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Nel calice, perle rare Un filo rosso lega Alto Adige, Trentino e Toscana. Come una preziosa collana tempestata di cantine che hanno saputo preservare, e talvolta riscoprire, l’eccellenza desueta dei vini di nicchia di Francesca Negri
Nel raggio di nemmeno quaranta chilometri, l’Alto Adige è un’antologia di paesaggi e zone climatiche che non potrebbero essere più eterogenee, proprio come i vini che vi si producono. Qui non è solo il paesaggio a essere vario, ma anche il terroir: i pendii della Val Venosta, le colline soleggiate della Bassa Atesina, i vigneti di stampo alpino della Val d’Isarco. I vignaioli di questa terra hanno imparato da secoli a far tesoro di questa varietà, facendo emergere l’unicità di ogni appezzamento in sapori inconfondibili. È da questo spirito che scaturiscono vini di carattere e prestigio, capaci di esprimere al meglio le peculiarità della loro origine. In teoria, i vitigni autoctoni altoatesini come il Lagrein, la Schiava o il Gewürztraminer, si potrebbero coltivare in tutto il mondo, ma solo in Alto Adige, loro terra d’origine, sviluppano in pieno tutta la loro identità e il loro carattere. Come estensione, l’Alto Adige è uno dei territori vinicoli più piccoli d’Italia, ma grazie alla sua posizione geografica è anche uno dei più variegati. Cinquemila viticoltori si dividono una superficie vitata di meno di 5.300 ettari, distribuita nelle zone climatiche più disparate, su
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