5 minute read

I nuovi sacerdoti

Next Article
In Diocesi

In Diocesi

ESSERE SACERDOTE “GIORNO PER GIORNO”

Tu sei sacerdote in eterno» (Sal 109). “Perché io?” mi son chiesto in questi pochi mesi vissuto nella grazia sacerdotale. «La mia vocazione – scriveva San Giovanni Paolo II – è un dono e un mistero». In questi mesi in cui Dio si è servito della mia pochezza per operare meraviglie attorno a me, mi son reso conto di quanto sia profondamente vero che il sacerdote non è un “super uomo”, staccato dal tempo e dallo spazio in cui vive, bensì ancora più “uomo”, poiché chiamato a misurarsi con la personale debolezza e il peccato. Il sacerdozio è una realtà così alta da risultare difficile descriverla a parole: ci è concesso di entrare nelle case per benedire i malati, immergere i piccoli nelle acque battesimali, assistere alle meraviglie che Dio opera agli inizi della vita con il balbettare del neonato, sino al suo compimento nell’agonia dei moribondi. Il Signore mi sta conducendo lentamente alla comprensione che la nostra missione è quella di generare le anime facendo voto di totale rinuncia al possesso, dare tutta la vita per far nascere Dio nelle anime, accettando di non impossessarci mai della vita degli altri, poiché «Uno solo è Padre» (Mt 23,9). Tre sono dunque le priorità che desidero mettere in pratica nell'esercizio del mio ministero: La prima è quella di non aver paura di mostrarmi debole e ferito, poiché non a me sono chiamato a condurre i fratelli, ma a Cristo. Essere dunque per loro guida, non Terra promessa. La seconda priorità è immergermi nelle situazioni esistenziali della gente, condividendone le gioie e le fatiche quotidiane perché la mia esistenza profumi di popolo e non di incenso. La terza priorità è rendere presente nel mondo il cuore di Cristo Sacerdote capace di aprirsi alle sofferenze degli altri. Il cuore del sacerdote, a imitazione di quello del nostro Redentore, deve soffrire con coloro che soffrono, gioire con coloro che sono nella gioia, perché tutti, indistintamente, siano sicuri di trovare un cuore sempre disponibile all'ascolto, un uomo mai indifferente, un amico premuroso. «Tu sei sacerdote in eterno»: dal 26 ottobre 2022 queste parole risuonano alle mie orecchie insistentemente. Da quel giorno mi è stato dato tutto il tempo della vita per diventare sacerdote! Giorno per giorno, minuto per minuto, appunto, in eterno: non “una volta per sempre” ma “sempre, ogni volta”!

Advertisement

Don Rosario Pittera

Per loro Padre consacro me stesso»! Sono queste le parole con cui Gesù si rivolge al Padre nella grande preghiera sacerdotale prima della sua passione, le stesse che dall’ordinazione presbiterale in poi ho fatto mie non tanto come slogan ma piuttosto come ideale massimo della mia vita ministeriale. Dietro quel “per loro”, si nasconde la profonda verità, che la vita, specie quella di un presbitero, acquista senso e significato solo e soltanto se spesa per qualcuno e donata gratuitamente con amore. Ciò per cui vale la pena donare la vita non è un semplice ideale ma sono fratelli e Figli di Dio che hanno bisogno di incontrare l’Amore misericordioso del Padre, quello stesso che deve aver toccato il cuore di ogni sacerdote. Ecco ciò che davvero con-sacra, ossia rende sacra, ogni esistenza! Sono passati ormai quasi sei mesi dal giorno della mia ordinazione ma ancora oggi ogni tanto mi fermo a riflettere con rinnovato stupore sul dono immenso posto indegnamente nelle mie fragili mani. Fatico ancora a credere che Dio si sia fidato di me rendendomi, continuazione del suo amore per l’umanità intera e che, attraverso le mie mani, l’uomo è riconciliato al Padre e la salvezza è donata! “Per loro Padre consacro me stesso”, non un altro ma “me stesso”: il Cosimo che sono, nella risposta vocazionale ha trovato, e trova, senso e compimento nella consapevolezza che la vocazione non annulla la persona ma al contrario la realizza nell’onestà della propria verità! In questi sei mesi di ministero ho compreso ancor di

Zaccheo, scendi subito perché oggi devo fermarmi a casa tua!». Sono le parole che duemila anni fa Gesù ha pronunciato rivolgendosi al ricco pubblicano, riconosciuto peccatore dai giudei perché amico degli odiati romani che occupavano il loro territorio esigendo il pagamento delle tasse.

E sono quelle stesse parole che hanno infiammato il mio cuore sette anni fa in occasione della Giornata Mondiale della Gioventù celebratasi a Cracovia nel 2016: in una grande spianata il 31 agosto 2016 papa Francesco faceva sue le stesse parole di Gesù rivolgendosi a milioni di giovani.

Gesù vuole attraversare la città di Gerico, vuole cioè avvicinarsi alla vita di ciascuno di noi perché il suo cammino e il nostro si incontrino. Quanta meraviglia negli anni del Seminario nello scoprire che proprio a Zaccheo assomigliava la mia vita. Sì perché l’incontro di Zaccheo con Gesù cambia la vita, come cambia la vita di ciascuno di noi se facciamo questa esperienza di incontro. Zaccheo ha però dovuto affrontare diversi ostacoli prima di questo incontro straordinario. Intanto il suo essere basso di statura che lui risolve con il salire sul sicomoro per vedere passare Gesù, ovvero il puntare sempre in alto anche quando tutto sembra andare al rovescio rispetto a come noi pensavamo che le cose dovessero andare. Il suo essere basso e peccatore lo paralizzava ma Gesù è l’unico che può liberarlo dalla sua infelicità provocata dal peccato e da quel senso di frustrazione che porta con sé. Non da ultimo l’o- stacolo provocato dalla folla mormorante riguardo al fatto che Gesù entra nella casa di un peccatore. Quanto è difficile accettare un Dio ricco di misericordia che va contro il perbenismo di coloro che si sentano arrivati nella vita, che pensano di essere vicini a Dio ed invece sono ancora molto distanti. È per questo che nessuno potrà spegnere il sorriso luminoso che proviene solo da chi ha incontrato Gesù sulla propria strada. Piace citare il Diario di un parroco di città del comasco don Giovanni Valassina del 1962: «Essere prete, essere parroco, vuol dire essere un uomo come gli altri, con gli stessi sentimenti, problemi, dubbi, aspirazioni, limiti: solo con un impegno di fede, di speranza, d’amore, di servizio in più nei riguardi del Mistero e della gente». Con l’invito a voler bene i ministri di Dio, a pregare per loro, ad aiutarli nel loro ministero per arrivare a conoscere Gesù Cristo.

Don Antonio Agostini

più che per essere preti serve tutt’altro che una tonaca o una bella camicia stirata e che tutto questo non funziona se sotto non vi è tanta umanità. Mi piace guardare al mio ministero con l’ideale del prete con le “scarpe da tennis” (proprio come mi ha trovato il Signore al momento della mia chiamata) pronto a correre! Essere sacerdote, ho scoperto essere questione di cuore: si tratta di rendere visibile l’invisibile, si tratta di avere gli stessi sentimenti di Cristo, sempre pronto a correre! Correre il rischio di andare contro corrente, correre il rischio di amare “inutilmente”, correre il rischio di vivere…correre il rischio di essere felici, davvero! È per tutto questo che alla soglia dei miei primi sei mesi di ordinazione davanti al mistero immenso della chiamata continuo a ripetere con il cuore colmo di gratitudine “un milione di volte ancora ti sceglierei, mio Signore!”.

Don Cosimo Andrea Gangemi

This article is from: