Mag Magazine giugno 2010

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Via XXVII Luglio, 44 - Messina


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I sentimenti e i luoghi,

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come scoprire la verità che ci manca

I sentimenti, i caratteri, le consuetudini non fanno notizia. La quotidianità non fa notizia; gli imprevisti guadagnano gli onori della cronaca, suscitano curiosità e stimolano riflessioni. Eppure sono i sentimenti, i caratteri, le consuetudini a farci capire perché gli imprevisti ci spingono nel baratro o ci regalano la buona sorte, perché la nostra vita è così, non un’altra. Crediamo, ingenuamente o più comodamente, che non ci possiamo fare niente se accade qualcosa che modifica la nostra quotidianità. È una omissione dannosa. Se non ci guardiamo dentro, come individui e come comunità, non capiremo perché ci accade quel che ci accade. So bene che le nostre colpe non sono illimitate, ma sono convinto che gli eventi precipitano o ci sfiorano anche perché siamo come siamo. Ciò che ci accade non è estraneo al nostro modo di essere, di vedere le cose, alle nostre abitudini, ai nostri pensieri prevalenti. Anche se non fosse così, confesso, non cercherei altrove la causa dei miei guai o della mia fortuna. Una volta dismessa l’etica della responsabilità, infatti, le sensibilità si abbassano e è bene che questo non accada. Vale la pena, dunque, di dare uno sguardo “dentro”ogni tanto, mettendosi in discussione. È doloroso, faticoso, perfino insopportabile. Quando non osiamo, c’è qualcuno che prova a farlo per conto nostro, la nostra reazione è comprensibilmente stizzita, la diffidenza alza un muro invalicabile. Non ci piace essere processati. Se lo si vuole evitare, occorre porsi domande,dubitare tenendo fermo il timone e avendo chiara la rotta. Non è facile, questa condizione pretende di essere attrezzati: abitudine alla complessità, intelligenza emotiva. Che, però, non nascono insieme a noi, possono essere coltivate e concederci “la marcia in più”. Purtroppo, preferiamo non sapere, non vedere, non ascoltare. Quando ciò accade, i nostri sensi non contano più niente: non vediamo ciò che capita sotto i nostri occhi, non ascoltiamo chi ci parla, non prestiamo attenzione alle persone ed alle cose. In una parola, rinunciamo a noi stessi e finiamo con il subire le decisioni altrui e gli eventi che la quotidianità ci regala. L’indifferenza prende il sopravvento: smarrisce, disorienta, crea un vuoto attorno a noi e dentro di noi. Mag in questo numero propone una sorta di viaggio dentro i sentimenti e le consuetudini prevalenti. Un viaggio che non “dimentica” i luoghi in cui i sentimenti e le consuetudini sono cresciuti e radicati. L’arte, il paesaggio, l’ambiente, infatti, non sono estranei al nostro modo di essere. Sfogliare Mag potrebbe perciò farci scoprire la verità che ci manca. Un piccolo miracolo cui vale la pena di credere. Tanto, che cosa ci rimettiamo? Salvatore Parlagreco

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direttore responsabile: Salvatore Parlagreco

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Registrazione al Tribunale di Messina n° 8 del 12/6/08 editore: Magazine srl via Industriale, 96 98123 Messina Anno 2 Numero 9 giugno 2010 info@magmagazine.it magmagazine.it

Associato all’Unione Stampa Periodica Italiana

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hanno scritto per Mag: Salvatore Parlagreco Salvatore D’Anna Giuseppe Di Bella Enzo Bonsangue Patrizia Mercadante Alessio Ferlazzo Domenico Giardina

Giulio Giallombardo Alessandro Bisconti Annalisa Ricciardi Antonella La Rosa Gigi Giacobbe Mario Loteta Giovanni La Fauci Pasquale Fameli Rossella Leonforte Dario La Rosa Roberto Rizzuto Chiara Celona Stefania Brusca Peppe Caridi Guido Luciani Paolo Turiaco Pietro Astone M. Laura Crescimanno Clara Picciotto Azzurra Sichera Clara Sturiale Giovanna Cirino Domenico Giardina Alessandro Bisconti

ringraziamenti: Sud Dimensione Servizi Alessandra Morace Salvatore Presti Cristian Vita Ranieri Wanderling Giancarlo Giraud Patrizia Casale Maria Pia Albanese Francesco Paratore Area Marina protetta “Isole Ciclopi” progetto grafico e impaginazione: Francesca Fulci Gianluca Scalone foto: Daniele Ciraolo, Gabriele Maricchiolo Dominik Diliberto

pubblicità e marketing: magcom@magcom.it tel. +39 347 6636947 stampa: Officine Grafiche Riunite S.p.A Cosentino & Pezzino via Prospero Favier, 10 zona industriale Brancaccio 90124 Palermo tel. 091 6213764/84 email: info@officinegrafiche.it

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Editoriale

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Stretto ed Immenso

Anniversari

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Viaggi nell’Isola

Unità e disunità d’Italia

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Messina, culla d’Europa

Storia

Sentieri parlamentari

Personaggi

Florio, il play boy

Eventi

Targa Florio

Magnifica Sicilia

I colori dello Stretto

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Cross over

Mazara

Intervista

PIB

Natura

Grotta dei puntali di Carini

Sikania

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Trasporti sullo Stretto Suggestioni di Sicilia

Hobby

Gela vola con i suoi ultraleggeri

X-Mag

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Il team dello Stretto

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026

Nonni baby sitter

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Voglia di baci

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Sapori e dissapori che influenzano la vita

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Don di Noto, il prete poliziotto

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Società

Life

Mattanza sull’asfalto

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Gli asini non sono più somari

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Mamma blogger

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Intervista

Cartabellotta e l’isola da bere

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042 Bagaglio a mano Itinerari visionari

Arte & design Astu

Arte & mostre

Aimè Maeght ed i suoi artisti

Musei

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Sport

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Tennis

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Pallanuoto

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Rugby

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Parchi e d’intorni

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Vulcani

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Libri

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Cinema

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La nazionale dei siciliani

Viaggio nei musei della Sicilia

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Museo zoologico F. Cambria

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Teatri

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Dischi

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Musicalmente

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Benessere

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Speciale South Africa Mag Map

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Estate, gioie e dolori

Moda

Sfumature eoliane

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Anniversari di Patrizia Mercadante Francesco Paolo Fulci

Messina, culla d’Europa L’ambasciatore Francesco Paolo Fulci ricorda come nacque l’Unione

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anni fa a Messina nacque l’Europa, Ambasciatore Fulci, lei come visse quelle giornate?

Per la verità l’Europa non nacque, bensì fu “concepita” a Messina, come amava ricordare lo stesso Gaetano Martino. Furono poi necessari i 22 mesi di “gestazione” a Venezia da parte del Comitato Spaak (il noto statista belga), prima che l’Europa vedesse la luce con la firma a Roma in Campidoglio, dei Trattati istitutivi, il 25 Marzo 1957. Personalmente, vissi quella stagione prima mentre mi preparavo al concorso diplomatico e poi da giovane funzionario appena entrato nel Ministero degli Affari Esteri. Nel ’55, ai tempi della conferenza di Messina, studiavo infatti Diritto Internazionale alla Columbia University di New York, avendo avuto la fortuna di vincere una borsa di studio Fullbright. Proprio quell’anno, ai primi di Aprile, venne alla Columbia, per ricevervi una laurea “honoris causa” , il Presidente del Consiglio italiano, Mario Scelba, accompagnato appunto dal Ministro degli Esteri, Martino. Di quella visita ricordo ancora un episodio abbastanza singolare. Era da poco uscito il primo rapporto Kinsey, argomento per l’epoca assai pruriginoso: il comportamento sessuale degli americani. Alcuni giornalisti statunitensi chiesero a Scelba: “L’Italia ha un serio problema di sovrapopolazione. Cosa pensa il suo Governo di fare per frenare l’abitudine degli italiani alla siesta pomeridiana”? E Scelba, sornione: “Guardi che Lei ha un’idea sbagliata della siesta: serve per riposare, non

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per procreare”! Altra domanda: “Secondo l’attrice Gina Lollobrigida, le donne sposate hanno più ”sex appeal”; Lei è d’accordo”? Venne in soccorso di Scelba lo stesso Martino, precisando con un sorriso smaliziato: “La sua domanda è un po’ impertinente. Sappia comunque che il Governo italiano favorisce il matrimonio”! Da New York tornai a Roma per partecipare al concorso diplomatico e, guarda caso, il tema per la quinta ed ultima prova scritta, quella di francese, fu proprio “La relance de l’Europe”. Una volta vinto il concorso, fui assegnato alla Direzione Generale degli Affari Economici del Ministero, che a quell’epoca aveva ancora la sua sede a Palazzo Chigi. Mesi dopo ebbi quindi la ventura di partecipare, di persona, quale addetto al cerimoniale, allo sfarzoso, memorabile ricevimento che seguì la firma dei trattati, avendo così un diretto contatto con gli statisti che avevano appena fondato l’Europa. Fu la prima volta in vita mia in cui indossai il frac. Quale ruolo ebbe Gaetano Martino nella costituzione dell’Europa? Nessuno storico imparziale ed avvertito potrà mai negare che Gaetano Martino ebbe un ruolo fondamentale, assolutamente essenziale, nella costruzione dell’Europa Unita. Il suo entusiasmo aiutò infatti a superare lo sconforto che stava per travolgere anche i più convinti e decisi europeisti dopo l’affossamento ad opera del Parlamento francese, della CED (il progetto della


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Comunità Europea di Difesa), l’iniziativa cioè volta a costituire , con l’unificazione degli eserciti e degli armamenti, il primo nucleo dell’Unione. Fu Gaetano Martino a farsi subito fautore e propugnatore concreto di una politica nuova, di una via diversa per pervenire all’unificazione, anche se molto più lunga ed impervia: quella della graduale, progressiva integrazione economica dell’Europa. Fu Gaetano Martino a persuadere i lussemburghesi, cui spettava in quella tornata la presidenza di turno della CECA (la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio, voluta dal francese Schuman) che avrebbe dovuto affrontare l’argomento di un’ampliata integrazione, a persuadere il suo collega del Gran Ducato a tenere la Conferenza a Messina, invece che nella sua sede naturale di Lussemburgo. Fu ancora Gaetano Martino, a Messina ed a Taormina, in quell’ inizio di Giugno del 1955, a non dare tregua ai suoi colleghi Pinay (Francia), Hallstein (Germania), Beyen (Olanda), Spaak (Belgio) e Bech (Lussemburgo), persuadendoli ad accettare proposte che andavano ben oltre le istruzioni dei rispettivi governi. Queste erano infatti improntate alla massima prudenza. Pinay, a Parigi, aveva detto di guardarsi bene dal dare il suo assenso a nuove istituzioni sovranazionali, venendo considerata più che sufficiente l’esistenza della stessa CECA. Fu sempre Gaetano Martino, a Taormina,

nella notte inoltrata tra il 2 ed il 3 Giugno 1955, a fare opera di persuasione degli altri ministri per rompere indugi e remore, dando mandato a Spaak di istituire quel comitato che, nei 22 mesi successivi, a Venezia, gettò le basi del MEC (Mercato Comune Europeo) e dell’l’EURATOM (Comitato Europeo dell’Energia Atomica). Illuminante sul clima infocato di quella notte, cui deve aver contribuito il generoso “rosso dell’Etna”, è il racconto, pubblicato qui a fianco, del Conte Snoy et d’Oppuers, un diplomatico olandese che aveva partecipato alla Conferenza di Messina. Tutti questi meriti furono poi riconosciuti allo statista messinese, soprattutto dal Lussemburgo e dall’Olanda. Il primo emise nel 1975, un francobollo commemorativo con tre medaglioni riproducenti i profili di Schuman, Martino e Spaak, considerati i tre padri del rilancio europeo. L’Olanda, dal canto suo intitolò, nella europeissima città di Mastricht, delle importanti vie ai tre statisti. Si dovette invece attendere l’anno 2000 prima che Messina onorasse adeguatamente la memoria di questo figlio straordinario, intitolandogli una piazzetta, erigendogli una statua in bronzo a figura intera e dedicandogli un convegno internazionale indetto dall’Università di Messina, dal titolo: “Gaetano Martino: scienziato, rettore, statista”!

Nelle sedi del Parlamento Europeo di Bruxelles, Strasburgo e Lussemburgo alcuni palazzi, padiglioni, aule ricordano tanti personaggi minori quali “edificatori dell’Europa”. Di Gaetano Martino si so no dimenticati. Perché? Temo che spesso, specie in termini di riconoscenza, la memoria degli italiani sia un po’ corta. Al termine della mia carriera diplomatica, alla fine del 1999, proprio nel riordinare i ricordi della mia vita professionale, mi trovai a riflettere sulla pesante, ingrata coltre di silenzio e di oblio, che era caduta sulla figura e sull’opera di Gaetano Martino. Ne parlai a Roma coi figli dello statista (Antonio, Pietro e Carla) e con Enrico Vinci che era stato suo segretario particolare. Fu ricordato che proprio l’anno dopo, alla fine del 2000, sarebbe caduto il centenario della nascita di Martino. Non c’era un minuto da perdere. Alla mia prima visita a Messina, sollevai la questione col Prof. Giuseppe Romeo, Ordinario di Chirurgia Pediatrica, formidabile organizzatore ed amico di una vita; col Sindaco Leonardi; col Rettore Silvestri; con Marcello Sajia, ordinario alla Facoltà di Scienze Politiche; e con tanti, tanti altri messinesi. In Agosto ci riunimmo a Palazzo Zanca, nella grande sala del Consiglio


Comunale. All’incontro ci ritrovammo un centinaio di amici ed estimatori di Gaetano Martino, anch’essi egualmente desiderosi di ricordare in modo degno la memoria del nostro illustre concittadino. Fu costituito, seduta stante, un comitato promotore per le celebrazioni del Centenario, suddiviso in sei gruppi operativi, e redatta, una bozza di programma. La parte più difficile era il reperimento della somma per erigere il monumento. Occorrevano 100 milioni delle vecchie lire. Si pensava ad una sottoscrizione popolare, quando il Presidente della Fondazione Bonino Pulejo, annunciò – tra gli applausi scroscianti - che il bronzo sarebbe stato realizzato a spese della Fondazione stessa. Il Sindaco Leonardi impegnò il Comune a far preparare l’aiola e il basamento. L’opera, dello scultore milanese Gualberto Rocchi, venne inaugurata alla presenza del Capo dello Stato, Carlo Azeglio Ciampi, venuto appositamente a Messina il 24 Novembre 2000: proprio lo stesso giorno, cioè, in cui cento anni prima era nato Gaetano Martino. Il programma degli eventi celebrativi andò poi man mano arricchendosi, sino a raggiungere trenta iniziative: tutte realizzate, salvo l’ultima, la grande biografia di Gaetano Martino, ormai peraltro in dirittura di arrivo per mano del Prof. Marcello Saja.

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La Sicilia ha guadagnato o perso con l’Unione Europea? Non solo la Sicilia, ma l’Italia intera hanno tratto vantaggi e benefici enormi, straordinari, dall’istituzione del Mercato Unico prima e dell’Unione Europea dopo. Anzitutto in termini di guerra e pace: per secoli le nazioni europee erano state dilaniate da nefaste guerre fratricide (basti pensare ai due immani conflitti del 1914-18 e 1939-45). Da 65 anni invece per fortuna nel Vecchio Continente regna la pace, grazie anche, se non soprattutto, all’Unione Europea. La libera circolazione delle merci costituisce un bene incalcolabile: sono finiti gli orpelli doganali, le soste alle cento frontiere, che intralciavano fortemente gli scambi commerciali di sviluppo economico dell’Europa. E poi la libera circolazione delle persone: prima non era pensabile recarsi all’estero senza il passaporto e senza interminabili file nelle Questure e nei posti di frontiera. Ed ancora ricevere un bonifico bancario in Francia o in Germania era un’impresa da Sisifo. Oggi in 15 Paesi dell’Unione possiamo finalmente beneficiare della moneta unica, l’euro. Per non dire poi dei massicci aiuti infrastrutturali forniti dall’Unione, che hanno consentito alle regioni più povere dell’Europa – si guardi il caso dell’Irlanda o del Portogallo - di compiere progressi

economici spettacolari nello spazio di pochi decenni. La Sicilia, purtroppo, non è stata capace di avvalersi di tale tipo di sostegno, semplicemente perché spesso non lo ha chiesto. Una volta ebbi modo di domandare ad un amministratore siciliano il motivo di tale timidezza. La risposta fu disarmante: “pretendono troppa precisione, troppi controlli, troppe ingerenze da parte dei funzionari europei”! E qui mi sia consento di citare le parole di un altro nostro grande corregionale, Don Luigi Sturzo:”Perché i meridionali fuori delle loro regioni, siciliani compresi, riescono a raggiungere posizioni importanti, diventando centri di iniziative notevoli, superando forti competitori, affermandosi pur in mezzo a tante difficoltà? Vexatio dat intellectum: messi alle strette, obbligati al rischio, sanno fare molto meglio fuori del loro ambiente, nel quale il provincialismo, la limitatezza dei mezzi, la sfiducia reciproca, la critica dei fannulloni, l’oppressione dei mafiosi, l’intrigo dei profittatori rendono difficili le iniziative e contestabili i piani audaci e generosi. Forse mancano iniziative valide in Sicilia e nel Mezzogiorno? No; siamo denigratori di noi stessi, perché ci riesce rimprovero alla nostra incapacità di volere”. Intendiamoci, non si deve mai fare di tutte le erbe un fascio. Ad un simile andazzo vi sono stati, vi sono e vi saranno delle lodevoli eccezioni. Ma pur sempre, e purtroppo, solo eccezioni.


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Anniversari di Giuseppe Di Bella

Unità e disunità d’Italia

Garibaldi si pentì di aver consegnato

il Regno delle Sicilie ai Savoia

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itengo interessante, quale elemento di comune riflessione, riproporre un aspetto politico e umano della vicenda unitaria, non molto evidenziato da buona parte della storiografia, ovvero il palese pentimento di Garibaldi per aver consegnato il Regno delle due Sicilie alla Dinastia dei Savoia, che sentiremo dalla sua stessa voce. Non sappiamo quale sia l’indice di sincerità di Garibaldi quando scrive dei fatti militari, poiché gli scritti del Generale sono spesso romanzati e reticenti, specialmente sui punti relativi agli aiuti internazionali ed alle questioni attinenti al ruolo della massoneria, e non solo. Ma nel caso in esame il pentimento di Garibaldi sembra sincero quanto inserito in un sistema strettamente logico, anche perché non ha nulla da guadagnare, al contrario assume con questi scritti una posizione invisa al Governo, al Parlamento ed alla Monarchia ed infine pericolosa. Non va infatti dimenticato che il Governo sardo, e poi quello italiano di Vittorio Emanuele, non furono mai teneri col Generale. Oltre le fucilate del 1862 sull’Aspromonte, in una lettera a Napoleone III, del 19 ottobre 1867 (Il guerrigliero di Nizza aveva appena servito il Re nella terza guerra di indipendenza) così si esprimeva: “Garibaldi è stato arrestato due volte contro le nostre leggi e lo sarebbe stato una terza, senza la crisi ministeriale”. La critica alla Corona e l’autocritica che esamineremo sono esplicite ed a tratti ingenue, poiché risulta evidente che Garibaldi con queste dichiarazioni, si mette da solo sotto una pessima luce ed è cosciente di fare infine la figura dell’utile idiota, nelle mani di Cavour e Vittorio Emanuele, come da taluni venne indicato.Il pentimento è un sentimento positivo, specie quando è esito di piena coscienza delle conseguenze delle nostre azioni, ma questo di per se non è sufficiente a riabilitare chi avrebbe dovuto, almeno fin dal 1848, conoscere le idee politiche e soprattutto gli uomini al servizio dei quali si poneva. A chi conduce gli eserciti, a chi conquista i regni terreni concimandoli col sangue e poi li regala, non è perdonabile l’errore sul destinatario del dono. Garibaldi sostanzialmente ripudia la sua stessa malfatta creatura ed il patrigno di questa, e paradossalmente diviene il

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principale critico degli effetti dell’unità italiana nel Mezzogiorno: comprende forse prima di ogni altro, che la questione meridionale è nata con la sua impresa realizzata in modo improvvido, intempestivo ed inadeguato. Non sono stati sufficienti 150 anni per correggere i gravissimi errori politici di impostazione, dolosamente commessi nel 1860. Monarchia, Fascismo e Repubblica non hanno riparato quei danni ed oggi la questione meridionale è più grave che allora. Garibaldi ripudia i Savoia Il 24 settembre 1874, Garibaldi inviò al notaio Gaetano Cattaneo un corposo manoscritto accompagnato dalla seguente dichiarazione: “Il D.re Riboli vi rimetterà il manoscritto autografo dei Mille, ch’io lego ai miei bambini Manlio e Clelia, e che vi prego di tener depositato presso di voi sinchè dagli stessi reclamato, o da chi legalmente per loro”. L’opera fu scritta dal Generale tra il 1870 ed il 1872, dopo la presa di Roma e dunque ad unificazione veramente compiuta, ed è da considerare la risposta politica di Garibaldi alle accese polemiche insorte attorno all’unità nazionale, a come essa venne conquistata ed al fallimento delle politiche sociali ed economiche dei Savoia, specialmente nel Mezzogiorno. La prima edizione del libro, finanziata con una sottoscrizione, vedrà la luce nel 1874. Si consideri inoltre che nel decennio trascorso si erano registrate diffuse proteste contro lo Stato italiano e rivolte sociali e politiche, represse con efferata violenza dall’esercito e che il brigantaggio, alimentato dal malcontento, era un capitolo ancora aperto, una spina nel fianco del Governo che tentava con ogni mezzo di sminuire il fenomeno dal punto di vista politico, cercando di gabellarlo come fatto esclusivamente criminale. Questo scritto di Garibaldi, segue le aspre polemiche collegate alle pubblicazioni del Diario militare dell’ammiraglio Persano e dell’Epistolario di Giuseppe La Farina che determinarono una violenta tempesta politica e sociale, nella quale i repubblicani e la stessa sinistra criticavano aspramente l’operato del Generale ed il modo in cui si ottenne l’unità. Ma il testo è certo anche l’esito della presa di coscienza del Generale della inadeguatezza della Dinastia, a fronte del fallimento, se non della omissione, di una adeguata politica socio economica. Il Generale era furioso e scrisse senza veli il suo pensiero, anche se cautela e prudenza


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gli consigliarono, per bocca di tanti amici, di esprimersi sotto le mentite spoglie del “Romanzo storico”. Invero nell’introduzione postuma Garibaldi afferma: ”E qui io devo una confessione al lettore: io scrissi bene o male sotto forma romantica una campagna ch’io potevo esibire puramente storica, e che spero, narrata nelle mie memorie senza involto romantico, essa potrà bene, alla storia servir di materiale.” Garibaldi con I Mille, volle chiarire la sua mutata posizione politica, determinata dal fatto che proprio nel momento in cui si era compiuta l’unità con la presa di Roma, la Dinastia si palesava impari al compito che la storia le aveva assegnato e forse neanche moralmente degna di questo. Queste sono parole del generale: “I Governi sono generalmente cattivi, perché

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perta e senza mezzi termini la polemica con i repubblicani, che mostra una certa confusione politica: “Io ho sempre inteso per Repubblicani i propugnatori dei diritti dell’uomo contro la tirannide, e tali eran certamente i Mille ed i loro valorosi commilitoni del 60. Ciò sia detto spero per l’ultima volta, a confutazione di quei dottrinari (massime mazziniani) che voglion oggi far monopolio dell’idea Repubblicana come se ne fossero essi gl’inventori, come se non fossero mai esistite Repubbliche, e che hanno sempre l’aria di non volermi perdonare la spedizione di Marsala, di non avervi proclamato la Repubblica e di non averla proclamata in altre occasioni in cui mi sono trovato in comando”. Si noti l’ossimoro politico dei “garibaldini repubblicani” come il loro capo, che consegnano il Regno da una monarchia all’altra. Un’ingenuità politica che ben rappresenta una certa “confusione”, che spesso ha connotato le scoordinate azioni del Generale. Non meno violento è l’attacco al Governo ed al Parlamento italiano e solo

d’origine pessima e per lo più ladra; essi, con poche eccezioni, hanno le radici del loro albero genealogico nel letamajo della violenza e del delitto. Al loro sorgere tempi feudali - essi dopo d’aver cacciato l’aquila dal suo nido l’occupavano e da li piombavano sulle inermi popolazioni, rubando quanto a loro conveniva: messe, frutta, donne e sostanze d’ogni specie, per provvederne i loro covili che chiamavan castelli. A’ tempi nostri (1870) non meno feudali di quelli, più potenti i signori, più numerosi i birri e più servili e prostituiti i satelliti, benché i bravi si chiamino “Pubbliche sicurezze” e i Signori Re e Imperatori, credo si stia in peggiori condizioni, essendo gli ultimi più potenti dei primi e con una sequela di legali cortigiani, sempre pronti a sancire, colla maggioranza

dei loro voti, ogni più turpe mercato delle genti o delle loro sostanze. Al governo della cosa pubblica poi, giacchè i padroni regnano o imperano e non governano, vi si collocano sempre coloro che ne son meno degni, od i più atti a governare, non volendo i despoti gente onesta a tali uffici, ma disonesti come loro, striscianti e corruttori parassiti, coll’abilità della volpe o del coccodrillo. Ciò non succede soltanto nelle monarchie dispotiche, più o meno mascherate da liberali, ma spesso anche nelle Repubbliche, ove gl’intriganti s’innalzano sovente ai primi posti dello Stato, ingannando tutto il mondo con ipocrisie e dissimulazioni, mentre gli uomini virtuosi e capaci, perché modesti, rimangono confusi nella folla, a detrimento del bene pubblico.”

La polemica coi repubblicani la fama d’eroe internazionale ed i meriti acquisiti con l’unità, e forse la paura di una rivolta, possono aver salvato, ancora una volta, Garibaldi dal carcere se non dal patibolo: “Vi sono molti birbanti nel mondo, massime tra i popoli ove domina la corruzione del prete e della tirannide. Ivi si perviene ai gradi, agli onori, all’agiato vivere a forza di bassezze, di umiliazioni e di servilismo; quindi l’onestà non è merito, ma lo è l’adulazione e la flessibilità della schiena e della coscienza. Fra cotesti birbanti, alcuni onesti o sono impercettibili nella folla o sono tenuti in diffidenza, per il scetticismo che invade le moltitudini sì sovente ingannate. Eppure io conosco degli onesti che potrebbero migliorare la condizione umana, se non vi fossero tanti pregiudizi e tante dottrine. Ma come si deve aver fede in cinquecento individui, la maggior parte dottori (… han fatto prova così cattiva fin’ora nei Governi e nei parlamenti da far disperare di loro) e la maggior parte venali, uomini che vengono su dalla melma ove li condannarono la dappocaggine e sovente il vizio; vengono su,

dico, a forza di cabale e di favoritismo e si siedono sfacciatamente tra i legislatori d’una nazione coll’unico interesse individuale e disposti sempre a sancire ogni ingiustizia monarchica, coonestando così gli atti infami di governi perversi, che senza quella ciurma di parassiti, avrebbero responsabilità dei loro atti, mentre con parlamenti servili, essi sono despotici e compariscono o si millantano onesti. Questi cinquecento fra cui v’è sempre qualche buono, disgraziatamente, si usano come governanti nelle monarchie non solo nei governi imposti, ma pure nei paesi, ove la caduta delle monarchie, come in Ispagna e in Francia, ha lasciato le nazioni padrone di loro stesse … E perchè non scegliere un onesto solo per capitanare la nazione e con voto diretto ? Non è più facile trovarne uno che cinquecento?” Queste affermazioni sulla utilità della Dittatura, nel senso del diritto romano, ovvero scelta dal popolo, è ridondante in tutto il testo: non è inverosimile scorgervi il dubbio postumo di Garibaldi, che sarebbe stato meglio tentare la via di una Dittatura elettiva delle Sicilie.


Anniversari

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Il coltello nella schiena, i pupari all’opera

oi Garibaldi si toglie il macigno che gli sta sul cuore da dieci anni e attacca direttamente Vittorio Emanuele e la sua incapacità di realizzare quell’idea di un’Italia Patria vera degli italiani, alla quale il Generale aveva sacrificato perfino la coscienza e infine l’anima, vendendola al diavolo. “Il nido monarchico (Napoli) venne occupato dagli emancipatori popolani ed i ricchi tappeti delle reggie furon calpestati dai rozzo calzare del proletario. Esempi questi che dovrebbero servire a qualche cosa, almeno al miglioramento della condizione umana, che non servono, per l’albagia e la cocciutaggine degli uomini del privilegio, che non si correggono nemmeno quando il leone popolare, spinto alla disperazione, li sbrana con ira selvaggia. ma giusta e sterminatrice! I Napoletani, come i Siciliani, non secondi a nessun popolo per intelligenza e coraggio individuale, furon quasi sempre mal governati e sventuratamente molte volte con sul collo dei governi stranieri che solo cercavano di scorticarli e tenerli nell’ignoranza. Ai pessimi governi devesi quindi attribuire il poco progresso in ogni ramo

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Traditori di uomini e traditori di idee

il caso di annotare che nel periodo napoletano Garibaldi prese il titolo di “Dittatore delle due Sicilie”. Questa circostanza destò enormi preoccupazioni a Torino, dove tutto si misurava col metro dell’inganno, sulle vere intenzioni del Generale, temendosi la proclamazione della Repubblica e un colpo di testa del Dittatore subornato dagli accorsi Mazzini e Dumas. In realtà Garibaldi avrebbe voluto detenere, ben oltre la data dei Plebisciti, un’ampia

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di civilizzazione e prosperità nazionale. E questo governo sedicente riparatore, fa egli meglio degli altri? Egli poteva farlo! Doveva farlo! Nemmen per sogno: coteste ardenti e buone popolazioni che con tanto entusiasmo avean salutato il giorno del risorgimento e dell’aggregazione alle sorelle italiane, sono oggi ….si! oggi ridotte a maledire coloro che con tanta gioja, un giorno, chiamaron liberatori!” “… il felice regno (delle due Sicilie). Felice! poteva chiamarsi, giacché con tutti i vizi, di cui era incancrenito, il suo governo occupavasi almeno che non morissero di fame i sudditi … Si sa quanto solerte era il governo borbonico per far mangiar a buon mercato il pane ed i maccheroni … occupazione che disturba poco la digestione di coteste cime che governano l’Italia. Giù il cappello però, esse le cime hanno fatto l’Italia ed avranno fra giorni una statua in Campidoglio, non so di che roba”. Dichiarati persino affamatori del popolo i Regnanti, Garibaldi si sofferma sulla vicenda napoletana, sulle mene di Cavour e Vittorio Emanuele per appropriarsi della vittoria e piegarla al giogo sabaudo, nei modi e nei tempi da essi voluti.

ed autonoma Dittatura delle Sicilie per sondare la possibilità di una azione su Roma o infiltrarsi e provocarvi moti annessionisti. Non era certo intenzionato a rimanere Dittatore delle Sicilie. Ne è prova incontestabile il secondo Decreto dato a Napoli nelle stesso giorno della presa del potere, Decreto con il quale Garibaldi dispone l’aggregazione immediata alla squadra navale di VITTORIO EMANUELE di tutta la marineria, sia da guerra che mercantile, delle Due Sicilie.


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ITALIA E VITTORIO EMANUELE IL DITTATORE DELLE DUE SICILIE decreta

Tutti i bastimenti da guerra e mercantili appartenentiallo Stato delle Due Sicilie, arsenali, materiali di marina, sono aggregati alla squadra del Re d’Italia VITTORIO EMANUELE, comandata dall’Ammiraglio Persano. Il Dittatore G. GARIBALDI

Questo titolo Egli utilizzò da subito nel primo Decreto del 7 settembre, dato in merito alla nomina di Ministri e Direttori dei Dipartimenti, con il quale confermava il famigerato Don Liborio Romano, in stretti rapporti con la camorra, “Al suo posto del Ministero dell’interno”. Procede e non fa sconti il Generale e diventa il primo dei pentiti dell’unità fatta male, ma soprattutto pentito di aver regalato l’Italia ai Savoia. “Frattanto (8 settembre) ogni sollecitudine era spinta sino al ridicolo dagli aspiranti al merito di propaganda e d’intrighi per la Monarchia - messia, cioè Sabauda, che avean usato i più ignobili e gesuitici espedienti per rovesciare Francesco II e sostituirlo. Tutti sanno le mene d’una tentata insurrezione, che dovea aver luogo prima dell’arrivo dei Mille e per toglier loro il merito di cacciar i Borboni; ciocchè poteva benissimo eseguirsi, se la codardia non fosse l’apannagio dei servi. Non ebbero il coraggio d’una rivoluzione i Sabaudi fautori, ma ne avevan molto per intrigare, tramare, sovvertire l’ordine pubblico, con delle miserabili congiure e delle corruzioni fra i mal fermi servi della dinastia tramontante. E quando nulla avean contribuito negli ardui tempi della gloriosa spedizione, oggi che si avvicinava il compimento dell’impresa la smargiassavano da protettori nostri, sbarcando truppe dell’Esercito Sardo in Napoli (per assicurare la gran preda s’intende) e giunsero a tal grado di protezionismo da inviarci due compagnie dello stesso esercito, il giorno dopo la battaglia del Volturno, cioè il 2 Ottobre. Era bello veder i Regi settentrionali usar ogni specie di fallace ingerenza, corrompendo l’esercito borbonico, la marina, la corte, servendosi di tutti i mezzi più subduli, più schifosi, per rovesciare o meglio, dare il calcio dell’asino a quel povero diavolo di Francesco, che finalmente era un re come gli altri, con meno delitti, senza dubbio, per non aver avuto il tempo di commetterne, essendo giovane ancora. E rovesciarlo per sostituirvisi e far peggio!” Garibaldi poi getta luce sul suo frettoloso ritorno a Palermo e sulla sua contrarietà al Plebiscito, o almeno sui tempi di esso, che interferivano col suo progetto di conquistare Roma. “Anche a Palermo, com’era naturale, tramavano i fautori della monarchia sabauda e gettavano contro i Mille la diffidenza delle popolazioni, spingendola ad una annessione intempestiva. Essi mi obbligarono di lasciar l’esercito sul Volturno, alla vigilia di una battaglia, per recarmi nella capitale della Sicilia a placare quel bravo popolo suscitato dai Cavoriani agenti”. Il pentimento di Garibaldi su come venne fatta l’unità, lo si percepisce a pieno quando commenta la vicenda dei Plebisciti (citandola direttamente o indirettamente), è furente: le parole che utilizza nel 1870, lo mettono a rischio della vita: “La libertà poi, è un ferro a due fendenti. L’autocrate è il più libero

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Napoli, 7 Settembre 1860

degli uomini e della libertà si serve generalmente per nuocere. Il proletario, che più d’ogni altro abbisogna di libertà, quando giunge a possederla, la prostituisce o la trasforma in licenza. Voi mi direte che foste ingannati, uomini del popolo, quando vi corruppero; quando vi fecero gridar Viva la morte! E quando vi condussero a gettar nell’urna il vostro voto per un ladro, un servile od un tiranno! Ma voi vi lasciaste condurre, perversi!” Ma ancor più palese è l’accusa di inettitudine, chiaramente manifestata, che rivolge ai Savoia. Garibaldi dunque si accorse subito dopo l’unità di aver a che fare con personaggi altamente inaffidabili e con un Re che solamente fingeva di liberaleggiare ed al quale delle popolazioni meridionali poco importava, se non lo sfruttamento. La rivoluzione siciliana quindi è alimentata e guidata da Garibaldi, un uomo che ancor prima di partire da Quarto, era già sceso a compromessi con le sue idee repubblicane ed anticlericali in nome dell’Italia unita. E dopo averle tradite, si accorge che è stata tradita quell’idea dell’Italia che lo aveva ispirato e costretto a compromettersi con tali personaggi da operetta: il fallimento politico e umano è totale e l’amarezza traspare ad ogni parola insieme alla delusione. L’impresa garibaldina è connotata dal tradimento: tradito Francesco dai suoi generali e dall’affettuoso cugino che nega di aiutare Garibaldi, ingannato il popolo dai proclami del Dittatore e infine, ironia del destino, tradito dai suoi registi perfino il Condottiero. L’epilogo dello scritto è eloquente quanto disperato: “Tutte le cariatidi della Monarchia, come i primi, consueti al dolce far niente ed a nuotare nell’abbondanza, oggi piegando la schiena al lavoro. Non più leggi scritte. Misericordia! Grideranno tutti i dottori dell’Universo, oggi obligati anche loro a menar il gomito per vivere. Finalmente una trasformazione radicale in tutto ciò che abusivamente chiamavasi civilizzazione e le cose non andavano peggio! Anzi scorgevasi tale contentezza sul volto di tutti e tale soddisfazione, per il nuovo stato sociale, ch’era un vero miracolo! Era però un sogno! Io mi svegliai beneficato certamente dalla visione; amareggiato però, subito dopo, dalla nauseante realtà della Società odierna. E cercai quindi, addolorato, di ripigliare la strada dell’isolata e deserta mia dimora.” Garibaldi che venne in Sicilia al grido di “Italia e Vittorio Emanuele”, primo fautore dell’unità nazionale savoiarda, è il primo ad ammettere il fallimento del processo unitario e l’incapacità dei Savoia di realizzare la Nazione degli italiani, la loro Patria futura. Ma ormai è tardi, il giorno del Generale è finito ed il sole dell’ideale non illumina più il suo Astro. L’anima della Sicilia attende da secoli, arsa come la zolla solcata dal caldo d’agosto, una goccia di giustizia. Attende il fremito d’ali di una farfalla, un battito unisono dei cuori dei suoi figli che spezzi le catene della sua storia … prima che il giorno finisca.



Oioioioi Programma delle celebrazioni 150° anniversario della spedizione dei Mille in Sicilia

11 maggio Marsala Complesso San Pietro Inaugurazione del riallestimento del Museo civico garibaldino (in collaborazione con il Comune di Marsala) 11 maggio Calatafimi Colle Pianto Romano Inaugurazione targa presso il monumento di Pianto Romano con frase commemorativa di Andrea Camilleri (in collaborazione con il Comune di Calatafimi) 11 maggio Salemi Inaugurazione del Museo del Risorgimento (in collaborazione con il Comune di Salemi) 11 maggio ore 21 Trapani Museo Pepoli Concerto a cura del Conservatorio e visite guidate della nuova Sezione dei Cimeli Risorgimentali (in collaborazione con il Conservatorio di Stato ‘A. Scontrino’ di Trapani) 12 maggio Palermo Fondazione del Banco di Sicilia Convegno “Lo sviluppo dell’economia italiana dallo sbarco dei Mille ad oggi” (a cura della Federazione Nazionale dei Cavalieri del Lavoro - Gruppo Sicilia) 15 maggio Palermo Palazzo Abatellis: Celebrazioni 64° anniversario Autonomia Siciliana: ‘Uniti dal Mediterraneo’: presentazione del Premio Al Idrissi. 15 maggio Palermo Palazzo Abatellis: Celebrazioni 64° anniversario Autonomia Siciliana: opera d’arte contemporanea ‘Il muro del marÈ di Piero Guccione. 15 maggio Palermo Teatro Politeama Celebrazioni 64° anniversario Autonomia Siciliana: Concerto (in collaborazione con la Fondazione Orchestra Sinfonica Siciliana)

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15 maggio Messina Teatro Vittorio Emanuele Celebrazioni 64° anniversario Autonomia Siciliana: Concerto

(in collaborazione con il Teatro Vittorio Emanuele) 15 maggio Catania Teatro Massimo Bellini Celebrazioni 64° anniversario Autonomia Siciliana: Concerto (in collaborazione con il Teatro Massimo Bellini) 26 maggio Misilmeri Castello Convegno “Il mito popolare di Giuseppe Garibaldi” (in collaborazione con il Comune di Misilmeri) 27 maggio Palermo Albergo delle Povere Mostra ‘900 Un viaggio nella vita siciliana’. 28 maggio Palermo Palazzo Mirto Convegno “Garibaldi e la Sicilia dei Florio: un doppio scacco” 28 maggio Palermo Palazzo Steri Giornata di studio ‘Ricordando Braudel. Mediterraneo un mare condiviso’. Visita guidata della mostra delle carte della Sicilia del fondo La Gumina 28 maggio Palerm Teatro Garibaldi Apertura Nuovo Teatro Garibaldi (in collaborazione con il Comune di Palermo) 29 maggio Palermo Società Siciliana per la Storia Patria Convegno ‘Garibaldi in Sicilia 150 anni dopo’ . Inaugurazione del Museo del Risorgimento V. E. O. (in collaborazione con la Società Siciliana per la Storia Patria) 29 maggio Palermo ‘Distretto risorgimentale impresa garibaldina’ - Percorsi attraverso i luoghi della città testimoni dell’epopea garibaldina (in collaborazione con il Comune di Palermo)

30 maggio/31 ago Palermo Palazzo Abatellis: Mostra ‘Lo Spasimo degli Spasimi’. 30 maggio Palermo Museo d’Arte Moderna e Contemporanea Riso Commemorazione della figura del Barone Riso con performance teatralemusicale (a cura della Ass.ne Curva Minore) 31 maggio Palermo Archivio Storico Comunale Mostra ‘Cento per millÈ (in collaborazione con il Comune di Palermo) 4 giugno Palermo Convegno ‘Risorgimento in Sicilia e biografie di siciliani nel Risorgimento’ (a cura della Fondazione Tricoli) 4 giugno Palermo Museo Salinas Riapertura del Museo: argenti di Morgantina e Phiale d’oro di Caltavuturo 5 giugno Palermo Museo Geologico Gemmellaro Il Gemmellaro garibaldino: mostra, conferenza ‘Scienza e scienziati tra Borboni e Savoia a Palermo’ e visite guidate (in collaborazione con il Museo G. Gemmellaro) 5 giugno Palermo Celebrazioni per il 150° anniversario dell’Arma dei Carabinieri in Sicilia. 20 luglio Milazzo - Castello Inaugurazione della mostra documentale della presenza di Garibaldi a Milazzo (in collaborazione con il Comune di Milazzo) 27 luglio Messina Forte San Salvatore Tavola rotonda sul Risorgimento a cura dell’Ateneo peloritano (in collaborazione con il Comune e l’Università degli Studi di Messina) 8 agosto Catania Convegno in occasione della chiusura delle celebrazioni del 150° anniversario della spedizione dei Mille (in collaborazione con il Comune di Catania)


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Storia

di Salvatore Parlagreco

sentieri

parlamentari Dai Parlamenti regionali alle due Camere della Repubblica italiana, al federalismo dei giorni nostri: un percorso tanto inedito quanto storicamente autentico. In quest’ottica inversa, dalla periferia al centro, la storia della democrazia in Italia comincia ben indietro nel tempo… Il termine parlamentum Difficile generalizzare la storia dei parlamenti italiani e virtualmente impossibile costruire un modello valido per tutti. Il termine parlamentum, ad ogni modo, si trova usato nell’ultima parte dell’alto Medioevo come riunione di persone che trattano pubblici affari. Si dice parliamentum o parlamentum l’assemblea dei baroni laici ed ecclesiastici raccolti dai re normanni di Sicilia e Inghilterra. Nello stesso modo parlamentum o parlascium è la riunione dei cittadini delle città medievali italiane, adunati per discutere questioni politiche o amministrative. II Gran Consiglio della Serenissima Il Maggior Consiglio è l’asse portante della storia politica della Repubblica di Venezia: ha funzione legislativa, di giustizia, di controllo e di nomina degli organi più importanti.

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Esso nasce tra il 1100 e il 1200 ed è rappresentativo soprattutto dei ceti forti della popolazione mercantile. L’assemblea di Palermo Il parlamento siciliano fu la prima assemblea secolare in Italia, e probabilmente in Europa, alla quale si potesse attribuire carattere veramente rappresentativo. Nel 1282 un’assemblea a Palermo, che fu chiamata parlamento e affermava di rappresentare la comunità del regno, offrì la corona di Sicilia al re d’Aragona. I siciliani non permisero mai a Pietro d’Aragona e ai suoi successori di dimenticare che essi avevano trasferito loro volontariamente la sovranità sull’Isola. Il parlamento del Regno di Napoli Nel Regno di Napoli il Parlamento fu istituito da Carlo D’Angiò nel XIII secolo. Come in Sicilia, la guerra dei Vespri

(… ) Durante tutto il Medioevo, i privilegi e i diritti degli Stati, ossia dei corpi ecclesiastici, nobiliari e cittadini, erano considerati o come esistenti autonomamente o come legalmente derivati da concessioni sancite dal re, dall’imperatore o dal papa. Ogni nuovo governante, assumendo il potere, doveva giurare di osservare quei diritti, e ben presto divenne chiaro che i parlamenti erano le istituzioni più efficaci per preservare e difendere quei privilegi, in quanto ogni nuovo governante giurava, o personalmente o per mezzo di un rappresentante, di fronte all’assemblea. È lungo questo sentiero – dalle assemblee al parlamento moderno – che si afferma il principio della rappresentanza e si sviluppa la democrazia da un livello funzionale e tradizionale a un livello istituzionale e di autentica rappresentanza dei cittadini (…)

costrinse la monarchia a convocare assemblee rappresentative e a promettere il ritorno alle costituzioni e ai privilegi del periodo svevo. I parlamenti erano sostenuti dal papa, sovrano feudale del regno, che vigilava affinché il re non imponesse tasse senza il consenso degli Stati. Durante i primi anni della dominazione aragonese il parlamento svolse un ruolo abbastanza incisivo, ma, a partire dalla seconda metà del XVI secolo, il suo potere si indebolì, fino a giungere, nel 1643, allo scioglimento ad opera del vicerè. La Repubblica di Genova Nel Quattrocento la Repubblica di Genova si strutturò con vere e proprie Carte Costituzionali Repubblicane che garantivano già allora una gestione “democratica” del potere. I Dogi, mai ereditari, ma eletti, dovevano rendere conto della loro gestione al Collegio dei Supremi Sindicatori.


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Il parlamento della Sardegna Il parlamento sardo nacque nel 1355 come assemblea strutturata nei tre stati – clero, nobiltà, comuni - con i classici poteri di imporre tasse e di deliberare capitoli da sottoporre all’approvazione reale. Il parlamento del Friuli Il Friuli, per decisione dell’imperatore Corrado II, ebbe un suo parlamento attivo verso la fine del XIII secolo, quando i patriarchi ebbero bisogno dell’appoggio militare e finanziario dei baroni, dei corpi ecclesiastici e delle città per le loro continue guerre contro i vicini. Le lotte interne che si svilupparono successivamente indebolirono a tal punto la forza del Friuli che esso finì per essere incorporato nei domini veneziani nel 1420, data che segnò la fine del parlamento friulano.

I parlamenti del Piemonte nel Medio Evo In Piemonte nella seconda metà del XIV secolo il ruolo del parlamento in rapporto al sovrano era ben definito: la concessione delle tasse e la difesa dei privilegi del paese. Tra il 1536 e il 1559, sotto l’occupazione francese, il Ducato di Savoia cessò di esistere come stato indipendente.Il suo parlamento continuò a funzionare, pur se considerato dalle autorità francesi alla stessa stregua di un’assemblea provinciale. Il duca di Savoia Emanuele Filiberto, rientrato in Piemonte nel 1559, convocò il parlamento con il solo scopo di ottenerne l’approvazione di nuove tasse. Ottenuto ciò, rifiutò di confermarne i privilegi e non lo convocò mai più. La moria dei parlamenti nel Settecento All’inizio del Settecento poco o nulla rimaneva delle tradizioni parlamentari

italiane: nella lotta tra sovrani e parlamenti, i sovrani avevano avuto la meglio. Non solo perché essi avevano più potere, ma perché i parlamenti non rappresentavano il popolo ma erano composti da sudditi privilegiati (baroni, clero). Seppure avessero fatto nascere l’idea della rappresentatività, questa non era per nulla rispettata. Per questo, ci sarebbe voluta, secoli dopo, la democrazia. Sopravvissero, dunque, i parlamenti che contavano poco o niente. Nel caso del parlamento siciliano, invece, fu proprio la scarsa influenza ad essere invocata come pretesto perché non venisse più riunito. Vittorio Amedeo di Savoia, re di Sicilia dal 1714 al 1720, lo chiamò “parlamento di gelati e di sorbetti” poiché sembra che mangiare gelati fosse la principale occupazione dei deputati durante le sedute. Dopo una sola sessione, nel 1714 non lo convocò più.


Storia

Anche gli Asburgo d’Austria e i Borboni di Napoli, che succedettero loro nel 1734 anche come re di Sicilia, seguirono di fatto questa scelta. Ma il parlamento non fu mai sciolto: anche nei periodi di crisi ogni tre anni venne convocato per approvare il bilancio e votare ampi donativi straordinari a favore del sovrano. I parlamenti della Marca, del Friuli e della Valle d’Aosta Il parlamento della Marca d’Ancona ebbe vita lunga grazie, forse, al fatto che rappresentava una quarantina di città e distretti, i quali esercitarono poteri assai limitati e, soprattutto, non minacciarono mai l’autorità del sovrano. Di poco migliore era la situazione nel Friuli, dove il parlamento si riuniva una volta all’anno, per due sessioni di un giorno: il suo ruolo era ridotto all’approvazione formale di questioni già definite dalle autorità veneziane. In Valle d’Aosta l’assolutismo dei principi impedì la convocazione del parlamento che, dal 1776 in poi, non fu mai più convocato dai duchi di Savoia. I Parlamenti nell’Italia preunitaria I fermenti rivoluzionari europei, in Francia, e americani, sul finire del Settecento e nell’Ottocento, affermarono e diffusero l’idea che le assemblee rappresentative dovessero essere costituite da rappresentanti del popolo e non da sudditi o uomini designati dal sovrano per le loro ricchezze e il censo. L’illuminismo francese tuttavia per molti

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anni non scalf ì la realtà italiana: solo nel secondo decennio dell’ottocento prese corpo la prima esperienza parlamentare di modello contemporaneo. Lo Statuto costituzionale del Regno di Sicilia Il 10 agosto 1812, Ferdinando terzo, Re di Sicilia approvò lo STATUTO COSTITUZIONALE del Regno di Sicilia, la prima vera Costituzione adottata da uno Stato pre-unitario. Prevedeva due camere, sul modello parlamentare inglese. Si trattava di una Costituzione “moderna” soprattutto in quanto introduceva il principio della divisione di ruoli fra potere legislativo, potere esecutivo e potere giudiziario e aboliva definitivamente il sistema feudale ed ogni suo retaggio. Nel 1816 le corone di Napoli e di Palermo vennero unificate e si formò il Regno delle Due Sicilie: la costituzione del 1812 venne abrogata. La Repubblica romana Pur nella sua brevità, l’’esperienza siciliana del 1812, costituì per altre realtà italiane un modello al quale ispirarsi. Il vento delle innovazioni istituzionali permise a Roma la formazione di un’assemblea costituente nel 1848. Contro la sua attività combatté Papa Pio IX, attestato sempre più su posizioni antiliberali che finirono per impedire una serena vita parlamentare. Ma l’impetuosa ventata liberale ebbe la meglio e l’azione dei romani sfociò nella elezione di una nuova assemblea,

sempre costituente, che l’8 febbraio 1849 proclamò la Repubblica romana. Questa però capitolò il primo luglio del 1849 per l’intervento di un corpo di spedizione francese arrivato in aiuto di Pio IX. Le Assemblee costituenti del Risorgimento Nel parlamento del Piemonte si concentrano le direttive della rivoluzione. Il secondo ministero Cavour (4 maggio 1855) sconfigge il mazzinianismo parlamentare, conquista il parlamento al suo programma di guerra e ne fa votare i fondi necessari con un progetto di legge. Le assemblee costituenti radunate a Firenze, a Modena, a Bologna, a Parma dall’agosto al settembre sanzionano l’opera promossa dal governo di Torino e l’annessione al regno costituzionale di Vittorio Emanuele.


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i giorni nostri Lo Stato regionale Per molti anni lo Stato italiano, nato dal punto di vista dell’organizzazione amministrativa nel 1865, ha mantenuto un’impronta prevalentemente centralista, pur con l’istituzione di cinque regioni a statuto speciale: Sicilia, Sardegna, Friuli Venezia-Giulia, Trentino, Valle d’Aosta, dotate di più ampi poteri nell’amministrarsi. I cambiamenti più rilevanti si ebbero nel 1970 con l’istituzione delle Regioni a statuto ordinario e nel 1990, con una serie di leggi che hanno decentrato alle regioni alcune prerogative. Oggi vi è uno Stato regionale, costituito da una pluralità di enti e di centri di potere, con forti autonomie locali, ulteriormente rafforzate dalle modifiche costituzionali approvate nel 2005. L’Autonomia Siciliana La Sicilia è una Regione autonoma a Statuto speciale. Le norme dello Statuto trovano fondamento nella Costituzione italiana. L’Autonomia della Regione siciliana si fonda su due poteri: il potere legislativo, di cui è investita l’Assemblea regionale siciliana, e ilpotere esecutivo, proprio del governo regionale Lo Statuto speciale ha attribuito alla Regione competenza esclusiva su un lungo elenco di settori, tra i quali agricoltura e foreste, industrie e commercio, urbanistica e lavori pubblici, turismo e tutela del paesaggio. I nuovi poteri dei parlamenti regionali Nel 2001 il Parlamento italiano, apportando alcune modifiche alla Costituzione, ha rafforzato le prerogative, le funzioni e i poteri delle Regioni a Statuto ordinario, diminuendo così le differenze tra queste e le Regioni a statuto speciale. Ogni Regione è dotata di un’assemblea legislativa, chiamata Consiglio regionale ed i suoi membri sono chiamati consiglieri regionali, ad eccezione della Sicilia, che ha un’Assemblea regionale i cui componenti sono chiamati deputati regionali.

il presente e il futuro E-democracy I cittadini oggi vogliono potere valutare l’efficacia delle politiche, formulare suggerimenti e prendere così parte attiva all’attività parlamentare. La risposta dei Parlamenti regionali all’accresciuta domanda di trasparenza e responsabilità delle rappresentanze democratiche è l’E-democracy, un modello di democrazia elettronica che utilizza le “ICT”, le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione, per realizzare nuovi percorsi privilegiati che istituiscano un dialogo autentico tra il cittadino e le Istituzioni. E-way Con questo intento, l’Assemblea regionale siciliana ha realizzato e reso disponibile sul proprio sito web www.ars.sicilia. it, il sistema e-way. Utilizzandolo in maniera molto semplice, i cittadini possono ricevere una newsletter, grazie alla quale essere informati in tempo reale sull’attività dell’ARS, ma soprattutto hanno l’opportunità di esprimere pareri sui disegni di legge in discussione in Commissione o in Aula. È il primo passo verso una nuova agorà.


Personaggi

florio

il play boy Nei lunghi anni trascorsi a contatto quasi quotidiano con Vincenzo Florio, viaggiando e nei mille sopralluoghi alle Tribune o sul percorso della «Targa Florio», sua creatura prediletta, la sua inesauribile conversazione quasi sempre mi portava nel mondo dei sogni, raccontando vicende da «Mille e una notte», pur realmente vissute. E senza ombra di rimpianto, nel suo forte carattere, esponeva con semplicità i fasti e i nefasti del suo passato. E benché fosse opinione comune che il crollo del suo casato era imputabile al fratello Ignazio, ebbe sempre parola di giustificazione in sua difesa: la crisi industriale dei primi anni del secolo; la politica nordistica di Giolitti; la prima guerra mondiale... Ovviamente Ignazio Florio era troppo un gran signore, amico di sovrani, per non essere anche un buon ammiratore, e il fratello indugiava compiaciuto nel raccontare le... glorie, mondane a livello internazionale, i suoi contatti coi più celebri personaggi del tempo e, perché no, con le più celebri «cocottes» dell’epoca. Trascurando le cose troppo serie, ho voluto raccogliere in queste poche pagine gli episodi più brillanti e fantastici che ricordo e che, inoltre, possono costituire una pennellata sui costumi di un epoca che è entrata nella storia.

La «donna più bella del mondo» Quando Ignazio Florio conobbe Lina Cavalieri, la quale non disdegnava l’appellativo di «donna più bella del mondo», lei cantava romanze e canzoni appassionate nei teatri di varietà. Ma, per soddisfare la sua ambizione, volle che il suo illustre amico si adoperasse

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per lanciarla nel campo del teatro lirico. E così il Florio la fece convenientemente preparare e, attraverso le sue particolari aderenze, ottenne il debutto alla Scala di Milano, con la «Boheme» di Puccini. L’esito fu mediocre. Poco tempo dopo si doveva predisporre la stagione lirica al Teatro Massimo di Palermo, dove Ignazio Florio era magna pars


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(amministratore e, soprattutto, finanziatore); è ovvio quindi che la prima opera messa in cartellone fu la «Boheme», con la Cavalieri. La cosa però non riuscì affatto gradita alla moglie la quale, rivolgendosi a qualche amico disse: «Se mio marito mi fa qualche torto mentre è fuori Palermo, pazienza; non glielo posso impedire. Ma non tollero che debba portarla a Palermo e che i palermitani debbano batterle le mani. Fischi ci vogliono!» «Stia tranquilla, rispose qualcuno, a questo penseremo noi». E infatti fu organizzata una claque di fischi, che sin dalla prima apparizione sulla scena mise in imbarazzo la bella cantante. E quando si ritirò dietro le quinte, dove il Florio l’attendeva trepidante, lo apostrofò risentita. «Ma perché fanno così? E questo il trionfo che mi avete assicurato?» Il nostro uomo, sia che già avesse avuto sentore di quel che si era tramato (e che naturalmente non poteva rivelare) sia che anche lui non riuscisse a spiegarsi l’ostilità del pubblico, cercò di consolarla al meglio: «Non preoccuparti, tu hai cantato benissimo. I palermitani fanno come gli americani: applaudiscono coi fischi!» Allora donna Franca usava ricevere nel suo palco, negli intervalli, gli interpreti principali, ed anche questa volta non venne meno alla consuetudine: fece chiamare la Cavalieri, l’invitò a sedersi vicino a lei e si prese il gusto di umiliarla con domande imbarazzanti, delle quali conosceva già le risposte: «In quali altri teatri avete cantato? A parte il varietà, naturalmente». «Mah, finora, soltanto alla Scala». «E quali sono le opere del vostro repertorio?» «Per il momento solo la Boheme». E poi, il colpo finale: «È un vero peccato che il pubblico palermitano non abbia apprezzato il vostro talento!» A questo punto Lina non ebbe più dubbi

sull’origine dei fischi e, levatasi in piedi: «No signora, sono io che non merito la stima dei palermitani!» E con un bell’inchino si ritirò. L’indomani rifece le sue valige e non ci furono preghiere che la convinsero a rimanere; dovettero sostituirla, mentre lei si ritirava nella villa che il Florio le aveva regalata, nei dintorni di Firenze, presso Settignano. Non appena lui potè svincolarsi dagli impegni del teatro la raggiunse e trovò certamente il modo di placarne le ire. Come tutti ricorderanno, lei aveva una grande passione per i cani levrieri: quasi ogni foto od immagine della diva la ritraeva con almeno una delle sue bestie vicina. Ed in quella occasione si ricordò che alla sua collezione mancava un levriere russo: quelli bianchi, a pelo lungo, col muso affìlatissimo... Spettò al Florio il compito di trovarne uno. Scrisse a vari conoscenti, a chi poteva aiutarlo nella ricerca, ma invano. Sicché un bel giorno decise di andare di persona nel luogo nel quale, secondo lui, lo avrebbe certamente trovato: Il grande mercato degli animali di Amburgo. Quando ebbe esposto il suo desiderio al Direttore, questi lo disilluse sorridendo: «Egregio signore, noi qui abbiamo tigri, leoni, elefanti, scimmie quante ne vuole, ma niente cani!» «Ma almeno potete indicarmi dove posso trovarne uno?» «No, amico mio; è un genere di cui non mi sono mai occupato». Dopo di che se ne tornò deluso in albergo. Nella hall trovò una comitiva che tornava dalla Norvegia, dove aveva assistito alla caccia alla balena; e fra questi un amico palermitano, il principe di Petrulla. Quando quest’ultimo ebbe ascoltato la storia del cane, da uomo faceto qual’era, disse: «E tu vieni qui per cercare il levriere russo? Devi andare in Russia!» «Tu scherzi, ma mi hai dato una buona idea. A Pietroburgo ho qualche amico e sono sicuro di farcela. Giacché sono qui, voglio pro-


Personaggi

Lina Cavalieri

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vare. Mommino, mi accompagni?» «Volentieri». L’indomani erano a Pietroburgo; ma neanche lì la ricerca diede buoni frutti. Qualcuno gli suggerì di provare a Mosca, città più moderna, più evoluta. Niente; solo un tale, che se ne intendeva, seppe dargli un consiglio: «Se proprio tenete a trovarlo, dovete andare ad Odessa; lì c’è un immenso canile, con tutte le razze di cani di questo mondo. Troverete certamente quello che cercate». Dopo aver girato tanto, decisero di provare anche ad (Messa; dopo di che si sarebbe tornati comunque a casa. E lì infatti, alla periferia della città, trovarono un gruppo di grandi capannoni pieni di cani. Vi erano dei cartelli indicatori ma, ovviamente, in lingua russa. Fortunatamente c’era un custode che conoscevi un pò il tedesco e potè spiegare che i capannoni ospitavano i cani a seconda delle loro destinazioni: caccia, custodia, passeggio, salotto, ecc. «E i levrieri dove stanno?» «Nel padiglione della caccia, il primo a destra». Entrarono in quel capannone e videro, d’ambo i lati di un corridoio centrale, una lunga serie di boxes, con cani di tutte le razze: pointers, bracchi, cockers, ecc. e finalmente i levrieri: ma nessuno «russo»! «Non ce ne sono più, levrieri?» «E le sembrano pochi?» rispose il custode allibito. Dovette chiarire la sua domanda. «Ah, si. Ma quelli sono molto rari. Una volta ne avevamo uno, ma è stato venduto ad un forestiero». «E a chi? Si può rintracciare?» «Era un inglese, ma non posso dirle altro. Non prendiamo nota dei compratori». «Vi prego di trovarmene uno. Sono disposto a pagarlo qualunque prezzo e in più un bel regalo per voi. Vi lascio il mio recapito». «Proverò, ma sarà diffìcile». Rientrati in albergo decisero di tornare a casa e Florio volle telegrafare alla bella, comunicandole l’esito infruttuoso delle sue ricerche.

Dopo poche ore, ricevette un telegramma di risposta: «Meglio non tornare. Lina». «Che significa ciò?» chiese all’amico. «Perché non c’è il cane debbo restare qui?» «Non c’è che una spiegazione» sentenziò il Petrulla. «E quale?» «Ti ha fatto le corna!» «Bah, smettila. Non è possibile». Naturalmente rientrarono in Italia, separandosi alla stazione di Firenze: il Petrulla proseguì per Palermo, mentre il Florio si recò alla villa. Lo accolse la governante: «La signora è partita. Ma non deve essere lontana, perché giornalmente manda a ritirare la posta. Ha lasciato un biglietto per lei». Il biglietto era cosi concepito: «Sei stato un amico indimenticabile. Telefona a Gabriele. Ciao, Lina». Gabriele (D’Annunzio), col quale correvano rapporti amichevoli, abitava allora una villa da quelle stesse parti: la «Capponcina». Ignazio Florio si affrettò a chiamarlo al telefono. «Ah, sei tornato? Lina è qui con me. L’indomani della tua partenza qui c’è stato un temporale violentissimo. Come tu saprai, Lina ha una gran paura dei tuoni, e mi ha telefonato, pregandomi di venire a farle compagnia. Io purtroppo non potevo allontanarmi perché aspettavo una comunicazione urgente da Milano, e così le ho mandato la mia carrozza, pregandola di venire lei. E siccome il tempo si è mantenuto cattivo, non si è più mossa. Ma ora che ci sei tu...». «No grazie. Io debbo ripartire per Palermo, e siccome potrebbero venire altri temporali, meglio che resti con te!»


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Eventi Foto e testi di Gabriele Maricchiolo

Targa Florio

2010 S

i è conclusa con la vittoria del pilota siciliano Totò Riolo la 94esima edizione della “Targa Florio” la gara automobilistica più antica al mondo. Era infatti il 1905 quando Vincenzo Florio confidò all’amico Henry Desgrange, direttore del quotidiano parigino “l’Auto” l’intenzione di organizzare una gara automobilistica in Sicilia. L’anno dopo, esattamente il 6 maggio del 1906, Alessandro Cagno su Itala 35 Hp vinceva la prima Targa Florio in 9 ore 32 minuti e 22 secondi alla media di 46,8 KMh. Nel corso degli anni, la gara siciliana si è confermata una competizione difficile e spettacolare, capace di attirare i piloti più blasonati del momento. Sulle strade di Cerda si sono confrontati i migliori piloti al mondo, uno su tutti Tazio Nuvolari che dopo essere arrivato quinto nell’edizione del 1930, vinceva la Targa nel 1931 e nel 1932 sempre su Alfa Romeo. Solo i conflitti bellici sono riusciti a bloccare le macchine tra i tornanti delle Madonie interrompendo le competizioni dal 1914 al 1919 prima e dal 1940 al 1948 poi.

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ra i vincitori degli ultimi anni, con veri e propri bolidi, Paolo Andreucci (5 edizioni), Gianfranco Cunico (5 edizioni), Dario Cerrato (4 edizioni). La 94esima edizione, valevole per il Trofeo Rally Asfalto, parte sotto i migliori auspici. Grande entusiasmo con 84 equipaggi al via, tempo bello e pubblico ad ogni curva. Prologo con una prova spettacolo in pista e poi la classica partenza da piazza Politeama. Sotto il tricolore che apre la gara, i due protagonisti più attesi, Felice Re su Xsara WRC e Luca Pedersoli su Focus WRC, entrambi in testa al TRA a pari punti. I 444,70 km di gara divisi in 9 prove speciali regalano emozioni e qualche sorpresa.Totò Riolo pilota siciliano, già vincitore di due edizioni della Targa, balza al comando fin da subito, riuscendo ad incrementare il vantaggio prova dopo prova. È lui il trionfatore indiscusso della competizione, alle sue spalle Re che riesce a beffare Pedersoli per solo un decimo di secondo che gli frutta la momentanea leadership nel Trofeo Rally Asfalto.


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Magnifica Sicilia di Pietro Astone

i colori dello stretto Sole, mare, coralli dalle mille sfumature… Tutto ciò fa volare la nostra mente verso lidi lontani migliaia di chilometri da noi. Ma siamo così certi che tutto questo non sia più vicino di quanto crediamo?

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on è necessario bagnarsi per poter incontrare la splendida Actinia equina, conosciuta ai più come pomodoro di mare. Con una maschera e boccaglio e occhio allenato possiamo tra le tante meraviglie dei nostri mari scorgere la stella serpente (Ophidiaster ophidianus) dall’intenso rosso fuoco o sotto qualche sasso far capolino lo stupendo gamberetto Gnatophyllum elegans o il varipinto nudibranco (Hypselodoris webby), o farci incantare dal ritiro fulmineo dentro il suo tubo pergamenaceo dello spirografo (Spirographis spallanzanii). A profondità ancora accessibili senza autorespiratore possiamo trovare il cerianto di sabbia (Cerianthus solitarius) mentre per trovare i

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più variopinti cerianti (Cerianthus membranaceus) spesso sono necessari bombole ed erogatore e visto che ormai le abbiamo messe alle nostre spalle vediamo cos’altro abbiamo la fortuna di poter incontrare. Non possiamo non iniziare dallo splendida madrepora arancione (Astroides calycularis) che si incontra a profondità medio basse a volte anche a pochi metri ma che da il meglio di se tappezzando le grotte con il suo intenso color arancio, per proseguire con le Margherite di mare (Parazoanthus axinellae) spesso ospiti di spugne (Axinella damicornis). A profondità più o meno accessibili troviamo altre splendide madrepore (caryophyllia inornata - Caryophillia smithi- leptosamnia pruvoti) o le

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1. Actinia equina 2. Gnatophyllum elegans 3. Hypselodoris webby 4. Flabellina affinis

Il meraviglioso mondo sommerso ricco di vita e di colori dei nostri fondali


Magnifica Sicilia

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i colori dello stretto

per info: info@gloriamaris.it

stupende anemoni gioiello (Corynactis viridis) con una torcia e con molta attenzione è possibile scorgere dentro qualche grotta una coppia di gamberi meccanico (Stenopus spinosus) crostacei dalle abitudini rigorosamente di coppia. Spingendoci verso fondali più impegnativi troviamo la stupenda gorgonia rossa (Paramuricea clavata) che nello stretto ed in pochi altri posti nel mediterraneo assume varianti cromatiche giallo-rosso. Non meno spettacolare è l’acionario parassita (Parerythropodium coralloides)

che non costruendo una struttura propria ricopre le altre gorgonie. Nelle distese di fango a profondità elevate invece si trova la Mano di S.Pietro (Alcionum palmatum) affascinate e coloratissimo alcionario. Chiudiamo il nostro viaggio incontrando il più famoso e prezioso corallo dei nostri mari (Corallium rubrum) sempre più raro e sempre più nascosto negli abissi come a cercare riparo dalla nostra sconsiderata brama di averlo. 7

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5. Ophidiaster ophidianus 6. Caryophillia smithi 7. Spirographis spallanzani 8 Astroides Calycularis 9. Stenopus spinosus 10. Cerianthus membranaceu

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Cross Over di Roberto Rizzuto

mazara, senza immigrati si chiude bottega N

el calderone dell’informazione, spesso, gli immigrati finiscono con l’essere catalogati tutti allo stesso modo. Sforzarsi di distinguere tra chi delinque e chi vive nella legalità è quasi un optional, sia per chi confeziona le notizie, sia per chi ne fruisce. Ecco, allora, che il tiro al bersaglio contro il romeno o il marocchino di turno diventa, il più delle volte, lo sport nazionale di riferimento, subito dopo il calcio. Parlare del risvolto della medaglia, ovvero, per esempio, del contributo essenziale fornito dai cittadini stranieri in svariati settori cardine dell’economia italiana, non suscita il medesimo interesse scatenato invece dal puntuale resoconto di reati più o meno gravi, prontamente riportati da giornali e televisioni. Eppure, il sostegno garantito dagli immigrati è oggi decisivo per il mantenimento in vita di quei comparti ormai snobbati dai nostri connazionali. Un esempio pratico è dato dal caso di Mazara del Vallo, fiore all’occhiello dell’industria ittica siciliana e italiana; una realtà nella quale, in assenza della manodopera tunisina, i motopescherecci non potrebbero nemmeno salpare. I numeri parlano chiaro: la metà della forza lavoro è costituita da magrebini (che in città, invece, rappresentano appena il 5 per cento della popolazione). Nel tempo hanno via via sostituito gli italiani. Mille euro al mese per stare al largo sino a novanta giorni,

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senza mai toccare terra e in condizioni tutt’altro che agevoli. Una vitaccia, insomma, che comincia a fare sentire il proprio peso sulle spalle degli stessi immigrati. “Da sei mesi l’armatore non mi paga - racconta Benur, pescatore 53enne - l’ho denunciato, ma finora non è accaduto nulla”. “Questo è un lavoro - rilancia il collega e connazionale Bazine - che non augureresti di fare nemmeno al tuo peggior nemico”. Mazara del Vallo costituisce un caso emblematico, tutt’altro che isolato. Da nord a sud, la presenza degli immigrati è di vitale importanza in molti altri settori. Nel nord-est, ad esempio, la maggior parte dei camionisti è costituita da cittadini stranieri. Ad Arrignano, nel Vicentino, è straniero un conciatore su tre, mentre in Val di Cembra i cavatori sono per il 50 per cento immigrati. Per quanto concerne la formazione di braccianti qualificati, negli ultimi otto anni, gli stranieri hanno superato gli italiani. Nel Casertano e nel Salernitano, gli allevatori sono quasi tutti immigrati, per non parlare di tate e colf, che nel 90 per cento dei casi sono straniere. Numeri inequivocabili, questi, che documentano una realtà poco pubblicizzata dai media, perché meno “appetibile” dei truculenti fatti di cronaca nera. Ragionare sulla presenza degli immigrati nel nostro paese, tuttavia, significa fare i conti anche con questi dati. E i dati, almeno per una volta, sono dalla parte dei cittadini stranieri.



Intervista di Salvatore Parlagreco

pib

Vincenzo Onorato presidente di Mascalzone Latino

I nuovi italiani negli Usa, Giovanni Abbadessa, oncologo e ricercatore “Siamo diventati importanti, vi spiego perché”

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icordate “Rocco e i suoi fratelli”, film cult degli anni sessanta? No, non potete se non avete l’età. Ebbene quel film raccontò l’emigrazione meridionale nel Nord del Paese. Dopo mezzo secolo è stato un altro film a rievocare l’epopea dei meridionali d’America, in dialetto siciliano, “Nuovomondo” di Emanuele Crialese. Non c’è niente in quelle opere che non sia la storia vissuta dagli italiani in cerca di fortuna, ma non c’è niente di più lontano dall’emigrazione degli italiani negli Stati Uniti. Non solo e non tanto perché la signora Nancy Pelosi è la speaker del Congresso, si fa rispettare, è elegante, moderna ed ha promosso con successo l’avvento di Obama nel suo Paese, ma perché gli italiani che si occupano di pizza e suonano mandolino sono diventati pochi e Little Italy è diventato un quartiere come gli altri. L’immigrazione italiana in America è profondamente cambiata. I nostri connazionali di seconda, terza e quarta generazione hanno guadagnato prestigio, reddito e ruoli importanti in ogni settore della vita pubblica. Lo stereotipo della pizza, mafia e mandolino viene utilizzato a fatica dai media e i Soprano sono solo una fiction ben riuscita. Perfino Cosa nostra ha levato le tende, nel senso che - ringraziando Iddio - conta molto meno delle mafie autoctone, cinesi, irlandesi eccetera. Gli “scappati” sono tornati a

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casa, negli Usa prevalgono giovani italiani che parlano più lingue, godono di buona immagine e arrivano facilmente sui media per ciò che fanno o propongono. Di questo nuovo corso è un’associazione, “PIB” www.PIBoston.org, fatta di professionisti affermati e molto giovani, che raccoglie più di 250 iscritti. Il coordinatore è Giovanni Abbadessa, oncologo clinico, napoletano, che ha superato da poco i trenta anni ma già vanta un curriculum straordinario a Milano e Philadelphia. Del suo lavoro si è scritto a proposito di una ricerca dedicata al tumore polmonare per gli interessanti risultati ottenuti sul terreno della sopravvivenza dei pazienti. La nostra conversazione telefonica è ricca di aneddoti, esperienza, sollecitazioni, suggerimenti e costanti raccomandazioni, la più importante delle quale riguarda l’immagine degli italiani d’America. Giovanni Abbadessa ci ricorda incessantemente che l’emigrazione italiana negli Usa è altra cosa, quasi diffidasse della nostra volontà di accettare questa novità. Una diffidenza giustificata, invero, perché la letteratura, la televisione e il cinema fanno di tutto per lasciare le cose come stanno, nonostante la realtà sia profondamente mutata. La mission di Giovanni Abbadessa e la sua associazione è proprio questa, fare sapere come stanno le cose, dare visibilità agli italiani d’America che lo meritano, ed aiutare

quelli che hanno buone idee e buone competenze a farsi strada. Non una lobby, tuttavia, ma un luogo in cui sentirsi “a casa propria”, fra amici legati insieme dalla cultura, le tradizioni, l’eccellenza, il bisogno di uscire dagli stereotipi appiccicati all’emigrazione italiana. “Il tempo delle valigie di cartone è finito, una volta gli italiani non s’integravano, facevano gruppo fra loro, si rompevano la schiena a lavorare e tornavano a casa. Era come se non si trovassero negli Usa…” Poi che cosa è accaduto? “La seconda generazione si è impadronita della lingua. Non solo italiano, ma inglese e altro. La voglia di sfondare, di farsi apprezzare, d’integrarsi nel Paese che li ospita, di sentirsi come gli altri”. Un taglio netto, dunque. “Con il passato, sicuramente, ma con l’Italia no. I nuovi italiani d’America sono al passo coi tempi e seguono l'evoluzione dell loro Paese così com'è oggi. Le persone arrivate qui tanti anni fa sono ferme all’Italia dei loro nonni, che non esiste più…”. Un fenomeno inverso ed insieme uguale a quello che li vede protagonisti. “Certo, è così. Il nostro compito è anche di fare conoscere agli italiani di terza e quarta generazione l’Italia di oggi. Lasciassero perdere il cinema e


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Vincenzo Onorato con Giovnni Abbadessa

vedessero quante cose sono cambiate, insomma…” Vi siete assunti un bel compito. “Sì, è vero, ci lavoriamo con entusiasmo. Io sono soltanto uno dei tanti. Nel giro di poco tempo la nostra associazione si è arricchita di tanti professionisti, alcuni sono davvero importanti e ci danno lustro. Non si tratta di fuga dei cervelli, si tratta di professionisti che hanno scelto di andare laddove ci sono le condizioni migliori per ottenere il meglio dalle loro competenze”. Le motivazioni dell’emigrazione sono profondamente diverse? “Sicuramente, gli specialisti non fanno davvero differenza su dove andare. Si va ovunque e si ottengono posizioni di rilievo, posizioni che a casa propria non si potrebbero raggiungere perché non ci sono i presupposti”. Vi siete organizzati da soli o avete avuto un aiuto dalle istituzioni? Il console italiano a Boston, Liborio Stellino, ci ha dato una mano. Ha lavorato

come noi con entusiasmo, peccato che stia tornando a casa, a luglio va via, gli dobbiamo molto”. Avete organizzato eventi, promosso manifestazioni? “Sì, abbiamo un calendario di eventi nutrito. La nostra intenzione è di fare incontrare gli italiani fra loro, sono tantissimi quelli che non sanno quasi nulla dell’emigrazione italiana negli Usa. Gli italiani sono passati da una lunga stagione dell’emarginazione, esclusione, voglia di rimanere a casa propria, all’estraneità totale. Gli ebrei, i cinesi e altri hanno costituito delle comunità, associazioni, mentre gli italiani - a parte gli organismi più noti e assai particolari - hanno poche occasioni per vedersi, scambiarsi conoscenza, informazioni o semplicemente diventare amici. Ci siamo chiesti perché non fare gruppo anche noi. In questo modo possiamo aiutare chi cerca un lavoro, a trovarlo. Non un lavoro qualsiasi, naturalmente. Vogliamo che gli italiani si incontrino ovunque, come ogni americano.

Del resto, gli italiani hanno oggi tanta influenza nella vita americana”. In quali settori della vita americana? “Sono avvocati, amministratori di grandi aziende, manager. Promuoviamo anche incontri in Italia con italo-americani. Ne abbiamo organizzato uno dedicato alle piccole aziende italiane in collaborazione con l'Unione Industriali di Napoli, Sezione Giovani. Possiamo contare su personaggi importanti, che vogliono dare un contributo. Sono motivati e diligenti. Nel nostro calendario per gli eventi del 2010 figurano nomi importanti come Gennaro Matino, che si occupa di microcredito e progetti di sviluppo;Vincenzo Onorato, presidente di Mascalzone Latino, il team velico attuale Challenger of Record dell'America's Cup; Renzo Canetta, Vice Presidente di Bristol-Myers Squibbs; Giulio Draetta, Chief Research Business Development Officer del Dana-Farber, l'ospedale oncologico di Harvard; Claudio Bozzo, presidente di Meditteranean Shipping Company e della Camera di Commercio Italiana a New York”.


Natura di Rossella Leonforte

Il fascino arcaico della Grotta dei Puntali di Carini Un luogo ricco di testimonianze da diverse ere geologiche

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conosciuta e al tempo stesso famosa: è il paradosso della Grotta dei Puntali, alle falde di Monte Pecoraro, nei pressi di Carini. Ricca dal punto di vista naturalistico, paleontologico e archeologico, è però poco conosciuta persino fra gli abitanti della zona. Eppure, da qui proviene lo scheletro dell’elefante nano conservato, insieme a numerosi altri fossili di identica provenienza, al museo Gemmellaro dell’Università di Palermo e da qui provengono anche fossili conservati a Terrasini a Palazzo d’Aumale, sede del museo regionale di storia naturale. Dallo stesso luogo provengono anche ritrovamenti che testimoniano la presenza dell’uomo a partire dal Paleolitico superiore fino alla Media Età del Bronzo, conservati al museo archeologico Salinas. Reperti ritrovati nella Grotta dei Puntali si conservano in musei di diverse altre città, come Padova, Ferrara o Firenze. E non è tutto: su una parete della cavità si possono scorgere ancora graffiti di età preistorica, alcuni dei quali ritraggono figure zoomorfe. Si tratta quindi di un ambiente particolarmente ricco di testimonianze che, partendo dagli scheletri dei grandi mammiferi del Pleistocene superiore (oltre ai resti fossili di elefanti nani si sono trovati quelli di ippopotami, iene, buoi primigeni, bisonti, cervi, cinghiali) arrivano fino a documentare la comparsa dell’uomo e la sua vita all’interno

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dell’anfratto. Oggi l’area circostante è caratterizzata da interessanti tipi di flora e fauna. Di particolare attrattiva all’interno della grotta è una colonia di chirotteri (pipistrelli) costituita da ben sei specie differenti, annoverata dalla Comunità europea tra quelle di interesse perché in via di estinzione. Qua e là si notano inoltre formazioni calcaree (stalattiti e stalagmiti) ed alcuni tratti delle pareti sono caratterizzati da vermiculazioni argillose che danno un aspetto particolare detto a “pelle di leopardo”. Tutto questo, unito al paesaggio sul golfo di Carini che si vede dall’interno della grotta, rende il luogo particolarmente affascinante anche per i meno esperti. Tant’è che oggi la scommessa è: far conoscere la grotta senza deturparne il fascino incontaminato. Nel novembre del 2001 la grotta e l’area circostante sono state dichiarate riserva naturale integrale e da allora si è cercato di fare un po’ d’ordine nella zona, affidata in gestione ai Gre, Gruppi ricerca ecologica, la stessa associazione alla quale recentemente è stata affidata anche la grotta Molara a Cruillas. Per la grotta dei Puntali attualmente sono in via di ridefinizione i confini, che verranno lievemente ampliati, ma soprattutto resi più coerenti rispetto al territorio. Da qualche tempo sono stati anche avviati dei lavori per la salvaguardia dell’area e per migliorarne la fruizione

da parte dei visitatori. È stata realizzata una recinzione in legno di castagno ed è stato migliorato il sentiero che porta alla grotta, quasi nascosta dalla vegetazione. “Tutto nel massimo rispetto dell’ambiente” precisa il presidente dei Gre, Umberto Balistreri. Anche le visite vengono regolamentate, ammettendo all’interno della grotta soltanto poche persone per volta, per evitare di interferire con l’ecosistema, a partire dalle colonie di pipistrelli che, per la loro notoria timidezza, se disturbati, potrebbero disperdersi e sparire. La grotta “è considerata un unicum in Europa - sottolinea Umberto Balistreri - per la grande ricchezza tanto dal punto di vista storico che naturalistico”. Per questo è necessario coniugare due diverse esigenze: far conoscere il luogo e conservarlo integro. Non a caso negli ultimi anni l’associazione ha rivolto particolare attenzione alle scuole per far conoscere a bambini e ragazzi un luogo tanto straordinario e al tempo stesso per far comprendere loro l’importanza di tutelarlo.



Natura di Pietro Astone

sikania Ai confini della Sicilia

SIKANIADVENTURE è un Associazione Apolitica ed Apartitica che nasce ufficialmente nel 2006. L’idea è di un gruppo 40enni, che dopo aver viaggiato in lungo e in largo per la Sicilia a bordo di 4x4, moto, camioncaravan, moutain-bike (oltre che a piedi), decidono di coinvolgere nei loro viaggi altri appassionati o più semplicemente persone dotate di occhi per osservare, orecchie per sentire, ma soprattutto persone che sappiano ancora emozionarsi davanti a un tramonto o un campo di fiori selvatici. Oggi, Sikaniadventure, si pone come punto di riferimento, per quanti abbiano voglia di sensazioni “forti”, fatte di colori, profumi e sapori, ma non solo, cultura, natura e soprattutto avventura a bordo di fuoristrada (auto, moto, quads, camion 4x4, mountain-bike), unici mezzi di trasporto, capaci di portare i partecipanti attraverso un viaggio nel tempo, un viaggio attraverso sentieri, piste e trazzere in disuso e abbandonate, testimonianze di un mondo che oggi non è del tutto scomparso, ma che rivive grazie alla continua esplorazione degli organizzatori. Piste e trazzere (le famose “REGIE”) sono diventate le vie di penetrazione viaria preferite, per raggiungere borghi o villaggi ormai abbandonati. L’incontro con

Nelle foto paesaggi e luoghi unici della Sicilia, spesso raggiungibili solo con mezzi da fuoristrada

Per informazioni: www.sikaniadventure.it

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Sikania Adventure nella attività coinvolge ristretti numeri di equipaggi, mantenendo così la classica atmosfera del giro fra amici e il piacere di viaggiare in compagnia. Le famiglie sono benvenute e la difficoltà del percorso non è la caratteristica principale del giro; non mancheranno però varianti più tecniche in base alle esperienze dei partecipanti e a i luoghi da raggiungere…. Le tappe saranno adeguate al percorso e verranno decisi quanti chilometri giornalieri di off-road. Per partecipare ai tour bisogna predisporsi alla vita di gruppo, e impegnarsi perché l’avventura sia un piacere per tutti, mettendo a disposizione le attrezzature e la propria esperienza tra compagni di viaggio. Non è richiesta una particolare preparazione del mezzo ma è chiaro che il mezzo deve essere in ordine con una buona messa a punto generale prima della partenza, e soprattutto con gomme in buono stato (meglio se di tipo “artigliate” nella stagione primaverile o invernale), mentre la radio CB a bordo consentirà di restare continuamente in contatto con l’organizzazione. Durante il viaggio possono rivelarsi utili le attrezzature per il traino, pala, binda e altri accessori, ma se non le avete saremo noi a metterle a disposizione nel momento del bisogno. Le guide aspettano direttamente allo scalo navale o aeroportuale di Palermo e non appena sbarcato, si potrà intraprendere il viaggio.

qualche vecchio pastore o semplicemente una vecchia lapide, fanno ricordare, quanto questa Isola sia stata importante nei secoli passati. Arabi, Normanni, Spagnoli, francesi e Borboni, hanno lasciato innumerevoli testimonianze di quanto la Sicilia sia stata in passato il ponte ideale tra l’Oriente e l’Occidente. Sikaniadventure aiuta a scoprire i percorsi più belli dell´isola, le piste abbandonate, le “Regiae Trazzere “, le antiche piste carovaniere che servivano per gli interscambi tra l’interno dell’isola ed il mare….. Con i ragazzi di Sikaniadventure si potranno attraverserai boschi secolari e distese di macchia mediterranea, così come immergersi nello splendido paesaggio contadino siciliano fatto di colori, e odori, dove è impossibile rimanere affascinati. Si incontreranno le genti dei luoghi attraversati e si potanno conoscere le loro tradizioni, assaporare i prodotti della terra, quelli buoni e ancora genuini….. L’associazione organizza qualsiasi tipo di percorso; scorrevole per i SUV o uno più tecnico per i 4x4 tradizionali dotati di marce ridotte, per i quads, o le mountain bike e perché no anche a piedi o a cavallo….. Inoltre è possibile decidere il periodo che si preferisce, la durata, mare o montagna e le formule campeggio/bivacco, agriturismo o alberghi….


Stretto e immenso didiPietro PeppeAstone Caridi foto di Roberto Lembo

trasporti sullo stretto il sistema di mobilità tra le due sponde è appeso al sottilissimo filo della Metropolitana del Mare

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e vicissitudini legate all’avvio del servizio di ‘Metropolitana del MarÈ che dovrebbe rivoluzionare il sistema di trasporto nello Stretto di Messina assumono, giorno dopo giorno, connotati sempre più intricati e complessi. Dopo quattro anni dal bando di gara, il servizio non è ancora stato attivato e, di volta in volta, i pendolari continuano ad assistere a un continuo rinvio della data di partenza attesa, l’ultima volta, per il mese di giugno. Ma nell’ultimo incontro presso il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, a Roma, gli enti locali rappresentati dal Sindaco di Messina Giuseppe Buzzanca, dal Sindaco di Villa San Giovanni Rocco La Valle, dall’Assessore ai Trasporti del Comune di Reggio Calabria Amedeo Canale e dal Governatore della Calabria Giuseppe Scopelliti, si sono opposti al piano tariffario presentato dal Consorzio ‘Metromare dello Stretto’, l’Ati tra Ustica Lines e Bluvia-Rfi che ha vinto la gara d’appalto per la realizzazione del servizio di ‘Metropolitana dello Stretto’: «Sono tariffe folli, è una proposta inaccettabile, indecente e irricevibile. Non consentiremo che le esigenze delle nostre comunità vengano calpestate». Con questo nuovo stop anche l’obiettivo di partire a giugno viene a mancare e la partenza del servizio slitta “a data da destinarsi”, come si suol dire in queste circostanze. Quando la ‘Metropolitana del MarÈ entrerà davvero in vigore, il porto di Messina sarà direttamente collegato con l’aeroporto

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di Reggio Calabria su cui gli enti locali stanno sviluppando integrazioni e sinergie (la Provincia di Messina è in prima fila nel rilancio della Sogas, la società di gestione dell’aeroporto dello Stretto). Lo scalo reggino, soprattutto nei mesi estivi, si sta rilanciando grazie a collegamenti internazionali (Malta, Parigi, Madrid, Londra, Praga, Cracovia) e nazionali (Milano, Roma, Genova, Venezia, Bologna, Bergamo, Pisa e forse presto anche Torino) con qualche low-coast (Travelfly) oltre ad Alitalia e soprattutto Airmalta, che ormai in riva allo Stretto si sente di casa. Inoltre i mezzi veloci di ‘MetromarÈ collegheranno con 12 corse giornaliere Messina e Villa San Giovanni e con 13 corse giornaliere Messina e Reggio Calabria. Nell’immaginario strategico del futuro dei trasporti nello Stretto c’è anche il totale trasferimento del traffico gommato, sulla sponda Siciliana, da Messina a Tremestieri. Una soluzione da tempo auspicata per liberare la rada san Francesco e il litorale cittadino dall’ingombro degli imbarchi e il centro città dai disagi del traffico. Non manca qualche voce contrastante, perché i tempi di percorrenza dei traghetti si raddoppieranno.

Ma in un’ottica metropolitana, dovrà traghettare solo chi è diretto o proviene da Palermo, Catania e altre zone della Sicilia (e quindi riuscirà a recuperare il maggior tempo di traghettamento con il minor caos stradale di Tremestieri, allo svincolo delle autostrade, rispetto a Messina città) perché per gli spostamenti tra le due sponde bisogna sempre più valorizzare il trasporto pubblico e quindi l’attraversamento pedonale sui mezzi veloci e sugli aliscafi, non tramite i traghetti. Intanto, nell’attesa della ‘svolta’ della mobilità nello Stretto, fondamentale per concretizzare la conurbazione di Messina, Villa e Reggio in un’unica area integrata, i pendolari continuano a subire disagi quotidiani e, ormai, hanno poca forza per guardare con fiducia al futuro.

È nato www.trasportisullostretto.it, il nuovo portale d’informazione dedicato ai pendolari.

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da pochi giorni online http://www.traportisullostretto.it, il nuovo portale d’informazione dedicato alla mobilità nello Stretto di Messina. Il sito nasce dalla necessità di “sistematizzare” le varie informazioni, reperibili sul web e non solo, che riguardano - appunto - i trasporti sullo Stretto di Messina. Un’esigenza con cui spesso devono fare i conti, non senza qualche difficoltà, coloro che

per i motivi più svariati si spostano su questo braccio di mare. La ‘mission’ degli ideatori è quella di fornire indicazioni sempre aggiornate su orari e tariffe praticati dalle varie compagnie di navigazione, insieme all’immancabile meteo ed alle notizie più rilevanti in merito alla mobilità tra “il Continente e la Sicilia”. Ma non solo: un ampio spazio del portale è dedicato alle news che quotidianamente interessano

la tematica dei trasporti, oltre ad approfondimenti, curiosità ed uno sguardo sempre rivolto ai progetti futuri (dalla “Metropolitana del mare” fino al “Ponte sullo Stretto”). Un portale, dunque, specifico e tematico in cui non solo pendolari e viaggiatori, ma anche tecnici e operatori del settore potranno trovare un punto di riferimento legato alle loro esigenze e attività.


Viaggi nell’Isola didiPietro MariaAstone Laura Crescimanno

suggestioni di sicilia un viaggio nell’isola da comporre a piacere

gli autori

Un’isola piena di luce ci vuole un volume pieno di colori e già nel sommario gli argomenti trattati nella piccola guida “Suggestioni di Sicilia” sono contrassegnati da diverse sfumature. L’autrice, Maria Laura Crescimanno, giornalista di settore, propone di visitare la Sicilia affidandosi alle sensazioni che certi luoghi suscitano nel turista che già conosce la storia e i luoghi. Corredato da fotografie di ottima risoluzione, di Alfio Garozzo, che da sole raccontano le imperdibili località da visitare, la guida offre anche indirizzi di resort tra mare e vigneti e una nuova rete di recettività alberghiera come Bed and Breakfats, agriturismi di charme e campi da golf. Il volume edito da Marcello Clausi Editore, in distribuzione in tutte le liberie nazionali più aereoporti e stazioni, costa € 18,00 e propone anche un sito internet di interfaccia per promuovere l’eccellenza, inoltre dove è possibile propone anche degli aggiornamenti grazie alle segnalazioni dei lettori.

Maria Laura Crescimanno, giornalista di settore, vive e lavora a Palermo. Per Dove e altre riviste mensili dedicate al turismo ha girovagato in lungo e in largo per l’isola prendendo appunti e segnando i luoghi più suggestivi. Invece di tenerli per sè li ha raccolti e divisi in dieci capitoli. Alfio Garozzo è fotografo e vive e lavora a Catania. Marcello Clausi della omonima casa editrice edita la rivista mensile “Cult”.

La Sicilia interna dominata dal grano

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a Sicilia interna dominata dal grano è poco conosciuta nonostante i gioielli di archeologia che custodisce. Piccoli e grandi capolavori del Barocco dominati dalle colline dei Monti Erei. Tra campi coltivati a vigneti ed uliveti, le colline si susseguono ondulate e ricoperte di grano sino al limite delle montagne intorno. Le Madonie alle spalle, ad oriente il fiume Salso, i monti Erei ed i Nebrodi meridionali, sullo sfondo l’Etna: siamo nell’interno dell’isola. A Morgantina vale la pena fermarsi almeno un paio d’ore. Vi si giunge dalla strada statale 117 imboccando il bivio verso Aidone, da non perdere la visita al piccolo museo archeologico che ha riaperto i battenti. Ritornando in direzione di Piazza Armerina, arroccata sulle creste degli Erei a quasi

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Informazioni utili 700 metri appare il centro medievale. La città di impianto arabo fu molto florida sotto Federico II. Qui tra i vicoli del centro si celebra infatti il Palio dei Normanni, rievocazione in costume d’epoca nelle tre giornate dal 12 al 14 agosto. Giungendo in auto la città appare dominata dal Castello aragonese e dal Duomo seicentesco. La città è nota per la villa romana del Casale, a 2 chilometri dal centro abitato. Per visitare la villa, riaperta dopo il restauro, quattro grandi corpi centrali con gli interni decorati da spettacolari mosaici, è meglio scegliere le ore meno calde del giorno. Il percorso di visita dura almeno un’ora e mezza, all’ingresso, su richiesta, sono disponibili guide specializzate. Per dormire a Piazza Armerina, molto ampia la scelta tra B&B in centro storico. All’ingresso del

Luoghi da non perdere Museo della Ceramica, Via Roma tel. 0933/21680, orario 09,00/ 18,30 La Villa Romana del Casale tel 0935/687667 orari tutti i giorni ore 10,00 /19,00. Morgantina Museo di Aidone tel 0935/87307 orari 9,00/18,00


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paese Villa Trigona, dimora di charme dell’800 con 15 stanze d’atmosfera (Tel. 093568189). Anche i nuovi agriturismi, sono tutti di alto livello e con ottima gastronomia, come La Vecchia Masseria (Tel. 0935684003), o la masseria Mandrascate (Tel. 0935375261) nelle campagne tra Piazza Armerina ed Enna. Nell’azienda Torre di Renda (Tel. 0935687657) si pranza in terrazza nella bella stagione con vista sul centro storico e sulla cupola barocca del Duomo. Da non perdere, all’ingresso della cittadina, lungo la statale 117 una tappa gastronomica d’obbligo: Al Fogher, ex casello ferroviario dagli interni caldi ed accoglienti, angolo con camino, nome veneto, cucina siciliana rivisitata a base di caccia, funghi carne e verdure ma anche scelta selezionata di pesce (Tel. 0935684123). A Leonforte, da visitare al tramonto per la monumentale fontana seicentesca aperta sul paesaggio collinare, è sorta di recente una imponente struttura alberghiera dimora storica

perfettamente restaurata, Villa Gussio Nicoletti (Tel.0935903268). Proseguendo sulla ss 117, in mezzo a centinaia di ettari di campi coltivati ad olivi, vigneti e fichidindia al bivio Gigliotto, si giunge all’azienda agrituristica Gigliotto (Tel. 0933970898). In un antico convento del 200 restaurato, 14 camere con vista sul vecchio baglio o sulla piscina, dove dormire tra il silenzio e l’odore della campagna, andare a piedi sui sentieri e gustare gli insuperabili sapori della cucina della casa. Mancano altri 13 chilometri per Caltagirone, tra curve che si snodano in mezzo ai filari ordinati di fichidindia che da queste parti si raccolgono tra ottobre e novembre.La città è di chiare origini arabe come suggerisce il nome “castello delle grotte o dei vasi”. Già sotto i normanni e gli svevi fu centro ricchissimo per la produzione della ceramica, ancora oggi conta ben 200 botteghe. Il terremoto del 1693 obbligò ad una attenta ricostruzione ur ad opera dei maggiori architetti


Viaggi nell’isola di Pietro Astone

siciliani dell’ epoca. Lasciata l’auto, nei pressi della chiesa di S. Giacomo patrono della città, a piedi lungo la via V. Emanuele si giunge sino al salotto cittadino con il palazzo del Municipio e la Galleria tardo 800 intitolata a don Luigi Sturzo politologo e statista di Caltagirone, che fu sindaco dal 1905 al 1920. Nella Galleria da poco ristrutturata si trovano botteghe, bar ed il punto informazioni turistiche. A due passi il grande atelier del maestro ceramista Riccardo Varsallona in un bel palazzo liberty, con scenografica esposizione di lumiere, acquasantiere, maioliche nel tipico stile settecentesco, l’ornato in blu cobalto, verde ramina, giallo arancio su fondo chiaro. Siamo nei pressi della scala di S. Maria del Monte, opera imponente in pietra lavica costruita nel 600 con 142 gradini e successivamente nell’800 decorata con le mattonelle che raccontano come in un viaggio la storia delle maioliche calatine. È questo il palcoscenico per i principali eventi in città: la Luminaria il 24 e 25 luglio, replica a metà agosto, l’Infiorata a maggio. Per dormire con panorama sul centro storico e sulle guglie delle moltissime chiese il piccolo B&B dal nome emblematico “Tre metri aino sopra il cielo”, solo tre camere con piccole terrazze sui tetti. Nei pressi di piazza Municipio una sosta gastronomica da Nonsolovino, vi si trova buona cucina siciliana a prezzi per tutte le tasche (Tel. 093331068). Da non perdere in centro, tra le tante, una visita alla chiesa del Gesù in via degli Studi, di fine 500 con l’annesso convento dei Gesuiti, sede della prime università di Sicilia, dove si trovano opere della scuola del Caravaggio (aperte solo orari delle messe). Alle spalle oltre la piazza Innocenzo Marcen, si incontra la chiesa con il convento dei Cappuccini Nuovi. Un giro a piedi in pieno relax vale la villa

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Comunale disegnata da Filippo Basile agli inizi del secolo, vi si trovano esemplari di piante monumentali ed esotiche, oltre ad elementi di ceramica, copie di vasi e pannelli inseriti nel verde. piceloce Lasciata Caltagirone si riprende la statale e poi lo scorrimento veloce in direzione di Ragusa. Il paesaggio diventa più dolce e quasi completamente occupato dai vigneti. Siamo già infatti nell’area di produzione intensiva dei neri d’Avola, le vigne appaiono inframmezzate da grandi uliveti che danno l’ottima oliva tonda iblea da cui si ottiene un olio extra vergine tra i migliori sul mercato internazionale, olio corposo e molto saporito. Per comprarlo e per gustare ottima cucina ragusana di campagna, una tappa d’obbligoalla fattoria Zottopera. La si raggiunge, superata contrada Fegotto, passando dalla provincia di Catania a quella di Ragusa dal bivio per Vittoria e seguendo le indicazioni verso contrada Roccazzo. Da qui solo 10 chilometri di strada tra i campi conducono sino al centro abitato di Chiaramonte Gulfi, sull’alto di una collina. Da visitare, tra i musei comunali, quello dello Sfilato cioè merletto siciliano, nel cuore del centro antico, aperto nei week end. Accanto al Duomo barocco è d’obbligo una tappa da Mayore, in via Martiri Ungheresi 12 (Tel. 0932928019), ristorante storico noto per la sua cucina tutta a base di maiale lavorato in casa. Da comprare, la gelatina di maiale, i salumi locali, la salsiccia fresca condita con finocchio e peperoncino, la soppressata. Notevole anche la cantina dove degustare tra 500 etichette i migliori Neri d’Avola della zona e l’eccellente Cerasuolo di Vittoria. A pochi metri dall’ abitato di Roccazzo la cantina Poggio di Bortolone, tra le varie etichette eccellente il rosso Contessa Costanza.


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Creazioni Artigianali

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Sapersi distinguere

Via Nuova, 8 - Torre Faro Messina - Tel. 090 326041 Via S. Orsola, 12 Messina - Tel. 090 44520


Radici didiPietro Salvatore Astone D’Anna

Thea la prima siciliana La progenitrice dei siciliani cacciava, come un’amazzone. Andava in giro a raccogliere erbe, radici e frutti selvatici. Affrontava il pericolo ogni giorno, in un ambiente ostile e ricco di animali selvaggi, nascosta in semplici ripari naturali. Viveva in una grotta nella parte orientale dell’Isola, sul monte San Fratello, in quello che oggi è il comune di Acquedolci, in provincia di Messina.

Gli orari di apertura del museo sono: • dal lunedi al giovedì dalle 9:00 alle ore 13.00 e dalle 15.00 alle 17.00 • Il venerdì dalle 9.00 alle 13.00 • Il sabato dalle 9.00 alle 13.00 solo su prenotazione. Tel. 091.2539477 Fax 091.2539480

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Dimenticate il paesaggio attuale. Facciamo un viaggio nel tempo. Torniamo indietro quindicimila anni, fino al Paleolitico, quando l’uomo arrivò in Trinacria. I Nebrodi, allora, erano molto diversi. La Terra faceva i conti con le ultime glaciazioni, che andavano e venivano. In Sicilia giravano indisturbati ippopotami, bisonti, orsi, iene, leoni ed elefanti nani. Qui visse e morì Thea, la più antica donna mai ritrovata nella nostra regione. Il suo scheletro, miracolosamente conservato intatto, fu scoperto nel 1937 durante una campagna di scavi condotti nella grotta di San Teodoro, che si apre a 140 metri sul livello del mare sulla parte rocciosa del Pizzo Castellaro, propaggine settentrionale del monte vicino il comune messinese. Proprio alla località si deve il nome dato alla donna preistorica. Thea si trovava a circa 200 metri di profondità, adagiata in una cavità incisa nella parete, lunga un paio di metri ed alta 50 centimetri, in quella che era una vera e propria sepoltura funebre, l’unica del Paleolitico mai trovata nell’Isola: “Lo scheletro riposava coricato sul fianco sinistro, disteso parallelamente all’asse della caverna, con la faccia rivolta verso la parete opposta ed i piedi tesi verso l’apertura. Lo strato d’ocra correva sopra lo scheletro, e subito sopra l’ocra vi era prima uno straterello con rari carboni e selci, quindi cm. 80 di deposito costituito da ossa spaccate, selci quarziti e carboni. Poscia altri 40 centimetri di terriccio sterile, formante l’attuale piano della caverna” scrive Carlo Maviglia nel 1941.

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Identificati come quelli appartenenti ad una donna soltanto negli anni ‘80, adesso i resti di Thea sono custoditi nel Museo naturalistico Gemmellaro del dipartimento di geologia dell’Università di Palermo. Insieme alla nostra protagonista, furono trovati i resti incompleti di altri sei individui, quattro uomini e due donne. Di Thea oggi conosciamo tanto. “Un pezzo importantissimo – ci dice Valerio Agnesi, responsabile del museo – in perfetto stato di conservazione. Il primo reperto certo di quell’epoca in Sicilia. È una donna homo sapiens che sicuramente doveva essere di rango importante perché nella tomba è stato trovato anche un corredo funebre con monili, tra cui una collana di denti di cervo”. Sappiamo che viveva in gruppo,“la prima volta che si trova una popolazione così numerosa risalente al Paleolitico”, continua il geologo. Sappiamo anche che è morta a circa trent’anni, un’età di tutto rispetto in un’epoca dove l’aspettativa di vita era molto limitata. “Probabilmente – osserva Agnesi -, grazie a quello che ipotizziamo fosse il suo alto rango, conduceva una vita meno faticosa degli altri e godeva di buona salute, mangiando regolarmente”. Era alta un metro e sessantacinque, che nella preistoria, ma anche in epoche ben più recenti, significava essere quasi una gigantessa. Soprattutto, oggi, conosciamo il volto della nostra progenitrice. Tre anni fa il viso di Thea fu ricostruito con l’impiego di sofisticate tecniche di anatomia forense, in passato


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utilizzate sui resti di alcuni faraoni d’Egitto e a Pisa sul celebre cranio del conte Ugolino, in un’operazione curata da antropologi e studiosi dell’evoluzione insieme allo scultore Toni Rizzo. “Il nostro prossimo obiettivo, quando avremo la disponibilità finanziaria, è ricostruire il volto di Theo, uno degli scheletri maschili trovati nella grotta di San Teodoro”, aggiunge Agnesi. Vista agli occhi di un osservatore moderno, la prima donna della Sicilia non è certo uno splendore, anzi è vero il contrario. Lineamenti “selvaggi”, muscolatura forte, ottima dentatura, un volto allungato, con una mandibola sporgente. Il tutto ricoperto da una folta capigliatura crespa e stopposa, presumibilmente scura, viste le latitudini, e non certo fresca di parrucchiere. “Quelle che vedete sono le sue fattezze reali - spiega Agnesi - senza alcuna invenzione. Gli

unici attributi che sono stati ricostruiti senza riscontri certi sono le orecchie e il naso, parti molli di cui ovviamente non c’è traccia. Un processo di ricostruzione lungo, delicato, affrontato attraverso diversi passaggi, dalla Tac sui reperti ossei al calco in gesso del teschio. Poi lo studio scientifico che ha portato all’individuazione delle fasce muscolari, “spessori” che sono stati indicati per mezzo di piccoli chiodi di diversa lunghezza nelle varie parti del volto. Su questa base è stato modellato il volto con l’argilla, passato poi a numerose rifiniture. Un’apparenza umana con qualcosa di scimmiesco, come evidenziano lo scheletro robusto e la forma dolicomorfa del cranio, lungo, stretto e alto con mandibole robuste. Un volto che però emoziona. Siamo di fronte al remoto che ritorna a distanza di migliaia di anni. Il nostro passato è qui.

1. la ricostruzione del volto eseguiota utilizzando tecniche di anatomia forense. 2. è un diorama in grandezza naturale dove viene ricostruito un ambiente di vita delle popolazioni dle paleolitico superiore in Sicilia. 3. Lo scheletro di Thea.

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Hobby

di Roberto Rizzuto

Gela vola con i suoi ultraleggeri È un punto di riferimento per decine di piloti, che, in particolar modo nei weekend, si ritrovano in pista per dare sfogo alla passione più grande: quella per l’aviazione. Il club Airone di Gela, ad oggi, ospita in pianta stabile nove aerei ultraleggeri, per un totale di 30-35 voli settimanali. Una realtà strutturata, che consente al comune nisseno di essere annoverato tra le capitali italiane del volo da diporto sportivo, nella quale, tra l’altro, non mancano le prospettive di crescita. Ne è convinto Salvatore Mussoni, presidente del collegio dei revisori dei conti del club. “Stiamo lavorando – spiega – all’apertura di una scuola per l’insegnamento del volo da diporto sportivo, certificata dall’Aero club d’Italia, che andrebbe ad affiancare quelle già esistenti a Salemi, Altofonte, Caltanissetta, Belpasso, Valverde e Marina di Modica. La nostra intenzione è quella di creare una scuola autonoma, ma stiamo valutando anche l’ipotesi della compartecipazione con altre strutture. Non è possibile calcolare con precisione l’eventuale bacino d’utenza – ammette Mussoni – tuttavia riteniamo che a Gela, da questo punto di vista, ci sia un movimento che occorre incoraggiare. L’apertura di una scuola incrementerebbe senz’altro la domanda di formazione da parte delle nuove leve”. Ma le sfide del club Airone non finiscono qui. Mussoni, che è anche vicepresidente nazionale della Federazione italiana piloti disabili “Baroni rotti”, anticipa un altro progetto ambizioso, ovvero “quello di istituire una scuola per l’abilitazione di aviatori portatori di handicap. Ad

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oggi, l’unica struttura siciliana che si sta attrezzando in tal senso è l’Etna Fly di Valverde, in provincia di Catania. Iniziative del genere testimoniano l’esistenza di fermento da valorizzare”. A Gela, i piloti esperti non mancano. Tra i più conosciuti c’è Giuseppe Alabiso, dentista 56enne, recentemente coinvolto in un’operazione antimafia. Pochi giorni prima di essere inghiottito dalla vicenda giudiziaria, ha rilasciato al nostro periodico un’intervista. Ci ha raccontato di come, a bordo del suo Storm 300, abbia attraversato i cieli d’Italia e d’Europa. Nel settembre scorso, in poco più di una settimana, ha raggiunto, nell’ordine, Croazia, Repubblica Ceca, Danimarca, Olanda, Inghilterra, Francia, Portogallo e Spagna. Dalla penisola iberica si è quindi spostato in Sardegna, volando in mare aperto per circa 780 chilometri: distanza, questa, che gli ha consentito di stabilire un nuovo record mondiale. Una passione, quella per il volo, che stava per strapparlo alla vita. È accaduto sei anni fa, a Sabaudia, non lontano da Latina. Precipitato da un’altezza di trenta metri, dopo un tentativo di atterraggio d’emergenza, Alabiso è rimasto miracolosamente vivo. Qualche tempo dopo, ripresosi dallo shock e dalle contusioni, è quindi tornato a macinare chilometri. Nel prossimo mese di luglio avrebbe dovuto compiere un’altra delle sue “imprese”, spingendosi fino ad Alert, in Canada, nel Circolo polare artico. Un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dalla Procura, lo costringerà, per il momento, a cambiare programma.


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X-Mag di Guido Luciani

Il Team dello stretto “Quando arrivo, trafelato dopo essermi perso nei tre imponenti blocchi della labirintica Facoltà di Ingegneria, sono già le 15.40. Non manca di farmelo notare il Professor Eugenio Guglielmino: La aspettavo alle 15. Brutto inizio, penso. Ma basta un minuto e devo ricredermi. - Mi segua - dice - sto iniziando la riunione”.

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Nella luminosa stanza, attorno ad un ampio tavolo ovale, ci attendono 10 ragazzi. “Questa è la mia squadra - mi spiega - o meglio una parte”. Nonostante non sia al gran completo, quello che vedo è il Team dello Stretto. Ne ho sentito parlare. Un gruppo di studenti che, nato ad Ingegneria sotto la guida del Professor Guglielmino, ma aperto a tutti, si è fatto conoscere al di là dello Stretto per le sue “imprese” nautiche. La più nota è il sorprendente terzo posto ottenuto nella regata “Mille e una vela 2008” dalla loro “Cariddi” (nel 2009 “Scilla” ha incassato un buon sesto posto): una vittoria da rivendicare con orgoglio, quella siglata dalla “piccola” Messina (a partecipare sono i giovanissimi del corso di laurea triennale) contro le grandi città del Nord (con squadre composte da studenti più grandi e ben “finanziati”). Quest’anno, a settembre, la squadra ci riprova, non solo in mare ma anche sulla terra ferma partecipando a Formulastudent, una competizione automobilistica internazionale che prevede la gara tra quasi 50 “automobiline”, i famosi kart, giudicati non solo in base alla velocità, ma anche secondo parametri come la sicurezza ed il consumo. L’anno scorso il loro progetto è stato premiato con un “bronzo” (a cui il team sembra essere abbonato), ma quest’anno, a Parma, la squadra gareggerà con una macchina vera. E a pilotarla saranno gli stessi studenti “inventori”. “Progettiamo, costruiamo e governiamo - spiega Guglielmino inventandosi sul momento uno slogan che farebbe invidia agli esperti di marketing. Poi scherza con i suoi studenti : “Abbiamo il nostro notaio, che alle riunioni appunta tutto, abbiamo lo scenografo e anche l’architetto. Non ci manca nulla”. Certo, qualche sponsor in più, qualche “magnate” finanziatore che volesse investire su progetti che oltre lo Stretto riflettono un’immagine positiva di Messina e della sua Università, non potrebbe che essere gradito. “All’Ateneo nei nostri tre anni di vita - continua il docente – non abbiamo chiesto neanche un euro. Siamo andati avanti grazie al sostegno degli sponsor che noi stessi abbiamo cercato. E qualche volta - aggiunge quasi con imbarazzo - ci abbiamo anche rimesso di tasca nostra”. E mentre si accarezza il sogno di organizzare una regata sullo Stretto (anche in questo caso il problema sarebbe tutto economico), il team, di anno in anno rinnovato con studenti “senatori” pronti ad insegnare ai “novellini”, si prepara per la doppia sfida (nautica ed automobilistica) di settembre. Un sistema “famiglia”, quello del Team dello Stretto, perfettamente democratico. Un’immagine, una di quelle che si vorrebbe vedere più spesso, da esportare oltre onde e piste. Una mentalità, sospesa tra curiosità accademica e spirito imprenditoriale, che fa invidia al Nord pur restando profondamente meridionale. • Le BarchE della regata di Porto Santo Stefano 2009 • Il GRUPPO la premiazione del team di Formula Student • IL PROGETTO in digitale e la costruzione del kart


Su Messina brilla una NUOVA STELLA Una splendida festa per dare il benvenuto alla nuova Concessionaria Mercedes Benz e Smart Il prestigioso marchio Mercedes-Benz a Messina e Provincia è stato recentemente acquisito dalla Life Motors del Gruppo Caselli, che - grazie proprio a Mercedes Benz e Smart completa il suo già importante portafoglio di brand leader quali Opel, Citroen, Dacia - Gruppo Renault, Chrysler, Jeep e Dodge. Life Motors diventa così l’unica Concessionaria ufficialmente riconosciuta dalla Casa di Stoccarda per Messina e Provincia.

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Life Motors è stata presentata nel corso di un riuscitissimo evento tenutosi negli spazi della Marina del Nettuno di Milazzo, in un’atmosfera suggestiva, fra luci, musica, cocktail, il lusso degli yacht e dei preziosi della Gioielli Aliotta che ha animato la serata con un apprezzato Fashion Show.

Nel corso dell’opening party i tanti appassionati delle vetture del Marchio con la Stella hanno potuto apprezzare il fascino di auto meravigliose nello scenario incantevole della nostra costa. Le vetture hanno suscitato grande interesse fra gli ospiti, che ne hanno ammirato i curatissimi interni, il design, la tecnologia d’avanguardia e le personalizzazioni che fanno di queste vetture “icone affascinanti” dallo stile inconfondibile in grado di sottolineare la propria personalità. Uno staff altamente qualificato, tutta la gamma di vetture e veicoli commerciali, soluzioni finanziarie “taylor made” ed un assistenza di alto livello, attendono gli appassionati Mercedes Benz e Smart nei locali di Via Orso Corbino a Messina. Il Gruppo Caselli Automotive è anche presente nelle sedi di Milazzo, Capo d’Orlando, Taormina, Lamezia Terme e Catanzaro.


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Nonni baby sitter di Alessio Ferlazzo

dinamici, diligenti, operosi in Sicilia rappresentano il 36 per cento della popolazione

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aby sitter addio, ad accudire i bambini ci pensano i nonni. Gli anziani sono, infatti, un toccasana per le famiglie siciliane e le aiuterebbero a fare quadrare i conti facendo risparmiare fino a 2,3 miliardi di euro all’anno. Questo è quello che emerge da uno studio del pediatra Italo Farnetani, autore del libro “Nonni autorevoli”. Un cifra assolutamente incredibile considerando che l’Isola è una della quattro regioni italiane in cui vivono più di un milione di nonni dopo la Lombardia, la Campania e il Lazio. Palermo è la provincia dell’Isola con più nonni con 260.593, seguita da Catania con 225.394 e da Messina con 147.152. Gli anziani dell’Isola accudiscono i propri nipoti svolgendo un lavoro da baby sitter con un’attività che non solo ha un importante valenza affettiva ma che rappresenta un notevole aiuto economico per tutte le famiglie. In media i nonni siciliani hanno 4,6 nipoti secondi solo ai cugini calabresi che mantengono il primato con 5 e sono i primi in Italia a prendersi cura dei nipoti quando i genitori vogliono uscire per il tempo libero: lo fanno il 16,2% (media nazionale 11,8%). Ma come sono i nonni di oggi? “I nonni delle nuove generazioni vivono migliori condizioni di vita e di salute – commenta Farnetani - Sono figli del boom economico, sono dinamici ed hanno ancora un ruolo attivo nella società. In poche parole non sono più i nonni fragili di una volta”. A fare la differenza in Sicilia rispetto alle restanti regioni, soprattutto del nord Italia è l’unione della famiglia. Nell’Isola il numero di nonni rappresenta il 36,6% della

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popolazione generale, rispetto a una media nazionale del 33,3%. “L’immagine della famiglia siciliana che scaturisce da questa indagine è estremamente positiva, con forti legami fra nonni-genitori-figli, ma anche con gli altri parenti. - Conclude Farnetani - gli anziani sono molto legati ai nipoti e si vede dalla frequenza con cui vedono, o telefonano loro ed è da sottolineare anche l’ottimo rapporto con i figli. I dati relativi alla vicinanza abitativa hanno un’interpretazione di tipo sociologico a livello della famiglia, infatti se i figli, quando hanno costituito la loro famiglia, sono andati ad abitare vicino ai genitori, significa che si erano trovati bene nella famiglia di origine e pertanto non dovevano fuggire da nulla”. Una conferma di questo ottimo legame a livello familiare, si ha la domenica con la tendenza a pranzare o cenare insieme e la Sicilia ha il valore più alto dell’intero Sud (il 26% rispetto alla media nazionale del 23%). Farnetani divide con la teoria dei due cerchi la famiglia. Nel primo cerchio troviamo “lo zoccolo duro” formato dai figli e dai genitori che dovranno stabilire i cosiddetti “paletti” cioè il cosa fare e cosa non fare nella vita di tutti i giorni. Nel secondo cerchio i nonni che sostanzialmente devono dare tre cose ai propri nipoti: affetto, ovvero il dimostrare sentimento attraverso, per esempio, il gioco; l’immagine ovvero il mostrarsi sempre ai propri nipoti come persone vincenti, e dare loro un modello da seguire; infine le radici che i nipoti devono saper cogliere nei nonni attraverso la sicurezza e la continuità che devono emergere dal loro rapporto.


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Società di Patrizia Mercadante

voglia di baci Ecco black garlic

“Estremo saluto è l’amore, come una mano che prende l’ultima foglia e la divora come fosse anima. Estremo saluto è il tuo bacio. Io volevo finire in te come un secondo respiro. Ti ho scelto per la mia morte; avevo capito in un attimo che il tuo bacio mi avrebbe ucciso”.

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osì scriveva la poetessa Alda Merini a proposito del bacio, versi delicati e nel contempo colmi della drammaticità di un addio. Di certo un bacio più anche uccidere quando da esso sprigiona un olezzo fastidioso di allium sativum. Nulla di preoccupante è il nostro aglio, quel bulbo a spicchi dall’odore forte e inconfondibile comunemente usato in cucina. E proprio il caratteristico odore è dovuto a numerosi composti organici di zolfo tra cui l’allina ed i suoi derivati, come l’allicina ed il disolfuro di diallile. Utile anche a scopo terapeutico, meno all’alito che s’impregna di un cattivo aroma che fuoriesce dalla nostra bocca e mal sopportato soprattutto dagli innamorati che si apprestano a scambiarsi un bacio. E non servono dentifrici, gomme da masticare, foglioline di menta e altri rimedi, una volta mangiato, il suo sapore e il suo odore rimane presente per l’intera giornata; resta fermo, quasi a imporsi, condizionando le nostre relazioni, al lavoro, come al bar, ad una cena tra amici o ad un tet a tet galante. Un vero e proprio tormento per tutti coloro i quali non sanno fare a meno di apprezzere questo piccolo bulbo a spicchi nelle pietanze. Ora arriva la novità: sui banconi di Selfridgest, il grande e stravagante

magazzino londinese concorrente del più famoso Harrolds, sarà presto messa in bella vista una piantina di aglio geneticamente modificato, che manterrà la proprietà dell’allium sativum senza tuttavia lasciare il cattivo olezzo in bocca. Il suo nome è “black garlic” (aglio nero) e non è dato sapere il perché, costa 5 sterline e 49 per appena due bulbi, ovvero circa 6 euro e 50 centesimi, dieci volte di più di una confezione normale. Questo aglio promette miracoli: mangiarlo fa bene e non lascia strascichi di odori pesanti. Una vera e propria rivoluzione genetica che, siamo certi, finirà per sostituire il vecchio ma tanto cattivo aglio “nostrano”. Dunque, chi non vuole rinunciare agli spaghetti aglio olio e peperoncino e neppure frenare la voglia di baciare il partner senza correre il rischio di essere allontanati, potrà utilizzare il black garlic, anche se il suo costo potrà essere un deterrente per l’acquisto. E se da un lato la novità aiuta gli innamorati, cancella di contro la scusa di chi magari per una sera non ha voglia di baciare; a tutti loro un piccolo consiglio: fare ricorso al vecchio ma sempre efficace mal di testa.


Società di Roberto Rizzuto

sapori e dissapori

che influenzano la vita Chi vive in Sicilia, chi l’ha scoperta durante un viaggio, chi l’ha conosciuta solo di passaggio, sa che si tratta di un’inesauribile riserva di emozioni. Luogo di contrasti amari e di sapori dolci, isola dalle tinte accese e dai mille volti, terra amata e odiata come una prima donna che si fa ammirare superba, la Sicilia permette di esperire sensazioni ed emozioni uniche attraverso i suoi colori, i suoi dissapori, i suoi odori, i suoi malumori. Ma le emozioni hanno anche un assetto prettamente scientifico: da Darwin in avanti le comunità di studiosi ne hanno identificate sei, definite “principali” in quanto hanno da sempre accompagnato l’uomo nel suo percorso di evoluzione. Queste sono: disgusto, tristezza, rabbia, gioia, paura, sorpresa. Il termine emozione, spiega Bernardo Cattarinussi, docente di sociologia presso l’Università degli Studi di Udine, indica stati affettivi intensi di breve durata, con una causa precisa, esterna o interna; un chiaro contenuto cognitivo e la funzione di orientare l’attenzione. L’emozione può essere definita come una sindrome reattiva multidimensionale, caratterizzata da aspetti fisiologici, cognitivi, motivazionali, espressivi e comportamentali. Una distinzione comune a molti autori è quella fra emozioni primarie o semplici ed emozioni complesse o secondarie. Sono identificate come emozioni primarie quelle emozioni la cui espressione è universale, spontanea e quindi innata; compaiono presto non presupponendo un’attività cognitiva e non si basano sulla coscienza di sé. Le emozioni secondarie vergogna, senso di colpa, orgoglio, empatia, simpatia, rimpianto implicano un’autocoscienza, presuppongono il raggiungimento di uno specifico stadio di sviluppo che comporta appropriate abilità cognitive: l’acquisizione del sé, la comprensione di norme e regole del comportamento sociale. Da alcune

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emozioni spesso si rifugge, forse per autoconservazione o per ricacciare dentro un parte di noi che non conosciamo o che non ci piace, evitando in questo modo di vivere appieno un’ esistenza che è intrisa di emozioni. Per sconfiggere la paura la psicologa Elena Puntaroli suggerisce di “guardare alle emozioni come a delle scatole colorate. Non esistono scatole da evitare perché di colori brutti. Tutti i colori hanno una propria vibrazione e simbologia, semmai posso sentire che io ho maggiore affinità con certi colori e saranno quelli che cercherò di sperimentare di più. Ma se immaginiamo tutte le nostre emozioni e quindi possibili esperienze come scatole colorate, possiamo divertirci ad aprirle tutte per curiosità, per conoscerle tutte quante. Allo stesso modo, Fiammetta Favalli, psicologa e psicoterapeuta, invita ad essere “amici” delle proprie emozioni perché queste ci consentono di conoscere ciò che accade, ciò che vogliamo, ciò che per noi è importante. Proprio perché le emozioni sono necessarie in quanto sono un segnale che ci avverte quando qualcosa non va, imparare a sapere come ci sentiamo ci aiuterebbe a non esserne sopraffatti. Soprattutto in questo momento storico in cui viviamo grande confusione, disorientamento, incertezza, frustrazione impotenza ed isolamento”. Le emozioni sono la cornice dei nostri pensieri e bisogna prestare loro particolare attenzione perché determinano il nostro agire e il nostro essere, decidendo inevitabilmente anche il rapporto con gli altri e il confronto con il prossimo, condizione necessaria per il vivere sociale. Un’emozione è movimento, reazione, fenomeno fisico che coinvolge tutto


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il corpo e che spinge a reagire: impossibile non lasciarsi coinvolgere. Parallele alle sei emozioni principali, la psicologia ne ha individuate altre cinque, frutto dei nuovi bisogni scaturiti dalla società moderna e dal modo in cui l’uomo ha modificato il rapporto con gli altri e la percezione di sé, sviluppando nuove sensazioni e stati d’animo più complessi. Ispirazione, confusione, curiosità, orgoglio e gratitudine, sono le “new entry” presentate e spiegate dalla rivista britannica New Scientist, che le ha accostate alle “big six” da sempre riconosciute come universalmente valide e comuni ad ogni uomo. Nell’ottica di una costante evoluzione, Anna De Angelis, counselor relazionale, spiega che un’emozione è un movimento, cioè un cambiamento rispetto ad uno stato di

immobilità iniziale, agita lo spirito, ci fa pensare in maniera differente, è una reazione ad un avvenimento. L’emozione ci prepara e spesso ci spinge all’azione. Oggi emergono tutti quei bisogni vicini alla identificazione personale, affiora come primaria la necessità di identificarsi come individui unici e irripetibili, c’è grande necessità di uscire dal branco e di riappropriarci del nostro sé. Quindi molto spesso si tenta di uscire dalla confusione mediante la leadership, di soddisfare la curiosità per non avere paura, di essere grati nelle relazioni sociali soprattutto per non sperimentare la tristezza di essere da soli, di essere ispirati per dissipare la rabbia. Ma in tutto questo è rimasto del tempo per essere felici?

quando la rabbia diventa una malattia C’è chi urla, chi batte i pugni contro un tavolo e chi, nei casi più estremi, lancia in aria il primo oggetto che gli capita sotto mano. Gli scatti d’ira, al pari dei momenti di tenerezza, gioia e amore, fanno purtroppo parte della nostra quotidianità, seppur con gradazioni e sfumature diverse di soggetto in soggetto. L’estrinsecazione di un sentimento negativo non va dunque interpretata come un fatto anomalo, né deve generare allarme, quando ha luogo entro certi limiti. Tuttavia, la rabbia, stando ai risultati di uno studio americano pubblicato da Ronald Kessler su Archives of general Psychiatry, assume connotazioni patologiche in una persona su venti. Si tratta di donne e uomini affetti da “disturbo esplosivo intermittente”. I dati contenuti nella ricerca, a questo proposito, sono a dir poco sorprendenti. Chi soffre di tale disturbo – sostiene Kessler – nella vita si rende protagonista di 43 esplosioni d’ira che provocano danni materiali per oltre 1.300 dollari. Per porre un freno al fenomeno, negli Usa, dove il problema è particolarmente sentito dalla popolazione, sono sorti numerosi corsi ad hoc, che si pongono l’obiettivo di spiegare come gestire correttamente la rabbia. Sull’utilità di questi corsi, manco a dirlo, esistono pareri discordanti. Emblematico è il caso di Eric Harris e Dylan Klebold, i due studenti killer di Columbine: prima del massacro del 1999, infatti, avevano frequentato un

programma di gestione della rabbia, che evidentemente è servito a poco. Un corso simile fu consigliato ad Amy Bishop, biologa dell’università dell’Alabama che, alcuni mesi fa, ha ucciso tre colleghi. Pare che la donna si sia però rifiutata di seguire il corso. Quelle appena citate, occorre precisarlo, rappresentano delle situazioni-limite, che nulla hanno a che vedere con le normali, quotidiane manifestazioni di rabbia. Ma quali sono i trucchi per tenere sotto controllo l’ira e prevenire i suoi effetti più nefasti e distruttivi? Un buon rimedio, secondo gli esperti, può essere quello di fermarsi per analizzare le situazioni che creano malessere, considerando anche gli aspetti positivi e non solamente quelli frustranti; tenere un diario in cui annotare comportamenti da non ripetere in futuro; evitare le reazioni affrettate e prendersi una pausa prima di dire o fare qualcosa; non disdegnare un controllo medico per appurare l’esistenza di eventuali squilibri ormonali; non colpevolizzarsi né rivangare il passato; evitare l’alcol e fare esercizio fisico. Fare in modo che la rabbia non prenda il sopravvento, insomma, è possibile. Pazienza e autostima, certo, non sono qualità che si trovano sugli scaffali dei supermercati, ma possono comunque essere esercitate. Basta solamente un po’ di buona volontà, da parte nostra e di chi ci sta accanto…


Società di Giulio Giallombardo

don di noto, il prete poliziotto Per la Chiesa cattolica è arrivato il momento della penitenza. Sembra un bisogno autentico e insopprimibile, alla luce degli inquietanti fatti di pedofilia che hanno recentemente travolto il clero. Una pentola bollente si è scoperchiata irrimediabilmente e gli scheletri negli armadi delle sacrestie di mezzo mondo sono ormai stati riesumati sotto gli occhi di tutti. E non si tratta certo di sacre reliquie. Non ultimi i fatti che hanno coinvolto addirittura lo stesso papa Benedetto XVI, accusato di non aver rimosso un prete pedofilo. Chi ha speso la propria esistenza a difendere i più deboli in nome di Dio, come reagisce adesso di fronte a questi scheletri appesi al sole? Ma all’interno del mondo cattolico non si parla solo di pedofilia. Recentemente si è anche aperto un vivace dibattito sul ruolo del celibato sacerdotale: c’è chi ritiene che possa essere ripensato, c’è chi, invece, tende a conservarne l’integrità. Per capire meglio cosa sta accadendo alla Chiesa cattolica, abbiamo fatto qualche domanda a don Fortunato Di Noto, sacerdote siciliano simbolo della lotta alla pedofilia, che da un decennio, con l’associazione Meter da lui fondata ad Avola, si batte con coraggio contro lo sfruttamento sessuale dei bambini.

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n che modo la Chiesa può aiutare i sacerdoti che commettono atti di pedofilia e prevenire che questo accada? Dobbiamo dire innanzitutto che l’abuso sessuale è un reato gravissimo. È bene dirlo subito così sgombriamo il campo da interpretazioni strumentali che parlano di cedimenti psicologici. Il pedofilo è un malato lucido e sa quello che fa. Riguardo poi all’intervento di prevenzione della Chiesa, le diocesi insieme alle parrocchie potrebbero benissimo, in concerto con tutti gli uffici pastorali, iniziare a fare un percorso di formazione rivolto a tutta la comunità. I seminari, dall’altra parte, dovrebbero iniziare a riflettere seriamente sulla tutela dell’infanzia non come una moda transitoria, ma come un impegno permanente. Purtroppo anche in passato sono venute alla luce storie di pedofilia nel mondo cattolico, ma come spiega il moltiplicarsi della cronaca nelle ultime settimane? Innanzitutto, non riesco a capire qual’è la ragione che fatti accaduti vent’anni fa vengano raccontati ora. Anche perché non ci sarebbe mai una soddisfazione di giustizia in campo civile o penale. Questo mi sembra un po’ strano. Un po’ strumentale. Recentemente il cardinale Martini ha espresso l’esigenza di ripensare al celibato dei sacerdoti, lei è d’accordo? È una riflessione ad alta voce che si fa nella Chiesa. Ogni cosa può essere discussa, ma ciò non equivale a dire che il celibato è una disgrazia. Io faccio parte della Chiesa Cattolica da 26 anni e posso dire che è una scelta libera, durante la formazione s’impara questo. Chi entra in seminario, sa che deve fare una scelta libera per il celibato, non è un reprimere delle pulsioni sessuali, ma un atto di fede. Essere celibi per la propria devozione è un fatto umanamente disumano, ma nella Grazia diventa un atto umanamente responsabile. Quanti uomini e donne oggi vivono serenamente la loro verginità in attesa di un incontro vero e autentico, c’è da scandalizzarsi?

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Lei pensa che il celibato possa in qualche modo influire sul comportamento deviato di certi sacerdoti? Non c’entra assolutamente nulla. Io sono un prete cattolico celibe. Non mi sento un frustrato, un castrato, né un depresso o un pazzo. Sappiamo tutti che la pedofilia non è legata al celibato perché il 70-80 per cento dei crimini pedofilici vengono commessi da persone che non praticano il celibato. Che poi la formazione e la consapevolezza della scelta celibataria nel sacerdozio cattolico debba essere sempre più illuminata, aiutata, vista anche la società erotizzata in cui viviamo, è fuori discussione. Lei che è diventato uno dei più strenui difensori dei diritti dei bambini contro la pedofilia, come reagisce alle recenti vicende che hanno coinvolto il Papa, accusato di non aver rimosso un prete pedofilo nel 1985 quando era cardinale? È doloroso pensare che sono accaduti dei fatti del genere, però se riflettiamo un attimo, è dal 1989 che esiste la Convenzione dei diritti del fanciullo. Quarant’anni fa il mio maestro di scuola per punirmi mi strappava le basette a sangue, immaginiamo se una cosa del genere possa accadere oggi. Questo perché sia la coscienza giuridica che la sensibilità sociale è, per fortuna, diversa rispetto a quella di quarant’anni fa. Il bambino solo adesso sta acquistando il diritto ad essere soggetto. Però l’esperienza personale che lei ha raccontato, non equivale ad un abuso sessuale. È vero, ma lo stesso valeva anche per gli abusi sessuali. Chi s’indignava quarant’anni fa, ad esempio, quando veniva abusata una giovane donna, quando il reato non era contro la persona ma contro la morale, chi scendeva in piazza? Per fortuna adesso c’è molta più attenzione a fatti del genere, grazie anche alle leggi che tutelano i più deboli. Attenzione, questo non giustifica i crimini che sono stati commessi dagli uomini di Chiesa, devono vergognarsi di quanto hanno fatto.



Life di Alessandro Bisconti

mattanza sull’asfalto

www.vittimestrada.org

364 vittime

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Coloro che di questa sterminata raccolta di cifre e percentuali conservano i ricordi e l’umanità. Una strage quotidiana che in Sicilia come altrove non sembra fermarsi. Come se non bastasse gli ultimi dati Istat non parlano di un in un solo anno. rallentamento. Anzi. Perché in Sicilia si viaggia al ritmo di 14 mila Al ritmo di uno ogni incidenti all’anno, e si muore alla media di una vittima al giorno. giorno, la media è fin Al quale poi va aggiunto il numero di coloro che sopravvivono solo qualche settimana. troppo facile. Poi ci sono i feriti, quelli con danni permanenti (mille in media, Sono i morti sulle il triplo di chi perde la vita) e pure il numero degli incidenti strade siciliane: 364 nomi e cognomi, che in Sicilia è tornato a salire. A rendere questo «bollettino di guerra» ancora più crudo il dato dei «pirati» dell’ asfalto, da moltiplicare poi che stando alle stime è aumentato in modo inesorabile. Alla per centinaia di figli, faccia della repressione, dei decreti legge e delle buone parole. genitori, nipoti e Si è parlato di abbassare il limite del tasso alcolemico allo 0,2 amici. (oggi è 0,5), si è parlato di inasprire le pene. “Non credo più alla legge – attacca Giuseppa Cassoniti Mastroeni, presidente nazionale dell’associazione “Vittime della strada” -. La questione non va banalizzata. È un problema di valori, va garantito il diritto alla salute. È una vergogna. La sanzione c’è, ma deve essere efficace e avere rigore. La sospensione della patente, ad esempio, ammette troppe vie d’uscita. Viviamo in un sistema in cui si assiste a continue propagande che inneggiano alla cultura dello sballo sostenute dai mezzi di comunicazione. Si pensa troppo agli interessi delle industrie motoristiche, di chi gestisce le discoteche, o vende alcol”. Chi parla ha vissuto sulla propria pelle il dolore di una morte prematura. La figlia Valeria è stata investita e uccisa sul marciapiede di fronte alla porta di casa, nel 1997, a soli 17 anni. “Dobbiamo fermare la strage delle strade. Non si può morire sulle strada” – prosegue. Che fare allora? Investire sulla prevenzione, sull’ educazione. Quello cioè che propone il progetto. “L’obiettivo fissato dai vertici europei è di dimezzare il numero di morti: ma si tratta di un passo intermedio. Perché il vero obiettivo deve essere quello di fermare la strage. Di arrivare a zero vittime”.

Un progetto rivolto anche alle due ruote che, con i pedoni, sono l’anello più debole della catena. Prevenzione ma anche interventi concreti. Dribblando anche lacune normative e consentire scappatoie facili a chi sbaglia. Ed è di stretta attualità la condanna di un pirata della strada che lo scorso anno a Mazara del Vallo, al volante di un’auto rubata investì e uccise quattro donne, sfrecciando ad alta per le vie della città. Per questo fu accusato dalla Procura di Marsala di omicidio volontario plurimo e non colposo, come è avvenuto in passato per casi analoghi. Il pirata è stato adesso condannato a 16 anni e 8 mesi, proprio per omicidio volontario. “Il problema è complesso – continua -. Le responsabilità non sono solo di chi guida, ma anche dalle istituzioni. Sia politiche che amministrative che sociali. Bisogna anche partire dalla base, ovvero dall’aspetto educativo nelle scuole. Difendere i valori senza prendere la questione sottogamba”.



Life di Roberto Rizzuto

gli asini?

non sono più somari Luoghi comuni ben radicati nell’immaginario collettivo li dipingono esclusivamente come faticatori instancabili, muniti di grande forza fisica, ma sostanzialmente sprovvisti di intelligenza. Eppure, agli albori del nuovo decennio, l’assunto secondo il quale gli asini abbiano poco sale in zucca comincia progressivamente a vacillare. Gli studi condotti negli ultimi anni dagli etologi, infatti, convergono in un’unica direzione, vale a dire quella secondo cui “asino” sia tutt’altro che sinonimo di “somaro”. Le dimostrazioni empiriche a suffragio di questa tesi non mancano. Le più significative sono quelle legate agli ottimi risultati ottenuti dall’onoterapia, un tipo di pet-therapy, diffuso in Francia, Stati Uniti e Svizzera, e da qualche tempo praticato anche in Italia, che fa leva proprio sull’impiego degli asini. Si tratta di un metodo di cura “attivo”, che si rivolge, in genere, a pazienti che soffrono di disturbi della personalità, ma anche a cardiopatici e ipertesi, handicappati motori, bambini e anziani, malati psichiatrici e tossicodipendenti, detenuti, sieropositivi, audiolesi, non vedenti, persone con problemi di ansia, stress, solitudine e disarmonia emotiva. L’onoterapia sfrutta alcune caratteristiche tipiche dell’asino, fisiche e mentali, come la taglia ridotta, la pazienza, la morbidezza al tatto, la lentezza di movimento e la tendenza ad andature monotone, per entrare in comunicazione con il soggetto in cura attraverso il sistema animale-utenteoperatore. Malgrado i miglioramenti riscontrati dai terapeuti nei pazienti, ad oggi, l’onoterapia, non è ancora riconosciuta dalla comunità scientifica. I risultati fin qui conseguiti, tuttavia, non possono che indurre all’ottimismo.“Non manca molto al giorno in cui, il medico di famiglia potrà prescrivere nella ricetta un ciclo di sedute con gli asini”, spiega lo psicologo Lino Cavedon. “Stiamo raccogliendo evidenze mediche - afferma - che dimostrino l’efficacia delle terapie. In varie categorie di utenti, l’approccio con l’animale ha consentito di registrare dei progressi nella gestione delle difficoltà o della malattia”. In attesa, quindi, della piena consacrazione da parte della “medicina ufficiale”, per gli asini, è comunque già arrivato il momento della riscossa.

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Castelbuono promuove l’asino Quattro giorni di dibattito tra pet-therapy e biodiversità Dalla produzione di latte alla pet-therapy, passando per la raccolta differenziata e il mantenimento della biodiversità. Sono molteplici le funzioni dell’asino al centro di quattro giorni di dibattiti e lavori organizzati in pieno Parco delle Madonie, in provincia di Palermo, da giovedì 6 a domenica 9 maggio. Siamo a Castelbuono, dove da quattro anni il sindaco Mario Cicero ha introdotto la raccolta differenziata porta a porta proprio utilizzando gli asini, una specie in via d’estinzione ma dalle mille proprietà. Il tema è “Il valore dell’asino 2010” non a caso. Soprattutto la femmina è molto mansueta ed è adatta alla pettherapy, ovvero una terapia utilizzata per curare i disturbi comportamentali dei bambini con difficoltà relazionali. Per non parlare poi della produzione di latte che Gabriella Iannolino, dirigente dell’assessorato regionale alla Sanità definisce “oro sprecato”. Basti pensare che un litro di latte d’asina costa circa 10 euro ed è particolarmente indicato come sostituto del latte materno. Ma non finisce qui. Per permettere il recupero di questo prezioso animale, il Psr Sicilia 2007/2013 prevede un premio da 200 per l’asino ragusano a 500 euro per l’asino pantesco, per ogni Uba, l’unità di misura per i contributi agli animali. Un vero business, insomma, da non lasciarsi sfuggire. [a.r.]


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Life

di Clara Picciotto

Mamma blogger

La seconda vita delle donne pensanti e felicemente imperfette Navigando nei blog dedicati alle donne il rischio è quello di trovarsi in siti ad alto contenuto di ormoni femminili dove l’argomento principale è la maternità e i suoi derivati, esperienza irripetibile da condividere con il resto del mondo civilizzato. Ma se mancano serenità e coraggio per il lieto evento la rete non può fare miracoli ... ma strappare una risata si. Gli appunti della vita adesso si prendono sul web e considerata la vastità delle offerte bisogna soltanto scegliere. Abituate a fare due o tre nello stesso momento il clik che in un attimo soddisfa tutte le curiosità diventa uno dei momenti più rilassanti della giornata. Da sempre l’universo donna rappresenta un segmento molto interessante per l’economia, infatti negli ultimi anni molti siti dedicati all’altra metà del web possono contare su un discreto fatturato, da qualche anno in continua crescita, soprattutto dall’altra parte dell’Oceano. Infatti in America le mamme condividono fra di loro problemi e pensieri e la vendita di spazi pubblicitari su questi siti comincia ad avere un mercato. In Italia il primo è stato Mom Camp della lungimirante Caterina Della Torre che dal 1999 con il sito Dol‘s ha promosso l‘iniziativa Mom Coaching, corsi destinati alle future mamme nelle diverse fasi della loro attività. Anche Microsoft in Italia con Roberta Cocco

ha ideato il progettoFuturo@lfemminile dove si trova solo una fetta della realtà del mondo femminile che non può essere trascurata, dice la sua curatrice nominata da poco, per questi meriti, Commendatore della Repubblica. Una ricerca della Università Bocconi ha evidenziato oltre 250 blog frequentati da donne mamma che vogliono continuare la loro carriera, se ce l‘hanno, o inventarsene una. Le proposte sono le più svariate,dall‘autoimpiego al telelavoro, l‘importante è che si faccia business. Parole d‘ordine creatività, competenza e la consapevolezza di portare avanti quel valore aggiunto che molte donne, madri e non solo, portano nel loro codice genetico. Unica condizione necessaria è quella di rendere tutto in cifre: quindi fare raggiungere visibilità al sito, raccogliere il maggior numero di contatti che verranno tradotti in prezzo per i committenti che intendono investire in pubblicità per i loro prodotti. Per i siti dedicati alle donne legati ai grossi gruppi editoriali, come Rcs, Mondadori, Il Sole 24 Ore e altri il mercato della pubblicità è già una realtà ben definita. Per i siti meno coperti dai colossi dell‘editoria italiana invece gli argomenti più ricercati sono pappa, pannolini e lavoro. Ovvero dal Pampero al Pampers. Ma non solo. Si trovano consigli su come insegnare a leggere e quali

farmaci usare, come cucinare le verdure per renderle appetibili o quanto e come pagare la donna di servizio. Insomma i problemi quotidiani di una donna che porta avanti una famiglia con ironia e voglia di condividere un po‘ di follia, a cominciare dal nome del sito. Per esempio mammerassegnatesplinder. com, è un blog partecipato, collegato al più ironico maipiùsenzarossetto.com, oppure vereMamme.it per mamme che sanno cosa vogliono, e lo dicono, ed è legato al sito Ma.MaMa.Blog dove le tre M stanno per mamma, manager e marketing. Ma per donne che sanno di non essere perfette perchè ogni tanto puzzano anche le ascelle, c‘è panzallaria.com, per donne sull‘orlo della precarietà. Un salotto virtuale che non necessita di rivoltare i cuscini del divano ad ogni cambio di stagione e dove non si fa terapia di gruppo a base di sensi di colpa ma dove la donna mamma si ritrova in una stanza tutta per se per condividere conversazioni sostenibili con chi passa dal web.


via Consolare Pompea - C.da Fortino - Pace (Messina) tel. 329 2036862

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é tempo d’ ESTATE


Intervista di Annalisa Ricciardi

cartabellotta e l’isola da bere S

ono in pochi ad averne ricordo, ma le cantine sociali – alcune naturalmente – furono luoghi privilegiati della mafia e delle truffe “europee”. C’è una cantina, la Cagia di San Cipirello, sequestrata dieci anni or sono, che nei registri conserva ancora i nomi dei mammasantissima degli anni settanta e dintorni. Silos da centomila ettolitri e nemmeno l’ombra del vino. E attorno a Cosa nostra si erano radicati gli strumenti di un assistenzialismo che sembrava fatta appositamente per agevolare clientes e malfattori. Dal 1985 il mondo del vino è cambiato profondamente, ospita imprenditori audaci, competenti che hanno dato al mercato una qualità alta e nuove tipologie. L’Istituto regionale della Vite e del Vino, che pure non è un’oasi felice nel sistema degli enti pubblici, è riuscito nell’immane compito di fare uscire dalle secche il comparto, aiutarlo ad evolversi e darsi una strategia diligente. Oggi, la nuova pagina del vino è rappresentata al meglio da Dario Cartabellotta, direttore dell’Istituto della Vite e del Vino. Lo incontriamo all’indomani del Vinitaly, durante il quale la Sicilia ha avuto un ruolo di protagonista, ed alla vigilia del Grande concorso enologico internazionale di Bruxelles che si svolge per la prima volta in Italia, con numeri importanti: settemila etichette partecipanti e 274 degustatori provenienti da tutte le parti del mondo. Una manifestazione di altissimo livello, che Bruxelles ha voluto assegnare alla Sicilia, a suggello della posizione di supremazia che l’Isola si sta conquistando sul campo. Cartabellotta ama porsi domande ad alta voce, pretende di suggerire le risposte invece che darle. Non certo perché non le conosce, ma perché vuole confrontarsi costantemente.

“Siamo diventati bravi, ma possiamo fare molto di più. Dobbiamo attrezzarci”, esordisce, quasi che volesse bilanciare l’euforia che il successo veronese gli procura, con la necessità di tenere i piedi a terra. “Abbiamo tante cartucce da sparare”, riprende. “Il terroir francese è il risultato di una condizione ambientale: la terra, il clima. Il nostro terroir è più ricco: è un terroir culturale. Il nostro vino viene prodotto con caratteristiche peculiari perché esso “sconta”, nel bene e nel male, una storia ricca di fatti, di arte, di tradizioni. Grazie al vino, gustiamo la Sicilia…” Non le pare audace questo “salto”? Abbiamo buoni vitigni, perché lasciarli in secondo piano? Sono figli di una terra generosa, di un clima generoso… “Non intendiamo mettere nulla in secondo piano, diamo valore a cose che da sempre abbiamo ritenute scontate, ma che invece sono un patrimonio a cui attingere a piene mani. La storia di una tipologia di vino può affascinare quanto la sua

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qualità. Una per tutte l’intrigante storia della ‘nascita’ del vino Marsala. È un caso se esso viene prodotto a Marsala. Il signor John Woodhouse dovette attraccare con la sua nave al porto di questa città a causa di una tempesta, in una delle numerose osterie gli fu offerto il miglior vino qui prodotto, quello che i contadini riservavano alle grandi occasioni: il perpetuum; ne rimase incantato e pensò che era perfetto per essere sorseggiato nei salotti inglesi e ne portò via una buona quantità. Nel corso della navigazione aggiunse un po’ di acquavite da vino, per evitare che si alterasse durante il viaggio, e quando arrivò a destinazione, gustando quel vino scoprì di avere creato una nuova bevanda, che ancora oggi costituisce l’icona stessa del vino siciliano”. Anche i francesi hanno le loro storie, tipologie legate a fatti territoriali. “Sì, è vero, ma lì nascevano le doc per decisione delle gerarchie ecclesiastiche, era la chiesa a decidere le doc. Il vino


Marsala esce dal contesto del prodotto ed entra nella storia della cultura, c’è una bella differenza. La qualità è figlia della storia, degli episodi imprevedibili che la caratterizzano. Abbiamo disegnato diciassette aree vinicole in Sicilia. Se decliniamo gli elementi culturali di ogni area, immaginiamo e raccontiamo la diversità, associamo il gusto alla storia, e finiamo con lo spiegarci perché le cose stanno come stanno. L’idea di legare i vini al viaggio, al momento emozionale, al ricordo, alle storie del passato, nasce da questa diversità, dal bisogno di ancorare la produzione alla cultura per capirla ed assaporare meglio la qualità”. È questa l’idea vincente, dunque? “Sì, è questa, ma non solo. C’è un altro concetto importante da fare “digerire” a tutti, in senso letterale: legare il vino al food. Giorgio Calabrese, che è un maestro, lo raccomanda ormai da tempo: dobbiamo abbinare il vino a ciò che mangiamo: il vino trascina la nostra gastronomia e questa trascina il vino. Creiamo così una ricchezza complessiva, non legata solo al settore, ma all’intero comparto agro-alimentare”. Veleggiamo leggeri verso il successo? “Calma, c’è ancora tanto da fare. Le aziende incontrano grandi problemi logistici, di marketing, di comunicazione. Il vino è sì heritage, ma anche servizi che funzionano, organizzazione e commercializzazione. E qui occorre dire a chiare lettere che ci dobbiamo rimboccare le maniche e colmare un gap notevole rispetto anche alla stessa Francia che commercializza vini in modo egregio in tutto il mondo da decenni prima di noi”. È un problema culturale? “No, non solo almeno. Le aziende non possono affrontare da sole investimenti troppo alti. Occorre aiutare le aziende nei servizi. Non possiamo pretendere che si associno, non sarebbe naturale aspettarsi che lo facciano. Non è una propensione all’individualismo, come generalmente si crede, ma un bisogno condivisibile di misurarsi con il mer-

cato, investire in proprio. C’è audacia e sicurezza in questo atteggiamento, non egoismo. Se Pantelleria significa qualcosa nell’immaginario collettivo, tanto per fare un esempio, occorre che Pantelleria divenga in qualche modo un brand, creando una cultura aggregativa, gestendo Pantelleria nel suo complesso: ambiente, natura, food, turismo, vino. Si produce in proprio, si gestisce il marchio del terroir insieme”. Non è facile, proprio non lo è… “E chi lo dice che è facile, ma al punto in cui siamo, non possiamo certo arretrare. Non abbiamo da inventare nulla, ciò che la Sicilia ha, la straordinaria diversità, produce ricchezza. Più che una cabina di regia, si deve solo pretendere che ci siano livelli standard di base per stare nel sistema: la qualità del vino o la qualità dei servizi non devono mai scadere. Servizi e vino scadenti vanno eliminati. Se vai ad Assisi e alloggi in un albergo a due stelle, ti accorgi che la qualità che ti viene offerta è quella di un albergo siciliano a quattro stelle. È questo il punto. Ma il futuro ci propone anche altre sfide”. Quali? “Nelle scuole sensoriali i francesi hanno costruito le loro fortune, che poggiano sul concetto varietale del prodotto. Oggi ci propongono lo Chardonnay, il Merlot, il Cabernet perché i degustatori francesi hanno “creato” il gusto di questi prodotti. In Sicilia dobbiamo sapere fare altrettanto con i nostri vini autoctoni. Dobbiamo riuscire a imporre le nostre tipicità, i nostri gusti. Per esempio il Marsala, il Mamertino, il Moscato di Noto. Ci sono vini che sono nostri, solo nostri. Dobbiamo combattere l’omologazione. Siamo entrati nella stagione del marketing e della commercializzazione, tuttavia. Ricordo quello che ci venne chiesto a San Francisco. Avete i container con il vino stoccato al porto? Abbiamo bisogno che il prodotto arrivi entro poche ore e non dopo sessanta giorni, il prodotto deve stare dietro la porta del consumatore. E questo non è un problema che possono risolvere da soli i produttori”.


A tavola con gusto e stile Le suggestioni di un viaggio gastronomico all’interno dei sapori e dei profumi della nostra terra. Calasole: una proposta che si traduce in un menù ricco di spunti e l’eleganza di un servizio impeccabile

Il cibo, si sa, è uno dei grandi piaceri della vita, e si “fa peccato” volentieri, se ne vale la pena! Non si parla solo di uno sfizio da soddisfare ma anche di arte e cultura nostrana. Mangiare alimenti che piacciono aiuta a sollevare l’umore facendoci sentire rilassati e appagati, fondamentale è però saper scegliere il luogo giusto dove la proposta enogastronomica è pienamente convincente. A tal proposito il “Calasole”, ristorante di grande attrazione, accogliente ed elegante situato nella splendida cornice di Torre Faro di Messina, è indubbiamente all’altezza di tali aspettative. Il gusto si presenta in nuove forme cromatiche e moderne leggerezze; dove sapori autentici abbracciano tradizione e innovazione, qualità e sperimentazione. La sua cucina raffinata, propone diversi piatti tipici impreziositi dal sapiente tocco degli chef. Il Calasole acquisito dalla società: “G2emme fooud s.r.l.”, è amministrato da Giovanni Franchina, che con grande professionalità ne innalza il nome. Il locale inaugurato lo scorso 23 aprile, è composto da due aree: una zona ristorante e l’altra bar, quest’ultima denominata “Lescà”, aperta al pubblico il 4 giugno. Franchina ci spiega nei dettagli l’organizzazione del Calasole. Dopo avere acquistato il Calasole lo avete ristrutturato? Abbiamo rinnovato il locale in modo da renderlo aperto e funzionante tutto l’anno, in inverno oltre a svolgere il consueto lavoro di ristorazione, punteremo molto sulle cerimonie: matrimoni, compleanni e festeggiamenti di ogni genere. Abbiamo cambiato l’arredamento e il colore alle pareti che adesso sono tortora per rendere l’ambiente più caldo e accogliente. Per quanto riguarda il Lescà, cioè la zona bar quali sono i programmi in corso? Quest’area è dedicata soprattutto al ballo, infatti, il venerdì è la serata di punta, mentre gli altri giorni sarà possibile poter gustare aperitivi e cocktail ascoltando dell’ottima musica grazie al piano bar. Ogni tanto saranno ospitati anche interessanti gruppi musicali, insomma ci sarà solo da divertirsi. Il locale ha tutto a norma di legge? Certamente! Abbiamo tutto a posto quindi da questo punto di vista siamo tranquillissimi. Il Calasole ha cambiato marchio? Si, abbiamo deciso di cambiarlo, ma abbiamo mantenuto lo stesso nome proprio perché il locale si affaccia sul mare dove tramonta il sole essendo esposto a nord ovest. Ci troviamo di fronte alle Isole Eolie, esattamente vediamo Stromboli. Devo ammettere che è uno spettacolo indescrivibile. Parliamo della cucina..

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La nostra cucina è prettamente mediterranea: creativa e saporosa, direi molto attenta all’evoluzione del gusto. Cucinare è un’arte che non può improvvisarsi: occorrono studio, esperienza e continua ricerca. Solo se si hanno solide basi e si conoscono i “classici” della cucina si può trasferire nel piatto la propria inventiva in un’armoniosa tavolozza di sapori così da far ritrovare il gusto e l’emozione di andare al ristorante. Noi abbiamo due chef professionisti, uno si occupa del salato e l’altro del dolce, entrambi sono capaci di portare in tavola piatti tradizionali ma nel contempo rielaborati, per esempio una delle novità del Calasole è la parmigiana con l’aggiunta di pesce spada, una vera delizia. Il nostro menu è soprattutto a base di pesce, in alcuni casi serviamo anche la carne: il filetto. Non proponiamo solo prodotti messinesi ma siciliani, per esempio tra i dolci la cassata palermitana è quella più richiesta. E per quanto riguarda la carta dei vini? La carta prevede un’ampia selezione di vini, si va da quelli meno costosi a quelli più cari, però tengo a precisare che trattiamo solo prodotti di ottima qualità. Predominano più i vini siciliani, ma abbiamo anche quelli provenienti da altre regioni d’Italia e lo champagne francese. Il personale? Abbiamo otto lavoratori costantemente seguiti passo dopo passo da me e da Bernardo Di Caro che è direttore generale del locale. Come preferite apparecchiate le vostre tavole? In bianco perché a nostro avviso è un colore elegante e raffinato, mentre il sottotovaglia è ruggine. Ogni dettaglio è fondamentale, per esempio anche la piegatura del tovagliolo è per noi un elemento importante da non tralasciare. Sicuramente non mancheranno mai al centro tavola fiori freschi e profumati. Cosa pensa dei ristoranti “touchscreen”, dove si ha la possibilità di ordinare la cena e il conto attraverso schermi senza nemmeno chiamare il cameriere? Credo siano belli ed efficienti, però molto gelidi perché in fondo si comunica con un apparecchio che certamente non sorride come invece può fare un cameriere gentile e professionale, il cui compito è proprio quello di guidare e consigliare il cliente nelle sue scelte. E cosa mi dice dei ristoranti biologici, dove i prodotti passano dal campo alla tavola? In un certo senso questo sistema ci appartiene, i pesci dal mare finiscono direttamente nella nostra cucina. Noi garantiamo: qualità e genuinità dei prodotti, è quello che maggiormente ci preme è appagare il gusto dei nostri ospiti facendoli sentire a proprio agio.



Bagaglio a mano a cura di LO.LA. Architetti Mario Loteta

Giovanni La Fauci

Itinerari visionari 1

E

ccoci al capolinea. Abbiamo iniziato questo viaggio giusto un anno fa. Dal centro urbano ci siamo incamminati sino all’estremo nord. Augurandoci di aver restituito delle visioni che vanno oltre lo spazio comunemente abitato. L’obiettivo era quello di scrutare, aldilà delle abitudini buone o cattive, cosa ci riservasse la nostra città e il suo modo di essere abitata. E ciò è stato possibile anche grazie al contributo di alcuni artisti di varia provenienza, giovani architetti o, ancor più, semplici cittadini che, con le loro osservazioni e i loro suggerimenti, ci hanno ispirato itinerari sorprendenti. Da quello stesso centro, siamo ripartiti per giungere all’estremo sud della dimensione cosiddetta urbana: Tremestieri. Questo tratto urbano è ancora una volta dominato dalla linea costiera. Essa, però, si propaga verso l’interno in modi differenti. Il primo è quello della Via Consolare Valeria. Il secondo è quello della Strada Statale 114. Seppure distanti pochi isolati,

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e allacciate dalle bretelle di Via Comunale Larderia e Torrente Zafferia, le due strade si rincorrono quasi parallele sino ad incontrarsi nel fatale groviglio delle rampe autostradali. Fra rotonde e segnaletiche “ti muovi sulla destra e poi sulla sinistra, resti immobile sul centro, provi a fare un giro su te stesso” (F. Battiato, Il ballo del Potere). La dimensione pedonale è scomparsa. Una volta imboccata la direzione giusta, bisogna tornare verso la città, sperando che non sia sabato o domenica. Perché il bluff sta proprio lì. Già al primo semaforo è un delirio a doppio senso di motori incandescenti e clacson. Tutti intenti alla forsennata ricerca di un parcheggio. L’imponente prospetto del Centro Commerciale sta lì a guardare lo sciame di fedeli che si accalcano per entrare nei santuari della moneta unica. Ciò che destabilizza è notare come la risposta globale alle esigenze di un’intera porzione di città sia stato l’impianto di una massiccia protesi commerciale, finalizzata alla

1. Lo.La. Architetti Da “Dintorni” Parco Viola (Ingresso)

2. Lo.La. Architetti Da “Residui”: Fantatratte, Divieto a oltranza (Arch .Cristina Fucile),

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3. Lo.La. Architetti Da “Dintorni” Parco Viola (Interno)

soddisfazione di un’unica, imperante, regola: il consumo. Ed ancora più imbarazzante è constatare come a tale risposta si sia affiancato un programma infrastrutturale del tutto insoddisfacente. Tutto in nome dello sviluppo. Si decide allora di scendere verso il mare, percorrendo la vecchia Consolare Valeria. E qui, si riesce persino a respirare ancora il clima del paese, quello marinaro. Con le botteghe, il tabacchino, la piazza, la scuola elementare col suo cortile, la chiesa col suo campanile e lunghe file di abitazioni di modesta altezza. Anche qui, a lotti alterni, sorgono piccoli fabbricati industriali e officine. Come fu nei tempi di gloria la celebre Sanderson, emblema della produzione agrumaria messinese che per molto tempo fu la punta di diamante della nostra città in Europa. Oggi quest’area si presenta più come un problema che come una risorsa. Eppure si tratta di una superficie molto estesa, compresa tra il torrente Zafferia e la fantomatica stazione ferroviaria di Tremestieri. Da qui ha tratto spunto la tesi elaborata da Andrea Serboli.

Voltando le spalle alla regola del consumo, la visione nasce proprio dalla volontà di riutilizzare i rifiuti inerti da costruzione e demolizione per la creazione di un motore di costruzione di parchi urbani a costo zero - col duplice guadagno di avere delle discariche in meno e dei parchi in più - e di applicare tale modello per la riqualificazione dell’intera area. Il processo è piuttosto semplice: gli inerti, trattati in loco tramite un frantoio mobile, saranno miscelati con terra da coltivo e andranno a modificare la morfologia del terreno, permettendo la realizzazione di zone verdi, laghi e strutture per il parco. Qualcuno si chiederà: e a cosa serve un parco? La risposta è la stessa che riguarda simili ed altre proposte su cui insistono, tutt’oggi, libere associazioni come Piattaforma Creativa, guidata da Davide Rizzo - anch’esso architetto messinese che, nelle commissioni tecnico-scientifiche del Piano Strategico Messina 2020, offre un progetto pilota di sviluppo economico, sociale e culturale, legato alle esperienze già effettuate in altre città italiane. Oggetto:

6. Lo.La. Architetti - Da “Dintorni”- Rotonda della Roccia

4e5 Lo.La. Architetti Da “Nuove Cattedrali”: Santa Madre Degli Sconti, Santa Ecclesia Euri

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Bagaglio a mano

riconvertire l’ex Sanderson in una fabbrica dove si concentri l’energia creativa e manageriale delle nuove generazioni. Noi - visionari? - crediamo ancora che la risposta ai problemi di una città possa trascendere la regola ammorbante del consumo. Poiché convinti dal semplice fatto che il consumatore (già abbastanza consumato) non se la passi granché bene. Piuttosto che accalcarci dinanzi all’ultimo modello di TV LCD FULL HD e sbandierare proclami sullo sviluppo economico, dovremmo credere nell’urgente necessità di ridefinire i codici culturali di questa città,

sinora estirpati dalla storia con la forza, il disinteresse, il tornaconto personale e il conseguente massacro di ogni senso civico. È questa l’utopia “reale” che inseguiamo. Quella di una comunità urbana che sia in grado di “vedere” una strategia abitativa a lungo termine. Una comunità di cui tutti facciamo parte. Un sentito ringraziamento va a tutti coloro che hanno partecipato, con spirito d’iniziativa e creatività, al gioco della finzione. Poiché le bugie, quelle buone, fanno molto di più che una sconcertante verità. Come sempre, vi aspettiamo al nostro indirizzo: lola.architetti@gmail.com.

7. Lo.La. Architetti Da “Residui”: Fantatratte, Divieto a oltranza (Arch .Cristina Fucile),

Foto di sfondo Andrea Serboli Architetto Da “Parco Urbano” Planimetria

9 8. Lo.La. Architetti Da “Residui”: Rebus

9 e 10 Andrea Serboli Architetto Da “Parco Urbano Ex Sanderson”: Veduta del parco 1, Veduta del parco 3

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Arte & design di Clara Sturiale

AStu La riabilitazione attraverso il lavoro...

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vedere i loro prodotti: arredamenti in legno per la casa, gli uffici, gli ospedali, sembra un’azienda come tante, a parte il fatto di trovarsi dentro l’Ospedale psichiatrico giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto e di dare lavoro agli internati dell’istituto. La prima volta che ho visitato la cooperativa sociale Astu, stavo realizzando dei servizi per il piano di comunicazione che l’associazione messinese Le Voci Dentro ha studiato proprio per l’Opg di Barcellona: immagini di ordinaria quotidianità da immortalare in foto e video e pubblicare sulla rete. Così ho scoperto la realtà di questa cooperativa sociale di tipo B, nata il 5 febbraio 2001, per volontà di tre architetti, intenzionati a sperimentare nel settore dell’arredamento e del design. Un progetto realizzato grazie all’Opg, che ha messo a disposizione una struttura inutilizzata, alla fondazione Horcynus Orca e al Consorzio Sole, che hanno commissionato i primi lavori per arredare le loro sedi. L’obiettivo è il reinserimento socio lavorativo di soggetti svantaggiati. Dopo un inizio in salita, l’Astu “si espande” all’esterno, con incarichi da parte dell’Università di Messina, dell’Orto Botanico o del Comune di Barcellona e con le commissioni private. La struttura comprende la falegnameria, carpenteria, verniciatura e lavorazione del ferro. Attualmente lavorano nove dipendenti a tempo indeterminato, di cui sei ex detenuti e un solo internato in Opg. Ti chiedi chi provenga dalla struttura e chi sia un “lavoratore come tanti”, ma non lo capisci, se non quando parli con loro e si raccontano. Altrimenti è tutto lavoro, passione ed iniziative sociali per “gli altri”, come “Lo spazio di un sorriso” o “Il baule magico”, che prevedono la realizzazione di arredi per i reparti pediatrici degli ospedali, pillole giganti, giraffe portaflebo e un baule, elemento di gioco e contenitore di sorprese, pensati per far vivere più serenamente ai piccoli pazienti il periodo di ricovero e cura. Da realtà difficile a realtà difficile, uno scambio di energie, per vivere meglio.



Arte & mostre di Pasquale Fameli

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AIMÈ MAEGHT E I SUOI ARTISTI Le avanguardie del primo novecento nella collezione del grande gallerista, a Ferrara

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alazzo dei Diamanti a Ferrara, dal 28 Febbraio al 2 Giugno, ha ospitato una grande mostra, la prima in Italia, dedicata a un importante nome del panorama artistico europeo del secondo dopoguerra poco noto ai più: Aimè Maeght. Gallerista ed editore raffinato e lungimirante, si occupò del lavoro di maestri affermati quanto delle ricerche artistiche delle nuove generazioni. Insieme alla moglie Marguerite, seppe intrattenere rapporti di grande amicizia e collaborazione con artisti del calibro di Kandinskij, Mirò, Giacometti e tanti altri, esposti e promossi nella galleria parigina, aperta nel 1945, e ben presto impostasi come una delle gallerie più innovative del secolo scorso. L’intelligenza dei coniugi Maeght non stava tanto nella mera capacità di gestire gli affari commerciali, quanto di intrattenere con gli artisti un rapporto costruttivo, ricco di stimoli per le loro ricerche. Maeght soleva spesso incoraggiare i suoi artisti ad accostarsi a nuovi linguaggi, favorendo così l’espansione del loro spirito attraverso mezzi espressivi alternativi oppure del tutto nuovi, che andassero oltre quello pittorico. Del resto, le innovazioni di mezzi e modalità espressive che di lì a poco si sarebbero imposti sulla scena mondiale, ci danno conferma di quella che fu la capacità maeghtiana di intuire le logiche di trasformazione del sistema artistico, potendo così tenere testa all’egemonia del nascente mercato americano. Com’è noto, infatti, sul finire della seconda guerra mondiale, il centro si spostò dalla Francia, o per meglio dire Parigi, all’America del nord, neo-mamma dell’informale di Pollock, Kline e De Kooning. Ma la galleria Maeght, accanto ai maestri delle avanguardie, si occupò di talenti emergenti quali ad esempio Ellsworth Kelly o Eduardo Chillida, discostandosi dunque dal prevalente orientamento unidirezionale delle gallerie dell’epoca; un altro tratto differenziale e avvalorante della galleria Maeght rispetto alle altre fu certamente quello di spaziare dalla figurazione all’astrazione, evitando di fossilizzarsi sul sostegno di un’unica tendenza artistica mirando ad una ricerca capillare e quanto mai instancabile della qualità. Tra i tanti eventi, vale senza dubbio la pena ricordare l’esposizione Le Surréalisme en 1947 organizzata da André Breton e Marcel Duchamp; in quell’occasione Aimé iniziò a collaborare con lo scultore Alberto Giacometti che, anche grazie alle mostre della Galleria Maeght, divenne una delle figure più rappresentative dell’arte del dopoguerra, capace di tradurre nel ferro o nel bronzo il senso di precarietà dell’esistenza umana. Tra i grandi nomi che la Galleria Maeght rappresentò in esclusiva vi era anche la singolare figura di Marc Chagall. Aimé fu probabilmente affascinato dalla capacità dell’artista russo di esplorare tecniche diverse per dare forma al proprio mondo poetico: vedute parigine, il pittore con la tavolozza, coppie di amanti, galli fantastici, asini alati, violinisti e fiori provenzali sono i protagonisti delle ceramiche, delle incisioni, delle gouaches e dei dipinti presentati nella mostra ferrarese, tra cui il famoso Sole giallo del 1958. La sempre crescente intesa e i fortissimi legami di amicizia con i loro artisti è rintracciabile nelle opere per loro realizzate: basti pensare ai ritratti di Marguerite realizzati

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1. Pierre Bonnard: Fanciulla distesa, 1921, Olio su tela, cm 56 x 61. Parigi, Galerie Maeght Parigi, © foto Galerie Maeght 2. Joan Miró Manifesto della mostra surrealista, 1947 Stampa, cm 51 x 43 Parigi, Galerie Maeght Parigi, © foto Galerie Maeght

La mostra, a cura di Tomàs Llorens e Boye Llorens, è stata organizzata da Ferrara Arte in collaborazione con le Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea, il Comune di Ferrara, la Provincia di Ferrara, la Fondazione Cassa di Risparmio di Ferrara, la Cassa di Risparmio di Ferrara e Parsitalia Real Estate


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3. Wassily Kandinsky - Nodo rosso, 1936,Olio su tela, cm 89 x 116. Saint-Paul de Vence, Fondation Marguerite et Aimé Maeght Saint-Paul de Vence, © Archives Fondation Maegh 4. lberto Giacometti - Uomo che cammina I, 1960 Bronzo, cm 183 x 26 x 95,5. Saint-Paul de Vence, Fondation Marguerite et Aimé Maeght Saint-Paul de Vence, © Archives Fondation Maeght 5. Fernand Léger - Elementi su fondo blu, 1941 Olio su tela, cm 175 x 101,5. Parigi, Galerie Maeght Parigi, © foto Galerie Maeght

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6. Wassily Kandinsky - “Improvvisazione 3”

da Matisse nel 1944 e da Giacometti nel 1961, nonché al bellissimo dipinto di Bonnard, Fanciulla distesa del 1921, che Marguerite custodiva nella propria camera. Tramite la figlia di Matisse, Marguerite, nel 1945, Aimé conobbe George Braque, padre insieme a Picasso del cubismo, con il quale nacquero un’amicizia profonda e uno scambio alquanto fecondo. A questo proposito, è necessario ricordare che il mercante incoraggiò l’artista a riaccostarsi alla litografia e acquistò la sua intera produzione, tra cui i grandi pannelli decorativi con motivi mitologici del 1931 e uno dei celebri Ateliers del 1950-51, considerati in assoluto tra i suoi vertici espressivi. Ma tra tutti quanti era senza dubbio Calder, insieme a Miró, uno degli artisti amichevolmente più vicini ad Aimé. Un legame, quello con lo scultore statunitense inventore della scultura cinetica, confermato anche dal dono di nozze che l’artista fece ad Adrien, figlio di Aimè e Marguerite, il bellissimo Sommacco V del 1953, presentato in mostra assieme ai due singolari uccelli modellati in fil di ferro. L’amicizia con Miró è a sua volta testimoniata dalla tecnica mista Per i 70 anni di Aimé, esposta assieme a gouaches e oli, tra i quali Gioia di una fanciulla davanti al sole del 1960, che rivela peraltro il rapporto dell’artista catalano con le ricerche degli espressionisti astratti. La solerzia produttiva e l’impegno costante di Maeght vivono, dal 1964 a tutto oggi, nell’attività dell’omonima fondazione, situata a situata a Saint-Paul de Vence, vicino Nizza, che raccoglie la sua eredità e vanta capolavori d’eccezione, e che nel periodo della sua nascita s’impose come la seconda sede espositiva per prestigio che si occupasse d’arte contemporanea in Francia. La parabola maeghtiana rappresenta dunque un esempio di rara sinergia tra artisti, editoria e mercato, resa possibile soltanto grazie alla qualità di spirito di tutti i suoi protagonisti.

7. Joan Miró Il faticoso cammino guidato dall’uccello fiammeggiante del deserto, 1968, Olio su tela, cm 194 x 390,5. Parigi, Galerie Maeght Parigi, © foto Galerie Maeght 8. Fernand Leger “I costruttori “ 9. Marc Chagall “Il Compleanno”

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Musei di Giovanna Cirino

viaggio

nei musei della Sicilia

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urante la XII edizione della Settimana della Cultura é stato presentato nelle maggiori città dell’Isola, il libro dal titolo “Viaggio nei musei della Sicilia”, edito da Kalòs. Una guida di circa 100 musei di facile consultazione, strumento utile per i viaggiatori accorti. Il volume diventa lo spunto per una breve riflessione sullo stato di salute del sistema museale siciliano e, più in generale, sulla gestione dell’immenso patrimonio culturale. Parliamo di musei grandi e piccoli, altrettanto importanti, vere e proprie “antenne del territorio”; di come si muovono i musei diocesani sparsi nell’Isola; di musei chiusi, che poi s’inaugurano come nel caso della galleria di Palazzo Abatellis riaperta dopo due anni di restauri e subito dopo richiusa e poi riaperta in parte; di istituti museali trascurati, di “contenitori” che mancano, come quello della città di Palermo o quello del Terremoto a Messina. Nella città dello Stretto infatti, migliaia di “frammenti”, quanto rimasto della città distrutta dal terremoto del 1908, sono ancora accatastati nella “Spianata dei greci” dove li depositò provvisoriamente Gaetano La Corte Cailler, l’allora direttore del Museo Civico o stipati negli scantinati del nuovo museo. È immaginabile, ad esempio, che la città di Catania non abbia ancora un museo regionale? A questo proposito l’unica cosa certa è che non sarà allestito all’interno di castello Ursino. E quale sarà la destinazione d’uso di alcuni edifici storici? Parlare del nostro cultural heritage, dell’eredità ricevuta e che deve essere tutelata e valorizzata, significa parlare di monumenti, di giardini, del patrimonio librario, biblioteche e archivi, di parchi archeologici e geo-minerari, di poli scientifici, di castelli, di torri d’avvistamento e di teatri. Viene in mente una vecchia battuta partorita dalla spietata ironia di Woody Allen: “Dio é morto, Marx é morto ed anch’io non mi sento tanto bene”. Il sistema culturale nella nostra regione è malato e la cura - qualora si trovasse - è costosa, impegnativa e necessita tempi brevi. I provvedimenti annunciati dall’Assessore ai Beni culturali e all’Identità siciliana, Gaetano Armao, per quanto ricchi di elementi positivi, non sono ancora decollati. Restano dubbi e ombre sulla gestione e fruizione dei “gioielli di famiglia”. Di tutto questo si è discusso pochi giorni fa al villino Florio di Palermo, ad un incontro tra istituzioni, associazioni e operatori del settore organizzato da Legambiente Sicilia. Numerose le questioni sollevate, le occasioni di riflessione e le proposte avanzate: il problema del personale che dovrebbe essere formato, della didattica museale, dei servizi aggiuntivi, del numero di visitatori, della sicurezza, dell’illuminazione e della

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comunicazione. Ma in un momento di crisi finanziaria globale possiamo ancora pensare in termini locali? Data la mancanza di fondi economici - per quanto sia comprensibile il desiderio di ogni comunità di sentire valorizzata la propria identità è facile immaginare che non tutto potrà essere messo in mostra, esposti all’interno di musei periferici, che costano ma restano fuori dai circuiti turistici. I beni appartengono all’intero territorio siciliano e non tutte le belle statue o le raccolte pittoriche e di beni etno antropologici o le infinite collezioni di maioliche e reperti archeologici, potranno vantare una musealizzazione. Qualità e non quantità. È la legge dei numeri e anche del buon senso. Abbiamo bisogno di realizzare al più presto un processo d’innovazione, una rivoluzione nella mentalità, nelle strutture e nelle competenze. La svolta annunciata dall’assessore Armao prevede che ottantotto beni potranno essere affidati ad imprenditori e a società private. Non si tratta di project financing ma di una divisione dei rischi attraverso i PPP, partenariato pubblico-privato. Più saranno alti i finanziamenti, più lungo sarà il periodo di gestione da parte dei privati, che di fatto lavorano congiuntamente già dal 1993. <Il nostro obiettivo spiega Armao - è quello di affidare la gestione ai privati, ma dividendo il patrimonio in lotti che inglobino beni di maggiore e di minore interesse, in modo da non trascurare nulla e permettere a tutti i nostri siti culturali di essere amministrati al meglio>. Per saperne di più bisognerà aspettare i bandi previsti entro maggio. Il primo di questi, vedrà inclusi solo una decina di siti appartenenti all’area “pilota” di Trapani; in seguito il progetto verrà esteso anche agli altri beni. Parliamo della Valle dei Templi di Agrigento, della Villa romana del Casale di Piazza Armerina, dell’antica città di Morgantina che ospiterà nel 2011 il ritorno dell’Afrodite, del Museo del Satiro a Mazara del Vallo, dell’acropoli sul Monte Tauro a Taormina, dell’Isolabella con villa Bosurgi dove dovrebbe essere allestito un museo naturalistico, delle aree archeologiche di Selinunte e Segesta.. Il cuore del problema sta nell’annosa questione del modello di fruizione che il sistema pubblico siciliano vorrà scegliere. È infatti proprio su questo tema che il Ministero dei Beni culturali italiano nel ricevere la pre-candidatura per l’iscrizione nella lista del patrimonio Unesco dell’itinerario arabo normanno di Palermo e delle cattedrali di Cefalù e Monreale, chiede garanzie. Non è eresia temere brutte sorprese anche se facciamo i dovuti scongiuri, ma basta ricordare la cronaca: proprio in questi giorni infatti abbiamo letto la notizia di quell’albergo nel centro di Palermo che si preparava a ricevere un congresso di medici greci, che hanno rinunciato, facendogli perdere ben 120 mila euro di guadagno a causa della pessima igiene urbana della città. La munnizza ammazza gli affari e gestione del patrimonio culturale significa anche attenzione per l’ambiente ed il territorio che lo contiene e deve altrettanto fare bella mostra di sé.


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il luogo ideale per le tue vacanze Nella magica atmosfera di Capo Peloro sorge un nuovo residence composto da eleganti e luminosi trilocali, bilocali e monolocali dotati di ogni comfort. Immerso nel verde, dispone di piscina, ampi spazi attrezzati per il gioco e lo sport.

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Musei

Esemplare di Felis leo (Leone)

di Maria Pia Albanese

Prof. Filippo Dulzetto

Prof. Salvatore Pugliatti

IL MUSEO ZOOLOGICO F. CAMBRIA storia ed attualità

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Musei zoologici rappresentano luoghi di particolare interesse per la formazione culturale e scientifica ,svolgendo il ruolo di “ banche dati della Zoologia”. Essi solitamente vengono considerati come degli “ Archivi “ in cui vengono conservati i materiali che consentono agli Studiosi di comprendere ordinare e classificare la diversità delle specie animali. L’origine dei Musei di Zoologia risale all’inizio del XIX secolo con le collezioni zoologiche dell’Archiginnasio Pontificio, ma un vero e proprio Museo di Zoologia fu istituito per la prima volta da PIO IX nel 1853. La storia del Museo “F. Cambria” ha avuto inizio nel 1931 quando la collezione faunistica di proprietà del Gran’Ufficiale Francesco Cambria di Barcellona Pozzo di Gotto (ME), alla sua morte, fu donata dal fratello Gen. Angelo all’Università di Messina e posta inizialmente in uno dei cantinati del complesso centrale dell’Università. Dalle poche informazioni disponibili, fu possibile presumere che la raccolta e la preparazione dei reperti risalisse ai primi decenni del secolo, e pertanto considerata di alto valore storico per la cultura scientifica. Purtroppo per molti anni non fu possibile disporre gli esemplari secondo criteri sistematici.Tale obiettivo fu raggiunto solo nel 1956 grazie al Magnifico Rettore Prof. Salvatore Pugliatti che,attivamente collaborato dal Direttore Amministrativo Dott. Renato Capunzo, e su richiesta del Prof. Filippo Dulzetto ,mise a disposizione i fondi necessari per le attrezzature. Si deve soprattutto al Prof.Arturo Bolognari, Direttore dell’Istituto di Zoologia e di Anatomia Comparata ,se la collezione potè essere sistemata e valorizzata al meglio. Gli animali vennero trasferiti in un grande appartamento situato in via dei Verdi n° 53 e collocati su pedane ed armadi metallici a vetri. Grazie ad una illuminazione particolare ,si ottennero le condizioni più favorevoli per una buona osservazione. Prese forma,così, il Museo zoologico “F. Cambria” costituito da Vertebrati e da Invertebrati. I Vertebrati,appartenevano alle classi dei Ciclostomi, Pesci, Anfibi, Rettili, Uccelli, Mammiferi. La classe che aveva il maggior numero di esemplari delle più varie specie,era quella degli Uccelli. Un incremento alla collezione ornitologica fu dato dal Dott. Antonino Trischitta e dal Sig.Vincenzo Saccà.Gli Invertebrati erano rappresentati da una collezione di conchiglie di Molluschi, da Crostacei e

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Prof. Arturo Bolognari

da Echinodermi a cui si aggiungeva una pregiata collezione entomologica dello Studioso messinese FrancescoVitale (18611953) comprendente circa 12.000 esemplari appartenenti a 90 famiglie di Coleotteri, tutti raccolti in Sicilia e in gran parte nella provincia di Messina. La sistemazione e catalogazione degli esemplari fu eseguita dal Prof. Giuseppe Costanzo. Alle pareti del Museo erano affissi dei grandi pannelli plastificati con illustrazioni delle principali tappe dell’evoluzione animale. Per decenni il Museo zoologico divenne meta di visite guidate da parte di numerosissime scolaresche locali e delle Provincie di Messina e della Calabria, che traevano piacevoli soddisfazioni nel potere osservare una grande varietà di animali e poterne conoscere da vicino le loro caratteristiche morfologiche, impossibili da apprezzare nei loro dettagli anche visitando uno Zoo. Il Museo Zoologico è stato,altresì,luogo di apprendimento e di studio per centinaia e centinaia di Studenti di Scienze Biologiche e Naturali che,sotto la guida dei loro Docenti, fra cui la sottoscritta, ma anche il Prof.Arturo Bolognari e la Prof. ssa Antonina Donato, seguivano le lezioni e le esercitazioni pratiche di Zoologia e di Anatomia Comparata. Gli stessi Studenti avevano facoltà di frequentare il Museo anche fuori lezioni, guidati dal Sig. Mario Baldanza. Nel 1986 con il trasferimento della Facoltà di Scienze MM.FF. NN. nell’attuale sede di Papardo, la collezione fu collocata in locali annessi al Dipartimento di Biologia Animale ed Ecologia marina, locali, tuttavia, non adatti alla sua sistemazione che ha subìto la diminuzione di un gran numero di esemplari che sono andati rovinosamente perduti. Solo fra gli anni 2003-2005 si è provveduto alla restaurazione di una parte della collezione rimasta che è stata posta all’interno dei locali adibiti a Museo Storico - Scientifico della Facoltà di Scienze MM.FF.NN., facenti parte del nuovo plesso costruito per la collocazione della Biblioteca Centralizzata, dove si trovano anche le Sezioni di Matematica, Fisica, Chimica, Mineralogia e Paleontologia e di cui responsabile attualmente è la Dott.ssa Paola Faraone, cui ci si può rivolgere per le visite guidate. L’attuale patrimonio del Museo Zoologico “F. Cambria” è costituito da esemplari di Vertebrati ed Invertebrati, la cui revisione e classificazione sono ancora in corso. La raccolta faunistica dei Vertebrati è formata da esemplari, anche di grandi dimensioni,appartenenti alle classi dei Mammiferi, degli Uccelli e dei Rettili. Fra gli Invertebrati molto rappresentativa è la collezione costituita da varie Famiglie di Coleotteri. Di particolare interesse è, quindi, visitare il Museo Zoologico “F. Cambria”, in quanto oggi i Musei assumono un ruolo importante non solo per la formazione culturale scientifica ma anche quello atto a svolgere la funzione di “Laboratorio”, dove possono essere ricercati ed interpretati i problemi relativi agli studi zoologici ,sia sotto il profilo sistematico evolutivo che ecologico e zoogeografico.

Nella foto al centro: Grande Ufficiale Francesco Cambria di Barcellona Pozzo di Gotto



Per teatri di Gigi Giacobbe

USCITA D’EMERGENZA Lello Arena

al Teatro Brancati di Catania

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ello Arena e Sebastiano Tringali sono i protagonisti di Uscita d’emergenza di Manlio Santanelli. Il primo è un exsacrestano, il secondo un ex-suggeritore teatrale. Hanno occupato abusivamente una stanza d’un palazzo periferico di Napoli e nonostante i rischi che corrono per via del bradisismo che colpisce quello stabile, se ne stanno rintanati come due naufraghi che hanno perduto il senso del reale. Il fastidio principale è quello di scopare la polvere del pavimento che viene giù dal tetto per via degli scossoni che subisce quella mono-camera simili a quelli d’un terremoto. Per il resto hanno di che mangiare e bere, ognuno ha il suo lettino simile ad un sarcofago, non manca il proprio comodino carico di libri o fotografie, dalle pareti-quinte laterali scendono dei lenzuoli dipinti con immagini reali e astratte, il cesso è situato dietro un paravento e l’insieme, con vari oggetti bric-a-brac, trasmette un senso di disordine, di sporcizia e di provvisorietà. Ci sono in fondo a questo spazio metafisico, reinventato dallo scenografo Lello Esposito, degli scalini contornati da una volta a mattoni che evidenziano un uscio, una via d’uscita, anzi d’emergenza. Ma né il Pacebbene di Arena né il Cirillo di Tringali pensano minimamente di varcarla e andare via. E allora cosa fanno i due? Niente! Parlano dei loro ricordi, vanno su e giù per la stanza, giocano a carte, qualche volta Pacebbene prepara una pastiera e Cirillo rilega un dizionario e poi più niente. Solo parole che le Lello Arena e Sebastiano Tringali

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loro bocche vomitano di continuo, cercando di allontanare il più possibile “la grande signora”. Parlo dunque esisto, sembra il loro credo. Quasi come quei due sfigati beckettiani che aspettano Godot che non arriva mai. Ognuno ha mitizzato il proprio passato. Arena è cattivo perché sono così gli uomini di fede, mentre Tringali si sente un direttore d’orchestra perché in grado con le sue parole suggerite di far suonare la bocca di qualunque attore. Entrambi sono gelosi dei loro segreti, dei loro oggetti personali. I dispetti e i litigi sono lì sempre pronti a scoppiare. Ma né l’uno né l’altro ha la forza di lasciare quel bunker. La paura di rimanere soli, d’affrontare ciò di cui non si conosce, è più forte dì qualunque cosa. Più che un senso di solidarietà li unisce un senso di reciproca ripugnanza. Qualche volta indossano l’abito buono (i costumi sono di Daniela Catone, mentre i refrain musicali Germano Mazzocchetti) e la loro mente vola alle esperienze sessuali: tante quelle di Cirillo, poche o niente quelle di Pacebbene. “Beati i senzatetto perché vedranno il cielo”, è il sottotitolo della pièce di Santanelli: un apologo antropologico sul mondo sradicato di oggi, i cui esempi, come quello tratteggiato, tendono sempre più ad aumentare senza clamore e senza rumore. Non inventa niente Giancarlo Sammartano regista, si lascia solo cullare dall’estro dei due protagonisti, dimostrando Tringali un aplomb d’alta classe rispetto all’arruffone e sia pure bravo Arena col suo gergo partenopeo.


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Per teatri

margarita OVVERO LE DONNE DELLE NOTTI DI LUNA

al Teatro Garibaldi di Catania di CLAUDIO FORTI

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no psichiatra e la sua paziente. Lei soffre e fa sogni da incubo. Lui freudianamente la ipnotizza e le fa fare un salto all’indietro di almeno quattro secoli, nel 1615, al tempo della Santa Inquisizione. Eccoli dunque diventati, lei Margarita La China, la strega di Scicli vissuta realmente e condannata all’isolamento, lui, assecondando quella metamorfosi, un inquisitore spietato che vuole impartirle una sonora lezione. Pare che la seduta funzioni e che la donna riacquisti alla fine la sua serenità. È quanto accade nella pièce Margarita ovvero le donne delle notti di luna di Claudio Forti, ricavata dalle carte processuali del Sant’Uffizio siciliano (documenti forniti dallo storico Pippo Nativo e tradotti da Francesco Garofalo) andata in scena in un assiepato Teatro Garibaldi bellamente ristrutturato, col suo bel tondo sulla volta centrale di Piero Guccione, che ha accolto calorosamente lo spettacolo interpretato signorilmente e messo in scena con grande dedizione da Mario Mattia Giorgetti che aveva accanto, negli abiti della “malata”, una brava Donatella Liotta di cui sconoscevamo l’esistenza. Lo spettacolo non è solo una guarigione tout court, ma anche un modo di mettere a confronto potenti e deboli, carnefici e vittime. E risulta chiaro come in quella donna “diversa” s’intraveda l’incarnazione della donna libera che non ha paura di alzare gli occhi verso la luna, perpetuando così quel connubio spirituale e ancestrale che da sempre lega l’essenza femminile alla natura che la circonda. La scena minimale (una grande croce al centro, uno sgabello e due scranni ai lati) era di Tiziana Gagliardi, suoi pure i costumi e interveniva più volte - rompendo l’elettricità che si instaurava tra i due protagonisti - il Coro “Mater Dei” di 30 elementi, allocato in sala e sul palco, diretto da Corrado Iacono, le cui composizioni sacre erano di Sergio Carrubba. Lo spettacolo è stato promosso dalla Fondazione Carlo Terron, con la sua responsabile regionale Rosanna Bocchieri, in collaborazione con la Provincia regionale di Ragusa e il contributo di vari Enti e Associazioni culturali. Mentre i curiosi possono reperire il testo di Forti, originario di Marsala, sul numero di febbbraio-marzo di Sipario di quest’anno, la prestigiosa rivista giunta al suo 64°anno di vita, il cui attuale direttore è lo stesso multiforme Giorgetti.


Musicalmente di Domenico Giardina

Quando i Beatles cambiarono le nostre giornate Ma il mito continua a vivere nelle loro opere

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uante cose sono cambiate in quarant’anni. Un tempo così lungo eppure così breve. Per chi era giovane allora sembrerà passato in un lampo. Ma c’è una cosa che è rimasta uguale a sé stessa, e addirittura è cresciuta e si è ampliata, travalicando i limiti del tempo e dello spazio. Si tratta di quella che negli anni sessanta veniva chiamata “Beatlemania”. Apparentemente terminata nell’ aprile 1970 quando John, Paul, George e Ringo, in una parola i Beatles, decidono che è arrivato il momento di lasciare la loro “casa” sicura e confortevole per andare ognuno per la propria strada. Per i milioni di fan in giro per il mondo è come un fulmine a ciel sereno, come un brusco risveglio da un sogno lungo 7 anni e 13 album. In quel periodo il mondo era diviso in due, blocco occidentalecapitalistico da una parte e orientale-comunista dall’altra; in Vietnam gli Stati Uniti erano impantanati in una guerra logorante dalla quale non sapevano più trarsi fuori; tutto il mondo era pervaso dall’ondata lunga delle rivolte studentesche del 68 e dal “flower power” di San Francisco. In Messico si stavano per disputare i mondiali che avrebbero consegnato alla storia del calcio una partita epica come quella tra Italia e Germania Ovest finita 4-3 e in breve tempo il mondo della musica avrebbe perso Jimi Hendrix, Janis Joplin, Jim Morrison, andati a far compagnia a Brian Jones da poco scomparso.Tutti all’età di 27 anni. In Italia ci si apprestava a vivere gli anni di piombo e in Sicilia, in particolare, lo scioglimento dei quattro fu visto come un evento importante ma non così fondamentale come nel resto del Paese. In fondo la mania per i quattro di Liverpool era arrivata in modo molto attutito. Le comunicazioni non erano quelle di oggi, ci sarebbero voluti più di trent’anni per avere internet, quindi il mito dei Beatles era sì diffuso, ma non in maniera così pervasiva da provocare scene di delirio. Di sicuro avevano un grandissimo seguito anche nella Trinacria, ma soprattutto nelle grandi città come Catania e Palermo e in maniera abbastanza sobria rispetto ad altre realtà.

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Insomma era un mondo molto diverso e la separazione di coloro i quali più di ogni altro avevano dato forma e colore al sogno degli anni ’60 sembrava riportare tutti alla realtà. Fortunatamente restano le canzoni. Anche a distanza di 40 anni il mito dei Fab Four di Liverpool continua a vivere, nelle splendide opere dei quattro. “Let It Be” è stato il loro epitaffio. Un album dal quale emerge già la poca voglia di continuare insieme ma che nonostante tutto si pone a un livello molto al di sopra della media, simbolo di come fossero capaci di creare autentiche meraviglie anche in momenti di tensione come furono le registrazioni di quel disco. È l’album della canzone che gli dà il titolo, di “The Long and Winding Road” di “Get Back”, motivi entrati prepotentemente nella memoria collettiva. “Let It Be” è l’ultimo capitolo di una storia discografica iniziata nel 1962 con il primo singolo “love Me Do” e proseguita con album del calibro di “A Hard Day’s Night”, “Rubber Soul”, “Revolver” e “Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band”, solo per citarne alcuni. La produzione dei Beatles, infatti, proprio perché compressa in un intervallo eccezionalmente breve di tempo non conosce punti deboli, o album mediocri. A differenza di molti altri si sono sciolti all’apice della loro creatività, dopo album come “Abbey Road”, ultimo in ordine di registrazione, ma penultimo da un punto di vista delle uscite discografiche, in cui i quattro stavano dimostrando di anvere ancora tante idee e molto da dire. Questo, nel tempo, ha contribuito a formare quell’aura mitica attorno al gruppo.Molte volte, nel corso di questi quarant’anni si sono rincorse voci di possibili reunion, ma l’omicidio di Lennon nel 1980 ha fatto sì che i tre rimasti si riunissero solo in un’occasione, nel 1995, per registrare due nuovi brani “Free As A Bird” e “Real Love”, contenuti nelle loro Anthology. La successiva morte di Harrison nel 2001 ha posto definitivamente la parola fine a ogni speculazione. E forse è meglio così, che nella memoria di chiunque li ha amati rimangano le note dei capolavori immortali che hanno saputo creare in sette magnifici anni.


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Musicalmente di Dario La Rosa

Fitzcarraldo records Poker musicale per palati fini

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l sogno del grande Fitzcarraldo, protagonista di un film di diversi anni fa, era quello di costruire un grande Teatro dell’Opera in un piccolo villaggio dell’Amazzonia. Ed è forse perché la tenacia è stata il grande motore di quest’uomo cinematografico che una piccola casa discografica Made in Sicilia ha deciso di chiamarsi proprio con lo stesso nome. La “Fitzcarraldo records” è nata a Palermo qualche anno fa, ma in poco tempo è riuscita a guadagnarsi l’attenzione di esperti ed appassionati. Come altre etichette indipendenti, i lavori di questa comunità di musicisti sono molto ricercati e affondano le loro radici tra le note dei più promettenti “suonatori” della scena isolana. Jazz è la parola che meglio racchiude le produzioni, ma essa offre anche la possibilità di spaziare in altri ambiti: nei dischi della Fitzcarraldo ci sono anche sonorità blues, mediterranee e anche tanta improvvisazione. Ma andiamo con ordine. Fiore all’occhiello della casa discografica, certamente per la sua singolare attività, è l’Orchestra In-stabile Disaccordo. Si tratta di un progetto che rompe gli schemi, uno di quelli che ascolti e riascolti all’infinito. Una grande orchestra di improvvisazione di matrice jazzistica in cui c’è spazio per la musica e per le improvvisazioni teatrali di Davide Enia. Una di quelle cose che ti fa dire: finalmente qualcosa di nuovo. Poi c’è il lavoro del contrabbassissta Luca Lo Bianco, che potremmo definire più “classico” ed altri due dischi che completano il poker dell’etichetta discografica. Il primo porta la firma di Francesco Guaiana, chitarrista, che ha deciso di intitolare il

suo disco “The spoiled tree” (L’albero spoglio) dopo lunga osservazione di un imponente albero durante un autunno trascorso a Parigi e il singolare contrasto tra il lento spogliarsi delle sue foglie e l’arricchimento spirituale del compositore stesso. Ne è venuto fuori un disco semplice e da ascoltare sorseggiando una buona tazza di the. ’The spoiled treè è stato il mio compagno di viaggio durante una intensa e lunga permanenza autunnale a Parigi - afferma Guaiana -. Alto e imponente, lo osservavo ogni giorno dalla mia finestra e con lui ho condiviso le riflessioni, i dubbi e soprattutto i momenti creativi insieme alle straordinarie esperienze musicali che hanno dato vita a gran parte delle composizioni di questo cd.” Ne resta uno, il cui titolo è “Out South”, disco scritto da un altro chitarrista siciliano che di nome fa Lorenzo Colella. “Out south” è un modo di dire, una colorita espressione dello slang americano che suona pressappoco come “fuori da qui!”. In questa produzione differenti alchimie si amalgamano: musicisti provenienti da esperienza musicali diverse, vissute in luoghidiversi, spesso lontani dal sud di partenza, si scoprono vicini, come legati da un’arcana memoria comune. Un sound singolare, di grande forza evocativa, un linguaggio semplice e diretto, volto alla ricerca del lato viscerale della musica. Un percorso musicale che si sviluppa in un terreno di confine tra jazz, folk americano e rock. Provate ad ascoltare questi dischi, piaceranno a chi ricerca suoni nuovi ed eleganti.Per saperne di più cliccate su www. fitzcarraldorecords.com.


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Benessere ma g

di Francesco Paratore

Estate

gioie e dolori

La ricerca frenetica della forma migliore e il salone del fitness di Rimini

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lla temuta prova costume manca poco più di un mese e i “ritardatari del benessere” provano in tutti i modi di rimettere su una forma accettabile perdendo qualche chilo last minute. E allora parte la frenetica corsa alla ricerca della giusta soluzione che ci porterà, con poco sforzo e quasi in tempo reale alla risoluzione dei nostri “mali”. Immediatamente si parte alla ricerca della palestra più vicina, a volte l’edificio sotto casa nostra che per tutti i mesi invernali abbiamo ignorato e nel quale, adesso, depositiamo i nostri sogni di rivalsa contro i chili di troppo! Via con jogging selvaggio, diete da fame, massaggi linfodrenanti, e chi più ne ha più ne metta. I più accorti sono ben allenati e pronti per questo momento e dopo mesi di duri allenamenti e corretta alimentazione, aspettano impazienti il mare! Ma per chi non ha fatto nulla tutto l’inverno esiste un rimedio dell’ultimo minuto?Iniziamo col dire che NON esistono bacchette magiche per i chili di troppo o per i rotolini sui fianchi. Sicuramente si possono dare degli ottimi consigli, come ad esempio fare un’alimentazione equilibrata e tanto movimento, il tutto, ovviamente proporzionato al proprio grado di forma iniziale. Ma pur seguendo una dieta alimentare corretta,anche il fisico più allenato, in mancanza di un giusto costante ed equilibrato allenamento perderà tonicità. Ciò che è importante capire è che lo sport è un modus vivendi , una “cura” che aiuta l’organismo, in parole povere, a funzionare meglio, e come tutte le “cure” ha bisogno di tempo e di costanza. Il primo passo da fare è sicuramente accertarsi di poter svolgere un’attività fisica senza correre il rischio di farsi male, perciò è opportuno effettuare una visita generica

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per verificare le proprie condizioni fisiche. Dopo aver avuto il benestare del nostro medico, dobbiamo scegliere fra sport indoor o outdoor. Nella prima ipotesi si può optare per sport in acqua (nuoto libero o acquagim) o sport in centri fitness (palestra dimagrante, pesi, cardio, corsi aerobici). In entrambi i casi è necessario prestare la massima attenzione ai parametri di selezione delle strutture alle quali ci affidiamo. Per le piscine è di fondamentale importanza la basicità dell’acqua, la temperatura e lo stato di pulizia generale della struttura. Inoltre è necessario che la piscina abbia sempre un assistente bagnanti a vigilare sull’incolumità di chi la frequente e che i corsi vengano fatti da personale qualificato. Anche per i centri fitness è fondamentale lo stato della struttura e la pulizia dell’ambiente (attrezzi, docce, ecc…). Assicuriamoci dunque che ci sia un team di professionisti (istruttori qualificati, specialisti dello sport, insegnanti di educazione motoria), un ottima attrezzatura e una buona aereazione. Le discipline aerobiche, quali step, fitboxe, aerobica, ecc., faranno si che il nostro metabolismo si attivi per sostenere i ritmi imposti da questi sport. Utilizzando le nostre riserve lipidiche, poi, si arriverà ad una consistente riduzione del nostro girovita. Il tutto avrà maggiori risultati se abbinato ad una sana e corretta. Sicuramente la nostra classica dieta mediterranea con i propri ritmi: colazione, spuntino, pranzo, merenda e cena, è la migliore alleata per il raggiungimento e mantenimento della forma migliore, a patto che si tenga conto del bilancio calorico. Se la nostra scelta è l’attività outdoor il consiglio è di munirsi di cardiofrequenzimetro e di buone scarpe da running e, così attrezzati, affrontare, con le dovute


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cautele e la giusta motivazione, il nostro jogging magari sul meraviglioso lungomare. Per iniziare sarà opportuno scaldarsi con una camminata a passo sostenuto che sarà seguita da una lenta corsa alla quale si sostituirà, poco dopo un ritmo più sostenuto fino al raggiungimento della nostra soglia aerobica. (220- età= f. c. max. Il nostro ritmo ideale sarà il 60-70% di questo valore). Altra condizione imprescindibile per avere degli ottimi risultati sarà il tempo che destineremo per la corsa. Difatti per iniziare a bruciare le calorie che mi permetteranno di intaccare i depositi lipidici, dovremo mantenere il ritmo calcolato secondo la formula della soglia aerobica per almeno 30 minuti. È opportuno aumentare non il ritmo della corsa quanto la durata della stessa, infatti aggiungendo gradualmente minuti all’attività di training si avranno risultati sempre migliori, se poi alla fine della corsa inseriremo anche qualche esercizio per gli addominali e una decina di minuti per lo stretching,

ridurremo il ritmo cardiaco fino a portarlo alla condizione ideale ed inoltre eviteremo di accumulare eccessivamente acido lattico. Per chi ama lo sport e anche per chi lo ama meno, ricordate che Maggio è il mese del festival del fitness. L’importante evento Riminiwellness si è tenuto dal 13 al 16 del mese passato, e ci ha, come sempre proposto importanti spunti per migliorare l’attività fisica, le attrezzature migliori per i nostri allenamenti e alcune curiosità interessanti. È stata lanciata, infatti, durante la manifestazione degli sportivi la canottiera che scolpisce gli addominali. La tecnologia a servizio della vanità maschile. Un nuovo strumento per nascondere le “maniglie dell’amore” e donare una smagliante “tartaruga” al posto dei muscoli appannati. Si chiama RipTFusion la t-shirt elasticizzata che si indossa sotto i vestiti di tutti i giorni e secondo i suoi creatori sarebbe in grado di dare smalto anche alle pancette più rilassate: contiene, modella e fa perdere peso. (fonte ASCA).

Altra novità lanciata dal salone di Rimini è il Polestar Pilates (Il Metodo ® di Serafino Ambrosio), un sistema di allenamento fisico e mentale che utilizza la tecnica originale Pilates per il fitness, a scopo di benessere, e per la riabilitazione, a scopo rieducativo, miscelandole tra loro e ottimizzandole con tecniche avanzate. Particolarità di questo metodo di allenamento è l´utilizzo di piccoli attrezzi tra cui il Reformer, il Trapeze, il Flex Ring, la Fitball, la piattaforma di equilibrio, i Rotating Discs e molti altri strumenti che possono essere comodamente utilizzati sia in palestra sia a casa per un allenamento poliedrico in grado di dare il massimo beneficio.All´interno di Pilates Junction trova spazio anche lo Stott Pilates ® (Pilates Italia), evoluzione contemporanea all´originale metodo Pilates, un allenamento basato sui metodi della biomeccanica moderna che enfatizza l´uso della respirazione corretta e di allineamenti lunghi e controllati oltre ad includere principi moderni di ´exercis science´ e di riabilitazione della colonna. (fonte ASCA) E non dimentichiamo il Bootcamps BS allenamento fitness mirato al raggiungimento di due obiettivi fondamentali per il popolo del fitness: dimagrire e tonificare. La disciplina, adatta a uomini e donne di tutte le età, consente in sole sei settimane di ottenere ottimi risultati in termini di perdita di peso (dai 3 agli 8 kg), riduzione della massa grassa (3-5%) e del girovita (dai 2,5 ai 7,5 cm), aumento della massa muscolare e miglioramento della resistenza e della forza (+ 25%). Il programma di allenamento, studiato per impegnare differenti aree del corpo e della mente, comprende stretching, corsa/camminata, corsa a ostacoli, esercizi militari, yoga, pilates, pesi, addominali, salto con la corda, esercizi per migliorare la forza muscolare e molto altro ancora in un´atmosfera che ricalca la disciplina militare.

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Moda ma g

Chiara Celona

SFUMATURE EOLIANE, Appunti di moda

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trend dell’estate 2010 attraverso un percorso ispirato alle suggestioni isolane. Mare turchese, case bianche dalle porte azzurre, spiagge nere. Visitare le Eolie restituisce immediatamente la sensazione che ognuna di queste isole, con i suoi colori, possieda una propria anima, un’atmosfera, uno stile. Ed è proprio questo stile che ci ha suggerito un gioco di accostamenti con tre delle più celebri fra le “sette sorelle”: Salina, Panarea e Stromboli sono così diventate lo sfondo perfetto per una carrellata sulle tendenze della moda estiva 2010. Info Moda pag. 126

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COLOR MARE Abito sfumato in sangallo, Hybris (235 euro)

COLORE TENDENZA Bikini “Legende”, Philippe Matignongoldenpoint (29,90 euro il reggiseno; 22,90 euro lo slip)

STAMPA ALL-OVER Ispirato alla natura, Undercolors of Benetton

NUANCE SABBIA Bikini con rouches e borchie, Flavia Padovan (220 euro)

MUST-HAVE DELL’ESTATE Fa risaltare l’abbronzatura Le Vernis “Nouvelle Vague”, Chanel (20,50 euro)

ON THE BEACH Cesta in paglia con manico intrecciato, Terre Rouge (28 euro) e telo pareo “Giulietta e Romeo” (50 euro), tutto c/o La Punta

MOSAICO Illumina o scolpisce la Terra-fard effetto sole, Collistar (28,50 euro)

VERDE BOTTIGLIA A fascia, con arricciatura e ricamo di paillettes, Margherita Mazzei (130 euro)

ETNO, MA PREZIOSO Bikini ricamato a mano della collezione Blond Shadow, Parah (129 euro)

TRIKINI Costume intero nei colori del mare e della natura, Miss Bikini Original (142 euro)

FARM INSPIRED Cappello in paglia, Oysho (19,95 euro)

SALINA Anima verde

La chiamano “la perla verde delle Eolie” e non è difficile indovinarne il motivo. L’isola di Salina è in grado di offrire, col suo paesaggio, tutte le gradazioni del verde, da quello più intenso della vegetazione mediterranea dei suoi monti, al turchese del suo mare. Anche la moda estiva di quest’anno propone una gamma di tonalità che giocano sui colori della natura. Accanto alla tavolozza dei verdi accesi o dei turchesi esotici, s’inseriscono così delle sfumature più neutre, che ricordano le cromie della terra e della sabbia, accompagnate da intensi riflessi color bronzo e cioccolato. Fra le tendenze dell’estate 2010, merita di essere citato il ritorno, direttamente dagli anni ’70, di quello che viene chiamato “trikini”: un costume intero a cui sono stati apportati dei “tagli strategici” in alcuni punti, per valorizzare la silhouette. Già visto in qualche collezione negli anni passati, sono oggi numerosissime le linee di beachwear che lo stanno riproponendo in molteplici varianti. PATCHWORK Abito kaftano floreale, Twin Set by Simona Barbieri (184 euro)


SPUNTATA In neoprene bluette con profili laterali in pelle e cerniera a contrasto, Alberto Guardiani (315 euro)

MEDITERRANEA Borsa shopping a sacchetto con manici in pelle, Sete di Jaipur (81 euro) NAVY Bikini triangolo con stemmi stile yacht club profilati in tinta oro serie Bahia Blanca, Christies (80 euro) BON TON Abito bianco senza maniche in cotone con inserti di pizzo, Fornarina (99 euro)

PANAREA Navy style Il grande successo turistico di cui gode Panarea, fa sì che sia molto conosciuto soprattutto l’aspetto mondano e potremmo dire “modaiolo” di questa piccola isola. Sarà per l’immancabile sfilata di yacht nelle sue acque, per le sue abitazioni bianche dalle tipiche porte e finestre azzurre ed il mare blu, ma Panarea sembra proprio evocare un altro dei must di questa estate: lo stile marinaro, o “navy”. Sottili righe orizzontali colorano praticamente ogni capo d’abbigliamento, mentre gli accessori giocano con applicazioni e decori d’ispirazione marina. Accanto all’immancabile colore bianco calce, impreziosito nei tessuti da merletti e ricami, la moda 2010 suggerisce accostamenti con l’azzurro acquamarina, con l’indaco o con il blu più intenso: una combinazione di colori fresca e leggera, che mette subito addosso voglia di mare. Se vi va di seguire un altro trend su questa tonalità, non fatevi mancare il “total denim look”, da creare con accostamenti di jeans in tonalità simili o molto diverse tra loro o da osare in una salopette, magari rivisitata in chiave più femminile.

MARINA Borsa con zip e catena, Blugirl (326 euro)

DEGRADÈ Abito di cotone a palloncino, Sisley

COLOR OTTANIO Con dettagli in metallo, Undercolors of Benetton (29,90 euro il top; 19,90 euro lo slip) MAXI RIGHE Bikini “Ivory”, SiSì-goldenpoint (34,90 euro)

DETTAGLI NAUTICI Ciabattina LOVE FU in Melflex, 100% riciclabile, Melissa (50 euro)

BIANCO CALCE Bikini effetto lucido in sangallo con strass e anelli swarovsky, Flavia Padovan (220 euro)

ELEGANZA NAUTICA Monogram Bulles, una Hobo Bag in nylon blu navy a stampa Monogram, con manico in corda e cuoio, Louis Vuitton (prezzo su richiesta)

RIVISITATO Torna l’icona degli anni ’80, orologio con cinturino intercambiabile in morbida gomma colorata, Hip Hop (29 euro l’orologio con cinturino; 7,90 euro il cinturino di ricambio)

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ZEPPA Sandalo in pelle scamosciata e fussbett con brillanti di sagoma e colore diversi, Apepazza (165 euro)

STROMBOLI Glamour in nero Stromboli è l’isola dei forti contrasti, dei colori intensi, delle insolite suggestioni. Elegante e selvaggia allo stesso tempo, con le sue spiagge di un nero profondo, quello della roccia lavica, Stromboli suggerisce un mood sofisticato e misterioso, perfettamente rappresentato dal non-colore per eccellenza. Il nero per l’estate 2010 veste capi da spiaggia e da sera. Lo ritroviamo in raffinati costumi interi o in bikini impreziositi da cristalli ton sur tone. Nero anche sulle tute, che tornano protagoniste della stagione, da indossare la sera con tacchi altissimi. Nero per le calzature, sia che si tratti di zeppe, sia di sandali ultra flat. Non poteva però mancare, nella cornice stromboliana, un tocco di rosso lava: charms di corallo rosso che decorano una cesta in paglia o un vezzoso bikini che trasmette vitalità e passionalità.

DA METTERE IN VALIGIA “Le amanti del vulcano” di Marcello Sorgi Rizzoli (18 euro)

CON CRISTALLI Push-up, Calzedonia (39,50 euro il triangolo; 20 euro lo slip coordinato)

EFFETTO CORALLO Bikini, Calzedonia (29,50 euro il triangolo; 10 euro lo slip foulard)

ULTRA FLAT Sandalo nero con fascette e piccole borchie alla caviglia, Kallisté (238 euro)

DA DIVA Si chiama Audrey l’intero con sgambatura squadrata e allacciatura al collo, Triumph (69,95 euro)

ALLACCIATA AL COLLO Tuta nera, Liu Jo (149 euro)

NERO GLITTERATO Cesta in paglia con applicazione charms di corallo rosso, Ottavia Failla (140 euro)

CON RUCHES Gilet di cotone, Sisley

OLIO IN CREMA Protegge da acqua e raggi UV, Aqua-seal Huile di Kérastase (22,70 euro)

ESSENZIALE Costume intero “Mousse”, Philippe Matignon-goldenpoint (49,90 euro)

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ROSSO LAVA Miss Sicily Bag, Dolce&Gabbana (prezzo su richiesta)


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Sport ma g

di Alessandro Bisconti

La Nazionale dei siciliani Da Furino a Mascara, da Coco a Schillaci Ecco una selezione “all time” di azzurri nati nell’Isola

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Una Nazionale di calcio composta interamente da calciatori siciliani che hanno vestito l’azzurro nell’ultra-centenaria storia calcistica tricolore.Abbiamo provato a fare questo giochino per vedere un po’ che tipo di schieramento sarebbe venuto fuori. E adesso vi proponiamo il risultato. Decidiamo innanzitutto di schierare la nostra ipotetica formazione con un 4-3-3 molto zemaniano e cominciamo a stilare la lista degli 11 prescelti. Bisogna dire, innanzitutto, che la scelta dei “convocati” non è molto difficile, in quanto sono relativamente pochi i siciliani che hanno vestito la maglia dell’Italia. Però bastano a comporre un undici titolare di tutto rispetto.


101 Cominciamo con il portiere. Scelta difficile, resa ancora più ardua dal fatto che la Nazionale maggiore non ha mai schierato un portiere nato nella Trinacria. Così bisogna scendere di un gradino e scegliere un numero uno che ha vestito la maglia dell’Under 21, selezione subalterna, in ordine di importanza, solo a quella maggiore. Così ecco che fra i pali abbiamo Michelangelo Rampulla, nativo di Patti in provincia di Messina, e portiere dalle indubbie doti tecniche con un passato fra serie A e B che lo ha portato a vestire anche la maglia della Juventus per dieci stagioni, facendo da secondo a Peruzzi prima e Van Der Sar poi, vincendo tantissimi trofei con i bianconeri guidati da Lippi. A consegnarlo alla storia è stato però il goal segnato di testa al 92’ in Cremonese-Atalanta nel 1992 quando vestiva la maglia dei grigiorossi e che è servito ad agguantare il pareggio per la sua squadra.

In difesa ecco una linea a 4 formata da Francesco Coco, nato a Paternò, ex terzino di Milan e Inter, protagonista ai Mondiali del 2002 in Giappone e Corea, ma conosciuto soprattutto per le sue “prodezze” fuori dal campo. I due centrali difensivi sono il mitico Franz Calì da Riposto, primo capitano della Nazionale italiana nel lontano 1910 quando gli azzurri giocarono il loro primo match contro i cugini francesi vincendo per 6-2, e Roberto Galia, trapanese doc e giocatore duttile, capace di giostrare anche in mediana, il quale ha vissuto il suo piccolo momento di gloria azzurro con Sacchi ct nel periodo della sua militanza juventina. Che proprio a lui deve la coppa Italia del 1990 vinta contro il Milan grazie a una sua rete. Infine ecco Alessandro Parisi, terzino sinistro palermitano tuttora in attività (gioca in serie A con il Bari) e che ha giocato un’unica partita in Nazionale a Messina contro la Finlandia quando vestiva la maglia dei giallorossi peloritani.

Ed infine il tridente d’attacco, un terzetto spumeggiante capace di garantire fantasia e un discreto bottino di reti. Al centro dell’attacco l’unico siciliano capace di issarsi sul tetto dei cannonieri di un Mondiale. Parliamo ovviamente di Salvatore Schillaci, per tutti Totò, l’eroe delle notti magiche che con le sue sei reti ha fatto sognare l’Italia intera nel 1990. Sogno destinato a infrangersi contro l’Argentina di Maradona, ma il ricordo di quell’estate straordinaria rimarrà impresso per sempre tra i ricordi di chi ha avuto la fortuna di viverla. Ai lati il tridente viene completato da Pietro Anastasi, “Petruzzu u turcu” come era soprannominato, bomber con le maglie di Juventus e Inter e primo marcatore nella finale degli Europei del 1968, unico alloro continentale azzurro; e da Giuseppe Mascara, il più “giovane” debuttante in maglia azzurra (ha esordito il 6 giugno 2009 nell’amichevole Italia-Irlanda del Nord 3-0) e, teoricamente, ancora in corsa per una maglia azzurra ai Mondiali sudafricani.

Passiamo al centrocampo che vede sul centro-destra Antonino Asta, di Alcamo, sgusciante aletta che si guadagnò una presenza azzurra al termine di un’ottima stagione con il Torino. Italia-Usa del febbraio 2002 è stata la sua unica partita con l’Italia. Accanto a lui ecco uno dei giocatori italiani più titolati, il palermitano Giuseppe Furino, recordman di scudetti con la Juventus e mediano tutto cuore e polmoni tra gli anni ‘70 e ‘80. Fortuna che non ha avuto in Nazionale dove ha racimolato solo tre presenze. La linea mediana viene completata da Antonio Sabato, nativo di Novara di Sicilia che nel 1984 viene convocato per 4 partite da un Bearzot in cerca di nuova linfa per la sua Nazionale.

Insomma una selezione di tutto rispetto che si farebbe sicuramente onore in un ipotetico campionato. Volendo considerarlo siciliano acquisito (l’anno scorso gli è stata conferita la cittadinanza onoraria dal Comune di Corleone) potrebbe far parte di questa Nazionale anche Fabrizio Miccoli, leader incontrastato del Palermo che sta tentando l’assalto a una storica qualificazione in Champions League. In fondo sognare non costa nulla e una Nazionale con Miccoli e Mascara, simboli delle due realtà siciliane in serie A, renderebbe i giusti meriti al movimento calcistico dell’Isola.


Tennis di Gabriele Maricchiolo

internazionali d’italia di tennis “Roma caput mundi” così declamavano Cicerone, Orazio e Virgilio descrivendo la Città Eterna, la Roma imperiale sede del Senato e culla della democrazia, ma anche luogo di avvincenti confronti “sportivi” lotte intestine tra “barbari” dinanzi alla platea in delirio. E proprio lo spirito dello spettacolo competitivo, del grande evento sportivo fa ancor oggi di Roma l’ombelico del mondo (nel linguaggio moderno), ritrovo di campioni che attirano migliaia di spettatori in strutture vecchie e nuove che racchiudono in sé il fascino di oltre due millenni di storia. Tra questi uno tra i tornei di tennis, secondo gli addetti ai lavori, più belli al mondo: gli Internazionali BNL d’Italia, categoria Master 1000 considerato il torneo più importante dopo quelli dello Slam, tesi avvalorata dalla presenza ogni anno dei giocatori più forti al mondo. Così la Capitale dopo aver ospitato, nel giro di pochi mesi, la finale di Champions League di calcio e i mondiali di Nuoto accoglie

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con la solita cortesia latina i tennisti provenienti da ogni latitudine per contendersi, non solo, l’ambito titolo, ma un cospicuo montepremi. Anche quest’anno ai nastri di partenza il numero uno del ranking mondiale lo svizzero Roger Federer, considerato il giocatore più forte di tutti i tempi, ma che sulla terra rossa del Foro Italico e non solo non esprime al meglio il suo gioco. Grande favorito lo spagnolo Rafael Nadal, oggi numero tre al mondo, ma già vincitore del torneo romano per quattro volte in cinque apparizioni. Tra loro il fantastico serbo Novak Djokovic, amatissimo dalla folla e vincitore del torneo nel 2008. Nel tabellone a sessantaquattro che decreta la sequenza degli incontri troviamo anche tra gli altri l’inglese Andy Murray, il francese JoWilfred Tsonga considerato un nastro nascente del tennis mondiale, lo spagnolo Fernando Verdasco fresco vincitore del Master di Barcellona,

l’australiano L l e y t o n Hewitte, ex numero uno, e corteggiatissimo dalle giovani spettatrici. Anche un buon numero di italiani al via, ma con prospettive non troppo rosee visto l’enorme distacco in classifica rispetto ai primi. Il nuovo campo centrale, finalmente ristrutturato con una capienza di circa 10.000 posti a sedere, ospita le partite di maggior interesse e subito regala una sorpresa, per la verità non troppo gradita agli appassionati, Roger Federer viene sconfitto all’esordio dal giovane Ernests Gulbis, lettone di 21 anni, che lascia attonito il suo avversario esprimendo un ottimo tennis fatto di bordate di dritto ed un ottimo servizio dall’alto dei suoi 190 cm. Dall’altro lato del tabellone avanzano tutti i favoriti. Altra sorpresa l’ottimo rendimento di un redivivo Filippo

Rafael Nadal


dal

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Roger Federer

Volandri, il livornese che per anni è stato il miglior giocatore italiano nel circuito è riuscito a ritrovare lo smalto dei tempi migliori superando due turni prima di cedere agli ottavi di finale e solo nel tie-break del terzo set a Gulbis, rivelazione del torneo. Passano i giorni ed i concorrenti diminuiscono sino a completare il quadro delle semifinali. Nadal incontra Gulbis in quella che risulterà essere la partita più bella di tutto il torneo. Dall’altro lato del tabellone Verdasco superato Djokovic incontra l’altro spagnolo David Ferrer che è riuscito ad estromettere il francese Tsonga. Nadal approda alla finale in tre set certificando il valore del suo avversario, Ferrer supera Verdasco provato dalla fatica di oltre due settimane consecutive di competizioni.

Novak Djokovic

L’atto conclusivo della settimana romana è la finale tutta spagnola Nadal-Ferrer. Finale, purtroppo, dal risultato scontato. Davanti al pubblico delle grandi occasioni con numerosi personaggi dello sport e dello spettacolo sulle gradinate, Nadal si conferma il miglior giocatore al mondo sulla terra rossa, il suo successo è inevitabile ma non immediato. Durante l’incontro il sole che aveva accompagnato il torneo per tutta la settimana si nasconde dietro nuvole cariche di pioggia che da li a breve scaricano parecchia acqua costringendo gli organizzatori a interrompere l’incontro per ben due volte, perdendo buona parte del pubblico. Risultato finale 7-5 6-2 per Nadal che vince a Roma per la quinta volta nella sua carriera e punta a riconquistare il primo posto nel ranking mondiale.

Filippo Volandri Roger Federer


Pallanuoto Foto di Gabriele Maricchiolo

A.s.d. Ossidiana messina: il presidente Nicola Germanà racconta la sua realtà proiettata nel futuro Quando nasce la A.S.D. Ossidiana? Nasce 11 anni fa da una scelta che dovevo prendere allora, cioè fare l’allenatore itinerante per l’Italia o provare ad iniziare un progetto che portasse un giorno ad avere un buon settore di pallanuoto maschile a Messina. Ho optato per la seconda scelta. Come si è sviluppata questa scelta? Inizialmente con la costituzione di una scuola di nuoto per bimbi e bambine di età compresa dai 3 ai 12 anni, iniziando un lavoro con asili scuole materne e grest estivi. E la pallanuoto come è iniziata?

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Dopo 5 anni di questo lavoro di base svolto a Messina presso la piscina Cappuccini, la Ossidiana ha costituito la sua prima squadra under 13, per arrivare quest’anno a partecipare ai campionati under 13-15 -17 e per la prima volta abbiamo iscritto una squadra al campionato di serie D, composta da tutti nostri ragazzi . Avete avuto in questi anni oltre alla crescita numerica anche dei risultati agonistici importanti? Si, siamo arrivati l’anno scorso terzi alle finali regionali under 15 davanti a squadre che hanno fatto la storia della pallanuoto in Sicilia, e quest’anno siamo tra le

prime due finaliste regionali nel campionato under 17 B andando così a disputare le semifinali nazionali a Roma. In più sempre gli stessi atleti stanno disputando un ottimo campionato di serie D e chissà se ci faranno qualche sorpresa. L’under 15 ha ben figurato nel suo campionato arrivando prima nel girone, ed i più piccoli dell’ under 13 stanno crescendo e siamo sicuri che tra qualche anno ci daranno grandi soddisfazioni. Insomma quando vi vedremo in serie A? Questo per ora è solo un sogno. Il nostro primo obiettivo è fare bene lo sport di base facendo avvicinare alla

pallanuoto più giovani possibili dando loro delle regole da rispettare, quali la puntualità agli allenamenti, il rispetto per se stessi, i compagni e gli avversari, imparare a lavorare in un gruppo ed a sacrificarsi per esso e soprattutto imparare a non arrendersi mai perchè niente è già scritto. Lo sport è, innanzitutto per noi della Ossidiana, un aiuto per i nostri giovani ad affrontare la vita con più sicurezza e grinta per diventare degli uomini che sappiano migliorarsi e sappiano migliorare la propria città. In questo momento la nostra serie A è questa e con il tempo speriamo di continuare a crescere e poi, chissà...sarebbe meraviglioso .



Rugby Foto di Gabriele Maricchiolo

amatori rugby messina 25 anni di passione Le emozioni sono il gusto della vita. Il Rugby... un’emozione lunga una vita

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ra il 14 novembre del 1984 quando alcuni amici appassionati ed innamorati del rugby costituivano la Polisportiva Amatori Rugby Messina. È così che ha inizio questa avventura sportiva cresciuta negli anni con la passione degli adulti e la gioia dei ragazzi. Affiliata alla Federazione Italiana Rugby, dalla sua fondazione si è sempre dedicata a promuovere e divulgare il gioco del rugby avendo cura di seguire passo, passo

i suoi atleti fino alla conquista della serie C nel 1994. Oggi, dopo 25 anni la Polisportiva Amatori Rugby Messina continua a mantenere lo stesso identico spirito di squadra, con la stessa passione e le stesse motivazioni che da sempre caratterizzano la società. L’impianto sportivo dove la società svolge gran parte dell’attività agonistica è lo Stadio Comunale Sperone di Messina in C.da Papardo.



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Parchi e d’intorni ma g

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ciclopi, l’arcipelago incantato L’Area Marina Protetta “Isole Ciclopi” si estende per la maggior parte nel territorio di Acicastello ed è situata in un incantevole proscenio naturale in quanto si affaccia su un mare cristallino sormontato dal maestoso profilo dell’Etna, il vulcano attivo più alto d’Europa.


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stituita con decreto interministeriale il 7 dicembre 1989, adesso sostituito con quello del 9 novembre del 2004 che ne ha modificato principalmente la zonazione, l’Amp Isole Ciclopi copre una superficie pari a 623 ettari e si estende da Punta Aguzza a Capomulini. Prende il nome da un piccolo arcipelago composto dall’Isola Lachea, Faraglione grande, Faraglione piccolo e da altri quattro grandi scogli disposti ad arco di fronte al paese di Acitrezza. La gestione dell’area protetta è affidata al consorzio “Isole dei Ciclopi”, costituito dal Cutgana (Centro universitario per la tutela e la gestione degli ambienti naturali e degli agroecosistemi) dell’Università di Catania e dal Comune di Acicastello. L’Amp Isole Ciclopi si occupa della gestione e protezione, tutela e valorizzazione del patrimonio ambientale dell’area protetta con lo svolgimento di attività didattiche (visite guidate e incontri nelle scuole), scientifiche (convegni, seminari e ricerca) e turistico-ricreative (Pescaturismo, nautica da diporto, pesca sportiva, balneazione, charter nautico, battello a fondo trasparente, visite guidate alla Casa del Nespolo e al Castello Normanno). L’area marina è inoltre dotata di un battello “spazzamare” che permette di ripulire le acque da rifiuti solidi (come buste di plastica, lattine e tronchi). Sempre l’Amp Isole Ciclopi ha partecipato alla realizzazione del progetto “Ciclope” del Miur che consiste nell’acquisizione di parametri ambientali nelle aree ad alta naturalità come le riserve naturali e aree marine protette attraverso tecnologie wireless.

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• Sede legale Municipio di Acicastello - Via Dante, 28 - 95021 Acicastello (CT) • Sede operativa Centro Visite ed Uffici:Via provinciale, 5 - 95026 Acitrezza (CT) - Telefono/Fax 095 7117322 - e-mail: amp@isoleciclopi.it



Vulcani di Peppe Caridi

Dall’Islanda alla Sicilia il pianeta si ribella Continua a eruttare, senza sosta, il vulcano islandese che in realtà si chiama Eyjafjöll ma che viene comunemente identificato come Eyjafjallajokull, dal nome del ghiacciaio che lo ricopre quasi totalmente. E proprio il ghiaccio sta provocando la grossa nube di cenere che si muove dall’Islanda verso l’Europa paralizzando il traffico aereo: con l’apertura dei crateri, immensi blocchi di ghiaccio stanno infatti scivolando nel cuore magmatico del vulcano dando vita a polveri, vapori e ceneri che unite dall’emissione fumosa della stessa lava determinano la grossa nube vulcanica con cui tutte le compagnie aeree stanno facendo i conti. Dopo la prima grossa eruzione di metà aprile, il vulcano ha nuovamente ripreso la propria attività all’inizio di maggio rilanciando fumi e lapilli fino a novemila metri di quota: è una situazione destinata a ripetersi con grande costanza nei prossimi mesi perché l’eruzione potrebbe durare a lungo. Non si tratta di un fenomeno anomalo: lo stesso vulcano aveva già dato vita a episodi simili nel 1621 e poi nel 1821. La differenza tra quegli episodi e il caso dei giorni nostri è limitata al fatto che a quei tempi non esistevano gli aerei, e quindi la nube di cenere che attraversò l’Europa passò quasi inosservata. L’Eyjafjallajökull, inoltre, non è uno dei più pericolosi vulcani dell’Islanda: il Laki e soprattutto il Katla sono i più temuti dalla popolazione dell’isola nord/Atlantica perchè hanno caratteristiche particolarmente estreme. Il Laki porta con sé ricordi tragici per il Regno Unito, perchè nel 1783 eruttò dando vita a una nube tossica di ceneri e gas piena di anidride solforosa e acido solforico uccidendo più di 23mila persone proprio in Gran Bretagna. Il Katla è un

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vero incubo, il vulcano islandese più pericoloso. Dista poche decine di chilometri dall’Eyjafjallajökull di cui è anche detto “fratello maggiore”. Tutti questi vulcani sono circondati dai ghiacci. Il ghiaccio che circonda il Katla è grande cinque volte quanto quello dell’Eyjafjallajökull! Una sua eventuale eruzione potrebbe provocare uno scioglimento di tantissimo ghiaccio tale da inondare gran parte dell’isola, e le quantità di polveri emesse nell’atmosfera sarebbe eccezionale. Secondo alcuni esperti Islandesi, l’eruzione dell’Eyjafjallajökull potrebbe anche dar vita a una serie di eruzioni a catena, e soprattutto a quella del Katla. Ma sono solo previsioni che lasciano il tempo che trovano. L’Eyjafjallajökull, comunque, non sta immettendo moltissime ceneri nell’atmosfera. L’Eyjafjallajökull ha registrato una emissione massima pari a 4 milioni di metri cubi di terra. Per fare un confronto, nel 1991 il Pinatubo, nelle Filippine, diede vita a emissioni di terra pari a undici miliardi di metri cubi. Proprio l’episodio del 1991 determinò la formazione di un’altissima colonna di fumo che riuscì ad attraversare la tropopausa e raggiungere la stratosfera. L’atmosfera, infatti, è divisa in strati: la parte più bassa, dal suolo fino a circa 10.000 metri di altitudine, è detta ’troposfera’. La ’stratosfera’ è il secondo strato dell’atmosfera che si estende dai circa 10.000 metri ai circa 50.000. Nella stratosfera, al contrario che nella troposfera, le polveri vulcaniche si disperdono molto più lentamente e contribuiscono all’azione delle molecole di ozono che schermano i raggi ultravioletti emessi dal sole. La nube vulcanica del Pinatubo creò, nella stratosfera, un velo capace di schermare fino al 10% della radiazione solare, facendo diminuire la temperatura del pianeta di circa mezzo grado nei mesi successivi all’eruzione: il clima del pianeta fu sconvolto. L’inverno 1991/1992 fu uno dei più caldi del secolo scorso in Siberia, ma contemporaneamente Gerusalemme veniva colpita da continue bufere di neve e nel Mar Rosso morivano inspiegabilmente i coralli. Il fenomeno più estremo che ricordiamo è però un altro,


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quello del Tambora, in Indonesia. Tra 10 e 11 aprile 1815 il vulcano eruttò materiali fino a 150/180 chilometri cubici, riducendo l’altezza del vulcano da 4100 a 2850 metri sul livello del mare. Le ceneri lanciate nell’atmosfera arrivarono subito nella stratosfera oscurando il sole tanto da raffreddare la temperatura dell’intero globo addirittura di 3 gradi centigradi, e facendo sì che il 1816 non conoscesse una vera estate. Il 1816 stesso viene infatti ricordato come l’anno senza estate! L’eruzione del Tambora causò 22mila morti provocati sia dai lapilli che cadevano dal cielo che dai violenti maremoti intorno all’isola di Giava, in Indonesia, ma i danni all’intero pianeta di un anno senza stagione estiva furono incalcolabili. Particelle di polvere finissime come la cenere dei vulcani impiegano 3 anni per essere rimosse dall’atmosfera. Se superano la tropopausa possono rimanere sospese anche per anni nella stratosfera. Se, quindi, l’eruzione è intensa, si può creare un filtro tra Sole e Terra che riduce il riscaldamento. L’eruzione dell’Eyjafjallajökull, almeno per il momento, non può influenzare il clima perché la nube di cenere emessa dal vulcano non ha mai superato i novemila metri di altitudine, e non è quindi arrivata nella stratosfera. Nessuno può sapere quanto durerà ancora quest’eruzione. L’ultima dell’Eyjafjallajokull è durata 14 mesi, poco più di un anno.Intanto bisogna tranquillizzare un po’ tutti: con l’arrivo della nube in Italia non succede nulla di particolare. La ripercussione più grave è quella di possibili ulteriori ritardi al trasporto aereo. Tutti gli enti competenti hanno garantito che non ci sono rischi per la salute, perchè la nube è molto diluita e rarefatta. Né, come abbiamo già spiegato, sono al immaginabili ripercussioni sul clima. La nube non deve fare paura. Disagi ai trasporti aerei a parte, è praticamente ininfluente. Anzi, potrà regalare affascinanti scenari nel cielo, soprattutto all’alba e al tramonto, con giochi di luci, riflessi e ombre che alterano i colori consueti e regalano quindi scenari particolarmente curiosi e originarli. Intanto, però, anche i vulcani di “casa nostra” sono in fermento e non stanno a guardare. Gli allarmi del direttore dell’Ingv Boschi e del capo della Protezione Civile Bertolaso relativi all’Etna, al Vesuvio, a Ischia, al Marsili, allo Stromboli, a Lipari e ai Campi Flegrei sono scientificamente validi: molti studiosi del Cnr, del mono accademico e della comunità scientifica si sono accodati al monito di Boschi e Bertolaso per stimolare attenzione, monitoraggio e prevenzione. I segnali sismici tra Messinese e Catanese, ormai continui da mesi, potrebbero essere

preludio di una nuova eruzione dell’Etna. Ma fanno molta più paura Vesuvio, Ischia e Campi Flegrei che sono dormienti da tanto, troppo tempo. Oltre al Marsili, che potrebbe provocare (come lo Stromboli) devastanti tsunami nel mar Tirreno (com’è già accaduto più volte nella storia) a causa di movimenti tellurici e frane sottomarine (senza pensare a cosa potrebbe accadere con un’eventuale eruzione). Questo tipo di fenomeni, da sempre leggendari e affascinanti oltre che esteticamente spettacolari e scientificamente esaltanti, vanno vissuti con equilibrio, saggezza e moderazione: senza eccessivi allarmismi ma anche senza trascuranze: come recita un antico e famoso detto, “prevenire è meglio che curare”.

Vulcani e Terremoti, la diretta su MeteoWeb.it Sul portale dell’Associazione Meteoweb ONLUS, http://www.meteoweb.it è possibile seguire in diretta tutti gli aggiornamenti sulle eruzioni dei vulcani e sui fenomeni sismici del mondo. Le news, aggiornate in tempo reale, riportano i risultati del costante monitoraggio dello staff redazionale di MeteoWeb, approfondendo gli argomenti con interviste esclusive, aneddoti particolari e curiosità scientifiche. Inoltre sono quotidianamente forniti i collegamenti diretti con le webcam delle località in cui eruttano i vulcani (negli ultimi mesi ne sono state installate molte sull’Eyjafjallajokull) e con tutto ciò che concerne i fenomeni della natura. Imperdibili, infine, i reportage fotografici e le raccolte di immagini relative agli eventi estremi, particolarmente affascinanti e spettacolari. Non resta che augurarvi una buona navigazione sul portale http://www.meteoweb.it gestito dall’Associazione MeteoWeb ONLUS a cui anche quest’anno è possibile donare il proprio ‘Cinque per millÈ per sostenere la scienza e la meteorologia (il codice dell’Associazione è 92048110800).


Libri

a cura di Alessandra Morace ma g

Narrativa

La bottega dei desideri

autore: Karen Weinreb • editore: Garzanti • prezzo: €18,60 Bedford, New York. Nella villa a due piani regna il silenzio. È mattina, tutti dormono, tranne Nora. È presto, troppo presto, perché qualcuno suoni alla porta. Eppure quel campanello sta squillando insistentemente già da un paio di minuti. Nora non crede ai suoi occhi: all’ingresso ci sono gli uomini dell’FBI. Sono venuti ad arrestare suo marito, Evan, che lavora in finanza. Si è arricchito con operazioni illecite e ora, con la crisi economica, non può più farla franca. Basta un istante e il mondo di Nora crolla: non c’è più fiducia, né amore, né felicità, né soldi. Non le restano altro che dolore e rabbia. E tre bambini da mantenere, cosa quasi impossibile con tutti i beni pignorati e circondata dall’ostilità di quelle che un tempo credeva amiche. Ma in lei è rimasto qualcosa di prezioso, un dono che coltiva da anni, trasmesso di generazione in generazione dalle donne della sua famiglia. Fare dolci e pasticcini. Tutto ha inizio nella panetteria dove Nora lavora la notte. Nora apre “La bottega dei desideri”. È un luogo un po’ speciale, dove non si gusta solo un dolce e del buon caffè, ma si assaporano ricordi e si coltivano speranze, si dimentica il passato e forse si può anche amare di nuovo. Perché, a volte, basta la giusta dose di ingredienti per far tornare un sorriso e accendere un desiderio.

Mutandine di Chiffon – memorie retribuite autore: Carlo Fruttero • editore: Mondadori • prezzo: €18,50

“Perché ‘retribuitÈ, queste memorie? Perché, salvo due o tre eccezioni, sono state scritte su richiesta di vari giornali, settimanali, riviste, libri bisognosi di prefazione, e naturalmente pagate. Non si tratta quindi di un’autobiografia o di una confessione alla maniera di Alfieri o Rousseau. Mi chiedevano qualcosa sulla mia prima sigaretta, sul turpiloquio dei bambini, sui castelli piemontesi, perché mai avessi lasciato l’alta cultura per andarmi a occupare di fantascienza e fumetti, quali fossero stati i miei rapporti con Italo Calvino, Franco Lucentini, Pietro Citati, e così via. Tutto molto occasionale, casuale e, come accade nella vita di tutti, con milioni di cose non dette, lasciate fuori. Ma non ho certo dimenticato le tante amiche e i tanti amici che mi hanno aiutato e confortato nel corso degli anni e che considero la mia più grande fortuna. Quanto alle mutandine, figurano solo nel titolo, cui non ho saputo rinunciare. Nel libro non ce ne sono, non c’è gossip, non ci sono rivelazioni piccanti né ricordi maliziosi (anche se, volendo...)”.

Caino

autore: Josè Saramago • editore: Feltrinelli • prezzo: €15,00

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A vent’anni dal “Vangelo secondo Gesù Cristo”, José Saramago torna a occuparsi di religione. Se in passato il premio Nobel portoghese ci aveva dato la sua versione del Nuovo Testamento, ora si cimenta con l’Antico. E sceglie il personaggio più negativo, la personificazione biblica del male, colui che uccide suo fratello: Caino. Capovolgendo la prospettiva tradizionale, Saramago ne fa un essere umano né migliore né peggiore degli altri. Il dio che viene fuori dalla narrazione è un dio malvagio, ingiusto e invidioso, che non sa veramente quello che vuole e soprattutto non ama gli uomini. È un dio che rifiuta, apparentemente solo per capriccio e indifferenza l’offerta di Caino, provocando così l’assassinio di Abele. Il destino di Caino è quello di un picaro che viaggia a cavallo di una mula attraverso lo spazio e il tempo, in una landa desolata agli albori dell’umanità. Ora da protagonista, ora da semplice spettatore, questo avventuriero un po’ mascalzone attraversa tutti gli episodi più significativi della narrazione biblica: la cacciata dall’Eden, le avventure con l’insaziabile Lilith, il sacrificio di Isacco, la costruzione della Torre di Babele, la distruzione di Sodoma, l’episodio del vitello d’oro, le prove inflitte a Giobbe, e infine la vicenda dell’arca di Noè. Riscrittura ironica e personale della Bibbia, invenzione letteraria di uno scrittore nel pieno della maturità, compone un’allegoria che mette in scena l’assurdo di un dio che appare più crudele del peggiore degli uomini.


Classifica

Viaggio nel tempo 3

• Il Palazzo della mezzanotte autore: Carlos Ruiz Zafon editore: Mondadori prezzo: € 19,00

Bam bin i

autore: Geronimo Stilton editore: Piemme prezzo: € 23,50

Inizia un nuovo, stratopico Viaggio nel Tempo per Geronimo e la sua famiglia, grazie all’ultima invenzione del Professor Volt: la porta del tempo e dello spazio! Basterà varcarla per trovarsi a destinazione! L’avventura comincia nell’era glaciale, dove i nostri eroi, sfuggiti da un branco di mammut, vengono accolti in un villaggio preistorico. Ma i pericoli sono sempre in agguato: sorpresi da un orso delle caverne e da una tigre dai denti a sciabola, gli Stilton fuggono senza esitazione verso la porta del tempo. Si ritrovano così nell’antica Grecia dove Geronimo conosce il grande filosofo Socrate e partecipa a una gara di opere teatrali, vincendola suo malgrado con la Stiltoneide. Ultima meta del viaggio nel tempo è Firenze all’epoca del Rinascimento, dove gli Stilton incontrano il genio di Leonardo da Vinci. Proprio collaudando una sua invenzione, Geronimo riesce a smascherare una truffa e a salvare un nobile roditore dalla prigione. Età di lettura: da 7 anni.

• La caccia al tesoro autore: Andrea Camilleri editore: Sellerio prezzo: €14,00

• Prima di morire addio autore: Fred Vargas editore: Einaudi prezzo: € 16,50

• Innocente autore: Scott Turow editore: Mondadori prezzo: € 20,00

• Ulisse era un fico autore: Luciano De Crescenzo editore: Mondadori prezzo: € 16,00

Artmis Fowl La trappola del tempo Sagg istica

Templari. Dov’è il tesoro?

autore: Roberto Giacobbo editore: Mondadori • prezzo: € 17,50

“Conoscere i Templari non cambia la vita, non conoscerli rende più difficile cambiare vita.” La storia, spesso, nasconde un doppiofondo. E la storia dei Templari in particolare suggerisce ipotesi capaci di stravolgere la nostra visione del mondo. Non è un caso che questo mitico Ordine cavalleresco, che conquistò in poco tempo un enorme potere dopo la Prima crociata per poi venire soppresso con la forza nel 1314, conti ancora tanti appassionati ed eserciti tanto fascino. Il sacro Graal, la Sindone, l’Arca dell’alleanza: sono solo alcuni, i più noti, fra i misteri che aleggiano attorno alla fantastica avventura dei Templari. In questo libro Roberto Giacobbo ci accompagna in una vera e propria caccia al tesoro, il leggendario tesoro dei Templari. E a ogni indizio lasciato dai Templari nel loro lungo viaggio, si aprono scenari inauditi sul passato che abbiamo dato finora per scontato. Le crociate, l’elezione di papa Celestino V, la fondazione della città dell’Aquila, la nascita del santuario di Loreto, la scoperta dell’America, la rivoluzione francese, Mozart, Goethe, Dante Alighieri... Come se la vicenda dei Templari fosse il più grande giallo architettato dalla Storia, e la soluzione fosse proprio a un passo dall’essere scoperta.

autore: Eoin Colfer editore: Mondadori prezzo: € 17,00

II giovane genio non è allergico ai guai. Tutt’altro: li attira come mosche al miele. Troll mangiauomini, armati e pericolosi, demoni odia-umani, goblin sputafuoco... ne ha visti di tutti i colori. E dopo l’ultima, terribile avventura ha deciso di rinunciare alle attività criminali del tipo più magico per dedicarsi all’addestramento dei suoi fratelli. Ma ora sua madre è gravemente malata e Artemis Fowl si trova costretto a tornare indietro nel tempo per sottrarre l’unica cura possibile dalle grinfie del peggior genio criminale mai esistito: Artemis Fowl. Appunto. Con Spinella Tappo al suo fianco, Artemis deve viaggiare nel tempo per combattere contro se stesso. Età di lettura: da 10 anni.

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Cinema

di Giancarlo Giraud* ma g

A colloquio con Pasquale Scimeca, il regista di “Rosso Malpelo” e “I Malavoglia” Quando l’impegno civile passa attraverso il film

In occasione di un recente incontro a Catania il regista Pasquale Scimeca ha parlato dei suoi film, tratti da Giovanni Verga, Rosso Malpelo e I Malavoglia. Rosso Malpelo ha avuto una circolazione cinematografica insolita ma efficace, infatti il film è stato distribuito dallo stesso regista attraverso la sua società di produzione Arbash Film e grazie anche all’interessamento di amministrazioni locali, associazioni culturali, singole sale, cineclub e scuole, ha raggiunto tutto il territorio nazionale con un lavoro capillare che è durato oltre due anni. Per chi conosce il sistema distributivo, in Italia farsi largo – come dice Scimeca, insinuarsi nelle crepe del sistema – è un’impresa non da poco. Ma per il regista di Placido Rizzotto l’obiettivo non era solo artistico:”credo nel cinema come Arte, ma non può rimanere solo un piacere estetico. L’arte deve poter anche incidere la realtà”. Rosso Malpelo narra di una condizione ancora presente nel nostro mondo: lo sfruttamento e il lavoro minorile e per Scimeca girare un film non bastava a denunciare queste ingiustizie. Rosso Malpelo quindi è diventato fin da subito un progetto di solidarietà destinato a costruire cinque collegi aperti in una zona estremamente povera della Bolivia. Precisa lo stesso Scimeca: “Saranno scuole per i bambini orfani, con maestri, mense e docce. Si chiameranno Rosso Malpelo (anche lui era orfano) e rappresentano l’opportunità per oltre duecento

*Tratto da FILM D.O.C. n. 88

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bambini di uscire dalla miniera e dall’alfabetismo”. L’utile netto realizzato dal film e investito nel progetto in Bolivia è stato di 250 mila Euro, l’obiettivo raggiunto (sono iniziati i lavori per la costruzione delle scuole) e la partecipazione “dal basso” di tanti soggetti sono una buona notizia per il cinema indipendente. Anche una parte dei proventi degli incassi del prossimo film di Scimeca, I Malavoglia, andranno alle cooperative sociali di LIBERA di Don Ciotti, impegnate in Sicilia. Il film – aggiorna il regista –“ è alle prese con il montaggio e sarà pronto per l’autunno.” Distribuito da RAI Cinema e dal Luce, la parte destinata ai circoli e alle scuole verrà gestita direttamente dal regista, come è avvenuto per Rosso Malpelo, e non è escluso l’utilizzo in contemporanea della copia in DVD per raggiungere località prive di sale cinematografiche. Un approccio umile ed essenziale all’opera di Verga ma soprattutto libero, I Malavoglia di Scimeca non saranno un rifacimento de La terra trema, il capolavoro di Luchino Visconti del 1948 sempre tratto da I Malavoglia “un romanzo tra i più grandi della letteratura europea – dice il regista – un pozzo da cui tiri su mille idee”. Il film di Scimeca è uno sguardo sul presente, sui problemi dei ragazzi e dei giovani del Sud, quelli che una volta venivano definiti sottoproletari, ragazzi soli che non vanno più a scuola. Al centro della storia una famiglia di pescatori e gli avvenimenti che accadono quando un padre muore, la madre è a casa con i figli che crescono e devono cercare di stare al mondo e non hai più una casa. Per affrontare un testo così impegnativo Scimeca ha avuto l’appoggio e l’amicizia di Tonino Guerra, una grande vecchio del cinema, sceneggiatore di Antonioni, Anghelopulos, Tarkovskij …



Dischi

di Paolo Turiaco ma g

Wyatt, Rock Battom a Canterbury Attraversato il Canale della Manica si entra nel Kent, penisola meridionale dell’Inghilterra. In direzione di Londra poi si imbatte in una di quelle tranquille cittadine dal fascino antico: siamo a Canterbury. Si, proprio quella Canterbury dei racconti di Geoffrey Chaucer e importante per l’enorme cattedrale gotica. Nel nostro caso degno di nota perché sede di una vivace scena di rock progressivo che si è sviluppata tra la seconda metà degli anni ‘60 e la prima metà dei ‘70. Si parla infatti di una vera scuola o movimento di Canterbury che nasce e si sviluppa con una autonoma stilistica ben definita, lontana dal rock classico, aperta alle più svariate sfumature. Ma chi c’è a Canterbury all’inizio degli anni ’60? Ovviamente Robert Wyatt, poi Mike Ratledge, i fratelli Hopper…sono tutti studenti col “pallino” della musica; dalle loro menti geniali nasceranno i Soft Machine, i Matching Mole, i Caravan. Ma è su Robert Wyatt che vogliamo porre l’accento, sull’amabile disinvoltura nel far convivere un’anima leggera intima e comunicativa con quella estroversa, composita e sperimentale. Lungo questa direttrice corre la carriera di Wyatt che per più di 30 anni ha continuato a proporre la sua personale visione della musica e del mondo. Forma aperta, improvvisazione strumentale e soprattutto ampi spazi di improvvisazione vocale: la voce, lo strumento! Dal giungo del ’73 Robert Wyatt è costretto a vivere su una sedia a rotelle a causa di una caduta da una finestra dal quarto piano; questo episodio segnerà la sua vita. Nell’aprile del 1974 esce “Rock Bottom” uno dei lavori destinati a passare alla storia del rock. Ci sono sei canzoni e in tutte dominano la voce di Wyatt e la splendida linea melodica che interseca gli appunti delle tastiere e del basso di Hugh Hopper. Un interminabile viaggio nelle profondità degli abissi. “Sea song” il preludio alla discesa, quanto di più pacato e inquietante si possa immaginare; si attraversa il muro del rock verso l’infinito del free jazz. Musicalmente Rock Bottom rappresenta il raggiungimento delle maturità espressive di Wyatt; è un disco amaro e crepuscolare dominato dalle tastiere diventate lo strumento principale di Wyatt dopo l’incidente e dalla voce che è sempre un filo che da l’impressione di rompersi da un momento all’altro…piano, sempre più piano… fino al silenzio.

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Robert Wyatt Sea song


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magcom

Progetta Rinnova Arreda

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Programma

Speciale Sout Speciale South

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Speciale Sou Venerdì 11 Giugno •Partita 1 - Ore 16:00 Johannesburg Sudafrica vs Messico •Partita 2 - Ore 20:30 Cape Town Uruguay vs Francia Sabato 12 Giugno •Partita 3 - Ore 13:30 Johannesburg Argentina vs Nigeria •Partita 4 - Ore 16:00 Nelson Mandela Bay / Port Elizabeth Nigeria vs Grecia •Partita 5 - Ore 20:30Rustenburg Inghilterra vs USA

Martedì 15 Giugno •Partita 12 - Ore 13:30 Rustenburg Nuova Zelanda vs Slovacchia •Partita 13 - Ore 16:00 Nelson Mandela Bay / Port Elizabeth Brasile vs Corea del Nord •Partita 14 - Ore 20:30 Johannesburg Costa d’Avorio vs Portogallo

Domenica 13 Giugno •Partita 6 - Ore 13:30 Polokwane Algeria vs Slovenia •Partita 7 - Ore 16:00 Durban Germania vs Australia •Partita 8 - Ore 20:30 Tshwane / Pretoria Serbia vs Ghana

Mercoledì 16 Giugno •Partita 15 - Ore 13:30 Nelspruit Honduras vs Cile •Partita 16 - Ore 16:00 Durban Spagna vs Svizzera •Partita 17 - Ore 20:30 Tshwane / Pretoria Sudafrica vs Uruguay

Lunedì 14 Giugno •Partita 9 - Ore 13:30 Johannesburg Olanda vs Danimarca

Giovedì 17 Giugno •Partita 18 - Ore 13:30 Polokwane Francia vs Messico •Partita 19 - Ore 16:00 Mangaung /

una CITTà “mondiale”

Johannesburg è la città più popolosa del Sudafrica, e la seconda città più popolosa nell’intera Africa. Spesso è anche chiamata con il soprannome abbreviato di Jo’burg, Jozi ed eGoli dai suoi abitanti.“eGoli” significa luogo d’oro nello zulu, riflette la storia di Johannesburg nei primi anni come paese minerario e la sua ricchezza attuale. Tra i quartieri più noti di Johannesburg vi è Houghton, dove Nelson Mandela risiedette. All’esterno di Jo’burg sorge la township di Soweto, fondata appositamente per ospitare i sudafricani neri e divenuta successivamente simbolo del movimento anti-apartheid (fonte wikipedia).

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•Partita 10 - Ore 16:00 Mangaung / Bloemfontein Giappone vs Camerun •Partita 11 - Ore 20:30 Cape Town Italia vs Paraguay

http://www.joburg.org.za

http://www.fifa.com/worldcup/


uth Africa 2010 uth Africa 2010

peciale South Africa 2010

uth Africa 2010 Bloemfontein Grecia vs Grecia •Partita 20 - Ore 20:30 Johannesburg Argentina vs Corea del Sud

•Partita 28 - Ore 16:00 Nelspruit Italia vs Nuova Zelanda •Partita 29 - Ore 20:30 Johannesburg Brasile vs Costa d’Avorio

Venerdì 18 Giugno •Partita 21 - Ore 13:30 Nelson Mandela Bay / Port Elizabeth Germania vs Serbia •Partita 22 - Ore 16:00 Johannesburg Slovenia vs USA •Partita 23 - Ore 20:30 Cape Town Inghilterra vs Algeria

Lunedì 21 Giugno •Partita 30 - Ore 13:30 Cape Town Portogallo vs Corea del Nord •Partita 31 - Ore 16:00 Nelson Mandela Bay / Port Elizabeth Cile vs Svizzera •Partita 32 - Ore 20:30 Johannesburg Spagna vs Honduras

Sabato 19 Giugno •Partita 24 - Ore 13:30 Rustenburg Ghana vs Australia •Partita 25 - Ore 16:00 Durban Olanda vs Giappone •Partita 26 - Ore 20:30 Tshwane / Pretoria Camerun vs Danimarca

Martedì 22 Giugno •Partita 33 - Ore 16:00 Rustenburg Messico vs Uruguay •Partita 34 - Ore 16:00 Mangaung / Bloemfontein Francia vs Sudafrica •Partita 35 - Ore 20:30 Durban Nigeria vs Corea del Sud •Partita 36 - Ore 20:30 Polokwane Grecia vs Argentina

Domenica 20 Giugno •Partita 27 - Ore 13:30 Mangaung / Bloemfontein Slovacchia vs Paraguay

Mercoledì 23 Giugno •Partita 37 - Ore 16:00 Tshwane / Pretoria USA vs Algeria

“Fotografa” con il cellulare il riquadro a destra col codice e scoprirai tutto un Magmondo.

•Partita 38 - Ore 16:00 Nelson Mandela Bay / Port Elizabeth Slovenia vs Inghilterra •Partita 39 - Ore 20:30 Nelspruit Australia vs Serbia •Partita 40 - Ore 20:30 Johannesburg Ghana vs Germania Giovedì 24 Giugno •Partita 41 - Ore 16:00 Polokwane Paraguay vs Nuova Zelanda •Partita 42 - Ore 16:00 Johannesburg Slovacchia vs Italia •Partita 43 - Ore 20:30 Rustenburg Danimarca vs Giappone •Partita 44 - Ore 20:30 Cape Town Camerun vs Olanda Venerdì 25 Giugno •Partita 45 - Ore 16:00 Nelspruit Corea del Nord vs Costa d’Avorio •Partita 46 - Ore 16:00 Durban Portogallo vs Brasile •Partita 47 - Ore 20:30 Mangaung / Bloemfontein Svizzera vs Honduras •Partita 48 - Ore 20:30 Tshwane / Pretoria Cile vs Spagna

Questo è un mezzo di comunicazione innovativo, diverso e soprattuto MAGico.

Come accedere ai contenuti speciali di MAG Code Qr: il codice Qr si legge con un telefono cellulare dotato di fotocamera sul quale si installa un software gratuito che legge il codice e rimanda ad un link. Se vuoi fare la prova ecco come fare per scaricare ed installare il lettore Qr: http://www.mobile-barcodes.com/qr-code-software/ e scegliere il modello desiderato, seguendo le istruzioni di installazione. Molti cellulari di nuova generazione hanno il lettore Qr di pre-installato e non serve attivare la procedura di installazione. Gli utenti Apple possono accedere da AppStore®, cercare la voce “qr” e scegliere il software preferito. Per accedere ai contenuti speciali su MAG CodeQr basta cliccare sull’icona appena installata, inquadrare il codice Qr che il software riconoscerà collegandovi quindi ai contenuti multimediali. N.B.: (i costi di navigazione variano secondo il piano telefonico sottoscritto).


MagMap

MESSINA

li suscettibi di variazione

eventi giugno/luglio 2010

ma g

TAORMINA

PALERMO

trapani

CATANIA caltanissetta enna AGRIGENTO

01/Giu. – Catania • BOY GEORGE Vocal e Dj Set

19/Giu. – Catania • DENTE

09/Lug. – Catania • P.F.M. in LA BUONA NOVELLA Mascalucia Summer Festival

03/Luglio • AEROSMITH THE CRANBERRIES + GUEST (Heineken Jammin Festival)

12/Lug. – Catania • MODENA CITY RAMBLER Mascalucia Summer Festival

04/Luglio • GREEN DAY THIRTY SECOND TO MARS - RISE AGAINST + GUEST (Heineken Jammin Festival)

13/Lug. - Taormina (ME) • SKUNK ANANSIE

05/Luglio • THE BLACK EYED PEAS MASSIVE ATTACK + GUEST (Heineken Jammin Festival)

17/Lug. - Catania • SHERMAN ROBERTSON Etna InBlues 2010

06/Luglio • PEARL JAM - BEN HARPER and RELENTLESS7 - SKUNK ANANSIE - GOSSIP – WOLFMOTHER + GUEST (Heineken Jammin Festival) 08/Lug. – Catania • ANGELO BRANDUARDI Mascalucia Summer Festival

Musica

20/Lug. - Mascalucia (CT) • LES VOIX DU 7SOIS SIRACUSA (Mediterraneo) RAGUSA

05/Giu. – Catania • BUD SPENCER BLUES EXPLOSITION 12/Giu. – Catania • IL TEATRO DEGLI ORRORI

Gli eventi l ed i luoghi denco presente eleessere potrebbero

17/Lug. – Catania • MARTA SUI TUBI

18/Lug. – Catania • ERIC BIBB Etna InBlues 2010 18/Lug. – Catania • DANIELIA COTTON Etna InBlues 2010 19/Lug. – Catania • SOLOMON BURKE Etna InBlues 2010

21/Lug. - Mascalucia (CT) • JULIO PEREIRA (Portogallo) 22/Lug. - Mascalucia (CT) • MOR KARBASI (Israele) 23/Lug. - Mascalucia (CT) • MARIO LUCIO (Capo Verde) 24/Lug. - Mascalucia (CT) • OLGA CERPA (Canarie) 24/Lug. – Messina • LIGABUE Stadio San Filippo 27/Lug. – Palermo • EROS RAMAZZOTTI Velodromo 30/Lug. - Campofelice di Roccella (PA) • DEEP PURPLE 31/Lug. – Catania • NINA ZILLI

31/Lug. – Palermo • DALLA - DE GREGORI 01/Ago – Catania • KINGS OF CONVENIENCE 13/Ago Campofelice di Roccella(PA) • LITFIBA 22/Ago Capo D’Orlando (ME) • MARIO BIONDI 04/Sett. - Taormina (ME) • CARMEN CONSOLI 18/Sett. -Taormina (ME) • GIGI D’ALESSIO 25/Sett. -Taormina (ME) • CRISTIANO DE ANDRÈ 10/Nov – Catania • UTO UGHI

Info Moda Alberto Guardiani: tel. (02)796385 www.albertoguardiani.it Apepazza: www.apepazzashoes.com Blugirl: tel. (02)784340 www.blugirl.it Calzedonia: tel. (045)8604111 Chanel: www.chanel.com Christies: tel. (0376)618905 www.christieslingerie.it Collistar: www.collistar.it

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Dolce&Gabbana: tel. (0331)409211 www.dolcegabbana.it Flavia Padovan: tel. (06)69925286 www.flaviapadovan.com Fornarina: www.fornarina.com Hip Hop: www.hiphopwatches.it Hybris: tel. (0522)971402 www.hybris.it Kallisté: www.kalliste.it Kèrastase: www.kerastase.it

La Punta: via Torre 137,Torre Faro (ME) tel. (347)9849663 Liu Jo: tel. (059)6322711 Louis Vuitton: n°verde (800)308990 Margherita Mazzei: www.margheritamazzei.it Melissa: tel. (0423)620877 www.melissaplasticdreams.com Miss Bikini Original: tel. (06)88522770 www.misbikini.com Ottavia Failla: www.ottaviafailla.it

Parah: www.parah.com Philippe Matignon goldenpoint: tel. (0376)941211 www.goldenpointonline.com Sete di Jaipur: tel. (011)4539632 SiSì goldenpoint: tel. (0376)941211 www.goldenpointonline.com Sisley: www.sisley.com Triumph: www.triumph.com Twin Set by Simona Barbieri: www.twin-set.it


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In a Box ma g

Un uomo che ha commesso un errore e non lo ha riparato, ha commesso un altro errore Confucio

La musica È innata nel cervello umano La musica fa bene, lo sanno anche i neonati! Aumenta l’intelligenza, migliora il sistema immunitario e le capacità di linguaggio. Le doti musicali si manifestano fin dai primi giorni di vita. I neonati di solo un giorno sono in grado di riconoscere la musica. Quando si dice avere la musica nel sangue. Uno studio dell’università Vita-Salute del San Raffaele di Milano, pubblicato dalla rivista Pnas, ha evidenziato che le doti musicali iniziano a manifestarsi fin dai primi momenti di vita, infatti i neonati di solo un giorno già sono in grado di riconoscere e apprezzare le note e di distinguere quelle sbagliate.

Percezione, il cervello crede di più a quello che vede che a quello che sa

Un computer per i nonni Pensato e realizzato in Italia per semplificare l’uso del computer, aiuta le persone anziane a condurre una vita più autonoma e socialmente integrata, facilitando le comunicazioni e abbattendo l’isolamento. In una nazione come l’Italia dove il 20% della popolazione ha più di 65 anni, quante sono le persone anziane che non sanno o non riescono a usare il computer, respinte dai piccoli caratteri dello schermo e/o da una complessità insuperabile per chi non ha cultura informatica? Per questo SR Labs (www. srlabs.it), azienda italiana specializzata nello sviluppo e nell’implementazione di ausili informatici ad elevata accessibilità, ha messo a punto dTouch, la soluzione che consente a chiunque l’accessibilità al mondo informatico e ai servizi online come posta elettronica e internet, ma che permette anche di fare telefonate, leggere libri (o farseli leggere ad alta voce) e persino gestire apparecchiature domotiche. Il tutto grazie ad una innovativa interfaccia messa a punto in anni di esperienza sul campo e davvero alla portata di tutti, che si usa semplicemente toccando lo schermo, senza mouse. Fonte: Good News

La visione domina il tatto e la propriocezione anche nella percezione delle dimensioni del corpo. Basta infatti una immagine distorta di un arto, ad esempio una mano ingrandita, a indurre una persona a compiere movimenti non rapportati alle dimensioni reali del corpo. I ricercatori del Dipartimento di Psicologia dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca, guidati dal Professor Angelo Maravita, hanno dimostrato che il cervello utilizza le informazioni visive per programmare un movimento: se le informazioni visive sono alterate ne risulta alterato anche il movimento. Questo a prescindere dalla conoscenza e dalla reale esperienza che si ha del proprio corpo. Fonte Good News

Fonte Good News

Giacomo FAZIO 50 anni di sacerdozio L’occasione del cinquatennio ci offre la possibilità di rendere merito alla benevolenza di un uomo di chiesa che in un rione con problematiche sociali variegate e molteplici ha saputo inserire una parola di conforto, di ausilio, di sostegno e per quanto ci riguarda una portatore fattivo di benevolenza e disponibilità offerta dal lontano 1996 in occasione dell’ospitalità per l’accoglienza del centro antimeridiano dei diversamente abili e a tutt’oggi come centro di aggregazione giovanile comunale presso la Sua parrocchia Maria SS della Consolazione di Gravitelli inferiore in Messina. Grazie padre Giacomo per esserci stato e per esserci ancora, forte, deciso e umanamente disponibile, con la forza e con lo spirito di un sacerdote profondo conoscitore di coscienze ed incoscienze. Con immutato affetto

da Rosalia Stefania Faraone, Tino Cundari, dai collaboratori tutti dell’Associazione Nuovi Orizzonti e C.A.S. cooperativa sociale


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