nonno mi disse che prima di poterli manovrare avrei dovuto lucidarli tutti, uno per uno. Da lì inizia ad usare quelli non armati e solo a 16 anni, seppur per puro caso, riuscì finalmente ad utilizzare durante uno spettacolo i pupi armati”. Da quel momento Alfredo e Daniel, praticamente non si sono più fermati. Mentre Alfredo “pensa” lo spettacolo, si occupa delle scene, dei testi, della parte recitativa, Daniel è il “braccio” perché è lui che costruisce i pupi che pesano tra i 5 ed i 10 chili e sono alti 80 centimetri. “Per realizzarli – dice Mauceri – ci vuole più di un mese di lavoro. I visi sono realizzati in

cartapesta mentre arti inferiori e superiori dell’ossatura sono creati con il faggio e scolpiti a mano. Il busto è in pino. Poi, con l’uso di calchi di gesso viene realizzato il volto, sempre con la tecnica della cartapesta. Una volta realizzata la maschera, questa viene applicata alla testa, fatta con legno di pino. Questa è una delle particolarità della tradizione siracusana che riprende l’uso della maschera nel teatro antico delle tragedie e delle commedie greche”. Poi si passa a dipingere, le mani, gli arti inferiori ed i visi dei pupi e si pensa alle armature mentre la costumista inizia a cucire le vesti. A rendere realtà lo spettacolo contribuiscono poi anche Umberto Mauceri, padre di Alfredo e Daniel che si occupa della realizzazione delle aste di sostenimento dei pupi ma anche di altri accorgimenti tecnici ed “effetti speciali”. A Tania Granata è invece affidato il compito di direttore di palco mentre Katia Di Giovanni si occupa della parte amministrativa. “Il nostro segreto – racconta Alfredo – è proprio questo lavoro di gruppo. Per realizzare uno spettacolo ci vuole un anno ed è fondamentale il contributo di tutti”. Poi, quando i pupi sono tornati in vita, le parole e la musica sono pronte, Daniel, Alfredo, Francesca e Tania, salgono quei pochi gradini che li conducono nelle “quinte” del piccolo teatro di via della Giudecca. Da un lato ci sono loro, in uno spazio angusto fanno i conti con fili, aste, parole da leggere e musiche da far partire. Dall’altre parte, invece, ci sono la lotta tra il bene e il male, occhi meravigliati di grandi e piccoli, spade che stridono tra di loro e la certezza che di queste magie, contributi o meno, battaglie tra tradizioni diverse e pochi mezzi, continua ad esserci un gran bisogno.

Daniel Mauceri nel suo laboratorio


Viaggi di Gabriele Maricchiolo

Tulum

e la costa Maya: la città “faro” a picco sul mare Da sempre il mar dei Caraibi è stato nell’immaginario collettivo, luogo di fantastiche avventure: con le sue isole incontaminate, accerchiate da un mare cristallino scrigno di tesori e custode di storie piratesche che accrescono il mito del luogo, forse, il più desiderato al mondo.

Incisione Maya

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La siesta

alla Florida alle Isole Vergini passando per le Bermuda e le Bahamas, i Caraibi mantengono intatto il proprio fascino. Mare, sole, spiagge bianche e lunghissime, oltre a spettacolari fondali che attirano ogni anno migliaia di visitatori alla ricerca di relax e abbronzatura. I vecchi Galeoni spagnoli oggi sono stati rimpiazzati da enormi navi da crociera che, in qualche modo, mantengono inalterato lo spirito dei conquistatori del XV secolo. Ma i Caraibi sono anche qualcos’altro, qualcosa che il viaggiatore distratto dal mito del mare tutto l’anno non si aspetta. Ci troviamo nello stato di Quintana Roo, peniso-

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Tempio del dio discendente

la dello Yucatan (Messico) meglio conosciuta come “Costa Maya”. Lo Yucatan è, senza alcun dubbio, una meta sorprendente con una enorme capacità ricettiva e un panorama di offerte capace di soddisfare anche il turista più esigente. Dalla riviera con Cancun e Playa del Carmen sino all’entroterra con il sito di Chetumal al confine con il Belize si posso ammirare luoghi ancora poco battuti dal turismo di massa fatti di piccole spiagge isolate, riserve naturali, mangrovie, lagune, barriere coralline ed aree archeologiche.


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El Castillo

Veduta panoramica di Tulum


Viaggi

Ed è proprio per la sua posizione che Tulum ha destato enorme interesse tra le comunità scientifiche, aggiungendo ancor più mistero ad un popolo, i Maya, che da sempre ha affascinato archeologi e studiosi. Con la sua roccaforte a dominare le acque cristalline che dividono la costa con l’isola di Cozumel, Tulum è il sito archeologico più famoso ed imporUna su tutte quella tante della costa caraibidi “Tulum”, città Maya ca. Il suo nome significa sorprendente ed “recinto”, ma sembra che arcana che si affaccia i suoi antichi abitanti la chiamassero “Zamà”, l’alba. a picco sul mar Infatti, la città era dedicata dei Caribi. a Venere, la prima stella del mattino. Per sua posizione strategica, grazie alla quale era possibile osservare l’orizzonte da tutte le posizioni, Tulum, divenne ben presto osservatorio astronomico. Fondata intorno al 1200 d.c. raggiunse il massimo splendore nel 1400. Città-stato indipendente divenne famosa per il commercio sul mare, caratteristica rara per la civiltà Maya. Il suo declino ebbe inizio nel 1518 quando i primi “conquistadores” spagnoli sbarcarono sulle sue bianche spiagge. In pochi anni schiavitù, guerre e malattie ebbero la meglio sugli indigeni, cancellando una delle civiltà più evolute dell’antichità.

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Mar dei Caraibi

Oggi a Tulum si possono ammirare varie strutture e piramidi costruite nel tardo neo-classico (12001500), la città circondata da mura ospita alcuni templi di elevato interesse: il tempio degli affreschi, il tempio del dio discendente ed “el castillio”. Quest’ultima è la maggior attrazione turistica, non tanto per la sua storia, ma per la posizione. A picco sul mare sembra che fungesse da faro per indirizzare i naviganti provenienti da Cozumel (altro luogo imperdibile). Bellissime le maschere in stucco che ornano i muri, queste al pari degli affreschi, rappresentano i tre regni dell’universo Maya: quello dei morti, quello dei vivi e quello del dio creatore e della pioggia. Alla scomparsa dei Maya la città, ormai disabitata, è stata protetta dalla natura. Grazie alla vegetazione lussureggiante dei tropici il sito è stato nascosto per molti secoli all’occhio dei naviganti occidentali per riemergere in tutta la sua bellezza nel secolo scorso. Dal 1981 la zona è stata dichiarata Parco Nazionale, nel 1993 monumento archeologico e patrimonio dell’umanità. Girando tra le maestose rovine di Tulum quasi ci si dimentica di essere ai Caraibi, ma basta guardare un po più in la per scorgere di nuovo il mare, il sole e le spiagge bianche ...quello che spesso nell’immaginario collettivo è considerato il posto più bello al mondo!


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Benessere di Alessandro Bisconti

di che segno sei? Ricercatori francesi scoprono che il benessere dipende anche dalla data di nascita. L’astrologia non centra

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omen omen? No. Parafrasando il vecchio detto latino, sarebbe più corretto dire “mensis omen”. Ovvero: un mese, un presagio. Ma l’onomastica non c’entra. Astrologia d’accordo con economia e occupazione? Poco ci manca, secondo una ricerca transalpina. La data di nascita influenza il successo nella vita lavorativa. Secondo lo studio condotto dal Centro nazionale delle ricerche francese con la facoltà di Economia di Parigi, si osserva infatti un’anomala concentrazione di disoccupati nei nati in dicembre (5% in più) rispetto a quelli nati negli altri mesi. Una vita in salita. L’anomalia viene spiegata dal fatto chi è nato in questo mese, più giovane degli altri mesi, ha quasi un anno di crescita in meno rispetto ai coetanei nati verso l’inizio dell’anno. E le fatiche per mettersi alla pari con i compagni più anziani saranno un peso quasi impossibile da recuperare strada facendo. Per i nati nel mese di dicembre, quindi, non è il momento di fare grandi progetti in campo professionale. Meglio vivere alla giornata in attesa di aspetti astrali migliori. No, non è solo un freddo consiglio dettato da un oroscopo qualsiasi. E’ la mezza sentenza, emessa dallo studio realizzato dalla francese “Revee économique”. Il risultato è in accordo con altri studi internazionali. L’autore principale della ricerca, Julien Grenet, ha esaminato la vita lavorativa di un campione di diplomati francesi negli anni 1945-61, giungendo alla conclusione che chi nasce nell’ultimo mese dell’anno solare ha guadagnato in media l’1,5 % rispetto agli altri coetanei. Sembra comunque la moda del momento, quella di identificare il mese di nascita con le peculiarità personali.

Uno studio australiano soltanto pochi mesi fa aveva invece stabilito che chi nasce in gennaio è destinato a diventare una star dello sport. Ma non si tratta degli unici trait d’union tra mesi e “qualità” o prerogative umane. Studi, calcoli, ricerche, conclusioni. Ci sono altri collegamenti tra data di nascita e caratteristiche personali per i quali, però, non si è trovata una spiegazione, o le interpretazioni sono diverse come nel caso dell’associazione tra mese di nascita e allergie. L’esempio è di stampo nipponico. Una ricerca giapponese, su un campione di 2.100 bambini, testati per la dermatite atopica e seguiti per un anno, ha “appurato” che i nati a primavera mostravano la minore frequenza di dermatite, i nati in autunno la più elevata. Di conseguenza gli studiosi hanno ipotizzato che i fattori climatici nel periodo di nascita abbiano un ruolo importante nel futuro sviluppo di allergie. Dal Giappone alla Cina. Un’altra ricerca, effettuata da un’equipe dagli occhi a mandorla ha notato una stretta associazione fra insonnia e mese di nascita: i nati in novembre, dicembre e gennaio erano i più suscettibili; quelli nati a maggio, giugno e luglio i meno soggetti. E che dire di coloro i quali sono stati messi al mondo nei mesi estivi? Una ricerca condotta in Italia, ha messo in luce la situazione di oltre 30 mila neonati, nati nel Centro-Sud fra il 1999 e il 2003: ebbene, gli ormoni tiroidei diminuiscono all’aumentare della temperatura e quindi a luglio e agosto. Possibile conseguenza a lungo termine: l’ipotiroidismo. Ma si potrebbe continuare all’infinito. Insomma: dimmi in che mese sei nato e ti dirò chi sei…


Benessere di Maurizio Crispi

L’abbraccio potente antidoto

alla solitudine

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’abbraccio è un gesto volto ad esprimere affetto o amore, consistente nello stringere le braccia e le mani attorno al corpo di un’altra persona. Si tratta di una delle forme di effusione più diffuse fra gli umani, insieme al bacio. Rispetto a quest’ultimo, però, viene di norma considerato un’espressione di generico affetto, tanto è vero che nella maggior parte delle culture e società può essere praticato indifferentemente fra familiari e amici, oltre ovviamente che fra amanti, senza limitazioni di sesso o di età e tanto in pubblico quanto in privato senza incorrere in alcuna forma di stigmatizzazione o riprovazione sociale. In generale, un abbraccio può rappresentare un’effusione romantica o una generica forma di affetto verso una persona, ad esempio un modo per manifestare gioia o felicità nell’incontrare o salutare qualcuno. Alternativamente, un abbrac-

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cio può essere volto a confortare o rincuorare qualcuno. In definitiva, si tratta di un gesto che esprime affetto in una vasta gamma di gradi. Esistono evidenze scientifiche secondo le quali gli abbracci avrebbe un effetto benefico a livello fisiologico: alcuni studi avrebbero infatti dimostrato come essere abbracciati aumenti il livello di ossitocina e abbassi contemporaneamente la pressione sanguigna. Pur essendo particolarmente diffuso fra gli esseri umani, l’atto di abbracciare non è esclusivo di questa specie, in quanto sono state osservate forme equivalenti di questa effusione fra diversi mammiferi, specialmente fra le scimmie antropomorfe, tra le quali è un elemento importante per la coesione sociale, come anche il grooming ampiamente descritto dagli etologi, cioè l’operazione di spulciamento reciproco.


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era per questo che era stato inventato l’abbraccio.

Una madre, camminando con il proprio figlio, gli dice che lui è unico. Il bambino le risponde che questa unicità lo spaventa, perchè lo fa sentire solo e, a sua volta, chiede alla mamma, se anche lei sia unica e se questa consapevolezza non la faccia sentire sola. Anche le formiche a prima vista così uguali, sono uniche secondo la mamma. Il bambino con una sua logica stringente ribatte che se tutti sono unici, allora tutti sono soli. La mamma gli dice che questo è vero: anche lei è unica e sola come lui, ma se si abbracciano non sono più soli. “Allora abbracciami”, dice il bambino. La mamma allora lo stringe a sé, sentendo il cuore del bambino battere forte e lasciando che lui potesse sentire di rimando il suo. “Adesso non sono più solo” si disse il bambino. E così la madre gli spiegò che

Noi contemporanei ci siamo dimenticati della potenza e dell’intimità d’un abbraccio. Un esperto di piscologia della coppia asserisce che, oggi, molti non sono più in grado di abbracciare (e soprattutto di mantenere a lungo l’abbraccio), perchè non riescono a reggere l’intensità della comunicazione non verbale e il grado di intimità che, proprio attraverso l’abbraccio, si realizzano. L’abbraccio è un modo di stabilire un contatto, consolidando il senso di unione e di appartenenza, a prescindere dalla dimensione dell’Eros (che non ne è l’unica componente, anche se ne costituisce l’humus fertile, considerando l’Eors nel senso più universale possibile). Il inguaggio dell’abbraccio è veramente universale, arcaico nelle sue origini e pre-linguistico. L’apologo di Grossman ci riconduce a questo significato primigenio dell’abbraccio, riallacciandosi senza volerlo al movimento dei “free hugs”, inventato dall’australiano Juan Mann che cominciò a mettere in pratica la libertà di ricevere e dispensare abbracci “gratis” (free hugs, appunto), partendo dalla sua personale esperienza di sofferto isolamento dalla comunità di originie dove si trovò a far ritorno dopo un lungo periodo di assenza. Chi ha praticato i free hug può testimoniare che si tratta di un’esperienza davvero intensa (ed anche gratificante), sia per chi dispensa gli gli abbracci, sia per chi li riceve, proprio perchè nell’abbraccio c’è una totale reciprocità e si attiva un dono scambievole, se soltanto si riesce a venir fuori dalle interpretazioni monocordi, monolitiche e sostanzialmente prive di fantasia dell’immaginario televisivo, omologante e piatto. (Dal sito Free Hugs. Abbracci liberi. La libertà di regalare abbracci , liberamente modificato).

ul tema dell’abbraccio è uscito di recente il delicato e profondo libretto scritto da David Grossman, corredato dalle splendide ed eteree illustrazioni di Michal Rovner (“L’abbraccio”, Mondadori, 2010). E’ un breve, folgorante apologo sulla solitudine e sull’amore, scritto da uno dei più amati autori della grande letteratura contemporanea, e illustrato con i disegni di Michal Rovner, un’artista nota in campo internazionale, che ha esposto anche al Madre di Napoli e di cui è in allestimento una personale al Jeu de Paume di Parigi. Piccolo libro, elegante e raffinato, L’Abbraccio è quasi un dono di David Grossman ai suoi lettori, perché ne facciano a loro volta dono alle persone che amano. L’individulaità e l’unicità di ciascun individuo presuppongono la solitudine. Come fare a superare la solitudine indistricabilmente scaturente dalla consapevolezza dell’unicità di se stessi come singolo individuo?

A volte ricevere un abbraccio è tutto ciò che ci serve. “Free Hugs” (abbracci gratis. ma anche liberi) è la reale e controversa storia di un ragazzo australiano: Juan Mann, un uomo ed il suo obiettivo, l’unico ed importante, quello di raggiungere una persona sconosciuta ed abbracciarla, illuminando e portando gioia alla vite di entrambi. In questa epoca di separazioni sociali e di mancanza di contatti umani gli effetti della campagna di abbracci liberi lanciata da Juan Mann sono sensazionali. Mentre Juan Mann, icona di una nuova umanità, spargeva la speranza per la città, la polizia e l’amministrazione pubblica vietarono la campagna per la diffusione degli abbracci. Quello che successe poi e di cui siamo testimoni rappresenta la vera essenza di una umanità che si unisce, unione che diventa un’onda e che si diffonde per il mondo divenendo fonte di ispirazione e di crescita. Furono raccolte 10,000 firme per chiedere di annullare i divieti, e il 22 settembre 2006 il filmato sugli abbracci di Juan Mann fu messo on-line su youtube, raggiungendo in un mese il tetto di ben 4 milioni di download. Tanti presero ad emularlo ed il movimento dell’ “abbraccio libero” si diffuse nel il mondo. Chiunque, volendolo, può diventare un “freehugger”, scendere per strada a liberare abbracci, liberando se stesso abbracciando. In fondo, se si riuscisse a condividere anche un solo abbraccio, ciò sarebbe un grandissimo dono che si fa e si riceve… e il mondo sarebbe sicuramente migliore. Il libro di Grossman si innesta proprio in questo filone di pensiero, fornendone una rappresentazione delicata e poetica. Chi meglio di noi può apprezzarlo? Nel Mezzogiorno d’Italia, e in Sicilia nin particolare, l’abbraccio e il bacio fra amici è una consuetudine mai interrotta.


Salute di Gioacchino Calapai

La depressione, male oscuro che si può curare con le sostanze naturali 92


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prof. Gioacchino Calapai Responsabile “Ambulatorio di Medicina Naturale” Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico “G. Martino” - Messina

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onostante la depressione evochi sentimenti di profonda tristezza e di grande solitudine e le sue cause appaiano ancora quasi sempre oscure, rispetto a un passato dominato solo dalla paura, oggi si è più disposti a parlarne, e c’è più voglia di capirla. Questa sorta di “sdoganamento” della depressione, una volta considerata malattia per pochi “sfigati”, non sempre semplifica le cose. Per esempio, una delle conseguenze è la convinzione che si possa autodiagnosticare. Così la depressione resta spesso mascherata (nascosta a sè stessi) dietro altri sintomi e viceversa, accade che in altri casi, un periodo della vita vissuto un po’ sottotono viene immeritatamente elevato a rango di stato depressivo. A questo proposito è bene ricordare che la depressione si può distinguere secondo la gravità in lieve, moderata o grave. Ma la gravità va stabilita dal medico, sulla base della presenza o meno di sintomi quali l’abbassamento dell’umore, diminuzione di interesse e di piacere, variazioni del peso o dell’appetito, insonnia o sonnolenza, rallentamento psicomotorio, mancanza di energia, sentimenti di autosvalutazione, difficoltà di concentrazione, pensieri suicidari. Le donne sono la categoria più a rischio (circa il 20 % della popolazione femminile) ma anche gli uomini non ne sono immuni (circa il 10 %). L’accresciuto interesse va spiegato anche con il fatto che, a dispetto di una società e di un modo di vivere che appare dominata dalla ricerca della spensieratezza, è purtroppo vero che molti di noi oggi si sentono più vulnerabili, più esposti, nei confronti della depressione. Soprattutto con l’avanzare dell’età, più o meno volontariamente si cerca quindi di adottare stili di vita in grado di prevenire non solo le malattie che aggrediscono il corpo ma anche quelle che, come la depressione, assediano la mente. Fortunatamente c’è anche oggi la consapevolezza che una volta diagnosticata, la depressione deve essere curata.

I metodi di cura prevedono anche varie forme di psicoterapia, ma è ai farmaci antidepressivi che si fa più frequentemente ricorso. Essi rappresentano un rimedio efficace ma i loro effetti collaterali spesso inducono i pazienti a interrompere il trattamento. In questi casi, può il mondo della medicina naturale fornire un’alternativa a chi è depresso ? La risposta è sì, ma non in tutte le forme di depressione e solo a certe condizioni. L’alternativa naturale ai farmaci antidepressivi è rappresentata dagli estratti della pianta Hypericum perforatum. Iperico è il nome italiano mentre nei paesi di lingua anglosassone è chiamata St. John’s wort (Erba di S. Giovanni). E’ un’erba medicinale utilizzata da secoli ma che solo negli ultimi anni abbiamo imparato ad usare, sfruttandone al massimo i benefici riducendo al minimo i rischi. L’Hypericum perforatum è efficace nella depressione di gravità lieve o moderata e non nelle forme più gravi. Il fatto che tali forme siano le più comuni, e che l’Hypericum perforatum causi rispetto ai farmaci minori effetti collaterali, rende l’uso di questa pianta medicinale vantaggioso in molti casi. Sono tutte rose e fiori ? Non sempre. Le spine ci sono, per quanto evitabili. Per esempio, attenzione alla forma di depressione bipolare, in questi casi l’Hypericum perforatum è controindicato. Inoltre, le persone che assumono alcuni tipi di farmaci (per es. la digitale, la ciclosporina, i contraccettivi orali, altri antidepressivi) non possono essere curati con l’Hypericum perforatum perché correrebbero il rischio di interazioni tra questi e la pianta medicinale con possibili conseguenze per la loro salute. In conclusione, la medicina naturale può essere utile nella cura della depressione. Tuttavia è importante, almeno in questo caso, non fare da sé affidandosi a un medico, dalla diagnosi alla terapia.


speciale NUTRIZIONE

Salute a cura di dott. Alessio Calderone Specialista in Scienza dell’Alimentazione

FRUTTA

Quando è il caso di dire... buona per tutte le stagioni Siamo in piena stagione dell’influenza invernale e anche quest’anno, il virus più temuto è quello della suina, il tanto discusso H1N1. Il picco arriva esattamente in questi giorni, un po’ in ritardo rispetto alla Gran Bretagna, che da sempre è la porta d’ingresso dell’epidemia invernale, come sostengono gli esperti del dipartimento malattie infettive, parassitarie e immunomediate dell’Istituto superiore di sanità

Per combattere l’influenza serve riposo e l’aiuto di farmaci antipiretici, come il paracetamolo, e degli antivirali nei casi più gravi. E’ sconsigliata, invece, l’assunzione di antibiotici: questa categoria di farmaci, infatti, è pensata appositamente per le infezioni batteriche e quindi, oltre a non aver alcuna efficacia sui virus influenzali, l’abuso può portare a sviluppare dannose resistenze.

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e linee guida per prevenire il contagio, invece, consigliano di lavarsi frequentemente le mani con molta cura, soprattutto dopo aver visitato posti pubblici. Chi, tuttavia, ha già contratto il virus, può aiutarsi anche con l’alimentazione. La frutta, ad esempio, è di sicuro l’alimento che per il suo contenuto di antiossidanti e microelementi può costituire un supporto efficace nell’innalzamento delle difese immunitarie. Proprio nel caso dell’influenza può correre in aiuto la frutta acidula. In questa categoria rientrano i kiwi, gli agrumi e le fragole, chiamata così grazie all’alto contenuto di acidi organici in particolare citrico e ascorbico (vitamina C). Vari studi, infatti, hanno evidenziato che una carenza di vitamina C, può portare ad una alterazione della sostanza responsabile della robustezza degli endoteli dei capillari, determinando, quindi, fragilità di questi, emorragie e difettosi scambi nutritivi. La vitamina C è anche responsabile della depo-

sizione di tessuto osteoide durante la formazione delle ossa, quindi una avitaminosi determina in queste ultime una fragilità tale da determinare il rischio di maggiori fratture. Questa vitamina ha, inoltre, azione antinfettiva (aumenta la produzione di anticorpi), azione antitossica (maggiore capacità di inattivare tossine batteriche, ed una più alta protezione contro alcuni veleni quali il fosforo e il benzolo). La vitamina C contenuta nella frutta svolge anche un’ importante azione antiossidante “scavanger”, intervenendo sia nel risparmio della vitamina E che riducendo livelli elevati di radicali liberi in grado di destabilizzare membrane e Dna cellulare. In questo periodo è anche facile trovare sulle nostre tavole la frutta secca (mandorle, noci e nociole): questa è caratterizzata, poiché contiene più del 50% di grassi, da un contenuto calorico molto elevato (650 cal. per 100 grammi). In piccole dosi anche la frutta secca può contribuire ad aumentare le


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difese immunitarie grazie alla vitamina E, chiamata anche tocoferolo, che svolge all’interno dell’organismo un ruolo protettivo nei confronti delle membrane cellulari dei globuli rossi, diminuendo la fragilità e la loro tendenza all’emolisi. E’, inoltre, un antiossidante biologico, infatti è il più efficace tra i meccanismi di difesa non enzimatici nei confronti dei radicali liberi (vi è una sinergia tra acido ascorbico e vitamina E). In questa frutta è presente in elevate quantità il rame che forma un importante enzima, la superossidodismutasi (SOD). Questo enzima interviene inattivando i radicali liberi, tramite un meccanismo di tipo enzimatico per il mantenimento dell’integrità delle strutture cellulari. Un altro elemento riscontrabile nella frutta secca è il selenio, seppur in minime quantità, infatti, la sua concentrazione dipende dal contenuto dello stesso che si trova nel terreno

in cui il frutto è stato coltivato. Il selenio fa parte di un metallo-enzima (glutatione perossidasi) in grado di stabilizzare gli idroperossidi che si sono formati per azione dei radicali liberi sugli acidi polinsaturi delle membrane cellulari. Va comunque ricordato che la frutta va mangiata fresca e preferibilmente deve essere consumata quella di stagione. Meglio ancora se quella a chilometro zero. Quindi, in una Sicilia ricca di agrumi per fare un pieno di vitamina C è preferibile una arancia siciliana che quella di dubbia provenienza. E’ da ricordare che un frutto appena raccolto ha una concentrazione di vitamine sicuramente superiore rispetto a quello raccolto dieci giorni prima e che magari ha subito uno stato di conservazione errato o non del tutto idoneo. La vitamina C è termolabile, ovvero, si deteriora con il calore.


Salute

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LATTE,

ottimo per tutte le età Ma a ciascuno il suo

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’ l’alimento indispensabile per ogni fascia di età. Il suo utilizzo non è databile, ma ad esempio i Romani lo consideravano insostituibile in tutti i pasti: era bevuto fresco, oppure aromatizzato e inizialmente veniva usato anche per zuppe e minestre. E se da un lato il latte, viene riconosciuto da tutti alimento essenziale, pochi conoscono i risultati di uno studio di alcuni ricercatori dell’Università del Tennessee che hanno scoperto come le persone in sovrappeso che assumono tre porzioni al giorno di latticini perdono più grasso addominale di quelli che seguono una dieta analoga, ma senza due o più porzioni di latticini. Inoltre, gli stessi ricercatori hanno riscontrato che gli integratori di calcio non funzionano bene quanto il latte. Perché? A quanto pare, mentre il calcio aumenta la velocità con cui il corpo brucia il grasso, altri principi attivi dei latticini, come le proteine del latte, forniscono un effetto brucia-grasso aggiuntivo. Naturalmente, il segreto del successo sta nel seguire prima di tutto una dieta dimagrante. Non dimentichiamo, infine, che questo alimento è l’unica fonte di sostentamento dei bambini prima dello svezzamento, dunque in grado di mantenere una giusta alimentazione per lo sviluppo dei bebè. I segreti del latte stanno sicuramente nella sua composizione: da un punto di vista chimico non è altro che una miscela complessa contenente

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principalmente acqua (87%), proteine (3%), lipidi (3,6%)sali minerali e vitamine sia idrosolubili che liposolubili. Il latte è una fonte di calcio: è l’alimento che ne contiene di più rispetto ad altri circa 120 milligrammi per cento grammi, per questo motivo è essenziale per l’accrescimento e il mantenimento della struttura ossea del nostro organismo. Non è, tuttavia, da considerarsi alimento completo perché carente di elementi quali ferro e rame. Per quanto riguarda le vitamine idrosolubili, il latte, contiene una quantità rilevante di vitamine del complesso B, in particolare di vitamina B2. Per le vitamine liposolubili, di sicuro quelle più presenti sono la A e la D. Il latte, inoltre, contiene proteine ad elevato valore biologico, infatti, sono presenti tutti gli aminoacidi essenziali.Tra queste vi è la caseina, che con l’aggiunta di enzimi forma la cagliata dalla cui lavorazione si ottengono i formaggi. Per la porzione glucidica, lo zucchero più rappresentato è sicuramente il lattosio, l’unico disaccaride di origine animale (responsabile del sapore leggermente dolce). Questo disaccaride è formato da galattosio e glucosio, e viene sintetizzato dalle ghiandole mammarie in presenza dell’alfa lattoalbumina. Il lattosio è il responsabile delle intolleranze legate al latte, poiché spesso l’enzima che è in grado di scinderlo non è presente nell’organismo. Quanto detto vale per il latte di mucca.


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Discorso a parte è il latte di donna che da un punto di vista nutrizionale presenta una composizione diversa, infatti, fermo restando che entrambi sono formati prevalentemente da acqua, ma per quanto riguarda le proteine sono suddivise in 40% di caseina e 60% di proteine del siero. Tra queste troviamo IgA e la lattotransferrina. Le IgA materne danno la cosiddetta immunità passiva naturale al feto proteggendolo da possibili infezioni. Per quanto riguarda la trasferrina è utile all’assorbimento delle piccole quantità di ferro presenti nel latte. Il lattosio è maggiormente presente nel latte materno, mentre la porzione lipidica è molto simile al latte di mucca, di contro risultano in minore quantità gli acidi grassi a catena corta (acido butirrico, capronico e caprinico), ma una maggiore percentuale di grassi insaturi (acido linoleico). Infine, risulta minore il contenuto vitaminico.


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Caffè e Cioccolato Connubio perfetto tra vigore e serenità S

ulle origini del caffè vi sono molte leggende: quella proveniente dal Monastero Chehodet nello Yemen, o quella su Maometto; e ancora di un’altra antichissima storia che raccontava di una bevanda “sorgente di estasi”, o dell’altra molto simile che vuole, invece, che il caffè sia stato scoperto da un Iman di un monastero arabo. A prescindere dalle fantasiose leggende, forse troppe, il caffè da un punto di vista nutrizionale è noto per una sostanza denominata caffeina, isolata la prima volta da un chimico tedesco, Ferdinand Runge nel 1820. Questa sostanza a dosi moderate stimola la secrezione a livello gastrico, salivare e biliare: quindi ha un effetto digestivo. Inoltre, a piccole dosi rallenta la frequenza cardiaca, provoca dilazione coronarica

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e broncodilatazione, quindi può essere di aiuto in patologie di tipo allergico o asmatico. La caffeina migliora anche l’attività psicomotoria, l’umore, la resistenza al sonno e alla fatica, per questo motivo viene considerata una sostanza dopante. Diversi studi hanno, inoltre, confermato un effetto stimolante sul metabolismo basale, quindi viene spesso utilizzata per favorire il dimagrimento in associazione con una dieta corretta. Non va dimenticato che la caffeina può essere utile per contrastare la sonnolenza, migliora la memoria, il ragionamento e l’attenzione, quindi di aiuto per tutti coloro che devono guidare o affrontare lunghe ore di lavoro.


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Prendere più di un caffè al mattino, specie se a digiuno, può causare bruciori e acidità di stomaco, esofagite e reflusso gastroesofageo. Inoltre, elevate concentrazioni di caffeina nell’organismo possono causare tachicardia, ipertensione e aritmia. E non soltanto. Non va assolutamente dimenticato che chi soffre di osteoporosi non deve consumare caffè in quanto la caffeina riduce l’assorbimento di calcio. Discorso molto diverso vale per il cioccolato che grazie al suo contenuto di teobromina e anandamide lo rendono un alimento “rilassante”. Il cacao, infatti, stimola il rilascio di serotonina che a sua volta libera endorfine nel corpo aumentando il tono dell’umore e arginando gli stati di depressione. L’anandamide è responsabile dell’effetto gratificante del cacao. Di contro, il cioccolato è ipercalorico: 100 grammi contengono 550 calorie, quindi, è un vero e proprio concentrato di energia che può essere usato in situazioni di emergenza e di sostegno per lunghe e dispendiose prestazioni fisiche. Una tavoletta di cioccolato ha quasi le stesse calorie di un piatto di spaghetti e per smaltirla occorrono almeno 2 ore di attività fisica.

Il cioccolato, inoltre, contiene elevate quantità di grassi: 32 grammi per 100 grammi, con prevalenza di grassi saturi e con una bassa percentuale di polinsaturi. Presenti nel cioccolato i polifenoli, tra i quali tannini e flavonoidi efficaci antiossidanti in grado di limitare il rischio di stress ossidativo procurato dai radicali liberi. Un connubio interessante è quello di mangiare un cioccolatino, preferibilmente di cacao fondente dopo avere preso una tazzina di caffè. Il cioccolato può essere accompagnato da un buon bicchiere di moscato o da qualsiasi altro vino invecchiato. Ognuno di noi può continuare a gustare caffè e cioccolato affidandosi al proprio buonsenso e moderazione.


Sport di Domenico Giardina

La corsa inarrestabile di Francesca 100


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Francesca Schiavone

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essuno meglio di lei nella storia del tennis femminile. Francesca va veloce e sembra non avere intenzione di fermarsi. Dopo un 2010 da sogno che l’ha vista trionfare a Parigi in seguito a una cavalcata nella quale ha eliminato, tra le altre, l’attuale numero uno del mondo Caroline Wozniacki, ha aperto il 2011 conquistando i quarti di finale dell’Australian Open e balzando al quarto posto del ranking mondiale Wta. Stiamo parlando, naturalmente, di Francesca Schiavone, la numero uno tra le donne del tennis italiano e, da qualche giorno, anche la tennista italiana con il best ranking assoluto nella storia dell’era Open. Eguagliato il record di Adriano Panatta tra gli uomini, che raggiunse la quarta posizione nell’agosto del 1976.A cavallo dei trent’anni la tennista milanese sembra avere raggiunto la maturità e macina record progressivamente. I quarti di finale ottenuti in Australia, dove la Wozniacki le ha servito la sua personale vendetta dopo l’eliminazione subita al Roland Garros, sono arrivati, tra l’altro, dopo aver eliminato la Kuznetsova in quello che è stato l’incontro più lungo mai disputato nella storia dei tornei femminili dello Slam, durato 4 ore e 44 minuti. Il 2010, oltre al Roland Garros, ha visto la Schiavone sul gra-

dino più alto del podio nella Fed Cup, la coppa Davis femminile. A dir la verità la sua prestazione è stata al di sotto delle attese, ma il suo contributo di bravura ed esperienza non è mai mancato alla squadra azzurra. Nel 2011 Francesca punterà sicuramente a riconfermarsi a Parigi e cercherà di vincere il più possibile per provare ad agguantare il podio del ranking Wta, anche se l’impresa, a oggi, sembra molto ardua, per usare un eufemismo. La Zvonareva, la Clijsters e la Wozniacki sono troppo lontane. Inoltre tutte e tre hanno raggiunto almeno le semifinali degli Australian Open. Questo aumenterà il divario con la nostra Francesca. Non dovesse riuscire nella conquista del podio la sua grandezza non ne verrà intaccata. Ormai la si può considerare, senza ipotesi di smentita, la tennista italiana più importante della storia. Campionessa dentro e fuori dal campo e dimostrazione vivente che il lavoro paga sempre. Sono stati tantissimi, infatti, coloro i quali si sono dovuti ricredere sulle sue qualità dopo questo straordinario 2010. Con la continuità di prestazioni adesso Francesca sta dimostrando che quella in Francia non è stata soltanto un fuoco di paglia, o una vittoria fortunata. Nell’Olimpo del tennis italiano, ormai, siede alla destra di Pietrangeli e Panatta.


Amarcord

Bearzot il Grande Nonno D Enzo Bearzot è stato il Sandro Pertini del calcio italiano, così come Sandro Pertini è stato l’Enzo Bearzot della politica e delle istituzioni italiane

ue nonni burberi e generosissimi, severi e indulgenti, capaci entrambi di grandi cose, soprattutto capaci di parlare agli italiani con le parole e gli argomenti giusti. I loro rimproveri sono stati sempre ascoltati, mai derisi né presi sottogamba. I loro successi accolti come il successo di tutti. Avevano il dono incommensurabile della schiettezza, raccontavano le loro storie come andavano raccontate senza edulcorale né avvelenarle. Ed esprimevano i giudizi più aspri con l’aria di chi sa il fatto suo. Potevano avere anche torto e il loro carattere risultare indigesto, ma quando parlavano la gente capiva che non stavano facendo i loro interessi ma quello dei tutti. Un carisma incrollabile. Era come se fossero nati per adempiere ad una missione, di cui avevano la responsabilità totale. Mai nascondimenti, non gettavano sul campo avverso le colpe di ciò che andava male. Ligure Sandro, friulano Enzo. Una vita difficile alle spalle, ma tenaci e testardi come i montanari. Talvolta terribili nelle punizioni di coloro che non filavano dritto. Nemmeno sotto tortura avrebbero affermato di essere i migliori del mondo, come oggi capita di sentire ad ogni piè sospinto, facendoci vergognare per conto terzi.

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Nei ricordi degli italiani che hanno una certa età, la partita a briscola (o scopa?) in aereo fra Enzo Bearzot e Sandro Pertini di ritorno dalla Spagna dopo la conquista del mondiale di calcio nell’82, è l’icona di una stagione irripetibile: nonostante i guai, che l’Italia ha sempre vissuto, gli uomini di quel tempo suscitavano speranza ed affetto per il solo fatto che c’erano ed erano fatti così: tutti d’un pezzo, rigorosi, competenti. Il Ct dell’Italia mondiale ha incarnato l’Italia che lasciava alle spalle la disfatta umiliante della Corea. Sandro Pertini incarna l’Italia che si lasciava alle spalle i morti nei campi di battaglia, le bombe, la tirannia nazifascista, e si spende, anima e corpo, per ricominciare da capo con passione e con valori forti: democrazia e libertà individuali e collettive. Il dispiacere per la scomparsa di Enzo Bearzot è reso ancora più triste dal rimpianto: ci guardiamo attorno e non troviamo i nonni dell’Italia redenta e sorridente. Giorgio Napolitano e nessun altro. E Dio solo sa quanto abbiamo bisogno di burberi benefici, persone oneste e disinteressate, che regalano agli altri tutto ciò che hanno.


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Misteri di Giulio Giallombardo

MORIE di

Uccelli “Ci sarà un giorno in cui gli uccelli cadranno dal cielo, gli animali che popolano i boschi moriranno, il mare diventerà nero ed i fiumi scorreranno avvelenati”.

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osì recita una profezia degli Hopi, antico popolo d’indiani d’America che vive tuttora nel sud-ovest degli Usa. Le apocalittiche morie di uccelli e pesci che, dall’inizio dell’anno, si stanno moltiplicando da una parte all’altra del globo, sembrano, almeno in parte, avverare le profetiche visioni degli amerindi. Dagli Stati Uniti alla Svezia, dal Perù all’Australia, passando dal Vietnam e dalla Nuova Zelanda, fino ad arrivare in Italia: una vera è propria strage di animali sulle cui cause la scienza traballa incerta. Negli Stati Uniti, a Beebe, in Arkansas, il giorno di Capodanno i cittadini sono stati sorpresi da una vera e propria pioggia di migliaia di merli morti. A meno di 200 chilometri dalla città, invece, sono affiorati dal fiume Arkansas, centinaia di migliaia di pesci tamburo, anch’essi misteriosamente morti. Fenomeni simili sono accaduti in Lousiana e nel Kentucky. Il mistero non si ferma, però, soltanto al continente americano. La strana morìa ha toccato anche l’Europa. Nei dintorni della cittadina di Falkoeping, in Svezia, il 5 gen-

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naio, sono stati trovati in strada una cinquantina di corvi morti. Così come in Italia, a Faenza, dove sono state raccolta quasi trecento tortore morte. C’è chi, tra gli esperti, sostiene trattarsi di pure e semplici coincidenze, fatti da sempre accaduti e venuti soltanto adesso alla ribalta per una sorta di psicosi collettiva. “Sono tutti eventi slegati tra loro, - afferma l’ornitologo Alessandro Montemaggiori, sul Corriere della Sera – uniti da una forzatura inconscia dovuta, forse, al clima natalizio”. C’è chi ha parlato di “fenomeni atmosferici di tipo ciclonico”, di choc da fuochi d’artificio, di dispersione elettrica su cavi dell’alta tensione o, addirittura, di spostamento del polo magnetico, che avrebbe disorientato gli uccelli. Sul sito di Activistis Post si accenna anche a “sciami meteoritici stagionali” che avrebbero creato locali onde d’urto. Ma dove c’è un mistero, potrebbe celarsi un complotto. Anche in questo caso non mancano le tesi più ardite. Si è parlato di esperimenti dei governi attraverso armi biologiche testate su specifiche razze di animali: non è un

caso che a morire siano stati solo alcuni tipi di volatili o pesci, diversificati per regione. Sono tornate alla ribalta anche le teorie sulle famigerate scie chimiche, ovvero presunti agenti biologici o chimici spruzzati in volo dagli aerei. “Se ci sarà un focolaio di influenza aviaria o malattie nei prossimi giorni o settimane tra la popolazione umana, nelle zone dove sono caduti gli uccelli, - si legge ancora su Acrivistis Post - potrebbe essere avanzata una connessione con le scie chimiche”. Per finire, non potevano mancare le suggestioni da fine del mondo, del tipo: ecco il 2012 che bussa alla porta. A chi ha tirato in ballo l’Apocalisse, lo studioso di religioni Bart D. Ehrman risponde però che non esistono passi della Bibbia che parlino di una pioggia di uccelli morti dal cielo. Non mancano, ovviamente, le ipotesi su ufo o misteriosi alieni e c’è chi pensa ad un monito della Terra, stanca di essere martoriata dalla mano dell’uomo. Del resto, chiudendo con la profezia Hopi, il nostro mare è già diventato “nero” troppe volte.



Moda di Chiara Celona

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Marella Ferrera Ricami, racconti

e fimmini di Sicilia Una moda intrisa di poesia, di tradizioni, di suggestioni, una ricerca fra i tesori dell’artigianato e della natura, un dialogo profondo con l’anima della Sicilia. Questa è la moda di Marella Ferrera, stilista siciliana, donna dei nostri tempi, che ha la sapienza per lavorare i materiali più disparati, la sensibilità per rispettare usanze e costumi, la cultura per valorizzare l’arte, il sentimento per ricamare i ricordi, la lungimiranza per proporre sempre nuove idee. Se si vuole compiere un insolito viaggio in Sicilia alla scoperta di miti, tradizioni, storie, simboli, elementi naturali, si può cogliere il racconto che fa da sottofondo alle creazioni di una signora che questa terra la conosce bene e che ne ha esplorato, con rispetto, la parte più autentica. Marella Ferrera, stilista catanese, dalla Sicilia non trae infatti solo straordinarie ispirazioni per la sua moda, ma è una donna che la Sicilia la vive, promuovendone attivamente la bellezza e ritraendone luci, colori e atmosfere. Una carriera, quella di Marella, guidata dalla passione, dalla curiosità, dalla forza creativa e dall’amore, cose tutte

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che l’hanno spinta oltre le passerelle, per esprimersi anche in ambiti diversi, come il teatro, l’arte o la musica. «Mi sono semplicemente fatta trasportare dalla corrente alla ricerca del bello in tutte le sue forme» ci racconta. «Il grande amore per la mia terra e l’aver creduto nel suo potenziale, nella sua forza vitale mi ha permesso di “contaminare” e “contaminarmi” visceralmente, acquisendo competenze plurime che ho poi a mia volta trasferito in altri settori, non ultima avventura, quella di Assessore alla Cultura e Grandi Eventi al Comune di Catania».


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olo per citare alcuni dei lavori più recenti, Marella Ferrera ha curato i costumi di scena delle Baccanti di Euripide, presentate la scorsa estate nei “Teatri di pietra” dell’isola e ha realizzato gli abiti per il video musicale “Non molto lontano da qui”, di Carmen Consoli, ricostruendo l’intrigante atmosfera della Belle Époque. «Ogni creazione, ogni incontro, ogni breve ma intenso attimo vissuto pienamente è un’emozione. Vivo e mi impongo di affrontare la vita “emozionandomi”». Vi sono però alcuni momenti della sua vita professionale che Marella ricorda con maggiore piacere: «Il 1993 è stato l’anno che mi ha consacrata stilista di Haute Couture e sicuramente rappresenta un momento decisivo, ma non posso omettere che “vestire due dee”, ossia gli acroliti del V sec. A. C. che attualmente sono ospitati al Museo di Aidone, sia stata l’esperienza più straordinaria che potesse capitare ad una stilista. Non di secondo piano, riuscire ad accogliere al Castello Ursino una mostra di Amedeo Modigliani mi ha portato, tra gioie e difficoltà (ampiamente superate) a sentirmi viva». La forte suggestione dell’esperienza artistica a contatto con gli Acroliti ha accompagnato la stilista siciliana anche nella creazione di una delle sue recenti collezioni, “Dee”, descritta come un viaggio verticale verso Madre Terra, il mito e gli elementi primordiali. Questa fascinazione era solidamente presente nell’impalpabilità del tulle fuso ai materiali più inaspettati, tramite per raccontare la suggestione di fuoco, acqua, terra, aria. Proprio la particolare attenzione per quanto di bello il

tempo ha sopito è una delle chiavi di lettura del lavoro di Marella Ferrera: il recupero di tradizioni, usanze e costumi è essenziale, ma non esaustivo, nei tratti di una stilista che ama moltissimo anche sperimentare e muoversi su terreni insoliti. Tradizione e innovazione si mescolano infatti nelle sue creazioni, fino a trovare il giusto equilibrio fra la dimensione di un passato, anche lontanissimo, e quella di un futuro da disegnare e interpretare. E’ la tradizione di recuperare antichi

tarne alcuni, hanno creduto nel progetto e hanno sperimentato senza porre ostacoli all’immaginazione, sfidando a volte i limiti che la materia in quanto tale pone». C’è davvero tanta Sicilia nel percorso di Marella Ferrera, percorso che, come lei stessa ci accennava in precedenza, incontra ad un certo punto anche un incarico come Assessore alla Cultura e Grandi Eventi al Comune di Catania. Viene allora spontaneo chiederle quale sarebbe, oggi, il suo sogno per la nostra isola: «Una lampada di Aladino non basterebbe forse 10, forse 100 e neppure. Ma tanti sogni e altrettanti sognatori, possono permettere alla Sicilia di avere ciò che merita: la giusta considerazione. Un territorio così vasto, ricco di bellezze naturali ed architettoniche, di tradizioni spesso lasciate morire in luoghi non idonei per accoglierle o in mani non premurose merita di essere preservato. Solo co2 operando possiamo “ridare” a questa terra ciò che negli anni le abbiamo tolto».

pizzi siciliani, makramé, vecchi centrini, coralli: i tesori di antiche doti. E’ l’innovazione di creare un impasto di carta, spago e polvere di pietra lavica da cui far nascere un abito. Questo è lo stile di Marella, che sa plasmare terracotta, ossidiana, pietra pomice, gusci di fichi d’india, carta tessile, pietra lavica, persino la ceramica. «Ho avuto l’opportunità e l’esigenza di circondarmi di collaboratori che hanno tradotto un mio pensiero. Insieme a loro è stato possibile dare forma a ciò che intuito e creatività mi avevano portato a plasmare “mentalmente”. Artigiani-artisti come Franco Bentivegna (pietra lavica e terracotta) e Giacomo Alessi (ceramica di Caltagirone), per ci-

Non è scontato parlare di moda con Marella. L’intensità delle tematiche che guidano il suo modo di lavorare - non ultima la realizzazione della collezione Primavera/Estate 2011, che ha sfilato a Roma Alta Moda pochissimi giorni fa rende quasi impercettibile il passaggio da un argomento all’altro. Ti sembra di osservare un abito, ma ti rendi conto che stai anche ripercorrendo una storia. Siamo trasportati negli Anni ‘20, quando una nave parte alla volta di Ellis Island, l’isola delle lacrime, di fronte a Manhattan: è la prima tappa per oltre quindici milioni di emigranti.


Moda

Marella Ferrera: Ricami, racconti

e fimmini di Sicilia

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Sono gli stessi abiti a narrare di quel distacco forzato dal “vecchio mondo”, dalle tradizioni, dalla Sicilia ferita, per approdare in una terra straniera, l’America dei sogni, delle speranze, delle promesse. Partivano con la valigia di cartone i siciliani, partivano con la truscia che conteneva tutta la loro vita, a bordo di navi, come dice Marella, «cariche di donne, bambine, spose per procura». E’ la “nave delle spose” il fulcro della nuova moda 2011 firmata MF: una collezione in cui sull’abito si cuce il ricordo, la foto, la frase che è passato, ma che è anche attesa del futuro. «Su corpi nudi, si intrecciano fili, reti, filet, spaghi e makramé» materiali a contrasto che si abbracciano. In queste creazioni vi è l’incontro fra la concretezza del viaggio in essere e la fluidità dei pensieri, che si mischiano alle preghiere e corrono veloci. Bianco e nero, ecrù, seppia, colori di un tempo sbiadito piano, sfumature nostalgiche di vecchi ricordi.

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La collezione 2011 parla di fimmini, ci ha detto Marella, un po’ come la nostra Sicilia, che è anch’essa fimmina. Il perché lo spiega con una citazione: «Come scrisse Pietrangelo Buttafuoco, “la deità del femminile è svelata nel carattere” e sostengo che questa grande isola ne abbia da mostrare: ha in sé i pregi ed i difetti della donna. La Sicilia è una grande Madre, che vorrebbe prendere a sculacciate i propri figli, ma che a volte per misericordia non lo fa e si lascia aggredire ma è forte, generosa e sa “tacere e parlare” a tempo debito. La Sicilia vuole essere amata e merita di essere corteggiata e rispettata». E’ bello poter riflettere su queste parole, cogliere un messaggio profondo in questo flusso continuo che è la moda di Marella Ferrera: un’insaziabile ricerca, un viaggio che, ad ogni tappa, regala un nuovo spunto, ma racconta anche un’antica storia.

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1 • La stilista Marella Ferrera 2• Abito con bustier ricamato, ispirato alle ceramiche di Caltagirone 3,4,5 • Collezione Primavera/Estate 2011 6 • A sinistra: bustier con ricamo in terracotta; a destra: ricamo a Filet - “Le Grotte” di Scurati (TP)



Photo

SI M ONA B ONANNO

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imona Bonanno, artista eclettica, spazia dalla Fotografia alla Pittura passando per l’Illustrazione e il Web Design. Dopo la maturità conseguita all’Istituto d’Arte di Messina, ha frequentato l’ESAG Penninghen (Ecole Supérieure de Design, d’Art Graphique et d’Architecture Intérieure) di Parigi; si è laureata nel 1999 all’Accademia di Belle Arti di Reggio Calabria. Nel 1998 ha vinto una borsa di studio presso l’Université Paris8 Saint-Denis, UFR Arts Plastiques, per seguire il corso di Fotografia. Di seguito si è specializzata in Flash Design allo IED (Istituto Europeo di Design) di Roma. Simona Bonanno ha insegnato a lungo presso l’Accademia di Belle Arti di Messina, tenendo lezioni di disegno, costume per lo spettacolo, tecniche grafiche e teoria e metodo dei mass media. E’ stata inoltre docente presso corsi di elaborazione dell’immagine, fotoritocco e grafica, sia regionali che privati o extra scolastici. Ha partecipato a numerose mostre, sia personali che collettive, di Fotografia, Incisione e Pittura. Ha recentemente vinto il III posto al Round 9 dell’Amateur Photographer of the Year; due Bronze Award all’International Aperture Award 2010 e due Silver Mentions rispettivamente a The Urban & Country Landscape Contest e The Dominant Color Contest del The Worldwide Photography Gala Award.

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Nel corso del 2010 ha vinto il primo premio nella categoria “Street Photography” sezione Non-Professional nel Concorso Internazionale dedicato alle fotografe donne The Julia Margaret Cameron Award 2010, con la fotografia “Another rainy day”, che sarà esposta a Buenos Aires nell’agosto di quest’anno. Un’altra sua fotografia della collezione “Tauromaquia” ha ricevuto la menzione d’onore nello stesso concorso, nella sezione “Fine Art”. Sempre durante il 2010 si è classificata al secondo posto, con la serie “Broken”, al Concorso Nazionale “Rosso Piccante”, promosso da Massenzio Arte. La sua fotografia, “Matin”, si è invece classificata al quarto posto nell’edizione 2009 del National Geographic Photography Contest 2009, nella categoria “Persone”. Nel 2008 si è guadagnata il secondo posto al Concorso Internazionale Obiettivo Donna, con la fotografia “Cattedrale”. L’anno precedente ha ottenuto il primo premio al Concorso Nazionale Premio Massimo Piccione con una fotografia che ritraeva la costa milazzese. Alcune sue fotografie, oltre ad essere raccolte in una monografia edita da Oikos, sono state pubblicate sulle riviste National Geographic Italia, Drome Magazine, Il Fotografo, Amateur Photographer.

Mentre Mag è in stampa, è in corso l’allestimento di un progetto che coinvolge nove delle creazioni fotografiche di Simona Bonanno. Un comunicato stampa fornirà tutte le informazioni relative alle date, alle locations e alle modalità del progetto.


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NASCE IN SICILIA IL PRIMO

OUTLET DEL LUSSO

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i è inaugurato a fine novembre del 2010 l’atteso Sicilia Fashion Village, la prima struttura commerciale che veicola in Sicilia il concetto “Factory Outlet Village”, modello distributivo di gran successo sia in Italia che all’estero. Il centro è stato realizzato da uno dei più importanti player del settore immobiliare italiano, Antonio Percassi “patron” dell’omonimo Gruppo, che in questo progetto ha investito complessivamente 120 milioni di euro. Sicilia fashion Village ha una superficie commerciale complessiva di 25.000 metri quadrati per 120 negozi dove i visitatori troveranno un’amplissima offerta di abbigliamento per uomo e donna, la moda bambino, le creazioni per la casa, la cosmesi, lo sport e gli accessori moda.

Entro questa primavera (2011), il centro arriverà a 160 punti vendita. Il Fashion Village è ubicato nel Comune di Agira (prov. Enna) ed è facilmente raggiungibile dai maggiori capoluoghi dell’isola, grazie alla propria posizione, lungo l’autostrada A19 che collega Palermo a Catania, in prossimità dell’uscita Dittaino. L’Outlet, realizzato dall’arch.Guido Spadolini, si propone come soluzione ottimale per coniugare lo shopping intelligente, il risparmio e l’acquisto dei prodotti di alta qualità. I negozi gestiti direttamente dalle proprie case madri, venderanno infatti, prodotti di marca della stagione precedente e le sovrapproduzioni con prezzi ridotti tutto l’anno dal 30% al 70%.


Tra i marchi più rappresentativi: • Alexander Nicolette • Armani outlet con tutte le linee • Ballantyne • Billionaire • Borbonese • Brand by Dolce & Gabbana • Campanile • Dirk Bikkembergs • Bruno Magli • Zegna Outlet Store • Calvin Klein • Flavio Castellani • Ferrari Store • Gant • Gas • Gattinoni • Guess • Harmont & Blaine • John Ashfield • Lacoste • Meltin’Pot • Kiko • Nike • Patrizia Pepe • Pirelli • ToyG • Trussardi 1911 • Valleverde • Versace • Verri Uomo

Sicilia Fashion Village Contrada Mandre Bianche • 94011 Agira (Enna) • Tel. 0935 950040 www.siciliafashionvillage.it • info@siciliafashionvillage.it

Orario: Lunedì - Venerdì: ore 10:00 - 20:00 • Sabato - Domenica : ore 10:00 - 21:00 • Aperto 7 giorni su 7


speciale 8 Marzo

Libri di Patrizia Mercadante

“La festa della donna è una suprema stupidaggine. Una tra le tante del nostro orizzonte di modernità pop” Quattro chiacchiere sulla festa della donna con Pietrangelo Buttafuoco, giornalista e scrittore italiano

Nel suo “Fìmmini. Ammirarle, decifrarle, sedurle” dipinge ritratti di donne tra loro molto diverse. ma c’è una caratteristica che accomuna tutte noi? “La caratteristica che accomuna è la natura, nel senso di fusis, nel significato primigenio di una forza fatta natura avendo un essenza spirituale. E perciò di puro potere. A prescindere dalle epoche e della geografia” Secondo lei risponde a verità che tra donne non esiste solidarietà come avviene invece tra uomini. “Non si deve cadere in tentazione. E la tentazione peggiore è il luogo comune. L’unico istinto che sovrintende alla bella famiglia umana è la sopravvivenza e perciò risponde a verità solo la decisione della donna di apparecchiare un destino col predatore alfa che sceglierà di prendersi. In casa possibilmente”. Cosa è la festa della donna, un modo per riaffermare pari diritti rispetto agli uomini, o di contro affermare una sorta di inferiorità visto che non esiste una festa dell’uomo. “La festa della donna è una suprema stupidaggine. Una tra le tante del nostro orizzonte di modernità pop”. Pensa che questa festa sia stata politicizzata negli anni e che ancora oggi continui ad essere “festa” solo per una parte del mondo politico?

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“Penso che come tutte le stupidate abbia una facilità di conio presso il conformismo, tutto qua”. Mi racconti come è la donna siciliana e come si è evoluta “Dio ce ne scampi dall’evoluzione. Non è che siano scimmie da evolversi. Le donne descritte nei romanzi di De Roberto, per esempio, vincono ai punti con qualsiasi sciacquetta dei tempi nostri, cosiddetti evoluti”. Ma a lei cosa l’affascina in una donna... “La donna che è in lei”. Una canzone di Roberto Vecchioni “Voglio una donna” prende in giro la donna in carriera, descrivendola “stronza come un uomo”... Ne avrà conosciute, cosa ne pensa... “Sublime la donna stronza, pensi a quella meraviglia che è Carla Bruni”. Chi la sta intervistando è una donna. Pensa, come molti colleghi, che siamo soltanto seno, sedere e raccomandate? “Pensi agli uomini, i colleghi, tutti raccomandati e senza neppure la grazia della magnificenza femminile”.


Libri di Patrizia Mercadante

L’aristocrazia a quattro ruote Intervista a Fabio Scannapieco: “L’araldica è al passo con i tempi. Oggi si studiano anche gli stemmi delle case automobilistiche”

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arlare di araldica nel 2010 potrebbe sembrare argomento anacronistico, una sorta di studio solo per pochi eletti e cultori. Niente di più errato e a confermalro è il professore Fabio Scannapieco Capece Minutoli, uno dei maggiori esperti siciliani, autore del libro “L’Araldo Sicilia”. “E’ così, infatti. L’araldica interessa più i giovani, e non solo la nobiltà. Perché l’aristocrazia conosce bene la sua storia, le famiglie nobili riescono a tramandarsi le loro radici, mentre i giovani borghesi devono, giocoforza, ricorrere allo studio del loro albero genealogico per ricostruire le fondamenta della loro famiglia, per conoscere i loro avi”. Parliamo del suo ultimo libro. “E’ una raccolta di saggi di storia medievale vista dall’ottica dei vinti e delle due Sicilie, in contrapposizione alle tesi piemontesi. La Sicilia ha partorito figure di un certo pregio come Federico II e in questo libro prevalgono gli uomini che hanno fatto grande la storia siciliana”. Esiste una araldica moderna? “Sì, è quella che non riguarda più la nobiltà, ma gli eserciti, gli stemmi papali, l’araldica civica delle città, ovvero qualunque corporazione, come quella delle arti e mestieri. E ancora, quella delle automobili da corsa come il “cavallino” della Ferrari o lo stemma dell’Alfa Romeo”. Professore, lei si occupa dell’Istituto Accademico Araldico e Genealogico, in cosa consiste l’attività dell’istituto. “L’istituto riunisce cultori della materia attraverso convegni e conferenze. Ma sosteniamo anche i corsi come una vera e propria scuola, ormai da 9 anni, con un esame finale e relativo diploma.

Poi ci sono le ricerche, gli approfondimenti. Di recente, ad esempio, abbiamo scoperto lo stemma della nostra Santa Patrona, santa Rosalia, duchessa di Santo Stefano di Quisquina, dove si trova la prima grotta dove la giovanissima Rosalia si ritirò da eremita”. Queste ricerche risultano impegnative, o essendo esperti diventano un gioco da ragazzi? “Le ricerche sono sempre complicate. Fino al 1819, anno di istituzione dell’anagrafe ci si arriva con maggiore facilità, andare al di là negli anni tutto si complica e ci si affida alle carte e documenti parrocchiali”.


Libri

Recensioni

a cura di Giulio Giallombardo

NARRATIVA Appunti di un venditore di donne autore: Giorgio Faletti • editore: B.C. Dalai prezzo: € 20,00

NARRATIVA Momenti di trascurabile felicità autore: Francesco Piccolo • editore: Einaudi prezzo: € 12,50

Roma, 1978, le Brigate Rosse hanno rapito Aldo Moro, in Sicilia boss mafiosi come Gaetano Badalamenti soffocano ogni tentativo di resistenza civile, all’ombra della Madonnina le bande di Vallanzasca e Turatello fanno salire la tensione in una città già segnata dagli scontri sociali. Ma anche in questo clima la dolcevita del capoluogo lombardo, che si prepara a diventare la “Milano da bere” degli anni Ottanta, non conosce soste. Si moltiplicano i locali in cui la società opulenta, che nella bella stagione si trasferisce a Santa Margherita e Paraggi, trova il modo di sperperare la propria ricchezza. È proprio tra ristoranti di lusso, discoteche, bische clandestine che fa i suoi affari un uomo enigmatico, reso cinico da una menomazione inflittagli per uno “sgarbo”. Si fa chiamare Bravo. Il suo settore sono le donne. Lui le vende. La sua vita è una notte bianca che trascorre in compagnia di disperati, come l’amico Daytona. L’unico essere umano con cui pare avere un rapporto normale è un vicino di casa, Lucio, chitarrista cieco con cui condivide la passione per i crittogrammi. Fino alla comparsa di Carla che risveglierà in Bravo sensazioni che l’handicap aveva messo a tacere. Ma per lui non è l’inizio di una nuova vita bensì di un incubo che lo trasformerà in un uomo braccato dalla polizia, dalla malavita e da un’organizzazione terroristica. Un noir fosco su uno dei momenti più drammatici del dopoguerra italiano, in una Milano che oscilla tra fermenti culturali e bassezze morali.

Possono esistere felicità trascurabili? Come chiamare quei piaceri intensi e volatili che punteggiano le nostre giornate, accendendone i minuti come fiammiferi nel buio? Sei in coda al supermercato in attesa del tuo turno, magari sei bloccato nel traffico, oppure aspetti che la tua ragazza esca dal camerino di un negozio d’abbigliamento. Quando all’improvviso la realtà intorno a te sembra convergere in un solo punto, e lo fa brillare. E allora capisci di averne appena incontrato uno. I momenti di trascurabile felicità funzionano così: possono annidarsi ovunque, pronti a pioverti in testa e farti aprire gli occhi su qualcosa che fino a un attimo prima non avevi considerato. A metà strada tra “Mi ricordo” di Perec e le implacabili leggi di Murphy, Francesco Piccolo mette a nudo i piaceri più inconfessabili, i tic, le debolezze con le quali tutti noi dobbiamo fare i conti. Pagina dopo pagina, momento dopo momento, si finisce col venire travolti da un’ondata di divertimento, intelligenza e stupore. L’autore raccoglie, cataloga e fa sue le mille epifanie che sbocciano a ogni angolo di strada. Perché solo riducendo a spicchi la realtà si riesce ad afferrare per la coda il senso profondo della vita.

NARRATIVA Palermo nel cuore autore: Pietro Scaglione editore: Torri del Vento • prezzo: € 12,00

pali avvenimenti di cronaca dell’epoca. Dagli anni Sessanta ai nostri giorni, infatti, rivivono numerose pagine di storia: dagli omicidi eccellenti al terremoto dell’Aquila, da Piazza Fontana al G8 di Genova, dalla morte dell’ispettore Raciti alla tragica fine del giovane Gabriele Sandri, dalla radiazione del Palermo calcio alla storica promozione in serie A, dai trionfi azzurri in Spagna e Germania alla disfatta italiana in Sudafrica. Nel romanzo sono citati molti personaggi realmente esistiti (celebrità, eroi antimafia, giornalisti, cantanti, tifosi, calciatori, politici), ma anche le sigle di numerosi gruppi ultras palermitani e italiani (del presente o del passato). Così come sono reali le iniziative di solidarietà promosse dalle tifoserie italiane. “Questo romanzo – spiega l’autore - è anche un omaggio al mondo del calcio, nella sua componente più genuina: quella del tifo. In particolare, attraverso la finzione narrativa, si vuole informare il grande pubblico sugli aspetti positivi e autentici del movimento ultras, al di là dei pregiudizi e degli stereotipi”. Patrizia Mercadante

Originale romanzo ambientato nel mondo del calcio e delle tifoserie “Palermo nel cuore”, pubblicato dalla casa editrice Torri del Vento, scritto dal giornalista Pietro Scaglione (acquistabile anche su internet, nel sito web www.torridelventoedizioni.it), alterna finzione e realtà, storia e leggenda. I protagonisti della storia, frutto della fantasia dell’autore, sono Giorgio, Roberto, Ciccio e Fabrizio, quattro giovani amici palermitani, accomunati dalla militanza ultrà e dalla passione per il calcio. Le loro vite immaginarie si intrecciano con le vicende reali degli ultimi 30 anni, dai Campionati Mondiali alla storia del movimento ultrà, senza tralasciare i princi-

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117 SAGGISTICA C’è spazio per tutti. Il grande racconto della geomtria autore: Piergiorgio Odifreddi editore: Mondadori prezzo: € 22,00

RAGAZZI Gli ultimi eroi. Leggende del mondo emerso autore: Licia Troisi editore: Mondadori prezzo: € 18,00

Come tutte le scienze, anche la geometria affonda le sue radici nella notte dei tempi. Ricostruirne la storia significa ripercorrere il cammino stesso della civiltà umana, e individuare le tracce lasciate da questa disciplina nelle opere d’arte di tutte le epoche e di tutti i popoli. A cominciare per esempio dalle piramidi, che ci rivelano le conoscenze degli Egizi nel campo dei poligoni e dei solidi. Fino all’arte contemporanea, dove scopriamo la struttura nascosta nei singolari dipinti di Salvador Dalì, o ci soffermiamo sull’arte astratta di Kandinsky e Mondrian, le cui opere sembrano essere state pensate appositamente per illustrare un testo di geometria. Con il suo consueto stile, sempre leggero e divertente, Piergiorgio Odifreddi trasforma quello che è stato e continua a essere uno dei peggiori incubi scolastici per gli studenti di ogni generazione in un viaggio attraente, ricco di sorprese e di curiosità.

Il Mondo Emerso sembra giunto definitivamente al tramonto. Il morbo che il re degli elfi ha insinuato nella popolazione sta contaminando ogni villaggio, e l’unico antidoto, una pozione distillata dal sangue di ninfa, non basta a curare tutti i malati. Mentre ogni speranza sembra perduta, Adhara decide di non opporsi più al proprio destino e di essere fino in fondo Sheireen, la creatura nata per combattere il Marvash, il male assoluto. Grazie al suo coraggio e all’aiuto di una guerriera ribelle, l’origine del morbo viene infine svelata, e un’innocente sottratta a un immane supplizio. Ma le voci di un’inattesa minaccia iniziano a serpeggiare tra i sopravvissuti e Adhara dovrà compiere una scelta dolorosa e definitiva, sacrificando alla missione molto più di se stessa.

SAGGISTICA Il sangue del Sud. Antistoria del Risorgimento e del brigantaggio autore: Giordano Bruno Guerri editore: Mondadori • prezzo: € 20,00 In questo libro, Giordano Bruno Guerri rilegge la vicenda del Risorgimento e del brigantaggio come una “antistoria d’Italia”: per liberare i fatti dai troppi luoghi comuni della storiografia postrisorgimentale (come la pretesa arretratezza e miseria del Regno delle Due Sicilie al momento della caduta) e per evidenziare invece le conseguenze, purtroppo ancora attualissime, della scelta di affrontare la “questione meridionale” quasi esclusivamente in termini di annessione, tassazione, leva obbligatoria e repressione militare. Il Sud è stato trattato come una colonia da educare e sfruttare, senza mai cercare davvero di capire chi fosse l’”altro” italiano e senza dargli ciò che gli occorreva: lavoro, terre, infrastrutture, una borghesia imprenditoriale, un’economia moderna. Così, le incomprensioni fra le due Italie si sono perpetuate fino ai nostri giorni.

i PIù LETTI Benvenuti nella mia cucina autore: Benedetta Parodi editore:Vallardi prezzo: € 14,90 I dolori del giovane Walter autore: Luciana Littizzetto editore: Mondadori prezzo: € 18,00 Impero autore: Alberto Angela editore: Mondadori prezzo: € 21,00 Un karma pesante autore: Daria Bignardi editore: Mondadori prezzo: 18,50 Io confesso autore: John Grisham editore: Mondadori prezzo: € 20,00


Dischi di Paolo Turiaco

La mia

Donna

suona il rock C

anta De Gregori . Il padre è nato in altri tempi e anche se il mondo sta cambiando, una ragazza che strimpella e canta ancora non ce la vede. Ma Alice vuole gridare e strillare nel microfono! A Tokyo un’altra ragazzina, confessa ai genitori che vuole suonare e comporre al pianoforte e vuole vivere di musica e solo rock. Quasi sessanta anni dopo a NYC una massa di ragazzi fanatici e curiosi visita la mostra “Yes Yoko Ono” dedicata all’artista giapponese ormai riconosciuta a livello mondiale icona rock. Che dire? I tempi sono veramente cambiati. Da Tucson, Arizona, terra desolata e industriale, si sente l’urlo straziante e profondo di un’altra lady: Janis suona un rock isterico e passionale: la sua voce roca tocca picchi elevati è la carica del blues del sud che invaderà tutto il continente. Musica tutta al femminile, scritta da donne e suonata da e per le donne per abolire le gerarchie stabilite sui valori maschilisti. Nasce la protesta, sit in, contestazione, siamo tutti figli dei fiori. Jan Baez , la madre del folk impegnato piena di sentimento lancia al mondo il suo messaggio universale…PEACE & LOVE. Il suo notevole impegno politico contro le guerre,Vietnam, Corea faranno dell’ artista un figura importante per la comprensione di quegli anni, della “controcultura” americana. Woodstock rappresenterà per quelle generazioni il culmine degli ideali di tutti i movimenti giovanili nati e cresciuti

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…”Alice guarda i gatti e i gatti guardano nel sole mentre il mondo sta girando senza fretta”...

,con lo spirito del “fermate il mondo voglio scendere!!!”; ma da qualche parte, nei bassifondi di New York qualche anno dopo, qualcosa in fermento da tempo sta per esplodere: il punk, un pugno nello stomaco. Da Kings road alla 5th avenue, senza transitare per il mondo. Patti Smith, sacerdotessa di questo movimento, spacca la chitarra sul palco e prende a calci il perbenismo musicale. Tutto il messaggio gridato a squarciagola, in modo aggressivo e maleducato, come una fanciulla non dovrebbe fare, consiste nello sputare in faccia alla gente che tutte le donne del mondo devono impossessarsi della musica e creare, senza ostacoli e barriere di pensiero ostili. L’epoca contemporanea ha visto moltiplicarsi il numero di donne che impreziosiscono e rivoluzionano la scena musicale di giorno in giorno. Basta citare Bjork che dalle fredde e desolate terre lapponi con suoni elettronici e note fatate continua nella sperimentazione alla ricerca della piena fusione di voce e suono d’avanguardia; tra suoni astratti e ricerca anche Laurie Anderson si fa avanti. Suona il suo violino bianco ghiaccio portando con se un virus nuovo proveniente dalla galassia più lontana. Ormai Alice ha la sua band. La bambina contemplatrice è divenuta ormai donna; suona la batteria e mentre scruta l’amica luna, si ricorda di una canzone lontana che soleva accompagnarla nei lunghi pomeriggi passati accanto al suo vecchio giradischi….”the answer my friend is blowing in the wind...” ma forse quella e un’altra storia.


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Wi-Fi

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Discografia consigliata

Yoko Ono Plastic ono Band

Joan Baez The Joan Baez Ballad Book

Patti Smith Radio Ethiopia

Bjork Volta

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Wi-Fi free o quasi Liu Xiaobo, premio Nobel per la pace 2010, ha dichiarato, prima del suo secondo arresto nell’aprile 2009, che “Internet è un dono di Dio alla Cina”: probabilmente non sapeva che Internet sarebbe stato il suo principale “avversario” per il conferimento del Nobel. Allo stesso modo Rita Levi Montalcini intervistata, in occasione del suo centesimo genetliaco, su quale sia stata la più grande invenzione del novecento, ha risposto candidamente “E me lo chiede? Internet” È quindi evidente quanto internet e la sua diffusione tra i cittadini che compongono una comunità sia importante, chi si è trovato a viaggiare in Europa anche negli stati che hanno da poco tempo lasciato alle spalle regimi dittatoriali, avrà notato quanto sia già diffusa la possibilità di connettersi alla rete internet attraverso punti di accesso pubblici, offerti da esercizi commerciali, biblioteche o istituzioni senza il bisogno di alcuna autorizzazione. Nel nostro paese, fino alla fine dello scorso anno, alcune norme legate al contrasto di fenomeni terroristici non hanno permesso l’utilizzo libero di connessioni internet offerte attraverso hot spot pubblici o privati, il Decreto Pisanu imponeva ai gestori dei punti di accesso la registrazione dei dati relativi ai soggetti che fruivano delle connessioni offerte attraverso hot spot. Il Decreto Milleproroghe ha, di fatto, cancellato alcuni articoli del Decreto Pisanu, eliminando l’obbligo di identificazione mediante documento di identità di chi si connette agli hotspot. Tale provvedimento è stato accolto favorevolmente da tutte le comunità di navigatori che potranno avere connessioni internet gratuite a disposizione in qualunque angolo delle nostre città. Gli effetti dell’abrogazione degli articoli del Decreto Pisanu dovranno però essere convertiti in legge entro 60 giorni e i Ministeri dell’Interno, dell’Innovazione tecnologica e dello Sviluppo economico sono al lavoro per definire i criteri di accesso alle reti che dovranno essere rispettati dai navigatori (ndr al momento della redazione). Sarà comunque necessario capire come gestire i dati degli utenti per prevenire ogni forma di reato e definire le regole che dovranno seguire i soggetti che forniranno connessioni gratuite attraverso hotspot. È un grosso balzo in avanti, è una grande conquista che internet diventi tema di discussione politica e di decisioni che possano consentire un utilizzo uniforme e condiviso di questa preziosissima risorsa.

Internet Internet (contrazione della locuzione inglese Interconnected Networks, ovvero Reti Interconnesse) è una rete di computer mondiale ad accesso pubblico attualmente rappresentante il principale mezzo di comunicazione di massa.

Wi-Fi In telecomunicazioni il termine Wi-Fi indica la tecnica e i relativi dispositivi che consentono a terminali di utenza di collegarsi tra loro attraverso una rete locale in maniera wireless (senza fili).

Hotspot Laurie Anderson Oh Superman

Con il termine Hotspot ci si riferisce comunemente a un’intera area dove è possibile accedere su Internet in modalità senza fili (detto appunto collegamento wireless), attraverso l’uso di un Router collegato a un provider di servizi Internet. Lo standard più diffuso in questo ambito è il Wi-Fi. Più precisamente, in informatica il termine indica un’area dove un provider di accesso per rete di tipo wireless consente di collegarsi


Cinema

monicelli,

il suicidio dell’Armata Brancaleone 120


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L

’Armata Brancaleone è uno di quei film che durano una vita, non possono dimenticarsi. La ragione è semplice: non sono solo film, ma una favola credibile, un libro esilarante, un quadro d’epoca. A distanza di anni il Cavaliere da Norcia – un Don Chisciotte più cattivo e insolente – suggerisce espressioni, battute, provocazioni in un italiano maccheronico ricostruito con certosina pazienza ed arguzia dagli autori. Poi c’è “Amici miei”, l’altro film cult, la storia di un gruppo di eterni ragazzi che ne combinano di cotte e di crude. Mario Monicelli ha proposto i ritratti degli italiani cialtroni di ogni epoca. Nel farlo abbiamo impressione che non si sia divertito, prevalendo in lui una forte etica della responsabilità ed una grande passione civile, ma di sicuro ha fatto divertire milioni di italiani. Del resto la commedia all’italiana, della quale è uno dei padri più autorevoli, è proprio questa: la denuncia sorridente, ma non meno severa, dei vizi e dei difetti prevalenti della nostra gente. Monicelli e Alberto Sordi hanno sbattuto in faccia agli italiani le loro debolezze senza sconti e gli italiani hanno accettato le loro lezioni di buon senso perché hanno sentito che a proporle era uno di loro, non un maestro del savoir faire. Il grande regista scomparso non si è mai messo dall’altra parte della barricata, si è intruppato fra i “deboli” di spirito, guardandosi dentro. Per questa ragione Monicelli è stato amato. Abbiamo avuto modo di ascoltarlo di recente in interviste concesse alla tv. Ne ricordiamo una, ad Annozero, se non andia-

mo errati. Ci ha fatto grande impressione la sua amarezza per il mondo com’era ai suoi occhi, la irredimibilità del paese, i giudizi spietati. Eppure nelle sue parole c’era ancora, come sempre, la passione civile. Quando qualcuno gli ha domandato che cosa ci fosse da fare davanti a questo deserto di sentimenti e politiche, ha risposto che bisognava fare la rivoluzione. Quella vera, che si combatte ovunque, per le strade e nei palazzi del potere. O una rivoluzione dei sentimenti, della cultura, del modo di essere, perché la giustizia e la libertà tornassero in scena. Monicelli non salvava proprio nulla. Il suo sguardo poteva perfino apparire torvo, senza esserlo, e le sue parole quelle di un uomo incattivito dall’età. Invece non era così, c’era ancora il signore da Norcia, quel cavaliere errante alla ricerca del feudo, ancora in lui, il candore di chi affida alla rivoluzione – dei sentimenti, delle azioni, del pensiero – il ritorno della giustizia in questo mondo. Era come se le parole che pronunciava non avessero senso nemmeno per lui, che fossero “espettorate” da polmoni esausti piuttosto che dal cuore e dall’intelletto di un uomo straordinariamente lucido, ma implacabile anche con se stesso. La malattia si è sommata a tutto questo, trasformando la passione civile in disperazione. Gli è parso inaccettabile continuare a vivere con quel corpo indifeso in un mondo abitato da lupi. E si è gettato dalla finestra. Un gesto che non avrebbe mai pensato di compiere, probabilmente, in nessun momento della sua vita, anche nel più difficile.


X-Mag Liliana Messina nel suo studio

Liliana Messina

e i suoi ritratti di donna Eroine contemporanee assorte in una dimensione onirica

U

Lì - acrilico e olio su carta incollata su supporto di masonite

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na giovanissima pittrice, ma già inserita nell’elenco dei più grandi: Liliana Messina. I suoi elaborati pittorici, espressione di un gesto malinconico e profondo, l’hanno portata ad ottenere importanti consensi tra il pubblico nelle mostre personali e collettive a cui ha partecipato. Diplomata presso il Liceo Artistico Statale di Acireale, sezione Beni Culturali, ha frequentato l’Accademia di Belle Arti di Catania sezione Astratto, per un anno, trasferendosi successivamente a Milano per seguire i corsi della Scuola del Fumetto e del Cinema d’Animazione. Liliana si è successivamente laureata presso l’Università degli studi di Catania in Scienze della Comunicazione indirizzo Beni Culturali. Le sue vignette sono state pubblicate sul quotidiano “La Sicilia” e sul “Novellino Grande Grande”, catalogo delle opere segnalate nel concorso edito dal comune di Codogno, Milano. In occasione della prima edizione del reality “Grande Fratello” è stata invitata come ospite speciale nelle trasmissioni “Buona Domenica” di Maurizio Costanzo e “Verissimo” entrambi su Canale 5 Mediaset per presentare le proprie vignette sui protagonisti del reality. Le sue numerose estemporanee di pittura le hanno fatto vincere premi e riconoscimenti per la sua capacità interpretativa e rappresentativa dei volti sacri. Oggi collabora come illustratrice con diversi studi di architettura per la redazione di progetti e concorsi, tra cui il “Lousanne Jardin 2008”, concorso internazionale di architettura del paesaggio a Losanna in Svizzera.


Isavì

Riproduzione della Madonna del Riposo

Parlando con Liliana, ci esprime il suo pensiero: “Nei miei quadri in precedenza scatti fotografici, concretizzo la teoria di Arnaheim sulla PERCEZIONE ATTIVA, secondo il quale l’uomo, il fotografo, l’artista, tenderebbe a semplificare le caratteristiche strutturali che gli si presentano selezionando e rielaborando i segni a favore della comprensione del messaggio. Sono le donne che scelgono me e non viceversa. Incantata dal loro canto decido di percorrere con loro un viaggio tra stimoli dagli effetti pilotati ma pur sempre aperti a illimitate letture. lascio che Il potere evocativo dell’arte fatto attraverso le mie mani tessa reti invisibili di rinvii. Le forme sono macchie, impulsi nervosi, graffi. Con le mie donne protesi desidero generare delle piccole scintille emotive, risvegliare pulsioni sopite, dare ossigeno a intime epifanie dell’essere, rivelare forze e debolezze, abbandonare identità di paglia, superare la paura di mostrarsi ingenui, lasciando che il terzo occhio come l’alba di un ennesimo nuovo giorno, schiuda il suo sguardo alla luce.”

Dana

Cristina

Il mio invito a viaggiare nel lessico artistico tra segni e colori, vuole essere uno degli infiniti punti di osservazione del nostro inconscio, un labirinto che da sempre è la nostra impronta li.messina.it


In a Box

I ricordi ci uccidono. Senza memoria, saremmo immortali (Gesualdo Bufalino)

Costanza d’Altavilla (Palermo, 2 novembre 1154 - Palermo, 27 novembre 1198). Figlia di figlia di Ruggero II, Regina di Sicilia e Imperatrice, madre di Federico II di Svevia, conosciuto anche con l’appelativo stupor mundi (“meraviglia del mondo”)La nascita del figlio di Costanza era importante per la successione del Regno di Sicilia, ma fu avvolta da dicerie ed illazioni: Federico fu considerato da alcuni detrattori l’Anticristo, che una leggenda medievale sosteneva sarebbe nato da una vecchia monaca. Costanza d’Altavilla al momento del parto aveva 40 anni e, prima del matrimonio, aveva vissuto in un convento. Inoltre a causa dell’età avanzata, molti non credevano alla gravidanza di Costanza. Per questo motivo fu allestito un baldacchino al centro della piazza di Jesi, dove Costanza partorì pubblicamente, al fine di fugare ogni dubbio sulla nascita del futuro imperatore

Tamara de Lempicka

(Mosca, 16 maggio 1898 Cuernavaca, 18 marzo 1980) Tamara Rosalia Gurwik-Gorska donna dalla vita avventurosa Ha sempre dichiarato di essere polacca nata a Varsavia, mentre secondo recenti ricerche il certificato di matrimonio e quello di morte la dicono nata a Mosca. Il prox numero un approfondimento in occasione della mostra che sarà inaugurata l’11 marzo al Vittoriano a Roma “Tamara de Lempicka. La regina del moderno” Roma, Complesso del Vittoriano 11 marzo - 3 luglio 2011

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Costo del biglietto: € 12,00 intero; € 8,50 ridotto Orario: dal lunedì al giovedì 9.30/19.30; venerdì e sabato 9.3/23.30; domenica 9.30/20.30. La biglietteria chiude un’ora prima Per informazioni: tel. 06/6780664

Wisława Szymborska (Bnin - Kórnik - 2 luglio 1923) premio nobel nel 1996 “Per la capacità poetica che con ironica precisione permette al contesto storico e ambientale di venire alla luce in frammenti di umana realtà “ è considerata la più importante poetessa polacca vivente.Dal discorso tenuto in occasione del conferimento del Premio Nobel”….apprezzo tanto due piccole paroline: “non so”. Piccole, ma alate. Parole che estendono la nostra vita in territori che si trovano in noi stessi e in territori in cui è sospesa la nostra minuta Terra. Se Isaak Newton non si fosse detto “non so”, le mele nel giardino sarebbero potute cadere davanti ai suoi occhi come grandine e lui, nel migliore dei casi, si sarebbe chinato a raccoglierle, mangiandole con gusto. Se la mia connazionale Maria Sklodowska Curie non si fosse detta “non so” sarebbe sicuramente diventata insegnante di chimica per un convitto di signorine di buona famiglia, e avrebbe trascorso la vita svolgendo questa attività, peraltro onesta. Ma si ripeteva “non so” e proprio queste parole la condussero, e per due volte, a Stoccolma, dove vengono insignite del premio Nobel le persone di animo inquieto ed eternamente alla ricerca.”

Alfonsina Strada Alfonsina Morini, nel 1924 partecipa, prima donna in assoluto, al Giro d’Italia. Nei paesi in cui sfrecciava con la sua bicicletta viene soprannominata “il diavolo in gonnella”. Continuamente osteggiata dalla famiglia per la sua passione a 24 anni, nel 1915, sposa Luigi Strada, cesellatore che, invece, la incoraggia e addirittura le regala, il giorno delle nozze, una bicicletta da corsa nuova. Negli anni successivi viene negata ad Alfonsina la possibilità di iscriversi al Giro. Lei però vi partecipa ugualmente per lunghi tratti, come aveva fatto al suo esordio, conquistando l’amicizia, la stima e l’ammirazione di numerosi giornalisti, corridori e degli appassionati di ciclismo che continuano a seguire le sue imprese con curiosità, rispetto ed entusiasmo. Partecipa a numerose altre competizioni finché nel 1938, a Longchamp, conquista il record femminile dell’ora (35,28 km). Abbandonerà la sua bicicletta solo molti anni dopo, per una Moto Guzzi 500 cmc. Muore il 13 settembre del 1959 all’età di 68 anni, a causa di un incidente con la sua moto.


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In a Box

Alda Merini (Milano, 21 marzo 1931 Milano, 1º novembre 2009)

COMUNE DI NIZZA DI SICILIA Gruppo consiliare “Insieme per Voltare Pagina” COMUNICATO STAMPA A tutti gli organi di informazione Con cortese preghiera di pubblicazione D’ARRIGO - “WI-FI GRATUITO: SI REALIZZA LA NOSTRA PROPOSTA, ADESSO ESTENDERLO IN QUARTIERI E OPERATORI PRIVATI. ABOLIRE LA REGISTRAZIONE”.

Mschiare regole borghesi e trasgressione era l’anima della sua attività, fra la follia e il disagio fisico ed economico, entrare e uscire da ospedali psichiatrici tra gli anni Sessanta e Settanta. «Sono molto irrequieta quando mi legano allo spazio», scriveva in una componimento intitolato Poesia e la sua instabilità si traduceva in versi ad altissima intensità emotiva, spesso attraversati da una vena erotica. Era considerata una delle principali poetesse del Novecento, oltre che una personalità originale, audace e irriverente (nel 2004, come regaloper il suo compleanno, chiese «un uomo caldo» e le regalarono uno show dello spogliarellista Ghibly) Nel 1996 era stata propost per il Premio Nobel per la Letteratura dall’Academie Française. A tutte le donne Fragile, opulenta donna, matrice del paradiso sei un granello di colpa anche agli occhi di Dio malgrado le tue sante guerre per l’emancipazione. Spaccarono la tua bellezza e rimane uno scheletro d’amore che però grida ancora vendetta e soltanto tu riesci ancora a piangere, poi ti volgi e vedi ancora i tuoi figli, poi ti volti e non sai ancora dire e taci meravigliata e allora diventi grande come la terra e innalzi il tuo canto d’amore.

“Una proposta concreta, fattibile e di vantaggio per tutti. Queste le parole con le quali qualche mese addietro avevamo presentato l’idea di realizzare una rete wi-fi nel territorio di Nizza, ed oggi possiamo dire che avevamo visto giusto”. Così Giacomo D’Arrigo, consigliere comunale a Nizza di Sicilia e primo firmatario della mozione che ha proposto la realizzazione di una rete di accesso gratuito ad internet nel territorio comunale. “Dopo l’approvazione in Consiglio della mozione da noi proposta – continua D’Arrigo – da qualche settimana a Nizza è possibile navigare gratuitamente su internet, uno strumento oggi indispensabile per singoli cittadini, aziende, strutture private ed uffici il cui utilizzo è sempre più necessario per lavorare, informarsi e comunicare, per questo invito il Comune a verificarne la funzionalità e dare una forte diffusione e pubblicità di questo servizio che potrà ritornare utile a tutti”. Attualmente sono sei la “zone” dove è possibile navigare: piazza Col. Interdonato, piscina comunale, scuola materna, scuole medie, tiro a volo, auditorium e per farlo occorre registrarsi presso l’ufficio anagrafe del Comune che rilascerà una password permettendo così l’accesso alla rete internet. “Adesso – continua D’Arrigo – per offrire un servizio completo ai nostri cittadini, chiediamo all’Amministrazione di compiere altri tre passi importanti: che tale servizio venga esteso prima possibile ad altre zone tra le quali i quartieri San Giovanni e Casapinta, il lungomare con la spiaggia libera: con l’arrivo dell’estate quella sarà infatti la strada principalmente frequentata e vissuta. Che il Comune verifichi la possibilità di applicare il recente “decreto Maroni” sulla non obbligatorietà della registrazione per navigare sugli hotspot wi-fi pubblici. Che si coinvolgano gli esercizi commerciali privati (bar, negozi, ecc) che sono luoghi di ritrovo ed incontro per installare anche presso di loro tale tecnologia ed offrire così un servizio aggiuntivo e di a residenti ed operatori economici. NIZZA DI SICILIA, 4 gennaio 2010

Gli assenti hanno una volta torto ma novantanove volte ragione (Gesualdo Bufalino)

Gianluca Scaglione conquista la 6ª edizione del Premio Mario Soldati Studente del Liceo Classico Vittorio Emanuele II di Palermo, al suo primo romanzo dal titolo “La notte è più nera”, edito da Albatros, e pubblicato nel 2010 Il circolo letterario Mario Pannunzio di Torino, fondato nel 1968 da Arrigo Olivetti, Mario Soldati, Pier Franco Quaglieni, ha assegnato il premio Mario Soldati 2010, della categoria Giovani scrittori allo studente palermitano Gianluca Scaglione, classificatosi tra i vincitori di una particolare graduatoria che premia i giovani al di sotto dei vent’anni, dopo un’articolata selezione e varie fasi che lo hanno visto concorrere con numerosi altri giovani scrittori del panorama nazionale. La giuria è stata conquistata dall’originalità di ideazione, dalla padronanza dei mezzi espressivi ma anche dalla sensibile e pronunciata musicalità che il racconto possiede.


MagMap ma g

Gli eventi l ed i luoghi de o presente elenc sere potrebbero es li

febbraio/marzo 2011

suscettibi di variazione

MESSINA

TAORMINA

PALERMO

trapani

CATANIA caltanissetta enna AGRIGENTO

SIRACUSA RAGUSA

3-4-6 FEB. JESUS CHRIST SUPERSTAR T. METROPOLITAN CATANIA 11-13 FEB. ALADIN T. METROPOLITAN CATANIA

10 MAR. PANARIELLO T. METROPOLITAN CATANIA

16-17-18-FEB. PLAYHOUSE DISNEY T. METROPOLITAN CATANIA

15 MAR. NEGRAMARO PALASPORT ACIREALE

25 MAR. ALICE NEL PAESE DELLE MERAVIGLIE T.DANTE PALERMO

5 MAR.

17 MAR. PIERDAVIDE CARONE T. METROPOLITAN CATANIA

30 MAR. ALESSANDRA AMOROSO PALASPORT ACIREALE

17 MAR. POOH PALACARELLI CALTANISSETTA

31 MAR. ALESSANDRA AMOROSO PALAUDITORE PALERMO

FABRI FIBRA

PALARESCIFINA MESSINA 07 MAR. PANARIELLO T. GOLDEN PALERMO 08 MAR. GRIGNANI T. METROPOLITAN CATANIA

09 MAR.

PANARIELLO PALALBERTI BARCELLONA

126

18-19 MAR. POOH T. METROPOLITAN CATANIA 23 MAR. ALICE NEL PAESE DELLE MERAVIGLIE T. METROPOLITAN CATANIA

Eventi 2011 febbraio/marzo


127 12 febbraio 2011 ina otte della cultura a Mess

N

CORTE D’APPELLO rco di Don Giovanni sba “Lo ita guidata del Palazzo e con a notte del 12 d’Austria nel porto di Messi- Vis Costa “La an- vegno di Giuseppe oto”. rem ter febbraio la cit- na per la battag. liaOrdinitoLep il o dop ia stiz Giu logica Ass a str Mo ; la r to” ANNA pe EM AL re” IA S.MAR ta’ si “ap i e Messinese “Tra i Peloritan stra Convegno organizzaterza edizione dell’im- lo Stretto: la biodiversità ur- Mo o Italiano dei Cadell’area ar- ta dall’istitut enziamento delle portante evento. Circa bana”; Apertura stelli “Il pot tiquarium; tto: fortificazioni dello stre in cento gli spazi, non solo cheologica ed An o tian rat mu rco e1810, lo sba istituzionali, che ospit CIMITERO Sicilia”; ti, er nc ALE co e, NT str ME mo MONU ranno a dat gui Apertura e visita convegni. Tante le sorBANCA D’ITALIA an Camposanto; un Gr del ici un ti en ev Esposizione al pubblico di guprese e gli raffi o esc ent dipinto seic a ACQUARIO che si potranno amrante una veduta di Messin ati film . di e tte ion no iez Visita e pro cò. Ari ola mirare tutta la letta da Nic a cura dei CNR-IAM C Questi alcuni tra i siti in 3D U.O Messina. di .S CAMERA COMMERCIO più importanti con uno stra “Arte in….Camera” Mo i SCOVILE stralcio dei maggior CURIA ARCIVE mera di Comle, Museo l’arte alla Ca0 ed il ‘900. dra tte Ca : ura ert Ap . nti ‘80 appuntame del mercio tra Diocesano, Cripta, Museo rio ina Sem o, om Du Tesoro del MARINA MILITARE o, Arcivescovile, Arcivescovadra E ARSENALE PALACULTURA io: coinvolgimento ed apertu agg rav Ca di pi dop Salvatore “I S. a te str Mo vità parrocchiali con For osizione di reperti ed imEsp il mistero dei due S. France - delle attied eventi musicali. to magini a cura di: Assessorane sco in meditazione”; Esposio; mostre Tog mu Co di del into re dip ma un del tiche zione di ARCIVESCOVILE polmessina, biblioteca regionasta; di Concerto della Brigata Ao ti- CURIA A ST AO TA la E BRIGA le, comando zona fari del i Nino Frassica recita “il can rrario Sac del ura ert Ben nce Ap Co za ; den re” ten Sicilia, Soprin co delle creatu di Cristo Re rto culturali, Museo Regionale. to Mario Incudine; Conce oAm e hel Mic ico gruppo etn PROVINCIA le”; TEATRO roso; Balletto “Le sette iso a di Pietà, mostra nte str Mo Mo Al co; EMANUELE teli Fila ORIO TT VI Annullo a cur a po” senza tem mstra Simone Mo a rim tep An dell’ufficio Programmi Co a: “Angeli Musolino; “l’ange azia ssin Gr Me di di le urne cinene sul mu a str Co Mo del plessi Fra Macario Caliò; di e” esi; tod ssin cus me lo isti ta art ie organizza in collaborabozzetti di a osia (1657) Chiesa di rar Mostra bibliografica a curie- da Nic no a Mistretta; spet- zione con il servizio archeoai stia za Pro eba den S.S za; ten rin den ten Sop la rin ico del della Sop trali e danza; Palaz- log i Culturale ed ambientali; Ben zione dell’attività della Fondi tacoli tea o Tan di a str mo ni Leo dazione “Fiumara D’Arte” del zo dei Concerto della FanUNIVERSITÀ Antonio Presti; Attività o Sciacca, 12° Battaglione dei col del Cir ; fara ese ssin me di Togo, Museo della us a onl str s Mo Cir ilia; Sic ri erina inie ess rab “M Ca o: tan ori Framacia a Villa Pace; Ap la Filatelico Pel dadi Scienze del seo mu a: tur com’era”; Filarmonica Lau rio BIBLIOTECA terra e laboratori di minera mo: mostra “90° anniversa à NALE seo REGIO ivit Mu Att ; ia e”; della Fondazion mi- logia e gemmolog Esposizione di manoscritti o storico delle Scienze MMFProtezione Civile. ter nas Mo dal e Museo niati provenienti nu- FNN; Ortobotanico Greco del S.Salvatore e di a- Botanico; PALAZZO ZANCA stampe che raffigur nza Visita degli uffici, della sta n- merose e e lo stretto dal 500 falc Giu la a Sal no FIERA DI MESSINA del Sindaco e della a di Sandra Conti cur ria; a Per 00 o”. llin all’8 rse Bo e ne lco Mostra carrozza senato ota “Fa Teresa Rodriquez. alla collettiva d’arte; Mostra fot la prima volta sarà aperto a” e Maria grafica Vizzini; visita l’affresco “L’ultima cen oMUSEO REGIONALE ” di Alonso Rodriquez, intr aoro Mostra: “Di Intaglio e Ind ReFONDAZIONE dotto da Francesca Camp del Museo ei lign con e edi dat arr gui te visi ala; BONINO PULEJO gna Cic di Messina a cura di act la collaborazione del Rotar dei gionale Di Giacomo, in colla- Riflessione sullo sviluppo ecoin ina rno rica ter gio Ca sto a zzo str me Mo t; del rac ico e Inte i- borazione con Garden club di nomlaborazione con “London col Vigili Urbani; Stand della Pol afiogr Messina e The Sign di Franco School Of Economics” zia di Stato; Mostra fot nti. ca della rievocazione storica Cresce

L

e e Club Service. parte di Associazioni, libreri Inoltre eventi culturali da ub, Tennis Vela e Motonautica MOSTRE: Tennis Cl www.comune.messina.it/nottedellacultura2011


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