Mag Magazine

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Via XXVII Luglio, 44 - Messina


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Che c’entro con Mag? Ho viaggiato da un luogo all’altro dell’informazione. I periodici hanno fatto la parte del leone nella mia lunga carriera professionale - da Cronache Parlamentari Siciliane all’Euromediterraneo - ma raccontavano la Sicilia che ci fa arrabbiare e ci indigna. Niente a che vedere con Mag. Sono stato un bastian contrario sempre, haimè, e quando gli editori di Mag mi hanno proposto la direzione del periodico, ho indugiato. Con una rivista glamour, mi sono detto, che c’entro? Ho superato le perplessità per due buone ragioni: coloro che mi proponevano la nuova avventura professionale avevano entusiasmi ormai introvabili e la curiosità di scoprire l’altra Sicilia, quella che non fa notizia, ingiustamente messa da parte. La scommessa di Mag è proprio questa, far conoscere la Sicilia dei tesori d’arte, dei paesaggi che ti lasciano senza fiato, e raccontare fatti, episodi e storie di gente comune e personaggi affascinanti. C’è stato un tempo in cui l’Isola è diventata meta di viaggiatori straordinari, che l’hanno raccontata con occhi rapiti. Venivano dalla Francia, dalla Germania o dalla Gran Bretagna e quando attraversavano lo Stretto sentivano di avere lasciato il Continente. L’Isola appariva loro diversa dall’Europa, diversa dall’Italia, eppure parte dell’una e dell’altra. Poi è arrivato il cinema, la letteratura, le arti e la Sicilia è diventata simbolo, stereotipo, icona di caratteri, tradizioni, infamie e genialità che poco avevano a che fare con la realtà. Pochi altri luoghi al mondo hanno destato tanto interesse e curiosità. Credo che si sia verificato un fenomeno singolare: i siciliani si sono persuasi che erano proprio così come venivano raccontati. Mag potrebbe avere una missione, aiutarli a scoprire come sono veramente. Salvatore Parlagreco

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direttore responsabile: Salvatore Parlagreco

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Registrazione al Tribunale di Messina n° 8 del 12/6/08 editore: Magazine srl via Industriale, 96 98123 Messina Anno 2 Numero 8 aprile 2010 info@magmagazine.it magmagazine.it hanno scritto per Mag: Salvatore Parlagreco Salvatore D’Anna Enzo Bonsangue Patrizia Mercadante Elsa Doriana Briguglio Giulio Giallombardo Alessandro Bisconti Annalisa Ricciardi Antonella La Rosa Gigi Giacobbe Mario Loteta Giovanni La Fauci

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Pasquale Fameli Giovanna Cirino Dario La Rosa Roberto Rizzuto Chiara Celona Stefania Brusca Luciano Marabello Carlotta Princi Pancrazio Autieri

progetto grafico e impaginazione: Francesca Fulci Gianluca Scalone

pubblicità e marketing: magcom@magcom.it tel. +39 347 6636947

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ringraziamenti: Sud Dimensione Servizi Alessandra Morace Ettore Lombardo Nino Calamuneri Salvatore Presti Giangabriele Fiorentino Luciano Marabello Cristian Vita Ranieri Wanderling Letizia Lucca Ufficio stampa Dolce&Gabbana

foto: Daniele Ciraolo, Gabriele Maricchiolo Dominik Diliberto

distribuzione gratuita: 15.000 copie Fly Service Messina, via Garibaldi, 375

Associato all’Unione Stampa Periodica Italiana


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Jannello Piazza Cairoli, 19/20 Tel. 090 718428

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Chirico Via Dei Mille, 68/70 Tel. 090 673956


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Quid

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L’isola delle donne

Stretto ed Immenso

Laghi di Ganzirri e Punta Faro

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Il giovane ed il mare

Radici

TV Piccola grande storia

Speciale Pasqua

Pasqua, teatro della devozione

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1904, lo sbarco di Lumiér nell’Isola

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Eccellenze

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Magnifica Sicilia

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Spettacoli

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Andar per teatri

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Mag luoghi

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Design

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Personaggi

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Palermo capitale mondiale del vino

Ciancarlo Conte, l’alchimista

Il menù che fece l’Europa

Geldof

Gli ostelli in Sicilia

Ciak...si gira gira

L’isola del cinema

Speciale Vini

Il siciliano che si innamorò della Finlandia

Lando Buzzanca

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106 I palazzi raccontano

La guerra sbagliata

Bagaglio a mano Itinerari visionari

Arte e Mostre Roy Lichtenstein

076 080 084

Lipari, l’arte della cultura sul vetro

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Musicalmente

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Francesco Cafiso

Parchi

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Moda

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Benessere

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Peloritani

Dolce e Gabbana

Scient of Sicily

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080 Cartolina

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Chiaro Scuro

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Rugby

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Libri

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Cinema

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Dischi

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Foto

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L’Intervista

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Mag Map

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Quid di Salvatore Parlagreco

L’Isola delle

donne

Chi dice donne dice danno”, dicevano quando ero in fasce. “Donne al volante, pericolo costante”, dicevano quando ero adolescente. Siccome andavo al cinema ogni sera, vedendo film con pirati e nave corsare, apprendevo che una donna nella stiva porta male. Era peggio prima, mi spiegavano, quando le donne finivano al rogo perché erano streghe, indiavolate e inducevano al peccato. Fonte di guai, sempre. Ma io non ci ho mai creduto, perché dal giorno in cui ho avuto coscienza di esserci, ovunque volgessi lo sguardo, ho visto donne che sorridevano. Se sono come sono, lo devo a loro, le donne della mia infanzia e della mia adolescenza. Ho ascoltato le loro parole gentili e goduto della loro attenzione. Provo perciò il rammarico di avere avuto tanto e non avere dato nulla in cambio, o quasi. Non c’è niente al mondo che possa farmi cambiare idea: sono loro che mi hanno regalato ciò che di buono c’è in me. Non è stata la buona sorte a permettermi di essere un bambino sereno ed un ragazzo allegro e, tutto sommato, contento di stare al mondo. Ho ricevuto un dono dal Padreterno: ben cinque mamme, mia madre, tre sorelle di mio padre nubili, e la sorella di mia madre senza figli, e mia sorella, di appena 14 mesi più giovane di me, eppure per certi versi mamma come le altre. Sembra il soggetto di un film-commedia, di quelli che andavano forte negli anni sessanta.

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Sono stato accudito giorno dopo giorno. Trascuro i dettagli, sarebbero imbarazzanti. Mia madre mi pelava la frutta e spezzava i biscotti nel latte la mattina anche quando frequentavo il liceo, e sua sorella, mia zia, fingeva che io credessi nei doni offerti dai nostri congiunti scomparsi nel giorno dei morti e riempiva di sorprese i giorni importanti dell’anno. Quando se n’è andata, mi ha lasciato due righe per scusarsi di non avere potuto tenere a battesimo mio figlio che stava per nascere. Le tre sorelle di mio padre curavano la mia salute ed una di esse, la più anziana, mi costringeva ad accettare le iniezioni ricostituenti. I miei amici, che sapevano tutto, scuotevano la testa e si scambiavano sorrisi di scherno fra loro quando capitava loro di assistere a qualche episodio di tenerezza. Non era davvero difficile che capitasse. Uscendo di casa - la mia casa era disposta su due piani trovavo una delle zie su un pianerottolo a sbarrarmi la strada per sincerarsi che fossi ben coperto e non avessi dimenticato quanto mi sarebbe servito fuori. Raggiunta la maggiore età sono stati tanti, fra i miei amici, a chiedermi se mi sentissi un privilegiato e non avessi subito danni irreparabili a causa di quell’esagerata attenzione verso di me. Sapevano bene che non ero né debole né viziato, eppure abituato a vivere nella bambagia e perciò inevitabilmente destinato ad una vita difficile fuori da quel

contesto. Ho spiegato più volte che non mi sono sentito privilegiato ma amato, che è un’altra cosa, e che i gesti ed i sorrisi delle mie mamme non hanno nuociuto gravemente al mio carattere, anzi mi hanno fatto amare la vita e le persone con cui ho avuto a che fare. Ho imparato ad avere rispetto per gli altri, indulgere sui difetti miei ed altrui ed a tenere in gran conto le cose importanti. Ma ciò di cui sono fiero ancora oggi, è di avere “contratto” l’abitudine a non considerare le opinioni altrui come prova di ostilità, inimicizia, avversione. Quando disputo con qualcuno su una questione, con passione o meno, tengo in grande considerazione che potremmo mirare allo stesso risultato e avere ragione entrambi o torto entrambi, perché la differenza di opinione è frutto di un modo diverso di vedere qualcosa. Beh, il carattere cambia, e non sempre in meglio. La vita ti segna e qualche volta seppellisce le buone intenzioni, il buonsenso, la tolleranza. Così hanno la meglio i cattivi sentimenti, l’avversione per gli altri, la tendenza a vedere nei torti subiti, le vessazioni del genere umano. L’importante è conservare, come dicono i tecnici, i “fondamentali”, cioè le cose che contano. Quando le tradisci, pare di entrare in apnea, ma dura poco, mi sento soffocare dalla insolenze che ospito: la mia prima vita, quella vissuta con le mamme, spazza via il malanimo e mi ricorda di avere ricevuto tanto, e devo


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sopportare qualunque torto o sopravvivere a qualunque sbaglio da me compiuto. Se non si è indulgenti con se stessi, non si riesce ad esserlo con gli altri. Avrei dovuto scrivere delle donne d’oggi e delle donne siciliane, soprattutto, ma ho finito con il raccontarvi delle donne della mia fanciullezza. Ho fatto male? Forse, no. Le mie mamme erano molto siciliane, avevano cura di sé e degli altri, vivevano in un tempo che non dava loro il piacere di esprimere pienamente se stesse. La mia generazione è figlia di donne così. Mia madre e sua sorella furono le uniche donne che a Gela, città in cui sono nato, lavoravano in un ufficio aperto al pubblico. Mia zia fu la prima a indossare un bikini in spiaggia. Lo fece con straordinaria non chalance e sorrideva di chi indugiava nello sguardo. Le piaceva la buona compagnia e i suoi biscotti erano una delizia. Trascorrevo un mese l’anno con lei, a Mussomeli, in una casa circondata da distese di girasoli. Quando la ricordo, e mi capita spesso, la vedo tra i girasoli o nella cucina di casa mentre mi prepara una insalata di pomidoro appena raccolti, e siede accanto a me, osservandomi mentre mangio. So di sorprendervi scrivendo tutto questo, forse non aspettavo che un’occasione per sdebitarmi, ma non trovo ragioni migliori per manifestare la mia profonda convinzione che sia un buon affare essere governati anche dalle donne, e testimoniare altresì il mio disappunto per il fatto che non è così. Una società che spreca risorse straordinarie è miope ed improvvida: l’Italia è il Paese che dà meno lavoro e paga di meno le donne, conta meno donne-dirigenti, ha meno donne ai vertici nelle istituzioni (l’Italia si colloca al 72° posto su 134 paesi). Una ricerca condotta su 500 aziende top da Fortune, ha scoperto che le imprese dirette da uomini e donne al vertice in misura paritaria offrono performance significativamente superiori rispetto alle altre: rendono di più ed aumentano il loro capitale più velocemente. Chi assiste ad una seduta del Parlamento re-

gionale in Sicilia si accorge come stanno le cose: appena tre donne su novanta deputati. Nelle istituzioni in Italia sono mosche rare e quando ci sono, prevale il sospetto che siano arrivate in alto grazie alla loro avvenenza, al sex appeal invece che per il merito. Una duplice penalizzazione. Dovrei guardare indietro per apprezzare meglio il contesto e ricordare i passi avanti che sono stati compiuti. Quando nacque la prima repubblica le donne non avevano diritto al voto, appena nel 1960 hanno avuto la possibilità di entrare nella pubblica amministrazione, solo negli anni sessanta ci siamo liberati del delitto d’onore e dei matrimoni combinati e solo qualche giorno fa una sentenza della Corte di Cassazione ha punito un giornale che considerava inadatta a svolgere il suo lavoro una dirigente di un istituto di pena. Giusto guardare indietro, ma è il presente la realtà che ci riguarda. Ed è proprio nel presente che trovo le prove dei nostri ritardi. Negli anni in cui ho insegnato, le studentesse erano le alunne migliori, sempre. Più tenaci, costanti, impegnate. Le mie due figlie, Sheila e Francesca, sono donne straordinarie. Sheila, che era uno scavezzacollo, è diventata una mamma perfetta, Francesca fa bene tutto ciò che decide di fare, l’avvocato o la ballerina di flamenco, e mia moglie nel breve lasso di qualche anno è diventata una dirigente d’azienda efficiente e competente. Amministra un’azienda vinicola e sa tutto ciò che c’è da sapere nel settore, come se non avesse fatto altro in vita sua. Quando la ascolto o la osservo, non finisco di stupirmi. Mi chiedo come abbia fatto in così poco tempo. Ma non dovrei stupirmi, la vita mi ha

offerto tante prove della qualità “di genere”. Se c’è una rivoluzione che merita di essere combattuta, oggi, non è quella del colore politico o dell’organizzazione sociale, ma la rivoluzione “di genere”: il mio Paese e la Sicilia, in particolare, devono affidare anche alle donne gli affari e la governance piuttosto che diffidarne. Non sarà facile, non tanto e non solo perché nelle stanze dei bottoni nessuno è disposto a regalare niente, ma perché il business e il governo della cosa pubblica hanno le loro regole e le loro priorità. Sono regole vecchie e priorità stantie, dettate e monopolizzate dagli uomini. Non è affatto scontato che le donne accettino le logiche, la comunicazione, i messaggi, lo stile della leadership, i ritmi ed i modelli dei board fin qui realizzati. Le donne vorranno reinventare tutto. I lettori sentono un brivido salire su per la schiena? Le lettrici sono scettiche? È naturale che siano così, se non lo fossero, vivremmo in un altro mondo, sicuramente migliore.


In a Box

a cura della redazione

Sapere di sapere quello che si sa è sapere di non sapere quello che non si sa: ecco il vero sapere (Confucio)

Fotovoltaico, a Catania la fabbrica italiana più grande Enel Green Power, Sharp e STMicroelectronics insieme per la produzione degli innovativi pannelli fotovoltaici a film sottile. L’impianto, situato a Catania, avrà una capacità produttiva iniziale di 160 MW all’anno, che diventeranno 480 MW nei prossimi anni. Enel Green Power, Sharp e STMicroelectronics hanno firmato l’accordo finalizzato alla realizzazione della più grande fabbrica di pannelli fotovoltaici in Italia. L’impianto sarà costruito a Catania e produrrà pannelli a film sottile a tripla giunzione. (Fonte: Good News)

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CSIcily: Conoscere, Studiare, Investigare È un progetto promosso da esperti in criminologia, avvocati, tecnici informatici e tanti altri personaggi “in cerca d’autore”. Il gruppo promuove la legalità nel senso più ampio del termine e lavora sul territorio siciliano, con altre “formazioni”, da circa un decennio. Si propone come obiettivo a breve termine quello della Cyber-cultura, allo scopo di prevenire reati legati alla “rete informatica” e lo fa formando classi di giovani al rispetto delle regole all’interno della rete e trasmettendo le eventuali possibilità di difesa dalla stessa. Diversi i laboratori attivati; i ragazzi sperimentano, giocano, arRISicano, conoscono i vari codici che costituiscono le regole, condivise, per una libera e ottimale convivenza, che vanno da quello civile, a quello penale, per passare a quello di procedura penale fino alla Costituzione . All’interno dei gruppi di lavoro, più numerosi del previsto, ritroviamo la presenza cospicua e il coinvolgimento di ragazzi tra i più difficili e diffidenti. Diventano attori consapevoli, studiano casi, approfondiscono il profilo personologico dei personaggi coinvolti, analizzano dati su personal computer; approfondiscono le varie fasi giudiziali a cui si è sottoposti in caso di procedimento civile e/o penale e si ipotizzano diverse risoluzioni del caso preso ad oggetto. I casi proposti sono reali e spesso, se non seguiti dal segreto istruttorio, alla fine del percorso, i ragazzi impegnati nell’attività possono confrontarsi con la vittima coinvolta. Nel caso del Liceo Scientifico “E.Vittorini” della città di Lentini (SR); alla fine del percorso si accennerà alla possibilità di creare un fondo economico per il sostegno a vittime di violenza psicologica, con un ospite d’eccezione e infine avranno un incontro con il gruppo operativo RIS della città di Messina a supporto di tutto ciò che è stato appreso e condiviso. CSIcily lavora al di là della formazione ai giovani; infatti si seguono casi, tra i più disparati e presta un servizio all’individuo coinvolto in casi di violenze che va dal sostegno clinico a quello legale e tecnico. Contattateci, il nostro sito è www.csicily.it

Lotta al cancro, nuovi studi Due ricercatori italiani che lavorano negli Usa fanno luce sui meccanismi di crescita dei tumori e aprono la porta a nuove terapie. Sono stati infatti individuati dai team guidati da Davide Ruggero, University of California di San Francisco, e da Pier Paolo Pandolfi, dell’Harvard Medical School di Boston, due diversi meccanismi cellulari. Il primo studio, pubblicato su Cancer Cell dai ricercatori dell`Università della California, ha dimostrato che un difetto dell`enzima chiamato mTOR (mammalian target of rapamycin), che regola il fabbisogno nutrizionale ed energetico della cellula e stimola la produzione di proteine chiave per la crescita cellulare, potrebbe rendere le persone suscettibili allo sviluppo del cancro. Secondo gli studiosi infatti, se le cellule perdono la capacità di controllare l`attività dell`mTOR, l`enzima diviene iperattivo e aumenta i tassi di sintesi proteica, consentendo alle cellule cancerose di proliferare senza limiti e formare nuove masse tumorali. Il secondo studio, pubblicato su Nature dai ricercatori dell`Harvard Medical School di Boston, ha dimostrato che attraverso la disattivazione del gene Skp2 è possibile innescare un processo di invecchiamento delle cellule tumorali che impedisce loro di crescere e dividersi, fino a provocarne la morte. La ricerca condotta su un gruppo di roditori affetti da cancro alla prostata, ha dimostrato che dopo un periodo di sei mesi i topi cui era stato disattivato il gene Skp2 avevano sviluppato tumori di dimensioni significativamente inferiori, poichè le cellule cancerogene - ma non quelle sane - avevano iniziato ad invecchiare. Disattivare il gene Skp2 potrebbe dunque servire, secondo Pandolfi, come “terapia pro-senescenza per la cura e la prevenzione del cancro”. (Fonte: Salute24)


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soggiornare in un ambiente esclusivo in vacanza e per lavoro Nella magica atmosfera di Capo Peloro sorge un nuovo residence composto da eleganti e luminosi trilocali, bilocali e monolocali dotati di ogni comfort. Immerso nel verde, dispone di ampi spazi attrezzati per il gioco e lo sport.

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a cura della redazione

Più desidero che qualcosa sia fatto,meno lo chiamo lavoro

2010

(Richard Bach)

Milazzo Film Festival V Edizione - 12 - 18 luglio

Bando per lungometraggi, cortometraggi e documentari Sono ammessi film, video provenienti da tutto il mondo (se in lingua straniera sono richiesti i sottotitoli in italiano) prodotti dopo il 1 gennaio 2008. Tema libero Cortometraggi: ammessi tutti i generi (fiction, documentario, animazione, sperimentazione e videoclip). Le opere devono avere una durata massima di 20 minuti e devono essere presentate in formato DVD. Termine invio cortometraggi 8 maggio 2010. Lungometraggi: sono ammessi i generi fiction, documentario, animazione. Le opere devono avere una durata minima di 45 minuti e massima di 120 minuti e devono essere presentate, per la preselezione, in formato DVD. Termine invio lungometraggi 17 aprile 2010. Concorso lungometraggi: Premio “Milazzo Film Festival” al miglior lungometraggio il bando è pubblicato al seguente indirizzo: www.milazzofilmfestival.it

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MOSTRA FOTOGRAFICA dedicata a Papa Giovanni Paolo II “Santo subito” Il cinquecentesco Castello di Spadafora ha fatto da scenario alla 20° tappa della mostra fotografica itinerante dedicata al pontefice polacco Giovanni Paolo II dal titolo “Santo Subito”. Inserito nell’ambito della festa del Santo patrono di Spadafora, San Giuseppe, si è svolta la Santa Messa officiata dall’arcivescovo, mons. Calogero La Piana che ha poi dato la sua benedizione alla mostra durante la cerimonia del taglio del nastro, alla presenza del sindaco della cittadina tirrenica Giuseppe Pappalardo ,del vice sindaco e assessore alla cultura Antonio D’Amico promotore dell’iniziativa e di un numeroso pubblico . Sono state ammirate per la prima volta in assoluto più di 300 fotografie che ritraggono il Santo Padre nei momenti più salienti della sua vita, a partire dalla sua infanzia con alcune suggestive immagini in braccio alla madre alle ultime scattate subito dopo la sua morte avvenuta il 2 Aprile del 2005. Quest’anno ricorre il quinto anniversario della sua morte e da qui la scelta di organizzare la mostra in questi giorni. Tutta la vita del Pontefice è stata ripercorsa seguendo lo snodarsi delle sale dell’antica residenza dei principi di Spadafora attraverso molti scatti inediti e ritratti originali coperti dal copyright dell’Osservatore Romano, quasi tutti appartenenti alla collezione privata di Placido Giannino che in 22 anni ne ha raccolti circa 5000. L’evento è stato promosso dalle associazioni “11 Novembre” e “Con Giovanni Paolo II - Sentinelle del mattino”assieme al comune di Spadafora e con il patrocinio della Provincia regionale di Messina e della Soprintendenza ai beni culturali e Ambientali di Messina. L’intento - secondo il dott. Antonio D’Amico, vice sindaco di Spadafora, è quello di commemorare la figura carismatica di Karol Wojtyla, riproporre l’opera straordinaria di questo Papa alle giovani generazioni e allo stesso tempo richiamare alla beneficenza devolvendo il ricavato della mostra in favore degli alluvionati di Scaletta. Un’occasione unica che ha permesso ai tanti visitatori che hanno seguito la mostra di tuffarsi nella vita di questo Papa tanto amato in tutto il mondo e allo stesso tempo di farsi coinvolgere dal fascino antico del castello cinquecentesco di Spadafora, unico per magnificenza.

ufo& university of westminster un progetto per Milazzo Sono stati presentati a palazzo D’Amico i due progetti predisposti dallo studio Ufo di Londra relativi alla riqualificazione del complesso Diana e alla costruzione di una cabinovia per collegare il Borgo al Tono. Gli elaborati, esposti in una mostra con disegni fotorealistici sono stati presentati da Andrew Yau, professore della Westminster University di Londra e docente dell’Architectural Association, ritenuta una delle tre migliori facoltà di architettura al mondo.

Giovanni Paolo II Presentazione del libro Appuntamento a Messina con Gianfranco Svidercoschi autore del libro su Giovanni Paolo II “Un Papa che non muore”, edizioni Sanpaolo presso la chiesa Santa Maria Alemanna il 10 aprile ore 10.30.


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In a Box ma g

Mostrami il tuo cane e ti dirò chi sei (Riccardo Bacchelli)

Rocky, un pastore tedesco, percorre 600 km per tornare dal suo padrone ll Pastore tedesco Rocky ha Percorso 600 km per tornare dal suo padrone. È stato premiato dal Consiglio comunale di Carrara. Al cane è stata consegnata una fascia blu con la scritta ‘Al miglior amico dell’uomo’ e la nomina virtuale a presidente del Consiglio comunale degli animali di Carrara. Rocky era stato rubato dai nomadi nel 2007 a Marina di Carrara ed era riuscito a tornare a casa da Salerno, via Pisa, dove lo aspettava ancora il suo padrone Ibrahim Fwal. (fonte ansa.it)

la città delle donne Un cantiere di sole donne per il restauro della Chiesa Madre di Gallodoro. E la consegna dei lavori avviene miracolosamente in anticipo sulla data prevista. Èuno dei prodigi compiuti dalle donne al “potere”. Nel caso specifico l’evento è accaduto in un piccolo comune della zona jonica, su una collina a pochi chilometri da Letojanni, dove a coordinare questo gruppo al femminile c’era Maria Stracuzzi, 30 anni, geologo e vicesindaco di Gallodoro dal 2007. Lei, la prima degli eletti, che nonostante la fiducia elettorale, ha dovuto faticare per guadagnare la stima dei colleghi uomini. Di questa e altre esperienze si è parlato l’8 marzo scorso a Giardini Naxos, per la prima Città delle donne, ovvero un altro modo di pensare alle donne nel giorno della loro festa, una strada intelligente e costruttiva intrapresa da tante esponenti della politica, del sindacato, della cultura, della sanità e dell’economia per mettere a confronto un cospicuo patrimonio di punti di vista e di esperienze di vita. Un evento lontano dalla consuetudine di creare pseudo-branchi notturni per una festa all’insegna della trasgressione. Ad organizzare questa full immersion nell’universo femminile è stata Fulvia Toscano e l’associazione culturale Le Officine di Hermes con il patrocinio del Comune di Giardini Naxos, del Consorzio Universitario per la Formazione Turistica Internazionale (Cufti), della Regione Siciliana, della Provincia Regionale di Messina Assessorato alle Pari Opportunità e con il Patrocinio morale del Ministero delle Pari Opportunità. Media partner dell’iniziativa Mag, Sicilia Donna, Le vie del centro e Radiostreet. Partendo dagli archetipi mitici legati alla triade divina di Demetra, Afrodite e Kore, l’apertura dei lavori è stata assegnata alla Soprintendente di Enna Beatrice Basile per festeggiare l’atteso ritorno della statua dell’Afrodite di Morgantina. A seguire sono pervenute le più svariate professionalità, ora impegnate nel forum della cultura come l’onorevole Angela Napoli (Commissione Giustizia e inchiesta sulla mafia) ora nella tavola rotonda su donne e politica con il commissario straordinario di Giardini Naxos Maria Letizia Di Liberti, Paola Briguglio (presidente Commissione Pari Opportunità Provincia), Maria Perrone (assessore Pari Opportunità Provincia di Messina) e il deputato Carmelo Briguglio (Comitato Parlamentare Sicurezza della Repubblica) e Bartolo Sammartino presidente della Accademia della politica. Non poteva mancare una rappresentanza di donne e lavoro, in una tavola rotonda introdotta dal direttore generale del Cufti, Fina Maltese, e alla presenza di Simona Caratozzolo per i giovani di Confindustria e tante rappresentanti del sindacato.

L’auto elettrica silenziosa e tutta siciliana: “Maranello” È stata presentata al Presidente della Regione Lombardo la nuova “Maranello”, auto elettrica progettata e costruita interamente in Sicilia, a Carini, dalla Effedì Automotive in collaborazione con la Società SicilianaEnergia. Carlo D’Angelo, il presidente dell’azienda che vende già le sue vetture in Francia (Antibes), ha dichiarato che la produzione attuale di 100 unità all’anno verrà incrementata con il progetto di installazione di colonnine per la ricarica elettrica in tutta la città. La Società SicilianaEnergia assieme ad Effedì ha portato avanti il progetto “Io zero: emissioni, consumi, rumore”, occupandosi di un programma di installazione di pannelli fotovoltaici a costo zero per le famiglie residenti in Sicilia. La piccola “Maranello” (2,64 m x1,44 m) con i suoi 4,5 kw si guida già a 16 anni, arriva alla velocità di 45 km/h, con un’autonomia delle batterie di 50/60 km e si propone come piccolo veicolo cittadino per le famiglie.


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Stretto e immenso di Salvatore D’Anna

Laghi di Ganzirri e Punta Faro il lungo lago placido

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Ganzirri, Capo Peloro, un lembo di Sicilia che si allunga, un puntale costiero che si distende a nordest quasi a toccare la Calabria, oltre lo Stretto. Qui, a pochi chilometri da Messina, puoi costeggiare il litorale, lanciando di tanto in tanto dalla spiaggia di sabbia e ghiaia uno sguardo sullo specchio del mare. Abbandonata la strada consiliare Pompea e attraversati villaggi di pescatori, il lago di Ganzirri, detto Pantano Grande, è lì. Un lungo, placido “otto”, formato dalla

barra marina e comunicante con lo Ionio. Le sue acque, profonde fino a una decina di metri, sommergono il fondo melmoso. Superato il Pantano Grande, a nord, la strada continua, lambendo i refoli dello Stretto, vortici generati dallo scontro delle correnti che alimentano il mito di Cariddi. La costa calabra qui incombe, riempie la vista, lontana poco più di tre chilometri. Superata Torre Faro, ti lasci alle spalle lo Ionio e curvi sulla costa tirrenica.

Qui si giunge sulla costa del secondo lago, quello di Faro, il Pantano Piccolo, in località Granatari. Salato, di forma tondeggiante, è della stessa natura del fratello maggiore, cui è unito da un canale. Più profondo, freddo, ha il fondo frastagliato dalla puddinga e comunica con il Tirreno tramite un canale a sponde murate. L’area compresa tra Ganzirri e Punta Faro è uno dei sistemi lagunari più interessanti dal punto di vista scientifico,


Stretto e immenso

tanto da essere tutelato da un vincolo naturalistico e paesaggistico, con la costituzione della Riserva Naturale Orientata della Laguna di Capo Peloro. Tra Scilla e Cariddi, il ponte c’è già. Tirreno e Ionio uniti dalla coppia di laghi. Una terra al limite, quasi di confine, una linea che collega Sicilia e Calabria. Come quella che Stefano D’Arrigo, nel suo romanzo Horcynus Orca, chiama la linea dei due mari”. La naturale unicità di questi laghi costituisce la loro carta d’identità. Basti pensare al Pantano Grande, il cui livello di salinità varia fra estate e inverno, alimentato da falde freatiche e dai torrenti che vi sfociano. Due canali, il Carmine a nord e il Catuso a sud, permettono l’ingresso di acqua dal mare, aperti o chiusi in base all’esigenza di ossigenare le acque. Nato dalla fusione di un bacino più piccolo con uno più grande, qui il fondale è bassissimo e quasi impedisce lo scambio di grandi masse d’acqua fra i due bacini, creando due microambienti diversi, due piccoli ecosistemi caratterizzati da alti livelli di biodiversità e produttività. L’ideale per la coltivazione dei frutti di mare. Cozze, vongole, un tempo anche ostriche. La riserva naturalistica è risorsa o freno? Non è tutto oro, infatti, quello che luccica. L’economia del luogo è in crisi, quasi bloccata. La pesca vive un momento di grande difficoltà, l’imminente costruzione del Ponte sullo Stretto rischia di dare la mazzata finale a tutta l’area. Qualcuno, invano, prova a cambiare le cose. Da anni, più di venti, esiste un progetto che, se realizzato, potrebbe rilanciare l’economia di questo luogo: un centro di terapia termale e di talassoterapia sul lago Faro, in zona Mortelle, che sfrutti le acque salso-sulfuree lacustri. L’idea si fonda quindi su basi scientifiche. Fu proprio un gruppo di ricercatori dell’Università di Messina, alla fine degli anni Ottanta, ad accorgersi che nel più piccolo dei laghi di Ganzirri esistono

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due fasce prive di ossigeno. Poste tra i 12 e i 29 metri, sul fondo del lago, e popolate da una folta colonia di batteri anaerobici che trasforma tutto il materiale biologico inerte del fondo in fango sulfureo terapeutico. Proposto

alla Provincia e al Comune di Messina e a tutti i sindaci che si sono via via avvicendati, il progetto dell’istituto termale è rimasto incompiuto. “Eppure un centro di questo tipo avrebbe una ricaduta economica notevole sul turismo e sull’occupazione”, dice Nina Donato, una delle menti del progetto e professoressa di Anatomia Comparata che insegnava alla facoltà di Scienze dell’ateneo messinese, “Basterebbe recuperare gli edifici abbandonati intorno al lago attivando fondi misti pubblici e privati”. Data la posizione particolare delle costruzioni, edificate in una lingua di terra tra il lago e il mare, alla fangoterapia si potrebbe abbinare la talassoterapia. “Centri di questo genere in Italia ce ne sono pochi - continua la

professoressa Donato -. In Sicilia, poi, nessuno ha mai accoppiato la doppia attività fangoterapia-talassoterapia. Grazie al clima, poi, il centro potrebbe stare aperto anche otto mesi l’anno”. Riunito in un’associazione, la “Caribdea” già nel 1989, il gruppo di studiosi, di cui fanno parte tra gli altri anche il professore Giuseppe Gangemi e Giuseppe Bisignano, ha quasi perso la speranza, tanto che l’associazione non ha proposto il progetto alle ultime due amministrazioni comunali, quella Genovese e quella Buzzanca. La motivazione è che un centro di questo tipo altererebbe gli equilibri della Riserva. “Noi invece pensiamo che il progetto possa assicurare lo sviluppo della zona attraverso lo sfruttamento delle caratteristiche naturali, monitorando continuamente il lago per non depauperarlo”, osserva Nina Donato, “finora nessuno ci ha mai voluto dare ascolto. E con la costruzione del Ponte sullo Stretto tutta l’area è destinata a morire”.


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Xmag

di Enzo Bonsangue

Il giovane e il mare Da Hemingway a Donato

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“...sono un naturalista, ma della pesca professionale”, mi sono sempre occupato. È una tradizione di famiglia che porteremo ancora avanti, e sempre con il cuore...”

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Sono attimi in cui il tempo si ferma, i fondali inondano d’azzurro lo sguardo e l’incanto della natura ti strappa via con forza dalla routine quotidiana. Attimi di eterno da respirare nella loro essenza più pura. Da rincorrere e di cui dissetarsi giorno dopo giorno. Tutte suggestioni che il biologo naturalista Giuseppe Donato vive di continuo. E per lui la pesca rappresenta, quasi, una ragione di vita. Più che un lavoro, la più esaltante ed inebriante delle passioni. E non è un caso che l’amore per reti, ami e profumi di mare gli sia stato trasmesso in toto dalla famiglia. Tramandato di generazione in generazione. Donato oggi ha 31 anni, ma già a 14 possedeva una barca tutta sua. Una prima, minuscola isola per sognare. “Sono un naturalista, ma della pesca professionale”, racconta, “mi sono sempre occupato. È una tradizione di famiglia che porteremo ancora avanti, e sempre con il cuore. Nonostante, ahinoi, non ci siano più le condizioni migliori per poter “vivere” di pesca. Tante, tantissime le componenti romantiche che incorniciano il mestiere. Fra i capitoli più belli, ad esempio, la cattura del pesce Spada con l’arpione, tradizione che volge al termine ma che il biologo di Ganzirri continua con orgoglio a tramandare. “Anche

Giuseppe Donato

quelli del Pescaturismo”, spiega, “sono momenti di grande gioia: durante la mattina o la sera, al largo, le sensazioni su una vecchia barca con l’arpione, organizzando una grigliata a bordo, sono qualcosa di unico e di raro”. L’incanto del pescatore è anche figlio della solitudine. Lontano dalle voci e dagli sguardi meravigliati dei turisti. Qualcosa di estremamente intimo. Istanti di “infinito” che invitano alla riflessione. Finanche al conflitto interiore. “Sì, accade pure quello. Perché a bordo ti interroghi anche su quanto possa essere “morale” arpionare una creatura che, poco prima, ti mostrava a pochi metri la propria gioia di vivere. Fa parte delle leggi di natura, ma restituisce sensazioni che ti scuotono l’animo. Come poche altre”. Spruzzi e istantanee di emozioni che sono stati anche immortalati in pellicola. Dopo “Gli ultimi cavalieri” (2005), realizzato con la regia di Marco Leopardi e trasmesso dalla Rai a Geo&Geo, Donato menziona con orgoglio il secondo documentario prodotto, “The swordfish hunter”, sempre incentrato sulla caccia del pesce spada. “Si è trattato di un’esperienza davvero indimenticabile”, racconta “e per la quale ho fatto volentieri da attore protagonista. Con Leopardi abbiamo girato


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immagini per un anno intero, dunque anche al di fuori delle stagioni di pesca e sempre in località differenti. Anche nel secondo documentario emerge la straordinarietà del contatto con la natura e la nostra voglia di viverla un pò da “lupi di mare”: c’è tutta quell’ebbrezza che sa portarti lontano con la mente”. La prossima sfida personale del biologo è già segnata in rosso nel calendario: l’inaugurazione di “Monella”. Che altro non è che una nuova imbarcazione. “Beh, non potevamo battezzarla diversamente”, spiega sorridendo Giuseppe Donato, “in considerazione delle “sofferenze” e dei problemi incontrati strada facendo per metterla a punto: anche la burocrazia, purtroppo, non favorisce affatto le esigenze della pesca e di coloro che operano nel settore”. In questo senso, fra i tanti auspici, o “sogni” ricorrenti, ci sarebbe quello della nascita di un porticciolo a Ganzirri.

Una struttura che possa garantire il minimo indispensabile per svolgere la professione senza intoppi. Fra i tanti, la sicurezza delle imbarcazioni in caso di maltempo. “Per anni”, denuncia Donato, “abbiamo chiesto alle istituzioni una “base”, ma le risposte non sono mai state positive. La paura è che un giorno saremo costretti a “fuggire” proprio perché non ti è consentito “vivere” il mestiere al meglio. Quella dei pescatori professionisti, d’altronde, è in Italia una categoria non equiparabile ad altre, e spesso le disparità in questo campo sono tanto evidenti quanto dannose. A Giuseppe Donato non resta che incrociare le dita, prima di andar via. Perché fra l’attesa di un sogno ed un altro, una certezza ce l’ha. E si trova lì, proprio a due passi. Ha pure il nome di chi non si arrende mai. Perché lei, la “Monella”, l’incantesimo del mare saprà restituirglielo sempre.

The swordfish hunter “Ho girato 2 anni fa un documentario a Ganzirri, nel Messinese, sulla caccia del pesce spada che si innesta con la storia di un giovane studente di Scienze naturali figlio di un pescatore di pesce spada, alle prese con un contrasto interiore tra la prosecuzione del lavoro del padre e i suoi principi etici derivati dagli studi che lo spingono a tutelare e proteggere le specie ittiche. Il film-documentario, ha una struttura narrativa cinematografica. È la storia di Giuseppe, è invitato dal padre a uccidere il suo primo pesce spada. Giuseppe nello stesso periodo si sta laureando nella facoltà di biologia marina a Messina. Combattuto tra il desiderio di perseguire la millenaria tradizione familiare e un sentimento di conservazione e rispetto per la natura, il protagonista permetterà di narrare una storia avvincente ed emozionante. Gli elementi che emergono possono essere così sintetizzati: - La descrizione di una tra le cacce più straordinarie al mondo che ha la caratteristica fondamentale di essere assolutamente eco-compatibile perché permette

di Marco Leopardi

sempre di scegliere la preda da catturare. La pesca del pesce spada rappresenta anche il simbolo di un prelievo eco-compatibile, un momento di riflessione sul problematico mondo della pesca industriale. - Il valore antropologico e culturale della caccia del pesce spada. Giuseppe, il giovane protagonista, si confronterà con il nonno ed altri anziani pescatori memoria vivente del glorioso passato di questa pesca, quando le barche spinte a remi inseguivano le prede. - Verranno valorizzati gli straordinari luoghi teatro di questa caccia. La valenza naturalistica e la vocazione turistica emergeranno fortemente dalle immagini. - Il significato dell’identità culturale, dell’appartenenza alla comunità di cacciatori e la consapevolezza di un ecosistema da difendere. - La fiducia nelle nuove generazioni.


Radici

di Patrizia Mercadante

TV

piccola grande storia da Milano a Palermo

Quella “scatola” irradia immagini e suoni. Quella “scatola” un tempo ingombrante, voluminosa, dall’estetica goffa e poco elegante nel corso degli anni si è trasformata in rettangoli sempre più sottili, che poggiano sul pavimento o si attaccano al soffitto. Pare che gli italiani non ne possano più fare a meno, ma un tempo non è stato così. L’era della televisione in tutta Europa inizia, infatti, in sordina, mentre negli Stati Uniti, già alla fine degli anni Quaranta, sono in parecchi milioni a possedere un apparecchio televisivo. In Italia, invece, i primi esperimenti risalgono allo stesso periodo: il 28 maggio del 1949 si effettua a Roma, negli studi radiofonici di via Asiago, la prima dimostrazione di emissione televisiva, cui segue l’installazione di ripetitori di segnale per rendere possibili le trasmissioni a livello nazionale. Il primo di essi entra in funzione a Torino il 10 luglio dello stesso anno,

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mentre due mesi dopo, esperimenti di massa, sono portati a termine a Milano, all’Esposizione Internazionale della televisione. Ma solo nel 1952 in Italia nasce la tv come monopolio, sulla base di una convenzione tra lo Stato e una società, la Rai (Radio Audizioni Italia) a prevalente partecipazione azionaria del gruppo Iri. È la diretta discendente di altre società, nate negli anni Venti, e a prevalente carattere radiofonico, confluite con l’avvento del fascismo nell’Eiar. Il più antico reperto conservato nella cineteca della Rai è la ripresa del Gran Premio d’Italia d’automobilismo a Monza, il 10 settembre 1952, in cui trionfa Alberto Ascari. Nell’ottobre dell’anno successivo entra in funzione il ripetitore di Monte Mario a Roma, e, sempre in via sperimentale, il 13 dicembre viene effettuata la prima diretta di un incontro di calcio: dallo stadio Ferraris di Genova viene messa in onda la partita

internazionale Italia-Cecoslovacchia, vinta dagli azzurri 3-0. Il 3 gennaio 1954, viene ufficialmente inaugurato negli studi di Milano, il servizio televisivo pubblico: l’annunciatrice, Fulvia Colombo, appare in video alle 11 per presentare i programmi della giornata. La prima trasmissione ad andare in onda, alle 14, è lo show “Arrivi e partenze”, presentato da un giovanissimo Mike Bongiorno; in serata è prevista la diretta della commedia di Goldoni “L’osteria della posta” e a seguire “La domenica sportiva”, il programma più longevo della storia della Tv italiana. Solo due anni dopo, la Rai conta 366.000 abbonati e nel 1961, adeguandosi allo standard internazionale, propone il secondo canale. Un decennio più tardi, In Europa, si diffondono i sistemi Pal (tedesco) e Secam (francese) che garantiscono un’ottima resa cromatica del colore. Nel ‘77 la Rai mette in onda trasmissioni a colore.


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Già all’origine si crea di fatto un divario tra Nord e Sud: le sedi di sperimentazione sono a Torino e Milano, mentre la regolamentazione giuridica e l’indirizzo politico-culturale viene deciso a Roma. A tre anni dall’inaugurazione dei servizi regolari (1957) gli apparecchi televisivi in Italia sono 6.682.466, al Nord 3.772.534, al Centro 1.299.780, al Sud 1.076.982 e nelle Isole soltanto 533.170. L’avvio spacca l’Italia geograficamente. Il monopolio televisivo Rai cesserà solo nel 1976, quando la Corte Costituzionale dichiara la legittimità delle emittenti televisive a carattere privato e locale. La prima nasce nel 1971, “Telebiella”, trasmette via cavo ed è registrata al tribunale come “periodico a mezzo video”, di proprietà dell’imprenditore Peppo Sacchi; ma, nonostante in Italia si invochi la libertà, una legge ancora vigente, il Codice Postale del 1936, ne proibisce l’utilizzo senza speciali autoriz-

...Pare che gli italiani non ne possano più fare a meno, ma un tempo non è stato così...

zazioni, e cosìviene ordinata la chiusura. La televisione, non era però prevista dal vecchio codice; trattandosi di norma penale, non fu ammessa l’analogia, pertanto, il pretore di Biella, Giuliano Grizi, giudicò lecita che la trasmissione televisiva via cavo. Facendo un passo indietro di qualche anno, 1973, la Corte Costituzionale conferma il monopolio statale dell’etere, ma liberalizza l’emissione via cavo in ambito locale. Nascono così alcune emittenti, tra queste nel ‘74 TeleMilano, che segna l’esordio nel mondo delle televisioni di Silvio Berlusconi e sempre nello stesso anno, iniziano a trasmettere anche Tele Firenze Libertà, Tele Superba a Genova e Video Bologna. Giudicate incostituzionali, perché trasmettono via etre, finiscono per avere problemi giudiziari che li trascinano da un tribunale all’altro. Dopo avere ottenuto il via libera nel ‘76, ma senza il confronto di una legge specifi-

ca, si assiste in tutta Italia alla proliferazione selvaggia delle tv e l’avvio del cosiddetto periodo dei “100 fiori”, che vede nascere e morire numerose televisioni private.Nel ‘78, si forma un nuovo gruppo imprenditoriale, RizzoliCorriere della Sera, e acquista Telealtomilanese, cui si aggiungeranno Tele Piccolo e l’emittente Pin. Solo un anno dopo, a novembre, nasce Canale 5 che molto presto è in grado di proporre i suoi programmi in ben 11 regioni, compresa la Sicilia. Il primo censimento sulle tv private si svolge nel maggio del 1980. I risultati sono sorprendenti: in Italia sono ben 972 le emittenti locali:116 in Lombardia, 113 nel Lazio, 82 in Veneto, 75 in Sicilia e 72 in Emilia. Ma non tutte resistono per via degli enormi capitali che la loro sopravvivenza impongono, alcune si ritirano, altre si associano formando network, tra queste l’emittente di Emilio Rusconi, Italia Uno che viene


Radici

ceduta a Silvio Berlusconi; nell’agosto dell’84 viene acquisita dalla Fininvest anche Rete 4 per il 64% dell’editore Mondadori. Ancora una volta la politica viene chiamata in causa. Come? I network fino ad allora non erano regolamentati per la trasmissione di programmi a diffusione nazionale, ma un decreto del presidente del Consiglio, Bettino Craxi, consente la messa in onda di trasmissioni televisive i attraverso cassette registrate. Nemmeno a dirlo, il decreto venne chiamato ironicamente “decreto Berlusconi”. Solo nel ‘90, grazie alla legge Mammì, si tenta di mettere ordine al caos dell’etere. La Sicilia con le sue 75 emittenti private non è da meno. Solo a Palermo in quegli anni si contano più di 20 piccole tv. Oggi poche sono sopravvissute. Stesso panorama a Catania, Messina e Siracusa, anche se in misure minore. A Siracusa le emittenti nascono tra la metà e la fine degli anni ‘70. TVS (Televisione siracusana color) trasmette dagli stessi appartamenti di Siracusa Onde Radio, una delle prime radio organizzate della provincia. A seguire Video Siracusa (oggi ceduta al gruppo Minardo di Modica che l’ha acquisita insieme e Video Regione) indiscutibilmente la prima televisione di informazione con una redazione affidata a giornalisti professionisti. Subito dopo nacque TRIS (TeleRadio International Siracusa) che, ancora oggi, pur ridimensionata resta una delle tv più seguite nella città aretusea. Fu la prima tv a produrre programmi di intrattenimento: quiz a premi ma anche trasmissioni di genere erotico (spogliarelli in tarda serata) intrattenevano moltissimi telespettatori. Nel 1984 nasce TeleMarte che, nel giro di qualche anno, sale nel gradimento dei siracusani ed investe nella tv satellitare. Una scelta che, però, si rivelerà deleteria perché oggi, dopo una serie di licenziamenti e tagli, nonché l’abbandono dei due canali satellitari, vive una vita grama. In provincia, negli anni ‘90, si è distinta Telestampa Sud-Video Triangolo di Lentini, particolarmente presente e attenta alle vicende della zona nord della provincia. Verso la metà degli anni 2000 è stata chiusa e il canale è stato ceduto ad un network nazionale. Dal 1990 al 1993 Telecolor Video3 Catania ha aperto una redazione a Siracusa mandando in onda un telegiornale confezionato da Siracusa. Oggi,

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così come Antenna Sicilia e Video Mediterraneo di Modica, mantiene un corrispondente da Siracusa. Video66, fondata nel 1994 grazie a contributi comunitari e alla passione di un ragazzo, è oggi la tv partner del quotidiano locale “Libertà”. Infine Telestar, una emittente sorta all’interno dell’Ippodromo del Mediterraneo nata all’inizio degli anni ‘90 ed oggi si dedica soprattutto ippica. Le più antiche Tv di Catania sono Telecolor Sicilia e TeleEtna che l’editore propose con la testata omonima di un giornale cartaceo. L’iniziativa singolare era legata ad un gadget: una piccola antenna manuale per sintonizzare il televisore sul canale: era il 1977 e l’editore Recca era un pioniere. La sua emittente fu la prima ad ottenere su tutto il territorio nazionale. Oggi Telecolor e TeleEtna sono di proprietà dell’editore Ciancio. Infine a Palermo la prima emittente privata fu CTS (Compagnia Televisiva Siciliana) di proprietà di una famiglia di industriali e imprenditori ancora oggi in prima linea nell’informazione. Fu una delle prime a proporre programmi d’intrattenimento, all’avanguardia rispetto alle altre. Ma punto fermo nel mondo televisivo resta TRM (Tele Radio del Mediterraneo), che assieme a CTS resta tra le più seguite in tutto il territorio regionale.


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Speciale Pasqua di Elsa Doriana Briguglio

Pasqua, teatro della devozione Uno spettacolo eterno ed inimitabile Dramma, teatro e festa sono strettamente legati nella rappresentazione della Settimana Santa in Sicilia. C’è qualche altro luogo al mondo dove dramma, teatro e festa sono così strettamente legati nella rappresentazione della Settimana Santa come in Sicilia? Pasqua è Passione, Morte e Resurrezione. Pasqua è inganno, dolore, trionfo del Bene nella lotta contro il Male. È mestizia, pathos e gioia per la rinascita della Vita. Pasqua è il risveglio della natura dopo il letargo invernale. Celebrata la domenica successiva al primo plenilunio dopo l’equinozio di primavera, segna infatti il suo atteso arrivo. Sin dall’antichità il grano, l’uovo, la colomba, l’agnello, l’ulivo, sono tutti simboli della tradizione cristiana che ricordano la Resurrezione di Cristo e esprimono ringraziamento per il rinnovamento e l’occasione di una nuova vita. Pasqua è la ricorrenza che segna, più di qualunque altra festa religiosa, un’intensa partecipazione popolare e che trasforma la Sicilia intera in un grande scenario all’aperto. Un teatro dove dramma e festa si intrecciano indissolubilmente.

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La metafora della Pasqua, con tutti i suoi simboli, viene rappresentata anche nei più piccoli centri dell’isola, con rievocazioni spettacolari ed intense. Ogni singolo cittadino ne è parte attiva ed i fedeli, al contempo attori e spettatori, danno vita a imponenti processioni degne dei grandi colossal americani. Le celebrazioni sono l’una diversa dall’altra, differenziate da infinite sfumature derivanti da antiche tradizioni, usi e costumi, dalla commistione di elementi liturgici e folklore locale. Le scenografie sono spesso emozionanti, le coreografie coinvolgono centinaia di partecipanti: confraternite di arti e mestieri, il clero con i suoi paramenti, i simulacri di Gesù in croce, della Madonna Addolorata , di tutti gli altri personaggi co-protagonisti del calvario del Cristo. I costumi sono originali e curati in dettaglio. Gli animali non mancano e sono bardati a festa. Quello delle campane è l’unico suono ammesso, mute per il dolore ed il lutto, con scampanii di


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Pasqua è inganno, dolore, trionfo del Bene. È mestizia, pathos e gioia per la rinascita della vita, il risveglio della natura.

gioia il giorno della Pasqua di Resurrezione. Dalla Domenica delle Palme alla Domenica di Pasqua, la Settimana Santa offre ai fedeli l’occasione per partecipare attivamente alla commemorazione del Figlio di Dio e a tutti l’ennesima opportunità per scoprire una Sicilia diversa, autentica, sorprendente.

Domenica delle Palme 28 marzo Rievoca l’accoglienza festosa fatta a Gesù dal popolo di Gerusalemme. Gesù è riconosciuto, è proclamato Messia; è acclamato come il Cristo, tanto atteso, tanto amato. Per il popolo cristiano questa celebrazione significa un grande atto di fede, Gesù è il Re inviato da Dio, è il Figlio dell’uomo ed è il Figlio di Dio. Nel ricordo del popolo festante di Gerusalemme, la tradizione ancora vuole foglie di palma intrecciate ad arte, rami di ulivo ed abiti nuovi. A Caccamo (PA) si svolge “U Signuruzzu a cavaddu”, la più antica delle manifestazioni popolari del paese. I protagonisti del corteo sono prevalentemente giovani, bimbi che agitano ramoscelli d’ulivo e palme intrecciate e che precedono il chierichetto a dorso d’asino che benedice gli astanti. Gesù con i dodici apostoli sono impersonati da ragazzi che reggono in mano lunghi rami di palme che lungo il percorso si intrecciano formando

degli archi all’interno dei quale transita il festeggiato. L’intero corteo ,accompagnato dalla banda, percorre tutto il centro storico fermandosi in cinque chiese al suono diverso di tante campane e si conclude sul piazzale antistante la Chiesa Madre, dove l’arciprete accoglie solennemente la folla e, durante la celebrazione della Messa, benedice le palme. A Gangi, nelle Madonie, le confraternite sono le protagoniste della processione della Domenica delle Palme, profondamente radicata nella tradizione popolare religiosa del luogo. Vengono allestite le Grandi Palme da portare in processione con fiori, rami di datteri e simboli sacri realizzati artigianalmente. I confrati iniziano la vestizione con una tunica bianca coperta da un mantello, dal colore diverso per ogni singola confraternita. I tamburinara indossano le “rubriche”, preziosi abiti settecenteschi ricamati a mano con oro e argento, e annunciano l’arrivo della processione lungo le vie del paese. Le palme, precedute da stendardi ed effigi dei Santi protettori, vengono portate a spalla e benedette presso la Chiesa Madre, prima tappa, e proseguire successivamente lungo il tragitto per raggiungere le altre chiese. La processione si conclude nuovamente nella Chiesa Madre dove, prima di assistere alla Santa Messa, le grandi palme entrano in sfilata e i tamburinara danno luogo ad una spettacolare esibizione ritmica.

A Butera, in provincia di Caltanissetta, la celebrazione inizia presso la chiesa Maria SS. delle Grazie da dove, al termine della Messa solenne mattutina, ha inizio la processione del SS. Salvatore dal centro abitato lungo le campagne circostanti. Il simulacro è seguito da dodici uomini che impersonano gli Apostoli, vestiti emulando gli abiti del Cristo, tra cui spicca Giuda. Il corteo si spinge sino u Santu Piu, alle porte della città, un luogo suggestivo ornato di palme, che metaforicamente rappresenta le porte di Gerusalemme . Da questo luogo, il simulacro del Salvatore procede secondo a ‘vanzata a spadda, cioè viene sostenuto dalla spalla che offre di più, sino all’ingresso con il clero che accoglie Gesù con l’inno Gloria, laus et honor tibi sit Rex Christe Redemptor. Dopo una breve sosta in piazza, il corteo si avvia verso la Chiesa Madre dove verrà celebrata la solenne celebrazione col canto del Passio ovvero della Passione del Signore.

Mercoledì Santo 31 marzo A Caltanissetta, le celebrazioni della Settimana Santa iniziano il Mercoledì Santo con la “Processione della Real Maestranza”. L’imponente corteo laico è costituito dai circa 400 maestri d’arte delle più antiche corporazioni artigiane con gli abiti da cerimonia, vestito nero,


Speciale Pasqua

S. Fratello, Festa dei Giudei (foto Giangabriele Fiorentino)

camicia bianca e papillon. Sfilano dietro il loro Capitano, l’artigiano che, per un giorno, li rappresenta tutti e contende al Sindaco il potere di Comando della Comunità. Il Capitano, nella prima parte della processione ha l’onore di portare Gesù in Croce, in segno di penitenza, per poi guidare la Real Maestranza quale scorta d’onore del Cristo. Nel pomeriggio emerge il sentimento religioso della Processione delle cosiddette varicedde, piccoli gruppi di gesso e cartapesta che sfilano all’imbrunire sul percorso delle vare, il tragitto che il giorno dopo seguiranno i sedici imponenti gruppi statuari a grandezza naturale lungo le vie della città, dal crepuscolo sino a qualche ora dopo la mezzanotte.

Giovedì Santo 1 aprile A Marsala, la processione dei “Misteri viventi” ha origini medievali, quando, intorno al ‘300, nacquero le prime confraternite. Nel pomeriggio del Giovedì Santo, lungo le vie del centro cittadino, sfilano circa duecento persone in un corteo lungo oltre un chilometro, diviso in otto gruppi, con costumi d’epoca particolarmente curati,che danno vita ad una rappresentazione vivente di diversi episodi della Passione. Il pubblico presente si accalca intorno ai figuranti per seguire lettura dei brani evangelici e per assistere alla fustigazione di Cristo, il cui

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personaggio ha il volto coperto da una dolente maschera di cera, che conferisce pathos e struggimento alla rappresentazione. Intorno al Cristo soldati romani, giudei e confratelli della corporazione di Sant’Anna che battono su piatti per sollecitare, da balconi e finestre, le elemosine. Spiccano per sontuosità le figure della Veronica e delle sue compagne, in ricchissimi costumi e fastosi copricapo, carichi di gemme e monili appartenenti alle rispettive famiglie. A Butera, in provincia di Caltanissetta, la mattina del Giovedì Santo nella chiesa Maria SS. delle Grazie si espone, a porte chiuse, l’immagine del Cristo arrestato e, nel frattempo, per le strade si assiste alla cerca, del Cristo, con squilli di tromba e rullo di tamburi. Verrà cercato invano per ben due volte e scoperto solo al termine della celebrazione dell’Ultima Cena. Un gruppo di voci maschili accompagna la processione del Cristo in catene che viene condotto per i vari Sepolcri allestiti nelle chiese, eseguendo tipiche nenie sulla Passione del Signore. A San Fratello, nel messinese, all’alba del Mercoledì Santo, inizia la “Festa dei Giudei” che si protrae nelle giornate di Giovedì e Venerdì Santo. Unica in tutta la Sicilia è esempio di unione tra sacro e profano, tra religione e folklore popolare. Di origini medievali, la rappresentazione è estremamente suggestiva

e ricorda i Giudei che percossero e condussero Cristo al Calvario. Il costume pittoresco viene gelosamente conservato dalle famiglie e tramandato da padre in figlio: è formato da una giubba e da calzoni di mussola rossa e da strisce di stoffa solitamente gialle o bianche; la testa coperta da un cappuccio che non consente di vedere in viso chi lo indossa. I giudei girano per la città suonando con particolari trombe per festeggiare la morte di Gesù e disturbare la processione religiosa che commemora la Passione del Cristo.

Venerdì Santo 2 aprile Ad Enna, i riti della Settimana Santa risalgono al tempo della dominazione spagnola, quando le confraternite, che già esistevano come corporazioni di arti e mestieri, vennero autorizzate a costituirsi come organizzazioni religiose per promuovere il culto, ricevendo dai sovrani tanto norme quanto privilegi. Il Venerdì Santo quando, nel primo pomeriggio, tutte le confraternite giungono al Duomo e i duemila confrati incappucciati, in ordine e in assoluto silenzio, aprono il corteo funebre che percorre le vie della città, precedendo le Vare del Cristo Morto e dell’Addolorata. Alla Compagnia della Passione il compito di aprire il corteo, portando sui vassoi ventiquattro simboli del Martirio di Cri-


TORNERA passione al Piquadro...


Speciale Pasqua

sto: la croce, la borsa con i trenta denari, la corona, la lanterna, il gallo, i chiodi e gli arnesi per la flagellazione. La processione raggiunge solennemente l’ex Convento dei Cappuccini, presso il cimitero, dove viene impartita ai fedeli la benedizione con la Croce reliquario contenente una spina della Corona di Cristo.

Le celebrazioni sono l’una diversa dall’altra, differenziate da infinite sfumature...

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A Corleone, il Venerdì Santo ha un rituale lungo e commovente. Alcuni colpi di mortaretto accolgono il corpo del Cristo all’uscita dalla Chiesa. Il simulacro del Cristo, adagiato su un lenzuolo bianco, viene condotto verso il luogo del calvario dai sacerdoti in processione e dai numerosi membri delle confraternite, ciascuno con il proprio abito tradizionale. Quando il corteo giunge alla sommità del colle, il Cristo viene issato lentamente e inchiodato alla croce. È il momento di massima commozione per i fedeli che numerosi circondano il colle e intonano mesti canti. Il suono di colpi di tamburo annuncia l’ora della Deposizione. Lo sparo di una potente maschiata suggella il momento e testimonia il dolore della Madonna per la morte del Figlio. Il Cristo Deposto viene adagiato nella navata della vicina piccola Chiesa di San Nicolò. Fuori, i fedeli attendono l’uscita dalla chiesa della vara del Cristo, adorna di fiori e sormontata da una palma. Inizia, di sera, la lunga processione aperta dai devoti su due file con in mano i ceri accesi. Alcuni confrati precedono la vara del Cristo, altri la portano a spalla, facendo ondeggiare la palma che la sovrasta. La processione si conclude intorno a mezzanotte, quando il simulacro del Cristo rientra nella Chiesa di San Nicolò seguito da quello dell’Addolorata accolto dallo sparo di mortaretti sotto la Rocca Sottana, illuminata a giorno creando un suggestivo effetto scenico. Un’ultima e toccante scena conclude la lunga processione, i confrati si dispongono a cerchio attorno al Cristo Morto ed inizia il rito del bacia piedi con i devoti in genuflessione per adorare la salma del Cristo.

A Trapani La processione dei Misteri ha origini spagnole e viene rappresentata da quasi quattrocento anni. È una processione figurata dove i “Misteri” sono raffigurazioni artistiche della Passione e Morte di Cristo, esattamente diciotto gruppi, più i due simulacri di Gesù Morto e di Maria Addolorata, con una scenografia più medievale risale ai tempi dell’occupazione romana della Palestina. Le statue vengono addobbate con preziosi ornamenti argentei, composizioni floreali ed illuminate in modo da far risaltare il dolore e la sofferenza dei tratti del volto. Ogni gruppo è portato a spalla da non meno di dieci uomini, detti massari che, con l’annacata, conferiscono alla processione, con la loro tipica andatura, seguendo la cadenza dei brani suonati dalle bande. I Misteri sono custoditi presso la settecentesca chiesa barocca delle Anime Sante del Purgatorio da dove inizia la processione alle 14.00 del Venerdì Santo. Il corteo attraversa le vie della città durante la notte e si conclude, sempre nella chiesa del Purgatorio, intorno alle ore 14.00 del Sabato Santo.

Sabato Santo 3 aprile A Terrasini si svolge “La Festa di li schietti” dove l’uomo e la natura, personificata dall’albero, sono gli indiscussi protagonisti. Il giovanotto “schietto”, deve conquistare il cuore dell’amata impressionandola, attraverso una prova di destrezza ed abilità che gli impone di sollevare un albero di arancio amaro del peso di 50/55 Kg e, mantenendolo alzato ed in equilibrio con una sola mano, farlo roteare più tempo possibile, dimostrando la sua forza e la sua virilità. La festa pare risalire alla metà dell’800 e richiama le feste primaverili pagane dedicate ad Adone. Simboleggia la rinascita della vita e della natura che si rigenera ininterrottamente.


magcom

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Ristorante sala ricevimenti

Capo d’Orlando (San Gregorio) 98071 tel. 0941955147 www.alcapriccio.eu


Speciale Pasqua

Domenica di Pasqua 4 Aprile La domenica di pasqua è un tripudio di festa in tutta la Sicilia, con rappresentazioni estremamente originali. A Modica ci celebra la “Madonna vasa vasa” con due processioni che partono contemporaneamente dalla Chiesa di Santa Maria di Betlem, una con il simulacro del “Cristo Redento”, l’altra con il simulacro della Madonna Addolorata, percorrendo le vie della città ma, con itinerari diversi. Verso mezzogiorno, dopo essersi cercati lungo il corso, i due simulacri portati a spalla dai fedeli, confluiscono in Piazza Municipio dove avviene l’incontro tra la Madre e il Figlio e la vasata tra i due. La Madonna si libera dal manto nero che l’avvolgeva per mostrare il classico mantello celeste, mentre delle colombe bianche si librano in volo a testimonianza della felicità per il lieto evento. La teatralità dei gesti è resa possibile grazie ai meccanismi del fercolo che, mossi adeguatamente, permettono alle braccia della Madonna di tendersi verso il Figlio. La partecipazione popolare è tale che l’incontro tra la Madonna a Gesù contagia i fedeli che, esultando, abbracciano il proprio vicino. A Prizzi, in provincia di Palermo, le maschere dei diavoli e della morte sono presenti nel caratteristico “Ballo dei Diavoli” dai tratti profani e quasi carnascialeschi. La festa simboleggia l’eterna lotta tra il bene ed il male. I diavoli indossano tute rosse, una grande maschera di cartone sul viso con una grossa lingua di stoffa che penzola, una pelle di capra sulle spalle, una catena in mano. La morte ha una maschera in cuoio dal ghigno infernale, una tuta gialla indosso e una balestra in mano. Il compito dei diavoli è importunare le persone, lasciandole stare solo quando ricevono, in cambio, dei soldi. Parto-

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no due processioni, quella con la statua dell’Addolorata e quella con Gesù Cristo che si dispongono a un capo e all’altro della via principale. Accanto a quest’ultima si trovano due angeli con la spada in mano. Al momento dell’incontro tra la Madonne e Cristo, due diavoli cominciano ad agitarsi correndo da una statua all’altra tentando, così, di impedire il loro incontro, fino a quando gli Angeli colpiscono i diavoli con la spada. Con la loro sconfitta i fedeli esultano e le campane suonano a festa. Ad Adrano, nel Catanese, nello scenario medievale del Castello, si celebra la Domenica di Pasqua con la “Diavolata”, un dramma che viene messo in scena da 250 anni. Inizia con la processione, per le vie del paese, dei tre protagonisti: il Salvatore, con un mantello rosso, la Madonna, vestita di rosa, e l’Angelo, abbigliato con un abito ricoperto di nastri di seta e coccarde multicolori. Sul palcoscenico posto davanti al colonnato della chiesa Madre viene allestita la scenografia, una selva infernale con al centro un volto diabolico e un sepolcro vuoto. Appaiono i personaggi principali, Lucifero, capo dei ribelli, Belzebù Signore delle Mosche, Astarot, con le sue 40 legioni, la Morte, eterna nemica dell’uomo, l’Umanità, simbolo della speranza, e l’Arcangelo Michele, avversario del demonio. I diavoli cercano di convincere l’Umanità a restare dannata poiché il cadavere di Gesù Cristo, che è risorto, non è più nel sepolcro, ma interviene l’Arcangelo Michele, sconfiggendo definitivamente Lucifero. Segue “L’Angelicata”, messa in scena solo dal 1980, che narra l’incontro tra Maria e il figlio Risorto. A S. Biagio Platani, in provincia di Agrigento, si svolge il rito degli “Archi di Pasqua” un evento religioso ma, anche culturale ed artistico. I devoti della Madonna e del Signore,

riuniti in due confraternite, si sfidano la domenica di Pasqua esponendo gli addobbi per abbellire il corso principale cittadino, scenario dell’incontro la tra Madre ed il Figlio. Gli addobbi vengono preparati con materiale rigorosamente offerto dalla natura: le canne, il salice, l’asparago, l’alloro, il rosmarino, i cereali, i datteri, e il pane, ognuno dei quali è ricco di un alto significato simbolico. Il significato religioso degli Archi di Pasqua rappresenta il trionfo di Cristo sulla morte. Ma, il rito affonda le sue radici nella miseria in cui versava la popolazione durante il ‘700 quando l’allestimento degli archi serviva a far dimenticare la povertà al popolo, almeno per un giorno.

Lunedì di Pasqua 5 aprile A Forza D’Agrò, in provincia di Messina, il Lunedì di Pasqua si svolge la “Festa dell’Alloro e la Processione dei Sacri Oli”. In onore della SS. Trinità, i cittadini riuniti in gruppi, realizzano degli stendardi d’alloro con foglie disposte su un telaio di canna o di legno. Dopo la premiazione degli stendardi migliori, inizia la processione che, accompagnata dalla banda musicale, giunge alla fine del paese e si conclude con la benedizione dell’alloro e del Sacro Olio. I confrati, in segno di ospitalità, distribuiscono a tutti i fedeli presenti le “cuddure”, tipici dolci siciliani preparati nel periodo pasquale, a ripetere metaforicamente le gesta di Abramo nel deserto con i tre angeli che vennero a fargli visita. A Monreale si celebra la “Festa della primavera”, risalente al ‘300, che impone ai monaci dell’abbazia benedettina di San Martino delle Scale di liberare gli uccellini salvati dal freddo durante l’ inverno e celebrare l’arrivo della primavera. La festa viene arricchita culturalmente da un concerto d’organo e canti gregoriani.


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La Pasqua Arbëreshe Le celebrazioni della Pasqua delle comunità albanesi in Sicilia costituiscono un esempio di integrazione ed al contempo di eccezionale mantenimento della propria identità culturale. La presenza degli Albanesi in Sicilia risale alla fine del secolo XV, quando i turchi invasero la penisola Balcanica e diedero inizio al primo grande esodo albanese nel mondo. Le comunità albanesi di Mezzojuso, Palazzo Adriano, Contessa Entellina, Santa Cristina Gela, sono spiritualmente e religiosamente amministrate dall’Eparchia di Piana degli Albanesi. Da oltre cinquecento anni Mezzojuso conserva con grande cura, interesse e attenzione le tradizioni e il rito Greco- Bizantino e, nel calendario delle manifestazioni religiose, la Grande Settimana Santa a Mezzojuso è stata inserita dalla Regione Siciliana fra i grandi eventi Siciliani. A Piana degli Albanesi è particolarmente suggestiva la celebrazione della Domenica

delle Palme. Le strade di Piana sono attraversate da un asinello che porta in sella il Vescovo con una palma in mano e un piccolo crocifisso benedicente nell’altra. Le celebrazioni proseguono , il giovedì, con il rito dell’ultima cena e con la lavanda dei piedi. Il Venerdì Santo è il giorno consacrato ai canti. La mattina si intona il Simeron Kremate, i canti sui sulla morte di Cristo e, nel pomeriggio, si prosegue con il Vajtimet, canti funebri eseguiti durante la processione a cui partecipano tutti gli abitanti di Piana. Nella notte del Grande Sabato, si intona il celebre Christos Anèsti, Cristo è risorto. La domenica mattina, nella cattedrale di San Demetrio viene celebrato il solenne pontificale della Resurrezione, durante il quale vengono lasciate libere delle colombe bianche, si lanciano ciuffi di rosmarino e vengono donate uova dipinte di rosso. I suggestivi riti della Pasqua albanese riportano tutte le tradizioni della comunità e sono impreziositi dai caratteristici costumi con ricchi ricami d’oro e d’argento.

tradizionE di pasqua in sicilia I picureddi I picureddi sono dolci a base di pasta reale, a forma di agnello sdraiato sopra un prato verde spesso con piccole decorazioni colorate di zucchero. Genralmente, una bandierina si trova infilzata sul dorso. Furono le suore del Monastero della Martorana a tramandare l’arte di questi frutti di marzapane dalle forme e dai colori più disparati, lucidati con gomma arabica. La pasta reale è realizzata con pasta di mandorle dolci, albume d’uovo e zucchero. Il nome deriva dall’arabo Mauthaban che originariamente indicava una moneta, poi un’unità di misura, quindi lo stesso contenitore del marzapane.

Esecuzione Bisogna innanzi tutto procurarsi le forme di gesso. Si prepara quindi la pasta reale, si spolverano le due metà della forma all’interno con un pò di farina e si riempiono di pasta reale. È tradizione farcire l’interno con una pasta di pistacchi ottenuta, amalgamando sul fuoco, pistacchi pelati e tritati e zucchero in pari quantità. Si chiudono quindi le due metà della forma, poi si staccano cercando di far venir fuori la pecorella tutta intera. Normalmente la pecorella così ottenuta viene infilzata con una bandierina sul dorso e sistemata in un panierino sopra un foglio verde, che funge da prato, sul quale si trovano sparpagliati confettini colorati.


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Ciak...si gira di Giulio Giallombardo

L’Isola del cinema Taormina TAORMINA FILM FEST Agrigento PREMIO DELL’EFEBO D’ORO Marzamemi FESTIVAL DEL CINEMA DI FRONTIERA Palermo SOLELUNA DOC FEST SPORT FILM FESTIVAL ECOVISION FESTIVAL

Acireale MAGMA FESTIVAL Riposto VOLCANO FILM FESTIVAL Acicatena CINENOSTRUM Milazzo MILAZZO FILM FESTIVAL EOLIE IN VIDEO UN MARE DI CINEMA PREMIO EFESTO D’ORO

La Sicilia nuota in un mare di cinema, e lo fa con naturalezza. Il filone “mafiacostume-storia” rivaleggia con quello western, sia per quantità che qualità: dai film neorealisti degli anni ’50 a Nuovo Cinema Paradiso e Baharia, è una sequenza ininterrotta di proposte sempre gradite nelle sale. È inevitabile che alla crescita delle opere corrisponda quella degli eventi legati al cinema. Nella regione, infatti, si stanno moltiplicando i festival cinematografici

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in un crescendo di idee e produzioni che fa ben sperare per il futuro. Insomma, pare che il triste gemellaggio fra la Trinacria e un certo cinema “di mafia” appartenga ormai solo al secolo passato, anche se la “macchia” è difficile da pulire a fondo. Proprio poco tempo fa, all’inaugurazione della Bit di Milano, l’assessore regionale al Turismo Sport e Spettacolo, Nino Strano, ha sottolineato il ruolo fondamentale che il cinema ha assunto anche per il sistema turistico


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dell’Isola. L’assessore ha parlato del “rilancio del festival del cinema di Taormina, sganciandolo da Tao Arte” e si è impegnato per “finanziare come merita, la sede del centro sperimentale di cinematografia di Palermo”, immaginando di trasformare i Cantieri Culturali alla Zisa nella “Cinecittà siciliana”. Riguardo, invece, ai tanti festival del cinema che stanno arricchendo le programmazioni locali, Strano ha proposto una “razionalizzazione” delle rassegne. “Ciò non significa decapitare i festival minori, - ha dichiarato l’assessore - ma imprimere al settore una decisiva riorganizzazione”. Ma vediamo più da vicino quali e quante sono queste “vetrine” cinematografiche che danno lustro all’immagine dell’Isola, cominciando dal primo e più illustre festival siciliano, il Taormina Film Fest. La kermesse, giunta quest’anno alla 56ª edizione, si svolgerà come sempre nella splendida cornice del Teatro Antico, dal 12 al 18 giugno. Ogni anno il festival, tra i principali eventi estivi in Italia, presenta in rassegna una selezione di 21 film in prima visione internazionale, pellicole che spesso confermano il loro successo ottenendo numerosi riconoscimenti da parte dell’Academy Awards o ai Golden Globe. Da Taormina ci spostiamo ad Agrigento, dove il Centro di Ricerca per la Narrativa ed il Cinema, nato nel 1978, ha istituito il Premio dell’Efebo d’Oro, giunto l’anno scorso alla 31ª edizione. Si tratta di una rassegna dedicata a letteratura e cinema, che premia ogni anno le migliori pellicole nate dalla trasposi-

zione di opere letterarie. Protagonista dell’ultima edizione, il film “Vincere” di Marco Bellocchio. Alla filmografia indipendente è, invece, dedicato il Festival del Cinema di Frontiera di Marzamemi, da dieci anni sempre di più amato da appassionati e addetti ai lavori. Una rassegna che punta ai valori dell’interculturalità fra i popoli, facendo proprio il concetto di “frontiera” non come limite, ma come “finestra sull’universo”. Tematiche simili caratterizzano anche il SoleLuna Doc Fest, il Festival Internazionale di documentari sul Mediterraneo e sull’Islam che da quattro anni si svolge a Palermo. Sempre nel capoluogo, ma di tutt’altro argomento, lo Sport Film Festival assegna, invece, i Paladini d’Oro a film e video dedicati allo sport. Restiamo ancora a Palermo, dove si svolge, inoltre, l’Ecovision Festival, la rassegna internazionale di cinema dedicata alla cultura eco-ambientale. Il cinema breve è, invece, protagonista del Magma Festival di Acireale, di cui, ad agosto, si svolgerà la decima edizione. La mostra è aperta ad autori ed opere provenienti da tutto il mondo. Sempre nel Catanese, a Riposto, troviamo anche il Volcano Film Festival ed il CineNostrum ad Acicatena. A Messina si svolgono due festival: l’Horcynus Festival e la Mostra del Cinema dello Stretto. Sempre nel messinese, infine, troviamo il Milazzo Film Festival, Eolie in Video ed Un mare di Cinema - Premio Efesto d’Oro, che si svolge sempre nell’arcipelago eoliano. Insomma, chi più ne ha, più ne metta.


Ciak...si gira di Alessandro Bisconti

1904, lo sbarco di Lumiér nell’Isola

cinematografo utilizzato da Lumiére per la prima proizione pubblica

Il miraggio di navigare tra le immagini

Nella Palermo dei pionieri del cinema, l’utopia diventa realtà una mattina di aprile del 1897. Al crepuscolo del diciannovesimo secolo viene annunciato lo sbarco del cinematografo Lumiére, proveniente da Napoli. Una nuova forma di linguaggio che realizza un sogno di un’Isola intera. Spettacolo destinato a spopolare nelle piazze e fiere con la sua offerta “sconvolgente” si impone fin dalle origini come una forma di intrattenimento di massa rivolta al pubblico, non a uno spettatore singolo. Palermo, Messina, Acireale, Catania: la Sicilia accoglie la novità con bagni di folla. Tra le pellicole proiettate a Palermo “Una gondola a Venezia”, “I Campi Elisi”, “La partita di Tric Trac”. Il cinematografo Lumiére trova spazio al Teatro Garibaldi e all’interno della Sala Ragona, nel centro storico palermitano. Pubblico in visibilio. Il linguaggio

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dell’immagine è in piena evoluzione. Soltanto un anno e mezzo prima Louis Lumiére aveva dato inizio alle pubbliche proiezioni di brevi filmati che aveva realizzato per le strade parigine. Palermo vende sogni e inaugura così un viaggio dalle mille sorprese. Nei siciliani che vanno a vedere le prime proiezioni si accende una scintilla che lascia una traccia profonda e illumina l’immaginario collettivo. Lo spettatore, entusiasta, ne ricava impressioni forti. La novità è talmente grossa che le proiezioni di figure colorate e luminose vengono percepite come quelle di un bambino di oggi che assiste per la prima volta a un cartone animato o a un film. Il cinema diventa in fretta fascino e magia. A Messina, in un amen, proliferano sale cinematografiche. Il padre del movimento nostrano è Filoteo Alberini, tecnico-pioniere. È lui nel 1908 a riprendere dal vivo


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Pubblico in visibilio e cine-teatri gremiti

il celebre sisma che distrusse la città dello Stretto. Il documentario, come riporta un commento del Giornale di Sicilia del 1923, costituisce il primo vero contatto tra l’Isola il e cinema. A Messina e Acireale le prime proiezioni arrivano in anticipo rispetto al capoluogo. Già nel 1896. Ogni serata è scandita dagli applausi. Colti, neofiti, intenditori e semplici curiosi. Negli anni seguenti gli acesi poterono assistere alla riproduzione de “L’eruzione dell’Etna” e de “Il disastro di Messina”. Ad Acireale la risposta di pubblico è talmente clamorosa che vengono programmate due proiezioni per ogni serata. I locali diventano presto punti di ritrovo per intellettuali. La febbre del cinema contagia anche i più diffidenti. I titolari delle sale fanno affari, i prezzi sono d’altri tempi.

Una lira per i primi posti, sessanta centesimi per i secondi, trenta centesimi per i terzi. La zona ionica dell’Isola accoglie la novità a Catania. La città etnea entra nel firmamento cinematografico tra stupore, pathos e un giallo, con il presunto furto, ad opera di ignoti, dell’apparecchio del cinematografo di piazza Stesicoro, e il successivo ritrovamento. Dopo quindici anni di consensi, arrivano le critiche e le prime grane. Il successo del cinema suscita l’invidia degli esercenti degli altri ritrovi pubblici. Invidia che si materializza perfino in tentativi di sabotaggio durante la proiezione degli spettacoli. Il cinema è accusato anche di aggravare i disturbi visivi. Vengono messi in guardia i sofferenti di neuristenia, miopia e astigmatismo. Come se non bastasse la stampa cattolica

bacchetta il cinema, perché troppo incline a fuorviare la buona educazione della gioventù. Sì, perché “nei drammi passionali si consumano troppi delitti, troppe rapine, tradimenti e adulteri”. Al punto che negli anni Dieci il Vescovado prende le distanze dal cinematografo. Excelsior, un settimanale di stampo cattolico, richiama i genitori sulle responsabilità che hanno nel condurre i figli a spettacoli cinematografici nei quali vengono evidenziati alcuni pericolosi della società corrotta. Siamo alle schermaglie iniziali, destinate però a essere seppellite. In Sicilia l’arrivo di nuove proiezioni è segnalato da grandi cartelloni con slogan accattivanti. Il successo è unanime. Al punto che sempre più frequentemente platea e poltrone non bastano a contenere il pubblico straripante.


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Speciale vini ma g

di Annalisa Ricciardi

Palermo Palermo, capitale mondiale del vino vino “Territori viticoli di straordinaria unicità, produzioni qualitativamente superiori caratterizzate dalla tipicità dei vitigni autoctoni, un tessuto produttivo fortemente motivato e orientato all’export”. È questo che pensa della Sicilia Baudouin Havaux, Presidente del Concours Mondial de Bruxelles che quest’anno ha scelto proprio l’Isola per la diciassettesima edizione della kermesse. Poteva essere Roma, caput mundi, o Firenze, dove è nata la lingua italiana. O ancora Milano, facilmente collegata a tutte le maggiori destinazioni mondiali, oppure Verona, consueta sede di eventi internazionali legati al mondo del vino. Invece, ad ospitare il Concorso mondiale di Bruxelles sarà quest’anno proprio il capoluogo siciliano. Un destino segnato forse dalla vittoria di oltre 60 premi, su un totale di circa 200 riconoscimenti italiani, l’anno scorso a Valencia in occasione della sedicesima edizione del concorso. “L’Italia è il primo produttore di vino al mondo ed è impegnata da anni nella produzione di vini di qualità. Era logico e naturale che la manifestazione facesse tappa in questa nazione”, spiega Havaux. Che precisa: “La scelta della Sicilia è stata consequenziale: grazie alla sua posizione nel cuore del Mediterraneo e alla sua posizione geografica di crocevia di culture e popoli, è da sempre terra d’elezione per la coltivazione della vite e per la produzione del vino”. Non è tutto. Una parte importante nella scelta l’ha avuta l’Istituto regionale della vite e del vino. Lo riconosce Havaux. “Abbiamo trovato un partner affidabile ed entusiasta”, afferma. E di esso ha già apprezzato risorse

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e competenze nelle prove di degustazione finalizzate ad uniformare i criteri di valutazione in sede di selezione. Secondo Leonardo Agueci, presidente dell’Istituto partner, “ospitare a Palermo il Concorso Mondiale di Bruxelles assume un grande significato ed è un traguardo importante conquistato dalla Sicilia del vino di qualità”. “È il segno, prosegue, di una maturità raggiunta e riconosciuta alla Sicilia enologica ed alle sue istituzioni ed offerta, sotto il profilo organizzativo, a tutti i produttori d’eccellenza del nostro Paese. La kermesse rappresenta anche un’importante occasione che ci consentirà di aggiornare il patrimonio di relazioni e di conoscenze che porta in dote alla nazione ospitante”. Il Concorso Mondiale di Bruxelles è dal 1994 un importante appuntamento nel mondo del vino di qualità, ma solo nel 2006 è diventato itinerante, spostandosi prima a Lisbona in Portogallo, e successivamente a Maastricht in Olanda, a Bordeaux in Francia e, l’anno scorso, a Valencia in Spagna. Tutti territori fortemente caratterizzati dalla presenza di vigneti e dalla produzione di vini più o meno noti nel panorama enologico internazionale. Proprio come la Sicilia. “La nostra Isola è un vero e proprio continente del vino”, spiega Dario Cartabellotta, direttore dell’Irvv, “dove si può vendemmiare sei mesi l’anno e dove è possibile ottenere ottimi vini sia da vitigni autoctoni che internazionali, sia da alta collina che da pianura, per non parlare poi di terroir particolari come l’Etna e le Eolie”.


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“U

n laboratorio pregiato, insomma, dove i vini si coniugano con il territorio e le sue stratificazioni storiche, ambientali e culturali, mantenendo un’innegabile e irripetibile originalità e che oggi”, spiega, “possiamo condividere da vicino con i maggiori esperti del mondo enologico”.

Ma cosa pensano a Bruxelles dei vini siciliani? Secondo Thomas Costenoble, giornalista della rivista belga Vino Magazine ed esperto che ha guidato le prove di degustazione del Concorso, “i vini italiani sono diventati una vera tendenza in Belgio e se quelli toscani sono i più prestigiosi quelli siciliani sono certamente i più accessibili e ben distribuiti, dai prodotti più semplici ai più strutturati e meglio bilanciati”. La location del Concours è l’ex Deposito locomotive di Sant’Erasmo. Qui, una giuria composta da circa 250 degustatori professionisti, provenienti da ogni parte del mondo, in tre giorni di intense degustazioni lavora intensamente con l’obiettivo di analizzare gli oltre 6000 vini pervenuti

da più di 50 Paesi presso la sede centrale di Bruxelles nei mesi scorsi. Componenti della giuria sono degustatori altamente specializzati e con una solida esperienza internazionale. I giornalisti tecnici costituiscono quasi il 70% dei partecipanti, i sommelier sono poco più del 10% sul totale e una percentuale minore è rappresentata da buyer, importatori, enologi e rappresentanti delle regioni di produzione.


Speciale vini

Il mondo dentro una bottiglia Il vino raccontato dalla scrittrice siciliana Manila Seidita “Una storia d’amore e di passione”. È questo per Manila Seidita il vino siciliano, e così lo descrive nei versi delle sue poesie, raccolte in un libro appena uscito e presentato presso la libreria Kalòs di Palermo. Si chiama “Arabescati strappi” e il titolo riprende quello dell’acquerello in copertina. Un libro che la scrittrice siciliana dedica al fratello e al figlio, importanti figure maschili della sua vita. Ed importante è stato anche il “vocatissimo vitigno di Sicilia regno antico d’uva basse colline e pianura”, come scrive nei primi versi, identificando l’Isola con la pianta che meglio di altre la rappresenta. “Anno dopo anno le tue perle di miracolo nel grembo delle botti da mosto si fanno vino e lentamente si profuma, prende corpo, si matura”, un’immagine che descrive la fermentazione e quel momento in cui il lavoro dell’uomo combinato

con l’attività dei lieviti e della natura, dà vita al nettare di Bacco. E l’autrice prosegue, con netti riferimenti alla letteratura mitologica, all’Odissea di Omero, quasi a volere sottolineare l’importanza e il ruolo che il vino ha avuto nella storia dell’uomo, puntualizzando anche che la “bella favola oltre tempo” viene “ancora oggi celebrata in sacralità e sacrilegio”. Ed è questa contrapposizione la chiave centrale della poesia. Da un lato il sacro del vino che accompagna l’ostia durante la messa, dall’altro il profano dei momenti conviviali, in cui il nettare è complice del divertimento e dello svago, che può sfociare nella trasgressione. Perché il vino esalta le sensazioni, col vino “ogni pensiero magnifica nella mente ed esagerano le emozioni che decantano in nostalgia”. Un finale malinconico che, per Manila Seidita, rende comunque il vino “una magia tutta da scoprire”, “capace di raccontare storie, descrivere esperienze, fissare ricordi”. Una magia che è “sempre la stessa” e al contempo “sempre diversa”, come diverse sono le vite che, grazie a un bicchiere di vino riescono a trovare un punto di incontro o a ritrovarsi. Come se con quel liquido rosso si scoprissero universi prima sconosciuti. Ed è proprio ciò che Manila Seidita vede nel vino della sua terra: “un po’ di mondo dentro una bottiglia”.

Vino storia d’amore e di passione Vocatissimo vitigno di Sicilia regno antico d’uva basse colline e pianura. Anno dopo anno le tue perle di miracolo nel grembo delle botti da mosto si fanno vino e lentamente si profuma, prende corpo, si matura. Storia d’amore e di passione bella favola oltre tempo decantata

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per energia e vitalità da Omero in terra di Ciclopi ed ancora oggi celebrata in sacralità e sacrilegio. Rosso assoluto tondeggi nel bicchiere riecheggi nella tua morbida spirale ed ogni pensiero magnifica nella mente ed esagerano le emozioni che decantano in nostalgia. Amabile,

abboccato, molle, tannico, acidulo, giovane, maturo, armonico, vinoso... una magia tutta da scoprire sempre la stessa e sempre diversa capace di raccontare storie, descrivere esperienze, fissare ricordi un po’ di mondo dentro una bottiglia.


In Val di Noto un’Icona del buon vino Ci troviamo in Val di Noto, in un’area fortemente vocata alla produzione di vino di qualità. Qui, in dolci colline che degradano sul mare e che da questo ricevono brezze benefiche si trovano i vigneti di Icone, giovane azienda siciliana che ha deciso di puntare sulla qualità. Dalla vigna allo scaffale. Strategica la scelta dei vigneti, nella zona sud orientale della Sicilia in Val di Noto, in contrada “Buonivini” che, come il nome stesso dice, è da sempre vocata alla coltivazione della vite. Qui la coltura si inserisce in un territorio pieno di attrazioni storiche, artistiche, naturalistiche. Dal barocco dei balconi del palazzo del principe Nicolaci di Villadorata, entrati a pieno titolo nella World Heritage List dell’Unesco, alla riserva naturale di Cava Grande del Cassibile, nascosta tra i canyon dell’altopiano ibleo, e quella di Vendicari, sul mare, sosta dei flussi migratori degli uccelli di ritorno dall’Africa. Circondati da questa cornice suggestiva, da cui assorbono la magia, si trovano i vigneti di Icone. I sistemi di allevamento sono a spalliera per i nuovi impianti e ad alberello per i vecchi. Massima attenzione viene riposta dall’azienda nell’uso di tecniche colturali rispettose dell’ambiente. “Sia la potatura che la raccolta sono eseguite a mano per evitare lo stress alle piante dovuto all’azione meccanica della macchina e per garantire, al contempo, anche una vita più lunga e una migliore resa qualitativa delle uve”, spiegano dalla cantina. Del resto, oggi grazie alle nuove tecniche di produzione dell’uva è possibile una gestione dei vigneti molto attenta in ogni suo aspetto. Così, con una particolare attenzione alle potature, ai trattamenti, alla diminuzione delle resa per ettaro che permette il controllo della qualità, e alle tecniche innovative in cantina, Icone

produce vini in cui si percepiscono le caratteristiche originali dell’uva. Vini che risultano più freschi e di più facile beva. “Ma oggi la qualità non basta più”, osserva Carmela Di Bella, amministratore unico dall’azienda, che ha appena compiuto quattro anni ma che ha un management, quasi tutto al femminile, con le idee molto chiare. “In questo particolare momento di mercato dobbiamo renderci conto che il nostro compito non finisce nel vigneto o in cantina”, spiega l’amministratore, “ ma dobbiamo portare i nostri vini sulle tavole dei consumatori, adottando strategie di marketing e comunicazione che li informino e li educhino ad un consumo consapevole e che ci rendano più attenti e competitivi in un mercato che è globale e in continua evoluzione, sfida che potremo vincere solo se impariamo a fare sistema e a lavorare in sinergia”. La qualità va, insomma, comunicata nella maniera più efficace possibile. “Per questo è stato scelto un packaging accattivante e innovativo che spazzando via araldi, feudi e castelli, si affida ad un look minimalista”, precisa Carmela Di Bella, che racconta com’è andata. Le etichette sono frutto del lavoro di cinque giovani universitari del dipartimento di Design dell’università di Palermo che, grazie a un approccio originale sono riusciti a creare un progetto “fuori dal coro”, che ben rappresenta l’azienda e la sua missione. Icone, infatti, significa anche I.C. One ovvero “I see one”, perché l’obiettivo è che, tra tutti i prodotti sullo scaffale in enoteca, quello dell’azienda sia il primo vino ad essere visto dal consumatore e quindi quello che poi viene acquistato. “Attraverso il marchio”, spiega l’amministratore, “vogliamo identificare l’azienda con un esempio da seguire, un’icona appunto”.


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Eccellenze ma g

di A. R.

Giancarlo Conte, l’alchimista Calda, forte, eppure profumata e raffinata, dai sapori travolgenti e sorprendenti. Legata nell’immaginario popolare alle regioni dell’Italia settentrionale, agli alpini, alle gelide serate in montagna, la grappa è ormai diventata una realtà anche in Sicilia, terra baciata dal sole. Tanto che l’acquavite di vinaccia dell’Isola sta scalando le vette del gradimento, entrando nell’elite delle grappe nazionali. Merito dell’audacia e della passione degli imprenditori nostrani. In questo contesto, tra le campagne di Petrosino, in provincia di Trapani, cittadina a metà strada tra Marsala e Mazara del Vallo, opera l’azienda “Conte Alambicco di Sicilia”, guidata da Giancarlo Conte, mastro distillatore che in pochi anni si è affermato come uno dei leader del settore, tanto da insediare, sul fronte della qualità, le titolate aziende settentrionali, e affacciandosi sul mercato estero, vincendo numerosi premi internazionali. Lo slogan scelto marchia a fuoco l’obiettivo della distilleria, inserita in un territorio, quello trapanese, che con circa 70.000 ettari di vigneti ne fa la zona più vitata d’Italia. “Sicilia, provocante in purezza”, perché è proprio l’Isola la protagonista del lavoro della Conte Alambicco. Qualità e genuinità delle materie prime, rigorosamente autoctone, nel tentativo di produrre raffinate grappe che siano tributo ai profumi della Sicilia, rimandando a sensuali e dionisiache sensazioni e agli antichi sapori della tradizione. “Abbiamo chiuso il cerchio della qualità per offrire il meglio”, dice Conte, che nella produzione utilizza il metodo artigianale della distillazione con alambicco discontinuo a vinacce “emerse”, non trascurando però l’innovazione tecnologica. Il risultato è una grappa di alto livello e qualità, che si rivolge a un pubblico di intenditori. Proiettata al di fuori dei confini siciliani, la “Conte Alambicco” punta comunque sulla territorialità. Da qui l’idea di accoppiare la grappa agli altri sapori della Sicilia. “Stiamo tentando di abbinare i nostri prodotti alle marmellate siciliane”, spiega Giancarlo Conte, “già alla Borsa internazionale del turismo di Milano nel nostro stand abbiamo fatto degustare la “Magnifica”, una grappa distillata dal Nero d’Avola, con le confetture di mandarini”.

L’acquavite di vinaccia dell’Isola sta scalando le vette del gradimento, entrando nell’elite delle grappe nazionali


A metà strada tra Marsala e Mazara del Vallo, opera l’azienda “Conte Alambicco di Sicilia”, guidata da Giancarlo Conte, mastro distillatore

Da cinque anni la “Conte Alambicco” partecipa al Vinitaly di Verona, esperienza che sarà ripetuta anche in questa edizione. E proprio nella città di Romeo e Giulietta l’azienda siciliana presenterà una novità assoluta: i cioccolatini alla grappa, realizzati in collaborazione con la cioccolateria Martinez di Palermo. “Conte Alambicco di Sicilia” è presente nel mercato con tre linee di grappe, tutte distillate da vinacce di vitigni “made in Sicily” selezionate personalmente da Giancarlo Conte. “Danzantica, provocante in purezza”, ottenuta dalla selezione delle migliori vinacce dei vitigni più prestigiosi e antichi che crescono in Sicilia: Grillo, Nero d’Avola, Syrah e Inzolia. Profumate e aromatiche, racconti di una Sicilia riservata a chi ha scelto l’eccellenza del gusto, avvolgono i sensi in intense e piacevoli sensazioni. Racconti di miti e storie antiche, ogni sorso è un ritorno alle atmosfere ludiche e sensuali dei simposi dionisiaci, alle movenze erotiche dei Satiri danzanti. “Cottabos, premio d’amore”. Una linea di grappe monovitigno di elevato pregio, un’armonica sinfonia di aromi

e profumi, che riportano i sensi alle atmosfere dolci e sensuali dei simposi dionisiaci ove si soleva giocare a Cottabos in onore del dio Dioniso. Il segreto dell’eccellenza di questi distillati sta nelle vinacce dei vitigni autoctoni più rari e prestigiosi della Sicilia: il Moscato di Siracusa, lo Zibibbo di Pantelleria, la Malvasia delle Lipari, e nel metodo di produzione, quello artigianale della distillazione con alambicco discontinuo a “vinacce emerse”. Le grappe Cottabos sono l’espressione raffinata ed elegante della Sicilia, di miti e passioni antiche. Magnifica, l’eleganza che inebria. Elegante, armoniosa, ricca di aromi e profumi, Magnifica esprime l’anima della Sicilia, perché ottenuta dalla selezione delle migliori vinacce di Nero d’Avola, vitigno principe di questa terra. Grappa morbida e inebriante, la sua pregevolezza viene esaltata dall’affinamento attraverso tre passaggi in tipiche barriques, che hanno ‘custodito’ precedentemente i vini siciliani più tipici e prestigiosi impregnandosi del loro carattere più genuino. In questa evoluzione sta il segreto della ricercatezza e del particolare profumo di Magnifica.

“Abbiamo chiuso il cerchio della qualità per offrire il meglio”

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Magnifica Sicilia ma g

di Annalisa Ricciardi

Il menù che fece

l’Europa

La colazione che il Sindaco di Messina offrì ai sei Ministri per gli affari esteri della Ceca il 2 giugno 1955

E

ra l’anno di “Only you” dei Platters, l’anno del primo Sanremo in tv che vide Claudio Villa e Tullio Pane protagonisti con “Buongiorno tristezza”, l’anno in cui nacquero John Travolta e il Partito radicale in Italia e morì Albert Einstein. In quel periodo la Sicilia si preparava alla sua nuova rivolta autonomista: il Milazzismo. Ma il 1955 è ricordato dai libri di storia anche per il Patto di Varsavia che a maggio segnò l’alleanza dei paesi sovietici contro la Nato, e per la Conferenza di Messina, che ebbe luogo dal primo al 3 giugno nella Città dello Stretto. Si trattò di un’importante riunione dei ministri degli esteri dei sei stati membri della Ceca la Comunità europea per il carbone e per l’acciaio, che segnò quello che i libri chiamano il “rilancio europeo”. Parteciparono alla conferenza Gaetano Martino per l’Italia, Jan Willem Beyen per l’Olanda, Antoine Pinay per

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la Francia, Joseph Bech per il Lussemburgo, Walter Hallstein per la Repubblica Federale Tedesca e Paul-Henri Spaak per il Belgio. Dopo tre giorni di laboriose trattative si trovò l’accordo e venne firmata la Dichiarazione di Messina, che anticipava la creazione dell’Euratom (la Comunità europea dell’energia atomica) e del Mec, il Mercato comune europeo, oggi Unione europea. Ciò che non è scritto nei libri di storia è che il 2 giugno, il giorno prima della firma del trattato, l’allora sindaco di Messina, Carmelo Fortino, offrì ai ministri una colazione a base di piatti italiani, bagnati da vini dell’Isola. Un momento di convivialità che rese più gradevole l’impegno politico richiesto dall’occasione. Leggiamo il menù: il primo era un “timballo di riso alla finanziera”, piatto tipico del Piemonte in cui il risotto alla parmigiana viene accompagnato da una salsa a base di rigaglie di pollo, burro, succo di limone, farina e prezzemolo. Come secondo fu offerto un “pesce spada alla peloritana”, condito con pinoli e accompagnato da “asparagi alla parmigiana”, realizzati in uno sformato assieme a prosciutto crudo, parmigiano reggiano e panna. Questi piatti erano accompagnati da un bianco dell’Etna, che allora non era ancora Doc (a Denominazione di origine controllata) ma lo sarebbe diventato nel 1968. I principali vitigni a bacca bianca che rientravano nella composizione dell’Etna bianco erano anche allora il Catarratto, diffuso in tutta l’Isola, ma anche il Carricante e il più tipico Minnella che sono invece inseriti nella lista dei vitigni autoctoni di interesse locale, proprio per la loro più limitata diffusione in alcuni areali della Sicilia. Ad accompagnare il dolce, un “semifreddo trinacria”, la Malvasia di Lipari. Un vino naturale dolce considerato il prodotto principe dell’agricoltura eolia-

na. Questo vino è uno tra i più antichi di Sicilia, introdotto nell’isola da colonizzatori greci intorno al 588 avanti Cristo e il suo nome deriva quasi sicuramente dalla città greca Monenvasìa della regione Morea, oggi Peloponneso. Nell’Ottocento una potente flotta mercantile di Salina lo commerciava in tutto il Mediterraneo e dopo un periodo di scarsa produzione dovuto alla fillossera, un insetto che distrusse la maggior parte dei vigneti, nella seconda metà del 900 fu nuovamente incentivata la coltivazione. Così nel 1973 questo vino da dessert ha ottenuto il riconoscimento Doc. Può essere prodotto con uve Malvasia a bacca bianca e una piccola quanti-

tà, non superiore al 5%, di Corinto nero, vitigno a bacca nera poco diffuso in Sicilia. Le uve vengono lasciate appassire in parte sulla pianta e dopo la vendemmia esposte al sole su tradizionali graticci di canne (cannizzi) per circa 15 giorni.

n onore della dieta Iconcluse mediterranea il pasto si con panieri di frutta

di stagione: albicocche, pesche e ciliegie. E forse sarà stato un caso ma, nonostante la conferenza non fosse iniziata in un clima particolarmente felice e fosse proseguita non senza qualche difficoltà nei primi due giorni dei lavori, sorprendentemente il terzo giorno la Dichiarazione di Messina venne firmata. Che sia stato merito dei vini siciliani? Se non fosse così, ci piacerebbe crederlo.


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Spettacoli

ma g

di Antonella La Rosa

Geldof, l’amore per la musica e per la gente

Bob Geldof il “padre” del Live Aid e di “We are the World” arriva in Italia per la sesta edizione del FilmFest. La pop star e la sua band protagonisti assoluti di un indimenticabile concerto a Reggio Calabria.

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Sulle note coinvolgenti del film: “Pink Floyd The Wall” di Alan Parker, nella penombra delle luci della sala del Teatro “Francesco Cilea” di Reggio Calabria, tra applausi insistenti, si alza il sipario ed ecco Bob Geldof in carne ed ossa! Ospite d’onore della sesta edizione del Reggio Calabria “FilmFest”, la star rock è apprezzata in tutto il mondo, oltre che per il suo talento musicale, anche per le interessanti iniziative di beneficenza in cui è sempre riuscita a coinvolgere i grandi nomi della musica internazionale, riscontrando enormi successi. Capelli media lunghezza, sorriso vivace, accattivante e carismatico, l’artista sprigiona il suo fascino irlandese e si mostra al pubblico spigliato, pronto a soddisfare le sue esigenze. Scrittore, attore, produttore televisivo, grande predicatore dei diritti dei Paesi in via di sviluppo, Bob Geldof sul palco parla della passione per la musica da sempre sua ragione

di vita, e con essa lancia messaggi importanti legati alla lotta contro la fame e le malattie in Africa. Nel 1985 il musicista è stato con Minge Ure il promotore del progetto Band Aid, poi sfociato nell’organizzazione del Live Aid, concerto rock tenutosi a Londra e Filadelfia. Nel 2005 ha voluto promuovere una nuova edizione dell’evento chiamato “Live 8” , dieci concerti organizzati nei Paesi del G8, con l’intento di far pressione sui leader politici delle nazioni più ricche del mondo per aiutare quelle povere. La sua canzone “We Are the World”, prodotta da Quincy Jones, incisa a scopo benefico per la popolazione dell’Etiopia colpita in quel periodo da una carestia è un esempio alla sua dedizione alla “causa” dei poveri del mondo. Grazie al riconoscimento dei suoi sforzi per il Live Aid, Geldof guadagna il titolo di baronetto, è candidato tre volte al Premio Nobel per la Pace. Con i suoi numerosi eventi planetari di musica e solidarietà, i impegni fanno ormai parte della storia del rock.


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Oltre ad ammirarla come musicista, proviamo molto stima per il suo impegno sociale. Cosa la spinge a prodigarsi? Il mondo è pieno di gente che soffre, ma per rendersene conto non è necessario accendere la tv: lo vediamo anche facendo un giro in macchina per la città. Non è giusto aiutare chi è in difficoltà solo quando succedono disastri colossali come terremoti, guerre, carestie o chissà cos’altro, bisognerebbe farlo prima. Ci sono problemi difficili e urgenti da risolvere per questioni politiche, e non capisco perché si scelga di non farlo. A mio avviso è giusto fare anche donazioni, la povertà non è un atto di Dio, deve essere risolta, infatti, dalla politica. Rosarno è stata teatro di sanguinosi scontri per la rivendicazione del diritto al lavoro e al rispetto delle minoranze di colore presenti nel territorio. Cosa ne pensa? A volte non ci sono parole per descrivere alcune azioni umane. Oggi mi trovo in questa terra magnifica che è la Calabria, piena di ricchezze paesaggistiche, un luogo meraviglioso ma anche maledetto per certi aspetti, visto che pure qui arrivano le cose negative. Per esempio gli atti criminali credo siano una conseguenza della povertà. L’immigrazione è un problema serio da non prendere sotto gamba e va sicuramente affrontato al meglio. La vicenda di Rosarno è una reazione primitiva, tutti rischiano sicuramente di perdere il controllo, ma è la più bassa delle risposte umane. Perché i pregiudizi sono così duri a morire? Spesso non si ha la capacità di guardare in faccia la realtà e soprattutto di affrontarla. Esistono ancora le barriere e le ipocrisie perché il cambiamento,

la diversità ancora oggi spaventano. Forse facciamo un passo in avanti solo quando un problema ci coinvolge personalmente, a quel punto dobbiamo necessariamente metterci in gioco e ricostruire. I muri sono solo dentro di noi quando ci rinchiudiamo in certe nostre convinzioni “ottuse” senza ascoltare le esigenze altrui, ma forse anche le nostre.. Quanto può la musica aiutarci a cambiare determinati atteggiamenti umani? La musica è vita e crea sicuramente sinergie ed emozioni forti, quindi in quanto tale va ascoltata e mai contrastata o fermata. Però non può di certo cambiare il mondo. Ècompito di noi artisti riuscire a ricordare a chi sta ai vertici del potere, come per esempio i politici, di avere delle responsabilità nei confronti di tutti noi, e soprattutto di mantenere le promesse fatte. Con “Live Aid”, noi abbiamo provato a farlo. Germania, Inghilterra, Canada, Usa e Italia hanno fatto una promessa ai poveri, bisogna dire che l’Italia però l’ha onorata solo al 3 per cento. Grazie a questo progetto oggi 42 milioni di bambini possono andare a scuola. Riallacciandomi al discorso della Calabria penso che esista una connessione tra questa terra, l’Africa e la grande indifferenza dello Stato italiano. Ovviamente non sono qui per criticare il vostro Paese adoro, ma faccio solo riferimento a un impegno internazionale purtroppo non mantenuto. Tornando a parlare di

musica, quando uscirà il suo prossimo disco? A breve, esattamente a maggio. Dopo otto anni di pausa torno adesso con un nuovo disco che contiene 31 brani che mi auguro diventino tutti dei grandi successi. Sono per lo più canzoni rock: alcune amare, alcune riflessive e una sola d’amore inserita più dietro la spinta di mia moglie che la mia, altrimenti mi avrebbe ucciso. Scherzi a parte le donne sono sempre più romantiche e sognatrici.



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Andar per teatri di Gigi Giacobbe

REQUIEM: Remedia Teatri nella Sala Laudamo

nche se non interrata all’interno d’un monticello, Patrizia Baluci, in questo suo Requiem: Remedia Teatri di cui è protagonista, scenografa, costumista, regista e ideatrice d’un testo mutuato da Il canto del cigno di Cechov e dai Remedia amoris di Ovidio, somiglia alla Winnie di Giorni felici di Samuel Beckett. Una donna che parla per 60 minuti di seguito dei suoi fantasmi e di tutto ciò che può trasportarla in una vita di sogno. La Baluci somiglia pure a quelle figure femminili, pregne d’esperienza e saggezza, rinvenibili nei film di Almodovar o di Buňuel che sciorinano colte citazioni o detti popolari al suono di motivi melodrammatici. Sembra d’avere davanti l’ombra di Carmelo Bene o quella di Carlo Cecchi o di Enzo Moscato e non lei, che con la sua voce rochita fa un tutt’uno col suo abito da sposa dal generoso décolleté. Se ne sta seduta la Baluci su una sedia imbottita con i piedi in un bacile d’acqua, avendo

da un lato un manichino di donna e più indietro un drappo bordeaux a forma di croce e dall’altro lato una piantana avvolta da candido tulle con campanellini. Sputa parole Patrizia ad alta voce, un po’ in dialetto, un po’ in lingua, un po’ in inglese, sul destino dell’attore e sul futuro del teatro. Per lei il palcoscenico è marcio, come la Danimarca di Amleto o come lo è per quel vecchio attore del breve testo cechoviano, in cui delirerà come un bambino versi shakespeariani, dal Re Lear a di Romeo e Giulietta. Ma mentre quell’attore dopo l’ennesima recita non avendo voglia d’andare a casa sua incontrerà più avanti nel buio il vecchio suggeritore che gli sembrerà un fantasma, confessandogli quest’ultimo che resterà a dormire in un qualunque camerino perché non ha più dove andare, la Baluci entrerà nei panni d’una sua precedente Salomè estraendo con i piedi da quell’acqua una testa gommosa del Battista e altro ancora e si rivolgerà poi alla Madonna dicendo d’averle dato

dei numeri al lotto ma non sa se li ha giocati. I morti non vogliono essere nominati: dunque basta con Shakespeare e Puskin, ma solo i distici di Ovidio che le serviranno solo per evitare eccessivi coinvolgimenti dei sentimenti amorosi, sdoppiandosi in questo suo monologo tra chi spera che il gioco teatrale possa continuare e tra chi vorrebbe abbandonarlo dicendo basta a questo pavoneggiante mestiere. Non potranno aiutarla né la Madonna né il Cristo, di cui ad un tratto, facendo scivolare quel drappo rossastro, assumerà medesime fattezze in croce, né tanto meno quel Carmelo (Bene!) cui spesso si rivolge per trovare risposte senza risposte. Udrà solo un puzzo tremendo, alla fine, proveniente da un lampada sulla graticcia che vomiterà rumorosamente sulla scena una gran quantità di lattine vuote. Buio e applausi caldi del pubblico della Sala Laudamo per questo spettacolo che ha concluso la rassegna Genius Loci ideata da Dario Tomasello.


Andar per teatri di Gigi Giacobbe

HAIRSPRAY al Vittorio Emanuele di Messina

Mentre a Sanremo si svolgeva il 60° Festival della canzone italiana, al Vittorio Emanuele transitava Hairspray: un musical di successo firmato dall’ormai collaudato regista del genere, per giunta messinese, Massimo Romeo Piparo. All’inizio del 1987 Hairspray è una commedia senza canzoni firmata da John Waters, poi negli States diventa qualcosa che conquista l’Oscar per il migliore musical sia a Broadway che a Londra e un paio d’anni fa esce un film che ha fra i protagonisti John Travolta e Michelle Pfeiffer. È una storia extralarge a lieto fine in cui si osanna che “grasso è bello” in barba al colesterolo e ad ogni forma di dieta e in cui i diversamente magri hanno la meglio sui diversamente grassi. Con un messaggio forte alla fine, come quello dell’integrazione razziale, in cui s’inneggia alla “negritudine” tramite una sfilza d’immagini che scorrono su un grande schermo, da Martin

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Luther King a Obama. Le atmosfere sono quelle degli anni ’60 e la Tracy di Giovanna D’Angi, la giovane talentuosa ragazza dalla taglia abbondante, originaria di Giardini Naxos, in compagnia della madre Edna, vestita da un esuberante e “largo” Stefano Masciarelli, dopo alcune peripezie, incomprensioni e invidie, riusciranno a diventare delle celebrità televisive del “Corny Collins Show”. Le musiche di Mark Shaiman adattate da Emanuele Friello rievocano quei tempi andati in cui il rock and roll faceva il paio col rhythm and blues, ma non c’è un pezzo che ti rimane in testa e le due ore e mezza extra-large dello spettacolo, con 25 canterini-ballerini in scena, (fra cui spiccano Giulio Farnese, Flavia Astolfi, Piero Di Blasio, Francesca Nerozzi e la sudafricana Tia Architto) scorrono via esgt piatte, con ampi sbadigli del pubblico che ha applaudito sotto l’effetto d’una tisana di tiglio.


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col piede giusto Sembra un set cinematografico. Una donna coatta dagli stivali rossi, tale Elena (Amanda Sandrelli) parla in romanesco al telefonino col marito sul proscenio. Ad un tratto sente un botto e la comunicazione s’interrompe. All’interno della scena tutta bianca, dagli arredi alle quinte, come d’un salone di lusso, irrompe Bruno (Simone Colombari) marito di Anna (Eleonora Ivona) che lo bacia amorevolmente. Ma lui non vede l’ora di poter parlare col suo amico avvocato Silvio (Blas Roca Rey) che è venuto per cena e confessargli che forse a causa della pioggia battente, complice pure un buio pesto, ha investito un uomo che crede, dopo una guardata sommaria, d’averlo ammazzato. L’uomo è un neo-deputato, eletto grazie all’appoggio del suocero, potente senatore, e quell’incidente, per mancato soccorso, potrebbe macchiare la sua carriera politica. Inizia così Col piede giusto il lavoro di Angelo Longoni, sua pure la snella regia, sia pure con

qualche incongruenza testuale, che va avanti di filato per un’ora e quaranta. I rimorsi assalgono l’uomo che umanamente vuole riparare il suo torto. L’avvocato è il tramite e il denaro è ciò che può alleviare il dolore della donna. La quale, usando l’arma del ricatto, continuerà a chiedere somme sempre più ingenti. Senza voler svelare altri risvolti, si dirà solo che l’intrigata matassa verrà dipanata dalla moglie Anna, mentre quella donnetta comincerà Col piede giusto una nuova vita forse evitando di bere dal bicchiere col mignolo alzato. I quattro protagonisti sono credibili nei loro ruoli e il pubblico del Teatro ABC per la stagione del Teatro Brancati ha applaudito a più riprese, in particolare quando il neo-depu­tato argomenta che le as­sicurazioni so­­­­­no del­le associazioni a delinquere legalizzate e caldamente alla fine.

di Angelo Longoni regia di Angelo Longoni scene di Leonardo Conte e Alessandra Panconi costumi di Marco Maria Della Vecchia Con Amanda Sandrelli Blas Roca Rey Eleonora Ivone Simone Colombari Produzione Compagnia delle Indie Occidentali Roma


Mag luoghi ma g

a cura della redazione

Ostello delle acquile

Gli ostelli in Sicilia La crisi economica incombe sulla nostra testa, come una spada di Damocle. Cerchiamo di fare quadrare i conti senza farci mancare nulla, soprattutto il divertimento ed il relax. Gli italiani sono un popolo di santi, poeti e viaggiatori. Spesso però i prezzi proibitivi per il vitto e l’alloggio ci impongono di pensarci prima sopra di partire. Le soluzioni esistono e molte vengono sottovalutate. Ci riferiamo per esempio agli ostelli, strutture ricettive simili ad alberghi, ma con la particolarità degli spazi condivisi con altri ospiti. Le stanze sono spesso a più letti, nella maggior parte dei casi a castello; anche le docce, la cucina ed il salotto vengono condivisi. Il tutto condito da un’atmosfera familiare e solidale fra i “coinquilini” e con la garanzia di prezzi modici e accessibili a tutti. Il primo ostello è stato fondato nel 1912, in Germania ad Altena, da Richard Schirrmann e aperto nel castello dell'omonima cittadina. Schirrmann era un professore tedesco amante dei viaggi. Un giorno, durante uno delle sue frequenti escursioni, fu costretto, a causa di un temporale, a rifugiarsi con il suo gruppo di studenti all’interno di una scuola. Fu proprio in quel frangente che Schirrmann ebbe l’idea di ospitare comitive di studenti all’interno di strutture scolastiche chiuse per le ferie estive. Un’idea geniale che riscontrò subito grande successo in Germania prima e in Europa e Usa dopo. Nacque la Federazione Internazionale degli Ostelli della Gioventù, con lo scopo di associare tutte le strutture che fornivano posti letto a prezzi ragionevoli ai giovani. Col passare del tempo il concetto di ostello si è evoluto. L’età media degli ospiti varia: non solo i giovani ma anche

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le famiglie si rivolgono sempre più spesso agli alberghi della gioventù. In Sicilia purtroppo non è ancora diffusa la cultura degli ostelli, che sono frequentati nella maggior parte da viaggiatori stranieri. “Principalmente ospitiamo stranieri – dice Giacoma Crisafulli, vicepresidente della cooperativa Centaurèa che gestisce l’Ostello delle aquile di Castroreale (Me) – i clienti italiani sono molti pochi, pochissimi quelli siciliani”. Gli ostelli offrono socializzazione perché dispongono di spazi comuni, come la cucina, il soggiorno e il giardino. Tutto da condividere con gli ospiti interagendo e creando anche legami interculturali. “I clienti tipo, di solito, sono turisti che devono affrontare viaggi lunghi - prosegue Giacoma Crisafulli – in inverno sono soprattutto coppie o viaggiatori solitari, mentre in estate riceviamo molte comitive”. Oltre al già citato “Ostello delle aquile” nell’Isola esistono solo altre quattro strutture che risultano iscritte all’Aig (Associazione Italiana Alberghi per la Gioventù). A Palermo sorge uno dei più antichi ostelli, “Baia del Corallo”; a Noto (Sr) troviamo “Il Castello”, a Piazza Armerina (En) “l’Ostello del borgo” ed infine a Catania “l’Ostello del Plebiscito”. “Tutte queste strutture sorgono in aree naturali protette o in castelli ristrutturati – continua Giacoma Crisafulli - è questo, infatti, lo scenario in cui sorgono gli ostelli”. Zone immerse nel verde dove potere spostarsi comodamente verso le città oppure rimanendo a contatto con la natura con itinerari ed escursioni organizzate per i viaggiatori. Ostello del plebiscito

Tutto senza farsi mancare comfort consueti come la tv satellitare o la connessione internet wi-fi, aree lavanderie: insomma tutto quello che serve nelle pause di un viaggio affinché l’avventura sia rilassante, divertente e soprattutto low cost.

Ostello delle acquile


magcom

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Design

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a cura della redazione

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il siciliano che si innamorò della Finlandia Intervista al nipote Gaetano Silvestro

Che cosa hanno in comune l’Italia e la Finlandia? Poco o molto? Di sicuro l’amore per la lingua latina che i finlandesi usano nei comunicati stampa internazionali al posto dell’inglese. E questo è abbastanza noto. Ma c’è dell’altro, che pochi conoscono. Un filo sottile ma solido lega insieme Italia e Finlandia: il design e Lillo Mangano, messinese e milanese d’adozione. Lillo Mangano è il catalizzatore di una grande avventura che ha come protagonisti il design finlandese ed i più grandi maestri dell’architettura contemporanea del Paese scandinavo. Alvar Aalto, Timo Sarpaneva, Tapio Wirkkala, Kaj Franck e tanti altri, creatori di opere capaci di unire il raffinato gusto estetico alla praticità dell’uso quotidiano. Ottocento creazioni dei maestri finlandesi fanno parte della “Collezione Mangano”, un’eccezionale carrellata che va dagli anni cinquanta agli anni novanta e che propone tavoli, librerie, lampade, sedute, accessori da cucina e tessuti che diventano così opere d’arte, capaci di sopravvivere allo scorrere del tempo.

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...minimalista, senza fronzoli, rispettoso della natura, dalla quale, nel 99 per cento dei casi, trae spunto

La storia della Collezione Mangano è affascinante ed avventurosa come tutte le vicende che coinvolgono le persone capaci di guardare avanti. A raccontarla è Gaetano Silvestro, messinese, amministratore della Finn Form e nipote di Lillo Mangano. La Finn Form è l’azienda fondata nel 1957 dallo stesso Mangano insieme alla moglie Jole Sala, grazie all’incontro dei coniugi Timo e Pi Sarpaneva, che hanno fatto da testa di ponte in Italia per il design finlandese, dedicandosi non solo a commercializzare le opere di questi artisti ma anche a creare appositi eventi e spazi culturali. “La storia della Collezione Mangano, racconta Gaetano Silvestro, parte dagli anni ’50, periodo in cui mio zio, Lillo Mangano, si trova a collaborare con il noto architetto e designer Franco Albini. Nel suo studio conosce una giovane praticante finlandese, la moglie di Timo Sarpaneva, che gli propone di assistere i designer finlandesi

venuti in Italia per una mostra dei loro prodotti. Mio zio se ne occupa ma i problemi doganali incontrati nel rispedire le opere in Finlandia, dopo le varie esposizioni, spinge i finlandesi a suggerire a Mangano di avviare la commercializzazione in Italia. Da quel momento in poi, grazie anche alla creazione della Finn Form, mio zio dedica tutta la sua vita alla promozione del design finlandese”. Lillo Mangano diventa così un benemerito della cultura finlandese. Gli viene conferito un cavalierato dallo Stato finlandese e viene riconosciuto come l’ambasciatore del design finnico in Italia. “Dopo la sua morte, continua Silvestro, sono andato a recuperare una serie di oggetti, che definisco archeologia di design, prodotti di aziende note come Artek, IITTALA e Woodnotes e di altre che oggi non esistono più. Tutti questi fanno parte della Collezione Mangano”.


Design

La caratteristica di questi oggetti, è quella di sopravvivere alle mode e durare nel tempo...

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Ma qual è la particolarità del design finlandese. Cos’ha in più rispetto ad altre forme di design. Per Silvestro è presto spiegato: “Il design finlandese è democratico, fruibile a tutti. È un tipo di design rivolto all’utilizzatore finale. È minimalista, senza fronzoli e rispettoso della natura, dalla quale, nel 99 per cento dei casi, trae spunto. Un esempio in tal senso sono i vasi Savoy di Alvar Aalto del 1936, prodotti da IITTALA, definiti tra i più belli al mondo perché hanno una forma organica che si dice richiami l’aspetto dei laghi della Finlandia o le nuvole del cielo. La caratteristica di questi oggetti, inoltre, è quella di sopravvivere alle mode e durare nel tempo. Un esempio per tutti: il bicchiere Aino progettato da Aino Aalto, moglie di Alvar, nel 1932 è ancora oggi prodotto e commercializzato da IITTALA. È veramente difficile trovare dei prodotti così longevi”. La Collezione Mangano propone anche pezzi unici come alcuni prototipi d’epoca mai messi in produzione. Affascinanti alcune opere come la pentola realizzata da Timo Sarpaneva, ispirata dalle vecchie pentole di ghisa usate nella Finlandia dei primi anni del secolo, con un design moderno e attualizzato. O le creazioni esclusive di Alvar Aalto, massimo esponente del design e dell’architettura del novecento. La Collezione è un incredibile viaggio storico culturale che ancora oggi è possibile percorrere attraverso le forme innovative del design finlandese.


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Lounge bar open 19.30

magcom

Messina - tel. 347 2890478


Personaggi ma g

di Antonella La Rosa

Cinquant’anni di carriera ben portati

Un centinaio di film alle spalle, anni di teatro e una carrellata di personaggi, Lando Buzzanca il merlo maschio mito della commedia sexy riceve il premio alla carriera

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i può certamente definire un concentrato di talento, simpatia e professionalità, Lando Buzzanca palermitano doc, è uno degli attori più amati e seguiti dal pubblico grazie alla sua versatilità recitativa, qualsiasi ruolo un regista gli chieda di interpretare lui è capace di farlo. Sguardo acuto, sorriso e battuta sempre a portata di mano, ha incarnato il latin lover, lo stereotipo del siciliano sanguigno, il mito della commedia erotica all’italiana degli anni ’70. Stimato non solo in Italia grazie ad una lunga carriera ricca di successi, Lando è considerato una simpatica icona internazionale dell’italiano provinciale, elegante, virile e furbo. Spicca per il suo camaleontismo: aggraziato o beffardo a seconda della situazione. Segno particolare: verve ironica che lo rende uomo interessante e affascinante.

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Buzzanca, esilarante attore teatrale, e interprete cinematografico con alle spalle una carrellata di personaggi, ha “bucato” il piccolo schermo in fiction interessanti. Recente successo di: “Io e mio Figlio”, andato in onda questo inverno sulla Rai, torna sul set con la serie: “Capri 3”

Cinema, teatro e televisione, non si è fatto mancare nulla artisticamente. Come si spiega questo eccellente eclettismo? Se sono arrivato fin qui è solo questione di forza di volontà e di testardaggine. Ero un ragazzino di 17 anni quando ho lasciato la Sicilia per andare a Roma e tentare la fortuna, in tasca avevo solo 500 lire per cui lascio immaginare quanti sacrifici. Non è stato facile ma oggi sono contento di avercela fatta! Cinquant’anni di carriera vissuti come? Cinquant’anni sono tanti, a me per primo sembra strano se penso che è già passato tutto questo tempo da quando ho iniziato a fare l’attore. In mente ho un insieme di ricordi per lo più positivi, ogni esperienza mi è servita perché mi ha cambiato e maturato. Devo ammettere che sono stati anni vissuti bene perché ho avuto la fortuna di fare quello che amavo, cioè recitare, e in più ho conosciuto un sacco di attori, registi e persone interessanti. Alcuni li porto nel cuore. Di recente, durante la sesta edizione del“Filmfest” di Reggio Calabria, ho ricevuto il premio alla carriera, è stata un’esperienza davvero gratificante, ne sono rimasto onorato. Sentirsi amato e apprezzato dal pubblico è la chiave di tutto, è questo che mi aiuta ad andare avanti. Ha lavorato a fianco di attrici bellissime, spesso è stato definito: “sciupa femmine”, ma che rapporto ha con le donne? Bella domanda. E’ vero ho conosciuto colleghe belle e affascinanti, con le quali nella maggior parte dei casi ho avuto un buon rapporto di lavoro, ovviamente non posso nascondere che adoro un po’ tutte le donne per il loro strano modo di essere, cioè sono talmente diverse da noi uomini che ognuna mi sorprende e mi attira per mille motivi. Ma l’amore è un’altra cosa, sono sposato da cinquant’anni con la stessa donna e ammetto di essere stato sempre innamorato solo di mia moglie, la sera non mi stanco mai di tornare a casa da lei, noi ci teniamo ancora per mano mentre guardiamo la tv, e nonostante il passare del tempo la considero bellissima. La differenza consiste nel fatto che mentre con le altre sono state solo “esercitazioni”, con lei invece ho scoperto un sentimento enorme che va al di là di ogni cosa. Inoltre avere una famiglia è la cosa più bella del mondo.


Ma qual è il segreto per avere successo? Non esistono regole o segreti, però penso che alla base di tutto non debba mai mancare la dignità né come uomo né come attore, avere sempre cura e stima di sé. Ricordo che all’inizio della mia carriera quando ancora nessuno mi conosceva, qualcuno ci provò pure a propormi ruoli a mio avviso poco dignitosi, ma già allora nonostante la giovane età ho rifiutato pur rischiando grosso. Per fortuna la mia carriera non si è fermata là. Cosa si prova ad avere tanta popolarità anche all’estero? Essere apprezzato e amato anche fuori dalla propria patria è meraviglioso! Scendere dall’aereo e scoprire di essere accolto dalla gente con calore, è veramente magico. Questo affetto mi ha accompagnato e sostenuto soprattutto nei momenti difficili della mia vita. Lei si dichiara simpatizzante della destra italiana, in passato però è stato anche criticato da alcuni esponenti della destra per aver interpretato: “Io e mio figlio” il ruolo del commissario Vivaldi, padre di un ragazzo gay. Quanto conta la politica, e cosa pensa per esempio dell’omosessualità? Si è vero, mi è capitato in passato di ricevere critiche per aver accettato determinati ruoli, ma come sempre sono andato avanti per la mia strada. Essere attori significa anche questo, cioè attraverso i personaggi che si interpretano spesso si ha la possibilità di analizzare e capire più da vicino problemi che non si conoscono, quindi riflettere su argomenti come l’omosessualità. Con il commissario Vivaldi ho capito che l’amore di un genitore nei confronti del proprio figlio, vince sempre su tutto anche quando ci sono avversità. Non ho nulla contro l’amore gay se si tratta di

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un sentimento reale e pulito, detesto invece le perversioni, ma ovviamente comportamenti sbagliati arrivano da chiunque anche da un etero. La politica è molto importante, però essere obiettivi e aperti mentalmente lo è altrettanto, quindi ho sempre risposto a questo tipo di attacchi in modo tranquillo e sereno. Nonostante si dichiari di destra ha sostenuto Walter Veltroni durante la campagna elettorale a sindaco di Roma, perché? Perché al di là dei partiti politici e delle idee personali, bisogna capire poi le reali intenzioni degli altri. Considero Veltroni un uomo molto intelligente per tutto quello che fa, se c’è una cosa che mi piace molto di lui è proprio questa sua capacità di promuovere la cultura, in questo mi trovo d’accordo e lo appoggio pienamente perché senza cultura un Paese non è niente. E di “Capri 3” cosa dice? Capri è una fiction molto seguita non solo in Italia, ma anche in America Latina dove è stata esportata, quindi sono veramente contento di fare parte di questo meraviglioso cast composto per lo più da attori professionisti che stimo. Si tratta di una serie dove di certo non mancano: amori, intrighi e interessanti colpi di scena, sicuramente non ci si annoia, quindi vale la pena seguirla. Personalmente mi sono divertito molto a interpretare zio Rudy, un personaggio particolare e stravagante, un uomo che torna dall’America per far studiare il nipote che per la giovane età, pensa a divertirsi. Tra l’altro passare del tempo su un’isola stupenda come Capri è stato per certi versi anche rilassante. Come trova la Sicilia ogni volta che ci torna? Pur essendo stato in giro per il mondo, non posso negare quanto io sia legato alla mia terra. Il panorama, i paesaggi, il mare e i colori che ci sono al sud non si trovano facilmente altrove, per non parlare del cibo: arancine e panelle

sono la mia passione! Però ad essere sincero, trovo la Sicilia un po’ arretrata, per esempio la gente non è abituata a leggere, ad andare regolarmente al teatro, né a recarsi in edicola a comprare i giornali per tenersi informata su quello che accade nel mondo. Purtroppo se non ci sforziamo a cambiare determinati atteggiamenti e ad evolverci anche mentalmente, resteremo sempre indietro. I suoi prossimi passi? Quanto prima inizierò a girare una nuova fiction per la Rai intitolata “Il restauratore”, 26 puntate ambientate tra Roma, Belgrado e la Tunisia. Si mette in scena la vita di un ex galeotto che lavora in una bottega di antiquariato, un personaggio interessante che matura dentro di sé una diversa consapevolezza e una nuova visione della vita. In pratica non è altro che un restauratore di “anime”. Ma c’è un ruolo che non ha mai fatto e che invece le piacerebbe tanto interpretare? Effettivamente non ho mai rivestito i panni di un killer, mi piacerebbe recitare un personaggio abietto al quale non importa nulla di nessuno. Forse questo desiderio nasce anche da un lontano ricordo, erano all’incirca gli anni ’80 quando uno sconosciuto si presentò a Milano chiedendomi dei soldi. Non contento della mia risposta negativa mi aspettò fuori dall’albergo, vedendolo mi resi conto che per fortuna non era un killer ma solo un uomo disperato per la sua condizione economica, allora lo portai a cena e gli parlai per ore, convincendolo che “minacciare” gli altri non era di certo la cosa giusta da fare. Da quella sera non l’ho mai più rivisto. A questo punto della sua carriera, quali sono le sue ambizioni, le sue speranze e il suo sogno più grande? Continuare a fare l’attore.


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I palazzi raccontano

ma g

di Salvatore Parlagreco

La guerra

sbagliata

La battaglia di Dogali da 110 anni è ospitata sulla parete grande del corridoio Mattarella di Palazzo dei Normanni. Un opera d’arte che pochi conoscono. Non piacque ai militari perché non raffigurava le gesta dei soldati italiani, massacrati in Etiopia.

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Le opere d’arte hanno una vita propria come gli uomini: conoscono la celebrità e l’oblio, sono succubi del loro destino e lo avversano con tenacia, subiscono ingiustizie e guadagnano fortune, si ribellano o seguono la sorte avversa del loro autore. A differenza degli uomini, tuttavia, alcune di esse ottengono il dono dell’eternità, parlano al cuore e all’intelligenza della gente, sfuggendo agli amori del loro tempo e, dopo avere magari conosciuto l’oblio, risuscitano. Altre non vedono la luce, sono accecate dal destino. Come La battaglia di Dogali di Cesare Biseo: da 110 anni è ospitata sulla parete grande del corridoio Mattarella di Palazzo dei Normanni, cui si accede dal loggiato del piano parlamentare. Biseo, un pittore verista romano, la realizzò nel 1887, alcuni mesi dopo la disfatta italiana a Dogali, avvenuta il 26 gennaio dello stesso anno. Venne mostrata al pubblico nel 1891 in occasione dell’Esposizione nazionale di Palermo. Conclusa l’Esposizione fu acquistata da Re Umberto I che la destinò alla Reggia Reale, oggi sede dell’Assemblea regionale siciliana, uno scrigno di tesori d’arte inestimabile: fosse stata esposta altrove, avrebbe guadagnato l’attenzione del pubblico, la considerazione dei visitatori, l’interesse delle guide turistiche, un fascio di luce radente, un depliant illustrativo. Tutto ciò che comunica l’importanza dell’opera. Nella ricca Reggia reale, invece, non ostante le sue dimensioni – quattro metri e mezzo per tre circa - ottiene solo sguardi distratti e

parole frettolose dei visitatori che percorrono velocemente il corridoio per raggiungere la Sala dei Vicerè. Qualcuno si chiede che cosa ci faccia lì, perennemente in ombra, ad un passo dall’Aula del Parlamento siciliano un’opera che ricorda la tremenda disfatta italiana. A Westminster o alla Duma, o nelle sale del Congresso americano, riflettono, non si ospuiterebbe l’umiliante testimonianza di una sconfitta, i palazzi del Parlamento conservano busti e ritratti degli uomini che fanno grande il Paese. La battaglia di Dogali, in più, ha un peccato originale da scontare: non racconta le fulgide gesta di eroismo dei soldati italiani, ma tramanda ai posteri il silenzioso teatro di guerra che precedette il massacro degli italiani, la sua terrificante immobilità. Biseo dipinge un incubo, sospende il destino ineluttabile di tanti uomini in un tempo infinito a causa della sua opera. La scena si apre con la folla di lance che spuntano da un terrapieno e i soldati etiopi nascosti dietro gole e anfratti, pronti per l’agguato, e degrada verso le milizie nemiche che strisciano sul terreno, lasciando sullo sfondo, in cima ad una collina, i cavalieri italiani, con le loro divise bianche. I destrieri degli italiani scalpitano, i cavalieri girano lo sguardo verso la vallata. Sono le lance argentee a dominare la scena, sinistre macchie di colore che prendono forma e si ricompongono in nitidi vigorosi contorni. Si è costretti a trattenere il respiro, osservando il dipinto, ci si estranea al punto


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INVENTA da credere che tutto sia rimasto così, che non si sia compiuto il destino ineluttabile. L’arte ti fa credere l’impossibile. Biseo dipinge una premonizione, invia il monito di un’insidia. Non sarà creduto e perderà i favori del Palazzo: l’opera non piacque ai generali. L’autore smentiva la loro ricostruzione della disfatta. Il massacro era stato l’ineluttabile destino di una colonna di valorosi annientata da forze esorbitanti, la loro strenua resistenza. I cinquecento italiani erano morti da eroi. Ogni goccia di sangue versato gridava vendetta e pretendeva una pagina di storia, non la visione attonita di Biseo. I militarei fecero un terribile errore: dopo il massacro, scrissero che i cadaveri dei soldati italiani erano stati trovati uno accanto all’altro, allineati. Una versione poi smentita “con sdegno” dagli stessi militari. Se gli italiani fossero stati uccisi dopo un feroce scontro all’arma bianca, i loro corpi non avrebbero potuto trovarsi allineati, composti da un nemico crudele ma pietoso. L’opera di Biseo fu depositata nella Reggia reale, lo Stato commissionò la battaglia di Dogali al pittore napoletano Michele Cammarano, autore di un’apprezzata Carica dei bersaglieri a Porta Pia. Dopo un soggiorno in Eritrea Cammarano dipinse nel 1895 la sua Battaglia di Dogali secondo la volontà dello Stato Maggiore: un feroce scontro all’ultimo sangue e gli italiani al centro della scena armati di sciabole, votati al sacrificio pur di salvare l’onore della patria. Ma la storia darà ragione a Biseo e alla sua premonizione. Dieci anni dopo Dogali, l’insidia si materializza. L’esercito

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italiano conosce una terribile disfatta a Adua, la prima di un esercito occidentale in terra d’Africa: l’episodio cambierà la storia del Paese, seppellendo le sue ambizioni coloniali e il governo in carica. La memoria degli stati maggiori è tuttavia lunga: le ferite di Dogali e Adua non si rimarginano, rimangono sconfitte da vendicare. Nel 1935 sarà il generale Badoglio a compiere la vendetta, uccidendo migliaia di civili e devastando città con il gas e quintali di bombe. Temendo la controffensiva atiopica e confidando sulla memoria ferita, ordinò l’uso delle armi chimiche per respingerla e spaventare le popolazioni. I diffusori di gas, installati a bordo degli aerei, provocarono un massacro. Chi non morì per le bombe, morì lentamente per la necrosi del protoplasma cellulare. La pioggia micidiale di Badoglio non avrebbe restituito l’onore agli italiani – gli italiani non l’avevano perduto né a Dogali né a Adua - sarebbe stata ricordata nei libri di storia per la sua ferocia disumana. Biseo aveva visto giusto. In guerra non si conquista né si perde l’onore, si uccidono uomini o si è uccisi. Come ogni grande artista, non aveva patria, aveva i sentimenti dell’umanità intera. La sua opera non merita perciò l’oblio cui è stata condannata, merita da sola la visita a Palazzo dei Normanni. E’ ormai più di un secolo che La battaglia di Dogali attende di essere restituita alla storia dell’arte, della cultura e della civiltà italiana.


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Bagaglio a mano a cura di LO.LA. Architetti

Mario Loteta e Giovanni La Fauci

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Itinerari visionari iario di bordo. Ci muoviamo verso sud. Dal torrente Gazzi giungeremo sino al torrente San Filippo. Le vie che portano al mare sono, a dir poco, impervie. E pongono molteplici domande: come riempire il nostro bagaglio? Quale memoria conservare? Cosa portare con noi e cosa lasciare? La scelta si fa ardua, poiché non è possibile raccogliere tutto. Quindi, nasce l’esigenza di attribuire un valore, una priorità che giustifichi la nostra scelta verso alcune cose piuttosto che altre. Per quanto opinabili, le nostre scelte aprono un questionario molto lungo e ricco di domande scomode. Solo una però, le riassume tutte: come spiegare a un viaggiatore che il mare qui non esiste? Per quanto possa sembrare assurdo, la più feroce delle privazioni a cui è stato sottoposto questo tratto di città, è proprio il mare. Per chi non vi abita, ma persino a chi vi risiede da molti anni, non è

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chiaro come ci si arrivi, da dove e perché arrivarci, visto che non è parte integrante dell’immaginario urbano. Potremmo scegliere di iniziare una lunga e scrupolosa digressione storica sulle scelte politiche che, nei decenni del secolo scorso, hanno causato questa drammatica castrazione ambientale. Ma, per fortuna, non siamo giornalisti e nemmeno storici. Quindi lasciamo a loro il dovere di una cronaca obbiettiva (semmai l’obbiettività esista). Noi utilizzeremo il mezzo che ci è più congeniale, la mimica del racconto, delle fantastorie, sperando che il congegno onirico restituisca a questi luoghi una memoria futura, o, meglio, la capacità di proiettare un futuro, oggi del tutto assente. Ad ogni modo, saremo contenti anche solo per aver posto l’attenzione su questi luoghi. Il nostro obbligo è assolto, come il dovere di educare i bambini (e nono solo) alla fantasia, non privandoli mai del piacere

Lo.La. Architetti Da “Codici Binari”: 1. Parco Ciclistico Vincenzo Nibali 2. Ciclisti a Parco Nibali 3. Orto Binario 4. Diritto di Superficie


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della scoperta e della libera interpretazione. Qui, di cose da scoprire ve ne sono parecchie. Non sarà necessario andare al cinema per “vedere” in un modo del tutto nuovo. Basta addentrarsi in queste “zone” di confine, dove la deriva della civiltà è uno spettacolo reale. Chiunque decida di varcare la linea ferroviaria, questa lunga e impietosa barriera che nega la possibilità del mare a chiunque, è già un clandestino. Si avverte ovunque la condizione che rende alieni rispetto alla città. Chi riesce a lasciare le proprie orme sulla sabbia compie un viaggio in un futuro prossimo, e insieme in un passato sconcertante. 3

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Bagaglio a mano 5

Lo.La. Architetti Da “Codici Binari”: 5. Cuntissi Western

Questa neutralità del tempo la conoscono bene i pescatori, unici abitanti di questo limbo. Coraggiosamente, essi varcano più volte la soglia, per instaurare un autentico dialogo col mare. A modo loro. Un dialogo il più delle volte muto, eppure ricco d’interiorità, pieno di storia. Uno di loro ci guarda male, insospettito dalla nostra fotocamera. Poi ci chiede cosa ci porta laggiù. Il pescatore sa benissimo che laggiù è quel posto dove non va nessuno, di norma. La privacy del suo mondo, fatto di pacchi di MS dure, di “palature” calate a 6

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mare e lunghe attese, di puzza di pesce sulle dita e verme coreano fresco, è stata infranta dalla nostra ispezione. Come lui, chiunque qui si sente defraudato di qualcosa se entra in campo un’altra presenza. Poiché queste spiagge maturano nel più totale abbandono, che è quasi divenuto una necessità vitale. Questa striscia di mare rappresenta, infatti, il bisogno d’isolamento per pochi, bene o male intenzionati. Tutto intorno è un set cinematografico da catastrofe post-nucleare: spazzatura, ferri arrugginiti, gomme bruciate,

Lo.La. Architetti Da “Campus Universitario Ortobotanico Gazzi”: 6. Campus Celeste


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Lo.La. Architetti Da “Campus Universitario Ortobotanico Gazzi”: 7. Choose your NEXT time 8. Biosfera Giovanni Celeste 9. Nuovo Lido Foce del Gazzi 10. Segnali da un futuro prossimo 8

...come spiegare a un viaggiatore che il mare qui non esiste?

carcasse di automobili, elettrodomestici, scarpe accartocciate e milioni di altri oggetti corrosi dal sale e dalle intemperie. Si presenta così la foce del torrente Gazzi. Qualche rudere di cemento armato resta inerme a farsi corrodere dall’ignavia. E diventa monumento alla solitudine e allo spreco. Torniamo in auto e, poco dopo, imbocchiamo la via Consolare Valeria. Siamo già a Contesse. Cerchiamo un varco che porti al mare. Ma, ancora una volta, è facile come vincere al lotto. Il primo tentativo è un vicolo cieco e siamo costretti a fare dietrofront. Dopo vari tentativi, il colpo di fortuna: andiamo sino in fondo. La linea ferroviaria impone ancora l’alt. Scegliamo di proseguire a piedi e, dopo aver rischiato di cascare dentro alcune fosse, scavalchiamo dei massi e davanti a noi si apre un vasto spiazzo a cielo aperto. A pochi passi dal mare, la linea ferroviaria si dilata in un fascio sterminato di binari morti che si alternano a pietrame e ciuffi d’erba alta. Si avverte solo il vento e qualche cane abbaiare. Immobili, alcuni vagoni allineati sembrano parcheggiati lì da cent’anni. Viene voglia di abitarli. Ma qui, come sanno bene i pescatori, non viene nessuno ad abitare. E, a giudicare dalla totale assenza di codici culturali, non viene nemmeno voglia di sperare. Auguriamo lunga vita ai pescatori, che almeno un modo lo hanno per vivere questo mare. A noi non resta che scegliere il nostro tempo. Sperando di imboccare la direzione giusta: guardare al futuro o annegare nel passato? Come sempre, i vostri commenti a lolaarchitetti@gmail.com.

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Arte e mostre di Pasquale Fameli

ROY LICHTENSTEIN A MILANO il genio della pop art americana tra moderno e postmoderno

Ăˆ stata inaugurata il 25 gennaio alla Triennale di Milano una grande antologica su Roy Lichtenstein, maestro indiscusso della pop art americana degli anni Sessanta. La mostra, realizzata in collaborazione con The Roy Lichtenstein Foundation e prodotta dalla Triennale di Milano e da Alphaomega Art, in collaborazione con il Comune di Milano, si presenta come uno degli eventi artistici piĂš importanti del 2010 e include oltre cento opere, tele di grande formato accompagnate da fotografie, disegni e collage provenienti da prestigiose collezioni internazionali pubbliche e private. Il curatore Gianni Mercurio, noto anche per le tre grandi retrospettive dedicate ad altri pilastri del filone pop quali Andy Warhol, Keith Haring e Jean-Michel Basquiat, ha preferito suddividere l’intero percorso espositivo in sezioni tematiche, per mettere in luce quegli aspetti della ricerca 2 1

1. Cubist Still Life With Goldfisch, 1974 2. Cubist Still Life with Cello, 1974 3. Sunrise, 1965

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lichtensteiniana meno noti al grande pubblico e porre l’accento sulla postmodernità dei suoi presupposti. A differenza di come potrebbe suggerire, infatti, la reiterata presenza del soggetto femminile nella sua più nota produzione, l’artista americano non aveva alcun interesse alla rappresentazione di stati emotivi o di condizioni esistenziali, era bensì interessato all’esclusiva trasposizione pittorica di quelle istanze visive mediatiche che caratterizzavano il nuovo status collettivo e che si appressavano, come intuì il sociologo canadese Marshall McLuhan, a plasmare la società in maniera radicale. Lichtenstein scava pertanto tra le pagine delle riviste e dei fumetti, li campiona, li decontestualizza e ce li propone attraverso blow-up pittorici di elevata perizia tecnica. Il risultato finale dunque, pur nell’impatto che investe il fruitore, deriva da un modus operandi essenzialmente freddo e metodico, una sorta di gioco concettuale ante litteram, che anticipa le premesse teoriche della process art e del minimalismo

come anche quelle della ricerca pittorica che il tedesco Gerard Richter compirà negli anni Ottanta. Il metodo lichtensteiniano sembra rispondere ad una sorta di adesione omologica ai sistemi di produzione e riproduzione dell’immagine mediatica che lo conduce verso un’indagine sul quel rapporto tra manualità pittorica e riproduzione meccanica che caratterizzò le trasformazioni estetiche del secolo scorso.Questo approccio è motivato, senza dubbio, da una certa presa di coscienza nei confronti di quel nuovo rapporto del mondo con le immagini mediatiche che non poteva non sortire un certo feedback anche a livello artistico. La Pop Art guarda, infatti, al cambiamento del mondo e delle logiche socio-economiche senza alcun intento critico o demistificatorio, ma disponendosi alla costituzione di una grammatica formale che rappresenti la nuova società dei consumi, staccandosi da quella concezione intimista ed empatica del “fare arte” tipica del retaggio romantico. Questa nuova pittura rifiuta pertanto

qualunque accezione emotiva, in radicale opposizione alla poetica dell’espressionismo astratto di Pollock e Kline, e si impone come paradigma della nuova quotidianità consumistica. Da qui l’adesione ai nuovi canoni di produzione dell’immagine quali la serigrafia, la riproduzione tipografica e la grafica pubblicitaria, che mettono in crisi concetti canonici dell’arte, quali l’unicità dell’opera e lo stile individuale.L’uso continuo da parte di Lichtenstein e compagni di immagini fotografiche tratte dalle riviste e dai fumetti per la realizzazione delle proprie opere arriva a risultati di spersonalizzazione assoluta dello stile, il quale passa in maniera definitiva dal piano delle modalità formali a quello dell’intenzionalità. Il concetto di ripetizione seriale, esplorato in tutte le sue possibilità sia da Warhol che dagli altri artisti pop, sembra dunque essersi imposto come forma simbolica dello spirito dell’epoca e permette all’artista stesso di inglobare nel proprio immaginario l’intero patrimonio visivo collettivo.


Arte e mostre di Pasquale Fameli

4. Girl with Tear I, 1977

ROY LICHTENSTEIN A MILANO 5. Study for, 1968

8. Cubist Still Life 1974

Il concetto di “appropriazione” di un’immagine esistente, che si collega a quello duchampiano del ready-made, persiste e si amplifica, infatti, in quell’avventura citazionistica mirata ad una rivisitazione delle avanguardie novecentesche che Lichtenstein compie nel segno di quella puntinatura tipografica e di quel cloisonnisme fumettistico che hanno sempre caratterizzato il suo intero lavoro. È qui che l’artista newyorkese dimostra la sua grande capacità di saper orchestrare in maniera virtuosa gli stilemi di molteplici linguaggi figurativi, in un pop citazionistico che sottintende una sensibilità già pienamente postmoderna. Nella serie Big Painting l’artista americano arriverà inoltre a riprodurre larghe pennellate allusive alla gestualità astratto-informale, concettualizzandole in una sorta di conversione para-tipografica ed annullandone, con una sottile vena ironica, la componente emozionale. Con Roy Lichtenstein, dunque, l’immagine campionata perde ogni connotazione ulteriore per imporsi come segno visivo autoreferenziale, nucleo centrale di un’arte, quella pop, che pur attraverso le esplosive sintesi cromatiche e formali, si propone a tutti noi con una visione ed una concezione del mondo essenzialmente realiste. 8. Still life after Picasso, 1964

7. Expressionist Head, 1980

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Arte e mostre ma g

di Giovanna Cirino

lipari, l’arte della cultura

Michele Benfari, direttore del museo eoliano

sul vetro

Lo scenario naturale è quello baciato dagli dei, l’isola di Lipari nell’arcipelago delle Eolie. Protagonisti delicati, trasparenti e colorati, sono i “pincisanti”, per dirla alla Buttitta, cioè la pittura devozionale: Madonne e Santi dipinti su vetro, espressione della cultura figurativa popolare siciliana. Il luogo d’esposizione in cui è allestita la mostra Miracula in Vitro, pitture su vetro dal sec. XVIII al XIX è l’ex chiesa di S. Caterina, nell’area del Museo Archeologico Eoliano “Luigi Bernabò Brea”, uno tra i più importanti del Mediterraneo, che riunisce il cospicuo e pregevole materiale raccolto durante le campagne di scavi condotte nelle sette isole, dal 1946 ad oggi. L’arte della pittura su vetro risale al Medioevo, è utilizzata per decorare le vetrate delle cattedrali; come genere di creazione popolare e come mestiere artistico si sviluppa nella parte orientale dell’Europa centrale, in particolare in Boemia, Austria e Slovacchia. In Sicilia, la pittura su vetro rappresenta una parte di grande rilievo del patrimonio antropologico e artistico. Indica la maniera più semplice con cui sono stati esorcizzati attraverso l’immagine, il pericolo e le difficoltà del quotidiano. “Miracula in vitro” è una raccolta di pitture popolari realizzate con la tecnica della tempera e dell’olio su vetro. Riproduzioni di iconografie sacre destinate al culto privato che venivano appese a scopo propiziatorio sul

capezzale della camera da letto o sulle pareti della sala principale della casa. Per meglio comprendere l’originalità del repertorio figurativo dell’arte popolare, bisogna ricordare che questa utilizza un linguaggio proprio, esprimendo il contesto culturale entro il quale si colloca. L’artista realizza infatti manufatti che sono essenzialmente una risposta ai bisogni primari. A differenza di quanto accade nella pittura d’arte, nella creatività popolare l’immagine di un Santo serve a proteggere l’intera famiglia, non mette il credente in rapporto col Divino, ma lo difende contro il Male. Le piccole ma significative opere della collezione Bernabò Brea-Cavalier generosamente cedute da Madeleine Cavalier al Museo archeologico regionale eoliano - provengono da botteghe del meridione d’Italia e rappresentano un documento preziosissimo della cultura pittorica dell’800 campano, pugliese e siciliano, oggetto di accurate analisi da parte di studiosi di letteratura, folklore e antropologia. La collezione, custodita per anni, sottratta all’oblio e alla frammentazione in molteplici raccolte private, é la testimonianza di un sapere tramandato e condiviso ed è la prova di quanto la cultura debba essere preservata e trasmessa nel tempo. “Miracula in vitro” si può ammirare sino al 18 aprile e rappresenta una delle forme con cui il


Arte e mostre

Museo parla di sé guardando anche oltre l’archeologia: opere interessanti della cultura popolare che è significato antropologico e sentire collettivo, segno identitario di un luogo e di una comunità. Piccole storie popolari, testimonianza della diffusione del culto europeo di un’iconografia sacra e magica al tempo stesso. L’allestimento proposto nello spazio dell’ex Chiesa di Santa Caterina privilegia il côté intimo delle opere riproponendo il candore con cui queste immagini sono state per secoli custodite e tramandate dalle famiglie. “Un allestimento semplice, con la luce naturale, priva di artificio - ci spiega Michele Benfari, direttore del museo eoliano - una presentazione senza sovrastrutture, che dà voce all’opera” Conservazione e comunicazione diventano preziosi strumenti per la valorizzazione del patrimonio culturale, ampliando l’orizzonte dell’attività museale e offrendo possibilità di crescita intellettuale ed umana. Far dialogare presente e passato, contemporaneità ed archeologia, maestria e devozione, tutti concetti che si fondono insieme e diventano il fil rouge della progettualità del

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Museo di Lipari che pur continuando a riconoscere nell’archeologia la sua radice culturale, vuole misurarsi con nuove esperienze. Come ad esempio l’iniziativa intrapresa con la Soprintendenza del Mare, un progetto riservato agli studenti di scuola superiore, che nei giorni 28, 29 e 30 aprile, attraverso le recenti scoperte archeologiche subacquee favorirà la conoscenza delle isole Eolie. A conclusione del percorso formativo, con la simulazione di un cantiere archeologico subacqueo, saranno organizzate, sotto la guida di esperti operatori, esperienze di immersione e snorkeling (nuoto con il boccaglio) per coinvolgere attivamente gli studenti nell’apprendimento diretto delle modalità di esecuzione di uno scavo archeologico in ambiente marino. In questo mare si sono incrociate civiltà ed idee, si è sempre vissuto di scambi e sinergie, sinonimo di libertà e ricchezza. Il Museo Archeologico Eoliano di Lipari vuole “uscire fuori”, estendere il raggio d’azione, “aprirsi” all’esterno, alla comunità scientifica e al mondo della scuola, con una ritrovata filosofia di multidisciplinarietà.


magcom

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Argento a regola d’arte

Messina, Via Ugo Bassi, 56/58 - Tel. 090 696063


Musicalmente ma g

di Dario La Rosa

Poco più che ventenne è già una star del jazz internazionale. Un siciliano, uno dei tanti che è riuscito, con fatica e passione, a calcare le scene più importanti della musica che conta ed a fianco di tanti nomi illustri. Èdisponibile e discreto e certamente sarà uno di quelli che nei prossimi secoli rappresenterà un modello di riferimento. Il suo nome è Francesco Cafiso, di professione sassofonista jazz.

A tu per tu con

Francesco

Cafiso In cosa e perché il jazz ti ha cambiato la vita? Penso che il jazz non abbia cambiato la mia vita, io sono nato così. Tutta la mia esistenza è influenzata dal jazz. Il mio modo di essere, di vivere, di pensare, di concepire le cose è jazz. Vivere jazz è vivere in maniera differente. Il jazzista è creativo non solo musicalmente ma anche nelle cose normali di tutti i giorni. Penso che prima di tutto il jazz sia un modo di comunicare alla gente che ascolta, attraverso note musicali, la mia sensibilità, chi sono, come sono dentro, nell’anima. Raccontaci la tua esperienza musicale più emozionante. Nel gennaio del 2009 ho suonato a Washington DC per i festeggiamenti per l’insediamento di Obama. Devo dire che quella esperienza è stata una delle più belle e formative della mia vita.

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A parte il freddo pungente, ho trovato un clima di festa. La cosa fantastica è stata quella di andare subito dopo il concerto in un piccolo club nelle vicinanze del teatro dove, fino alle cinque del mattino, insieme a Wynton Marsalis e diversi altri della Lincoln Center Orchestra, abbiamo suonato e riso fino allo sfinimento. Non potrò mai dimenticare i blues e le meravigliose jam di quella notte. Quando suoni all’estero cosa ti chiedono della Sicilia e cosa tu racconti della tua terra? Quando mi chiedono della Sicilia dico sempre che sento un forte legame tra la mia musica e la cultura mediterranea. Dico che sono siciliano e contento di esserlo, che mi piace vivere in Sicilia perché godo dei suoi profumi (ho scritto un brano che si intitola Scent of Sicily), del cibo, del vino, dell’arte, delle tradizioni musicali. Dico che voglio fare la mia parte per cambiare un tessuto sociale che è molto sofferente per tanti motivi ma che riesce a dare all’arte e alla musica un contributo notevolissimo. Quale è lo standard che ti piace di più interpretare e perché? Gli standard sono tutti belli, non per niente fanno parte di quel gruppo di brani che compongono i vari Books che consentono a tutti i musicisti di suonarli quando gli pare e piace. Non ho una vera e propria preferenza ma se dovessi essere costretto a scegliere suonerei senz’altro My Funny Valentine. La Sicilia sforna molti talenti musicali, sai spiegare per quale ragione? Probabilmente il Padre Eterno, in questo modo, ci consente di riscattarci dalle tante umiliazioni che la nostra terra ha subito nel passato e che subisce purtroppo ancora oggi, nel presente. Il fatto poi che la Sicilia sia stata dominata da tanti popoli e influenzata da tante culture, che nei secoli

hanno permesso un “cocktail genetico”, probabilmente è uno dei motivi più importanti. Quando cerchi l’ispirazione a cosa pensi? Ci sono dei luoghi in cui vai per ritrovare te stesso? La mia camera, in genere, è il luogo privilegiato. C’è il pianoforte, gli altri miei strumenti, lo stereo, i miei dischi. Il più delle volte mi siedo al pianoforte senza pensare di comporre, solo per rilassarmi e, in quei momenti, mi vengono delle idee che subito cerco di scrivere ed elaborare. Molto spesso invece mi capita di voler scrivere perché mi serve un brano e star lì ore ed ore e non trovare nulla di interessante. Raccontaci uno dei tuoi desideri... Non ho dei desideri particolari. A 20 anni ho fatto tante cose belle ed interessanti. Penso che il desiderio di ogni musicista sia quello di fare cose significative durante il proprio percorso artistico e di dare il proprio contributo alla musica, di aggiungere qualcosa. Per il resto va bene così. Musica italiana, chi ti piace ascoltare fuori dal circuito del jazz? Ultimamente sto cercando di ascoltare tanta musica che, sono giovane e ho iniziato da subito col jazz, non ho avuto molto tempo. Mi riferisco alla musica dei Simply Red, Queen, Rolling Stones, Genesis, Frank Zappa, Beatles e moltissimi altri. Degli italiani gradisco molto i grandi cantautori come Battisti, De Andrè.

Mi piace anche la musica di Carmen Consoli. Certamente, poi, ascolto di tutto ma solo musica di qualità classica e rock. La giornata tipo di un musicista come te? Quando non viaggio mi piace, come del resto a tutti i jazzisti, dormire ed alzarmi un po’ più tardi per mettermi subito al lavoro, dopo una lauta colazione. Bisogna studiare per superare gli esami all’università , suonare per mantenere la tecnica, comporre, pensare ai propri progetti, programmare per registrare, rispondere alle interviste, uscire un po’ con la mia ragazza, andare a fare shopping e molto altro. Il tuo pensiero sulla musica in generale? La musica è uno dei regali più belli che Dio ha fatto all’uomo. Se fatta bene, con la giusta intenzione, con impegno, gratifica se stessi e chi la ascolta. Ci sono molti bravi musicisti e tanta bella musica. Certamente entriamo nel campo dei “gusti musicali” e non è mia intenzione giudicare nessuno. Per quanto mi riguarda questo è il mio impegno quotidiano: fare della musica un veicolo di gioia. Mi piace credere, dopo ogni mio concerto, che la gente ritorni a casa più contenta. Progetti, idee o altro? In questo momento sono concentrato nella preparazione del repertorio dei miei prossimi 2 CD che devo registrare in Marzo con l’Italian Jazz Quartet ed in aprile in Duo con il mio amico Dino Rubino. Spero che il risultato sia apprezzabile per me e per chi li ascolterà.

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Parchi

di Roberto Rizzuto

I

requisiti, sulla carta, non mancano. C’è un’area di cinquantamila ettari - che comprende ventiquattro comuni - con documentate peculiarità sul piano geologico, botanico e faunistico; c’è un corposo dossier, composto da oltre duecento pagine e otto cartine tematiche, che illustra nei dettagli la validità del progetto; c’è il parere espresso dall’assessorato regionale al Territorio, che ha accolto favorevolmente la proposta avanzata dal comitato promotore. Eppure, nonostante queste rosee premesse, l’istituzione del parco regionale dei Peloritani resta ad oggi una chimera, un fantasma che aleggia sullo splendido triangolo di terra che si ritaglia tra i comuni di Messina, Taormina e Tripi. Uno spettro beffardo, che si prende gioco di quanti, dal 2006, si spendono per la realizzazione e l’attuazione del progetto. Lungaggini burocratiche, istituzioni distratte, giochi di potere in salsa siciliana sono, in sintesi, gli ingredienti di questa storia. Un mix che scoraggerebbe anche gli esponenti più audaci e motivati della società civile e che fa accrescere il rammarico se si pensa ai tanti esempi di “buone pratiche” messi in atto negli ultimi anni in questa stessa area. Lungo i Peloritani orientali, infatti, hanno preso corpo alcune iniziative che non hanno eguali a livello regionale e nazionale. Iniziative che danno la misura delle potenzialità del territorio, ad oggi non del tutto espresse o adeguatamente valorizzate. Su queste “vette di eccellenza” focalizza l’attenzione Ettore Lombardo, dirigente tecnico e direttore dei lavori del primo distretto forestale. “Abbiamo fatto molto - spiega - per avvicinare i cittadini alla montagna. Alcuni progetti sono in itinere, altri invece sono stati portati a termine. Entro la fine dell’anno, nella zona demaniale di Camaro, verrà inaugurato un centro polifunzionale ricavato da un ex vivaio. Sarà una struttura di grande valore, sia sul piano scientifico che, ci auguriamo, turistico. Al suo interno troveranno spazio numerose attrattive quali il giardino delle farfalle e il giardino dei cinque sensi, ricco di piante che stimolano le percezioni del corpo umano. Senza dimenticare il giardino delle piante officinali, che comprende oltre duecento specie, e il giardino della flora endemica mediterranea. Nel centro, inoltre, sarà presente un percorso geomorfologico, unico in Italia, che riproduce in scala 12 per 24 metri il territorio della provincia di Messina, per un totale di 14 tipi di roccia impiegati”. Ma il centro polifunzionale di Camaro, per il quale è stato effettuato il 70 per cento dei lavori, non è l’unico fiore all’occhiello dei Peloritani orientali. “Nel 2004 - continua Lombardo - abbiamo allestito, lungo le piste forestali esistenti, dei percorsi specifici per mountain bike, gli unici presenti nell’Italia centro-meridionale. Il più lungo, con partenza in località Ferraro, misura ben 37 chilometri. Dalla medesima località si snoda poi il cosiddetto Sentiero dell’abc, dove sono state collocate 21 tabelle che, riprendendo le lettere dell’alfabeto, illustrano gli elementi presenti nel tragitto. Per quello che sappiamo, non esiste nulla di simile a livello nazionale. Nell’area demaniale, infine, abbiamo disseminato alcune tabelle direzionali realizzate in modo artigianale con legno di castagno”.

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I Peloritani,

il parco che non c’è


Eppure, alla luce di tutte queste esperienze rilevanti, l’istituzione del parco regionale dei Peloritani è un argomento che continua a rimanere fuori dall’agenda politica. Giuseppe Giaimi, presidente del comitato promotore del parco, non ha tuttavia smesso di credere nel raggiungimento dell’obiettivo. “Il progetto conclusivo – racconta – è stato consegnato all’assessorato al Territorio a metà del 2007. Il nostro lavoro, attraverso una relazione assai dettagliata, ha messo in evidenza tutti gli aspetti naturalistici, scientifici ed economico-sociali tipici dei Peloritani. Uno studio organico e puntuale, articolato in centinaia di pagine, che ha incontrato, per l’appunto, i favori dell’assessorato e degli esperti chiamati a valutare la bontà del progetto”. Nel 2009, inoltre, un disegno di legge presentato dalla Giunta regionale sembrava spianare ulteriormente la strada verso l’istituzione del parco. “Il ddl – ricorda Giaimi – disponeva, tra le altre cose, la costituzione di due parchi regionali, quello dei Sicani e quello dei Peloritani. Il primo è andato in porto, perché in sede di discussione del bilancio regionale, l’anno scorso, è stato presentato un emendamento ad hoc. Nessuno, tra i deputati messinesi, ha pensato di presentare un emendamento analogo. È mancata, evidentemente, la volontà politica. Resta, dunque, una grande preoccupazione, perché le attività economiche che ancora resistono sui Peloritani, agricoltura e zootecnia su tutte, sono destinate a scomparire se alla base non c’è un’idea forte in grado di sorreggerle. L’istituzione del parco va vista anche in quest’ottica, vale a dire come opportunità per innescare un circolo economico virtuoso”. Insomma, in attesa che chi di dovere, nei Palazzi, batta un colpo, l’allarme è lanciato.

La “Lupa” sullo Stretto Lo scenario è strano, affascinante e misterioso: chissà cosa succede al di sopra di quello strato nebbioso che ama stare nei pressi del mare. A Gambarie, in Aspromonte, non c’è il sole: il cielo è coperto. Ma non c’è neanche nebbia. La costa sembra in montagna, l’Aspromonte sembra a mare! Questo è il fenomeno della “Lupa”, causato dallo scorrimento sul mare di masse d’aria che sono più calde rispetto alla temperatura delle acque superficiali dello Stretto, provoca la formazione della nebbia in questa localizzata zona del mondo dal clima assolutamente unico.

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Il porto di Messina, in serata, immerso nell’atmosfera della densa foschia, e la Città Peloritana che mai come oggi è isolana: dall’altro lato dello Stretto c’è un muro bianco che limita ogni prospettiva d’orizzonte lontano. Affascina perchè immerge lo Stretto in un’aura di mistero e fascino tutta particolare. Non lo sapessimo, nessuno ci potrebbe dire oggi che lì, oltre il mare, c’è la splendida Sicilia, una delle zone più belle del mondo dal punto di vista storico, artistico, architettonico, naturalistico e paesaggistico.


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Moda ma g

di Chiara Celona

Dolce&Gabbana:

sfila la Sicilia senza tempo 96


magcom

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Pizzi, uncinetti e trasparenze.

La primavera/ estate 2010 di Dolce&Gabbana è un vero e proprio inno alla Sicilia delle tradizioni, agli abiti sartoriali, all’eleganza di altri tempi, rivisitata con quell’inconfondibile stile che è ormai divenuto il biglietto da visita dei due stilisti siciliani in tutto il mondo.

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L I

La passerella della moda femminile lascia sullo sfondo vecchie sedie accatastate alla rinfusa, che richiamano alla mente piccoli bar della Sicilia più nascosta, all’ora di chiusura. Fa il suo ingresso una donna intensa e dal piglio austero: capelli raccolti in modo quasi casuale, labbra di un rosso intenso, una bellezza classica, come quella degli abiti che indossa. Il nero è uno dei colori predominanti, ma sono le trasparenze le vere protagoniste della collezione. Che si tratti di raffinati pizzi, di ricercate lavorazioni all’uncinetto o di frange applicate sulle gonne a ricordare i vecchi scialli ricamati, emerge comunque quel glamour caldo e dal sapore antico, che non rinuncia però ad un tocco di innovazione e provocazione. Profumi di Sicilia anche nelle grandi stampe floreali di abiti, camicie e gonne, proposti con un gioco di accostamenti cromatici a contrasto. Altro colore fondamentale della stagione sarà il bianco, quello dei merletti delle camere

da letto siciliane o delle tende mosse dal vento pomeridiano, ma soprattutto il contrasto fra il bianco e il nero, contrasto che ben conosce chi abbia visitato Stromboli, isola molto amata dai due stilisti e dichiarata fonte di ispirazione per questa collezione. Non passano inosservati gli accessori: i pendenti dorati di orecchini e collane richiamano le medagliette votive della religiosità popolare, ma si fanno notare anche i sandali, realizzati uniti a calze che arrivano fino alla caviglia, e gli stivaletti aperti in punta (peep toe), anche questi con dettagli in rete e pizzo.


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Non poteva certo mancare in passerella l’ormai celebre “Miss Sicily bag”, la borsa creata da Dolce&Gabbana proprio in omaggio alla loro terra e amatissima dalle star, prima fra tutte Madonna. Rivisitata nelle cromie e nei tessuti, la “Miss Sicily” si tinge anche di colori insoliti, come le stampe leopardate in rosso, quello della lava dei vulcani siciliani. Sotto ogni abito, ad esaltare ulteriormente la femminilità e la sensualità, torna, in chiusura di sfilata, il corsetto, il capo simbolo della maison nel tempo, l’elemento tradizionale alla base della creatività. Una moda con il coraggio di guardare al passato quella di Dolce&Gabbana, ma con una personalità contemporanea che seduce e convince.


Benessere ma g

di Stefania Brusca

Scent of Sicily

“Di te amore m’attrista, mia terra, se oscuri profumi perde la sera d’aranci, o d’oleandri sereno, cammina con rose il torrente che quasi n’è tocca la foce”. Con queste parole Salvatore Quasimodo canta la Sicilia. La cerca nelle memorie odorose dell’infanzia. Una nostalgia dolce che richiama le note di un paesaggio antico, perduto nel tempo, che è tutto nei profumi legati alla terra. Ne rivelano aspetti nascosti, profondi, ne raccontano la storia. Come quella, ad esempio, di una aristocrazia isolana e delle sue feste sontuose durante le quali “contesse e marchese in visita in Sicilia si fanno ritrarre vicino a un nugolo di bouganville rosa, odorano di gelsomini e vagheggiano l’antico fasto”. Non c’è passo della letteratura isolana che non rimandi - anche solo implicitamente – agli odori di cui sono intrise

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le sue storie: la salsedine in Verga, l’odore acre dello zolfo in Pirandello, il gelsomino nel Gattopardo, un aroma che non somiglia a nessun altro. O ancora, la zagara. Un odore inebriante, sensuale. Fiori d’arancio, zahara per gli arabi, splendente, per noi sinonimo di nozze. Una promessa carica di aspettative, che precede il frutto. Una sensazione di purezza avvolgente, che si diffonde negli agrumeti nelle sere di primavera. Nel corso degli anni queste essenze sono state utilizzate per produrre profumi, colonie e diversi prodotti cosmetici di largo consumo. “In Sicilia sicuramente tra le fragranze più usate ci sono quelle a base di zagara e gelsomino. Non mancano anche quelle a base di bergamotto, molto diffuso in Sicilia e in Calabria”, dice Alessandro Pette, socio della profumeria “Dabbene”, una delle più antiche e rinomate di Palermo. In particolare il gelsomino che cresce nell’isola racchiude delle


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“…se oscuri profumi perde la sera d’aranci…”

note aromatiche uniche nel suo genere “perché sfrutta le caratteristiche climatiche tipiche della vegetazione della macchia mediterranea”. Ma la sperimentazione e la voglia di stupire hanno fatto in modo che negli anni si ampliasse la gamma di profumi da indossare, magari anche solo per trattenere sulla pelle un po’della stagione estiva. Negli ultimi anni infatti “vanno sempre più di moda i profumi a base di acqua marina”. Non vengono quasi mai citati, quando si parla della Sicilia, i boschi e la loro ricca e varia vegetazione. Nebrodi, Madonie, il parco dell’Etna. Luoghi ricchi dell’aroma di muschi, corbezzoli, del forte odore di funghi, e degli alberi ad alto fusto come pini, abeti, faggi, cedri del Libano.Testimonianze vivide, seppure complesse, radicate in modo inestricabile al tessuto isolano. Non vi è solo l’aroma delle essenze presenti in Sicilia. Alcuni profumi vengono da lontano insieme alla sabbia, il vento

di scirocco trascina sensazioni e misteri del deserto. Ci sono poi fragranze vicinissime, negli orti, nei piccoli giardini delle case, in campagna come in città che impregnano l’aria e penetrano a fondo nelle narici, tanto da lasciare traccia di sé nella memoria di chi viaggia nell’’Isola. Il rosmarino, la menta, la salvia, il timo, il basilico. Odori per così dire “umili”, che hanno fatto la fortuna della gastronomia siciliana. Impossibile stilare una classifica degli aromi, perchè ciascuno di questi è un unicum, un’irripetibile nota di una terra senza eguali. Del resto come scriveva Guy de Maupassant nel suo “Viaggio in Sicilia” l’Isola “è nascosta da brume che si fermano vicino alla costa e velano unicamente la terra, di modo che ci sentiamo in pieno cielo, in mezzo ai mari, al di sopra delle nuvole, così in alto, talmente in alto, che pure il Mediterraneo, che si estende ovunque a perdita d’occhio, sembra essere il cielo azzurro”.


Cartolina ma g

di Luciano Marabello Immagine tratta da Sandro Rol: Messina, le due citta.2002 gbm edizioni

Uno svincolo a C.A.S.(O) Cara signora Maria, ho sempre guardato con meraviglia i disegni delle strade quando inseguono le forme della natura e del terreno, quando attraversano valli e fiumi o raggiungono le vette dei colli arrotolandosi in curva. La mia personale meraviglia continua anche quando le strade si posano aliene sui terreni, rette perentorie e griglie indifferenti; la sorpresa rimane, quando si mostrano cordiali e affettuose con il territorio o audaci protagoniste di penetrazioni della montagna. Sono luoghi di marcia le strade: avanzando s’incontrano città, persone, animali, oggetti, lampi di sguardi, paesaggi, nature e radure. Nella marcia ci sono dei punti notevoli: a volte incroci, trivi e quadrivi, punti custoditi da Dei, Pietre, croci e segnali. Poi alla meraviglia delle strade subentrò quella delle autostrade, ingegnoso lemma e progetto italiano di Pietro Puricelli ingegnere classe 1922. Ai trivi e quadrivi si aggiunse la bellezza degli svincoli, vie di uscita e nuove porte delle città, roteanti collegamenti per sfuggire e per diluire la città o per immettersi nella densità urbana. Lo svincolo che vede è quello di Messina Boccetta in costruzione, non so darle la data esatta ma era il 1969 e avevo quattro anni quando la veronese Technital Spa cominciò a

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costruire il tratto urbano della autostrada A20 e poi quasi sette anni quando intorno al ‘72 feci il mio primo viaggio fino a Villafranca Tirrena. Ricordo quanto timore avevo all’idea di viaggiare sull’alto viadotto che vedevo crescere dal basso, lo feci imboccando quello svincolo ombreggiato dal reticolo strutturale in cemento armato. Gli svincoli mi sono sempre piaciuti per la loro geometrica potenza, per la presunta oggettività e per l’apparenza organica e floreale. Momento calligrafico dell’ingegnere che appone lettere d’alfabeto alle lunghe righe stradali, sigle di aggraziati sigilli, quadrifogli, pance di otto e sibili di esse. Come un ragazzino m’illudo di rivedere la mia vecchia pista Polistil e le sue curve paraboliche, inseguo con gli occhi gli sbandamenti e infine mi fermo su una costruzione racchiusa in un recinto sacro quasi fosse un tempio a Hestia e Hermes. Non è nulla di sacro, in verità è solo un edificio per amministrare l’autostrada che sta lì in una foto, parte di un disegno della tecnica eppure non privo di una qualche poesia. Nell’immettersi in autostrada e nella manovra di accelerazione non le sfuggano i miei D’istanti saluti

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Chiaro Scuro ma g

di Carlotta Princi

La Ragnatela Tanto pubblico sabato 6 marzo alla Casa del Con, lo spazio di via Maddalena, a Messina, in cui l’associazione La Ragnatela Onlus porta in scena le sue performance. Protagonista il gruppo di ragazzi diversamente abili che, da anni ormai, frequenta DArt e Suono e Ritmo, i laboratori di espressione grafico-pittorica e musicale, organizzati da La Ragnatela. Tanto pubblico per Interstellar Space, bouquet di linguaggi artistici, traduzione scenica di un codice espressivo che appartiene alla diversa abilità, mezzo per esprimersi e, soprattutto, per integrarsi. “Noi abbiamo uno scopo politico - ha spiegato Giovanna La Maestra, tra le animatrici dell’associazione - È quello di valorizzare l’integrazione, perché il diverso arricchisce, è un valore. L’arte, non la compassione, è il mezzo scelto per interagire con i nostri ragazzi”. Scopo che, in primavera, sarà sostenuto da numerose iniziative a cura dell’associazione.

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Campagna di sensibilizzazione sociale Messina

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Le barriere devono essere abbattute sia quelle architettoniche sia quelle culturali

una cittÀ senza barriere È una cittÀ libera

Associazione Nuovi Orizzonti c.c. postale n. 15413982 www.nuoviorizzonti.info

Vico della Consolazione, 6 presso parrocchia Maria S.S. della Consolazione Gravitelli Inferiore Messina Associazione iscritta al Registro di Associazione Volontariato Regionale Servizio Civile Nazionale Ente accreditato al servizio civile Regione Sicilia

magcom.it

La solidarieta` giorni l’anno


Rugby ma g

di Pancrazio Autieri

La più bella vittoria l’avremo ottenuta quando le mamme italiane spingeranno i loro figli a giocare al rugby se vorranno che crescano bene, abbiano dei valori, conoscano il rispetto, la disciplina e la capacità di soffrire. Questo è uno sport che allena alla vita. John Kirwan (ex allenatore nazionale italiana)

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Mini rugby a Taormina

La meta di Narcisse

È un sogno, è un obiettivo, è una meta. È Narcisse il nome della scuola di Minirugby della Polisportiva Tauro 92 di Taormina dedicata ai bambini dai cinque ai dieci anni... “i nanerottoli del rugby: quelli della categoria Propaganda”.

Narcisse ha una missione sociale fondamentale che la differenzia da molte altre società iscritte alla Fir, la Federazione Italiana Rugby. Diffondere e perseguire attraverso il MiniRugby una cultura dell’eguaglianza, delle pari opportunità e dell’integrazione. Un rugby sociale, integrated rugby più che semplice rugby finalizzato a creare agonismo. Costruendo contaminazioni educative fra rugby e vita fuori dagli schemi tradizionali quindi. La dove il cuore e la mete sono ancora libere da barriere e schemi mentali rigidi. Tra i bambini dove è la gioia l’anima capace di abbattere luoghi comuni e barriere mentali. Per questo Narcisse è forse la prima scuola in Sicilia che ha deciso di dedicarsi e specializzarsi completamente in questa fascia d’età per avvicinare e avviare al MiniRugby i bambini e le famiglie di varia nazionalità, ceto, religione che ricercano nel gioco valori educativi e sociali fondamentali e comuni come il rispetto, il coraggio, la lealtà di una sana cultura civile e sportiva. Il fondamento di un piccolo mondo

nuovo, un mondo non solo rotondo ma ovale, basato sulla sostanza e non sull’apparenza. E che trovano l’integrazione di questa filosofia nel MiniRugby, nel Rugby dei bambini e delle bambine. Perché il MiniRugby è un gioco semplice come semplice è l’essenza del rugby di cui è figlio naturale. Uno sport diverso da tutti gli altri sport che aiuta ogni bambino a sentirsi fiero di essere differente fisicamente dai propri compagni di squadra e dai propri avversari. Che lo spinge ad essere orgoglioso di questo proprio perché la differenza nel MiniRugby è l’essenza di tutto: vuol dire essere parte di un gruppo che fonda la sua forza nella parità morale. Vuol dire correre veloci se si è piccoli e sguscianti; sfondare se si è grossi e potenti; vuol dire essere creativi ed imprevedibili se si è Down. Significa parlarsi con gli occhi se di nazionalità diversa; pregare insieme se di fedi eterogenee; abbracciarsi o placcarsi anche se di sesso differente poiché nel MiniRugby fino a dodici anni si gioca in squadre miste.

Nel mini rugby ogni compagno bambino o bambina che sia è pronto ad aiutare un altro compagno perché sa che da lui sarà sostenuto in caso di bisogno … e sa che ogni avversario sarà sempre leale perché tutti - chiunque sta in campo da un lato o dall’altro - suda e fatica allo stesso modo. Non importa a quale squadra tu appartenga, tu fai parte del popolo del rugby, di quelli che avanzano con la palla ovale pur con l’obbligo di doverla passare solo all’indietro. E che come te fanno del loro meglio per fermarti secondo le regole e nel rispetto dell’arbitro. E questo è la prima cosa che un bambino impara tra un placcaggio e un passaggio. Che a comandare è sempre la palla matta, che nessuno sa dove rimbalzerà… che lei è pronta a sfuggire come la vita e il destino. Che devi essere bravo per domarla senza trucchi o scorciatoie solo più bravo attraverso l’allenamento. E devi essere capace di fissarti dei limiti e rispettarli fino al giorno in cui saprai superarli. È così che il MiniRugby stimola a crescere appropriandosi del proprio corpo e del proprio talento; sperimentando una voglia cristallina di correre a perdifiato, di esternare la forza del contatto fisico e l’intelligenza della propria autodisciplina; la collaborazione e il sostegno ai compagni ; il piacere di rotolarsi senza freni, tutti insieme.


Rugby ma g

Ed è questo piccolo grande sogno, questa dolcissima utopia profumata come un fiore che ha creato lo staff di Narcisse: Vincenzo Rao, presidente della Asd Polisportiva Tauro 92 con vent’anni e più di esperienza nel settore dello sport di base e scolastico, ha impostato e creduto per primo in questa avventura aprendo la sua società di Basket anche al Rugby; Pancrazo Auteri, educatore federale under 10, cura l’avviamento dei piccoli al MiniRugby coltivando in particolar modo l’approccio educativo; Franco Caserta, ex giocatore di serie B nel Misterbianco e preparatore tecnico dei piccoli atleti; Santina Villari, animatrice federale under 10, cura il tutoring e le partnership con le associazioni di volontariato che sostengono le arie iniziative sportive della società; Alessandra Caltabiano, imprenditrice e sponsor, instancabile animatrice a Taormina.

A questo gruppo va aggiunto Titti Magnisi che come grande, grandissimo amico e maestro, ha curato lo start up della Narcisse nel settore del Mini Rugby, forte della sua esperienza di allenatore nazionale e di tecnico attualmente in forza al Clan Messina. Senza di lui, nulla sarebbe nato. Nel disegno evolutivo di Narcisse sono previste diverse aree di lavoro; la produzione editoriale con la realizzazione di materiale divulgativo; la creazione di momenti di studio e approfondimento per genitori su diversi temi; l’organizzazione di tornei manifestazioni fra cui il 22 e 23 maggio 2010 il “ primo torneo nazionale Taormina: trofeo Antonio Francesconi” dedicato a rappresentative under 12 e sostenuto dal Comitato Regionale SicilRugby e dal suo presidente Gianni Amore.

WILLIAM WEBB ELLIS

La nascita del rugby tra mito e realtà

I principi del rugbista… Adesso so che quando si avanza uniti ci sono possibilità di successo. Adesso so che se non andrò in meta io, ci andrà un mio compagno. Adesso so che cosa vuol dire rispettare un avversario che è a terra. Adesso so che potrò cadere e perdere il pallone, ma un compagno sarà pronto a raccoglierlo e a lavorarlo per me. Adesso so che bisogna avere sempre qualcosa da portare avanti. Adesso so che si può anche perdere, ma non ci si deve mai arrendere. Adesso so che per ottenere qualcosa bisogna essere determinati. Adesso so che correre non vuol dire scappare, ma andare incontro al futuro. Adesso so che affrontare la vita sarà un gioco da ragazzi e che, se la vita è un gioco, il rugby è una gran bella maniera di viverla!

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Mirko Petternella (giornalista) Mirko Petternella (giornalista)

Era il primo novembre del 1823. Un tipico pomeriggio invernale nella cittadina di Rugby, nel Warwickshire. Il cielo era grigio, la luce fioca e i ragazzi della Scuola Pubblica erano pronti a darsi battaglia in una delle tante sfide interclasse di Big Side (così chiamavano il football in questa zona). Mentre se le davano di santa ragione in una delle frequentissime mischie, tipica di ogni partita che si rispetti, un ragazzo di 16 anni restava in disparte. Lui non era portato per i giochi di squadra. Dopo 7 anni ancora non era riuscito ad integrarsi con i ragazzi della sua nuova città. Orfano, originario di Manchester, si trasferì con la madre all’età di 6 anni, subito dopo la morte del padre, ucciso nella battaglia di Albuera. Entrò nella scuola nel 1816. Non era benestante e questo, aggiunto al suo status di immigrato, non lo rendeva molto popolare tra i figli di papà della Pubblic School di Rugby. Ma, soprattutto, William Webb Ellis non digeriva per niente le imposizioni, le regole. In quel momento, perso nei suoi pensieri, quell’ammasso di cuoio informe gli corse contro, rimbalzando spasmodicamente. Una luce, un lampo negli occhi. Un lampo di sfida, verso quei ragazzi boriosi e pieni di sé, con le loro regole precise e fatte su misura. “Chissenefrega!”, pensò William. Afferrò la palla e corse senza mai voltarsi, il pallone sempre stretto al petto, finché non arrivò sulla linea di marcatura. Lì depositò finalmente la palla a terra tra lo stupore ed il risentimento generale. Questa, in linea di massima, è la storia che ci si sente raccontare quando si vuole sapere l’origine del Rugby. Una favola bella, fatta di libertà e ribellione, ma purtroppo probabilmente assai distante dalla realtà.


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Rugby ma g

...e a proposito di spirito di sacrificio e spirito di squadra non perdete l’appuntamento con il prossimo numero; continueremo a parlare di questa nobile disciplina grazie alla storica società : Amatori Rugby Messina. Un altro gruppo di appassionati e orgogliosi ragazzi che fanno onore alla propria città !

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Libri

a cura di Alessandra Morace ma g

Narrativa Narrativa

L’ipnotista

Le figlie del libro perduto autore: Katherine Howe editore: Salani prezzo: €18,60

Connie Goodwin, giovane e brillante dottoranda all’Università di Harvard, è impegnata in una ricerca sui processi di Salem, nel New England, che alla fine del diciassettesimo secolo videro più di centocinquanta persone accusate di stregoneria. Ma durante l’estate è costretta a trasferirsi fuori città per sistemare e vendere la vecchia casa di famiglia. All’inizio contrariata, Connie scopre che l’antica dimora contiene strani e preziosi tesori: non ultima, una Bibbia da cui cade una chiave dal fusto cavo, al cui interno è nascosto un pezzetto di carta ingiallita con su scritto Deliverance Dune. Un nome legato non solo ai processi su cui Connie sta indagando, ma anche alla sua famiglia, a un segreto custodito da generazioni di donne e tramandato attraverso un libro proibito: un Libro delle Ombre, depositario di un sapere arcano e sovrannaturale, ormai perduto. Ma un filo rosso lega quel passato oscuro e terribile al presente: e mentre Connie, tormentata dalle visioni, cerca disperatamente di risolvere il mistero, qualcun altro è in cerca del libro perduto, e per ottenerlo è disposto a tutto, anche a ricorrere a una maledizione da cui non c’è scampo... Thriller, fantasy e romanzo storico a un tempo, il libro d’esordio di Katherine Howe affonda le radici nella famiglia stessa dell’autrice, discendente di due donne che subirono i processi di Salem. Una lettura che inebria e rende giustizia di un’illuminante concezione della magia, salvifica e curativa, che si opponeva alla superstizione feroce e all’odio per tutti i saperi legati alla natura.

Il ritorno di Pinocchio

autore: Silvano Agosti editore: Salani prezzo: € 12,00

‘Sentirai solo la mia voce e il conto alla rovescia. Tutto è tranquillo e immobile e non c’è motivo di aver paura.’ Si chiama Erik Maria Bark ed era l’ipnotista più famoso di Svezia. Poi qualcosa è andato storto e la sua vita è stata a un passo dal crollo. Ha promesso pubblicamente di non praticare mai più l’ipnosi e per dieci anni ha mantenuto quella promessa. Fino a oggi. Oggi è l’8 dicembre, è una notte assediata dalla neve ed è lo squillo del telefono a svegliarlo di colpo. A chiamarlo è Joona Linna, un commissario della polizia criminale con l’accento finlandese. C’è un paziente che ha bisogno di lui. È un ragazzo di nome Josef Ek che ha appena assistito al massacro della sua famiglia: la mamma e la sorellina sono state accoltellate davanti ai suoi occhi, e lui stesso è stato ritrovato in un lago di sangue, vivo per miracolo. Josef è ricoverato in grave stato di choc, non comunica con il mondo esterno. Ma è il solo testimone dell’accaduto e bisogna interrogarlo ora. Perché l’assassino vuole terminare l’opera uccidendo la sorella maggiore di Josef, scomparsa misteriosamente. C’è solo un modo per ottenere qualche indizio: ipnotizzare Josef subito. Mentre attraversa in auto una Stoccolma che non è mai stata così buia e gelida, Erik sa già che infrangerà la sua promessa. Accetterà di ipnotizzare Josef. Perché, dentro di sé, sa di averne bisogno. Sa quanto gli è mancato il suo lavoro. Sa che l’ipnosi funziona. Quello che l’ipnotista non sa è che la verità rivelata dal ragazzo sotto ipnosi cambierà per sempre la sua vita. Quello che non sa è che suo figlio sta per essere rapito. Quello che non sa è che il conto alla rovescia, in realtà, è iniziato per lui.

Bambini

Una città, una bambina, una notte. Alla finestra bussa un bambino, chiede di entrare e dice di essere Pinocchio: che caso, la bambina ha appena finito di leggere la sua storia, quella scritta nel libro. È questo l’inizio di un’altra storia.Di un’avventura randagia e imprevedibile, di inontri indimenticabile, di scoperte decisive; di amicizia e purezza di verità, per le strade della città e della vita. Se nel suo famoso e amatissimo ‘Lettere dalla Kirghisia’ l’utopia di Silvano Agosti era quella di una società dove tutti si dedicavano in primo luogo alla vita, “Il ritorno di Pinocchio” celebra l’utopia bambina, la scoperta del mondo con occhi infantili, ribelli alle convenzioni della società e della cultura. Un viaggio notturno e visionario con lo sguardo del bambino che è in tutti noi, il distillato di tutti i temi più cari a Silvano Agosti. Età di lettura: da 10 anni.

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autore: Lars Kepler editore: Longanesi prezzo: €19,50

Le ragazze dell’Olimpo

autore: Elena Kedros editore: Mondadori prezzo: € 20,00

Sid, Luce e Hoon sono tre ragazze che si innamorano, litigano e passano ore al telefono come tutte. Ma una strana coincidenza le unisce: la stessa data di nascita. Quando strani e antichi poteri si ridestano in loro, scoprono che un nemico feroce, proveniente da un mondo lontano, è sulle loro tracce. La forza di Sid, il fascino di Luce e la genialità di Hoon sono le uniche, potenti armi con cui combatterlo. Ma è difficile destreggiarsi tra genitori invadenti, compiti in classe incombenti e ragazzi insistenti, quando si devono salvare le sorti di due mondi... Il volume raccoglie la prima trilogia di racconti: “Lacrime di cristallo”, “Il potere dei sogni” e “Il prigioniero dell’Ade”. E in più il racconto inedito “Il segreto svelato”. Età di lettura: da 10 anni.


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Classifica • Le perfezioni provvisorie autore: Gianrico Carofiglio editore: Sellerio prezzo: € 14,00

• I sogni fanno rima autore: Pierdavide Carone editore: Mondadori prezzo: €15,50

• Non so che viso avesse... autore: Francesco Guccini editore: Mondadori prezzo: € 18,00

• Bianca come il latte... autore: Alessandro D’Avenia editore: Mondadori prezzo: € 19,00

• Ad Personam autore: Marco Travaglio editore: Chiarelettere prezzo: € 16,90

Sag gist ica

L’arte di annacarsi. Un viaggio in Sicilia autore: Roberto Alajmo editore: Laterza prezzo: € 16,00

Annacare/annacarsi è in dialetto siciliano un verbo insidioso, difficilmente traducibile in italiano. Quel che più si avvicina è cullare/cullarsi, ma non è proprio la stessa cosa. L’arte di annacarsi prevede il muoversi il massimo per spostarsi il minimo. Una immagine che descrive bene lo spirito dell’isola e più ancora la disposizione d’animo dei siciliani tessuta di diffidenza. Ogni viaggio in Sicilia, anche quello intrapreso in questo libro, diventa una specie di danza immobile attorno alla geografia e alla filosofia, alla storia, al folklore e alla gastronomia, scoprendo che fra le diverse discipline esistono continui rimandi a una trama inestricabile. “Pur restando immobile, l’Isola si muove. Non è uno di quei posti dove si va a cercare la conferma delle proprie conoscenze. È invece un teatro dove le cose succedono da un momento all’altro. È un susseguirsi di scatti prolungati, pause per rifiatare e ancora fughe in avanti”. Come l’Isola, Alajmo procede a zig-zag in un itinerario non lineare, senza vincoli di percorso né di tempo, da un capo all’altro, sulla base di pure suggestioni, guidato dalla bellezza, accompagnato da un lucido pessimismo. Come un atto d’amore che non si nasconde nessuna vergogna dell’oggetto amato: capita di innamorarsi di una canaglia. E anche se lo sai, che puoi farci?

Sagg istica Ad Personam autore: Marco Travaglio editore: Chiarelettere prezzo: € 16,90

Oggi ci sono decine di avvocati parlamentari che invocano riforme per salvare dai guai i loro clienti. E le ottengono. Anche perché i loro clienti imputati da salvare dai processi siedono quasi sempre al loro fianco, in Palamento. La gran parte della legislazione degli ultimi quindici anni è nata dall’esigenza di pochi imputati o categorie di imputati eccellenti, preoccupati soltanto di salvarsi dalle conseguenze dei loro malaffari. Una legislazione ‘pret à porter’ che non si può dire sia stata inventata da Berlusconi. La sola differenza fra le legislature dell’Ulivo e quella della Casa delle Libertà è che con il centrosinistra le leggi venivano approvate ‘ad personas’, cioè nell’interesse di una moltitudine di imputati eccellenti, mentre con il centrodestra sono ‘ad personam’, riservate in esclusiva al presidente del Consiglio e a un paio di suoi coimputati. Dai decreti Conso e Biondi alle leggi anti-manette del ’95, dalle bozze Boato della

Bicamerale al decreto salva calcio e al condono fiscale, per non parlare della legge sulle rogatorie, sul falso in bilancio, sul legittimo sospetto e sull’immunità per le alte cariche dello Stato, sull’abolizione dell’appello del pm e sull’indulto ‘allargato’ e da ultimo il processo breve che consentirebbe al presidente del consiglio di sfuggire alle accuse di corruzione per la vicenda Mills e per i reati societari nella compravendita di Mediaset.

V.le S. Martino, 15 - 98123 Messina tel. e fax 090 9430614


Cinema

a cura della redazione ma g

C’è rarefazione e profondità nello stile di Clint Eastwood. E c’è soprattutto sete di Giustizia. Anche quando l’azione si svolge su un campo di rugby. Anche quando su quel campo non c’è solo scontro di fisicità e muscoli, ma si gioca una partita decisiva contro l’apartheid. Invictus è la storia della riconciliazione sudafricana attraverso il Campionato del mondo di Rugby del 1995 e si ispira ai fatti narrati in un libro bellissimo di John Carlin (“Ama il tuo nemico” ed. Sperling e Kupfer). Ed è la storia di Nelson Mandela, interpretato da uno stellare Morgan Freeman, divenuto Presidente del Paese che per 27 anni lo aveva sprangato in prigione per il colore della sua pelle. Il primo attore della vittoria sull’apartheid (in vigore dal 1948 al 1994) che mette la parola fine al razzismo sancito per “costituzione”. Siamo nel 1995, il paese è sull’orlo della guerra civile, per toccare la meta della riconciliazione nazionale Mandela volge lo sguardo allo sport più amato e alla squadra simbolo dell’apartheid: gli Springboks, formata da bianchi e da un solo giocatore nero. Stringe amicizia con il capitano François Pienaar (uno strepitoso Matt Damon) e lo trascina con i versi di William Ernest Henley che furono la musica dei suoi 27 anni passati in cella: “Dal profondo della notte che mi avvolge,/ buia come il pozzo cha va da un polo/ all’altro, ringrazio tutti gli dei/ per la mia anima indomabile./ Nella morsa delle circostanze/ non ho indietreggiato, né ho pianto./ Sotto i colpi d’ascia della sorte,/ il mio capo sanguina, ma non si china./ Più in là questo luogo di rabbia e lacrime/ incombe, ma l’orrore dell’ombra,/ e la minaccia degli anni/ non mi trova, e non mi troverà, spaventato./ Non importa quanto sia stretta la porta, / quanto piena di castighi la pergamena,/ Io sono il padrone del mio destino:/ Io sono il capitano della mia anima”. Gli Springboks sono così pronti ad affrontare in finale gli invincibili All Black e alla danza Maori possono rispondere con il doppio inno della nuova Africa. Quando bianchi e neri si uniscono per tifare insieme significa che, con dentro un’“anima indomabile”, anche uno sport può cambiare il mondo. Desmond Tutu, premio Nobel per la pace nel 1984, Arcivescovo di Città del Capo fino al 1996,

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a capo della Commissione per la verità e la riconciliazione, istituita da Mandela subito dopo la fine dell’apartheid, nel suo “Non c’è futuro senza perdono” (ed. Feltrinelli) scrive: “Noi siamo intessuti in una fitta rete di interdipendenze: come diciamo con un’espressione africana, una persona è una persona attraverso altre persone. Disumanizzare l’altro significa inevitabilmente disumanizzare se stessi. Non fa meraviglia che, essendo stato partecipe di una politica perversa e disumanizzante come l’apartheid, il ministro Jimmy Kruger abbia potuto crudelmente dichiarare di essere rimasto “indifferente” alla notizia della morte di Steve Biko, avvenuta mentre era nelle mani della polizia. Perciò perdonare è davvero il modo migliore per fare l’interesse di ognuno, mentre la rabbia, il rancore e la vendetta sono corrosivi, distruggono il summum bonum, il più alto dei beni: quell’armonia collettiva che all’interno della comunità accresce l’umanità e la fratellanza di tutti i suoi membri”. Invictus è, di queste parole, la corrispondenza per immagini. C’è anche il rigore estetico di John Ford e la solarità non banale di Frank Capra in questo film di Clint Eastwood. Come per il precedente Gran Torino, al termine della visione Invictus lascia la sala in silenzio. Il film scivola nell’anima, “indomabile”, si fissa lungo i neuroni e prosegue nella mente, nel cuore, nello stomaco.


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Dischi

di Paolo Turiaco ma g

La musica degli Dei: “Officium” Jan Garbarek Non stai varcando la soglia di un monastero né scoprendo i veli di un’antica statua greca silente in un angolo dei tempi ma hai appena incominciato ad ascoltare Officium. Tenere gli occhi chiusi aiuta a comprendere il significato dei suoni e a vedere le tante sfumature nascoste. Può quindi capitare di essere catturati da questa o quella immagine sonora creata da qualche strumento in particolare, in questo specifico caso è il sassofono…il sax di un musicista jazz norvegese: Jan Garbarek. Personalità tra le più spiccate del panorama jaz dell’odierna scena musicale Jan nasce ad Oslo nel 1947 ed è folgorato dai suoni di Coltrane , Albert Ayer, Archie Shepp e cresce col preciso intento di imitarli e superarli. Oggi sono passati quasi cinquanta anni da quel giorno e Garbarek ha rispettato come meglio non avrebbe potuto quella solenne promessa stipulata con se stesso. È diventato un gigante del sassofono, un musicista di “culto” tra i più venerati ed ascoltati del nostro secolo. Officium viene pubblicato nel 1994 ed è un’opera unica nel suo genere. Il suono è di un impatto sonoro scultoreo come la statua ritratta nella copertina dell’album. L’opera si compone di quindici brani per “Ensemble Vocale” di autori vissuti circa trecento anni fa; sacro e profano in un tuttuno sonoro. Il sassofono, in punta di piedi, si adatta alla sacralità gregoriana e si nasconde tra i gorgheggi sacri dell’ Hilliard Ensemble. I brani si susseguono con una rigida compostezza dettando i temi dei movimenti a venire…“Primo Tempore”, “ Ave Maris Stella”… l’effetto emotivo è esaltante, sembra di essere all’interno di una cattedrale gotica. Il risultato alla fine lascia sconcertati perché si è rapiti in un periodo storico antico ma ove i suoni risultano essere estremamente moderni, quasi new age. 77’ minuti di full immersion in un’altra dimensione dalla quale si ricava un senso di pace e di tranquillità. Un CD da ascoltare nel silenzio, magari alla luce di una lontana candela, col preciso intento di gustarne tutti i passaggi sonori. Vi consiglio se avete apprezzato l’ascolto di questo CD di continuare poi con “Rites” e “Mnemosine” usciti nel 1995 e ’97. Non ve ne pentirete. Buon ascolto.

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Erst bloch 1918

...“noi ascoltiamo solo noi stessi”!


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Foto

ninocalamuneri.net

nino calamuneri un fotografo

squid eyes

RITRATTISTI SI NASCE, FOTOGRAFI SI DIVENTA Nino Calamuneri, siciliano, nasce il 27 maggio 1962. Da professionista è fotografo ritrattista e pubblicitario. Mentre fotografa, nel 1995, si laurea in architettura a Palermo. Vive in Italia tra la Sicilia e l’Umbria.

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magcom


L’intervista ma g

di A. S.

Teatro,

di scena Ordile e il suo papillon Tra crisi e voglia di riscatto. Tra la necessità di lasciare il passo a piazze più accreditate e la insopprimibile vocazione a produrre e diffondere cultura messinese ed a Messina. Luciano Ordine “torna” al Teatro Vittorio Emanuele, da presidente, in un momento difficile. I tagli dei finanziamenti regionali, dopo anni di contributi col contagocce, rischiano di strozzare il Vittorio Emanuele. Ma il messinese Ordile, democristiano di ferro, astoniano non pentito, “inventore” dei Beni Culturali in Sicilia, del Vittorio Emanuele è un po’ il padre, e proprio non vuole saperne di veder morire la sua creatura. Il primo contributo, infatti, il “Vittorio” lo ha avuto con la legge regionale 16/79, varata quando Ordile era assessore regionale. L’Assemblea discuteva la legge d’istituzione del Bellini di Catania, e Ordile presentò e fece approvare un emendamento che destinava al comune di Messina 3 miliardi per le attività culturali. Nel ’95, da Assessore agli Enti Locali, promosse una legge organica per l’istituzione dell’Ente Teatro di Messina. “L’approvazione fu relativamente facile - spiega - perché c’era già una dotazione finanziaria. Da allora né Comune né Provinciali hanno più stanziato una lira, ed il contributo regionale ed è andato sempre più diminuendo”. Da allora ai giorni nostri: Il “Vittorio” ha i conti in rosso - lamenta laconico Ordile, snocciolando dati e cifre - ma non abbiamo alcuna intenzione di smettere di lavorare, e di provare a continuare e crescere”. La ricetta di Ordile è semplificare al massimo, incrociando le dita: autoproduzione, massimizzazione e valorizzazione delle risorse del territorio, sfruttamento fino all’ultimo spillo dei beni propri, dall’affitto dei costumi agli altri teatri alle iniziative innovative da circuitare. Un lavoro di dragaggio delle risorse, sino all’ultimo centesimo, finalizzato non all’esclusiva sopravvivenza. “Il Teatro non deve solo “vivere”, deve esser la cattedrale della cultura, ospitare tutte le iniziative culturali, di ogni genere, del nostro territorio. Il Teatro deve produrre cultura per il territorio, veicolarla anche attraverso l’educazione dei più giovani ad una sensibilità estetica, musicale, artistica in generale”. Quale sia l’idea di teatro la si evince dalle risposte sul futuro di Taormina Arte, l’altra istituzione culturale messinese. “Taormina Arte è un ente

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regionale dovrebbe occuparsi delle attività teatrali e musicali ad altissimo livello, programmate e pubblicizzate per tempo in modo tale da stimolare turismo internazionale. La legge regionale prescrive che il programma va definito pubblicizzato entro il giugno dell’anno precedente; altrimenti ogni attività di pubblicizzazione dell’evento è inutile” - chiosa Ordile, sottintendendo un “invece così non è”. “A Taormina Arte avevo imposto un Comitato scientifico che decideva quali artisti potevano esibirsi e quali no. Quando il Comitato disse no alla Rettore, gli esercizi commerciali erano listati a lutto per protesta contro Ordile il censore. La scommessa, alle elezioni successive, era che Taormina non mi avrebbe votato. Invece proprio lì fui il primo degli eletti. Quando chiesero all’allora sindaco Garipoli perché mi avesse fatto votare malgrado la rigidità della “etichetta” imposta al teatro antico, lui rispose: ha trovato il petrolio”. Ecco perché anche al Teatro Vittorio Emanuele gli spettacoli che vorranno battere il palco messinese dovranno avere il parere favorevole dei due direttori artistici. La stagione ed il futuro del “Vittorio” le polemiche sul taglio dei contributi regionali, destinati in massima parte a Catania e Palermo sono annuali. “Il teatro di Messina è considerato di serie b, è facile dire che Messina non riesce a produrre niente di rilevante senza spiegare perché. Io sono convinto che il teatro è tale non solo quando importa ma anche quando riesce a produrre degli spettacoli, dobbiamo essere capace di farli e valorizzare tutto quel che esiste sul territorio. Ho chiesto ai sindaci della provincia ed ai presidenti di quartiere di

Messina di segnalarmi tutte le risorse esistenti nei loro territori. Sono arrivate risposte altamente qualificate ed in alcuni casi sorprendenti. Chi avrebbe mai pensato, ad esempio, che nella piccolissima Gualtieri Sicaminò ci sono ben 8 diplomati al Conservatorio? Dobbiamo mettere in moto iniziative di prosa e lirica capaci di valorizzare questo patrimonio ed esportalo” Per farlo, Ordile punta alla sinergia con le altre istituzioni culturali. Un occhio all’Università, quindi, con il laboratorio teatrale affidato a Dario Tomasello. Ma anche il Conservatorio Corelli, l’istituto d’arte Basile, Comune e Provincia, la soprintendenza, la Camera di Commercio ed il Museo. Un altro sguardo va invece all’Europa, per attivare tutti i canali di finanziamento possibili: “Perché mai il “Vittorio” non deve partecipare ai bandi europei per i finanziamenti?”. Infine, le micro iniziative che Ordile cataloga alla voce sinergie col territorio: “Ho lanciato un appello a chiunque avesse libri sul teatro perché stiamo curando l’apertura di una biblioteca specializzata, in Italia ce n’è soltanto una, ad Urbino. Pochi giorni dopo si è presentata un’anziana insegnante in pensione con buste stracolme di libri. Abbiamo ricevuto le pellicole del cine forum, ce le ha regalate Ubaldo Vinci, storico ex presidente. Le censiremo ed entreranno nel nostro patrimonio. Stiamo strappando alla polvere tutto quello che c’è nei cantinati, dai libretti ai quadri all’archivio in genere”.


Mag Tech

I-pad Star d’eccezione Rockstar, presidenti ed attori hanno una cosa in comune: quando salgono sul palco, l’attenzione è tutta per loro. Il pubblico, le telecamere e gli addetti ai lavori puntano lo sguardo sul protagonista indiscusso. Raramente nel mondo dell’informatica può succedere una cosa del genere, dato il poco appeal dei portavoce delle aziende, ed il contesto dove fiere e manifestazioni si consumano. Steve Jobs, leader indiscusso di casa Apple è una eccezione. Porta avanti la bandiera con una consapevole arroganza: lui porta innovazione. Ma questo termine, in senso informatico potrebbe significare “nuovo modello”, o “ultima release”. No, quando lui sale sul palco, la gente sa che tirerà fuori dalla tasca qualcosa che va oltre la crisi: qualcosa di cool. Anche questa volta, jeans e lupetto nero, barbetta e fisico da convalescente ospedaliero è salito in cattedra atteso dagli adepti della mela morsicata. Oddio, questa volta era un pò telefonata la cosa. Infatti da sei mesi o da sei anni se volete, si parlava in maniera veramente esasperante ed ossessiva di un fantomatico tablet di Apple. A che servisse o se fosse veramente in produzione lo sapeva solo Steve ed il suo cane che lo vedeva tornare tardi a casa la sera. Quasi quasi, potremmo pensare che in barba alle proclamazioni di casa Apple di non volersi mettere in concorrenza con il barbaro mondo dei netbook, l’abbiano messo in produzione perchè richiesto a furor di popolo. Ma cos’è insomma st’iPad sbandierato il 27 di gennaio da tutti i quotidiani online del mondo? Pochi lo sanno, visto che, presentato in un’oretta dal big boss, sarà disponibile da fine aprile, se i taiwanesi lo vorranno; ma così a prima occhiata chiunque direbbe che è un iPhone ipertricotico. E potrebbe anche andare bene così! Quando iPhone fu presentato, fu sommerso dalle critiche più disparate: dalla mancanza della fotocamera frontale, passando per il bluetooth monco e finendo agli MMS (che tutti noi utilizziamo allo sfinimento) implementati in tarda ora. Dopo due anni e mezzo il mondo della telefonia insegue iPhone scopiazzando interfaccia e modo di utilizzo, senza peraltro raggiungere risultati che possano quantomeno impensierirlo. Ma l’uovo di Colombo di Stewie non era il telefono, bensì le applicazioni. Vedere il cinquantenne che entra da me con l’iPhone in mano perchè non sa come si compra l’applicativo del Grande Fratello, non ha prezzo.140.000 applicativi in due anni e mezzo è un numero mostruoso, se pensate che fanno anche un sacco di soldi.

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Ecco, ora mettete tutta questa roba su un display da 10 pollici, metteteci iWork (sarebbe Office di Apple, per i non praticanti), un client di posta elettronica, un browser internet ed una sim per navigare. Il 90% delle persone che stanno davanti ad un computer fanno questo: mandano mail, navigano su internet e forse scrivono una lettera. E farlo su quell’affare che ha tirato fuori Jobs dal giacchetto è veramente fico! La base di installato di iPhone in questo paio d’anni ha portato con sè qualche importante sviluppo. Le case software fatte in un garage possono esistere di nuovo, perchè con un cervello e quattro mani pubblichi su AppStore la tua applicazioncina da 79 centesimi. Le grandi case software si buttano a capofitto sfruttando la chimera del videogioco: il digital delivery. IPhone è diventato il vero concorrente di Nintendo Ds e Sony PSP, ed ora con 10 pollici a disposizione mi viene solo da ridere. Foto e video: era già sfizioso sul telefono, sull’iPad diventa produttivo. Passi il momento ludico, il tablet diventa uno strumento di comunicazione: presentazioni, demo da conferenze e fiere, strumento di confronto con partners commerciali di ogni giorno. Il discorso editoriale per noi del bel paese è una bella gatta da pelare. Se in America, Amazon trema e rivede le politiche commerciali del suo Kindle, ormai vintage perchè banalmente monocromatico e monouso; in Italy di libri elettronici avremo a malapena “La Divina Commedia” e “Le ricette di Nonna Pina”. Infatti zio Steve, avendo fatto a priori accordi con le maggiori case editrici del paese, ed essendo adesso in tour con iPad nel taschino per accaparrarsi versioni online personalizzate di quotidiani US blasonati, mette al sicuro l’utenza americana sui contenuti a disposizione. Noi se dobbiamo far fede sulla brillante idea di Repubblica su iPhone, che ha convertito l’applicazione (versione Bignami del quotidiano online) da gratuita a salato pagamento, di strada ne dobbiamo fare. È anche vero che l’AppStore in questo è molto democratico, e l’utenza premia l’applicazione che merita e si distingue nel mare di offerte. Che dire, fine aprile non è poi così lontana, e con un prezzo di lancio vicino ai 450 euro, lascia presagire vendite col botto, alla faccia di critici e detrattori che lo avranno sul tavolo, ci scommetto, il primo giorno. Così come scommetto che la corsa dei brand concorrenti è cominciata il giorno della presentazione di iPad. Il riferimento è stato presentato: via con l’attacco dei cloni.


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In a Box

a cura della redazione

percorsi Multimediali

appunti Il paradosso Arrestare Bin Laden per abuso d’ufficio. L’enigma Fu destro s’il prese come ministro sinistro del paese. L’attesa Gianfranco Miccichè e la telefonata di Silvio Berlusconi.

Calendario della programmazione: Film: I cavalieri che fecero l’impresa di P. Avati 08-03-2010 Lezione: Kantorowicz, I due corpi del Re (dott.ssa M.G. Recupero) 15-03-2010

Perché i giornalisti iniziano la loro carriera da incendiari e la chiudono da pompieri? Perché gli intellettuali viaggiano agevolmente da sinistra a destra (o viceversa) degli schieramenti politici? Perché le ideologie e le macchine una volta “costruite”, possiedono gli individui invece che essere posseduti? Perché si può spiare il “nemico” e quando si viene scoperti, non è possibile nemmeno chiedere scusa?

sconsigli

Film: Il mestiere delle armi di E. Olmi 22-03-2010 Lezione: Dante, Dalla Monarchia alla Commedia (Prof.ssa M.S. Barberi) 29-03-2010 Verifica 06-04-2010

Non frequentare le stesse persone e gli stessi luoghi di ieri.

Film: Amleto di K. Branagh 12-04-2010 Lezione: Crisi del potere e nuova legittimità (dott.ssa M. Geniale) 19-04-2010

Vai dal barbiere e incolpalo dei tuoi capelli bianchi (o della calvizie).

Strappa le tessere di partito e iscriviti ad una associazione animalista.

Angelino Alfano sta al CSM come Stefania Prestigiacomo sta al Consiglio dei Ministri.

Film: Macbeth di O. Welles 26-04-2010 Iconografie: Il Sovrano-Leviatano (dott. P. Morabito) 03-05-2010 Iconografie: Furori utopici. Iconoclastia e distruzione dell’arte dalla Riforma protestante al giacobinismo (Prof. D.Tranchida) 10-05-2010 ore 16.30

Mara Carfagna sta alle Pari Opportunità come un panda a un animale domestico.

Film: Giulio Cesare di J.-L. Mankiewicz 17-05-2010

Banda larga Famiglia mafiosa allargata.

equazioni Fini sta a Berlusconi come Di Pietro sta a Bersani. Mourinho sta a Mijalovic Come Ancelotti sta a Zenga. Bigelow sta a Cameron come Angelina Jolie sta a Brad Pitt. Gianfranco Miccichè sta a Raffaele Lombardo come Giuseppe Calderone sta a Francesco Cascio.

I video giochi stanno agli scacchi come i tennisti ai braccianti agricoli.

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La cattedra di Antropologia e Teologia politica della Facoltà di Scienze Politiche di Messina organizza in collaborazione con il Centro Studi su “Mito e simbolo” un seminario multimediale dal titolo “Le figure della sovranità. Un percorso teologico-politico, iconografico e filmico”. Il seminario - valevole 4 CFU per gli studenti della L. M. in Studi Politici - affronta la tematica della sovranità nell’intenzione di farne emergere i fondamenti sacrificali e le costanti mitico-rituali attraverso le sue manifestazioni storico-istituzionali ed estetico-letterarie. Articolato in lezioni frontali, proiezioni filmiche, ermeneutica dell’opera d’arte e verifiche periodiche, il seminario si svolge ogni lunedì presso l’aula 4 del Dip. S.P.I.C.I.A. sito in via T. Cannizzaro, 278.

I perché senza perché...

Verifica

24-05-2010

Prendi un’aspirina senza alcuna ragione e convinciti che hai fatto bene.

Togli gli scheletri dall’armadio e riponili in un luogo sicuro.

Prima di iscriverti al sindacato chiedi il preventivo sul costo della tessera. Dileggia gli assenti se sei sicuro di poter resistere fini a notte alta. Non confidarti con anima viva, fai visita ai defunti in cimitero. Scandalizzati di ogni stupidaggine, così potrai scandalizzarti delle cose importanti a destare scandalo.


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In a Box ma g

Il futuro si guadagna col presente (Samuel Johnson)

Area metropolitana dello Stretto L’analisi attuale e lucida di Peppe Caridi fa ordine fra le tante parole e scritti sull’Area dello Stretto. Un percorso che si snoda attraverso la storia millenaria di questo territorio, i suoi rapporti con le altre aree vicine e lontane, l’attuale situazione economica e i possibili scenari futuri. Inoltre la lettura del libro sarà senz’altro stimolata dal fatto che è corroborato da notevoli pareri raccolti tra le massime autorità politiche e culturali di “Quelli che … lo Stretto”, come con intelligenza è stata intitolata la parte più esclusiva e originale del libro, quella con le interviste giornalistiche alle personalità politiche, sociali e culturali di Reggio e Messina. (Dalla prefazione del prof. Bruno S. Sergi)

Il Rugby a Messina

“dagli anni 30 ad oggi” Interessante libro realizzato da Pino De Lorenzo. Un’opera unica nel suo genere; non se ne conoscono simili da Roma in giù.

Omaggio a Rainer Werner Fassbinder (1945-1982) nel 65° anniversario della nascita

Claudio Lucchesi e il suo gruppo di lavoro

I film devono smetterla una buona volta di essere film

Cineclub del Goethe-Institut Palermo 7 aprile - 30 giugno 2010 ogni mercoledì (ad esclusione del 2 giugno) alle ore 18.30 La seconda rassegna cinematografica è interamente dedicata al regista Rainer Werner Fassbinder, che il 31 maggio di quest’anno avrebbe compiuto 65 anni. Per molti Fassbinder è ancora oggi il regista tedesco più importante del secondo dopoguerra. La rassegna si apre e si conclude con un film documentario a lui dedicato. ICH WILL NICHT NUR, DASS IHR MICH LIEBT Non voglio solo che mi amiate è stato realizzato in occasione del decimo anniversario della prematura scomparsa del regista, avvenuta il 10 giugno 1982 a Monaco di Baviera a soli 37 anni. Hans Günther Pflaum si è concentrato sulla vita del cineasta, dalla sua infanzia alla morte, e naturalmente sul suo percorso artistico. Grazie all’inserimento di materiale d’archivio originale, viene fuori un ritratto forte e preciso della complessa personalità di questo autore e delle contraddizioni che lo hanno animato. Un filo che la rassegna si propone di seguire, è quello dei suoi numerosi film con protagoniste femminili. È sorprendente notare in quanti titoli di film di Fassbinder ci siano nomi di donna. Il regista l’ha spiegato con la convinzione che “in questa società le donne hanno più libertà, contrariamente a quanto si è soliti dire. Gli uomini devono svolgere più ruoli imposti, mentre le donne hanno più possibilità di fuga.” > 07.04 Ich will nicht nur, dass ihr mich liebt Non voglio solo che mi amiate Regia: Hans Günther Pflaum > 14.04 Martha > 21.04 Fontane Effi Briest Effi Briest > 28.04 Lili Marleen > 05.05 Lola > 12.05 Die Sehnsucht der Veronika Voss Veronika Voss > 19.05 Katzelmacher Il terroneRegia: Rainer Werner Fassbinder > 26.05 Götter der Pest Dei della peste > 09.06 Angst essen Seele auf La paura mangia l’anima > 16.06. Satansbraten Nessuna festa per la morte del cane di Satana

> 23.06. Chinesisches Roulette Roulette cinese > 30.06. Ich will nicht nur, dass ihr mich liebt Non voglio solo che mi amiate Replica Tutti i film sono in versione originale tedesca con sottotitoli in italiano. Dal 7 aprile al 30 giugno Goethe-Institut, Sala Mostre FASSBINDER Una fine senza fine Mostra di locandine dei suoi film più celebri e una raccolta di frasi che alcuni colleghi hanno scritto su di lui. Orari: Dal lunedì al giovedì: ore 10-13 Mercoledì: ore 10-13 e ore 16.30-18.30 Escluso festivi Altri orari su prenotazione: tel. 091 652868 Ingresso libero

Goethe-Institut Palerm - Sala Wenders - Cantieri Culturali alla Zisa Via Paolo Gili 4 - Tel. 091 6528680 - programma@palermo.goethe.org

integrazione all’articolo di pag. 66 del numero 7 di MAG

Claudio Lucchesi, architetto planetario grazie all’...UFO È doveroso un approfondimento su alcune frasi troppo sintetiche che abbiano potuto generare un malinteso o fraintendimenti che si vogliono assolutamente evitare in quanto lontani dalla natura umana e personale di Claudio.

............... 1) “….Spesso i miei colleghi non lo fanno”. p.67 Specifica 1: Altri colleghi, sulla base di diverse esperienze metodologiche ed indirizzi intrapresi nel campo dell’architettura, hanno un approccio differente. 2: “ …Da noi non esiste l’educazione per l’architettura. Spesso mi trovo in difficoltà a parlare anche con i colleghi.” p.67 Specifica 2: La comunicazione e l’informazione dell’Architettura Contemporanea nella realtà comune tarda ad attecchire generando una committenza non predisposta ai nuovi temi, linguaggi e sperimentazioni architettoniche. Talvolta le differenze , di linguaggi, esperienze accademiche e professionali, impediscono la comunicazione su un piano comune ed univoco anche tra gli stessi “ addetti ai lavori”.


MagMap ma g

eventi aprile/maggio 2010

Musica 01/02 Aprile • CARMEN CONSOLI CATANIA Teatro Metropolitan 02 Aprile • MOTEL

CONNECTION Live

CATANIA Centro Cultural Zo 03 Aprile • CARMEN RAGUSA Teatrotenda

CONSOLI

28 Aprile • TOMMY

Trio (Catania Jazz ‘09/’10)

EMMANUEL

CATANIA Teatro Metropolitan

18 Aprile • BEN SIDRAN

28 Aprile • RADIODERWISH CATANIA Teatro Brancati

Quartet

08 Aprile • N’GUYEN

LE SAIYUKI Trio

CATANIA Teatro Brancati 08 Aprile • NICOLA PIOVANI PALERMO Auditorium T. Dante 08 Aprile • NICOLA PIOVANI CATANIA Teatro Metropolitan

&

SPINETTI (Catania Jazz ‘09/’10)

126

li suscettibi di variazione

HERMAN

CATANIA Teatro Metropolitan

04 Aprile • ALBOROSIE & SHENGEN CLAN CATANIA Pegaso’s Club

13 Aprile • MAGONI

16 Aprile • YARON

Gli eventi l ed i luoghi denco presente eleessere potrebbero

MODICA Joy Club

29 Aprile • RADIODERWISH SCICLI (RG) Teatro Italia

20 Aprile • BEN SIDRAN

Quartet

CATANIA Teatro Brancati 21 Aprile • LITFIBA ACIREALE Palasport 23 Aprile • ELISA ACIREALE Palasport

29 Aprile • SIMONE ALCAMO Teatro Cielo

23 Aprile • SAMUELE BERSANI CATANIA Teatro Metropolitan

CATANIA Teatro Metropolitan

28 Aprile • PRODIGY ACIREALE Palasport

14/15 Aprile • MARIO BIONDI CATANIA Teatro Metropolitan

28 Aprile • AFTER CATANIA Vola

SHOW

30 Aprile • SIMONE CATANIA Teatro ABC

TRISTICCHI

Teatro Brancati 05 Maggio • FIORELLA

MANNOIA

PALERMO Teatro Golden 06 Maggio • FIORELLA

MANNOIA

CATANIA Teatro Metropolitan 06 Maggio • SARAH

GILLESPIE QUARTET TRISTICCHI

CATANIA Teatro Brancati 07 Maggio • FRANCESCO

RENGA

03 Maggio • SIMIN QUARTET CATANIA Teatro Brancati

CATANIA Teatro Metropolitan

04 Maggio • ESRA DALFIDAN

NEXT DOOR

QUINTET

CATANIA Teatro Brancati

13 Maggio • THE WOMAN CATANIA Teatro Metropolitan 21 Maggio • JOHN MCLAU-

05 Maggio • SOO CHO

GHLIN& THE 4TH DIMENSION

CATANIA

CATANIA Teatro Metropolitan

QUARTET


127 MESSINA

TAORMINA

PALERMO

CATANIA

trapani

caltanissetta enna AGRIGENTO

SIRACUSA RAGUSA

Teatro 06/07 Aprile • KOLHAAS CATANIA Piccolo Teatro

25 Aprile • LA VEDOVA ALLEGRA RAGUSA Teatro tenda

08/09 Maggio • IL LIBERTINO CATANIA Piccolo Teatro

08/18 Aprile • ALESSANDRO DI CATANIA Sala Arpago

29 Aprile • MASSIMO BAGNATO PALERMO Teatro golden

22/23 Maggio • QUARANTA

CARLO

MA NON LI DIMOSTRA BELPASSO(CT) T. Nino Martoglio

22 Aprile • OTELLO CATANIA Teatro Metropolitan

29 Aprile • MASSIMO BAGNATO PALERMO Teatro golden

24/25/30 Aprile • IL GATTO

1/2/7/9/14/15/16 Aprile • IL GATTO BLU IN

BLU IN TUTTA UN’ALTRA STORIA

UN’ ALTRA STORIA

CATANIA Piccolo Teatro

CATANIA Sala Arpago

TUTTA

23 Maggio • LA VEDOVA ALLEGRA ACIREALE Teatro Maugeri


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